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James Propp A s the showrunner of my nine-year-old son’s paintball birthday party, I expected to face lots of problems. I just didn’t ex- pect any of them to be math problems. There were eight boys at the party, includ- ing my son and his close buddy, and while those two would’ve been happy to be on the same team in every four-on-four game, my wife wisely suggested that I set things up so that each boy would be on my son’s team the same number of times. In fact, it would be ideal if, over the course of the party, each boy could be each other boy’s teammate the same number of times. Then no one would have cause to call “No fair!” the way nine-year-olds do. Randomness One approach to fairness is randomness. For each game I could divide the boys randomly into two teams of four. In each game my son and his buddy would have a 3-out-of-7 chance of being on the same team. So if the boys played seven games, which was just about the number of games they could play in their three-hour window (allowing time for pizza and birthday cake), the expected number of times each pair of boys would be on the same team would be three. The problem with the random approach is that even though it’s good on average, it’s sometimes bad. There’d be about a 2 percent chance that my son and his buddy would never be on the same team. And there’d be an even larger chance that some pair would never be on the same team. If this happened, there’d be a good chance that by the end of the party the kids would have been calling “No fair!” Thus, I rejected the random approach and wondered if I could design a seven-game schedule for eight boys so that any two boys play on the same team exactly three times. The reader may wish to try this problem before reading further. Geometry, Geometry, Geometry! Because I’m a mathematician, the fact that there were eight, or 2 3 , boys at the party screamed “Use geom- etry!” at me: It seemed natural to assign each of the eight boys to one corner of a cube, as in figure 1, and proceed using geometrical ideas. The new, geometrified problem is to divide the vertices of a cube into two sets of four in seven differ- 18 November 2017 : : Math Horizons : : www.maa.org/mathhorizons The Paintball Party A = (0,0,0) B = (0,0,1) C = (0,1,0) D = (0,1,1) H = (1,1,1) G = (1,1,0) E = (1,0,0) F = (1,0,1) Figure 1. We represent the eight boys by the eight vertices of a cube.

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LE INCREDIBILI AVVENTURE

DI EMMA MOROSINIPellegrina da venti anni in giro per il mondo

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LE INCREDIBILI AVVENTUREDI EMMA MOROSINI

Pellegrina da venti anni in giro per il mondo

Chi è Emma Morosini... l’asinello del Signore

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Alcune notizie biografiche

Emma Morosini nasce a Castiglione delle Stiviere nel 1924, se-condogenita di quattro figli, tre dei quali morirono in tenera età. A quel tempo il padre si curava di un gregge e ogni giorno portava al pascolo un discreto numero di capre che costituiva-no l’unica fonte di reddito per il sostentamento della famiglia; la madre, che era esperta nel ricamo, non trovava lavoro poi-ché nel paese poche persone usavano far ricamare il corredo. Per questi motivi la vita famigliare era molto dura perché il ricavo delle capre era così scarso da rasentare la miseria. Pro-prio per l’impossibilità di “tirare avanti”, per la moria e le con-tinue difficoltà di mantener le capre, soprattutto d’inverno, si decise di venderle, con l’unico risultato che il padre, rimasto disoccupato, divenne almeno disponibile per qualsiasi lavoro. Ma erano anni particolari, si era agli inizi dell’era fascista ed era indispensabile prendere la tessera del partito, come condi-zione di assunzione e lui, convinto antifascista, era guardato con sospetto e considerato un sovversivo e, per questo, ad ogni manifestazione fascista, sia in paese che a Roma, veniva regolarmente prelevato dai carabinieri e portato in prigione! La vita era dura e Emma se ne rese ulteriormente conto quan-do, alle scuole elementari, veniva presa in giro e dileggiata dai compagni a causa del suo povero abbigliamento, oppure

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perché ancora camminava con gli zoccoli. All’età di otto anni venne ammessa alla Prima Comunione e con gran gioia tra-scorse la straordinaria giornata, anche se la veste, le scarpe e il velo erano state prese a prestito. Purtroppo alla cerimonia era presente solo la mamma, in quanto il padre, per le tristi vicissitudini politiche ed economiche che continuamente lo assillavano, era così affranto e depresso che non gli riuscì di partecipare.La mamma le era molto vicina e suggeriva alla sua bambina di chiedere a Gesù di diventare buona e sollevare il papà dalle sue pene, ma Emma ricorda anche di aver aggiunto una pre-ghierina personale: “Voglio restare sempre povera come Gesù Bambino”. Con soddisfazione interiore ammette ancor oggi di essere stata sempre esaudita nel corso della vita, su quel livello di evangelica povertà. Al termine della scuola elemen-tare, Emma cominciò a frequentare quelle che all’epoca erano chiamate “Scuole dell’Avviamento Professionale”, corrispon-denti alle odierne scuole medie e, durante le vacanze, andava ad assistere i bambini dei “signori”, in modo d’alleviare par-zialmente la miseria famigliare, mentre d’inverno attendeva con ansia il periodo della neve perché era l’unica occasione in cui anche il padre era chiamato, senza problemi di tessera del partito, al lavoro della pulizia delle strade e, pertanto, si aveva un poco di tregua dai morsi della fame. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la giovane Emma s’inventò un lavoro: le scuole erano chiuse e tutti quei ragazzi, sparsi per le strade, erano un po’ la disperazione dei genitori, allora pensò bene di raccoglierli nella propria casa e far loro scuola di lavo-ro, specialmente alle bambine che qui imparavano a cucire, a far l’uncinetto e la maglia. Le mamme furono assai contente e compensavano secondo le proprie possibilità: chi dava qual-che lira, altre uova o frutta, mentre d’inverno portavano legna per riscaldare la casa con un braciere, attorno al quale tutti si riunivano per lavorare e cantare in allegria. Emma, ormai diciottenne, era felice di coniugare lavoro e preghiera e semi-

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nare la Parola di Dio; alla domenica e feste di precetto era bello vedere tanti ragazzi di buon umore che riempivano la strada con canti e risate e andare alla Messa guidati dalla singola-re maestra. Fu in quel periodo che giunse alla guida della parrocchia del paese un nuovo Parroco, molto zelante e di-namico: don Aldo Vignola che seppe scuotere l’apatia religio-sa che aveva contaminato quasi tutti i fedeli. Con la rinascita dell’Azione Cattolica e varie confraternite, molti giovani si sentirono chiamati alla vita religiosa, fu così anche per Emma che sperimentò un forte impulso a lasciare tutto e andare nelle Missioni, ma il germe della vocazione non riuscì a maturare e a svilupparsi, forse proprio a causa della grande povertà famigliare e dalla fragilità della sua salute. Allo scoccare dei vent’anni il padre la voleva pure far sposare ad una persona da lui conosciuta, ma Emma rifiutò risoluta e non ci furono al-tri maldestri tentativi; proprio per questo desiderio di restare nubile si aggregò, come esterna, alla “Piccola Opera del Sacro Cuore” la cui casa era gestita dalle Figlie di Sant’Angela Meri-ci. Fu in questa nuova situazione che le si presentò la richiesta di un particolare lavoro: andare presso una nobile famiglia di Mantova per assistere una signora ammalata. Emma accettò a malincuore perché le pesava lasciare sola la mamma in mezzo a tutte le tristi emergenze quotidiane. Si aggrappò ancora di più alla tenera devozione per il suo Angelo Custode e a Man-tova incominciò un nuovo stile di vita, al quale, all’inizio, fu assai difficile e duro adeguarsi. Una ragazza che viene tra-sferita da un ambiente di miseria e povertà ad un ambiente pieno di agi e di lusso non può che sbalordire, tanto più che tale differenza di classe sociale non veniva certo ammorbidita dal senso di fratellanza cristiana, e erano frequenti i casi in cui Emma, considerata dalla nobile famiglia come una “Zulù”, dovette subire un rigido, per non dire crudele, galateo: dove-va sempre stare in piedi, poiché le sedie, essendo antiche, po-teva rovinarle, doveva sempre chiedere il permesso prima di soffiarsi il naso, doveva sempre fare inchini ad ogni persona

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che avvicinava e soprattutto non doveva mai stare con l’al-tra servitù, in sostanza doveva restare sempre da sola. Pur-troppo, nonostante queste angherie e assurde reminescenze medievali, per le gravi necessità economiche in cui versava la sua famiglia, restò presso questi “nobili” per ben undici anni ingoiando, a frequenti intervalli, “un sacco di rospi”, come lei ancora oggi ben ricorda. Fortunatamente, una volta al mese, però, le era concesso di fare una breve visita a casa, a Casti-glione, per trovare i genitori, ai quali consegnava sempre in-tatto tutto il suo stipendio mensile e vi andava ovviamente in bicicletta, nonostante la non breve distanza. Con il passare del tempo, dalla prima famiglia di Mantova, Emma passò poi a servizio, con le solite mansioni di assistenza infermieristica, in altre case di famiglie nobili, a Bologna, Milano, Pinerolo, Genova, Sanremo, per un totale di ben venticinque anni. Ma nell’ultimo periodo, mentre lavorava presso la famiglia Doria di Genova, era tormentata dal pensiero della mamma rimasta sola dopo la morte del padre e, a un certo punto, dopo tanti anni di lontananza, decise di tornare al proprio paese d’origi-ne. Fu un rientro traumatizzante, le sembrava di essere in terra straniera: non le piaceva più la casa, la gente, neppure il paese. Ciò nonostante riuscì a trovare lavoro in un calzaturificio e vi rimase per undici anni, fino al tempo maturato per la pensio-ne. Poi, dopo anni di forzate assenze, fu finalmente libera di stare in compagnia della sua mamma, con la quale trascorse anni che furono addolciti da tante visite a luoghi sacri, come i Santuari Mariani e la Terra Santa e in particolare Lourdes che era la meta preferita ogni anno. Quando la mamma morì, all’e-tà di novantadue anni, Emma riprese il lavoro di assistenza ai malati, nei quali scopre l’immagine di Cristo sofferente, e che continua tutt’oggi con la stessa premura, senza alcuno scopo di lucro, le basta solo il sufficiente per vivere; all’ospedale o a domicilio, offre la sua esperta e dolce prestazione, sia di giorno che di notte, raramente riposa in un letto, ma dorme d’abitudi-ne semplicemente su una sedia accanto a chi soffre.

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Per molti anni il suo mezzo di trasporto è stato unicamente la bicicletta, con la quale è andata a Lourdes due volte, ma dopo una peritonite, superata per miracolo, fu costretta a cammina-re a piedi e da allora non si è più fermata e ogni anno, appena è possibile, “scappa” sulle strade con il suo carrello, la sua va-ligia su ruote, la sua casa ambulante, per onorare la Madre di Gesù e s’incammina, inossidabile e tenace, in preghiera, verso gli amati Santuari. L’anno 2011 maggio-agosto è andata a venerare Nostra Signo-ra Aparecida in Brasile, 2000 km a piedi. Un vescovo america-no l’ha definita “Vagabonda della Madonna”.E inevitabilmente la domanda che sorge spontanea è questa: “la prossima volta dove andrai?” Ci piace concludere queste brevi note biografiche con le ultime righe di don Giovanni Pini prese “a prestito” da un’accorata biografia, più esaustiva e precedente a questa, da lui composta amorevolmente anni fa:

“Sì, continua, o sorella, a camminare coi tuoi piedi, ad evangelizza-re il mondo con la carità che si sprigiona dal tuo cuore, soprattutto verso coloro che sono toccati dal dolore o vivono nella solitudine e nell’abbandono. Non badare a lodi o critiche di chi sta a guardarti dalla finestra. Cammina, cammina, perché sono ancora molti quelli che ti aspettano per avere aiuto e conforto; cammina sorretta dalla fede in quel Dio che conta i tuoi passi e ti attende alla fine per impri-mere sulla tua fronte quello stesso bacio che il Suo Vicario in terra ha impresso sulla fronte a tua madre.”

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Presentazione

LA FEDE CRESCE... CAMMINANDO

La spina dorsale del Vangelo di S. Luca è costituita dal viaggio di Gesù che da Nazareth “cammina con decisione” verso Ge-rusalemme. Il suo camminare è una crescita nella comprensio-ne della volontà di Dio Padre che vede sempre presente in ogni circostanza, nel suo incontro con piccoli e grandi, con amici e nemici, con persone singole o folle, con sani e ammalati, con santi e peccatori. Il suo viaggio a piedi diventa cammino verso l’abbandono completo al Padre che lo ama... Tutto quello che accade a Gesù è impronta provvidenziale del Padre.La fede, cioè la capacità di cogliere la presenza di Dio e il suo amore per noi, cammin facendo cresce. Come ha sperimentato Emma: camminando, ha capito da tanti avvenimenti e perso-ne, che Dio le era accanto, che si faceva vedere in tanti episodi pur non facendosi vedere. Nei suoi lunghi pellegrinaggi a pie-di Emma è sempre partita con grande fiducia in Maria SS.ma e in Dio. Quando è tornata la sua fede era più ricca e più robusta. Vi chiederete: quali sono questi episodi ”epifanie”, cioè mani-festazioni, della vicinanza provvidenziale di Dio verso Emma? Come ha potuto cogliere “il dito di Dio”? Con quale vista ha

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saputo vedere la Provvidenza di Dio verso di lei? Leggete at-tentamente questo libro. Sono certo che dal racconto dei tanti episodi dei viaggi di Emma troverete un aiuto concreto per la crescita della vostra fede. Io l’ho trovato per me.

Don Giuliano Parroco di Castiglione delle Stiviere

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Estate 1994. Sono in cammino su una strada assolata in una campagna deserta, non vi sono né case né alberi, solo automo-bili.La meta è Lourdes, a 1300 km Il motivo: un grazie speciale che devo dire alla Madonna. Perchè sia un grazie veramente “gra-zie” voglio fare tutto il tragitto a piedi. Ho 70 anni ma conto sull’aiuto del Cielo. Subito, il primo giorno, ho avuto l’impatto con una temperatura torrida. Avevo con me l’acqua ma an-cora nella mattinata mi sono trovata a secco e senza avere la possibilità di rifornirmi. Ho cercato di adeguarmi con spirito di penitenza, poteva essere un bel fiore da offrire alla Vergine dei Pirenei, ma frate asino non ne poteva più. La lingua si at-taccava al palato né più riuscivo a dire un’ Ave Maria. La sete mi tormentava e l’arsura mi riempiva la bocca di bava. Non una casa in vista e lo zaino sulla schiena aggiungeva calore al calore, le gambe facevano fatica a camminare. Invocavo un’ ombra, ma purtroppo niente. Tutto sole e basta. Ero proprio in una vera sofferenza fisica e morale. Come un’ ubriaca, mezzo china su me stessa, cercavo di andare avanti anche se il fia-to era sempre più corto. Avevo proprio bisogno di un’ombra.Quasi senza accorgemi, vedo un albero di gelso in un campo al di là del fossato e subito decido di raggiungerlo. Ai suoi piedi cresceva una bellissima erba verde e già pregustavo la possi-

IL PRIMO SORRISO DELLA SANTA VERGINE MARIA

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bilità di succhiarla per togliermi il pattume che mi sentivo in bocca. Era tale l’arsura che in meno di un amen ne strappo un ciuffo per portarlo alla bocca. In quel momento la mia mano avverte qualche cosa di duro.Faccio un po’ di spazio per vedere... era una bottiglia di acqua minerale! Il cielo mi aveva sorriso! Non è stato certo un mira-colo, i contadini che lavoravano quei campi probabilmente l’a-vevano messa al fresco in mezzo all’erba e poi dimenticata; la particolarità o meglio la Provvidenza è che proprio io, assetata come ero, andassi a mettere la mano su quella bottiglia.Non si crederà, ma ho pianto di gioia prostrata a terra per una gloria che vorrei mai dimenticare.

UN ANGELO CUSTODE SPECIALE

Se voglio essere una vera pellegrina devo adeguarmi ai disagi che comporta questo genere di vita e uno di questi è il trovare l’alloggio per la notte. Un po’ perchè ho vergogna a chiede-re nelle case, un po’ perchè la pensione costa e i soldini sono pochi, fatto sta che in una di queste circostanze, cammino e cammino, quasi era buio e trovandomi in mezzo alla campa-gna non avevo altra scelta che mettermi in un campo. Vi era una piazzola, mi avvolsi bene nei miei panni e mi misi al di là di una siepe che delimitava il campo. Non tengo paura, sono sicura che il cielo mi guarda. Dieci minuti di preghiera e anche se il materasso è un po’ duro io sono già nelle braccia di Mor-feo. Mi sveglia una macchina che si ferma proprio davanti alla siepe al di là della quale io stavo dormendo. Ebbi un sussulto di paura, che mi vedessero. Fecero scendere due bambini che avevano bisogno di fare pipì e ripartirono subito. Scampato pericolo, mi rimetto a dormire e dopo un poco un’altra auto si ferma e sono due adulti: stesse necessità. Un po’ preoccupata mi chiedevo: come mai? Anche questi non mi hanno visto. Un po’ meno tranquilla mi rimetto a dormire. Una luce a pieno giorno mi sveglia all’improvviso. Era un tir, mi sono sentita il

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cuore piccolo piccolo, l’autista certo mi poteva vedere bene e forse mi avrà anche visto, ma suppongo mi abbia scambiato per un fagotto di stracci. Fatto sta che che pure lui soddisfece le sue necessità, poi risalì sul tir, spense tutti i fari e si mise a dormire nella sua cuccetta. Avrà dormito tranquillo e io pure perchè nessuno si è più fermato. Al mattino presto l’autista ripartì per la sua destinazione e io per proseguire il mio cam-mino. Il luogo dove mi ero fermata era uno slargo di sosta per automobilisti ma essendo buio, io non l’avevo notato. Il cielo però con il tir è come mi avesse mandato un angelo a proteg-germi e io ne fui felice.Nessuno si è più fermato, il tir occupava tutto il posto.Pur sbagliando mi è andata bene perchè il cielo sa scrivere di-ritto anche su righe storte.

PIETRO ARLIA

Pietro ha avuto nei miei riguardi attenzioni e premure come fossi la sua mamma e ancora oggi alla distanza di 15 anni ogni tanto mi telefona per sapere della mia salute e qualche anno fa, sono stata pure ospite nella sua casa in Calabria.Stavo andando a Siracusa al Santuario della Madonna delle Lacrime. A sera giungo a una cittadina calabra, Belmonte, pur-troppo è situata su una collina e io non mi sento di affrontare quell’erta tortuosa per trovare un alloggio. Ho preferito siste-marmi su una panchina in mezzo a una piazzetta contornata da quattro case. Ero tanto stanca che mi sono addormentata. Una voce di uomo mi sveglia e mi dice: “Signora, per una don-na non è prudente restare in questa piazzetta, più tardi potreb-be essere disturbata da ragazzi che qui vengono a spassarse-la”. Risposi che non avevo altra scelta. Allora si presentò e se mi fidavo di lui, mi portava in un posto sicuro. Non poteva portarmi a casa sua perchè la moglie era a casa della madre malata ma ugualmente sarei stata al sicuro. La sua faccia mi diede fiducia e raccolte le mie carabattole andai con lui. Mi

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portò nel seminterrato di una casa in costruzione in riva al mare. Di notte gli operai non c’erano e io potevo star tranquil-la, mi avrebbero cullato le onde del mare che venivano a rin-frangersi sulla riva. Verso le 5 del mattino udii dei passi sulla ghiaia, era lui, Pietro che veniva a portarmi la colazione: caffè latte, biscotti, frutta e acqua.Mi fece compagnia mentre la consumavo e poi ambedue con-tenti, lui per essermi stato di aiuto, io per aver goduto di tan-ta Provvidenza. Ognuno andò per il proprio destino sempre rivolgendo un grande “grazie” al cielo. Quando parto metto sempre in conto l’aiuto della Provvidenza e quella in 20 anni non mi ha deluso una sola volta!Può darsi che si faccia attendere, ma poi sicuramente arriva e pure con gli interessi!

SCAMPATO PERICOLO

Il cane è sicuramente amico dell’uomo, ma nei miei pellegri-naggi sempre mi ha fatto provare molte paure. Il caso che sto a raccontare fu uno dei più difficili. Credo stessi andando in Polonia. Come al solito parto al mattino molto presto, tutto è silenzio, eccetto il rumore del mio carrello. Passando davanti alle case sto sempre all’erta con il bastone in mano per difen-dermi dai cani che solitamente sono a guardia delle abitazio-ni. Come a norma non è mai uno solo, ma almeno tre e tutti sciolti. Quella mattina erano addirittura sei. Il rumore del mio carrello li aveva infuriati e scavalcata la siepe sono saltati sul mio carrello e addentarono la borsa arancione che vi tenevo sopra. Chissà, forse la credevano carne, fatto è che nessuna paura avevano del mio bastone e la fecero a pezzi. Abbaiava-no furiosamente e fra loro uno aveva un collare fatto di punte aguzze che sembrava essere il capo.Molto impaurita, non riuscivo a liberarmi da quelle bestie e mi sono messa a gridare e invocare aiuto. Vi erano delle case, certo avranno sentito se non la mia voce, l’abbaiare dei cani.

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Volevo strappare il mio carrello dalle loro fauci, ma ho inciam-pato e sono finita a terra. Uno di loro mi è venuto sulla schie-na e mi ha strappato solamente un pezzo di giacca, perchè ho avuto la forza di rialzarmi subito. Ho gridato “aiuto, aiuto”, più forte che potevo e finalmente una donna si affacciò alla porta e richiamò i cani che affatto volevano obbedire. Quella donna, del cui discorso io non ho capito niente, ma dai gesti e dalla voce, mi deve aver detto un sacco di parolacce perchè avevo disturbato il suo sonno.Ripresi la strada ancora scossa dalla vicenda subita, mi giro in-dietro e vedo uno dei cani, quello del collare, che mi rincorre. Di nuovo impaurita sono scesa in una scarpata e poi rifugiata in un campo di grano. Quel cane non mi vide più e le sue furie cessarono. Tutto sommato mi è andata bene. Grazie, Signore, però liberarmi dai cani, ho troppa paura!

UN MICINO

Dove passare la notte è sempre una preoccupazione, ma que-sta giornata è scivolata via senza questo pensiero. Una signora mi aveva assicurata che mi avrebbe ospitato una sua amica. Arriva la sera e indugio anche un po’ per non disturbare più di tanto e poi busso a quella porta. Viene ad aprirmi un uomo, tutto accigliato, che senza lasciarmi dire una parola, mi dice che è stufo di persone come me e di botto mi chiude la porta in faccia. Sono rimasta allibita ferma sulla porta. Esce poi una signora che mi dice di scusare il fratello, era malato e in quel momento molto nervoso però avrebbe pensato Lei a procurar-mi ove passare la notte. In macchina mi portò da un suo cono-scente, ma quello le disse che non ospitava nessuno. Ci rimase male pure lei e mi suggerì di prendere l’autobus e andare in città. Niente affatto, volevo andare a piedi. Mi guardai attorno e, se non volevo suonare ad altri campanelli, l’unica possibilità era una panchina situata in un giardinetto che era nei pres-si. Su di essa posai il mio bagaglio e un poco triste pensavo

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all’accaduto quando sentii un leggero ma continuo miagolio. Mi guardai attorno e dietro una siepe vidi un gattino bian-co, anche lui solo come me. Decisi subito che ci saremmo fatti compagnia, me lo presi in braccio e mi stesi sulla panchina, io tenni compagnia a lui e lui tenne compagnia a me. Al mattino mi sono trovata coperta da un plaid e vicino avevo un succo di frutta e un pacchetto di biscotti. Evidentemente sarà stato il gesto di un animo generoso che conoscerò solo in cielo.Il gattino era ancora con me ben coccolato, ma purtroppo ho dovuto lasciarlo anche se mi spiaceva. Quando si è soli anche una bestiola tiene compagnia e aiuta a mantenere la serenità: è un piccolo raggio di sole.

ITALIANI TUTTI LADRI

Questa è la frase di benvenuto che mi rivolse una “affitta ca-mere”. Ero in Francia e questa Tizia non mi voleva perchè ero italiana. Cercai di persuaderla che non avrei preso niente del suo e l’avrei pagata subito. Dopo molto tergiversare accondi-scese, ma a una condizione: mi chiudeva a chiave e io non sa-rei uscita fino alle 8 del mattino quando lei sarebbe venuta ad aprirmi. Le feci notare che per me le 8 era troppo tardi, ma fu irremovibile, o così o niente. Non c’era via di uscita e accet-tai. Mi sono caricata, ma quel sapermi chiusa a chiave non mi lasciava dormire. A mezzanotte mi alzai e andai ad aprire la finestra e ho visto che mi trovavo a un piano rialzato e sotto vi era un giardino. Subito mi balenò l’idea che non essendo mol-to alto avrei potuto uscire da quella finestra.Pensai di dormire un poco e magari uscire alle 3 o 4 del matti-no, ma poi mi sopraggiunse il pensiero che di mattino qualcu-no avrebbe potuto vedermi e scambiarmi per ladra, così, decisi di farlo subito, era poco più che mezzanotte. Non senza un certo batticuore calai giù la mia roba dalla finestra e poi uscii pure io soddisfatta d’averla fatta a quella donna tanto diffi-dente. Era notte ed era buio. Dove potevo andare? Girai un po’

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nel giardino ma non trovai altra sistemazione che cacciarmi dentro una siepe che fortunatamente non era spinosa. Vi rima-si fino alle 4 e poi, già spuntava l’alba, ripresi la strada felice come un passero in piena libertà.Quanto avrei voluto vedere la faccia di quella Tizia quando è andata ad aprire la porta e ha trovato la stanza vuota; sicu-ramente avrà controllato la biancheria. Poveretta! Almeno si sarà resa conto che gli italiani non sono tutti ladri. Non mi sen-to certo orgogliosa di come ho agito, è stato come una ripicca alla sua diffidenza.Come pellegrina non sono stata coerente ma almeno avrà ca-pito che si era comportata male.

ACQUA A CATINELLE

La probabilità di alloggiare all’albergo delle stelle è di nove a dieci e una sera molto bella rientrava proprio in quella delle nove probabilità. Vaglio le varie possibilità, ma niente è di mio gusto e continuo alla ricerca, forse andando più avanti potrei trovare. A caso scorgo un bel fossato nel quale era cresciuta tantissima erba ed era anche molto alta. Guardandola mi ha suggerito l’ idea che poteva essere un buon materasso per pas-sarvi la notte. Non vi ho pensato nemmeno un attimo e ne presi possesso. Era una bella sera calda, non una nuvoletta nel cielo.Stesa fra quell’erba fresca e morbida mi sentivo regina dell’ universo e non tardai molto ad addormentarmi.Ero nel pieno del sonno che un forte tuono mi svegliò di so-prassalto. Il cielo era divenuto tutto nero. Pensavo fosse un temporale di passaggio e aprii l’ombrello. Invece giù acqua a catinelle. Tuono dopo tuono il temporale divenne acqua ba-gnata e io mi trovai a bagnomaria. Uscire da quel fossato non mi è stato possibile, l’erba mi legava le gambe, il buio era fitto e non si vedeva nulla per trovare appiglio ad uscirne. Mi sono appoggiata al carrello, anch’esso tutto a mollo, compresa la

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pila, e facendo scorrere il rosario, ho aspettato il mattino.Al primo bagliore di luce sono uscita, ma ero come un’alluci-nata, quasi facevo fatica a capire dov’ero, dove mi trovavo; ero come una fontana, mi usciva acqua da tutte le parti. A metà mattina già picchiava un bel sole. Ho steso i miei pan-ni in un bel prato e nel giro di mezz’ora, il mio corredo era asciutto.Non ho preso nemmeno un piccolo raffreddore. Per quanta ac-qua abbia presa nei miei pellegrinaggi mai mi sono ammalata, nemmeno quando sono rimasta bagnata tutta la notte.

CERCASI MOGLIE

Mai avrei pensato, scalcinata come sono, di interessare un uomo, invece è avvenuto: questo è il fatto. Attraverso una bella distesa di vigneti, proprio quelli a basso vitigno che produco-no l’ottima uva della quale poi si ricava lo champagne. È bello anche il solo vederli tutti ben distanziati, sembrano pettinati, tanto i vignaioli ne hanno cura. I francesi nella cura delle viti sono esperti. Stavo assorta nei miei pensieri, riflettevo a quanti doni ci offre la natura che il rombo di un ciclomotore viene a distrarmi. Non mi giro nemmeno, ma quello si accosta edu-catamente, mi chiede dove vado. Alla mia risposta che vado a Lourdes esce in esclamazioni di gioia, anch’egli è innamo-rato della Madonna e dopo vario parlare esce a dirmi che da quattro anni cerca moglie. Aveva ravvisato in me la persona adatta; a Lourdes potevo andare un’altra volta. Se non volevo diventare sua moglie, almeno sua dipendente per la cura delle viti. Quei vigneti erano tutti suoi, essendo io di statura piccola, gli andavo proprio bene e mi avrebbe pagato soldo su soldo. Non mi interessano proprio nulla e lo invitai ad andare per la sua strada.Infatti partì, ma dopo mezz’ora era ancora lì con la solita sto-ria. Non riuscivo a liberarmene; andava e tornava in continua-zione. Allora cambiai strada e quel Tizio non lo vidi più, ma

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dopo un po’ mi trovai con davanti prima un campo di patate e poi una collina, ero completamente fuori strada. Provviden-za volle che passasse l’auto del portalettere, questi comprese la mia situazione e mi portò sulla giusta strada che io avevo lasciato a causa di quel pretendente.Pensare che poverino, mi aveva anche cantato “Giovinezza, giovinezza”, a braccia aperte in mezzo alla strada.Doveva essere proprio un mammalucco quel giovane per guardare a uno straccio di persona come sono io.

