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147 Le Filiere Territoriali Logistiche per il rilancio strategico del Mezzogiorno di Ennio Forte e Lucio Siviero 1. Introduzione Alle luce dei repentini sbalzi dei fondamentali dell’economia mondiale degli ultimi anni, la logistica delle merci, intesa come settore economico nel suo complesso composto da trasporto, de- posito/magazzinaggio e servizi a valore aggiunto, nel prossimo futuro è chiamata ad adeguarsi in maniera flessibile a dinamiche fortemente variabili dell’economia mondiale e, nel caso specifico dell’Italia, a individuare le possibili traiettorie di sviluppo futuro non soltanto per non arretrare in termini settoriali ma principal- mente per supportare il sistema-Paese a mantenere livelli di com- petitività tali da incentivare la ripresa economica e far ripartire lo sviluppo. Le «logistiche» ed i trasporti, quindi, quali strumenti o leve strategiche di intervento non solo in termini microeconomi- ci per la competitività del sistema produttivo e distributivo, ma anche in senso macroeconomico ai fini dello sviluppo economico generale e regionale, con azioni tese a favorire il tendenziale in- cremento degli indicatori fondamentali quali PIL, valore aggiunto e occupazione. Nella comprensione di tali tendenze e nella previsione della loro evoluzione, si possono individuare elementi e fattori di poten- ziale ripresa economica, in particolare per il recupero di competi- tività regionale per il Mezzogiorno italiano. La continuità, la pros- simità e la funzionalità territoriale delle infrastrutture a supporto delle catene logistiche globali, nel senso delle relazioni spaziali e funzionali tra porti, retroporti, collegamenti ferroviari e stradali di Rivista economica del Mezzogiorno / a. XXV, 2011 n. 1-2 Codici JEL: R40; O18. Pur se frutto di studio congiunto degli autori, l’articolo può attribuirsi per i paragrafi 1,2,6.3,6.4,7 a Ennio Forte e per i paragrafi 3,4,5.1,5.2,6.1,6.2 a Lucio Siviero.

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Le Filiere Territoriali Logistiche per il rilanciostrategico del Mezzogiorno

di Ennio Forte e Lucio Siviero

1. Introduzione

Alle luce dei repentini sbalzi dei fondamentali dell’economia mondiale degli ultimi anni, la logistica delle merci, intesa come settore economico nel suo complesso composto da trasporto, de-posito/magazzinaggio e servizi a valore aggiunto, nel prossimo futuro è chiamata ad adeguarsi in maniera flessibile a dinamiche fortemente variabili dell’economia mondiale e, nel caso specifico dell’Italia, a individuare le possibili traiettorie di sviluppo futuro non soltanto per non arretrare in termini settoriali ma principal-mente per supportare il sistema-Paese a mantenere livelli di com-petitività tali da incentivare la ripresa economica e far ripartire lo sviluppo. Le «logistiche» ed i trasporti, quindi, quali strumenti o leve strategiche di intervento non solo in termini microeconomi-ci per la competitività del sistema produttivo e distributivo, ma anche in senso macroeconomico ai fini dello sviluppo economico generale e regionale, con azioni tese a favorire il tendenziale in-cremento degli indicatori fondamentali quali PIL, valore aggiunto e occupazione.

Nella comprensione di tali tendenze e nella previsione della loro evoluzione, si possono individuare elementi e fattori di poten-ziale ripresa economica, in particolare per il recupero di competi-tività regionale per il Mezzogiorno italiano. La continuità, la pros-simità e la funzionalità territoriale delle infrastrutture a supporto delle catene logistiche globali, nel senso delle relazioni spaziali e funzionali tra porti, retroporti, collegamenti ferroviari e stradali di

Rivista economica del Mezzogiorno / a. XXV, 2011 n. 1-2

Codici JEL: R40; O18. Pur se frutto di studio congiunto degli autori, l’articolo può attribuirsi per i paragrafi

1,2,6.3,6.4,7 a Ennio Forte e per i paragrafi 3,4,5.1,5.2,6.1,6.2 a Lucio Siviero.

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«ultimo miglio» ed inland terminal, sono influenzate fortemente dalle strategie di sviluppo e dalla integrazione verticale e orizzon-tale dei freight forwarders e dei logistics providers. Il ruolo chiave in tali processi di integrazione a livello globale è dunque svolto da operatori logistici che offrono ai loro clienti in tutto il mondo ser-vizi di logistica attraverso capillari network operativi.

Importanti cambiamenti in questo senso sono il frutto della crescente integrazione tra produzione e logistica all’interno di catene di approvvigionamento e di fornitura e di filiere traslog corrispondenti, caratterizzate da strategie di outsourcing delle attività logistiche, reti globali di fornitura ed avvicinamento del-le fasi finali di lavorazione dei prodotti ai mercati di consumo (postponed manufacturing), nel passaggio dalla produzione di massa alla produzione flessibile che impone standard qualitativi e di efficienza logistica molto elevati (forniture JIT – just in time, frequenze elevate, dispersione dei fornitori, stoccaggi e smista-menti in transito, ecc.). La progettazione di catene di approvvi-gionamento o fornitura globali è mutata negli ultimi decenni a causa della continua evoluzione delle esigenze delle imprese in relazione ad attributi di scelta dei servizi (prezzo, qualità, velo-cità, affidabilità, flessibilità), contenuti in un mix di attività che coinvolge in maniera sempre più determinante operatori specia-lizzati in grado di aggiungere valore ai prodotti industriali grazie all’efficienza logistica operata a livello mondiale ed all’efficacia dei contesti territoriali locali di azione (efficienza-efficacia «glo-cale») (Fujita e Thisse, 2002).

2. La visione logistica del territorio per la competizione regionale

Una profonda evoluzione si è determinata nei processi in-dustriali che sono diventati complessi sistemi multilocalizzati. Nuove forme di organizzazione industriale spiegano l’abban-dono dell’«economia delle scorte e del magazzino» e la nascita dell’«economia dei flussi». Le caratteristiche della prima sono di produzione poco diversificata e ciclo lento di rinnovo, nella se-conda, invece, si trovano prodotti personalizzati, in molti casi a livello locale presso i mercati di consumo, con un ciclo veloce di produzione e distribuzione che consente il rinnovo frequente di tutti i prodotti (Verny, 2007). Questa evoluzione comporta la spe-cializzazione delle unità di produzione e di aree vaste di produzio-ne con l’obiettivo è di adeguare l’offerta alla domanda con costi

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di produzione tali da aumentare la produttività e ridurre le scorte attraverso flussi rapidi e regolari, rispettando i tempi di consegna a prezzi competitivi.

