Le fontane di Roma

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LE FONTANE DI ROMA: DUEMILA ANNI DI STORIA Di Paolo Cremisini Apparato iconografico a cura di Alfredo Corrao Pubblicato il 21 Settembre 2009

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Quante fontane aveva Roma all'epoca dell'Impero? Sembra che ce ne fossero, tra grandi e piccole, più di cinquecento, una cifra impensabile per qualsiasi altra città del passato e anche del presente. Il Lanciani, gran conoscitore di antichità romane, ci ricorda che erano alimentate da undici acquedotti (quattordici se includiamo anche tre grandi derivazioni), che riversavano un milione di litri d'acqua al giorno in duecentoquarantasette serbatoi di raccolta, destinati quasi tutti all'uso pubblico. Insomma, i nostri antenati avevano più acqua a testa di quanti ne abbiamo noi ora, che pure, a paragone degli abitanti di altre città non solo italiane, siamo tra i più fortunati. Ma cosa resta oggi di tanto patrimonio?

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LE FONTANE DI ROMA:

DUEMILA ANNI DI STORIA

Di Paolo Cremisini Apparato iconografico a cura di Alfredo Corrao Pubblicato il 21 Settembre 2009

Paolo Cremisini Le fontane di Roma: duemila anni di storia

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Via Appia, Roma. Parco degli acquedotti

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Quante fontane aveva Roma all'epoca dell'Impero? Sembra che ce ne fossero, tra grandi e piccole, più di cinquecento, una cifra impensabile per qualsiasi altra città del passato e anche del presente. Il Lanciani, gran conoscitore di antichità romane, ci ricorda che erano alimentate da undici acquedotti (quattordici se includiamo anche tre grandi derivazioni), che riversavano un milione di litri d'acqua al giorno in duecentoquarantasette serbatoi di raccolta, destinati quasi tutti all'uso pubblico. Insomma, i nostri antenati avevano più acqua a testa di quanti ne abbiamo noi ora, che pure, a paragone degli abitanti di altre città non solo italiane, siamo tra i più fortunati. Ma cosa resta oggi di tanto patrimonio? Poco o nulla. E pensare che molte di quelle fontane erano "mostre" ossia opere gigantesche destinate ad abbellire gli ingressi in città degli acquedotti. Fortunatamente, però, possiamo ricorrere, per farcene un'idea, o alle monete celebrative, come quella coniata dall'imperatore Traiano, che riproduce con notevole esattezza la mostra gianicolense dell'acquedotto da lui fatto costruire nel 109 d.C. per rifornire la riva destra del Tevere, oppure alle descrizioni giunte fino a noi attraverso epigrafi e brani letterari. Restano, infine, insostituibili, le testimonianze archeologiche, quali le rovine di fontane e ninfei: questi ultimi, talvolta ben conservati, sorsero numerosi sul modello di quelli ellenistici, ma superandoli, come era costume dell'arte romana, in dimensione e ricchezza. Un esempio si può ancora oggi osservare nei pressi dell'Esquilino, dove passa la ferrovia: è il Tempio di Minerva Medica, ossia il grande ninfeo degli Orti Liciniani. Per quanto riguarda le fontane, invece, sempre nell'Esquilino, in Piazza Vittorio Emanuele, si possono ancora vedere i resti di quella dell'Acqua Giulia, più nota come i Trofei di Mario. E' noto a tutti che nel medioevo di tante fontane, mostre, ninfei non restò più nulla, ma forse pochi sanno che è stata registrata con esattezza la data della loro "uscita di servizio", il 537 d.C. è l'anno in cui Roma, difesa dal generale bizantino Belisario, è assediata dai Vandali di Vitige. Entrambi i comandanti danneggeranno in maniera irreparabile gli acquedotti; il primo per evitare che attraverso le condutture i nemici potessero entrare in città e il secondo per assetare gli assediati.

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Giacomo Caneva - Tempio della Minerva Medica