UNA PERSONA MERAVIGLIOSA Ecco dire meravigliosa è dire troppo poco, forse unica è me-glio. Un campetto di calcio dove alcuni ragazzi facevano una partita attirò la mia attenzione e mi fermai un momento a guardarli. Ad un tratto il suono del fischietto arrestò il gioco e tutti corsero appresso l’arbitro che era un prete. Questi disse: “Ragazzi, sospendiamo un momento, adesso c’è qualche cosa da fare” e rivolgendosi a me: “Venga, prego”. Era un dopocena estivo, ma ancora non era tardi anche se già pensavo al “dove” avrei passato la notte. In un baleno quei ragazzi mi appronta-rono nella sala dell’ oratorio il necessario per passare bene la notte. Una rete era più che sufficiente, ma vollero portare pure il materasso e la biancheria. Si davano un gran daffare per si-stemare bene tutto e pure passarono lo straccio sul pavimento. Il sacerdote li guardava soddisfatto e poi disse loro: “La signo-ra dovrà pure mangiare, guardate se trovate qualcosa”.Arrivarono con frutta, panini e una confezione di latte più una cioccolata. Erano così contenti che era una gioia vederli.Da tutti ebbi una calorosa buona notte e corsero via felici a riprendere il gioco. Il prete mi consegnò le chiavi spiegandomi bene dove avrei dovuto riporle al mattino e dopo avermi dato la sua benedizione andò a raggiungere i suoi ragazzi. Nelle mie vicende di pellegrina era la prima volta che mi accadeva una cosa del genere: senza chiedere nulla quel prete è venuto

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incontro alle mie necessità nel miglior modo possibile. Non solo, ma ha dato l’esempio ai suoi ragazzi: di vero amore verso il prossimo.Persone così sono la luce del mondo.Nei miei viaggi molto spesso mi sono rivolta a religiosi ma purtroppo essendo io vecchia e scalcinata davo l’impressione di essere una mendicante o una zingara e perciò non ero cre-dibile. Questo prete invece non mi ha chiesto niente di niente nemmeno il nome nè da dove provenivo. Si è reso consapevo-le del mio disagio.

BANANE

Un pomeriggio mi sorpassa un camioncino e subito si ferma. Scende il conducente e mi dice: “Voglio regalarle due banane”. Quelle due banane erano forse 3 Kg, una borsa piena. Troppe, come avrei fatto a smaltirle! Ci pensò la Provvidenza! Prose-guendo mi imbattei in una baracca che era anche osteria ed entrai per chiedere la solita cosa: un buco per passare la notte. Spiacenti, non avevano nulla di possibile. Busserò altrove mi dissi e me ne andai. Poco dopo sento un cicalare di bambi-ni e girandomi vedo una frotta di ragazzini che mi rincorre gridando: venga, venga, c’è un quarto (letto) per lei. Credo abbiano voglia di giocare e non voglio tornare indietro (erano i ragazzini dell’osteria) ma insistono tanto, che, prendendoci per mano, ritorno alla baracca. Subito mi portano a vedere il quarto. Era una stalletta nella quale per i loro giochi era stato messo un materasso a molle che più male andato non poteva essere e quello era il quarto per me. Oltre a tutto vi era anche un asino. Dissi ai bambini che sarei rimasta ma l’asino dove-vano legarlo. Subito lo fecero con grande allegria che andò alle stelle, quando apersi la borsa e diedi loro tutte le banane. Tutti ne mangiavano, grandi e piccoli, e quanti abbracci ho ricevu-to! Venne poi buio e per vederci tirai fuori la pila. Meraviglia delle meraviglie! Lux, lux, andavano gridando con la mia pila

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in mano. Anche la nonna volle provarla e fu tutto un correre e saltare con la mia pila in mano che faceva lux. Andò a finire che la pila si esaurì e così tutti al buio, non si riaccese più né io potei usare quel materasso perchè temevo di finire per terra. Per evitare il peggio vi era una quantità non so se di stracci o vestiti, comunque li ho messi per terra e vi ho dormito sopra. Stando coricata ho visto che come tetto vi erano due assi messe per traverso. Come porta vi era una tenda rossa che ogni tanto si scostava perchè i bambini venivano a vedere se dormivo.È stata una serata piena di gioia, quasi non mi pareva d’aver camminato tutto il giorno.

ABUSO DI AUTORITÀ

Alcuni automobilisti mi hanno visto bere a collo da una bot-tiglia e pensando fossi drogata, hanno telefonato alla polizia.Gli agenti vennero di gran corsa per cogliermi in fallo e non vollero credere che avessi bevuto solo acqua e che la droga non la conoscevo nemmeno. Per porre in chiaro la questione mi fecero la prova del “palloncino”. Secondo loro se non ero drogata ero almeno alcolizzata perchè altrimenti non avrei po-tuto fare tanta strada a piedi. I poliziotti già sapevano tutto di me. Mi sentii umiliata alla prova del palloncino, ma ancora di più, quando vollero che consegnassi loro il passaporto. Giu-stificarono la cosa dicendomi che ero senza fissa dimora e do-vevano controllarmi. Ero una pellegrina, logico non avere una dimora fissa, però sostavo nelle pensioni. Niente da fare, in quella località non vi erano pensioni e dovevano provvedere loro che non rimanessi sulla strada la notte. Dovetti salire sulla loro camionetta e mi portarono in un bugigattolo dove c’era una branda, un fornellino elettrico e due bottiglie di acqua. Lì dovevo rimanere tutta la notte e per riavere il passaporto do-vevo passare in Questura nella vicina cittadina a 5 km e pur-troppo, a senso inverso al mio cammino. Come consolazione mi dissero che mi avrebbero portato una buona cena perchè

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andavano a prenderla in ospedale. Così fecero davvero però vidi che anche per loro c’era un grande vassoio con diverse pietanze quindi hanno avuto un loro interesse. In quel mini stanzino triangolare mi sentivo come in prigione anche se la porta era senza chiave. Secondo me era un posto dove la poli-zia portava qualche ubriaco o derelitto che trovava per strada.Nei miei riguardi sono convinta che hanno abusato della loro autorità. Nel loro “giornale di bordo” avranno scritto di avere dato ricovero a una vecchierella trovata spersa per la strada. Si saranno meritati 10 e lode.Sono stati anche bugiardi perchè nel paese vicino dove poi sono passata, ho visto l’insegna di una pensione.

RESIDENCE

Una sera avevo di proposito voluto arrivare in una città per-chè mi fosse facile trovare una pensione. Mi è andata buca. Tutti gli alberghi erano al completo causa la visita di una per-sonalità e poi la mia presenza è di povera diavola e nessuno si sente disposto benevolmente anche se presento i soldini. Co-munque lo so da quando ho iniziato a fare la pellegrina, e non mi rammarico.Però quella sera, non avrei proprio voluto dormire sotto le stelle. Un magnifico Residence a 5 stelle imponeva la sua pre-senza all’inizio della periferia. Doveva essere stato inaugurato da poco perchè ancora si vedevano i lustrini della festa.Bellissimo certo, ma non per me, mi dissi, soffermandomi am-mirata. All’ingresso alcune persone stavano parlando e una mi disse: “Entri pure, è aperto”. Mi vergognai a dire che era un lusso che non mi potevo permettere, ed entrai solo a chiedere il costo di una camera. Innanzi tutto era per famiglie, non ac-cettavano persone singole e il costo proibitivo. Mi scusai del disturbo e dissi che era solo per una curiosità. Io ero una pelle-grina che andava a Lourdes a piedi: se non trovavo un ostello, come quella sera, il pernottamento era in un campo. Ma non

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era un problema, vi ero abituata e poi il cielo mi guardava.Stavo per andarmene quando la signora mi disse: “Ho un ap-partamento per 4 persone libero, le può andar bene? Glielo do gratis.” Rimasi senza parole. Poi mi diede le chiavi e sorriden-do mi chiese: le piace la pizza? Fra mezz’ora gliela faccio avere in camera.Mi arrivò una pizza ai 4 formaggi che era la fine del mondo tanto era buona.Il cielo non abbandonava nessuno. In un cuore ben nato la carità sta di casa ed è pure sollecita premurosa come lo è stata quella gentile signora.

PAURA E PAURA!!!

Nel cammino si incontrano giornate di sole cocente, altre di vento sferzante, altre di pioggia a dirotto, un po’ di tutto. Non fanno notizia, ma mettono a disagio specialmente se si è in mezzo alla campagna. In una di queste giornate di acqua cer-cavo di resistere perchè bastava solo un’ora di cammino e sarei arrivata in paese dove avrei potuto mettermi al riparo. Un’au-tomobilista mi sfreccia a lato e poi si ferma: “Vuole? Accetti un passaggio”. Rifiuto, ma lui insiste, torna alla macchina e apre il portabagagli. Torna da me e, anche se non voglio, mi pren-de il carrello, lo mette in macchina e mi invita a salire se non voglio annegarmi. Come mi ha aperto la portiera sono rimasta allibita al vedere l’accozzaglia di cose che vi era in quell’abi-tacolo: lattine vuote, mozziconi di sigarette, piatti di plastica sporchi, calzini ecc. Mi disse che era in vacanza da solo e che l’auto era la sua casa giorno e notte. Mi chiese il permesso di fumare perchè era una sua esigenza. Ovviamente non potevo negaglierlo, ma quando le prime “volute” mi sfiorarono il viso provai un disagio tremendo e un sonno calarmi addosso quasi da star male. Sebbene intontita ebbi la percezione di essere in pericolo, le prime case erano già in vista, volevo scendere. No, no, lui mi gridava ma io mi attaccai alla maniglia per aprire.

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Subito mi bloccò la mano, ma in quel momento sul marcia-piede passava una donna. Si fermò a guardare e quello non insistette oltre e potei uscire. Alla donna dissi che stavo male ed era vero. Essa mi portò a casa sua e mi diede del latte. Ave-va dodici figli. Per la paura avevo dimenticato in macchina il carrello. Fu lui a portarmelo in casa di quella signora che con tanta generosità mi aveva accolto. Forse quell’uomo non era la “Bestia Nera”, ma la paura che ho provato è stata tremenda.

PASSETTI LIEVI LIEVI

Mi trovavo a Bari, Italia. La meta è il Santuario di Siracusa. Avevo finito secondo programma il mio compito giornaliero di 40 km e potevo permettermi di fare una visita alla famosa chiesa di San Nicola. Finita la messa noto una suora uscire in fretta e decisi di seguirla e pareva volasse fra quelle stradette tortuose della città. Faticavo a tenerle dietro ma alla fine la raggiunsi e le chiesi se per una sola notte la sua comunità po-teva ospitarmi. Erano solo quattro suore, lei era la Superiora, vivevano in una casa di affitto e la loro missione era assistere i malati e anziani nelle loro case. Purtroppo non avevano un locale dove mettermi. Cammin facendo si arrivò alla loro casa, mi presentò alle sorelle e mi offrì la cena. Erano veramente po-vere, unica ricchezza, per modo di dire, era un salotto. Feci no-tare che a me sarebbe andato bene, si spostava il tavolo, aveva anche un tappeto, vi avrei dormito da regina. Mi guardarono perplesse come a chiedersi: possibile? Le rassicurai, ero una pellegrina dalla scorza dura, magari trovassi sempre una tale sistemazione! A malincuore accettarono la mia proposta e le vidi preoccupate. Io per niente, mi sentivo al sicuro e in una casa benedetta dal Signore perchè quelle suore per me erano delle sante. Al loro orario si ritirarono ma credo che, sapere che io dormivo sul pavimento anche se vi era il tappeto, non lasciasse loro prendere sonno.Ogni tanto sentivo dei passetti lievi lievi venire vicino a me,

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certo erano loro che a turno venivano a vedere se dormivo. Io di proposito non ho mai aperto gli occhi, non volevo metterli a disagio, così hanno creduto che dormissi bene e si sono messe tranquille. Ciò che disturbava invece era il baccano che face-vano i ragazzi in strada. Queste suore erano proprio poveris-sime: forse l’unica cosa di valore era il tappeto e forse appunto perchè anche loro povere hanno avuto il coraggio di accoglier-mi nella loro casa. Solitamente chi è povero non manca di ge-nerosità.

CARTA IGIENICA

Sono come al solito in cerca di un ricovero per la notte e lo dissi, passandogli davanti, a un uomo che stava seduto su un muretto a guardare chi passava, “Venga da mia mamma” mi rispose dirigendosi verso i campi. Credevo la sua casa fosse vicino, invece non si arrivava più. Almeno 1 km avremo fatto. lui uomo sui 60 anni, arrivò prima, io con 20 anni in più faticai abbastanza e lo raggiunsi mentre sua mamma stava per venir-mi incontro. Mi fece una grande festa, ero la benvenuta nella sua casa. Ci voleva ardimento a chiamarla casa. Era come un grande baraccone fatto un po’ in muratura, un po’ con assi e cartone e lamiere di latta. All’interno un magazzino indescrivibile di cose. Una candela infilata in una bottiglia, dava l’impressione di essere al cimitero. Piena di allegria mi disse che avrei dormi-to con Lei su un materasso a molle talmente mal ridotto che da una parte toccava terra e lì avrei dormito io, così non cadevo a terra. Che dire? Pazienza, stava bene così. Finì di sistemare le sue cose, mise al coperto anche le due gabbie di pappagallini ai quali teneva molto e via a letto, vestite ovviamente. L’uomo, cioè il figlio, era steso su una rete vicino al muro e noi due su quel materasso di un tempo che fu. Bene o male pensavo di dormire un po’ invece quella donna era tanto felice di avere qualcuno vicino che non finiva più di accarezzarmi: “Basta,

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le dicevo, dormiamo” ma lei mi disse: “Dormirò domani, ora non posso perchè troppo sono contenta”. Tutta la notte passò così ad accarezzarmi dolcemente come fossi un bimbo piccolo.Al mattino prima di partire voglio darle un segno di “grazie” e le pongo fra le mani un rosario. Non lo conosceva, ma cono-sceva la croce del Crocifisso che subito coprì di baci. La sua felicità era alle stelle e voleva ricambiare con il darmi anche lei qualche cosa. Mi offerse un vestito: “No, grazie, non mi serve.” Andò a prendere un impermeabile, non lo volli, poi un paio di scarpe, niente non mi serviva niente e passai ai saluti. Ero giunta al limitare del campo e sentii chiamarmi: aveva in mano un rotolo di carta igienica e me lo cacciò in tasca. Voleva darmi qualcosa e vi riuscì.

IL DONDOLO È BELLO... PERÒ

Passare un’oretta su un dondolo sarà piacevole, ma tutta una notte non lo è per niente. La cosa è andata così. Chiesi ad un albergo che mi sembra di modeste pretese il costo di una not-te. Era di 60 € e mi pareva troppo; faceva caldo e potevo stare all’aperto. Uscendo vidi che ben allineate su uno slargo pro-spiciente l’albergo stavano diverse sedie a dondolo. Rientrai per chiedere se potevo usarne una per passarvi la notte. Non fecero obiezioni ed io mi sistemai su una di esse.Non feci caso che vi era un continuo passaggio di gente, dopo-cena sembrava una processione. La strada portava all’imbar-cadero. Io cercavo di darmi delle arie da “turista”, giornale in mano, disinvolta, ecc. ma non l’ho data da bere a nessuno anzi, ricevevo delle occhiate che dicevano “poverina” ! Mi sono resa conto di essere come in una vetrina. E poverina lo ero dav-vero, tutta la notte un andare e venire, ridere, vociare e poi il telo del dondolo, troppo duro, mi dava problemi a star seduta. Credevo di passarvi una buona notte invece è stato un fior di penitenza. Dormire, neanche un minuto. Come venne l’alba, via e l’aria fresca mi ha dato energia per camminare che al

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momento non riuscivo nemmeno a muovermi e poi ero tutta intontità per la brutta notte passata. Dopo un paio d’ore però quando apparve il sole mi assalì il sonno che camminavo con gli occhi chiusi. Un giardino pubblico costeggiava la strada e ho pensato che era buona cosa mi fermassi almeno un’oretta per dormire un po’, davvero non resistevo più. Mi sono messa sulla prima panchina che ho trovato e sono crollata come se fossi morta.Dormendo sentivo come del chiacchierio e delle vocine ma non volevo svegliarmi. Alla fine apersi gli occhi e mi vidi cir-condata da bambinette che facendo il girotondo mi cantava-no: Buona Notte, Nonna! Buona Notte! Felici che mi avevano svegliata subito vollero sapere chi ero, dove andavo, se avevo bambini ecc. Sentito che andavo dalla Madonna mi recitarono l’Ave Maria. I Bambini sono sempre un raggio di sole.

ACQUA E VENTO

Spesso mi sono trovata in mezzo alle intemperie, ma mai fu-riose come in questa circostanza. Acqua e vento sembrava si fossero messi d’accordo a sradicare tutto dalla faccia della ter-ra. Pure aggrappata a un palo della luce e con il carrello, il vento mi è passato sotto i piedi. L’acqua poi allagava tutto. Io avevo un impermeabile nuovo, giallo, in dieci minuti è diven-tato uno straccio da buttare. Un albergo situato su una piccola altura aveva un mini parcheggio sulla strada e tra una sosta del vento e l’altra riuscì a raggiungerlo. L’acqua ugualmente faceva da padrona, ma un po’ si era al riparo. Vedere gli alberi come impazziti sbattere i rami fino a terra faceva paura, tanta paura. Era mattino e già da due ore mi trovavo in quella tor-menta. Il cielo plumbeo e sempre più minaccioso sembrava volesse scaricare tutta l’acqua dell’universo. Il vento, io l’ho chiamato assassino perchè spaccava tutto, ma lui se ne è fatto un “baffo”. L’ infuriata durò quattro ore poi diminuì sia il ven-to che l’acqua. Ripresi la strada domandandomi se ero ancora

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al mondo. Ero in cammino da una mezz’ora, una macchina si fermò e il conducente abbassando il finestrino mi gridò: “Lei è una suicida, salga subito in macchina, mi dirà poi”. La voce era perentoria ed io veramente ero in difficoltà. “Ebbene”? Mi chiese appena salita in macchina. Gli raccontai del temporale e dell’impermeabile a pezzi. Arrivati al paese mi disse: “An-diamo a cercare un impermeabile che sia buono”. Fece passare vari negozi finchè lo trovò come lui voleva che fosse: elegante e a piena tenuta. Non volle una lira. Lo ringraziai del suo buon cuore, ma lui mi disse: “Niente grazie, è già passato mezzodì e si va a mangiare”. Una buona mezz’ora passò a cercare un ristorante dove si mangiava solo baccalà. A tavola mi raccontò un po’ della sua vita, vedovo da soli due anni, non andava d’accordo con i figli che non gli permettevano di vedere i ni-potini. Per questo era molto triste. Gli promisi di ricordarlo alla Madonna di Fatima al cui Santuario ero diretta. Mi accom-pagnò poi a una pensione e all’ultimo saluto vidi che copiose lacrime rigavano il suo volto. Penso che la Madonna le avrà raccolte e portate a Gesù.

GIRASOLI

I girasoli per me sono un incanto! Quelle immense distese di campi “arancione-giallo” sono una gioia solo al contemplarli. Sembrano dare tranquillità, serenità, pace. Fra loro e il cielo sembra quasi sia un simposio. Io ne sono talmente innamorata che una sera ho scelto proprio un campo di girasoli per pas-sarvi la notte. Non avevo che l’imbarazzo della scelta. Tutto il giorno avevo camminato fra i girasoli e scelsi un campo un po’ scostato dalla strada. Prima però di prenderne possesso mi sono seduta su un rialzo di terra a contemplare la meraviglia di quel giallo arancione a perdita d’occhio. Tiro fuori il mio rosario e infilo Ave Maria e girasoli a ruota libera. C’è anche un bel cielo trapuntato di stelle e io mi sento tanto beata che quasi non so più nemmeno dove sono. Una voce d’uomo mi sveglia

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dall’incanto: “Signora, cosa fa nel mio campo”? Un attimo di spavento e non so cosa rispondere, poi mi riprendo e gli dico: “Sono una pellegrina che va a Lourdes a piedi. L’ostello è trop-po lontano e io ho paura a camminare la notte. Se Lei me lo concede avrei pensato di passare qui la notte”.Subito non mi rispose e temevo mi mandasse via, invece la sua risposta fu “Se le sta bene, faccia pure”.Così sono rimasta in quel campo ma l’idillio con i girasoli si era interrotto. Forse quell’ uomo mi avrà vista entrare nel cam-po ed essendone il padrone era giusto che venisse a controllare cosa andava a fare quella Tizia che ero io. Al mattino presto presto sono ripartita, temevo avere ancora una sua visita.La prudenza non è mai troppa, semplici come le colombe ma prudenti come il serpente, ammonisce il Vangelo.Molti guai accadono specialmente ai giovani perchè non si os-serva questa virtù.

POLIZIA, CHE TORMENTO!

Povera me, ancora alle prese con la polizia. È un ordine, non vuole che vada a piedi da sola. Dovrei prendere un mezzo op-pure una compagna, sono irremovibili. Sono a Burgos in Spa-gna e qui la polizia è un tormentone. Cocciuta essa, cocciuta io, nessuno mollava e si parlava forte in mezzo a tutti senza con-cludere niente. A un dato momento un signore si intromise e mi disse: “Sono un Padre Marista, venga con me che vediamo come risolvere tutto”. Mi portò in un bar, parlammo a lungo e fu tanto paziente da persuadermi a fare il cammino di Santia-go con i ragazzi e una volta arrivata a S. Jago potevo scendere in Portogallo per arrivare a Fatima. Sarebbero stati 500 km in più ma non avrei più incontrato problemi con la polizia e poi le strade erano più sicure. Era duro accettare di fare 500 km in più che uniti a quelli di Santiago diventavano 1700 e vole-va anche dire 15 giorni in più di cammino. Lo accettai come penitenza però non sapevo come immettermi nel cammino di

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Santiago. Quel povero Padre Marista fu tanto disponibile che insieme si andò a cercare un centro dove si trovavano i ragaz-zi che volevano fare l’esperienza di questo cammino. Temevo perchè ormai anziana, 84 anni, di non essere accettata. Invece, non fecero nessuna obiezione, il cammino è aperto a tutti e ognuno può percorrere il tratto di strada che vuole. Viene data una tessera che dà diritto a dormire in un ostello con spesa quasi zero.Anche per me è stato così.Quel Padre Marista mi è stato più che Angelo Custode e io la nonna di tutti quei ragazzi che non finivano più di farmi com-plimenti perchè camminavo più spedita di loro.In questo caso la Provvidenza mi ha preso la mano e guidato per il cammino che era giusto per me e che io ostinatamente non volevo fare.

PADRE PIO

Dopo essere stata dalla Madonna di Loreto e a Lanciano dove c’è il “miracolo Eucaristico”, dal momento che era sulla sua rotta, volevo andare a fare tappa da Padre Pio, però era Fer-ragosto e molta gente era in vacanza. Temendo di non trovare un alloggio, quando sono stata a Serra Capriola chiesi a quei frati come trovare una sistemazione dato che ricorreva anche la solennità della Madonna Assunta e ci sarebbe stata ancora più gente. Quel frate prese in mano il telefono e chiamò la Su-periora di un convento a Monterotondo. Disse testuali parole: “Beatissima e Santissima Madre, fra quattro giorni arriverà da Lei una vera pellegrina da sacco a pelo, la prego di darle vit-to e alloggio”. Non attese risposta, depose la cornetta, conse-gnò a me un foglio con l’indirizzo di quel convento e mi disse: “Vai, che il cielo è con te”. Ricevetti la sua benedizione e mi avviai felice perchè avrei avuto un ricovero per la notte. Come arrivai al convento subito mi presentai a quelle religiose che mi dissero di aver ricevuto la telefonata, ma di non aver dato

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risposta affermativa. Conclusione: non avevano posto. Mi feci coraggio e replicai che mi bastava uno sgabuzzino anche solo di un paio di metri. Se era così davvero potevo entrare e sem-pre, attraverso il citofono mi indicarono dove era lo sgabuzzi-no (veramente tale) e dove prendere la chiave per entrarvi. I servizi erano nel cortile. Dovevo essere puntuale ai pasti che mi avrebbero passato attraverso la “Ruota” e restare quanto volevo. Non vidi mai una religiosa (erano di clausura) però i pasti erano molto buoni e abbondanti. Fu molto duro però il pavimento anche se avevo il sacco a pelo, ma era già molto es-sere al coperto. La collina e i campi adiacenti erano tutti coper-ti da auto e da tende da campeggio ove le persone passavano la notte. Fortunatamente non è mai piovuto. Vi rimasi cinque giorni perchè volli assicurarmi la Messa della domenica e sem-pre attraverso il citofono mi congedai da loro ringraziando-le. Non sono stata tanto felice, il gelo dell’accoglienza mi ha tarpato le ali, ma probabilmente la loro regola non permette contatti con estranei.

OSPEDALE

Nella mia vita di pellegrina ho avuto anche varie parentisi di ricoveri in ospedale. Nel presente caso ero in Polonia. La meta Czestochowa, dalla Madonna Nera. La giornata era sta-ta normale e godibile perchè ogni giorno mi portava sempre più vicino alla Madonna. Come sempre viene sera e i numero-si campi di grano sollecitavano a fare una scelta per la notte. Stavo per decidermi quando mi giunge il suono di una cam-panello. Subito il pensiero corre a una possibile celebrazione della Messa nella borgata che era nei pressi. Allungo il passo e raggiungo la chiesetta dove si celebra la Messa in suffragio di un ragazzo vittima della strada. Vi partecipai volentieri, non potevo concludere meglio la serata.Dopo però non avevo più voglia di tornare nel campo e chiesi se in loco vi era una pensione. Mi è stata indicata e caso volle

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che fosse gestita da una italiana. L’accoglienza fu più che calo-rosa e mi assegnò una bella camerata. Ero proprio molto con-tenta. Mi misi a letto ma come mi sono coricata mi viene uno scuro davanti agli occhi, non vedo più niente e avverto una tremenda confusione in testa, mi sentivo veramente male. Ho pensato: sarà niente, passerà subito, invece ho cominciato a sentire un gelo in tutta la persona e nello stesso tempo la testa grondava di sudore. Non avevo alcun dolore e la sensazione era come essere in balia delle onde di un mare in burrasca. La confusione si faceva sempre più tremenda e credendo proprio di morire, sentendomi come soffocare, gridai Mamma! Mam-ma! Certamente mi ha soccorso perchè, credo, perdetti i sensi e non ricordo più niente. Al mattino mi svegliai come ubriaca e con un gran mal di testa. Riuscii a scivolare dal letto e aprire la porta. Rimasi poi per terra: stavo ancora male ma non come la sera. Chiamai la signora, volevo un medico. Ella mi disse che costava molto, forse il malessere passava da solo. Insistei e visto che avevo i soldi chiamò il medico. Questi venne e non potè fare altro che portarmi all’ospedale. Come parcella quel medico mi prese 387 €, tutti i soldi che avevo.In ospedale mi sottoposero a vari controlli e fu rilevato che il caso era dovuto a pressione arteriosa troppo alta 120-270. Su-bito flebo e passai la giornata e la notte da sola in un corridoio. Ogni tanto qualcuno veniva a vedermi. Al mattino sono stata dimessa, tutto okay, pressione 200 potevo tornare a casa in ae-reo. La padrona della pensione venne a prendermi, ma temeva che ancora stessi male e avrebbe voluto tornassi a casa. Avevo già fatto tanta strada, cosa risolvevo tornando a casa? E poi la Madonna mi aspettava. Non avevo più soldi, ma ho telefonato a dei miei amici e il giorno dopo potei averli. A distanza di una settimana ero a Czestochowa dove le suore mi hanno curato con tanto amore.

50 KM A VUOTO

Sono proprio una pellegrina da due soldi bucati. Dopo tanti

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anni sulle strade del mondo per distrazione mi accade ancora di sbagliare strada. Per qualche Km è comprensibile ma ac-corgesene dopo ben 50 Km è da asini patentati, una giornata e mezzo di cammino è cosa proprio da persona balorda. Il bel-lo poi era che non volevo credere di aver sbagliato. Compresi quando mi misero sotto il naso la carta geografica. Ma come tornare sul giusto cammino? Per me era un rebus. Parlai con alcuni operai della manutenzione stradale, che si presero a ca-rico la mia situazione e finito il loro lavoro, mi portarono al bi-vio dove avevo sbagliato e praticamente mi hanno indirizzato sulla giusta strada e anche accorciando la distanza. Un’altra volta, in Francia, sbagliato per una “S”, il paese che dovevo raggiungere si chiamava Flaviers, io ho letto Flavier trascuran-do la “S”, e mi sono trovata a sera in altra località. Alcune per-sone si godevano nel giardino il fresco della sera e vedendomi mi chiesero dove andavo. Raccontai loro la mia quasi disav-ventura e queste molto gentilmente mi dissero di non preoccu-parmi. Con la macchina mi avrebbero portato loro a quel paese di Flaviers. Stettero un momento decidere chi doveva portare la macchina e con madre e figlio in una mezz’ora si era già a quel paese che distava ben 30 km: una giornata di cammino. Quelle brave persone non solo mi portarono in quella località, ma si fecero anche premura di trovarmi un ostello per passarvi la notte. Quasi non bastasse la loro generosità giunse al punto di darmi anche qualche soldo per un’eventuale necessità.Questi sono gli angeli che il Signore mi fa sempre incontrare quando sono in difficoltà anche se è per mia colpa. Ormai, di angeli senza ali, ma dal cuore d’oro ne ho incontrati molti che ho perso il conto, ma non il loro ricordo presso il Signore.