L’evoluzione dei sistemi di logistica impone l’integrazione nelle strategie di localizzazione delle imprese, per diverse scale territo-riali (locale, regionale, nazionale, continentale o mondiale) l’av-venuta riduzione tendenziale dei costi di trasporto ed il miglio-ramento dell’efficienza logistica hanno avuto ripercussioni sulla dinamica territoriale delle strutture industriali. La logistica è di-ventata determinante nella scelta di localizzazione dei siti produt-tivi e distributivi, in particolare nella scelta tra modelli «centraliz-zati» con poche o senza strutture periferiche regionali e modelli più «decentralizzati» nei quali aumentano i livelli periferici di rete (depositi, transit point, magazzini locali, ecc.) (McKinnon, 2009). Krugman, Fujita e Thisse dimostrano l’importanza della logistica in uno spazio economico «ideale» alla Von Thunen che propo-ne una serie di posizionamenti ottimali (Krugman, 1991; Fujita e Thisse, 2002).

L’obiettivo di minimizzare i costi di trasporto tra luogo di pro-duzione e luogo di consumo è stato facilitato dalla minore inci-denza della distanza sul costo di trasporto (principalmente ma-rittimo), mentre l’obiettivo primario è stato quello di facilitare le operazioni finali di post-produzione, come l’imballaggio, il confe-zionamento, ecc., mediante la corretta progettazione di comple-tamenti industriali (posizionamenti, dimensionamenti, ecc.) delle strutture logistiche regionali. L’aumento della mobilità Nord-Sud a livello globale ha rappresentato una grande opportunità per sviluppare nuove modalità organizzative che comportano nuove relazioni tra territori. Negli anni più recenti, con il consolidato sviluppo delle economie emergenti, flussi consistenti si concentra-no su relazioni Sud-Nord e Sud-Sud che stanno ridisegnando la geografia economica del prossimo futuro, dato il peso raggiunto da tali economie con la Cina seconda potenza economica mon-diale, Brasile, Russia, India e Corea del Sud in rapidissima ascesa verso le prime posizioni.

Il positivo risultato di un posizionamento ottimale contribuisce allo sviluppo di una nuova organizzazione geografica della pro-duzione compatibile con gli obiettivi di mobilità sostenibile e, a livello locale, cooperando ed interagendo all’interno di reti di im-prese per ridurre distanze medie ed aumentare il fattore di carico. La globalizzazione «matura» accentua la specializzazione regionale e facilita la concentrazione di imprese in luoghi che offrono van-

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taggi specifici, come lo sono i poli e centri logistici, gli interporti, i distripark (Notteboom e Rodrigue, 2009).

Il criterio di analisi economica proposto, parte dal presupposto che la promozione, anche attraverso un sistema dedicato di incen-tivi, della «logisticizzazione» dei processi produttivi concentrati in aree vaste interstiziali con sbocco a mare, rispetto alle grandi conurbazioni, possa essere incardinata in un contesto territoriale definibile: Filiera Territoriale Logistica (FTL).

La FTL comprende uno sbocco a mare, quale un porto com-merciale sia di tipo rinfusiero, sia per merci varie e unitizzate, un retroporto, inteso quale area attrezzata ricavabile altresì da ambi-ti industriali dismessi e bonificati, da rendere appetibili agli inve-stitori attraverso misure generalizzate di defiscalizzazione, dove possano insediarsi attività di logistica «a valore aggiunto» rivolte prevalentemente all’esportazione o alla riesportazione dopo aver subito un perfezionamento produttivo attivo. L’ambito interno al territorio della FTL riguarda gli inland terminal o piattaforme logistiche interne, tra i quali vengono inclusi gli interporti, quali strutture plurimodali ed intermodali basate prevalentemente sul-lo scambio modale ferro-gomma. Con riferimento al Mezzogior-no, nell’impianto metodologico proposto ci si riferisce meno agli interporti che finora hanno avuto un ruolo alquanto marginale di interfaccia con l’economia dei flussi marittimi che caratterizzano le attività import-export delle regioni dell’Italia meridionale.

Politiche di sostegno delle FTL dovranno incentivare pertanto i processi di «logisticizzazione a valore» delle merci, ispirati ai con-cetti della Logistica economica, volte ad incardinare le filiere pro-duttive meridionali in filiere territoriali logistiche lungo processi di ottimizzazione che possano generare risultati positivi su PIL, valore aggiunto, esportazioni ed occupazione (Forte, 2009). È importante sottolineare come il recente disegno di legge di riforma portuale e di revisione della legge 84/94, che ha dato il via alla liberalizzazione del settore portuale, vada proprio in tal senso con la previsione e la promozione, tra l’altro, di attività finalizzate al recupero a fini logi-stico-produttivi di aree industriali dismesse retroportuali ed alla co-stituzione di sistemi logistici portuali quali «luoghi di coordinamento delle attività di più porti e retroporti appartenenti ad un medesimo bacino geografico o al servizio di uno stesso corridoio europeo».

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIITT), nell’ambito delle attività per la definizione del Quadro Strategico Nazionale per la Politica di Coesione Europea 2007-2013, nell’ot-tica specifica del potenziamento e qualificazione dell’armatura

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infrastrutturale delle aree vaste italiane, intesa come insieme or-ganico e gerarchicamente ordinato di reti e nodi, ha introdotto il tema delle «Piattaforme territoriali strategiche», intese come mas-se critiche territoriali che presentino caratteri endogeni e relazio-nali tali da facilitare l’intercettazione e il rafforzamento di filiere produttive di beni e servizi e, quindi, il conseguimento di livelli di eccellenza della «offerta territoriale». Al fine della identificazione di «Piattaforme Territoriali Strategiche», il MIITT ha promosso programmi operativi sperimentali in contesti territoriali, individua-ti secondo criteri-guida finalizzati a rilevare, dal confronto interno alle due macro-aree geografiche Centro-Nord e Mezzogiorno, i li-velli della competitività e la loro caratterizzazione. I criteri-guida sono riconducibili a:

– l’accessibilità;– la coesione territoriale;– l’eccellenza territoriale.I criteri-guida sottendono il processo attivato per la identifica-

zione e la caratterizzazione definitive delle piattaforme territoriali, fondato sulla interazione tra due «percorsi»: (i) dalla individuazio-ne dei gangli territoriali nazionali, variamente vitali per la cresci-ta della competitività del sistema-Paese, l’output verso i territori regionali e i sistemi locali, luogo – questi ultimi – di attuazione delle attività operative sperimentali; (ii) dalle regioni e dai siste-mi locali l’input alla sintesi nazionale, in quanto test della vision nazionale, declinazione e articolazione dei potenziali di eccellenza, quadro circostanziato di riferimento per la messa a coerenza e a sistema tra impegni nazionali per la competitività e impegni regio-nali per la coesione. Una iniziale analisi dei corridoi transeuropei, della Rete TEN, del PON Trasporti, di Interreg, di ESPON, ha consentito in una prima fase al MIITT di concretizzare un insie-me di «piattaforme territoriali strategiche», ed un primo quadro descrittivo, articolate su tre livelli:

– Piattaforme transnazionali, attestate sui corridoi transeuro-pei, che rappresentano gli spazi di saldatura dell’Italia al sistema europeo;

– Piattaforme nazionali, individuate sulle trasversali Tirreno-Adriatico, che rappresentano gli spazi di rafforzamento delle con-nessioni tra corridoi transeuropei, nodi portuali ed armatura terri-toriale di livello nazionale;

– Piattaforme interregionali che integrano e completano le piattaforme nazionali, a sostegno dello sviluppo policentrico per il riequilibrio territoriale, ulteriormente convalidate dalle analisi con-

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dotte per la identificazione dei sistemi locali e dei territori urbani da coinvolgere nell’attuazione di programmi operativi sperimentali (fonte: MITT, 2006).

L’articolato metodo di analisi/valutazione/selezione adottato dal Ministero, in combinato con gli obiettivi specifici e peculiari

FIG. 1. Piattaforme Territoriali Strategiche.

Legenda: verde: piattaforme transazionali; in rosso: piattaforme nazionali; in azzurro: piattaforme interregionali.

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Allegato Infrastrutture 2007-2010.

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di ciascun programma, ha portato alla individuazione di una plu-ralità di contesti di sperimentazione all’interno di ciascuna piatta-forma strategica, in grado di costituire un attendibile dispositivo di verifica degli scenari inizialmente tracciati e di restituire input esaurienti per la sintesi nazionale. Appare utile ricordare che l’in-dividuazione di ambiti ed azioni strategiche per il rafforzamento delle piattaforme territoriali strategiche rappresenta un obietti-vo di politica gestionale del territorio complesso e multisettoria-le, infatti, rappresenta l’individuazione di ambiti territoriali su cui prevedere o promuovere in modo selettivo opere e strategie in coerenza con gli assetti tendenziali e istituzionali del territorio. È necessario capire, considerando indicatori statistici e dati rappre-sentativi delle linee di sviluppo del territorio, di quale rango sia-no le relazioni che i territori possono sviluppare e su quali risor-se chiave, in ragione delle peculiarità geografiche, delle vocazioni socio-economiche e delle prospettive di sviluppo.

Secondo tal approccio, che rappresentare una valida espe-rienza di progettazione del territorio utile all’innalzamento della sua produttività logistica, bisogna quindi individuare chiaramen-te i nodi di intersezione tra reti principali (terrestri e marittime) e sistemi della distribuzione locale, ma soprattutto verificare la coerenza tra questa geografia della mobilità e le logiche attuali di distribuzione delle funzioni strutturanti gli insediamenti regiona-li, nonché il disegno di un assetto tendenziale delineato dall’evo-luzione degli strumenti di pianificazione e programmazione nel Mezzogiorno.

3. Sviluppo di un sistema territoriale orientato al valore aggiunto logistico

Ai fini del raggiungimento di una crescita qualitativa e soste-nibile di un sistema logistico a livello territoriale locale è ampia-mente riconosciuta l’importanza di azioni indirizzate a rafforzare gli aspetti di comunicazione, promozione e studio dei fenomeni logistici e trasportistici, incentivando il confronto tra enti, opera-tori ed opinione pubblica per meglio definire le specifiche proble-maticità ed ampliare le possibili soluzioni legate alle innovazioni infrastrutturali, tecnologiche ed organizzative. Incrementando il coordinamento delle azioni di tutti gli attori di un sistema logisti-co, è possibile favorire uno sviluppo compatibile a livello settoria-le e territoriale, che conferisce al territorio competitività aggiunti-

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va capace di attirare nuovi investimenti ed innescare significativi processi di sviluppo endogeno ed autopropulsivo.

Dal lato delle imprese, le principali decisioni che interessano la logistica riguardano:

– la struttura della catena dell’offerta (supply chain), la loca-lizzazione e la dimensione degli impianti di produzione e dei siti di movimentazione, magazzinaggio e stoccaggio ed il loro corretto posizionamento al’interno del complessivo network logistico;

– l’allineamento della catena, la ripartizione in differenti seg-menti di processo, il numero e la localizzazione dell’offerta e la destinazione ultima del prodotto;

– la programmazione del flusso del prodotto, la dimensione dei lotti, la frequenza delle consegne, le modalità di ordine e con-segna;

– l’amministrazione delle risorse logistiche, dimensione e tipo di veicoli e mezzi, forme di movimentazione, sistemi di magazzi-naggio e deposito;

– la configurazione del prodotto, l’adattamento allo specifico mercato, il design, l’assemblaggio, la personalizzazione, ecc.

Nell’ambito delle strutture produttive internazionali reticolari esiste una fortissima relazione tra il ruolo strategico di una funzio-ne aziendale all’interno dell’organizzazione multinazionale e la so-stenibilità della localizzazione di quella funzione stessa all’interno del network. Possono essere identificate tre strategiche caratteri-stiche di posizionamento (non alternative) delle attività produttive per essere situate in luoghi fonti di specifiche economie di localiz-zazione:

– la posizione ha accesso a fattori produttivi a basso costo;– la posizione ha accesso ad abilità, conoscenza e innovazione;– la posizione è nella prossimità del mercato di sbocco per i

prodotti.Un posizionamento ottimale dovrebbe avere tutte e tre le pre-

cedenti caratteristiche e, quindi, assicurare all’impresa vantaggi posizionali sia dal lato della produzione, sia dal lato della distribu-zione. La geografia economica del mondo globalizzato si è evoluta nel senso di rendere meno conveniente l’additività di tali caratte-ristiche in un unico luogo geografico ma bensì di sviluppare rela-zioni di rete tra imprese localizzate in luoghi diversi, posti anche a grande distanza, nei quali sono presenti con maggiore frequenza combinazioni di due delle suddette caratteristiche.