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Da allora i pochi romani rimasti tornarono ad usare l'acqua del Tevere come i loro antenati e così fecero per secoli e secoli ancora. Bisognò infatti aspettare il 1400 perché i papi provvedessero a riparare alcuni degli antichi acquedotti, ma è soltanto nella seconda metà del secolo successivo che Pio V restaurò l'acquedotto dell'Acqua Vergine, mentre Gregorio XIII, disseminò i quartieri bassi di un certo numero di fontane pubbliche. Venne poi Sisto V che, con la costruzione dell'acquedotto, cui impose il suo nome di battesimo, Felice, restituì, dopo secoli di magra, l'acqua e le fontane pubbliche ai colli del Quirinale, del Viminale e dell'Esquilino. Sisto V si servì per realizzare i suoi ambiziosi progetti della valentia di un grande architetto che si chiamava (destino dei nomi!) Domenico Fontana. Quella dell'Acqua Felice resta la più importante delle sue opere, alla quale si ispireranno quasi tutti gli architetti successivi. Tra questi spicca Giacomo Della Porta, che nell'arco di sette pontificati realizzò ben dieci fontane (il maggior numero prodotto da un solo artista), ancora oggi in gran parte integre. Tra tutte ricordiamo la Fontana delle Tartarughe. Il primo importante capitolo della storia delle fontane romane del Seicento si svolge sulla riva destra del Tevere, dove Paolo V, restaurato l'acquedotto Traiano, realizzò un gran numero di fontane, tutte ispirate ai canoni dell'antichità, filtrati, comunque, dalle esperienze dei suoi predecessori: è evidente, infatti, la derivazione della fontana dell'Acqua Paola da quella della già citata Acqua Felice di Sisto V. A lato: La fontana delle Tartarughe, Roma. [ Clicca qui per altre immagini ] Realizzata tra il 1581 ed il 1588 su progetto di Giacomo della Porta (1533-1602) con le sculture del fiorentino Taddeo Landini(1550-1596), la fontana delle Tartarughe si caratterizza per la prevalenza delle opere scultoree sulla pur complessa e articolata struttura architettonica arricchita dalla preziosa policromia dei marmi impiegati.

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In alto a sx: Fontana del Tritone. Iniziata e portata a termine tra la fine del 1642 e la prima metà del 1643, la fontana del Tritone in piazza Barberini costituisce uno dei capolavori di Gian Lorenzo Bernini. E' realizzata in travertino. In alto a dx: La fontana detta del "Mascherone" voluta dai Farnese in via Giulia nella prima metà del '600. Opera attribuita a Girolamo Rainaldi, è in granito bigio, marmo bianco e travertino.

Sotto la guida di architetti del calibro di Carlo Maderno, Giovanni Fontana, Flaminio Ponzio e il Vasanzio, la Roma dei primi anni del Seicento è letteralmente invasa dalle aquile e dai draghi di Paolo V Borghese. In ogni modo, l'arte di quel secolo rimase per sempre segnata dal genio di Gianlorenzo Bernini. Le sue fontane rappresentano una rottura netta con il passato: scogli, piante, animali, figure umane e fantastiche popolano le sue composizioni e rendono inconfondibile quella che è la celebre fontana dei Fiumi, degna coronazione della piazza più bella del mondo, piazza Navona. Il Settecento vide finalmente la realizzazione di un'opera d'arte dalla gestazione lunghissima, pari forse solo alla fama di cui da sempre gode: Fontana di Trevi. Al suo progetto lavorarono nel secolo precedente Pietro da Cortona, Carlo Fontana, Giacomo della Porta e lo stesso Bernini. Finalmente nel 1723 fu bandito un concorso che fu vinto da un architetto di non grande fama, Nicola Salvi, ma che, come si vide, non demeritò la fiducia dimostratagli.

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Il Salvi concepì la grandiosa composizione, addossata alla facciata del Palazzo Poli, come un'allegoria delle forze della natura colte nel loro eterno movimento. La struttura della scogliera, coinvolta in un continuo gioco dinamico del moto dell'acqua, rivela chiaramente quanto l'opera sia permeata della cultura e dello spirito berniniano, al punto tale che forse lo stesso Bernini non avrebbe realizzato qualcosa di diverso. Come per il Settecento, anche l'Ottocento vede la realizzazione di un progetto grandioso maturato nel secolo precedente, intendo riferirmi a Piazza del Popolo e alle sue fontane, opera di un altro grande artista, Giuseppe Valadier. Architetto e archeologo, il Valadier (romanissimo nonostante il nome) ristrutturò la piazza e le pendici del Pincio e ai piedi dell'obelisco, dopo aver tolto la vecchia fontana di Giacomo Della Porta, collocò quattro leoni egizi alla sommità di piramidi tronche realizzate a gradini, in armonia con l'antico monumento. L’Ottocento si chiude con l'inizio dei lavori della fontana delle Naiadi, lavori che si concluderanno ai primi del Novecento (vedi le tre fotografie sottostanti). Sorta al posto di una mostra dell'Acqua Marcia (inaugurata da Pio IX nel settembre 1870 e già demolita nel 1888) la fontana delle Naiadi è il canto del cigno di questo genere di realizzazioni artistiche a Roma. Il secolo appena concluso, anche in questo campo non ha lasciato molti rimpianti. Non ci resta che sperare in quello da poco iniziato. Paolo Cremisini

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In basso: La fontana/mostra dell'acquedotto Marcio quando ancora si trovava di fronte a Palazzo Massimo. 1870

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In basso: La fontana/mostra dell'acquedotto Marcio nella sua prima sistemazione a piazza Esedra, Roma. 1885 circa.

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In basso: La fontana, con le Naiadi, nella sua definitiva sistemazione in piazza Esedra, Roma. 1930 circa.