IL CASTELLO

Tra le tante vicende, rientra in via eccezionale per una pelle-grina, la novità di passare la notte in un castello. Un castello vero, con i Signori in loco, servitù, cucine, camere a volontà,

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giardini, docce, tutto funzionante in piena regola, nonché mu-seo, per chi voleva visitare le antichità che il castello racchiu-deva. Ho avuto l’opportunità di farne la conoscenza perchè sono entrata in un’agenzia turistica a chiedere dove si trovava la chiesa. Mi ero presentata come pellegrina e mi invitarono a mangiare a casa loro. Già ero ai saluti che vidi entrare due ele-ganti signori, marito e moglie, sicuramente dell’alta nobiltà. Erano i padroni del castello e portavano all’agenzia i biglietti da vendere a chi voleva visitare il castello. Il ricavato andava alla parrocchia.Ai signori del turismo non parve vero raccontare della mia novità. Questi si interessarono di tutto. Per aver ambedue stu-diato a Roma sapevano bene anche l’italiano e non fu difficile comprendersi.Fecero alcune telefonate e compresi che stavano organizzan-do qualcosa. Nel pomeriggio l’appuntamento al castello ac-compagnata ovviamente dall’agente del turismo che andava in brodo di giuggiole. Come siamo arrivati sono rimasta sba-lordita: giornalisti, fotoreporter, cineprese ecc. L’Eccellenza, così veniva chiamato il padrone, mi faceva domande varie e poi traduceva le mie risposte. Complimenti, auguri, foto, baci e abbracci si sono sprecati; per loro ero un pezzo da 90 (e io aggiungo da Museo). Mi si condusse poi a visitare il museo, a conoscere la servitù e a scegliere la camera nella quale avrei voluto dormire la notte. Meno male che le “Eccellenze” aveva-no degli impegni, altrimenti chissà come sarebbe andata lunga la storia. Al mattino tutti a Messa, in prima fila io tra le due Eccellenze. Certo nell’omelia si parlò di me perchè fu un unico battimani. Avessi potuto sarei andata a nascondermi sotto ter-ra. All’uscita dalla Messa sono stata sballottata dall’uno all’al-tro da non poterne più. Volevano restassi ancora un giorno, ma sono stata irremovibile. Nel congedarmi dall’Eccellenza, egli mi diede 100 €, e la Signora con un grande abbraccio mi bagnò tutto il viso di lacrime. Chi erano quei signori non ho potuto saperlo. Al museo, in una foto grande mi è parso ravvi-sarli fra i reali d’Inghilterra. Seppi solo che vivevano a Parigi.

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CINQUE CANI A GUARDIA

Ero ben protetta, su una brandina accostata dietro casa con cinque cani attorno a farmi la guardia. Se facevo un minimo movimento subito abbaiavano. Avevo chiesto ospitalità a una birreria e quelli mi dissero “sì, ma fuori”, e dietro casa mi pre-pararono una brandina. Mi stava bene anche così, però ave-vano cinque cani sciolti e io avevo paura. Glielo dissi, ma non mi dovevo preoccupare, erano più buoni del pane. Quando mi stesi sulla branda, come avessero ricevuto un ordine, tutti e cinque si accucciarono attorno e proibito muoversi, che su-bito abbaiavano. Non ero per niente contenta ad avere simili angeli custodi, l’avessi saputo non mi sarei certo fermata. Il cielo era tutto uno scintillio di stelle, ma non potevo nemme-no contemplarlo con mio comodo, dovevo restare immobile, il solo muovere una mano li faceva abbaiare. All’una di notte la birreria chiuse e tutti andarono a letto. Pensavo che pure i cani andassero nella loro cuccia e invece, non si mossero nemmeno di un centimetro. Ogni tanto c’era un muso che controllava se ero ancora nella brandina. Dovevo cercare di stare immobile altrimenti quei cani facevano un putiferio. Venne il mattino, ma non potevo alzarmi, i cani abbaiavano da matti. Aspettai le 7, forse qualcuno si sarebbe alzato, niente. Ad andarmene ugualmente temevo che i cani mi azzannassero; stavo sedu-ta sulla branda con i miei cinque angeli attorno, ad aspettare chi mai veniva. Possibile mi domandavo che non sentano tan-to abbaiare e non vengano a vedere cosa succede? Sapevano bene che io ero coricata sulla brandina! Vennero le 8 e quei cani al mio alzarmi in piedi, senza mordermi, tutti addosso, con le zampe non volevano mi muovessi e il loro abbaiare, credo lo si sentisse lontano un chilometro. Finalmente lo sentì anche la loro padrona che tutta scarmigliata venne sulla porta e richiamò i cani. Era di cattivissimo umore, l’avevo disturbata dal suo sonno e tanto era nera che non ha nemmeno risposto al mio grazie e al mio saluto. È stata una notte di vera penitenza, ma alla fine è spuntato il

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sole ed è tornata la gioia di mettermi nuovamente in cammino.

ALTRE PAURE

Ebbene sì, temo tanto i cani ma molto più gli uomini “bavosi”, mi gelano il sangue nelle vene, mi terrorizzano da star male solo al vederli. È la sola grazia che chiedo al Signore prima di mettermi in viaggio: non incontrare mai tipi del genere. Alla mia età, mai avrei pensato di interessare ad alcuno, invece a questi poveri disgraziati, basta che una sia donna. Guai dare loro ascolto, bisogna solo fuggire. Un mattino presto un camion mi si ferma vicino e scende un omone grande e grosso come una torre. “Su, mamà, mi dice, ti offro un passaggio.” Nemme-no lo guardo e accelero. In quel mentre arriva un altro camion e pure quell’autista si ferma ma per dire al primo: “Mamà l’ho vista prima io, viene con me.” Mentre quelli litigavano passò un carretto di contadini, il mezzo era motorizzato e per salvar-mi dai due camionisti chiesi loro un passaggio. Subito mi dis-sero sì, e mi fecero salire. Dopo cinque minuti uno dei cinque contadini mi venne vicino... ero caduta dalla padella nelle bra-ci. Terrorizzata volsi lo sguardo attorno e vedo nei pressi un distributore di benzina. Come ispirata grido: “Sono arrivata, mi devo fermare qui.” Dubbiosi mi guardano, ma io soggiun-si: “Sì, sì, mi aspettano” e già ero pronta a scendere. Dovettero fermarsi per forza e quel distributore fu la mia salvezza. Altra volta, sempre un camionista giovane e tutto sbracato fermò il camion e si mise a seguirmi. Che paura! Facevo la strada a zig-zag, ma quel ragazzo non riusciva a raggiungermi perchè doveva tenere su i pantaloncini che avevano l’elastico rotto. Se cadevano, restava nudo. Invocavo l’aiuto del cielo che di fatto mi esaudì; mentre ansante camminavo il più veloce possibi-le sempre con quel Tizio dietro, una macchina usciva da un vivaio e io mi precipitai dentro più morta che viva. Un’altra volta ancora fu una chiesa fortunatamente aperta (è raro nei giorni feriali) la mia salvezza, ma dovetti rimanerci tutta una

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mattinata.Fuori l’uomo era sempre ad aspettarmi. Non è possibile descri-vere la paura e l’angoscia che si prova a incontrare tali mostri.Sarebbe preferibile morire. Una volta in Siria quasi mi accade-va, ma non era la mia ora, e fui salva.

PAOLA

Nei miei pellegrinaggi ho conosciuto molte persone meravi-gliose per bontà, premura, disponibilità e anche ricche di af-fetto.Una di queste si chiama Paola alla quale posso ben aggiungere il nome di Cesira, sua zia. Ambedue sono persone dal cuore d’oro. Un pomeriggio di pioggia ero sulla strada con il mio car-rello e pur sotto l’acqua camminavo veloce senza curarmene più di tanto. Se dovessi fermarmi ad ogni acquazzone arrive-rei l’anno del mai. Un’autista donna, Paola, mi vide e mi offrì un passaggio. Rifiutai, ero tutta inzaccherata, le avrei allagato la vettura ma lei insistette, non gliene importava niente della macchina e allora accettai. Naturalmente dovetti dire chi ero e che ero in cammino verso un santuario: Pontmain. Rimasero allibite, lei e la zia per la mia veneranda età e, dal momento che non avevo prenotato nessun albergo, furono loro a procurar-melo pagando di propria tasca. Al mattino riprendo la strada e verso il mezzodì mi si accostò una macchina; erano ancora loro, felici, venivano a portarmi la spesa che avevano fatto per me. Nella borsa vi era di tutto, persino una bottiglia di vino. Poi cioccolata, frutta, biscotti, salamino, caramelle, ecc. La cosa mi ha commosso e ancor più il sentirmi dire che alla spesa aveva voluto contribuire anche il ragazzino Maicol, allora do-dicenne. Ha usato i suoi soldini avuti dalle mance. È stata una bellissima sorpresa che mai avrei immaginato. Avevano già fatto tanto con il procurarmi e pagarmi l’albergo che la spesa, e così generosa, è stata il fiore all’occhiello della loro bontà. La storia poi non è finita qui; nel tardo autunno di quell’anno mi

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hanno invitato in Val d’Aosta per 8 giorni facendomi passa-re giornate meravigliose. Lo stesso è avvenuto qualche anno dopo. La signora Paola, residente a Taggia in Liguria, mi offrì la possibilità di usufruire di una sua casa rimasta provviso-mente libera. Con la macchina era sempre a mia disposizione e non saprei dire dai monti al mare, in quante località mi ha portato. Ad ambedue il mio grazie non sarà mai adeguato.

LA CUCCIA DEL CANE In Messico non piove spesso, ma quando piove si salvi chi può. L’acqua scivola giù dalle montagne di sasso e allaga ovunque. Con l’acqua che viene dal cielo, quella che spruzzano addos-so gli autocarri assieme a quella che arriva dai monti, trovar-si sulla strada è quasi un dramma. Come pellegrina spesso ci sono nel mezzo, per non dire che sono un habitué. Quando è giorno si suol dire tutti i santi aiutano ma a sera il problema è più serio. Benchè diluviasse ho detto no a un’autista che mi aveva offerto un passaggio. Non mi sono fidata, avrebbe prov-veduto il cielo. Quell’autista mi diede della pazza ma il mio no tale è rimasto. Camminavo più che potevo e speravo in unabaracca o qualsiasi altro riparo ma niente in vista. Mi sentivo sfinita ma non potevo fermarmi, veniva notte e poi dove? In-travidi lontano lontano un lumicino e mi proposi di raggiun-gerlo. Non so quanto tempo ho impiegato ma riuscii ad arri-varci. Era un casotto-mensa per gli operai che lavoravano sulla strada. Sono arrivata distrutta dalla fatica e tutta bagnata che dal mattino ero sotto la pioggia. Quel giorno avrò fatto almeno 50 Km. Bussai piena di speranza a quella porta. Si affacciarono due donne, una giovane, l’altra di media età. Alla mia richie-sta è stato un no secco. Insistetti, ancora pioveva, era notte, niente. Attraverso l’apertura della porta vidi l’Immagine della Madonna di Guadalupe con un lumino acceso e dissi loro di accogliermi per amore di Lei, la stessa Madonna per la quale io ero in cammino, niente, non potevano e la porta si richiuse.

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Non avesse piovuto, in qualche modo mi sarei sistemata ma sotto l’acqua non sapevo come fare. Quasi stavo per piangere quando la porta si aperse e la donna giovane mi disse: “Ven-ga, le diamo la zuppa ma per la notte non possiamo proprio perchè qui vengono gli uomini a giocare a carte. Però, se si adatta, la cuccia del cane è libera”. Mi sono sentita rinascere, è stato un raggio di sole. La cuccia poi era un casotto ripostiglio attrezzi da lavoro, ma vi era posto anche per me. Solo, ho sof-ferto molto freddo perchè tutta bagnata. Sono rimasta fino al mattino, quando il sole ha asciugato i panni e mi ha riscaldato. L’emergenza porta a pregare di più e questo aiuta a sopportare anche momenti così difficili.

UN SOLDINO AL GIORNO

Questa che sto per raccontare può sembrare una storia inven-tata da una mente fantasiosa invece mi è realmente accaduta. Una sera incontrai un certo signor Renato che spingeva una carrozzella. Ci salutammo e lui mi disse: “Non vorrebbe ve-nire a Messa? Si celebra adesso in una chiesetta qui a pochi passi”. “Ben volentieri” risposi e lo seguii perchè vi portava quella persona in carrozzella. Quale persona? Un ammalato o disabile, non ho chiesto chi era. Finita la Messa mi disse: “Mi aspetti devo parlarle.” Sarà un curioso come tanti, pensai fra me. Invece, senza preamboli, mi disse: “Lei deve andare a Siracusa, la Madonna l’aspetta”. Questo è matto, fu il primo pensiero che mi passò per la testa e senza replicare presi il mio carrello per proseguire, giacchè non era ancora sera. “No, no, venga a casa mia devo dirle tante cose e poi potrà dormire nel mio garage”. Perplessa e dubbiosa gli chiesi: “Chi tiene a casa”? “Moglie e cinque figlie” mi rispose. Per via del garage che mi offriva per passare la notte, accondiscesi. Giunti a casa sua, la moglie, intenta a far le parole incrociate, non ci degnò nemmeno di un saluto. Da una porta semi aperta giunse un “ciao, papà.

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Lui si preparò la cena che altro non era che un piatto di insala-ta. Disse alla moglie che scendeva nel garage per parlare con me e io lo seguii. Qui cominciò il tormentone: dovevo andare a Siracusa e non finiva più con questo ritornello. Gli feci presente che per una promessa io stavo andando a Loreto, Siracusa era molto più lontana, oltre mille km. Discussioni a non finire, lui era un carismatico, portava le stigmate invisibili, il Vescovo era suo amico, lui sapeva in anticipo le cose che dovevano accadere e via di questo passo; mi rintronava la testa. Era quasi mezza-notte e ancora tirava in ballo argomenti per persuadermi. Stu-fa e arcistufa gli dissi: “Io vorrei dormire perchè alle 5 domat-tina vorrei mettermi in cammino”. “Benissimo, rispose Lui, e io la verrò a salutare”. Non gradivo proprio i suoi saluti e per evitarli alle 4 ero già pronta a partire. Piano piano uscii dal garage, non restava che aprire il cancelletto del cortile e quasi ce l’avevo fatta, quando mi raggiunse la sua voce: “Signori-na, si ricordi di andare a Siracusa”! Gli avrei tirato dietro una scarpa tanto era scocciata dalla sua insistenza. Poi passatami la “seccatura” cominciai a pensare: “E se fosse vero”? Nella testa mi giravano idee strane e una di queste fu di chiedere un segno. Non so come mi sia venuta in mente una simile cosa, chiesi al cielo, come prova, che ogni giorno, tutti i giorni, mi facesse trovare una monetina sulla strada. Non è credibile, ma il prodigio avvenne fin dal primo giorno. Quando ormai ero a una settimana dalla meta, mi sono sentita qualcosa appiccicata alla scarpa. Guardai, pensavo a una cicca, era una banconota da 50.000 lire (era l’anno 1999). Non la credevo valida ed entrai dal tabaccaio per controllare, era validissima. La Madonna voleva proprio che andassi a Siracusa e da quell’anno quando ricorre la sua festività mi reco al Suo San-tuario. (Non a piedi). Questo fatto di Siracusa non lo so dav-vero spiegare ma le cose sono state come proprio tali e quali come le ho descritte.

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POSSIBILE? UNA FERRARI!

Una sola preoccupazione nel mio cammino è quella di non per-dere la Messa. La domenica solitamente viene celebrata alle ore 11 di mattina, ma già alle 9 io sono alla porta di una chiesa. È chiusa e dal cartello appeso leggo che quel giorno, solennità dell’Assunta, in nessuna chiesa sarà celebrata la Messa. Perchè verrà celebrata nel santuario “Notre Dame de Soisy sur le Sei-ne”. Dal luogo dove mi trovavo distava 15 km. In solo due ore di tempo era impossibile ci potessi arrivare. Subito non mi allar-mai, qualche macchina certo sarebbe passata. Invece, nel gior-no festivo tutti dormono. Quel santuario era in una campagna, lontana dal traffico, la speranza di avere un passaggio si stava affievolendo con il tempo che inesorabilmente passava. Ave-vo sempre l’occhio sull’orologio. Niente di nuovo succedeva, non un trattore, non un camioncino. L’ansia cominciava a to-gliermi il fiato per voler camminare più veloce. Purtroppo non ci riuscivo e ogni tanto anche inciampavo. China su me stessa volevo indurre e supplicavo il cielo a mandarmi un aiuto, ma lassù, nessuno mi ascoltava. Vennero le 10 e poi le 10 e mezza e la chiesa era ancora lontana. Intorno tutto silenzio, nemmeno il gorgheggiare di un uccellino, solo il rumore del carrello e dei miei passi. Triste fino alle lacrime continuavo a camminare e a sperare oltre ogni speranza, perchè ormai l’orologio segnava meno cinque alle 11. Ero presa dallo sconforto ma non volevo rinunciare. Arriverò al fumo delle candele, mi dissi, ma voglio arrivarci, sarà il cielo a giustificarmi se perdo la Messa! L’oc-chio fisso sull’orologio, a meno un minuto mi sfrecciò a lato una macchina, vidi solo che era rossa. Compresi che era una vettura di lusso e tra me pensai: perchè prendermi in giro? Il pensiero era ancora nella mente che ho sentito una voce chiedermi: “Si-gnora, le serve aiuto”? Non mi ero nemmeno accorta: quella macchina rossa era proprio davanti a me. Con le lacrime agli occhi abbracciai quel signore. Arrivai al Santuario nel preciso momento che usciva la processione per l’inizio della messa. Il cielo mi aveva esaudito! La macchina rossa era una Ferrari.

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PRONTO SOCCORSO

“Il Signore è il mio Pastore e io non manco di nulla”. Posso dire che il versetto di questo salmo è tanto vero quanto è vero che io esisto. Stavo raggiungendo un centro urbano e una si-gnora mi si affianca, vuol parlare un po’ con me. Nel passare davanti a una comida (mangiare uguale pranzo e cena) mi fa notare che in quel posto si cucina molto bene e dato che si era sul mezzodì avrei fatto bene a fermarmi. Le feci notare che non mi interessava: in borsa avevo quanto al bisogno. Lei pensò certo che non avessi soldi e li estrasse lei dal suo borsellino. Era scortesia non accettare ed entrai in quel locale. Alla padro-na dico che la comida, essendo io pellegrina, mi veniva offerta da una signora del posto. Lei non volle essere meno genero-sa e mi diede il pranzo gratis, mi tenessi i soldi per un’altra volta. Finito che ebbi di mangiare, chiamò figli e dipendenti per farmi conoscere. Fu tutto un complimentarsi per la fede, il coraggio ecc. Pure loro erano cattolici. Nel congedarsi, foto, baci e abbracci. Tanta affettuosità mi commosse e gli occhi mi si riempirono di lacrime.Nell’uscire inciampai in un gradino e caddi giù a ruzzoloni con la faccia a terra. Subito soccorsa mi portarono al centro sanitario. Si temeva mi fossi rotta il setto nasale invece solo escoriazioni ed ematomi, niente di rotto, ma per averne la cer-tezza, mi trattenevano 3 giorni. Non avrei voluto perchè non avevo l’assicurazione, ma il personale disse di non preoccu-parmi, loro si assumevano l’onere della spesa.Mi è stato dato tutto, vitto, alloggio e anche un paio di scarpe nuove. Durante quei tre giorni di degenza è sfilata nella mia stanza credo una metà della gente del paese. Una pellegrina di 87 anni che andava a piedi ad Aparecida era una notizia curiosa e si voleva vedere la “bestia rara”. È venuta a vedermi anche una giovane mamma con il poppante al seno. Un grup-petto di studentesse 15enni volle che scrivessi in italiano la mia storia di pellegrina, perchè fosse tradotta bene nella loro lingua dai professori e magari farne oggetto di discussione.

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Sono poi partita con una faccia alla melanzana, occhi neri e un bernoccolone in fronte grosso come una patata. Anche una gamba aveva un grosso timbro viola ma dopo un mese ogni malanno passò.

RAGAZZO SORRISO

Sento un gran scalpitio dietro al mio carrello, mi giro e vedo un bel ragazzo di 15 o 16 anni, ben vestito e anche cicciotello.Dalla presenza non era un poveretto, solo le scarpe erano peg-gio delle mie. Lo salutai e mi rispose con un sorriso. Allun-gò la mano sul carrello, probabilmente voleva aiutarmi, ma lo fermai dicendogli: “Grazie, è leggero, faccio da sola”. Rispose ancora sorridendo. Volevo sapere chi era, dove andava, come mai si trovava sulla strada, niente. Sempre un sorriso la sua risposta. Un sorriso bello, dolce, simpatico, ma non una pa-rola. Camminava al mio fianco, sereno, tranquillo come fosse sempre stato con me. Fingendomi stanca mi fermai dicendo a lui di proseguire; invece si sedette a terra e aspettò che ripren-dessi il cammino. Tutta la mattinata l’ho avuto al fianco e quel suo non parlare mi preoccupava. Alla mia ennesima doman-da: “Dove è la tua casa?” con il cenno della mano mi indicò lontano, lontano. Una comida era vicino alla strada e gli chiesi se aveva fame. Con la testa mi fece cenno di sì. Entrammo e il padrone subito fece preparare per due. “Solo per il ragazzo e pago io -gli dissi-, lui non è con me e non so chi sia.” “Non importa” mi rispose, offriva lui gratis e a me, che non volevo la comida, diede tre uova sode. Ripresi la strada lasciando il ragazzo ad abbuffarsi. Tutta contenta per essermene liberata proseguivo sulla strada; mi ero illusa, il ragazzo stava corren-do a perdifiato per raggiungermi. Povera me, in una strada senza case in mezzo alla campagna non sapevo quale soluzio-ne prendere. Lui sempre tutto sorrisi e niente altro che sorrisi. Si sarebbe detto che si era una coppia: nonna e nipote.Provavo una vera pena per lui e anche per me stessa, quel mu-

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tismo non mi lasciava tranquilla e poi veniva sera e notte. Una vera preoccupazione, il cielo non vedeva? Forse era bene che penassi un po’, ma poi mi soccorse; quel ragazzo all’improv-viso rincorse un camion che si fermò e lo fece salire. Patema di animo finito, però quel ragazzo è rimasto per me un punto interrogativo, chi era? E come mai sulla strada? Forse fuggito da casa? Solo il cielo lo sa.

IN CERCA DI UN PONTE

Sono ben al corrente che davanti a me ho un percorso di 400 km che è tutto deserto. Palme da datteri a destra e a sinistra, non una casa, non un riparo. Se va bene e non è allagato, un riparo per la notte, che è sempre fredda, può essere un ponte sotto la strada che, se va bene, è a livello di pecora. Non è una gran soluzione ma meglio di niente. Talvolta è subito sotto il livello della strada e in quel caso quando passano i camion è una pioggia di calcinacci. Altre volte bisogna scendere pa-recchio nella scarpata facendosi spazio fra rovi, vetri, sassi e detriti di ogni sorta. Si può avere visite notturne di grosse tope attirate dall’odore del latte, però ho imparato a metterlo “fuo-ri porta” cosicchè se lo godono senza disturbarmi. Una notte stavo in un beato sonno quando sento un grande tonfo sulla strada. Per un momento ho creduto fosse caduto un pezzo del-la volta del ponte, invece non era così per fortuna. Due camion si erano lievemente scontrati proprio nel punto dove sotto io ero a dormire. Ovviamente mi sono spaventata, poi ho senti-to un gran movimento, parlare eccitato, forse sarà arrivata la polizia, non so, io non potevo vedere, solo avrei voluto che se ne andassero. Invece venne il mattino e niente si era mosso. A dormire ormai non ci pensavo più, però avrei voluto uscire da quel ponte. Avevo vergogna a farmi vedere ma ho dovuto. Una alla volta ho preso le mie cose, portate sulla strada e per ultimo il carrello che poi ho ricomposto per riprendere il cam-mino. Ero sotto gli occhi di tutti, ma nessuno mi disse niente.

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I camion erano ancora lì e anche le persone interessate al caso. Salutai tutti e il saluto mi è stato gentilmente ricambiato. Se non avessi saputo superare la vergogna credo che sotto quel ponte avrei dovuto rimanerci una giornata intera perchè, da quanto ho potuto capire, non trovavano i pezzi di ricambio per le riparazioni. Dovevano essere delle brave persone per-chè nonostante il guaio loro accaduto non ho sentito una sola imprecazione.

UN ALTRO GUAIO

Cosa ci vuole a rompersi un braccio? Niente! Non so proprio come mi sia accaduto. Stavo sistemando bene il mio carrello quando avverto un gran male al polso. Era un primo pomeriggio e facevo sosta su una panchina di un giardi-no pubblico. Mi guardo il punto dolente e vedo che mi diventa tutto rosso e gonfio, sia il polso che la mano. Come faccio ades-so? Mi andavo chiedendo. In quel mentre mi passano vicino due signore e mi dicono: Ospedale! Ospedale! Cinque minuti dopo l’ambulanza era già arrivata a prendermi. Via all’ospe-dale! Io mi vergognavo a dichiararmi pellegrina alla mia età, invece, medici e infermieri mi fecero un sacco di complimenti. Subito mi fecero i raggi e trovarono che si era rotto il polso, perciò bisognava sistemarlo con il gesso. Addio andare a Fati-ma a piedi! Non avrei potuto tirare il carrello con un braccio al collo. Le molte persone che erano in attesa nell’ambulatorio mi fecero coraggio e ognuna, saputo che nonostante la disavven-tura, sarei andata a Fatima prendendo il treno, vennero a rac-comandarsi per una preghiera. Chi aveva il figlio malato, chi il marito, qualcuno era preoccupato per probabili interventi, altri temevano per esami indecifrabili. A una giovane mamma le avevano diagnosticato una glaucoma, la vista era in peri-colo. Ognuno mi si attaccava, io, che andavo dalla Madonna, dovevo pregare perchè desse loro un aiuto. Persino l’autista che mi ha portato alla stazione del treno voleva una preghiera:

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un suo bambino di quattro anni già soffriva di cuore. A tutti ho promesso il ricordo nella preghiera e non ho fatto altro restan-do quale cucciolo ai piedi della Madonna per 10 giorni.In questa circostanza o meglio in quella mala sorte, mi trovavo a Valladolid e mancavano 500 km a raggiungere Fatima.

UN TURBANTE BIANCO

Saltillo (Mexico) la prima tappa dopo Monterey. Da amici sono stata informata della molta delinquenza che è su quella stra-da. Veramente ho visto molti vagabondi ma nessuno mi ha disturbato. Nel pomeriggio ho visto un uomo di mezza età, ben portante, che si faceva notare per il gran turbante bianco che portava in testa. Un po’ andava avanti, poi si fermava a raccogliere qualcosa da terra; gira e rigira l’avevo sempre in vista, sembrava un perdigiorno. Camminava dal lato sinistro della strada mentre io ero sul destro come vuole la polizia. Tutto il pomeriggio più o meno si era allo stesso livello e ciò ha incominciato a darmi pensiero. Come mai lui giovane, gran-de e grosso, era sempre allo stesso livello del mio cammino? Venendo sera cominciai a impensierirmi e prima di lasciare la periferia entrai in un ristorante.Speravo mi concedessero, pagando, un qualsiasi posto per la notte, ma il no è stato secco. Pazienza, esco e cosa vedo?Quell’uomo dal turbante seduto su un grosso sasso ai margi-ni della strada. Mi prese una paura tremenda, dovevo trovare assolutamente un rifugio per la notte. Alcuni uomini stavano seduti a giocare a carte davanti a una birreria. Andai da loro ed esposi il mio problema: “Parli con la signora, mi disse uno di loro, è molto buona”. È stata infatti molto gentile, ma non aveva un posto adatto. Insistei col dire che mi andava bene anche un pollaio.A questa parola “pollaio” sorrise e mi disse: “Se dice per dav-vero il pollaio lo tengo ed è anche molto grande”. Mi è parso di toccare il cielo con un dito, non avrei più rivisto l’uomo dal

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turbante bianco. La signora mi procurò una sedia e seduta su quella e i piedi sul carrello passai la notte fra galline, tacchini, faraone, oche e anche un pellicano. A un certo momento ho sentito un rimestio sotto la sedia; vi era una chioccia in cova. Quel pollaio era poco riparato perchè aveva un lato a rete me-tallica però per me è stato una grande Provvidenza. Non ho più incontrato quell’uomo.