Se anche lo sbocco delle produzioni in termini di consumi si sposta verso i paesi a basso costo dei fattori della produzione, in-

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fatti, si entra in una diversa fase dell’economia globalizzata che vede prevalere processi di internazionalizzazione delle imprese e delle filiere, ovverosia, per quanto riguarda le imprese del mondo industriale occidentale, di produzione all’estero per i mercati este-ri pur mantenendo nei paesi occidentali centri di progettazione, ricerca ed innovazione.

Una fase ulteriormente più avanzata della globalizzazione po-trebbe vedere il trasferimento completo di tutte e tre le caratte-ristiche posizionali presso le aree geografiche di reperimento dei fattori di produzione a basso costo, con l’accentuazione ancor più forte del fenomeno già in atto della deindustrializzazione dei paesi occidentali e della perdita di valore aggiunto e occupazione deri-vante dalle attività di manifattura. È evidente il rischio per i paesi industrializzati di una tale ulteriore fase di spostamento di parti fondamentali dei processi produttivi.

In seguito alla crisi internazionale del 2008-2009 ed all’attuale fase di forte instabilità dei mercati finanziari e delle materie pri-me, si manifestano segnali di una certa inversione di tendenza. I vantaggi in termini di costo della produzione stanno rapidamen-te cambiando; l’aumento dei salari nei paesi in forte espansione come Brasile, Russia, India e Cina (BRIC), l’aumento dei prezzi della materie prime, l’effetto prevedibile di innalzamento dei tassi di cambio delle valute di tali paesi e l’aumento dei costi di tra-sporto determinato dal crescente costo del petrolio, stanno in qualche modo neutralizzando i vantaggi ottenuti inseguendo il basso costo del lavoro. In sostanza, si stanno riequilibrando i co-sti dei fattori della produzione limitando i vantaggi finora deter-minanti la delocalizzazione. Se delocalizzare serviva a contenere i costi per competere sui mercati occidentali, nel prossimo futuro tale modello potrebbe non funzionare più come prima e potrebbe cambiare la mappa dei rischi e delle opportunità della delocalizza-zione produttiva ai fini della competitività di costo per i mercati di consumo occidentali. Si evidenziano fenomeni quindi di inter-nazionalizzazione globale delle imprese con la progressiva minore ricerca di fattori produttivi a basso costo nello spazio geografico globale ma piuttosto la ricerca di processi internazionali di accre-scimento del valore dei prodotti sfruttando «filiere di prossimità» e spingendo maggiormente su produttività ed innovazione, con un potenziale riavvicinamento, quindi, tra luoghi di produzione e mercati di consumo (Unioncamere e Mediobanca, 2010).

In termini più legati alle funzioni avanzate logistiche che le im-prese tendono a svolgere in posizione più prossima ai mercati di

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sbocco, la tendenza è verso lo svolgimento di attività a valore ag-giunto da svolgere affiancate alle attività proprie della movimen-tazione e della distribuzione, ed in particolare le attività di perso-nalizzazione dei prodotti e di percezione ed adattamento alle ri-sposte del mercato. Tali attività di servizi a valore aggiunto (VAS) hanno raggiunto in Italia nel 2009 un valore pari a 7,8 miliardi di euro, pari a circa l’8% del totale valore del settore della logistica, pari a circa 103 miliardi di euro, composta da trasporto, deposito (warehousing) e servizi a valore aggiunto. La tendenza più recen-te è dell’incremento costante della domanda di servizi di logistica a valore aggiunto, in particolare rivolta ad imprese specializzate in logistica c/terzi, avvicinandosi alla media europea (EU29) che vede tali servizi pesare per il circa 12% del valore totale del setto-re della logistica (CONFETRA, A.T. Kearney, 2011).

L’applicazione di strategie di post-ponement (rinvio alla fase di-stributiva di parti di lavorazioni finali) richiede per alcune attività, normalmente associate alla produzione, che possano essere effet-tuate a valle della catena dell’offerta, ritardando la fase nel tempo quando i beni sono destinati a specifici mercati. Il post-ponement è una specifica combinazione dei fattori tempo, distanza e valore aggiunto nel «posizionamento delle scorte di prodotti» a monte nel modello «centralizzato» oppure a valle nel modello «decentra-lizzato», che si dispiegano in parallelo alle funzioni di distribuzio-ne ai mercati. Essendo parte del post-ponement, il valore aggiunto logistico (VAL) è quindi una combinazione di attività logistiche e industriali. Tali attività vengono effettuate per incontrare i requi-siti richiesti dal mercato e tali operazioni a valore sono portate il più possibile a valle nella catena dell’offerta. Contribuiscono quin-di ad incrementare la flessibilità del mercato ed a ridurre il costo logistico totale ed il rischio di obsolescenza dei prodotti. Il VAL può essere diviso in due gruppi: il VAL generale che consta di at-tività che non differiscono a seconda del mercato di sbocco e il VAL di adattamento al mercato, che invece si riferisce ad attività specifiche distinte per fattori regionali, di segmentazione del mer-cato, di configurazione del prodotto (Fig. 2).

Le funzioni tradizionali di un centro di distribuzione si stan-no estendendo sempre più a varie attività capaci generare VAL. In quelli che vengono definiti Distribution Centre, specie se loca-lizzati in aree retroportuali, si sviluppano servizi logistici a valore, aggiungendo a magazzino e distribuzione attività di configurazio-ne del prodotto, assemblaggi «in-transito» di componenti e parti (merge in transit), imballaggio, preparazione di documentazione e

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gestione ordini, servizi di call-center per i clienti, controllo di qua-lità, riparazione e movimentazione di beni «di ritorno» (reverse lo-gistics) (Mangan e Lalwani, 2008).