VESCICHE AI PIEDI

Quando iniziai questa vita da pellegrina fui avvertita: “Ti ver-ranno vesciche ai piedi per il molto camminare, porta con te cerotti, garze, alcool che ne avrai bisogno”. Non diedi molta importanza al consiglio, ma dopo una sola settimana, i miei piedi erano uno strazio. E non solo i piedi, pure le mani, le labbra, le orecchie, il viso tutto una crosta. Ero allergica al sole e in breve tempo sono diventata un mostro. Tutto era proble-matico, ma i piedi, i miei poveri piedi erano più che disastrati. Cerotti, pomate non servivano a niente. Un giorno mi sento i piedi bagnati in una maniera diversa, tolgo le scarpe, erano piene di sangue. Cosa era successo? Le unghie si erano solle-vate dal loro alveolo e premendo contro la tomaia causavano il guaio. Erano ancora attaccate per un filo. Non potendo più rimettere la scarpa usai un sistema drastico, presi il tronche-sino e, stringendo i denti, ad una ad una me le strappai tutte. Non sto a dire quante stelle ho visto! Dopo le ho medicate e fasciate. Tutto questo traffico... sulla strada. Vedendomi alcune persone mi suggerirono di andare all’ospedale ma invece pre-ferii entrare in una farmacia. Alla domanda cosa desideravo mi sedetti a terra e mostrai le mie estremità. Il farmacista restò a bocca aperta, cosa mi era successo?Raccontai la mia storia che trovò sorprendente e quasi incre-dibile. All’età di 70 anni un cammino a piedi di 1300 Km, era inconcepibile. Chiamò i suoi dipendenti per far loro conoscere quanto la fede dava forza a una povera persona quale ero io e

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nello stesso tempo, di esempio a loro che pur residenti in Fran-cia, quasi Lourdes non la conoscevano. Mi hanno medicato i piedi al meglio che potevano e mi raccomandarono di restare a riposo almeno 6 giorni. Riposai un giorno solo. Purtroppo il sollievo durò poco, si fecero altre vesciche, le caviglie mostra-vano l’osso e le mani con le dita grosse come salsicciotti a fa-tica agganciavano il carrello. Tutta colpa del sole. Nonostante il cappello, mi beccava pure i lobi delle orecchie che poi, non riuscendo io a non toccarli, venivano a sanguinare e ogni tan-to, dovevo pulirmi il viso perchè rigato di sangue fino al collo. Come mostro ero perfetta! A questi guai si aggiungeva il fat-to che nessuna pensione mi accettava per la notte. Credevano fossi un’ammalata contagiosa. Una signora prima ancora che parlassi, si tolse le scarpe e sbattendole l’una contro l’altra si è messa a gridare! Nada, Nada (vai via!). La situazione era gra-ma e un giorno mi sono detta di essere davvero pazza a voler proseguire e presi la strada per avviarmi alla stazione decisa tornare a casa. A un crocicchio in mezzo a uno spazio verde stava una cappellina della Madonna. Guardandola pareva mi sorridesse. Si rinnovò nel mio animo la fiducia nel suo aiuto e subito ritornai indietro per riprendere la strada che mi portava a Lourdes. A me stessa dico: Fiducia, il Signore non abban-dona nessuno e confermo che nonostante varie vicissitudini talvolta anche tragiche accadutami in vent’anni che cammino sulle strade del mondo la Sua mano mi ha sempre salvata.

QUATTROMILA MAIALI

Signora, come mai da queste parti e dove va con quel carrello? Questa la domanda che mi rivolse una signora, che stando in giardino, mi vide passare sulla strada.“Sono una pellegrina e vado a piedi dalla Madonna”. Mi cre-deva un’ambulante e più che curiosa mi invitò a entrare nella sua casa. Subito volle che per filo e per segno le raccontas-si la mia storia. Incredibile, mai sentito una cosa del genere.

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Scuoteva la testa come a dire che mi compativa, ero anziana e credevo alle favole che i preti raccontavano nei tempi passati. Ora il mondo era uscito dall’ignoranza: non c’era nè Dio nè Madonna, nè Santi. Lei e il marito avevano tre figli, quattromi-la maiali accuditi da inservienti, una vasta campagna e anche altro.Non avevano proprio bisogno di Dio, potevano godersi la vita senza preoccupazione. Più tardi arrivò il marito che rincarò la dose volendo ad ogni costo farmi desistere dal mio cammino adducendo che se sapevo camminare tanto ero ancora in forze e con un ometto con un po’ di soldi, avrei potuto godermi an-cora la vita. Non c’era niente da fare, il loro Dio erano i maiali che procuravano loro la felicità.Augurai ad essi che la loro felicità durasse sempre perchè i ma-iali non avrebbero potuto consolarli quando il dolore avrebbe bussato alla loro porta. A questo punto fecero gli scongiuri ma feci osservare che è la legge della vita, alla quale tutti noi volenti o no dobbiamo sottostare: la felicità sta solo in Dio e nel nostro cuore se noi ci sforziamo ad amarLo. Osai dire che, sebbene lo negassero, Dio era pure nei loro cuori perchè l’ac-coglienza, la bontà che mi usavano non veniva certo dai maiali ma dalla buona coscienza presente in ciascuno che non è altro che il riflesso di Dio. La conversazione andò per le lunghe e rimasero della loro opinione però al mattino, quando ripartii, dopo avermi riempito la borsa di tante cose buone mi disse-ro: “Quando sarà arrivata da quella Madonna in cui crede, si ricordi dei nostri figli”! Questa frase è stata più che un balsa-mo per me; qualche cosa era entrato nel loro cuore; un piccolo seme che potrebbe diventare albero.

CIAO PORTAFOGLIO!

Un mattino molto presto mi trovai a un incrocio di sei stra-de. Nessuno portava un’indicazione. Entrai in un bar che si trovava lì per domandare. Per ricambiare la cortesia chiesi un

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cappuccino. La barista mi diede un cappuccino, un dolce e mi offriva tutto gratis. Mi ha sorpresa questa gentilezza e avendo già in mano il borsellino per pagare invece di infilarlo in tasca mi è caduto a terra senza che me ne accorgessi. A sera ritornata per la notte, in una pensilina d’attesa per l’autobus, rovistando nella mia borsa, mi accorsi del guaio che avevo combinato! Oltre aver dentro un po’ di soldi, vi era la carta d’identità e se avessi incontrato la polizia certo me l’avrebbe chiesta. L’avevo proprio fatta “grossa” ma ormai... era fatta. Già ero preoccu-pata che si aggiunse un altro patema d’animo: una macchina della polizia si fermò proprio davanti alla pensilina a control-lare il traffico. Si fermarono una buona mezz’ora, ma non mi videro, era buio e poi la pensilina era a forma di conchiglia e io restavo come nascosta nell’incavo. Quella mezz’ora mi è sembrata un’eternità, non oso pensare come sarebbe andata se mi avessero scoperto. Si erano messi a fumare e il fumo mi piz-zicava in gola. Per non tossire, che mi avrebbero scoperta, giù acqua, mi è andata bene. Al mattino ripreso il cammino passai davanti a una grande chiesa dove si stava celebrando la Mes-sa. Rimasi e vidi un grosso libro sopra un tavolo; serviva per i visitatori che avessero voluto apporre la loro firma. Anch’io lo feci, aggiungendo, “pellegrina italiana”. Qualcuno lo lesse e dal mio carrello si capì che ero io. Un distinto signore venne a chiedermi se mi serviva qualche cosa. Ebbi fiducia in lui e gli raccontai il caso del portafoglio. Insieme si andò in Questura. Lui, si fece garante per me, così mi è stato dato un foglio dove era riconosciuta la mia identità e il permesso di permanenza per un mese. Dopo due mesi dal rientro a casa mi chiamaro-no i carabinieri: era arrivato il mio portafoglio, non mancava niente.

POLONIA AL VOLO

Per la seconda volta mi metto in cammino per andare in Polo-nia dalla Madonna Nera e mi sono messa in testa di essere là

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per il giorno della Sua festa, il 15 agosto.Materialmente non era possibile, mancava meno di un mese e il cammino a piedi richiedeva 40 giorni. Avendo dovuto an-dare con gli ammalati a Lourdes non mi era stato possibile partire prima. Nella mia testa però era fisso il chiodo, dovevo essere a Czestochowa il 15 agosto. Il cammino è stato normale, come al solito c’è chi dà una mano e chi si rifiuta. La questio-ne notte è sempre problematica, ma sempre in qualche modo l’ho risolto. In questo cammino sono stata anche male da non potermi reggere in piedi perchè per la fretta di andare avevo dimenticato di mettere carburante nello stomaco e ho lasciato l’asino a digiuno. Mi è accaduto anche che un contadino (pen-so a parole) voleva rompermi un palo sulla schiena perchè in-dugiavo a lasciare il suo campo nel quale io avevo intenzione di dormire. Ho preso anche delle belle lavate da Giove pluvio, il tempo spesso è stato inclemente. Tutte bagatelle, niente di grave, però un pomeriggio un forte temporale mi ha costret-to a rifugiarmi in un posto di frontiera della Repubblica Ceca dove assolutamente non si poteva sostare. Le guardie solleci-tavano che prendessi un mezzo, ma io non volevo.Ogni macchina quando giungeva a quel posto doveva fermar-si per ritirare un bollino. Quando passò una macchina italiana, le guardie stesse chiesero un passaggio per me e caricato il mio carrello mi ingiunsero di partire con loro; quei viaggiato-ri andavano in Polonia. Nella vicenda ravvisai la mano della Provvidenza, ma non immaginavo il seguito. In macchina ci presentammo. Loro andavano in vacanza dal fratello in Po-lonia. Quel signore subito gli telefonò se poteva ospitarmi e quello disse di essere felice di accogliermi. La mia storia di pel-legrina li coinvolse talmente che il giorno dopo loro stessi vol-lero portarmi al Santuario. Il fratello abitava a Belsko-Biala in Polonia e distante 200 km dal Santuario. Io volevo farli a piedi, ma essi mi supplicarono di accettare la trasferta in macchina. Non avrei voluto accettare, ma li ho visti talmente contenti e interessati a conoscere il Santuario che insistere nel rifiutare era un’offesa grave come dar loro un pugno nello stomaco.

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In macchina poi sembravano due ragazzini che stessero an-dando a una festa. Vollero consegnarmi direttamente a Suor Teresita, responsabile dei pellegrini. Ella si meravigliò del mio arrivo così anticipato e commentò la cosa dicendo: “La Ma-donna aveva fretta di vederti”. Mancavano ancora due giorni alla festa.Riflettendo poi su quanto era accaduto mi sentivo come in col-pa e parlandone con un Padre gli chiesi cosa avrebbe fatto lui al mio posto ed egli mi rispose: “La stessa cosa”. Allora mi sono messa tranquilla. Desideravo essere alla festa della Ma-donna per il giorno 15 e sono stata più che esaudita.Il Signore non ha alcun limite per operare le sue meraviglie, può servirsi delle cose più impensate: qui è bastato un acquaz-zone, una macchina, una famiglia generosa e a Czestochowa sono arrivata in un giorno.

LAPILLI-GIARRE

In un bel pomeriggio di sabato sono arrivata a Giarre un po’ presto e vado alla ricerca di una chiesa dove eventualmente ci celebrasse la Messa prefestiva. Sono fortunata, una chiesa è sulla strada e una passatoia rossa che arriva fino sul marciapie-de indica che si celebra un matrimonio. Infatti molte persone sono ad attendere gli sposi. Anche se io sono una cenerentola, pure stando in fondo alla chiesa voglio partecipare alla Messa. Appena finito esco e riprendo il carrello che avevo lasciato in custodia. Mentre sto per avviarmi un forte boato ha causato un fuggi-fuggi generale. Tutti correvano a prendere coperte per coprire le macchine. Presto, presto, gridavano. Lui ha star-nutito. Lui era il Vulcano, l’Etna. Poco dopo è scesa una nevi-cata nera di lapilli che ha coperto tutti di un manto nero. La sposa pure col suo abito bianco, uscendo dalla chiesa è stata investita dai lapilli e gridava: Il mio vestito, il mio vestito! Le buttarono addosso delle coperte, ma certo si sarà rovinato per-chè i lapilli bruciano. Per me è stata una novità, sentito sì ma

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mai visto una cosa del genere. Per la strada era tutta una con-fusione. La nevicata nera continuava e non potevo camminare con il carrello. Gli angeli ci sono in ogni dove e un giovanotto si impegnò per farmi avere un ricovero per la notte. Finii in una struttura assistenziale denominata “Boccone del Povero”. Sono stata accolta con molta cortesia e generosità.Al mattino però era impossibile partire, quello “starnuto” ave-va provocato una caduta di 40 cm di neve nera.Gli ospiti uomini, ed erano parecchi, che come me erano in quella struttura si sono muniti di pale e badili per fare un pas-saggio sulla strada. Sono partita poi nel pomeriggio. Che im-pressione quella coltre nera!Il paese “Giarre” è ai piedi del vulcano e i residenti spesso hanno di queste brutte sorprese. Se un lapillo cade ancora ac-ceso su una macchina si dice lasci un buco. E se cade in testa?... Il mio paese di Castiglione non ha di questi problemi.

UN CUORE MOLTO SENSIBILE

In una bella sera calda pur essendo arrivata in un paese non ho voluto andare in una pensione e ho preferito mettermi su una panchina sotto una pensilina dove si aspetta l’autobus. Non era la prima volta, la notte l’autobus non viaggia e si può stare tranquilli. Apro l’ombrello, che quale tenda mi toglie dalla vista di eventuali passanti, metto la borsa per cuscino, il carrello a lato e io sono a posto. Due sole preghiere perchè ho pregato tutto il giorno e mi metto a dormire. Quasi subito mi addormento. Non so bene, forse da un’ora ero addormentata, che sento una voce gentile che chiama: “Signora, signora”. Al momento ho creduto, vedendo il suo viso al “cioccolato”, che lei pure volesse dormire su quella panchina. Invece mi disse che lei abitava nella casa di fronte e dalla finestra mi aveva vi-sto dormire sulla panchina. Ne aveva provato tanta pena che non riusciva a prendere sonno e perciò, mi invitava a casa sua che aveva un letto libero. Non avevo nessuna voglia di muo-

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vermi e le dissi che stavo bene sulla panchina. Vidi il suo volto triste e allora aiutata da lei, presi su la mia dote e andai nel suo appartamento. Era un indonesiana con due bambini piccoli, due e quattro anni, il marito lavorava lontano in miniera. Era cristiana e cattolica, i suoi bambini già sapevano le preghiere. Quei bimbi al trovarsi una nonna non volevano più andare a letto, presero fuori i loro giochi ed erano come elettrizzati dalla gioia. Un po’ la mamma li ha accontentati, ma facendosi tardi li rimise a letto. Dormirono poco perchè dovevano guar-dare la nonna. Ho quasi rimpianto la mia panchina! Benchè al mattino sia partita alle 8 e non alle 5 come al solito, non riuscivo a liberarmi da quei cari angioletti e anche dalla loro mamma che avrebbe voluto mi fermassi almeno un giorno, si sentiva molto sola.È stata molto generosa, mi riempì la borsa di tante cose buone e mi ringraziò di avere accettato l’ospitalità della sua casa.È stata una nota rosa nel mio cammino.

SAN GIOVANNI BOSCO

Che stupenda domenica ho passato! Nella città di S. Luis Poto-si è arrivata la Reliquia di San Giovanni Bosco. Quando ho letto l’avviso all’ingresso della chiesa ho provato una gioia grande sia perchè S. Giovanni Bosco è italiano e sia perchè veniva nel-la stessa città dove io facevo sosta. Pensavo che di S. Giovanni Bosco, come reliquia, si trattasse di qualche cosa di suo, inve-ce, è arrivata l’urna completa contenente il suo corpo. Nella Cattedrale autorità religiose e civili nonché una marea di gente lo stava aspettando. Fu salutato da un prolungato squillo di tromba, poi da uno scampanio a festa e infine dalla banda cit-tadina che in lingua locale si esibì con il noto inno: Don Bosco ritorna fra i giovani ancor... quidi prese la parola il vescovo, e il superiore dei Salesiani. Battimani, Evviva Don Bosco, Evviva il Papa, un entusiasmo alle stelle alimentato dai giovani che erano moltissimi. In questa città vi è un collegio salesiano che

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accoglie più di tremila studenti. Il santo è stato lasciato alla venerazione dei fedeli che addirittura si pigiavano per tocca-re l’urna, fare foto. Specialmente le mamme lo mostravano ai loro bambini piccoli e con la manina questi mandavano baci al santo. Una devozione non da manuale ma sentita veramente con il cuore. È rimasto in cattedrale tutta la mattinata per dare a tutti la possibilità di vederlo e toccarlo e poi in processione di nuovo con gran scampanio e lancio di palloncini è stato por-tato al collegio salesiano. Qui era stato preparato un grande gazebo adornato di nastri, luci e fiori; poteva essere un angolo di paradiso e di fatto poi lo è diventato perchè vi hanno posto il Santo. La festa continuava nel tardo pomeriggio, ma c’era un sole implacabile e io sono andata in un’altra chiesa perchè senza il cappello si sarebbe cotta la “zucca”. Alla sera grandi fuochi d’artificio hanno coronato la festa. Credo che la Santa reliquia sia stata portata anche in altre città del Mexico. Non sapevo che i Santi viaggiassero, ora sono aggiornata.

GEOVA

I testimoni di Geova, come la gramigna, si trovano dappertut-to e sempre è polemica. Io nemmeno mi sognavo di incontrar-li, ma loro, pur in macchina, hanno visto me vecchierella, sola con un carrello, hanno pensato che avrei potuto aderire alla setta. Subito, al primo approccio, ho capito che erano troppo mellifui, troppo invadenti e chiacchieroni. Quel Deus stesso dovrà turarsi le orecchie! Non è valso che dicessi loro che ero cattolica, andavo a venerare la Madonna, volevo offrirle la pe-nitenza di andare a piedi ecc. Ero una poverina, perchè vec-chia, non sapevo che cosa dice la Bibbia e qui volevano, seduta stante che ascoltassi la lettura di un passo del libro Santo dove Deus dice che castigherà tremendamente chi si ostina a rifiuta-re la sua parola. Erano in quattro, tre donne e un uomo, forse hanno visto in me un pollo da spennare. Poi cambiarono tat-tica, conoscevano un uomo adatto a me, abbastanza ricco. Era

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un’occasione per godere le gioie della vita anche se non ero più tanto giovane. “Bellissima idea per voi, ma niente da fare- dissi- vi saluto tutti, e lasciatemi passare”. Mi stavano tanto appresso che a un certo momento ho temuto mi obbligassero a salire in macchina perchè l’uomo ha messo la mano sul mio carrello. A questo punto, si era in una piazzetta, ho detto for-te: “ Signori, avete intenzione di rubarmi il carrello”? Alcune persone stavano a conversare e una di esse mi gridò: “Signora, ha bisogno”? Quelli capirono di aver perso la partita e senza dire parola se la filarono via. È stato un momento difficile e buon per me che non ero in un luogo solitario che altrimenti la cosa poteva finir male. Non tutti hanno rispetto ed educa-zione e quasi sempre cercano di adescare persone deboli, sole, sfiduciate promettendo loro paradisi artificiali. Se si dà retta anche a una solo loro parola non si riesce più a liberarsi. Spiace essere maleducati o scortesi, ma con loro bisognerebbe esserlo.

IRMA HARRO

La prima volta che sono stata in Mexico nel 1997, scesa all’a-ereoporto di Monterey, non sapevo quale direzione prendere per andare al Santuario della Madonna di Guadalupe. Mi ri-volsi a una signora addetta alle informazioni e quella mi chiese come mai non avevo proseguito con l’aereo. La mia intenzione era di andarci a piedi e glielo dissi. Quella mi guardò forse pensando che non ero normale e subito esclamò: “Impossibi-le”! Mi presentai al meglio. Ero una pellegrina, già avevo fatto esperienze del genere ecc.“Qui non siamo in Europa, ribattè, è pericoloso, l’ammazzano a vista”. Discutemmo un po’, ma fu irremovibile, non voleva avere una grave responsabilità, tal-mente era sicura, che ci avrei lasciato la pelle. Dopo un po’ si fece un po’ più malleabile e mi disse di aspettare il suo turno, poi mi avrebbe accontentato. Passarono ben due ore, io freme-vo che avrei voluto partire subito ma dovetti adattarmi. Dove-va prima mangiare e cambiarsi.

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Molto carina, la signora Irma mi presentò ai suoi famigliari in una maniera piuttosto strana: “Questo è mio padre, ora tuo padre, questa è mia madre, ora tua madre” e così per tutti i famigliari. Alla fine aprì il frigorifero e mi impose: “Prendi e mangia, tutto tuo”. La cosa andò per le lunghe, ma alla fine “Andiamo” mi disse. Pensavo mi portasse su una strada dove iniziare il cammino, invece... mi portò alla stazione ferroviaria mi fece il biglietto per la città del Mexico e mi affidò a una signora che sarebbe stata la responsabile qualora fossi scesa dal treno. Io, povera tapina, cosa potevo fare? Proprio nien-te di niente. Le carrozze del treno erano più che sgangherate, sporche, vetri rotti, i sedili toccavano terra. Una confusione di mamme con bambini. Quando questi avevano i bisognini, giù le braghine e la facevano in corridoio. Passava poi un uomo con scopa e paletta. Un viaggio così è inimmaginabile. Comun-que sono arrivata dopo una notte di treno. Da un taxi mi sono fatta portare a una pensione vicina al Santuario. Mai visto una cosa simile: letto e tavolino inchiodati al pavimento. All’en-trata del Santuario, dislocate in vari spazi, pattuglie di guar-die con mitra spianato. Quell’apparato militaresco mi ha fatto molta impressione, per non dire paura. Altra circostanza che non prevedevo il dislivello di altitudine mi causò un malore. Il nemico è a 3500 m sul livello del mare. Per due giorni sono stata seduta sulla porta del Santuario come chi chiede l’elemo-sina, non riuscivo a reggermi in piedi. Grazie a Dio è passato. Ho vissuto a banane e angurie. Sono rimasta dieci giorni e poi finalmente nel ritorno il cammino a piedi come desideravo.Dopo quaranta giorni sono arrivata a Monterey e sono andata a salutare la Signora Irma la quale al momento non mi ha rico-nosciuto, avevo perso 10 kg di peso.Con il cammino del ritorno mi sono riconciliata un po’, però il ritorno non è la stessa cosa che l’andata, manca l’entusiasmo, la scintilla dell’incontro atteso giorno dopo giorno, passo dopo passo. Per questo l’anno dopo sono ritornata ancora, facendo a piedi 1400 km che distanziano Monterey da Città del Mexico.

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CARNE ASADA

Questa parola vuol significare carne pressata fino a diventare stesa come fosse un’asse. Un volta mi è stata data ad una comi-da, per me aveva nessun sapore, era come una fibra legnosa. Però non mi si è detto come andava mangiata e così, tale e qua-le, per me valeva meno di niente. Racconto questo episodio perchè sulla parete centrale di un edificio quasi alla fine della costruzione, un cartello a grandi caratteri portava la scritta: Prossima apertura “centro carne asada”. Vi sono passata da-vanti una sera di pioggia battente e ho pensato che quel luogo poteva essermi di riparo per la notte. La porta era transennata da due assi disposte per traverso, il che voleva dire “privato” ma, per evitare la pioggia, vi entrai ugualmente. Mi accorsi subito che era un posto da “polmonite”. Dalle varie aperture passava un’aria da gelare fino al midollo. Ero incerta se re-stare o meno ma poi decisi di rimanere. Presi le due assi che fungevano da porta, le sistemai in un angolo il più riparato possibile, e divennero il mio letto. Le folate di vento con fischi e sibili entravano e uscivano dalle finestre alternandosi come a una danza, portando seco talvolta spruzzi d’acqua. Una notte da dimenticare! Un cagnolino con una zampa rotta venne a farmi compagnia: eravamo due poveri derelitti! Non so quale ora fosse, si fermò una macchina ed entrano cinque persone, quattro uomini e una donna.Era buio e al momento non mi videro, quasi si spaventarono e mi chiesero come mai mi trovavo nella loro casa.Raccontai la mia storia di pellegrina e grande fu la loro mera-viglia. Sono stati più che disponibili, se volevo mi avrebbero portato in una pensione nella città vicina. Era ormai notte e ho preferito rimanere dove già stavo. Dopo cordialissimi saluti e auguri risalirono in macchina, erano venuti a vedere a che punto era il loro locale, prossimo centro di carne asada. Rimasi sola con il cagnolino e la danza del vento.

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VAGABONDI

Conoscerli da vicino è una cosa ben triste e, almeno io, non riesco a capire il perchè della scelta di una vita così grama, quasi paragonabile a quella di cani randagi. Fanno tanta pena e non si sa come poterli aiutare. Cosa cerchino, cosa a loro in-teressi, non si capisce. Alcuni sembrano assorti in un mondo irreale che solo loro vedono, gli occhi sembrano persi nel nul-la. Sono quasi tutti poco più che ragazzi. A uno di essi chiesi della sua famiglia: “Uno schifo” la risposta. Ad altro dissi che andavo dalla Madonna, credette fosse una donna: non voleva saperne niente, ad un altro ancora chiesi se aveva sentito par-lare di Dio. Certo, mi rispose, però Lui sta lassù e mio amico è solo lo Spirito Santo. Un giorno uno di essi, stranamente, venne vicino a me e mi disse essere io sua nonna, lui aveva 23 anni e da me voleva una sola cosa, i fiammiferi. Non po-tevo darglieli, non li avevo e glielo dissi. Come avessi parlato al vento: “Nonna, dammi i fiammiferi,” ogni cinque minuti, era questo il ritornello. Voleva pane, frutta? No, i fiammiferi. Incontrai due donne che appena ci videro fecero dietrofront e scapparono come avessero visto il diavolo. Come mai, forse lo conoscevano? Proseguendo si passò davanti a una comida e quel giovane vi entrò difilato. Non ho fatto in tempo a ralle-grarmi, di nuovo è venuto vicino a me a chiedere fiammiferi. Era magro, allampanato, piedi nudi, occhi inespressivi e una gran testa di capelli. Nello zaino doveva avere quasi niente tanto era striminzito. Quel ragazzo cominciava a preoccupar-mi. Voleva i fiammiferi e solo i fiammiferi. Un operaio della strada glieli diede e di corsa si inoltrò nella campagna. Non l’ho più visto. Un altro giorno ne incontrai uno vestito di sacco con un mantello pure di sacco sulle spalle, sandali ai piedi. Lui era Gesù Cristo in persona, si vestiva così per non finire in croce un’altra volta. Camminava veloce come avesse una gran premura. Poveretti! Che pena, anche loro sono figli di Dio, ma non lo sanno.

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PICCOLO SAN BERNARDO

Nel mio programma mi aspettava al varco il “Piccolo San Bernardo”. Un’altitudine di 2010 m. Era la prima volta e la cosa mi elettrizzava. Tutti mi sconsigliano, tutto un tornante, bruttissima salita, automobili nei due sensi, carrello da tirarmi dietro e gioventù di un tempo del quale ho perso il ricordo. Avrei potuto salirvi in macchina ma volevo farlo a piedi. La sera precedente, tanto per non cambiare, pioggia. Mi rivolsi a un prete che incontrai per caso, forse poteva essermi di aiuto. Mi disse di avere una soffitta nella quale però lui non entrava da vent’anni, dotata dei servizi e per di più indipendente dalla sua casa. Che bellezza, anche se pioveva, per me c’era il sole! Mi diede le chiavi e mi disse di suonare al suo campanello per qualsiasi cosa avessi avuto bisogno. Ne presi possesso e la notte passò veloce. Mi alzai prestissimo ma una brutta sor-presa mi aspettava. Non si apriva la porta che fra l’altro non avevo nemmeno chiuso a chiave. Giro e rigiro quella maniglia, scuoto forte la porta, niente, non si apriva. Avrei dovuto suo-nare al parroco ma come fare se non potevo uscire? La soffitta aveva un piccolo balcone dalle assi mezzo divelte. Fossi salita vi era pericolo di volare in strada. Mi affacciai con cautela per vedere se qualcuno passava per fare suonare il campanello al parroco. Difatti un signore portava a spasso il cagnolino. Lo chiamai a tutta voce ma non volle assolutamente chiamare il parroco, perchè era troppo presto, però lo chiamò al ritorno dalla passeggiata. Subito il parroco venne e senza problemi aprì la porta. Si era bloccata per il lungo tempo che non era stata usata. Tutta felice sono ritornata sulla strada e ho iniziato la salita facendo varie tappe più o meno brevi. Ognuno aveva da dire la sua e io ho lasciato dire ciò che volevano. Alla fine della mattinata ho raggiunto la cima, 2010 metri e contavo 82 primavere. Non ho vergogna a dire che mi sono sentita orgo-gliosa. Come sono arrivata, sono stata accolta dal battimani di turisti e passeggeri che mi avevano vista salire.È stato più che bello.

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GENEROSITÀ EVANGELICA

Ogni giorno viene sera ed essa porta con sé la notte mio, pro-blema quotidiano. Un giorno, invece, non avevo questa preoc-cupazione, un’insegna pubblicitaria annunciava una pensione a una distanza che certo a sera avrei raggiunto. Così è stato, ma come sono al cancello il custode mi dice: “La pensione è chiusa a causa della rottura di una tubatura dell’acqua, non possiamo accettare nessuno”. Io che tanto ci contavo rimasi proprio male. Nei pressi vi era una gasolinera e raccontai della cosa. Mi suggerirono di prendere l’autobus, ma non volevo venir meno alla promessa di andare a piedi. Un operaio che già aveva finito il suo turno propose una soluzione: se volevo, ovvero, se accettavo, lui mi portava dalla sua mamma. Sarei ri-masta a dormire da lei e al mattino mi riportava alla gasolinera dove lavorava e di nuovo avrei potuto riprendere la strada a piedi. Affare fatto, telefonò alla mamma che accondiscese vo-lentieri e in macchina si andò a casa sua dove pure lui abita-va con la sua famiglia. Era distante 20 Km. Sono stata accolta come una di famiglia, non solo, ma la mamma è stata tanto discreta da passare a dormire dalla figlia per lasciare la stanza libera per me.Al mattino mi si volle dare un fior di colazione, un sacco di cose buone da mettere in borsa e di nuovo in auto il figlio mi riportò alla gasolinera come si era convenuto. La ge-nerosità di questa persona, operaio certo non benestante, andò oltre, e mi regalò ben 200 €. Non volevo accettare, aveva già fatto molto, moltissimo, ma è stato irremovibile. Questi soldi lui me li dava con il cuore in mano, non poteva fare un cammi-no a piedi come stavo facendo io, però poteva contribuire ad allegerirne il sacrificio. Sono rimasta senza parole e ho pregato perchè questo gesto tornasse a Lui in benedizione.