Un sistema logistico territoriale dovrebbe evolvere pertanto se-condo indirizzi strategici di mercato orientati dalle imprese con ne-cessità di localizzarsi in ambiti geograficamente ed economicamente adatti alle loro esigenze produttive e distributive. Politiche di razio-nalizzazione e miglioramento dell’efficienza del sistema territoriale dei trasporti potrebbero quindi avere come conseguenza diretta l’attrazione di attività di logistica produttiva a valore aggiunto che nell’attuale fase evolutiva dell’economia mondiale possono rappre-sentare una delle opportunità di crescita economica dei territori che dispongono di vantaggi competitivi in termini di qualità, ricerca ed innovazione piuttosto che di costo dei fattori della produzione.

4. La capacità di attrazione di investimenti in attività logistiche

Le infrastrutture e la logistica sono tornate a rappresentare oggi un focus importante nel panorama delle politiche territoria-li, sia per il marketing territoriale attivo (in riferimento ai fattori

Pro

duct

cus

tom

isat

ion

driv

e

Service responsiveness drive

Efficiency focus viainternational

distrubution centre

Customised productsvia VAL and postponed

manufacturing

Agility and flexibility of delivery

Individualised productsand services in a

transparency network

FIG. 2. Drive del VAL.

Fonte: HIDC.

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localizzativi ed all’attrazione di investimenti esterni), sia per la ra-zionalizzazione del sistema produttivo ai fini dello sviluppo e della mobilità sostenibile.

La logistica, quindi, entra a pieno titolo nel settore della pia-nificazione dei trasporti, cioè di quegli atti di governo che appar-tengono alla politica dei trasporti. È necessario tenere in consi-derazione che lo scenario socio-economico attuale è fortemente caratterizzato dalla competizione tra territori per la fornitura di servizi alle imprese che competono nel mercato globale; la pos-sibilità di un ambito territoriale di fornire infrastrutture di colle-gamento e di accesso ai circuiti internazionali di comunicazione appare decisiva per lo sviluppo economico e sociale del territorio stesso.

L’integrazione e l’ottimizzazione del canale logistico esterno, produttivo e commerciale, (external supply chain) sarà una delle aree di maggior investimento da parte delle imprese, sia pubbliche che private e rappresenta, appunto, un’estensione a livello intera-ziendale di quella vasta re-ingegnerizzazione dei processi interni che ha caratterizzato gli anni 2000.

Parallelamente si è andato accentuando l’orientamento a esternalizzare tutte le attività che non rappresentano competen-ze chiave per un’impresa, stimolando così la crescita di una vera e propria logistics industry e di nuovi settori di attività ad essa riconducibili. Le tendenze in atto portano a trasferire le attività logistiche all’esterno affidandole ad operatori specializzati ope-ranti in piattaforme logistiche attrezzate. Il mercato italiano però, rispetto al resto dell’Europa, si posiziona tra i livelli più bassi di terziarizzazione dei servizi logistici con una media al 2009 pari a circa il 41% del valore totale del mercato, rispetto alla media eu-ropea che è di circa il 55% (CONFETRA, A.T. Kearney, 2011). Le imprese italiane non hanno ancora pienamente sentito il biso-gno di esprimere un controllo forte dei flussi dei materiali e delle informazioni né hanno ricercato nell’efficienza dei servizi logistici particolari fonti di vantaggio competitivo, d’altra parte, le azien-de nazionali di trasporto tendono a focalizzare l’offerta su scala locale o regionale con servizi standardizzati e a contenuto esclusi-vamente vettoriale.

Le piccole imprese di produzione presentano problemi mag-giori rispetto a soggetti più grandi che meglio hanno assimila-to cultura, tecniche e tendenze logistiche sotto la spinta della concorrenza internazionale e della crescita dei mercati. È noto, infatti, che l’incidenza media del costo delle attività logistiche

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sul totale dei costi aziendali (tasso di incidenza dei costi traslog) tende ad aumentare al diminuire delle dimensioni aziendali. Ne consegue che la crescita della cultura logistica nelle PMI gioca oggi un ruolo determinante per lo sviluppo economico dell’in-tero Paese. In tale settore appare necessaria, pertanto, una re-visione dei processi produttivi alla luce di soluzioni di logistica integrata, ricordando però che la logistica non significa solo tra-sporto. Anche se oggi la maggior parte delle aziende punta al contenimento del costo di trasporto, quest’ultimo è solo una delle componenti del costo del «prodotto logisticizzato» (Forte, 2008) ed è quello che può essere ridotto di meno poiché le tarif-fe dei vettori, in forte concorrenza, sono prossime alle più basse possibili rispetto al costo marginale di produzione del servizio e molto allineate tra loro. In sostanza, ciò significa che le imprese non potendo ottenere sensibili riduzioni dei costi logistici agen-do sui costi di trasporto, saranno incentivate a dismettere gra-dualmente la gestione diretta dei magazzini e terziarizzare parti finali di produzione e distribuzione, fino all’assistenza ai clienti ed alla reverse logistics.

A differenza del trasportatore classico che prende in carico la merce da un unico committente per trasferirla a diversi punti di consegna, il prestatore di servizi logistici raggruppa i volumi di spedizione di varie imprese e quindi realizza economie di scala, di scopo e livello di servizio che non potrebbero essere ottenuti altri-menti dalle singole imprese. La presenza sul territorio di partner logistici (3PL: third party logistics provider) esperti ed affidabili, insieme ad infrastrutture e ad altre strutture dedicate alla logisti-ca operanti in continuità funzionale, rappresenta uno dei princi-pali indicatori economici di svolgimento di attività di logistica che trovano lungo gli assi/corridoi europei prioritari, positivi effetti di localizzazione agglomerata o concentrata. Lo sviluppo del settore immobiliare logistico evidenzia in Italia le fondamentali direttrici lungo le quali realizzare economie di rete, economie di scala ed economie di scopo, grazie all’utilizzo di funzioni logistiche dispo-nibili in modo diffuso sul territorio, in stretta sinergia con le esi-genze delle imprese (Fig. 3).

Lo sviluppo del settore immobiliare logistico, incentivato in al-cuni casi anche dall’intervento pubblico per la realizzazione degli interporti, ha seguito logiche di mercato che hanno evidenziato l’importanza di filiere territoriali logistiche principalmente presenti nel Nord Italia fondate sull’interscambio produttivo e commercia-le anche con il Centro-Nord Europa, oltre che per il mercato in-

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Genova

Alessandria

La Spezia

• Parma, posta nell’intersezione tra l’A1 e la Parma-La Spezia

• In Piemonte, l’area tra TO-AL-NO, favorita dalla vicinanza a Milano e Genova (TEN. T24)

• Il Veneto (VR-PD-RO) favorito dalla vicinanza ad ampie aree di produzione ed alle linee viarie che connettono il nord con la parte orientale dell’Europa (A22)

• Brescia e Pavia come valide alternative alla congestionata area milanese

Novara Milano

VeronaPadova

Rovigo

BolognaTorinoPavia

Piacenza

Parma

Brescia

Corridor VLisbon-Kiev

Corridor I Palemo-Berlin

Genoa-RotterdamCorridor

Corridor I – Palemo-Berlin

Le aree emergenti sono:

• Macro area Romana• Catania• Ancona sulla costa adriatica• Macro area napoletana

Ancona

Pescara

Bari

BeneventoMarcianiseNola

Catania

Napoli

Palermo

Roma

FIG. 3. Sviluppo immobiliare logistico in Italia.

Fonte: Jones Lang LaSalle, 2007.

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terno. La logica localizzativa è stata orientata principalmente verso funzioni logistiche fornite da infrastrutture del tipo inland freight centre con relazioni di traffico con i grandi porti del Nord Europa e meno con i porti italiani.

Verona Quadrante Europa con circa 27 milioni di tonnellate movimentate, di cui oltre 6 milioni di traffico intermodale ferro-gomma rappresenta una delle principali infrastrutture nodali ita-liane, porti compresi. I traffici intermodali dell’interporto di Ve-rona sono di relazione prevalentemente con l’Europa e solo in quota minore con i porti italiani (La Spezia il principale), il ter-minale ferroviario rappresenta il gateway di treni navetta da e per il Nord Europa (Rostock, Freilassing, Amburgo, Rotterdam) e l’Europa orientale (Ungheria e Romania) (fonte: Consorzio ZAI, 2009).

Al Sud, invece, si trovano interessanti aree emergenti dal punto di vista logistico, nei confronti delle quali, però, i siste-mi di trasporto multimodali presentano evidenti inefficienze, principalmente sotto il profilo del trasporto intermodale strada-ferrovia. Va aggiunta la scarsa disponibilità di facilitazioni per l’accesso ai porti e quindi al combinato marittimo ed all’inter-modalità mare-ferro (congestione urbana, carenza di connessio-ni di «ultimo miglio» per l’accesso ai porti, carenza di adeguati scali ferroviari all’interno dei porti quasi tutti dismessi, insuffi-ciente disponibilità di spazi e piazzali attrezzati, ecc.). Tali ele-menti limitano fortemente lo sviluppo proprio nel senso della progettazione di filiere territoriali logistiche integrate lungo le principali direttrici di traffico internazionale che al Sud, vista la naturale vocazione mediterranea, sono principalmente basate sul modo marittimo. Il modello inland rail-terminal, posto an-che a notevole distanza dai porti di riferimento, perseguito con successo dai principali interporti del Nord e da altri terminal ferroviari come quelli della Lombardia (Rho, Melzo, Busto Ar-stizio), non sembra aver funzionato al Sud. La conferma di ciò la si trova nella assoluta scarsa significatività dei traffici inter-modali strada-ferro con origine-destinazione gli interporti attivi del Mezzogiorno (Nola e Marcianise) pari a 550 mila tonnellate in totale, circa il 9% del solo interporto di Verona (CENSIS, 2009). L’Unione Interporti Riuniti, infatti, propone di conside-rare come interporti pienamente operativi soltanto quelli in gra-do di movimentare almeno 10 coppie di treni alla settimana ed essere connesso ai grandi Corridoi trans-europei e con i princi-pali porti.

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5. Le aree vaste e le Filiere Territoriali Logistiche per la competi-zione del Mezzogiorno

5.1. L’orientamento produttivo e distributivo per la trasformazione delle aree vaste in Filiere Territoriali Logistiche

La costituzione di una piattaforma territoriale logistica, orga-nizzata sistemicamente come una vera e propria filiera produtti-va, passa attraverso dotazioni infrastrutturali di collegamento tra porti o sistemi portuali e l’inland, assi stradali e ferroviari anche specificamente dedicati, che integrino al massimo gli anelli del-la catena dei trasporti e della logistica con ricadute sull’efficienza del trasporto e sulla competitività delle imprese e degli insedia-menti produttivi locali con dotazioni immateriali che incentivino le imprese a sviluppare relazioni e reti inter-organizzative finaliz-zate a sviluppare anche nelle funzioni logistiche maggiore produt-tività ed innovazione. Inoltre, si creano opportunità di attrazione di investimenti per la realizzazione di distribution center di im-prese operanti nel mercato globale per favorire esportazioni e ri-esportazioni.

Punto centrale di un modello di sviluppo basato sulle filiere territoriali logistiche (FTL) è il convogliamento di flussi di pro-duzioni locali di eccellenza e l’attrazione di flussi in entrata (in-bound) via mare di semilavorati e beni intermedi prodotti in di-verse aree del mondo, per trasformarli in beni di maggior valo-re attraverso processi innovativi e riesportarli (export processing), principalmente con il trasporto marittimo, a livello globale. È strategico per il loro rilancio economico che i nodi infrastruttu-rali del Mezzogiorno evolvano verso la dimensione di aree logisti-che di transito produttivo delle merci, localizzate ed organizzate sul territorio per funzioni gerarchiche, che realizzino non solo il trasbordo dei carichi da un modo di trasporto all’altro ma vere e proprie piattaforme logistiche utili soprattutto per sviluppare e supportare catene di attività nelle quali è possibile generare e la-sciare al territorio valore che può tradursi in occupazione, reddito e ricchezza per la collettività. Tale configurazione della filiera logi-stica può sintetizzarsi nel concetto economico di rete-valore (value network) che generalmente dispone di una porta di ingresso e di egresso marittimo per il traffico internazionale (gateway).