DIFFIDENZA

In Italia, benchè sia il mio paese, come pellegrina, spesso mi

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sono trovata piuttosto male e penso che ciò sia dovuto al fatto che sono anziana e perciò non credibile. Pellegrina alla mia età? La gente è molto diffidente, talvolta rasenta la cattiveria, i giovani sfottono col prendere in giro, gli Istituti trovano mille scuse per scaricarti da uno all’altro. Pa-recchi anni fa, forse nel ‘90, un rifugio per passare la notte era la stazione ferroviaria. Una sera, ed era il giorno di Pentecoste, dopo avere assistito alle funzioni liturgiche pure io ho dovuto scegliere questa soluzione. Scelsi un angolino nascosto, fingen-do di non vedere chi mi guardava con occhi poco benevoli; so-litamente sono posti per barboni e una donna faceva eccezione e oltre questo ho notato interesse per il mio carrello. Ci sono le guardie, ma bisogna dormire con un occhio solo; c’è il caso di avere delle sorprese poco piacevoli. Sono rimasta un’oretta ma non mi sentivo tranquilla, troppe erano le occhiate che riceve-vo. Allora, tirandomi appresso il carrello, sono andata sulla porta. Mi si avvicinò una guardia e mi chiese come mai mi trovavo nella stazione quando c’era un ostello poco lontano. Già vi ero stata, risposi, ma avevano solo quattro letti e tutti occupati. Passò parola al suo collega e disse a me: “Venga, l’ac-compagno io”. Ho visto gli altri dormienti sollevare il cappello dagli occhi per guardare meglio un’occasione alla quale forse avevano fatto un pensierino, e invece era sfumata.L’ostello non avevo alcun ospite e il rifiuto ad accogliermi lo giustificarono perchè mi ritenevano una mendicante. Ho finto di credere ma sono persuasa che non mi credettero. Non mi preoccupo certo per questo, solo che questo mi accade solita-mente nel mio Paese che si chiama Italia e non ho vergogna a dire che questa diffidenza mi fa male.

UNA PUZZA SUPER

San Francesco benedice il Signore Iddio per sorella acqua e anch’io sono con lui, ma quando mi coglie per la strada e spe-cie in campagna, dove non c’è nemmeno una casa, non sono

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tanto tranquilla. È logico che spesso mi trovi in questo fran-gente vivendo sulla strada. In una delle solite giornate, il cielo da terso che era, divenne tutto una nuvolaglia e dopo poco, acqua a catinelle. Speravo fosse un breve temporale invece era proprio pioggia. Per un po’, con l’ombrello, si può andare, ma avendo il carrello, se la pioggia persiste è meglio cercare un ri-paro. Trovarlo però è un problema. Non mi era andata nemme-no male, un casotto piuttosto grande, dopo circa un’oretta, era proprio sulla strada, quasi mi aspettasse. Subito entrai, anche se pure l’entrarvi era difficile per l’accozzaglia di cose che vi si trovavano. Un’auto da rottamare, biciclette, carriole, attrezzi di lavoro ecc. Un grande cumulo di paglia stava proprio nel mezzo e subito mi accorsi che da esso veniva una puzza e una puzza così asfissiante che toglieva il fiato. Forse vi era seppe-lita una bestia e dall’odore doveva essere in decomposizione, impossibile resistere, quel fetore bloccava anche lo stomaco, faceva star male. Buon per me che pioveva (qui ho ripensato le mie proteste per l’acqua che spesso mi lava da capo a piedi). Se non avesse continuato a piovere sarebbe stato impossibile resistere. Rimanendo sull’entrata e turandosi il naso si poteva sottostare a questa veramente brutta situazione e pure questa è stata una notte da dimenticare. Di dormire non c’era nem-meno da pensarci, togliersi le scarpe, ancora meno; già molto era poter respirare e ciò grazie all’acqua che tutta notte non ha cessato di cadere. Solo al mattino ho potuto riprendere il cammino e ho dovuto dire “grazie” anche se avevo trovato riparo in un posto tanto repellente; fino al pomeriggio non ho incontrato un riparo passabile.Tutta campagna e solo campagna ed è stato un bene perchè mi ha tolto la puzza che mi sarò portata addosso stando tutta la notte in quel casotto.

SOLE E SOLE

Anche frate sole in Mexico nelle ore calde picchia da matti.

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Se non si usa prudenza si può incorrere in seri guai. Alberi nemmeno sognarli, come protezione il sombrero imbottito di erba o di un panno bagnato. Quale novità! Quattro bicocche prospicienti la strada tenevano nel loro cortile un albero ben fronzuto i cui rami facevano ombra pure sulla strada. Doveva-no considerarlo molto prezioso perchè era cinto da un retico-lato.Non c’era anima viva e io ho pensato di sostare un po’ all’om-bra tanto provvidenziale e nel contempo mangiarmi tranquil-la un panino. Avevo appena formulato il pensiero che vedo arrivare un cagnolino. Penso sia un avvertimento ad andar-mene, ma ugualmente rimango sotto quell’ombra, non facevo niente di male. Invece ho dato fastidio a chi abitava in quelle case. Si avvicinarono due bambini, avrei voluto far loro una carezza, sono fuggiti spaventati. Sono poi sopraggiunte due donne, poi altre due, altri bambini e anche un uomo. Cosa vo-levano? Vedere cosa avevo nella borsa. Cose mie, a loro non dovevano interessare, feci capire. Bene, ma dal momento che godevo dell’ombra della loro pianta, dovevo tirar fuori i soldi e pagare. Difficile spiegare che non ero un mercante, ma una pellegrina che andava dalla Madonna a piedi perchè senza soldi. E mangiare? Ecco, un pane più duro di una scarpa, e glielo mostrai che ancora lo tenevo in mano. Una donna allora saltò su a dire: “Dammi il tuo sombrero” “Tu già hai sombrero, gli feci eco, io tengo solo questo”. Intanto altre persone si era-no avvicinate e il loro volto non diceva niente di buono. L’un l’altro si dicevano: deve pagare. Mi sono vista nei guai e peg-gio sarebbe stato se avessi aperto la borsa. Non temendo conto della loro ostilità presi la macchina fotografica e dissi: “Ora in posa, vi faccio una bella foto e la porto alla Madonna”. È stato un oh! oh! di meraviglia che non finiva più e anche la mia sal-vezza perchè poi mi lasciarono andare senza pagare l’ombra. Sono stati momenti difficili.

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AUTOSTRADA

Sarà stata una pazzia ma io una sera sono andata a dormire nello spartitraffico dell’autostrada. Da più persone mi era stato detto di stare attenta alle vipere. Già le avevo viste al mattino sul ciglio della strada e temevo rimanere la notte nel campo, lo spartitraffico mi dava più sicurezza. Aspettai che venisse un po’ buio e in un momento di calma risalii dalla scarpata e andai a sistemarmi in questo mio nuovo HOTEL. Parte e l’altro era delimitato da piccole pianticelle, potevo star tranquilla, stesa a terra nessuno poteva vedermi. Le auto sfrec-ciavano a destra e a sinistra, io mi sentivo al sicuro.Temevo di dormire troppo e di farmi sorprendere dalla po-lizia quando al mattino sicuramente avrebbe fatto il giro di sorveglianza. Dormii poco. Alla quattro ero già uscita, felice che un’altra notte era passata e l’avevo trascorsa “gratis”. Ve-loce mi incammino, uno svincolo era a soli 5 km e speravo raggiungerlo prima che gli “angeli della strada” uscissero per la vigilanza: “Signora, cosa fa qui a quest’ora? Da dove è venu-ta?” Indicai loro la scarpata e mi venne da dire: “Avevo paura delle vipere, qui sono più sicura, ma appena sono allo svin-colo esco subito”. Credevo che fossero loro a condurmi allo svincolo come qualche notte è avvenuto quando incontravo le gallerie, invece mi dissero solo: “Faccia presto”. Allo svincolo, uscii e già era mattino avanzato, alcune “signorine” erano in attesa di clienti e mi guardavano con un misto di curiosità e di compatimento. Lo intuii subito e rivolgendomi a loro sor-ridendo: “Vado dalla Madonna a pregare, vorreste venire con me”? Non mi risposero, allora aggiunsi: “Non ora, non avete tempo, ma quando avrete compreso che è un’altra la strada che porta in Paradiso”. Avranno pensato che ero un poco mat-ta, ma io in mezzo allo spartitraffico ho sognato il Paradiso e lo auguravo a tutti.

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UNA COMUNITÀ SPECIALE

Il suono di una campanella mi sorprende sul far della sera. Ci sarà una chiesetta qui nei pressi? Mi domando, però non vedo nessun campanile. Proseguendo scorgo un grande edificio se-minascosto dagli alberi, ho pensato a una comunità religiosa e ho suonato il campanello. Un uomo venne ad aprire e mi chiese cosa desideravo. Mi sono presentata e fatta la solita ri-chiesta dell’ospitalità. Prima di rispondermi l’uomo mi disse: “Ma lei non ha paura?” Sorpresa ho chiesto: “Perchè dovrei”? Era una comunità nella quale erano ospiti ragazzi che si erano resi colpevoli di gravi crimini. Alcuni di loro erano ancora in una fase di pericolosità per sé e per gli altri; temeva per la mia persona. In quel momento stavano tutti a tavola; la campanel-la richiamava per l’orario della cena. Non presi paura di siffat-ta descrizione, entrai nel salone-refettorio e spiegai il motivo della mia presenza. Andavo a piedi dalla Madonna e in quel momento era sulla strada senza sapere dove passare la notte. Subito alcuni si alzarono dicendo: “Io, io, le do il mio letto”. Il custode intervenne: “Il letto c’è pure per lei. Però, voglio sa-pere se voi l’accettate”. È stato un coro di sì. In una mezz’ora sono diventata la nonna di tutti e quante cose avevano da rac-contare. Loro stessi mi prepararono il letto e poi mi fecero co-noscere il loro laboratorio di falegnameria, la cappella e tutto quanto serviva allo svolgimento di una vita in comunità. Alla fine della giornata la partita in TV. Naturalmente mi spiega-vano ogni passaggio con una competenza da cronisti. Alcuni mi raccontarono la loro storia con tristezza, la società non li avrebbe mai perdonati, loro stessi non si perdonavano. Uno solo era un po’ esagitato e invocava maledizioni e fulmini sul mondo intero. Nessuno però gli faceva caso. Le situazioni era-no molto delicate e non pronunciai mai una parola. Nel conge-darmi al mattino dissi solo che li avrei ricordati alla Madonna. È stata un’esperienza triste.

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ANCORA ACQUA

Una mattina ho incontrato una ragazza che, desiderosa di fare anche lei qualche cosa per la Madonna, voleva accettassi un passaggio in auto. A nulla valsero le motivazioni del mio an-dare a piedi, era fissata nel volermi portare in macchina. Si mise persino a piangere, ma non ho voluto scendere a compro-messi, non ero in necessità. Cordialmente ci siamo salutate e ognuna per la propria strada. La giornata era bella al mattino, ma più tardi si eclissò il sole e verso sera giù acqua senza re-missione. Fortunatamente ero in un paese e subito trovai una pensione. La signora, che al vederla si sarebbe detta la moglie del diavolo, non mi lasciò neppure aprire bocca, mi squadrò da capo a piedi e a bruciapelo mi disse: “Se ne vada, non c’è posto”. Era tanto brutta che quasi il rifiuto mi ha fatto piacere. Nella stessa strada trovai poi un’altra pensione ma purtroppo era chiusa per ferie. Alquanto scontenta proseguo sperando in un possibile aiuto ed ecco che una macchina si ferma; era la stessa ragazza della mattina. Tutta giuliva mi caricò in mac-china e mi portò in un istituto di suore che lei conosceva. Mi accolsero fraternamente ma le vidi molto preoccupate. Dopo cena la superiora si attaccò al telefono; compresi che voleva scaricarmi altrove. Infatti mi disse poi di pazientare un poco, mi avrebbe ospitata una signora, che stava per venire a pren-dermi, loro non avevano alcuna possibilità. Quella signora arrivò e mi portò a casa sua ma qui, altro problema perchè voleva darmi il letto del figlio e quello si sarebbe alzato a mez-zanotte. A me andava bene anche il divano oppure una sdraio e anche il pavimento, ma quella signora voleva che fossi ben comoda e insistette nel volermi dare il letto del figlio.Questi doveva fare un lungo viaggio e si era riposato in an-ticipo. Non potevo insistere, sarei stata scortese, e aspettai la mezzanotte. Finalmente l’asino andò a riposo. Mi è sembrato duro aspettare tanto, ma certo la Madonna voleva quel “fiore di fine giornata” per qualche anima particolare a Lei cara.

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CARITÀ PELOSA

Per me la sera arriva sempre troppo presto, mai mi sento pre-parata ad affrontare le difficoltà per la notte. Se però sono in un paese fa capolino la speranza. Infatti mi è venuta da una donna che mi consigliò di rivolgermi al parroco. Poiché era un po’ complicato trovare la sua casa mi ha accompagnato lei stessa. Mi è andata male, non voleva donne in casa. Era una sera brutta, piovigginosa, l’ostello era a 8 km, non sarei riuscita a far tanta strada prima di notte. Ho visto che aveva un garage e lo proposi come soluzione, non sarebbe stata la prima volta. Scattò in piedi quasi arrabbiato dicendo: “Io, prete, alloggerei una persona, per giunta donna e anziana in un garage? Nel vi-cino paese c’è un ostello troverà sicuramente accoglienza”. Lui diceva bene, ma io avevo già tutta la giornata sulle spalle, pio-veva poco ma pur pioveva. La signora che mi aveva accompa-gnato cercò di indurlo a più mite consiglio a mio favore. Fiato sprecato, non voleva donne. Visto che insistere era solo una perdita di tempo, lo salutai e sono ritornata in strada. Avevo appena finito un rosario che il suono di un clacson mi bloccò. Era una donna autista che il prete mi mandava per portarmi all’ostello. Mi sono sentita molto contenta sopratutto per Lui, non era certo stato un buon samaritano. La signora autista an-che lei era di cattivo umore, il prete le faceva perdere tempo. Arrivate all’ostello lo troviamo chiuso per ferie. Molto seccata: mi dice: “e adesso?” al che rispondo: “Cercherò una pensio-ne”. Lei di rimando: “Io non pago”. Stesse tranquilla, avevo i soldi. Sentito ciò, ha cambiato umore e tutta gentile mi disse: “Preghi per me e mi mandi una cartolina da Lisieux perchè io porto il nome di questa Santa. Lei, Santa Teresina del Bambino Gesù, mi ha fatto tante grazie”. Prima di risalire in macchina per ritornare a casa sua mi ha dato un euro per il francobollo. Tutti si può sbagliare, non c’è da meravigliarsi, siamo fatti di terra, ma il ricredersi è un dono del cielo.

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ALLUVIONE

Da più giorni piove e i campi sono quasi tutti allagati. Sulla strada si può ancora camminare, ma la situazione è difficile. I fossati tracimano, i muggiti delle vacche nelle stalle mezzo al-lagate sono impressionanti. Nei campi più a valle case con l’ac-qua al primo piano. Pure in collina ho sentito che la situazione è preoccupante. Nel paese ovunque passerelle sopraelevate, è una desolazione. Vorrei uscire presto da questa zona alluvio-nata ma poche sono le strade praticabili. La polizia talvolta mi ha dato una mano, ma non è a mia disposizione e per riparar-mi almeno un po’ mi sono rifugiata sotto una pensilina d’atte-sa dell’autobus. Il tempo non voleva risolversi, a mezzodì ero ancora sotto la pensilina. A un dato momento arriva un uomo con in mano una scodella fumante, erano tortellini. Mi aveva visto dalla finestra della sua abitazione di fronte. Ritornò poi con una bistecca. Troppa Provvidenza e non volevo accettare ma alla fine ho mangiato tutto. Il tempo continuava ad essere inclemente e nel pomeriggio, sempre quella persona, mi ha portato a casa sua per farmi conoscere alla moglie e poi al cen-tro assistenza pellegrini perchè avessi un luogo dove passare la notte. La pensione era più che mini: per entrarvi ho dovuto smontare il carrello però ero al coperto. È stata una giornata persa, come cammino, ma ancora una volta la Provvidenza mi ha guardato con amore e fatto incontrare persone generose.Al mattino il tempo era più trattabile, mi sono state indicate strade per le quali si poteva passare senza problemi. I disa-stri dell’alluvione li ho visti ancora per diversi giorni e anche sentito i muggiti di quelle povere bestie che pure loro invo-cavano aiuto. Che giornata amara il vedere tanta desolazione senza poter dare aiuto! Quei torrenti colmi di acque marroni che ovunque tracimavano erano un gran stringimento al cuore per i danni che arrecavano.

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CICERONE

Ogni volta che inizio un cammino raccomando sempre a me stessa di far giudizio ovvero di non ca,dere nella tentazione della gola. La mia testa di asino (di “burro”, dice una mia ami-ca del Mexico) non capisce niente, ogni anno sono alle prese con una solenne indigestione. Stavolta un certo profumino di cose buone veniva da un negozio la cui vetrina, era sulla stra-da e mostrava piatti molto invitanti pronti da gustare. Sono stata indecisa se entrare o meno, ma poi prevalse la golosità. Ho chiesto cosa conteneva un determinato piatto che mi solle-ticava di più. “Cicerone” mi rispose la commessa. Ne sapevo quanto prima, ma avevo vergogna a farmi spiegare meglio e mi sono fatta servire alcuni pezzi. Appena fuori, era mezzo-giorno, mi sono seduta su un sasso per gustare subito, mentre era caldo, un pezzetto di quella che dal profumo, doveva esse-re una cosa molto buona. Povera me, erano cotiche di maiale arrostite! Ne mangiai solo due pezzetti, di nuovo avevo fatto una sciocchezza, non era roba per me. Rifilai il sacchetto con i pezzetti rimasti a una donna che li gradì molto e sperando di non avere guai ho ripreso il cammino. Un paio di ore dopo ho cominciato ad avere un tale malessere che non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Mi sono seduta, ma non passava niente, quelle cotiche volevano tornare a vedere il sole. Una ragazza ha capito che stavo male e a lei ho chiesto il favore di chiamarmi un taxi che mi ha portato in una pensione dove sono rimasta fino al mattino per smaltire la… sbornia di “cicerone”.Sarà l’ultima volta? Lo spero e me lo auguro ma poi succede che la gola mi tradisce e mi fa pagare il conto.

UNA FESTA PER LA MADONNA

A una festa così bella in onore della Madonna, non avevo mai avuto occasione di parteciparvi. Tutta la città di Matheuola, si

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è stretta attorno alla sua Madonna nella festa patronale. Credo non mancasse nessuno, gremita la chiesa, il sagrato, la piazza e ancora arrivava gente. Ogni angolo della chiesa ornato con fiori, drappi, luci, una magnificenza. La Madonna collocata nel presbiterio per essere portata i processione indossava una tunica di seta bianca sulla quale, chi voleva, poteva appuntare una colombina di carta posta a disposizione. In un cesto sulla colombina la scritta: Maria, ti amo. Pure io ho avuto la gioia di appuntare una. Alla fine era tutto una colombina e così è sta-ta portata in processione, preceduta dai musicanti, dai bimbi della prima Comunione e dal clero. Una marea di gente era al seguito con sventolio di bandierine azzurre. Ogni tanto si alzavano grida: Viva Maria, viva il Papa, seguite da applausi. La gente la si vedeva molto partecipe e devota e specialmente nel ritornello dei canti era un unico coro. Vi erano persone di ogni ceto, tutte accomunate nel rendere onore alla Madonna. La vigilanza urbana, in alta tenuta, controllava che la proces-sione si svolgesse regolarmente. Così è stato e per me è stata una soddisfazione che mai avrei pensato di godere. Ciò, credo, è stato per tutte le persone presenti perchè i loro volti sprizza-vano gioia.Quando poi, prima di entrare in Cattedrale, tramite il Vesco-vo, idealmente la Madonna ha benedetto la folla, è stato uno scrosciare di applausi che non finiva più. Alla sera fuochi d’ar-tificio e musica in piazza. Avevo il desiderio o meglio, la curio-sità, di andare a vedere ma dovendo partire presto il mattino dopo, ho pensato di rinunciare, già ero più che appagata per aver visto tanto onorata la Madonna. Credo che meglio non avrebbero potuto fare: ciò che rallegra il cuore è che era tutta gente giovane, quindi un buon auspicio per il domani.

NONNI AMABILI

In un piccolo paese alcuni uomini stavano passando il tempo al gioco delle carte. Il mio carrello attirò la loro curiosità e mi

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chiesero di sostare un po’ per bere un’aranciata. Offrivano loro. Ringraziai, non avevo tempo, cercavo una pensione. Nel paese non ne esistevano, però da solo un mese era stata inaugurata una “residenza” per anziani. Provare a chiedere non costava niente. Grata per l’informazione mi sono fatta spiegare dove si trovava e sono andata a bussare a quella porta. Era una strut-tura pubblica e nel regolamento non era compresa l’accoglien-za di pellegrini, perciò non potevano ospitarmi. Ho insistito che era solo per una notte, non pretendevo un letto, mi andava bene pure il ripostiglio delle scope. Ad una persona responsa-bile venne in mente di informare il sindaco. Questi venne, era una signora, molto gentile e comprensiva. Non mi disse né sì né no, ma si è rivolta ai “Nonni” chiedendo il loro parere. La parola Lourdes ha fatto scaturire sopratutto nelle Nonne una scintilla di simpatia e amicizia tale che ognuna era disposta a cedermi il proprio letto. È stata una cosa commovente, ognu-na mi contendeva per avermi nella sua cameretta, desiderosa che le raccontassi qualche cosa di Lourdes. La scelta alla quale aderire è stata difficile, mi sono trovata fra molte mani tese e visi sorridenti, come fossi stata un loro famigliare. Non sono mancate richieste di preghiera alla “Grotta di Lourdes”, ma ciò che mi ha stupito, è stato che chiedevano preghiera non per sè stessi, ma per i nipotini che volevano crescessero sani e belli. Andò a finire che, già era l’ora del riposo sono stata messa a letto come un bimbo piccolo, ho dovuto lasciarmi sve-stire e rimboccare le coperte. Questa esperienza mi ha fatto maggiormente comprendere come la cosa più bella che si può dare a una persona anziana è l’affetto. Dico persona anziana perchè questa cosa è accaduta a me, ma tutte le persone hanno bisogno di affetto.

PENSIONI

Nel cammino di un pellegrino è molto importante trovare un luogo ove passare la notte. Anche nei paesi caldi la notte è

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sempre fredda ed un riposo protetto è una benedizione. Certo “adattarsi” è una parola fondamentale. Non mancano pensio-ni degne di questo nome, ma la maggior parte, specialmente nelle campagne, sono i contadini che dietro un piccolo com-penso mettono a disposizione un locale; chiamarla pensione è come dire che un bastardino è un cane di razza, ma c’è il vantaggio che si è al sicuro e al coperto. Può capitare, ed a me è successo, di avere visite extra per via della porta che non chiu-de bene ed allora il muso di un maiale può facilmente entrare senza chiedere permesso. Una sera una scrofa con al seguito i suoi porcellini è venuta a trovarmi. Questo accade quando la “pensione” è nel cortile, che si può dire fa parte del loro am-biente. Le finestre si possono scordare, per i servizi spesso c’è la campagna e l’acqua, solitamente una pompa, è all’esterno. La notte passa presto, far riposare i piedi è già molto. Quasi sempre questo è il mio “menù” giornaliero quando mi va bene, escluso sabato e domenica sera dove sempre cerco di avere una vera pensione per essere un po’ presentabile la domenica, giorno in cui non cammino. In certi paesi gli ostelli sono una bella risorsa come in Spagna lungo il “Cammino di Santjago”, ma purtroppo altrove non sono frequenti. Nelle città c’è il dor-mitorio pubblico, ma è meglio evitarlo. Solo un paio di volte ne ho fatto conoscenza e sono scappata via subito; è roba per uomini o meglio, per chi è senza fissa dimora. Meglio, molto meglio sotto un ponte o in un prato. Se il cielo ti vuole bene e non ritira le stelle per farti una doccia, è la sistemazione più bella del mondo.Provare per credere, ci si trova in un altro mondo, la terra non c’è più: tu guardi il cielo e il cielo... guarda te!

INCONTRI OCCASIONALI

È raro, davvero molto raro, che passi un giorno senza che qualcuno, vedendomi pellegrina, non si fermi per vuotare il sacco dei suoi problemi e magari abbracciarmi e piangere sulle

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mie spalle. Si direbbe che l’umanità è sommersa da un mare di guai, è come un immenso cronicario. In questi tempi, poi, la droga è subentrata ad aumentarne il peso. È appunto il caso di una giovane signora. Scende dall’auto, corre ad abbracciarmi e fra i singhiozzi mi dice: “Ho un figlio drogato, sono dispe-rata, ha solo 17 anni. Preghi, preghi tanto”. Un’altra signora, doveva subire un intervento difficile, dovevo parlarne con la Madonna, aveva tanta paura. Dovevo ricordarmi di un marito dedito al gioco, e via di questo passo con persone più o meno oppresse dai fatti tristi della vita. Un incontro invece piacevole con un ragazzo, che ha voluto recitare una decina di rosario con me, mentre una nonna voleva darmi qualche cosa ma, fru-gando nelle tasche, trovò solo quattro caramelle, scusandosi, le diede a me. Si incontra anche gente balorda: secondo me lo era un autista che stando in macchina mi gridava: “Via, via dalla strada, hanno ammazzato mia sorella sulla strada, ammazza-no anche lei, via via”. Non gli ho dato retta e cosa ha fatto? Ha chiamato la polizia. Questa è venuta e mi ha detto di non preoccuparmi. Un altro ragazzo scende dalla sua grossa moto rossa e mi propone di accettarlo per fare insieme un pezzo di strada. Con piacere, gli dico e incominciai il rosario. Di un bal-zo risalì sulla moto e via a tutta birra. Un incontro carino: due coniugi, lei incinta, avevano già sei maschietti, aspettavano la femminuccia. Divertente la proposta di un signore di mezza età, vedovo da quattro anni, non trovava moglie, e un pensiero l’aveva fatto nei miei riguardi giacchè, se andavo in giro con un carrello, certo non avevo marito. “Ha indovinato”, gli ho risposto, ma è meglio tirarsi dietro un carrello che un marito” e scherzosamente aggiunsi: “Con il carrello vado dove voglio io, con un marito, dovrei andare dove vuole lui”.

LA SIGNORA LUX

Bellissimo questo nome anche se la persona che lo portava, di Lux non aveva proprio niente. Ancora piuttosto giovane

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era come incartapecorita per il sole e il lavoro nei campi. Non aveva marito, ma era nonna di tutti i bambini del villaggio. Benchè li cacciasse con la scopa la sua casa era sempre piena di marmocchi più che turbolenti. Da lei mi ha accompagnato un uomo dicendomi che era la bontà in persona e certo mi avreb-be ospitato. Di fatto mi ha ricevuto con amicizia. Aveva tre stanze da letto e una cucina. Ha fatto scegliere a me quale pre-ferivo e ho visto un bel sorriso di compiacenza quando le ho detto che mi andava bene il divano. Se la sua casa era sempre piena di bambini la mia presenza li ha raddoppiati e resi più birichini. Entravano e uscivano da porte e finestre, si calavano anche dal letto, era un pandemonio. La sua scopa non riusciva neanche a sfiorarli, sembravano dei passeri in volo tanto erano veloci. Povera signora Lux, le sue minacce contavano meno di niente. Finalmente è venuta sera e gli angeli bruni tornarono alle loro case. Vi era pace e silenzio. Lei si dedicò alla cena, al riordino della casa e a pulire le verdure. Con sorpresa ho visto che toglieva le spine e la pelle alle foglie dei fichi d’India che fungevano da siepe alla sua casa, e poi li metteva a cuocere. Mi ha detto che sono più buoni degli spinaci. Ho notato che face-va una grande economia di acqua, con un bicchiere ha lavato tutti i piatti. È venuta anche l’ora del riposo e io ho occupato il mio divano. Solo allora mi sono accorta, che non vi erano ser-rature, e che, tra la porta e il pavimento poteva passarci benis-simo anche un gatto. Figurarsi gli spifferi, mi pareva di gelare anche nel sacco a pelo. Durante la notte mi sono alzata per an-dare a prendere la mia bottiglia d’acqua dimenticata in cucina, e come apro la porta mi trovo davanti un grosso involto e poco è, mancato che gli cadessi addosso. Era la signora Lux che, av-volta in una montagna di stracci, faceva la guardia. Ci siamo spaventate tutte due e alla mia domanda come mai dormiva in terra, quando aveva delle belle camere da letto, mi ha risposto che sempre dorme così. Sarà vero, ma penso che avesse paura le rubassi le sue cose.

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L’ARCA DI NOÈ

Echi di musiche mi giungevano da un paese che stavo per rag-giungere. La borgata festeggiava S. Anna alla quale è dedicata la parrocchia. Il gran pavese adorna le strade e si vede la gen-te in festa. Non ho ancora finito la mia giornata di cammino, ma decisi di fermarmi; sul tardi c’era la Messa. Cosa piuttosto insolita, una donna del posto mi invita a casa sua, non me lo faccio ripetere e vado con lei. La sua casa era come un antro molto grande, uno stanzone semicircolare dalle pareti di sas-so e così nero di fuliggine che poteva essere la casa dell’Or-co. In mezzo a un rialzo di mattoni il fuoco a vista era l’unica cosa che si poteva vedere. Unica apertura la porta, dalla quale (quali padroni, più dei padroni stessi) entravano e uscivano l’asino, il cavallo, il maiale, le capre, le galline, i cani e i gatti. Ridendo ho detto alla donna, “questa è l’arca di Noè” al che lei mi ha risposto: “qui noi facciamo tutto”. Prevedendo la do-manda che stavo per farle, aggiunse: “La camera è qui attigua” mi ha aperto poi la porta per mostrarmela. Come arredo, il solo letto matrimoniale. Ha tolto un materasso dal letto e lo ha messo a terra, quello era per me. Un poco perplessa osai chiedere: “Cosa dirà il marito?” “Niente, è buono”. Arrivò più tardi con cavallo e carretto, c’era posto per tutti. Mi ha parlato un po’ della sua famiglia: cinque figli, nove nipoti, nonna bis a 59 anni. Dopo esserci raccontate un po’ di cose, altra sorpresa: doveva chiudermi nella stanza da letto altrimenti non poteva più salvarsi dalla curiosità delle persone che mi avevano vi-sta andare a casa sua. Più tardi lei mi chiamava per andare a Messa. Davvero due donne sono venute a curiosare come lei temeva, ma non mi hanno vista e la cosa è finita lì. Alla Messa ci sono andata da sola, il prete seduto sui gradini della chiesa stringeva la mano a tutti i suoi parocchiani e lo fece anche con me. Una corale di ragazzini ha stupito per la bravura con la quale hanno accompagnato la Messa: degni di una Cattedrale.L’arca di Noè è stata proprio il posto giusto per il mio asino.