Oltre agli interventi sulle dotazioni di base come quelli di am-modernamento e riqualificazione delle infrastrutture, l’accento andrebbe posto sui servizi logistici innovativi che possano rappre-

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sentare vantaggi economici e competitivi rivolti a settori produt-tivi e/o a parti e frazioni di essi nel contesto produttivo globale. I settori d’investimento più interessanti per il rafforzamento della presenza produttiva e logistica derivante dalla progettazione terri-toriale di un efficiente sistema logistico per le regioni del Mezzo-giorno, possono individuarsi in:

– nuove tecnologie industriali e di ricerca e sviluppo nei setto-ri hi-tech di punta (trasporti e comunicazioni, aerospaziale, biotec-nologie, sistemi tecnologici per l’industria, nanotecnologie, ecc.);

– filiere tradizionali di eccellenza del made in Italy (agroa-limentare, moda, oreficeria, meccanica di precisione, macchine utensili, ecc.);

– risorse energetiche e delle comunicazioni;– tecnologie innovative di quasi-manifacturing orientate

all’esportazione;– utilizzo e rigenerazione delle risorse riciclabili e rinnovabili;– prevenzione dell’inquinamento ambientale;– sviluppo della ricerca e dell’innovazione nei settori a diffu-

sione mondiale di marchi, brevetti, diritti e royalties.Soluzioni sperimentate a livello internazionale hanno dimo-

strato la validità di sistemi funzionali alla ripartizione dei servizi intermodali e dei flussi tra localizzazioni import-dominated e lo-calizzazioni export-dominated, con specializzazioni nell’hinterland per quanto riguarda le prime ed in area portuale o retroportuale per quanto riguarda le seconde, creando un sistema circolare con risultati positivi in termini di riduzione delle distanze medie, di viaggi a vuoto e di riduzione di esternalità negative. Il Mezzogior-no italiano vede nell’«economia del mare» una delle principali ri-sorse in grado di generare ricchezza ed occupazione, data anche la forte concentrazione di operatori del settore, in primis le maggiori compagnie di armamento nazionali. In tal senso è il territorio nel quale si possono creare le condizioni di reale sviluppo competiti-vo a livello globale per i prossimi anni. Di grande interesse è in-fatti l’analisi delle attività logistiche che sono realmente connesse ai porti e che possono beneficiare di economie di localizzazione derivanti dalla maggiore o minore vicinanza alle strutture portuali. Le localizzazioni portuali o retroportuali sono prescelte, ad esem-pio, da imprese che rilocalizzano i loro distribution center basati su catene di trasporto mare-mare e mare-ferro.

Nel nuovo ambiente di mercato logistico le principali attività che possono trovare nei porti e nei retroporti idonea localizzazio-ne possono identificarsi in:

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– attività logistiche per la manipolazione, movimentazione e inoltro marittimo di produzioni locali e di filiere di eccellenza presenti sul territorio nei settori di forza manifatturieri;

– distribution center di grandi imprese multinazionali che ne-cessitano di basi logistiche regionali per la semi-lavorazione di beni intermedi importati e la successiva distribuzione a scale di distanza medio-lunghe;

– attività logistiche che trattano grandi volumi di carichi e che necessitano di inoltro terrestre utilizzando vie navigabili e ferrovia;

– attività logistiche che necessitano magazzinaggio flessibile per creare dei buffer (stoccaggi transitori) di prodotti e/o beni in-termedi (prodotti stagionali e a domanda fluttuante nel tempo);

– attività logistiche che si servono dello short sea shipping (tra-sporto marittimo a breve raggio, combinato strada-mare ro-ro).

Le attività dei centri di distribuzione regionali trovano nella localizzazione portuale o retroportuale fortissima attrazione spe-cialmente nelle strutture produttive-distributive con importazioni multiprodotto e multiregionali e con necessità di centri di con-solidamento per la successiva esportazione. Molti porti hanno ri-sposto a tali esigenze delle imprese con la realizzazione di logi-stics park o distripark all’interno o in prossimità dell’area portua-le, spesso associati allo stato giuridico di zona franca (free trade zone). La concentrazione di imprese logistiche in parchi logistici dedicati offre molti vantaggi con riferimento alla congestione, ai costi di trasporto ed alla specializzazione della manodopera. Con riferimento specifico ai porti, anche localizzazioni logistiche più interne rispetto alla cinta portuale, ma con chiaro orientamento alle attività port-releted, possono rappresentare un valido siste-ma a rete per il trattamento e la lavorazione a valore di merci. La tradizionale funzione del porto come nodo di trasporto viene così in molti casi di successo a trasformarsi in luogo di creazio-ne di valore (hub-value) all’interno di catene logistiche integrate (Robinson, 2002).

Obiettivo generale è quello di definire un’offerta territoria-le che sia attrattiva nei confronti dei potenziali fruitori dell’area e complementare rispetto all’offerta rilevata nelle aree potenzial-mente in competizione. Il potenziamento dell’offerta territoriale individuata si può basare su tre assi strategici di azione:

– specializzazione di filiera e funzionale dei poli logistici per lo sviluppo economico «endogeno» del territorio (livello locale);

– miglioramento dei livelli di accessibilità e della dotazione infrastrutturale endogena ed esogena al sistema economico locale

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per lo sviluppo del trasporto multimodale e del commercio nazio-nale ed internazionale in importazione ed esportazione (livello lo-cale e globale);

– complementarietà di rete con altri poli della filiera territoria-le logistica per l’inserimento del territorio nelle reti logistiche di interscambio mondiale (livello globale).

Nel Mezzogiorno appare evidente la necessità di potenziare la specializzazione di filiera e funzionale di alcuni poli costieri, al fine di garantire una efficiente convivenza tra le diverse infrastrut-ture logistiche presenti sul territorio e realizzare obiettivi di svi-luppo reticolare e diffuso delle aree interne (a differenza del mo-dello puntuale e centripeto basato su grandi nodi logistici interni, come nel caso dei grandi interporti del Nord-Italia orientati pre-valentemente al trasporto intermodale gomma-ferro per l’inoltro nel Nord-Europa). L’obiettivo, cioè, è quello di creare le condizio-ni per lo sviluppo della logistica a livello di area vasta focalizzata su specifiche filiere di eccellenza e funzioni operative articolate in iniziative imprenditoriali autonome ma la tempo stesso fortemen-te integrate che vedano nello «sbocco a mare» il naturale inizio e fine del processo logistico terrestre.

I dati relativi all’interscambio commerciale delle regioni me-ridionali continentali per modo di trasporto, evidenziano come siano nettamente prevalenti le esportazioni effettuate con il modo marittimo, pari a circa il 70% del totale (Fig. 4). Considerando anche le Isole Sicilia e Sardegna, il dato della prevalenza del modo marittimo è evidentemente ancor più significativo.