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LA MADONNINA DEI CAMIONERO

Che bella sorpresa! Anche i camionero hanno molta devozione alla Madonna e non passano davanti alla Sua edicola senza fermarsi per una preghiera e accendere un cero. Percorrendo pure io la loro stessa strada, ancora da lontano ho visto un assembramento di camion e pensavo a una sosta per la comi-da oppure a un controllo della polizia, niente di tutto questo. Quando pure io sono arrivata a quel punto ho visto che si trat-tava di una piccola chiesetta e quando ho potuto entrare sono rimasta assai sorpresa. Vi erano sì, statue varie di Madonne, Sacri Cuor di Gesù e di molti santi, quasi un bazar. Ma ciò che più colpiva era la lunga teoria di scarpine, magliette, succhiot-ti, bavaglie, calzine ecc. Mi si è detto che quelle cose le offri-vano i camionero alla Madonna perchè, per l’innocenza dei bambini, fosse loro concesso di tornare a casa ad abbracciarli. Ogni camionero è consapevole che il suo lavoro è molto ri-schioso e stare sulla strada giorno e notte è quanto mai perico-loso. Le molte croci che sono da ambo le parti sono più che un cimitero. La loro vita è sempre appesa a un filo perciò, sempre si fermano per una preghiera che idealmente mettono davanti alla Madonna con le cose dei loro bambini perchè li protegga. Questa materna protezione loro concessa, più volte anch’io ho avuto modo si può dire, di toccarla con mano. Un giorno una mandria di cavalli ha saltato il recinto e attraversato la strada. Una fila di camion era in discesa, poteva essere un’ecatombe per cavalli e uomini, invece tutti si sono salvati. Alcune volte ho assistito a sorpassi da brivido: quattro camion sorpassarsi contemporaneamente! Quella Madonnina credo che mai possa distogliere i Suoi occhi da questi poveri lavoratori e i lumini, anche loro sono lì a ricordarglielo. Da un quadro dove è posta una pergamena, si legge che questa chiesetta è sorta per grazia ricevuta: distrutti i mezzi, ma salvi gli occupanti.

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UN’ECATOMBE DI ANIMALI

Un cielo più nero della pece lasciava prevedere un grosso temporale. Erano solo le 4 del pomeriggio, ma prima che si aprissero le cataratte era meglio mettersi al riparo. Due enormi strutture bianche mi hanno dato l’illusione di trovare un ripa-ro ma nessuno è venuto ai cancelli. Forse erano allevamenti di bestiame perchè erano in mezzo ai campi. Già i primi tuoni rimbombavano e i fulmini serpeggiavano nel cielo. Ritornai sui miei passi in prossimità della strada. Proseguire era pe-ricoloso e, se lo era pure il fermarsi, ho preferito restare. Per togliermi dalla strada mi sono messa in un fosso di sassi che delimitava il campo. Seduta sul mio carrello e in parte pro-tetta da alcuni alberi, mi sono messa a contemplare la guerra che accadeva in cielo. Fulmini e tuoni a volontà, ma tutto si svolgeva ad almeno 10 km più avanti. Mi aspettavo che da un momento all’altro scendesse una pioggia torrenziale, invece, nemmeno una goccia, fulmini e tuoni da spaccare le monta-gne, ma acqua, niente. Avevo continui sussulti ad ogni tuo-no, mi domandavo se sarà così la fine del mondo. Guardare il cielo faceva paura tanto era terribile, però, lo spettacolo era avvincente. Non volevo perdere la traiettoria di un fulmine né il rombo di un tuono. Guardavo quel terribile cielo quasi domandando a me stessa se ero ancora viva e in quale parte del mondo mi trovavo. Quello che vedevano i miei occhi non poteva essere realtà. Non so quante ore sono passate ma certo molte, perchè quando è cessato quel finimondo, il cielo si è riempito di stelle e quindi era notte. Avendo iniziato alle 4 del pomeriggio è stata una bella sarabanda. Il fosso è diventato poi il mio albergo. Al mattino quello che ho visto sulla strada è stato un orrore raccapricciante: animali sfracellati, interiora un po’ ovunque, testa maciullata, ho dovuto distogliere lo sguar-do per non sentirmi male. In mezzo alla strada un cavallo era stecchito con pancia all’insù. Una vera ecatombe di animali e anche di alberi divelti. Quando il cielo si infuria succedono queste brutte cose, forse è il Signore che ci ammonisce.

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CHIARO E SCURO + ACQUA

La zona che sto attraversando è di una povertà assoluta. Rare sono le case che si possono chiamare tali, la maggior parte sembrano casotti per animali. Un pomeriggio mi è venuta la curiosità di vedere come erano fatti all’interno e ho preso una capezzagna che portava cinque o sei di queste bicocche. Tut-te le porte erano aperte e benchè chiamassi nessuno si è fatto vivo. Ho visto solo un povero vecchio che mi ha fatto tanta pena. Seduto al tavolo con una scodella in mano, al vedermi, quasi piangendo e spaventato mi ha gridato: “Per carità, vada via”.Sono tornata sulla strada ma il pensiero che avevo fatto tanta paura a quella persona anziana non voleva lasciarmi. Prose-guendo sulla strada, dentro un cortile, ho visto alcuni casotti come quelli di cui avevo già fatto conoscenza. Il cancello era aperto e sono entrata. Attigua vi era una casa con la luce acce-sa. Bussai alla finestra e venne ad affacciarsi un signore tutto elegante. Subito gli chiesi se poteva concedermi uno di quei casotti per essere al coperto la notte giacchè ero una pellegrina. “Certamente” mi disse, però sarei stata scomoda, lui stava uscendo, era solo, e non gli era possibile ospitarmi meglio. Presi alloggio in una di quelle bicocche e una volta per tutte mi è passato il desiderio di farne la conoscenza. Non sono ri-uscita né a star sdraiata né in piedi, ma solo mezzo seduta sul carrello. Al mattino uno spettacolo meraviglioso si è presenta-to al mio sguardo: il paese sulla collina sembrava un castello incantato. Era tutto una fantasmagoria di luci che per essere ancora buio era quantomeno fiabesco. Poi è venuto giorno ed un altro spettacolo ancora più suggestivo: nuvoloni neri con-trastavano il sorger dell’aurora. Questa tentava di sorgere nel suo splendore ma un nuvolone nero era subito pronto a gher-mirla. Dopo un po’, di nuovo tutta splendente si affacciava, aveva vinto? Nemmeno per sogno! Il nuvolone nero ancora la cacciava via. Questo alternarsi di lotta mi spingeva quasi in-consciamente a fare il tifo per l’Aurora, ma purtroppo il nuvo-

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lone nero ebbe partita vinta. Passò solenne come un generale, portandosi in groppa il bel faccione tondo dell’Aurora. L’avrei ammazzato tanto più che dopo, giù acqua!Ad essa si è unito pure il vento che rendeva ancora più diffi-cile salire quella collina. Al mattino presto il paesaggio era un incanto.Mi raggiunse quel signore che mi aveva ospitato nel casotto per regalarmi della frutta. Voleva offrirmi pure un passaggio ma lo rifiutai, un pellegrino deve onorare il proprio nome.In questa vicenda a me è sembrato di vedere la lotta del male contro il bene che purtroppo è iniziata da Caino. Anche ora è così, ma la Chiesa ha la promessa di Cristo: le forze degli inferi non prevarranno!

TOPI A CENTINAIA

Molte persone hanno una paura tremenda dei topi, per fortu-na non è il mio caso, altrimenti sarei morta cento volte. Dopo molto insistere, un rivenditore di carne di maiale mi ha con-cesso un angolo del suo magazzino-mattatoio e, bontà sua, mi disse che potevo usare il materasso che stava in un angolo. Felice di trascorrere una notte al riparo, chiavi in mano sono entrata nel mio nuovo alloggio. Subito mi resi conto della ri-luttanza del padrone, era un ambiente tanto permeato dall’o-dore delle carni macellate che toglieva il respiro. Su varie tavo-le di assi vi erano cotiche e altre carni sezionate di maiale forse pronte per essere lavorate e messe in vendita. Non erano certo all’odore di gelsomino. Per me, vivendo la giornata all’aperto, quella puzza era ancora più insopportabile e ho pensato di tenere la porta aperta. Povera me, un grosso cagnaccio era a far da guardia. Chiusi immediatamente e sono andata a sdra-iarmi sul materasso addormentandomi quasi subito. Dopo un po’ mi sento grattare i piedi. Spaventata, mi sveglio e accendo la luce, un esercito di topi correva sul pavimento e alcuni di essi mi stavano rosicchiando letteralmente i calcagni. Come

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accesi la luce è stato un fuggi fuggi generale e dove sono fini-ti? Nel materasso, quella era la loro casa! Io dico sempre che tutto mi va bene, però dormire su un materasso di... topi non l’avrei mai immaginato e non sapevo quale soluzione prende-re. Il cagnaccio sulla porta era sempre di guardia, dormire sul pavimento? Fosse stato un poco pulito, mi andava bene, ma era tanto lurido di grasso che si appiccicavano le scarpe, im-possibile! Anche il carrello è una Provvidenza. Su esso mi sono seduta e appoggiando i piedi su un secchio, ho tirato mattina. Temendo la luce accesa, i topi non sono più usciti dal materas-so e io sono stata tranquilla; dopo tutto ero al coperto, grazie a Dio.

UN UOMO CON LA PIPA

Come al solito sono alle strette con il problema notte e siccome non ho fatto voto di dormire all’albergo delle stelle faccio tira-re l’asino fino a quando non ne può più, sperando sempre di trovare... un cantuccio possibile. Stessa storia tutte le sere, non fa eccezione quella che sto per raccontare. Sono alla fine della giornata e mi sorride la speranza che giunta alla cima della salita troverò un “ostello”. Avrei voluto arrivarci il più presto possibile ma purtroppo, ogni tanto, dovevo fare una sosta per riprendere fiato. Una donna autista si accorge che sono in dif-ficoltà e mi offre il suo aiuto. Non può fermarsi che più avanti e mi fa segno di raggiungerla. Vedendo che andavo troppo a rilento è venuta lei stessa a tirare il carrello. La signora non era del posto però sapeva dove si trovava l’ostello e chi era il responsabile. Di bene in meglio, ho pensato, ma arrivate all’o-stello una notizia spiacevole: chiuso per restauri. La signora non volle arrendersi , voleva parlare con il responsabile. Lo trovammo in una piazzetta che passeggiava con la sua brava pipa in bocca. Subito si interessò del mio caso, ma non poteva far niente; l’ostello era un cantiere, da poco erano andati via gli operai. Alla mia domanda se vi era uno sgabuzzino dove

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gli operai deponevano gli attrezzi, mi rispose che quello c’e-ra, ma non era pensabile potervi passare la notte. Replicai che non sarebbe stata la prima volta, più volte mi era già accaduto di sistemarmi fra scale, secchi, badili, sacchi di cemento ecc. e sempre ne ero uscita viva: se lo permetteva avrei osato, ero una pellegrina da sacco a pelo non una Principessa! Sorrise e disse: “Venga a vedere”. Siamo andate e vedendo quel bugigattolo la signora: esclamò “Impossibile”. “Non per me”, replicai, vorrei avere un posto tanto così in Paradiso. Un pellegrino deve sem-pre sapersi adattare a tutto.

UN UOMO PROBO E SANTO

Il percorso mi ha portato a salire una collina alberata di fag-gi. Giunta alla sommità, un largo spazio verde invitava a una sosta. Con sorpresa ho scoperto che vi si trovava una bella edicola, una santella, quasi una chiesetta. Sul frontespizio una scritta a caratteri grandi ma un po’ sbiaditi diceva: “Qui visse un uomo probo e santo”. Rimasi assai meravigliata al vedere anche come era tenuta bene. Tovaglia pulitissima, candelieri, fiori. Doveva essere un luogo di devozione. Ciò mi ha fatto decidere a fermarmi per la notte anche se era ancora presto. Se lì aveva vissuto un santo di sicuro mi avrebbe protetto. Sull’imbrunire, quasi buio, quel praticello si riempì di tante piccolissime luci, erano le lucciole: che meraviglia! Non le ave-vo più viste, da quando ero bambina! Avevo una bellissima compagnia. Nel bel mezzo della notte mi sveglio con un gran freddo addosso e cerco di coprirmi meglio. Nel fare questo con la mano sento qualche cosa di viscido. Accendo la pila e mi vedo tutta letteralmente coperta da lumache, quelle senza il guscio. Che schifo! Forse le aveva attirate il colore della mia persona. Mi liberai dall’involto di cellofan e all’istante presi la decisione di scendere a valle. Non avevo pensato che il rumore del carrello avrebbe spaventato gli animali del bosco. Questi impauriti sfrecciavano in ogni direzione. Io pure ho preso pau-

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ra sia degli animali che di due fari rossi che salivano adagio la collina. Erano le guardie forestali, essendosi accorte che qual-cosa non andava venivano a controllare. Forse pensavano al peggio, perchè giunte vicino mi salutarono senza aggiungere parola. Io mi aspettavo almeno una rampogna e l’avrei meri-tata. Non immaginavo proprio che il bosco ospitasse tante be-stiole; tra il rumore del carrello e la luce della pila sembravano impazzite quando mi sono resa conto era tardi per rimediare. Mi è spiaciuto, spero non mi accada mai più.

SOGNO O REALTÀ

Era il 13° anniversario della morte della mia mamma e tutto il giorno ho pensato a lei struggendomi dal pensiero di sapere se era andata in Paradiso. Venuta la sera mi sono inoltrata in un viottolo fra campi sassosi divisi fra loro da siepi spinose. Mi sistemo su una piccola altura di sassi e contemplo il cielo, è una meraviglia: l’Orsa maggiore, l’Orsa minore, la via Lat-tea, la stella Polare, non manca niente. Ad un tratto vedo che la siepe spinosa che mi sta davanti unisce i suoi rami come a formare un intreccio e le foglie diventare larghe larghe, ho avuto l’impressione che formassero un manto. Mentre stupita ma tranquilla, guardavo cosa succedeva, questo gran manto si è alzato nel cielo diffondendo un acuto profumo di incenso. Io l’ho visto salire alto, alto poi è scomparso, non ho visto più nulla. Sono andata a sentire se le foglie della siepe avevano odore di incenso, le ho stropicciate, non avevano alcun odo-re. Forse il cielo ha esaudito il desiderio di sapere se la mia mamma era in Paradiso? Io non credo di aver sognato tanto più che la sera dopo pur trovandomi in un’altra località dove non vi erano né siepi né alberi si è verificata la stessa cosa: un forte odore d’incenso inondava l’aria. Da terra, come fosse una nuvola, si è fermato un grande manto che piano piano si è in-nalzato fino a scomparire nel cielo. Aspettavo che questo fatto si ripetesse una terza volta ma non è più accaduto. Per me è

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stato già molto, moltissimo, aver avuto questo segno anche se può essere stato un sogno.Mi ha lasciato una tale serenità che per me è stato come se la mia mamma fosse venuta personalmente a dirmi: “Stai tran-quilla, sono in Paradiso e prego per te”. Ero al mio pellegri-naggio in Mexico. Voglio pensare che sia stato solo un bellis-simo sogno anche se il cielo non guarda ai nostri meriti per favorirci.

LA PROVVIDENZA

La Provvidenza è una solerte compagna di viaggio, premuro-sa, attenta e anche consigliera: se si tendono a Lei la mente e il cuore siamo sicuri di arrivare alla meta. In questo episodio che sto narrando mi ha tirato proprio per i capelli. Ho passato tutta la giornata in mezzo alle boscaglie. Il sole era possibile vederlo solo a tratti. La sera avrei avuto il tempo per arrivare al paese ma non ne avevo voglia. Nella foresta vi erano tan-te cataste di tronchi d’albero che decisi di mettermi vicino ad una di esse per passare la notte. Pensato e fatto, due tronchi d’albero messi vicino, ed ero più che a posto. Contrariamente al solito non riesco a prendere sonno. La cosa è strana, solita-mente mi addormento subito. Faccio scorrere il rosario una, due volte, niente, sveglia come un grillo, non riesco ad addo-mentarmi. Penso e ripenso a cosa fare: il paese è a 6 km, in due ore ci sono ed è meglio che mi guadagni la strada piuttosto che stare lì a crogiolarmi. Rifaccio il mio carrello e via, tanto quella strada dovevo pur farla. Ero appena all’inizio del paese che scoppiarono lampi e tuoni da finimondo. Ho fatto appena in tempo a raggiungere la solita pensilina d’attesa dell’autobus che si sono aperte le cataratte del cielo e giù acqua. A tenere compagnia all’acqua è sorto un vento talmente freddo che ta-gliava la faccia: se fossi rimasta nella boscaglia, povera me! Si è fermato un autobus e voleva farmi salire anche se non avevo il biglietto. Non ho voluto e quello ha scosso la testa come dire:

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“è matta”.Purtroppo non è stato un semplice temporale di breve durata ma fino alle due del mattino hanno continuato a imperversa-re acqua e vento. Spostandomi ora a destra ora a sinistra, a seconda delle “docciate” del vento, sono sopravvissuta e ho ringraziato la Provvidenza che mi aveva quasi spinto a uscire dalla boscaglia.

VOLATILI

Ecco, ho assistito a un fatto molto bello: il lancio di uccelli, dal-le gabbiette sono passati ai grandi spazi dell’aria. La forestale, carica di una quantità di gabbiette, si è fermata in un largo spa-zio sopra una collina e da lì ad una hanno aperto le gabbiette e dato via libera ad alcune centinaia di uccelli. Vederli librarsi nel cielo, era meraviglioso, non avevo mai visto nessun lancio di uccelli. Che bello, tutti sono andati nella stessa direzione, ad Oriente. Non erano molto grossi, più o meno come piccio-ni. Mi sono fermata a guardarli quasi godendo pure io della loro libertà. Temevo che qualcuno meno forte avesse a cadere e forse, lo temeva anche la forestale, perchè è rimasta finchè l’ultimo è scomparso all’orizzonte. L’operazione è durata un buon quarto d’ora, a un certo momento il cielo sembrava un brulichio di puntini neri. Vedere questo evento in diretta è una cosa indimenticabile, come lo è, sempre con riferimento agli uccelli, il caso che una sera un uccello grande mi è piombato addosso per rubarmi il pane che stavo mangiando. Che paura ho preso! È stato più veloce del lampo, non scorderò mai quel becco giallo. Però mi ha fatto scuola perchè sempre sul far del-la sera, in certe località molti uccelli fanno giri concentrici direi a bassa quota. Forse avranno fame, non so spiegare il perchè, comunque basta che agiti il bastone che quelli scappano. Una sola volta un uccello per evitare di finire sotto un camion ha sfrecciato come un proiettile al mio fianco, è stato come rice-vere un pugno e per alcuni giorni ne ho avuto il ricordo. Al

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crepuscolo, questi uccelli si incontrano e fanno come da noi le poiane, girano girano in tondo, forse a cercare chissà cosa. Finiscono anche sotto i camion talvolta e questo non è bello!

VALLADOLID

Da vari giorni non mi sentivo bene per la grande necessità che avevo di riposo. Siccome ero tutta bruciata dal sole (il quale sempre mi fa il regalo di ridurre il mio volto a chiazze bianche e rosse), la gente crede che sia malata e anche se mostro i soldi in mano, non ottengo l’alloggio. Ho pensato allora di andare in città e per raggiungerla al più presto ho preso il treno. “Com-pleto”, la prima pensione alla quale mi sono rivolta, la secon-da: “tutto occupato”, mi rivolgo a un’altra ancora e la signora mi dice: “Il posto c’è, ma voglio 50 € ”. Glieli dò prontamente e aspetto che mi consegni le chiavi. È tornata con i miei 50€ in mano e me li restituisce dicendomi, che non voleva sentirsi in colpa se l’indomani non avessi avuto niente da mangiare. Det-to questo chiuse la porta. Un poco triste vado a sedermi su una panchina dove vi sono altre persone e racconto del mio caso. Mi suggerirono di telefonare alla guardia civica che avrebbe risolto il mio problema. Lo hanno fatto loro stessi. Quella ven-ne con un collega e in macchina si è passati a chiedere in vari Istituti. Niente di fatto: o erano chiusi o non avevano posto. La guardia allora pensò di portarmi all’ospedale. A questo pun-to ho detto che avevo i soldi per pagarmi la pensione e dopo ancora vari dinieghi una pensione sembrava disponibile. Che sollievo per me e per gli accompagnatori che non sapevano più dove sbattermi. La signora della pensione però ha voluto es-sere certa che non fossi malata; quelle macchie bianche e rosse facevano proprio brutta impressione! Le ho pagato il dovuto per due giorni e sono andata a letto. Continuando io a dormire la signora ha chiamato l’ambulanza: avevo la pressione mini-ma a 40. Subito all’ospedale. Mi misero a letto con le spondine e per necessità avrei suonato il campanello. Io ho suonato, ma

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nessuno è venuto e sul pavimento si è fatto... il lago. Più in vergogna che mai ho chiesto scusa. Non mi dissero nemmeno una parola di rimprovero mi hanno lavata e imbraghettata con pannoloni. Ho passato la notte nel fradicio dei pannoloni che non assorbivano più. Al mattino mi hanno rimesso a posto con sufficienza e tolto le sbarre, potevo andare ai servizi.Dopo un altro giorno telefonarono alla signora della pensione che venisse a prendermi. È venuta ma mi dava ospitalità solo per una notte; meglio di niente. Io avevo dormito a sufficienza e mi sentivo bene, pronta a riprendere la strada e incontrare altre vicissitudini.Da questa esperienza ho imparato che il malato dovrebbe esse-re non solo servito, ma anche amato e tenute in considerazione le sue necessità. Restare a mollo non è una cosa piacevole.

PALAFITTA

Fonsagrada, una bella cittadina tra le montagne. Mi è stato assicurato che avrei trovato un ostello, invece non esisteva affatto. Vi era solo una trattoria che poi chiudeva all’una di notte e i gestori abitavano altrove. Per me non avevano nessu-na possibilità di un buco qualsiasi. Hanno avuto molta com-prensione offrendomi una buona cena, molti elogi per il mio coraggio, mi hanno persino lavato e medicato i piedi, ma ciò che più a me interessava non potevano offrirmelo. Fosse stata una bella sera mi sarebbe andato bene anche un prato ma il cielo era tutto un nuvolone pronto a rovesciare magari tonnel-late di acqua. Ormai di queste “probabilità” sono un’esperta. Appunto sto a guardare il cielo come si comporta, e vedo poco distante dalla trattoria un casotto situato in alto come su delle palafitte. Sotto fungeva da portico e sopra da ripostiglio per qualsiasi cosa. Già ne avevo visti altri nelle campagne dove sono passata. Quel casotto mi riaccese la speranza di passare la notte al coperto, ma come accedervi? Non vi erano né scale né altri attrezzi per salirvi. Alcuni massi di pietra ben distan-

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ziati e in altura diversa erano il solo mezzo per arrivare lassù saltando da un masso all’altro. Per un giovane è un gioco, ma per un’ultra-settantenne (allora) lo è un po’ meno. È vero che sono figlia di un capraio ma non una capra, e il caso proprio lo richiedeva. Come ci sia riuscita non lo so ma sono arrivata in quel casotto al momento giusto che cominciava a piovere. Se non avessi avuto la pila chissà quante zuccate mi sarei presa e magari anche avrei rischiato di cadere perchè vi era di tutto, dagli attrezzi di lavoro ai sacchi di patate. Molte trecce di aglio e peperoni pendevano dal soffitto. Solitamente in questi locali i contadini mettono frutta e verdura da conservare per l’inver-no. Non ha piovuto molto ma in quel casotto sembrava che l’acqua cadesse in testa. L’uscita al mattino è stata quasi un’av-ventura ma il Signore Iddio, vede e provvede; così è stato. Non ho capito come ho fatto a salire in quell’abitacolo-casotto con i piedi così disastrati per il continuo cammino.

BORDEAUX

Quando sono in prossimità di centri importanti o peggio an-cora di città, sono sempre rivolta al cielo per sollecitare il suo aiuto. Il traffico intenso mi stordisce, trovare le strade giuste è un rebus. Per me è tutto super complicato anche se preferisco strade periferiche è tutto un caos e perdo un sacco di tempo. La città di Bordeaux è una delle città più grandi della Francia, circolare è un’incognita, e questo pensiero mi batteva sempre in testa e non riuscivo a scacciarlo. Il carrello da tirarmi ap-presso rendeva tutto più problematico. Arrivata al “dunque” per immettermi nella giusta direzione un’auto si ferma e il conducente balzato fuori come un razzo mi prende il carrello dicendomi: “Subito in macchina, lei è una suicida a esporsi camminando con 40 gradi all’ombra”. Nella macchina c’era la moglie con due bimbi piccoli: 2 anni e 8 mesi il piccolino. Ri-messosi al volante volle sapere il come e il perchè e i rimpro-veri d’incosciente non mi sono stati risparmiati. Al cimitero

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finivo, altro che a Lourdes, se avevo così poco giudizio; era proprio arrabbiato di brutto. Il bimbo di 2 anni ha calmato i suoi nervi col cominciare a chiamarmi Nonna. Ritornò il buon umore e giacchè loro abitavano a Bordeaux mi offrirono niente meno che l’ospitalità nella loro casa. Il bambino era felice di avere una nonna con cui giocare si divertiva un mondo a mo-strarmi le sue prodezze e i loro genitori, intanto si occupavano di altre cose. Erano molto giovani lui 25 anni lei 18. Non ho fatto alcuna domanda, ma credo fossero americani e di reli-gione buddista. Forse per questo il mio andare a Lourdes gli era andato per traverso. Pensavo che con l’avermi ospitato la cortesia fosse finita, invece, lui si offrì di portarmi fuori città e questo gli è costato anche una levata molto mattiniera. Il cielo mi aveva esaudito con soprabbondanza. Sono stati davvero ammirevoli: non hanno guardato né alla mia povera perso-na né alla religione diversa e mi hanno dato generosamente il loro aiuto.

VIENNA

Uscendo da Vienna mi sono trovata in una difficoltà tremenda per la viabilità impossibile. Per l’ampliamento della strada era tutto un caos di mezzi semoventi, camion, articolati, sterratori ecc. Il traffico a senso unico, su solo un lato della strada, era regolato dal semaforo rosso, la coda che si formava nell’attesa era impressionante; tutti avevano fretta e quel “via libera” non arrivava mai. Quando poi si sbloccava via tutti come matti: fra essi, come un pulcino, anch’io con il mio carrello. Sia gli autisti che gli operai mi guardavano e forse avranno pensato che ero matta. Solo per la polvere che si respirava c’era da pre-occuparsi e ad essa andava ad aggiungersi l’acre odore della nafta. Questa situazione quasi tragica è durata per chilometri e chilometri. Al rosso del semaforo tutti fermi e qui è stata una grazia del cielo se non mi sono asfissiata. Tra i gas e la polvere la probabilità era al cento per cento. È stato proprio in uno di

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questi “Stop”, che una donna automobilista mi ha convinto che mi avrebbe tolta dal pericolo e ho acconsentito ad accettare il passaggio. Si è fermata poi davanti a una casa dove, mi disse, una persona l’aspettava. Questa parlava italiano e credo fosse un prete. Dietro consiglio della signora cercò di dissuadermi dall’andare a piedi, prendessi un mezzo. È stato solo una per-dita di tempo; ritornai in macchina e quella signora mi riportò dove mi aveva soccorso ma prima di lasciarmi mi segnò la fronte con la croce e mi disse: “Io volevo salvarla ma se lei non vuole, si raccomandi l’anima e vada con Dio; prima di sera, sarà già morta”. Il suo viso si atteggiò a una tale tristezza che per un momento ho pensato che mi dicesse il “De profundis”. Povera donna, mi ha fatto pena la sua sincera preoccupazione ma io tenevo per certa la protezione del cielo e non mi serviva altro: il sacrificio è una componente primaria nella vita di un pellegrino ma guai se è fine a se stesso.

BAMBINI

Ogni tanto mi va di lusso e questa sera sono arrivata in una piccola borgata di forse venti famiglie. Una bella chiesetta si può dire era il tutto. Davanti ad essa un grande sagrato dove alcuni bambini stavano giocando. C’era pure una bella pan-china che sembrava aspettasse proprio me. Mi sono seduta a guardare i loro giochi ed, eventualmente, passarvi la notte. Bambini e Nonni da sempre simpatizzano fra loro e nel giro di cinque minuti mi sono vista circondata da questi frugolet-ti. Prima ancora che mi facessero domande ho detto loro che ero una pellegrina, andavo dalla Madonna a pregare perchè le persone cattive diventino buone e non vadano all’inferno. Poi spiegai un po’ la storia dei Bambini di Fatima. Mi ascoltavano attenti, mi hanno fatto un sacco di domande e poi una bambi-na saltò su a dire: “Tu questa sera, dove vai a dormire”? “Non lo so” ho risposto, “potrei dormire anche su questa panchina, tanto non è freddo!” No, no, vieni a casa mia e ognuno mi tira-

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va per mano. Ho suggerito di domandare prima alla mamma. Volarono via come tanti uccellini. Sono venute quattro mam-me e ognuna era disposta a offrirmi un letto, non avevo che da scegliere e non ho avuto nemmeno il tempo, perchè una bambina già aveva preso il carrello, mi voleva a casa sua. Sono stata accolta come una persona di riguardo, hanno preparato la tavola come fosse domenica e ho cenato con loro. La gente povera ha sempre un cuore grande se è alimentato dalla fede. Ho fatto i complimenti per loro bella chiesetta; loro stessi ne erano i custodi e deploravano che a causa la scarsità di preti, avevano la Messa solo a Natale. Avrebbero avuto bisogno an-che di aiuto morale per una disabile grave della loro famiglia ma purtroppo, niente si poteva fare. Una nota divertente: una piccolina di quattro anni voleva che io andassi a dormire nel suo lettino. Santa Innocenza dei bambini: potessimo conser-varla tutta la vita!

PIPISTRELLI

Una casa sicuramente abbandonata perchè il suo perimetro avrà avuto almeno 20 cm di erba, ha attirato la mia attenzione quale HOTEL per la notte. Era anche sola, isolata in mezzo a un campo. Senza indugio volgo a lei i miei passi. La porta era aperta e sono entrata. Accendo la pila e mi trovo in mezzo a un gran turbinio di uccelli che, spaventatissimi, cozzavano uno contro l’altro per fuggire attraverso le aperture delle finestre. Erano pipistrelli che avevano preso dimora in quella casa ab-bandonata. Il mio sopraggiungere li ha resi come pazzi, era un turbine di ali svolazzanti in cerca di un’uscita. Al momento ho preso paura, ma poi mi sono resa conto di cosa si trattava, non ho avuto schifo a rimanere in quel posto anche se la grande quantità di questi uccelli aveva reso il pavimento un agglome-rato di sterco. I pipistrelli non volevano lasciare la loro dimora, uscivano da una finestra e rientravano da un’altra in conti-nuazione. Si dice che sono ciechi ma quando li ho minacciati

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col bastone hanno capito che quella sera il posto dovevano ce-derlo a me. Mi sono fatta un po’ di spazio pulito per stender-mi, la puzza era la limite della sopportazione. Però, ciò che mi dava molto fastidio, era la ronda che ogni tanto veniva a fare qualche pipistrello. Controllavano se ero ancora sul posto, ma io temevo una loro beccata e non sono riuscita a dormire. Mi sono accontentata di potermi togliere le scarpe e distendermi un po’. Avevo il vantaggio di essere sotto un tetto;se fosse venuto a piovere, il che succede assai spesso, ero al riparo. Poveri pipistrelli, hanno avuto lo sfratto immediato e nel pieno della notte; se avessero potuto parlare, chissà quan-te parolacce.Al mattino ho lasciato libero il loro alloggio ma fino a sera, quando ho trovato una pensione mi sono sentita addosso il loro profumo che non era proprio al “gelsomino”!

CIABATTE

Povera me, la mia persona, data l’età e i disastri che mi combi-na il sole, fa pensare a tutti che non sia vero che sono una pel-legrina. Sono più propensi a considerarmi una povera diavola senza fissa dimora che va in giro per racimolare qualche cosa per vivere. Infatti sempre mi viene dato pane frutta e altro. Per essere allergica al sole devo tenere le mani fasciate, e la faccia, orecchie comprese è tutta crosticine. È comprensibile pensino che sia una persona malata, magari contagiosa, e allora? Alla larga! Se è vero che va dalla Madonna, lo sa solo lei; mi sono sentita dire alle spalle. Penso che dovrei cambiare faccia e to-gliermi qualche decina di anni. Se fosse possibile lo farei vo-lentieri ma non si può e così rimango come sono, una povera diavola! (così mi hanno definita) che tira il carrello. Ho sentito suggerire di tenere le porte chiuse, non si sa mai, si diceva. Questo mi accadeva quando contavo solo 75 anni, ora è un po’ diverso, ma non è cambiato molto, il problema notte è sempre attuale. Non sempre però è dovuto alle persone che non si fi-

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dano: spesso sono anche le lunghe distanze, anche giornate intere senza trovare nemmeno una casa. Per fortuna c’è sem-pre un campo che non respinge mai. A proposito mi viene in mente un episodio che anche ora, a distanza di 15 anni, mi fa ridere. La prima casa entrando in un paese portava la scritta: “Pensione”. Non avevo ancora formulato un pensiero in me-rito, che la signora, stando sulla porta, si è tolta le ciabatte dai piedi e sbattendole l’una contro l’altra, si è messa a gridare: “Sciò, sciò, sciò” chissà, forse mi ha preso per una gallina! Non mi sono data pensiero, un campo di granoturco era a mia di-sposizione gratis. Quella signora è stata certo maleducata però dovrei dirle gra-zie perchè così ho avuto la possibilità di offrire un fiore in più alla Madonna e magari proprio per Lei. Questo pensiero mi ha fatto accettare con pazienza l’alloggio nel campo di grano.

RICHIAMI DI FEDE

Nei vari paesi che ho visitato ho sempre trovato segni di fede cristiana un po’ dappertutto. Edicole con raffigurazioni della Madonna, più frequentemente. Non mancano le immagini del S. Cuore di Gesù, dei Santi e degli Angeli. Anche nelle cam-pagne sono collocati questi richiami religiosi. Ogni Paese ha la sua devozione particolare: la Francia è tutta per la Madon-na sotto innumerevoli titoli, primario però è Lourdes con S. Bernardetta. Il Portogallo venera la Madonna di Fatima con i tre pastorelli. L’Italia ha un infinità di edicole lungo tutto lo stivale e credo, che vi siano onorati tutti i santi che sono in Paradiso, cominciando da San Francesco e Santa Rita. La Spa-gna invece ha molta devozione per le anime del purgatorio. In alcune strade non è raro vedere finestre con lumini accesi innanzi a un quadro che raffigura le anime del Purgatorio. In Bretagna (Pontmain) il Cristo crocifisso su una croce rossa è ovunque e direi che è il solo segno cristiano. La croce è rossa perchè la Madonna quando è apparsa ai bambini del paese,

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teneva in mano un Crocefisso con la croce rossa. Qualche raffi-gurazione dell’Angelo Custode è nelle campagne. Nel Mexico invece è la Madonna di Guadalupe con S. Jago, l’indio al quale è apparsa. Questa Madonna è molto amata e ogni messicano si toglie il cappello quando pronuncia il Suo Nome. Nel percorso da S. Salvador ad Aparecida ho visto ben pochi segni devozio-nali, due chiesette a Cristo Re e una della Madonna, forse ce ne saranno su un percorso più agevole, non sulle montagne come ho fatto io. Comunque sono segni cristiani che danno ve-ramente un valido aiuto per rinvigorire la nostra fede sempre più bistrattata, indebolita dalla moderna cultura edonistica e godereccia. Se volessi trarre un’osservazione a me pare che molti cristiani in fatto di fede sono timidi, paurosi di disturba-re, per niente “soldati di Cristo”.

UNA PAZZIA E UN SORRISO

Ancora un paio di giorni e poi l’addio a Nossa Signora Apare-cida. Volevo congedarmi con un attestato di filiale devozione e offrirle qualcosa che mi costasse un po’ di sacrificio. Motiva-zioni ne avevo a iosa: un cammino di due mesi senza prendere una goccia d’acqua, aiuti di ogni genere, benevolenza super, salute ottima: un grazie speciale era più che dovuto. Poi ero anche in dovere di chiedere scusa; in questo cammino non ho avuto l’entusiasmo del figlio che va a incontrare la propria Ma-dre. Ero contenta, questo sì, ma il cuore un po’ freddo. Prima di partire dovevo proprio dirle un grande grazie e anche di-mostrarle un sincero rincrescimento per quanto non ho saputo dare. Nella mia testa questi pensieri volevo concretizzarli ma non sapevo come. Mi è venuta l’ispirazione guardando la colli-na, quasi prospicente il Santuario, alla sommità della quale sta una grande statua (17 m e 60 cm) della Madonna Aparecida. Si intravedeva appena un sentiero da capre che portava lassù però ho visto alcune persone percorrerlo. Era la risposta al mio desiderio: anch’io sarei salita su quella collina. Sarà una pazzia

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alla mia età di 87 anni? Certo che sì, ma lo sento come un do-vere e voglio compierlo. Dopo la Messa mi sono incamminata verso quella direzione. Un viottolo sassoso che poteva essere una discarica passava fra quattro case, solo il salirvi era già un problema, quello era tutto una “sassonia” frammista a rotta-mi, vetri ecc. però la collina pensavo sarebbe stata meglio. Pur-troppo invece era ancora peggio, la terra franava sotto i piedi e i pochi ciuffi d’erba ai quali tentavo di aggrapparmi, subito si strappavano. Per procedere usai mani e piedi riempiendomi tutta di terra. Quando avanzavo di qualche metro, una bella scivolata e ricominciavo da capo. Una fatica immane. Guarda-vo verso la cima, il vederla mi avrebbe dato forza, ma ero an-cora troppo lontano. Allora avanti, un po’ per diritto un po’ a zig-zag pur di avanzare un poco. Meno male che la temperatu-ra non era calda, altrimenti avrei dovuto arrendermi; a quella cima non sarei mai arrivata. Arrancavo, arrancavo come una dissennata, dovevo arrivare a quella cima, avessi dovuto lot-tare fino a notte. Quando il fiato non c’era più a faccia a terra e riprendevo quota. Ero avanzata bene quando la terra è franata sotto i miei piedi e sono finita in una buca in mezzo alle spine. Non c’era nessun appiglio per potermi liberare e allora mi è uscito un grido: “Maddonina mia, aiutami”! Una voce subito mi rispose: “Non si muova, vengo a prenderla”. Pochi minuti e un uomo, il guardiano del Sacro Simulacro, era a liberarmi dall’incomoda posizione. Sostenuta dal suo braccio sono poi arrivata alla cima senza altre difficoltà. Credo che se anche gli ultimi 200m sono stata aiutata, la Madonna avrà gradito la mia “mattana” non solo, ma avrà pure sorriso come si può sorride-re a un bimbo che vorrebbe correre ad abbracciare la mamma e continua a fare capitomboli.Tornata dalle Suore ho raccontato la mia storia e ho fatto la scoperta che vi era una strada rotabile che portava lassù; ba-stava chiedere. Quando si è somari tali si resta tutta la vita. Non sono affatto pentita di avere faticato tanto, tanto più che è stato come il cielo stesso volesse questo evento perchè mi ha aiutato ad arrivare lassù.

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CIAO OMBRELLO!

Niente da fare: acqua e vento senza tregua. Mi tenevo stretta, stretta, l’ombrello fra le mani ma il vento, dopo avermelo rove-sciato più volte, con una folata fulminea, me lo strappò e portò in un campo lontano. Ero in aperta campagna e me la prende-vo tutta! Passa un marocchino con un macinino di macchina e mi offre un passaggio, il paese è a pochi km. Mi consiglia di andare dal parroco che è molto buono. Al paese era giorno di mercato, un ombrello mi era necessario e mi accostai a un banco che li vendeva. La signora del banco al vedermi tutta bagnata si meravigliò e dopo averle detto di essere una pelle-grina che andava a piedi dalla Madonna si commosse fino alle lacrime. Pure lei aveva tanto bisogno della Madonna, gravi problemi travagliavano la sua casa, un suo figlio... non finì la frase. Si è tolta l’impermeabile e me lo ha indossato. Ombrello e im-permeabile li regalava a me quale omaggio alla Madonna per avere le grazie che desiderava tanto, e si raccomandava per una preghiera. Il tempo si era rabbonito e mio intento, passando innanzi a una chiesetta, era di entrarvi, ma al primo passo, sento un lun-go fischio seguito da un altro più prolungato, erano per me, forse mi si credeva zingara. Allora ho proseguito per la mia strada. Al successivo paese, un’altra chiesetta è sui miei passi. Guardinga vi entrai. Un prete era in preghiera. Come mi vide mi disse: “Vuole la S. Comunione?” Al mio assenso accese tutte le luci della chiesa, sembrava Natale, indossò cotta e stola e mi diede la S. Co-munione. Impossibile esprimere l’emozione; uno ti respinge, l’altro ti abbraccia. Era il 1974 e a distanza di molti anni ancora rammento questo fatto con immutata commozione. Ero alle mie prime esperienze di pellegrina ed allora era tutto un in-canto né avevano incidenza le peripezie, inoltre avevo il mio “Angelo” di Brescia che per via telefonica addolciva tutte le cose e aumentava lo “sprint” della volontà. Ora non è più, ma

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sicuramente dal cielo mi guarda e mi aiuta.Nota: l’Angelo di Brescia è il sacerdote che ha dato l’impulso ai miei pellegrinaggi.

UN CORTEO DI... CURIOSE

Le cosidette “rotonde” a mio parere sono sempre detestabili. Mi occorre più tempo per capire quale direzione prendere e poi una volta su due sbaglio. Per uscirne da “tre” tutte susse-guenti una all’altra, ho impiegato un’intera mattina. Mi ha ri-solto il problema una signora che io ho chiamato in “rosa” per il colore del suo vestito. Curiosa oltre, ogni dire mi ha portata in un bar per soddisfarsi di voler sapere tutto. Ho già perso tutta la mattina, non voglio perdere altro tempo, consumato il “cappuccino” voglio andare. Quella non vuole e mi ordina un toast con prosciutto e formaggio e devo mangiarlo subito. Troppo invadente, non mi lascia più, al punto che vuole fare un po’ di strada con me. Non so cosa si è messa in testa! Si è messa dietro, e cammin facendo andava raccontando a tutti che io ero una pellegrina che andava a piedi dalla Madonna ecc. Era come un altoparlante alle mie spalle. Altre donne poi si sono unite a lei e girandomi ho visto che erano un codaz-zo. Ero proprio seccata di questa propaganda e per liberarme-ne sono entrata in una chiesa. Credevo averle seminate, era anche mezzogiorno, qualche cosa avranno ben dovuto fare a casa, invece erano ancora in attesa che uscissi, tutte unite in un gruppetto con lei in mezzo che, quale star televisiva parlava, parlava, parlava. Ho capito poi perchè mi seguivano. Io non lo sapevo nemmeno, ma loro sì, più avanti di un buon tratto c’era la casa del pellegrino e loro si sono sentite fiere di pre-sentarmi e d’avermi conosciuta per prima. Erano solo le due del pomeriggio, ma ormai la giornata era sprecata e mi sono fermata all’ostello. Tutto quel contrattempo mi ha scocciato molto, ho avuto l’im-pressione di essere come una cartolina del pubblico, perchè

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ogni tanto veniva a galla: “Poverina, alla sua età”! Come trat-tassero una condannata. Ero disturbata molto ma trovarsi sul-la strada è come essere in vetrina e non tutte le persone sanno usare il buon senso. Pazienza e sempre pazienza ci vuole.

7 FIGLI, 9 CANI, 1 GATTO

In una famiglia così numerosa con genitori, figli, cani e gatto c’era posto anche per una pellegrina. Così deve aver pensato perchè la padrona di casa perchè senza chiedere, mi ha offerto ospitalità.Il mio posto per dormire era il divano che però era di proprietà del gatto, dovevo vedermela con lui. Fosse stato solo il gatto! Che dire dei cani? Ogni famigliare aveva il suo cane personale, i bambini per giocare, gli adulti per compagnia. A me è sem-brata una gran baraonda e che i padroni veri fossero i cani. Cani e bambini tra il vociare, il correre e l’abbaiare non si capi-va più niente. Avevano già cenato e fatto pure i compiti quindi via libera ai giochi. Entrare e uscire dalle finestre, erano bravi i bambini quanto i cani e che divertimento poi farli cammi-nare sulle due zampe, farli giostrare come in un circo. Questa famiglia ogni sera come lieto fine della giornata si gode così i propri figli dai 5 agli 11 anni. Hanno una bella villetta iso-lata, con ampio giardino per cui possono permettersi chiasso e grida senza disturbare nessuno. Poi c’era la “mia novità” e dovevano ben mostrarmi un po’ di spettacolo. Esso ebbe fine alle 10, i bambini il mattino avevano la scuola. Con soddisfa-zione reciproca ci augurammo buona notte. Il gatto però non voleva saperne di dividere il divano con me ed era tutto un saltare su e giù. Aveva poi capito che io non volevo graffias-se l’imbottitura e lui, dispettoso, sempre con gli artigli aperti. Come bestiola insolente non c’era male! Mi voleva cacciare ad ogni costo. Se già ero alle prese con il gatto, le zanzare sono venute a peggiorare la già difficile situazione. Quante zanzare e che cattive, tutto un pizzicare. Non avevo previsto questo

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fuori programma e non avevo niente per coprirmi. Si vede che un angelo ci ha pensato e mi sono sentita mettere addosso una copertina, finalmente ho avuto pace. La serata brava era termi-nata. Spesso nella vita mi rendo conto che il Signore previene le nostre necessità: senza nemmeno chiedere ci fa avere il Suo aiuto.

CHIESA “LIBERADORA”

Una sera ho trovato una sistemazione abbastanza buona sotto un porticato all’inizio di una borgata. Poco distante c’era un negozio di alimentari e varie persone vi si recavano a fare la spesa. Mi sono resa conto che ero come in “vetrina”, ma era un posto pulito e poi in questi paesi del Brasile vedere qualcuno che dorme in strada non fa certo meraviglia. Non mi sono mossa, anzi stavo per addomentarmi quando una signora mi dà un colpetto alla spalla, vuole portarmi a casa sua. Non mi va proprio di muovermi ma quella insiste e insiste tanto che ho dovuto cedere. La sua casa non era molto lontana, ma in mezzo ai campi e con il carrello non riuscivo a seguirla, lei stessa mi ha aiutato: non si era accorta che ero ottantenne. A casa ha fatto due parole con i famigliari che io ho visto sì e no e poi è andata a prendere un materasso che ha messo vicino a un tavolo. Certo era molto meglio di dove ero prima, ma io avvertivo un “cuore” freddo e non mi piaceva affatto. Dopo un po’ è venuta ad augurarmi la buona notte: vestita tutta elegante andava all’assemblea della chiesa “Libe-radora”: lei era la capa. Avessi potuto sarei scappata subito, mi sentivo sulle spine. Lo feci però al mattino, appena cominciò ad albeggiare. Riuscii ad aprire le porte, i cani abbaiavano, ma li avevano legati, per-ciò non avevo paura. Ho aspettato cinque minuti, se qualcuno veniva e poi via. Al limitare dei campi mi sono trovata un can-cello chiuso. Non era il caso di preoccuparsi; ho disfatto il mio carrello e un pezzo per volta gettandolo al di sopra del cancel-

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lo è passato dall’altra parte. Per ultimo il carrello che ho fat-to passare sotto essendo il cancello non proprio aderente alla terra. Ciò ha permesso che restasse un po’ sollevato quel tanto che anch’io sono passata. Ho sbagliato certo ma non saprei motivare il perchè sono stata tanto maleducata! Mi è spiaciuto, ma ormai... era cosa fatta.

POLIZIA ANGELO

La sera è sempre il momento più cruciale della giornata, cer-co sempre di portarmi avanti ma sovente sono in mezzo alla campagna e se non fosse che il cielo mi viene in aiuto, il più delle volte la situazione sarebbe assai grigia nel senso che do-vrei dormire sotto le stelle. L’aiuto dal cielo mi arriva nelle più svariate forme, non ultima la polizia. Questa appunto una sera mi incrocia sulla strada: solite do-mande, solite risposte. Poi la più classica: “Dove va a dormire questa sera che il paese è ancora lontano?” Sicuramente in un campo, rispondo, ormai è quasi sera. “Oh no! Possiamo por-tarla noi al paese”. Di buon grado accetto e salgo sulla cam-mionetta. Arrivati al paese mi fanno scendere innanzi a un al-bergo a 4 stelle, dicendomi che era un posto buono e mi sarei trovata bene. Che fosse buono lo credevo, ma “4 stelle” non era adatto certo a me e sono stata esitante sulla porta. Stava uscendo per fine orario una signora che vi lavorava e intuito la mia intenzione mi disse: “È tutto occupato, non c’è un posto libero e poi qui costa molto caro”. Lo immaginavo, ma come quella se ne è andata sono entrata lo stesso. Il padrone era al banco e mi ripetè quanto già mi aveva detto quella sua dipendente. Uscita mi sono seduta su una panchina che stava accostata all’albergo facendo il pensiero che potevo passarvi la notte, ormai non potevo cercare altrove. Per caso proprio vicino si ferma un camion. L’autista scende e mi rico-nosce per avermi vista tanti giorni sulla strada e si profonde in un sacco di complimenti per la mia fede, il mio coraggio

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ecc. Nel frattempo è uscito il padrone dell’albergo e ha sentito quell’elogio. Mi è venuto vicino e quasi con riverenza, mi dice: “Entri che le do le chiavi, per lei il posto c’è e non mi deve niente, grazie di onorarmi della sua presenza”. Quale Angelo avrà ispirato al suo cuore tanta generosità? Le vie del Signore sono infinite e sempre si china sulle nostre ne-cessità.

UNA COPPIA

Una giovane coppia, lui marocchino, lei brasiliana incinta al 4° mese. Non avevano soldi per pagarsi l’autobus e andava-no a piedi, la loro destinazione era lontana 500 Km. Vedendo che pure io camminavo a piedi come loro si sono fatti curio-si di sapere il come e il perchè. Erano persone educate e non sono uscite dalla buona creanza: dal momento che si faceva la stessa strada mi hanno chiesto se accettavo la loro compagnia. Lei parlava pochissimo, ma lui parlava in continuazione. Mi è stato assai utile nel darmi molti consigli circa il cammino, le persone, i luoghi dove ci si poteva fermare e quelli da evi-tare. Naturalmente il loro passo era più veloce del mio, ogni tanto si portavano avanti e seduti mi aspettavano. Insieme ab-biamo fatto i nostri “pranzi” dividendo quanto avevamo in borsa. Quell’incontro è stato pure piacevole essendo la prima volta che mi trovavo in Brasile. La giornata è trascorsa bene ed ero curiosa sapere come e dove avrebbero pernottato. Il giova-ne, fiero di essere il capo di due donne, mi disse: “Provvedo a tutto io, non ci sono problemi”. Ho pensato conoscesse case di accoglienza e gli ho dato fiducia. Sul far della sera sarebbe stato bene finire il cammino, ma lui: “Avanti, ancora avanti!” Un lampione era sulla strada, lui si ferma di botto e dice: “Qui posto bello”! Mettono a terra la loro roba, con un cellofan si fanno un riparo dall’umidità, una copertina, tutto pronto per dormire e anch’io dovevo stare con loro: insieme si sarebbe stati più caldi. Non avevo altra scelta. La moglie subito voleva

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sdraiarsi ma lui: “Prima facciamo preghiera”. Prese la Bibbia che aveva in tasca, si mise bene sotto il lampione e ne lesse alcuni versetti. Terminò la preghiera con un canto. “Ora si può dormire”, sentenziò, e stesa la coperta augurò la buona notte. Al mattino abbiamo ripreso la strada insieme, ma la Polizia ci ha diviso e non li ho più rivisti. Sono state care persone e mi sono state di aiuto in questo paese brasiliano per me comple-tamente nuovo.

UNA SETTA?

Una struttura molto appariscente in mezzo alla campagna ha attirato la mia attenzione. Non era né una casa né una chie-sa, situata al centro di un campo, al più avrebbe potuto essere una discoteca, ma il luogo mi diceva essere improbabile. Che fosse una struttura abbastanza frequentata era evidente: aiuo-le ben tenute la circondavano e una stradetta ben lastricata la rendeva accessibile. La curiosità mi spinse ad andare a vedere tanto più che avevo visto una persona entrarvi. Quando sono stata sulla porta e i miei occhi non più accecati dal sole han-no potuto vedere bene, sono rimasta esterrefatta e tristemente impressionata, non avevo mai visto una cosa simile. Al centro una grande pila contenente l’acqua santa, (così diceva un car-tello) ma sull’altare una grande statua vestita come fosse la Madonna, abito bianco, manto azzurro, l’aureola in testa, ma il viso, ahimè, era un orrendo teschio; in mano la falce. Era una cappella dedicata alla Morte. Lo stupore aumentò quando ho visto lungo le pareti una quantità di nostri santi: San France-sco, Santa Teresina, S. Padre Pio, S. Rita ecc. tutti raffigurati nella norma ma con un teschio al posto del volto; era una cosa orripilante a dir poco. L’immagine doveva essere molto ve-nerata perchè fiori e ceri erano disposti un po’ dappertutto. Davanti alla “Morte” ardeva una lampada votiva. La perso-na che avevo visto entrare era addirittura inginocchiata. Con devozione leggeva una preghiera stampata su uno dei tanti

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foglietti sparsi ovunque. Ne presi uno per capire qualcosa ma non ho capito niente, erano invocazioni alla morte per esse-re liberati dal diavolo, dalle tempeste, dall’invidia e da tutti i malefici che sono nel mondo. Terminava con tre padre nostro e invitava a diffondere quella preghiera almeno a 30 persone. Forse era una setta. Questo fatto, in Mexico.Che amarezza constatare queste cose!

IL CAPITOMBOLO

Sono felice per essere arrivata in un paese un po’ prima che venga proprio sera e mi sto guardando in giro per una pen-sione. Un ragazzo, non più tanto ragazzo, mi viene vicino e s’impunta a volermi aiutare a spingere il carrello. Gli dico che non mi serve alcun aiuto, faccio da sola e poi già sono arrivata. Una scritta “Pensione” già l’avevo vista in fondo alla piazzetta e intendevo raggiungerla. Quel ragazzo non voleva capire e mi ha agganciato il carrello. Non volevo e cercavo di tratte-nerlo più forte che potevo ma poi, non ce l’ho fatta più, e lui è riuscito a strapparmelo. Nel cederglielo ho perso l’equilibrio e giù un bel capitombolo a spalle indietro. Il fatto è avvenuto proprio davanti alla pensione che, sebbene a strattoni, avevo raggiunto. Subito alcune persone mi hanno aiutato a rialzarmi e, grazie a Dio, non mi sono fatta male, solo una botta. Il ragaz-zo però si è messo a urlare che lui mi aveva portato lì e voleva essere pagato. Tanto baccano ha fatto che è uscita la padrona della pensione a vedere cosa succedeva. Ne nacque il putiferio, voleva i soldi anche da lei, le aveva portato una cliente. Cre-dendo che il ragazzo fosse con me ci scacciava in malo modo minacciando di chiamare le guardie. Per calmare le acque gli ho dato quel poco che avevo a disposizione e brontolando si è allontanato. La signora ha capito poi come era stata la storia e mi ha dato il pernottamento. Prima però, per un pelo non ci ha dato una bastonata in testa a tutti e due tanto era arrabbiata. Nel cammino, un’altra volta sono caduta e caduta per la paura

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di cadere. Mi sono trovata a dover scendere da una discesa molto ripida, andavo a zig-zag perchè il carrello non mi rom-pesse i talloni ma ugualmente avevo tanta paura e giù a ruz-zoloni, mi ha fermato una pianta. Grazie al cielo non mi sono fatta male e nessuno mi ha visto, così non ho fatto la figura di scemotta.

UN ALTRO URAGANO

Un solo giorno mi mancava per terminare il mio cammino, il tempo ha voluto darmi l’addio con un temporale spaventoso, uno dei più brutti che mai abbia incontrato sulla strada. Come quasi sempre si è scatenato mentre ero nella campagna dove è difficile trovare un riparo. Ormai sono collaudata a questi eventi, ma sempre mettono paura e questa volta ne ho avu-ta tanta. La strada che mi portava su una collina da subito è diventata impraticabile. L’acqua divenuta violenta trascinava sassi, terra, fogliame, ogni cosa che incontrava e dopo poco è diventata come un fiume dalle acque limacciose e carico di de-triti. Per salvarmi sono salita su una montagnola fiancheggiata alla strada tenendomi ben agganciata a un albero. All’acqua torrenziale si è unito il vento e a me sembrava di trovarmi alla fine dei tempi quando verrà l’Apocalisse. Troppo spaventa-ta, non riuscivo nemmeno a pregare; attonita guardavo quel fiume di acqua marrone che come furia scendeva a valle. Più avanti 200 metri c’era un distributore di benzina che ho potuto raggiungere solo a bufera terminata, prima era stato impossi-bile. Era solo pomeriggio ma proseguire voleva dire cammi-nare nel fango e le ruote del carrello si sarebbero impantanate, meglio era restare in quel chiosco. Perdevo un giorno ma pa-zienza. Il benzinaio è stato d’accordo che io rimanessi e, molto carino, mi ha dato anche una sedia da mettere nella toilette dove poi ho passato la notte, ovviamente chiusa dentro a chia-ve. Sono stata fortunata che ho potuto lavarmi perchè tra me e il carrello eravamo un solo fango.

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Ho aperto poi la valigia rassegnata a non trovare niente da potermi mettere invece... era tutto asciutto, quasi non credevo a me stessa. Era ben protetta dal cellofan però era stata anche in mezzo all’acqua e al fango. Non mi è parso vero potermi cambiare e rimettermi in ordine.Anche in questo caso la Provvidenza è stata... Super meravi-gliosa. Al mattino sono ripartita felice come un grillo canterino.

VIBO VALENTIA

In questa cittadina ho trovato benevola accoglienza presso un istituto di Suore o meglio in una casa di riposo per religiose: erano ben 38. Una persona mi ha consigliato di andare dal par-roco. Lo trovai nel suo studio e al momento mi sono trovata in molta soggezione tanto era alto e grosso forse più che un “Don Camillo”. Il suo viso però era buono e mi ha messo a mio agio: avrebbe parlato lui con le suore dove sarei stata ben accolta. Al momen-to però non poteva occuparsi di me perchè doveva celebrare un matrimonio, finita la cerimonia si sarebbe sistemata la cosa. Mi sono messa in un angolo in fondo alla chiesa ad aspetta-re pazientemente. Finita la cerimonia, sposi, invitati, amici e prete compreso uscirono nel grande sagrato per gli evviva, le foto, gli auguri. Era più che giusto ma la cosa andava per le lunghe, il prete alto come una torre, era il più allegro di tutti e forse non si ricordava più che una povera pellegrina l’aspetta-va. Avevo molta vergogna a presentarmi ancora, mi sono fatta coraggio e ho osato. Comprese subito, chiamò due ragazzini e disse loro di portarmi dalle suore. Questi mi caricarono in auto e si è andati a quell’istituto. Le suore non sapevano niente, il parroco non aveva telefona-to ed erano molto perplesse: avevo tutta l’aria di essere una mendicante. Loro stesse telefonarono al parroco e chiarita la cosa mi accolsero come una sorella. Mostrai loro la “carta di

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credito” del mio parroco che ancora più le convinse. Prima di presentarmi alla comunità mi accompagnarono ai servizi per una bella doccia. Ne avevo proprio bisogno, da al-cuni giorni, mi lavavo solo gli occhi con l’acqua santa che tro-vavo nelle chiese. Ero ridotta quasi come un maialino. Le suore mi hanno rimes-so a nuovo. È molto brutto trovarsi in queste condizioni ma non è colpa mia.Cosa devo fare? Sopporto il mio asino.

BUDDISTA CON AMORE CRISTIANO

Ero da due ore sotto una pioggia battente e il cielo non voleva schiarirsi. Una signora al volante di una macchina si ferma e mi dice bruscamente: “Salga che la porto dove deve andare”. Non me lo faccio ripetere, salgo e mi presento. Si congratula con me, ammira il mio coraggio, ma non condivide, lei è bud-dista. Ciò nonostante vuole aiutarmi; conosce bene il paese che or-mai era a pochi chilometri e andiamo all’ufficio turistico. Pur-troppo è chiuso. Pensa a una casa di suore, ma non c’è po-sto. Dal Parroco? Si può tentare, tiene dieci parrocchie, chissà dov’è. Infatti nessuno viene alla porta. Seccata dal come siamo poco cristiani vorrebbe portarmi a casa sua, ma teme l’ira del padre. Tenta ancora in un altro istituto, stessa risposta non c’è posto. Risolve allora di portarmi a casa sua a patto che io non parli affatto, avrebbe spiegato lei, potevo dire solo sì o no. Io non ho parlato per niente, ma i suoi famigliari devono aver ca-pito tutto perchè erano gelidi come il ghiaccio, non una parola di saluto, niente. Mi diedero la cena che però andai a consumare nella stanza dove avevano messo una branda per me. Anche la ragazza non parlò più con me se non per chiedermi a che ora volevo partire alla mattina. Fuori diluviava ancora e fortunatamente ero al coperto, ma quel gelo mi ha pesato molto come il non

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volere assolutamente sentirsi dire “grazie”.Al mattino pensavo fosse la ragazza a portarmi al paese invece nemmeno l’ho vista, c’era il padre.Mi aprì la portiera e con la testa rispose al mio buongiorno e quando mi lasciò al paese, un cenno di saluto con la mano è stato il solo gesto cortese. Amen! Non pensavo che la diversità del “Credo” mi rendesse loro tanto indigesta al punto di dar-mi ospitalità ma proibirmi di parlare.Forse temono sentire parlare della Madonna?

UN EX GIORNALISTA

Forse è la stagione delle piogge, tutti i giorni acqua e talvolta fin dal mattino. In campagna è ancora più brutto per i sassi, le buche, la terra. Il carrello si infanga tutto e non dico dei piedi. Questa volta il temporale mi rovescia addosso i suoi barili di acqua mentre passo fra case di contadini e, trovato un garage aperto, mi infilo dentro come sparata. Un’ora e tutto sembra finito. Il cielo sereno non regge e poco dopo, giù acqua a catinelle. Corro, corro per salvarmi e trovo una legnaia, anche qui nes-suno e altra sosta di circa un’ora. Pare si rassereni e di nuovo, via. Quasi subito altro temporale, trovo rifugio in uno stam-bugio che quasi non riesco ad entrarvi e altra sosta. La mattina è volata via così, poi a mezzodì un bel sole caldo, fin troppo; è durato due ore e di nuovo acqua e che acqua, un diluvio. Mi salvo a un lavatoio coperto dove c’è anche una panchina. Ad essa ho rivolto un pensiero come possibile HOTEL perchè il tempo non accennava a migliorare. Stavo rovistando nella borsa per cercare qualche cosa da mangiare, che mi suona una voce alle spalle: “Serve qualcosa, signora”? È un omone gran-de e grosso. Abitava nella casa di fronte e vedendomi seduta tranquilla gli era venuta la curiosità di sapere chi ero. Ne è subito entusiasta e mi invita a casa sua a prendere qualcosa di caldo. Conosceva abbastanza l’italiano perchè aveva sposato

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una friulana. La moglie era una persona piccola, timida, senza parole, al contrario di lui che era come una radio aperta a tutto volume. La mia storia lo ha molto interessato e continuava a prendere gli appunti per mandare un articolo al giornale del quale era corrispondente. Ogni tanto mi leggeva qualche riga per sapere da me se approvavo. Era così contento della “sco-perta” che aveva fatto, che sembrava un bambino. Non vi era dubbio, mi tennero a dormire.

SULLA PAGLIA CON GESÙ BAMBINO

Sono incerta a quale posto bussare, la sera è vicina e fa quasi freddo. Devo decidermi, si è responsabili anche della propria salute, non si può buttarsi via. Nella campagna che sto attra-versando ci sono varie case di contadini, magari una mi acco-glierebbe ma io indugio, indugio fino a che, passando davanti ad una di esse, vedo una grande stalla aperta, non vi erano animali, solo paglia. Che bello! Proprio ciò che cercavo. Era tutto aperto, tuttavia suono il campanello. Nessuno risponde, suono ancora, niente, sembrava deserta. Busso più volte ai ve-tri ed ecco uscire una donna che mi urla: “Via subito dalla mia casa”! Le parlo del mio problema ma nemmeno mi ascolta e sempre più forte grida: “Via, via, in casa mia non voglio nes-suno”! Era troppo agitata, non poteva capire, ma come si è calmata ha inteso che a me interessava solo la stalla, mi ha dato il per-messo di accomodarmi come volevo. Una notte così felice non credo d’averla trascorsa mai. Al mattino, prima di partire, voglio rin-graziare, forse per lei era troppo presto e aspettai un’oretta, bussai e non solo mi ha aperto, ma mi ha pure fatto entrare in casa. Povera donna, aveva bisogno di sfogarsi: era malata di tumore allo stomaco, già non mangiava più, viveva a caffè e sigarette, i dottori le avevano dato tre mesi di vita. Era magra e rinsecchita con due occhi sbarrati che quasi facevano paura.

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Tra lacrime e singhiozzi mi ha raccontato la sua triste storia ma il dolore più grave, ciò che le trafiggeva il cuore, erano i suoi due figli, avevano litigato e da un anno non li vedeva più, nemmeno sapevano che era malata e questo la distruggeva più del male.Mi ha detto di trovarsi sola come un cane e temeva di morire così. Non ho saputo dirle altro che avrei pregato per Lei.Tutto il giorno questa povera donna mi è rimasta nel cuore e sono sicura che il Signore le avrà dato un po’ di sollievo. Nes-suno è da Lui abbandonato.

OCCHIONI DI BIMBI

Sono alle prese con una bella indigestione, non vorrei fermar-mi ma proprio non mi sento bene e mi siedo su un tronco d’al-bero messo come sbarramento perchè le automobili non entri-no nel campo. È certo colpa mia, ma il cielo mi compatisce e ugualmente mi dà il suo aiuto. Passa una macchina e il conducente si ferma a chiedermi se ho bisogno. Vorrebbe condurmi dal parroco ma non è il caso di “olio santo” e allora mi porta a casa sua. È venuta ad aprire una giovane donna con quattro bambini appresso tutti, maschietti. Aggrappati alla gonna della mam-ma mi guardavano stupiti e vergognosi. Messa al corrente del mio malessere mi preparò una tisana e mi sono ripresa. Nel frattempo si è messo a piovere ed era proprio inopportuno che mi rimettessi in cammino. Il marito allora mi propose di portarmi alla casa del pellegrino. Lui aveva le chiavi perchè ne era il custode e in quel momento non c’era nessuno. Era proprio una bella soluzione e ho accettato volentieri, meno bene i bimbi che forse avranno pensato di avere una nuova nonna per giocare, già si era fatta amicizia. Tutti e quattro con la mamma mi accompagnarono alla porta e con il loro papà

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sono poi andata alla casa del pellegrino. Era una vecchia strut-tura molto grande, un tempo dimora di una famiglia nobile. Situata in un grande giardino era ancora efficiente con capien-za di 150 letti, cucina, servizi, non mancava nulla. Solitamente era movimentata il sabato e la domenica.Mi sono trovata veramente bene ed è stata proprio una Provvi-denza perchè è piovuto sia tutto il giorno che la notte.Che bello! Sentire l’acqua battere sui tetti e non esserci sotto! Anche questa volta un negativo è diventato positivo. La Prov-videnza non si fa vincere in generosità.

CELINA

Che bello questo nome e quanto è graziosa la ragazza che lo porta! Mi ha visto sulla strada con il carrello e, curiosa, si è fermata. Per parlare più a lungo mi offre un passaggio fino al paese dove lei abita. Ero su una strada proibita e temevo la polizia, il suo aiuto era più che propizio. Soddisfatta la sua curiosità ha cominciato a raccontare di sé. Venticinque anni, separata, una bimba di quattro anni. Viveva con un compagno che non era il padre della bambina e un suo amico; lavorava-no insieme per una casa discografica. Aveva tanta voglia di farmeli conoscere che ho accettato che mi portasse a casa sua. Erano due misere stanze di circa 2m quadrati ciascuna, senza finestre, nessun mobile, nemmeno una sedia, tutto in giro sul pavimento. Con tristezza ho pensato alla bimba, come poteva crescere in un tale ambiente? Le ho domandato se insegnava le preghiere alla bambina e mi ha risposto: “È lei che le insegna a me”. Salutati i due giovani mi accompagnò dal parroco e gli ha detto di avermi incontrato per strada e aveva pensato che lui poteva trovarmi un posto per la notte. Il volto di quel prete si è un po’ arrabbiato, ma rispose: “Vedre-mo”. Intanto, salutato e ringraziato Celina, aspettavo l’evol-versi della situazione. Il prete era molto agitato e si rigirava in continuazione sulla sedia, gli avevo dato un grattacapo. D’im-

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provviso prese il telefono e chiese della superiora più preziosa del mondo e più “odorosa” di santità. Era lei stessa in persona, il prete uscì con una squillante risata che l’avranno sentito in piazza. Tutto giulivo si rivolse a me e disse: “Su, presto, an-diamo prima che le Suore cambino idea”. Chiamò un ragazzo e insieme si è andati al convento. Ogni due minuti si girava a controllarmi, non mi ha chiesto né il nome né da dove venivo, ero una pellegrina e gli bastava. Le suore mi hanno accolto con bontà. “Operazione compiuta”! Direbbe un militare, “grazie, Provvidenza”, dico io.

PEDATE ALLA PORTA

Qualche anno fa, in Francia, ho conosciuto un anziano sacer-dote che con me era stato molto caritatevole e, passando per la stessa città dove lui abitava, mi faceva piacere poterlo salutare. Sono riuscita a trovare la sua chiesa, ma non lui perchè alla sera si recava nella comunità dei preti anziani. Dove si trovava la casa del clero nessuno lo sapeva. Ma domanda e domanda, una persona mi indicò la via e il numero. Etampes era la citta-dina; dopo molti avanti e indietro infine trovo l’indirizzo in-dicatomi. Suono il campanello, nessuno viene, suono ancora, niente. È una comunità, impossibile non ci sia nessuno! Passa-no quattro donne e mi dicono che devo suonare forte. L’ho fatto, dico io. “Allora bisogna prendere la porta a calci, solo così i preti capi-scono che c’è qualcuno che ha bisogno di loro”. Credevo vo-lessero scherzare, non mi sarei mai permessa una tale mal cre-anza. “Sì, sì, bisogna fare così”. Per dimostrarmi che era vero, tutte e quattro presero a calci quella porta. Come istupidita stavo a vedere. Dopo un poco un giovane prete venne ad aprire e con l’aria più soave del mondo domandò cosa si desiderava. Le donne dissero che l’interessata ero io e se ne andarono. Dalla vergo-gna per come si era bussato non trovavo le parole, lui se ne

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accorse e mi disse che molti facevano così, ma non era peccato. In merito a quel prete che cercavo mi disse che la sua salute era peggiorata e si era ritirato in una casa di riposo. Quando l’ave-vo incontrato la prima volta era in borghese, non sapevo fosse un prete, mi ha portato a cena a casa sua e poi in un centro di accoglienza. Tutto questo quando io ero sperduta in una cam-pagna e non sapevo dove andare. Passando per la sua stessa città era più che doveroso fargli un saluto, ma purtroppo non mi è stato possibile, il tempo è sempre avaro.

LA PRIMA VOLTA SULLA CAMIONETTA!

All’interno di una stradetta che porta nel campo mi sono sedu-ta su un sasso per il pranzo. “Signora, cosa fa qui, tutta sola”? È la polizia. Mi crede una smemorata, una che è scappata da qualche istituto. Non basta far vedere il passaporto, la lettera del parroco, fanno telefonate al paese, in Questura, infine via libera, posso andare. Un paio d’ore dopo, altra pattuglia: dico che già i loro colleghi mi avevano permesso di andare, ma non basta, devono controllare e anche loro fanno varie telefonate. Posso di nuovo andare tranquilla, sono a posto. Nel pomerig-gio un’altra pattuglia rompiscatole. Possibile? È un tormento a non finire. Verificano, controllano, guardano tutto, domande a raffica. Non sono persuasi “NON ho l’età”. Questa è bella! Mai saputo che per fare un cammino a piedi fosse necessa-rio avere un’età; ogni cittadino dovrebbe essere libero di an-dare dove vuole, e francamente glielo dico. Parlano, parlano fra loro, facendomi perdere un sacco di tempo. Mostro la mia impazienza, secondo me abusavano della loro divisa. Allora s’appigliano al fatto che sono ancora molto lontana dal paese e che a sera non ci sarei arrivata, quindi sarei stata in pericolo, era loro dovere proteggermi. Tira e molla ho dovuto acconsen-tire a salire sulla loro camionetta. Quei poliziotti conoscevano un bravo marocchino che teneva una pensione a buon prezzo, mi portavano da lui, così sarei

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stata al sicuro, tranquilla e fuori da ogni pericolo. Su quella camionetta mi sono sentita come un malfattore soprattutto, quando mi hanno lasciato nella piazza dove c’era altra gente: avrei voluto essere invisibile. Quei poliziotti mi hanno rovi-nato tutta la giornata e secondo me hanno mancato di edu-cazione; avrebbero potuto lasciarmi all’inizio del paese dove non c’era nessuno, invece di portarmi in piazza fra la gente. Pazienza, è andata così. Ero ancora alle prime esperienze e mi vergognavo un po’, ma poi mi sono fatta le ossa. Se talvolta la vergogna mi trattiene mi dico: sono una creatura di Dio e ogni timore svanisce.

ZANZARE

Giungo a sera in un paese che sembra un deserto, nessuno, se non due ragazzini che scorrazzano in bicicletta. C’è la chie-sa con un bel campanile il cui orologio pare spari cannonate quando suona le ore, ma di persone nemmeno l’ombra. Mi vergogno di andare a bussare alla porta del parroco; è una bel-la sera e si può dormire anche all’aperto. Un’invitante pan-china sembra essere lì apposta per me: aggiudicata. Poteva essere un’ottima idea, ma quando si sono accese le luci, si sal-vi chi può. Era il festival delle zanzare, impossibile resistere. Mi guardai attorno e vidi che vi era uno scivolo per portare in chiesa i disabili e che essendo rialzato sotto avrei potuto sistemarmi con il mio sacco a pelo. Pensato e fatto. Nel mio nuovo alloggio ci stavo appena ma era tanta grazia. Se non ci fossero stati i rintocchi dell’orologio si sarebbe potuto anche dormire. Non è poi andata tanto male, solo fino a mezzanotte, poi silenzio. Là sotto quella specie di pedana, le zanzare non mi hanno trovato, ma si sono rifatte poi al mattino perché la strada continuava fra le risaie. Un’altra volta mi è toccata un’e-sperienza del genere, per evitare le macchine avevano indicato una stradetta in collina e su questa vi erano dei grandi cespu-gli d’erba alta. Quando è venuta sera ho pensato che mettermi

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in mezzo ad uno di essi sarebbe stato bellissimo. Così ho fatto, le zanzare mi hanno mangiata viva. Mi sono coperta la testa con un fazzoletto, ma loro passavano ugualmente. Una notte disastrosa, non un minuto di pace. Al mattino mi sono trovata tutta a puntini rossi, faccia, mani, braccia, collo e che prurito!Da allora viaggio sempre con lo spray antizanzare e anche la crema da spalmare. Sono più che moleste, sono delle arpie.

UN CASO INSPIEGABILE

Fin dal primo giorno del cammino di Santiago mi è accaduto che ogni sera come mi coricavo mi sentivo soffocare e dovevo emettere degli ululati per respirare.Spaventavo tutti e io stessa ero preoccupata. Dopo un po’, se stavo seduta, passava il malore, però era proibito sdraiarsi. Il responsabile, i primi giorni mi ha accompagnato in farmacia, ma né sciroppi né pastiglie migliorarono la situazione. Succes-sivamente mi hanno fatta visitare anche dal medico, non ave-vo niente, ero sana come un pesce. La storia però continuava, senza accorgermi scivolavo nel letto ed era un soffocare che credevo lasciarci l’anima: di giorno niente di niente. Tirando-mi dietro il mio carrello, facevo il cammino normale, come i ragazzi, anche se avevo “solo” 84 anni! Avrei voluto avere un buco per dormire da sola, ma il regolamento non lo permet-teva. Tutte le sere facevo certi versacci come un cane quando abbaia alla luna; mi vergognavo tanto, ma purtroppo era così. Finito il cammino una pellegrina di Bergamo, insegnante, ri-mandò di un giorno la partenza per farmi vedere da un medi-co di città, forse avrebbe capito di più. Con un taxi si è andati al Pronto Soccorso. Sono passata per vari ambulatori, esami, lastre, elettrocardiogrammi, mi ha controllato uno specialista della gola: non avevo niente, nessuna malattia. La mia amica partì contenta e io un paio di giorni dopo ripresi il cammino per Fatima dove a causa dell’ostruzionismo della polizia spa-gnola, per arrivarci ho dovuto fare il cammino di Santiago,

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facendo 500 km in più del previsto, arrivando così a un totale di 1700 km. Lo strano soffocamento mi è rimasto fino alla fine della Galizia.Entrata in Portogallo da Tui, non ho più avuto niente. Come era venuto, il disturbo è anche andato, e mai ho saputo come e perché di questo fatto.

UNA BELLA PATATA

Voglio raccontare di una persona molto speciale. Era un prete che amministrava tre parrocchie con un papà della mia stessa età. Sono capitata in casa sua perché mi hanno portato alcuni operai che tornavano dal lavoro. Ero sulla strada e tanto per cambiare pioveva, giacché ero una pellegrina mi condussero dal loro parroco. Questi mi accolse come fossi la sua mamma (avrei potuto esserlo) ma subito si mostrò molto preoccupato per me. Non era possibile che potessi affrontare un cammi-no a piedi fino a Lourdes, con tutti i pericoli che ci sono sulla strada. La mia età, il carrello, quella grossa botta che avevo in fronte poteva far infezione. (Nel legare il mio bagaglio mi era sfuggito di mano l’elastico che mi ha causato il guaio). Ha no-tato pure che non avevo con me ciò che si porta appresso chi fa queste esperienze: niente tenda, niente viveri, niente fuoco; secondo lui, non avevo nemmeno l’indispensabile, impossibi-le resistere alla fatica di un cammino tanto pesante.Mi supplicava, come davvero fossi stata la sua mamma, a cam-biare idea, prendere un mezzo ma a piedi assolutamente no. Mi spiaceva vederlo tanto preoccupato e mi è venuta l’idea di farlo parlare al telefono con il mio parroco. Così ha fatto e cre-do che forse si è sentito più tranquillo. Al mattino mi ha mani-festato ancora la sua preoccupazione e mi ha chiesto il favore di lasciarmi portare avanti un po’ con la macchina. Non pote-vo negarglielo e accondiscesi. Mentre si andava mi mostrava quanto era poco il margine per camminare e ancora ripeteva, impossibile. Era proprio addolorato per questa mia decisio-

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ne e ancora nel lasciarci, mi chiese se ero ben sicura, per due volte! Mi spiaceva avergli causato tanta preoccupazione e non solo a lui ma anche al suo papà, che essendo anche mio coe-taneo, ancor più si immedesimava nella cosa. La benedizione sacerdotale ha posto fine a questo incontro sofferto da ambo le parti. (Quel prete l’ho sentito come un figlio che voleva evitare alla mamma i pericoli della strada).

BRASIL

Un giorno, di pomeriggio, un signore elegantissimo, a caval-lo di una grossa moto rombante, è venuto a fermarsi proprio vicino a me. Tutto ossequioso mi chiese il permesso di parlar-mi. “Dica pure, l’ascolto” rispondo io alquanto meravigliata. E lui: “Da alcuni giorni la controllo e la vedo sempre sulla stra-da tirandosi appresso il carrello. Lei, che già ha una certa età, dove trova la forza e la costanza per fare questo e poi, perché a piedi”? “Sono una pellegrina, gli rispondo. Da tanti anni mi interessa conoscere i vari santuari mariani sparsi nel mondo: quello di Aparecida ancora non lo conoscevo ed ora, appunto, sono in cammino per recarmi a quel santuario e venerare ivi la santa Effigie di Nossa Senora de Aparecida. Il mio andare a piedi è un omaggio, un fiore per Lei, la tutta bella, la tutta Santa, a Colei che con il Suo Sì rese possibile la Redenzione”. A queste mie parole rimase molto stupito e soggiunse: “Suppon-go che abbia certamente qualche grazia speciale da chiedere sia per sé che per i suoi cari”. “Non precisamente, risposi, nel contesto, è ovvio che si deve chiedere la propria conversione e quella del mondo, ma nel mio caso, vado a Lei come un figlio va dalla propria Madre, cioè per amore. Quando c’è l’amore ogni sacrificio diventa gioia. L’amore è la forza, la molla che fa meravigliosa la vita a qualunque età, ed è questo che testimo-nio, andando a piedi pellegrina sulla strade del mondo”. Quel signore allora mi fece un sacco di complimenti e si qualificò:

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era un Pastore Protestante della chiesa Evangelica. Si parlò an-cora e fra l’altro mi chiese quale compenso mi aspettavo dal mio sacrificio ed io gli risposi: “Poterla contemplare un giorno, nella patria celeste”.Questo incontro mi ha riempito di gioia e messo le ali ai piedi.

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Questo è l’attuale “palmares” di Emma

ANNO LUOGO KM percorsi

1990 Lourdes in bici 13001992 Lourdes in bici 13001994 Lourdes a piedi 13001995 Santiago - Fatima a piedi 16001996 Monterey (Mexico) a piedi 14001997 Monterey (Mexico) a piedi 14001998 Siria - Gerusalemme a piedi 30001999 Loreto - San Giovanni Rotondo - Siracusa a piedi 19002000 Roma (GIUBILEO) a piedi 6502001 Nevers- Parigi a piedi 12002002 Ceztokowa a piedi 14002004 Pontmain a piedi 14002005 Lisieux a piedi 14002006 Lourdes-Pontmain Lisieux a piedi 14002007 Valladolid - Fatima a piedi 6002008 Santiago - Fatima a piedi 16002009 Czestockowa a piedi 14002010 Aparecida (Brasile) a piedi 20002011 Aparecida (Brasile) a piedi 2000

Totale chilometri percorsi 28.250

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Notizie biografiche.............................................................. Pag. 5Presentazione...................................................................... Pag. 11Il primo sorriso della santa Vergine Maria......................... Pag. 13Un angelo custode speciale................................................. Pag. 14Pietro Arlia.......................................................................... Pag. 15Scampato pericolo............................................................... Pag. 16Un micino............................................................................ Pag. 17Italiani tutti ladri................................................................. Pag. 18Acqua a catinelle................................................................ Pag. 19Cercasi moglie.................................................................... Pag. 20Una persona meravigliosa ................................................. Pag. 21Banane................................................................................ Pag. 22Abuso di autorità................................................................. Pag. 23Residence............................................................................. Pag. 24Paura e paura!!!.................................................................. Pag. 25Passetti lievi lievi................................................................ Pag. 26Carta igienica..................................................................... Pag. 27Il dondolo è bello... però..................................................... Pag. 28Acqua e vento...................................................................... Pag. 29Girasoli............................................................................... Pag. 30Polizia, che tormento!......................................................... Pag. 31 Padre Pio ............................................................................ Pag. 32Ospedale.............................................................................. Pag. 3350 Km a vuoto..................................................................... Pag. 34Il castello............................................................................. Pag. 35

INDICE

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Cinque cani a guardia......................................................... Pag. 37Altre paure........................................................................... Pag. 38Paola................................................................................... Pag. 39La cuccia del cane............................................................... Pag. 40Un soldino al giorno............................................................ Pag. 41Possibile? Una Ferrari!...................................................... Pag. 43Pronto soccorso................................................................... Pag. 44Ragazzo sorriso................................................................... Pag. 45In cerca di un ponte............................................................. Pag. 46Un altro guaio..................................................................... Pag. 47Un turbante bianco.............................................................. Pag. 48Vesciche ai piedi.................................................................. Pag. 49Quattromila maiali.............................................................. Pag. 50Ciao portafoglio!................................................................. Pag. 51Polonia al volo.................................................................... Pag. 52Lapilli-Giarre...................................................................... Pag. 54Un cuore molto sensibile..................................................... Pag. 55San Giovanni Bosco............................................................ Pag. 56Geova.................................................................................. Pag. 57Irma Harro........................................................................... Pag. 58Carne asada........................................................................ Pag. 59Vagabondi............................................................................ Pag. 60Piccolo s. Bernardo............................................................. Pag. 61Generosità evangelica........................................................ Pag. 62Diffidenza............................................................................ Pag. 63Una puzza super.................................................................. Pag. 64Sole e sole............................................................................ Pag. 65Autostrada........................................................................... Pag. 67Una comunità speciale........................................................ Pag. 68Ancora acqua...................................................................... Pag. 69Carità pelosa....................................................................... Pag. 70Alluvione............................................................................. Pag. 71Cicerone.............................................................................. Pag. 77Una festa per la Madonna................................................... Pag. 72

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Nonni amabili...................................................................... Pag. 73Pensioni............................................................................... Pag. 74Incontri occasionali............................................................. Pag. 75La signora Lux..................................................................... Pag. 76L’arca di Boè....................................................................... Pag. 78La Madonnina dei camionero.............................................. Pag. 79Un’ecatombe di animali...................................................... Pag. 80Chiaro e scuro+acqua ........................................................ Pag. 81Topi a centinaia................................................................... Pag. 82Un uomo con la pipa........................................................... Pag. 83Un uomo probo e santo....................................................... Pag. 84Sogno o realtà..................................................................... Pag. 85La Provvidenza.................................................................... Pag. 86Volatili................................................................................. Pag. 87Valladolid............................................................................. Pag. 88Palafitta............................................................................... Pag. 89Bordeaux.............................................................................. Pag. 90Vienna.................................................................................. Pag. 91Bambini............................................................................... Pag. 92Pipistrelli............................................................................. Pag. 93Ciabatte............................................................................... Pag. 94Richiami di fede................................................................... Pag. 95Una pazzia e un sorriso....................................................... Pag. 96Ciao ombrello!..................................................................... Pag. 98Un corteo di... curiose......................................................... Pag. 997 Figli, 9 cani, 1 gatto......................................................... Pag. 100Chiesa “liberadora”........................................................... Pag. 101Polizia angelo...................................................................... Pag. 102Una coppia.......................................................................... Pag. 103Una setta?............................................................................ Pag. 104Il capitombolo...................................................................... Pag. 105Un altro uragano................................................................. Pag. 106Vibo Valentia........................................................................ Pag. 107Buddista con amore cristiano.............................................. Pag. 108

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Un ex giornalista................................................................. Pag. 109Sulla paglia con Gesù bambino........................................... Pag. 110Occhioni di bimbi................................................................ Pag. 111Celina.................................................................................. Pag. 112Pedate alla porta................................................................. Pag. 113La prima volta sulla camionetta!........................................ Pag. 114Zanzare................................................................................ Pag. 115Un caso inspiegabile........................................................... Pag. 116Una bella patata.................................................................. Pag. 117Brasil................................................................................... Pag. 118“Palmares” di Emma Morosini.......................................... Pag. 120Indice................................................................................... Pag. 121

L’editore ringrazia quanti hanno agevolato con piena disponibilità il suo compito, fornendo preziosi suggerimenti, in particolare: Antonio Azzi, per aver ideato il volume; Franco Mondadori e Annalisa Cappa per la correzione dei testi; Eliv Gjyshja per aver digitalizzato il manoscritto e Andrea Dal Prato che ne ha curato la realizzazione.

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Finito di stamparenel mese di marzo 2013

dalla tipografiaArti Grafiche Studio 83

di Verona

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