Con riferimento al principale settore manifatturiero meridiona-le, politiche di sviluppo per il comparto agroalimentare potrebbe-ro trovare proprio nella logistica territoriale il naturale supporto strategico per una maggior affermazione a livello globale. Azioni di logistica mirate alla qualificazione e alla sistematizzazione del comparto agroalimentare, settore che si situa al primo posto per numero di imprese attive e fatturato nel sistema produttivo del Mezzogiorno, possono contribuire ad esaltare caratteristiche di as-soluta eccellenza nelle produzioni ostacolate però dalla presenza di filiere lunghe e frammentate con aziende aventi caratteristiche dimensionali molto diversificate e spesso inadeguate ad affrontare la competitività dei mercati (Bettucci et al., 2010).

Attualmente il comparto agroalimentare sta fronteggiando un periodo di riposizionamento nel quale deve sempre più adattarsi alle logiche di mercati competitivi ed in espansione che richiedo-no produzioni di qualità, per far ciò il settore necessita di sem-

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pre maggiori investimenti in tecnologia produttiva innovativa. Nel 2010, comunque, si registra un fatturato totale pari a 124 miliar-di di euro, +3,3% rispetto all’anno precedente, un valore delle esportazioni pari a 20,9 miliardi di euro, +10,6% rispetto al 2009 ed un saldo positivo import-export di 4,2 miliardi di euro. Tali ci-fre fanno dell’industria alimentare il secondo settore dopo quello metalmeccanico all’interno dell’industria manifatturiera italiana.

L’Italia, con 221 specialità di qualità protette, è leader in Eu-ropa nel settore agroalimentare per numero di prodotti a Deno-minazione controllata (DOP), Indicazione geografica protetta (IGP) e Specialità tradizionali garantita (STG). I prodotti italiani di qualità, protetti dal riconoscimento comunitario, hanno svilup-pato nel 2010 un fatturato al consumo superiore ai 9 miliardi di euro, dei quali circa 1,5 realizzati su mercati esteri. Nel settore DOP e IGP operano circa 100.000 aziende agricole e allevamenti e 7.600 strutture di trasformazione artigianali. Nel Mezzogiorno, le produzioni riconosciute e protette di qualità sono ancora meno diffuse rispetto al Centro e al Nord Italia, ma le potenzialità sono

9.000.000

8.000.000

7.000.000

6.000.000

5.000.000

4.000.000

3.000.000

2.000.000

1.000.000

0A-Altro mezzo

di trasporto

N-Nondichiarato

1-Trasportomarittimo

2-Trasportoferroviario

3-Trasportostradale

4-Trasportoaereo

2008 export 2009 export

FIG. 4. Esportazioni per modo di trasporto del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) – Tonnellate.

Fonte: ISTAT.

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ancora largamente inespresse e potrebbero assicurare risultati eco-nomici molto superiori all’attuale attraverso la ri-pianificazione lo-gistica delle produzioni per tenere più bassi i costi e puntare con maggiore forza ai mercati che stanno registrando fortissimi tassi di crescita della domanda di prodotti alimentari made in Italy come Cina, India, Russia e Brasile. Tra i prodotti di eccellenza, l’export italiano di vini ha toccato nel 2010 il record storico di 3.9 miliardi di euro in crescita del 12% (Federalimentare, 2011).

Nel contesto globale a forte tasso di innovazione e con ritmi di cambiamento accelerato, quel che oggi è in crescita può anche ritrovarsi in breve tempo in difficoltà, quando non fuori mercato. I prodotti risultano pertanto facilmente sostituibili con prodotti similari provenienti da altre aree geografiche i cui mercati offro-no prezzi maggiormente concorrenziali e, inoltre, il processo di trasformazione e confezionamento spesso non avviene nei luoghi di produzione con perdite di valore per i produttori e per l’eco-nomia locale. La realizzazione di una piattaforma agroalimentare per l’esportazione delle produzioni di eccellenza di area vasta geo-grafica, consentirebbe quindi di consolidare e concentrare i servizi per le imprese del settore agroalimentare, svilupparsi sui mercati internazionali e garantire la continuità e la protezione delle ec-cellenze qualitative dei prodotti locali. Esempi di servizi avanzati connessi alla logistica di filiera del settore agroalimentare che si potrebbero attivare possono essere:

– l’istituzione di un centro per la tracciabilità dei prodotti agroalimentari;

– la costituzione di un laboratorio della qualità e dell’igiene alimentare in grado di svolgere analisi con metodologie avanzate e comuni alle imprese del settore a costi competitivi anche per le piccole aziende e di accedere a servizi di auditing e certificazione;

– l’attivazione di servizi per la riduzione dei costi energetici per le aziende;

– lo sviluppo di attività di technical packaging, per la proget-tazione di materiali di packaging espressamente dedicati all’agro-alimentare;

– l’istituzione di un centro di servizi professionali per l’export (servizi strategici per l’espansione e l’internazionalizzazione, servizi di marketing, ecc);

– strutture logistiche comuni specializzate nelle tecnologie le-gate al trasporto ed alla conservazione di generi alimentari che abbiano l’obiettivo di consentire alle piccole e medie aziende di ridurre i costi logistici sfruttando le sinergie di magazzino e di tra-

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sporto (catena del freddo e del fresco, stagionatura, invecchiamen-to, ecc.);

– la definizione di scelte relative alla progettazione di infra-strutture ed impianti comuni o consortili per la prima trasforma-zione dei prodotti agricoli;

– l’istituzione di centri di formazione professionale con focus specifico sulle tematiche del settore agro-alimentare.

È opportuno sottolineare che mentre nell’ambito della Gran-de Distribuzione Organizzata (GDO) l’integrazione logistica è già oggi una realtà sufficientemente consolidata, nel settore delle PMI essa rappresenta una realtà ancora poco valorizzata. Inoltre, la grande distribuzione estera può rappresentare un forte ostacolo per la vendita di prodotti italiani in quanto privilegia i fornitori che garantiscono minori costi che in prevalenza non sono italia-ni anche se producono con nomi e marchi che richiamano l’Ita-lia. Tali fenomeni si sono accentuati con la recessione economi-ca coinvolgendo il comparto industriale del Mezzogiorno che ne ha risentito negativamente. La realizzazione di un sistema di lo-gistica territoriale può contribuire al recupero di efficienza delle produzioni incentivando l’introduzione di strategie innovative di prodotto e di processo attraverso azioni di indirizzo nei proces-si di modernizzazione dei sistemi produttivi e distributivi, nonché di investimenti infrastrutturali, che consentano lo sviluppo dell’in-tegrazione logistica, il consolidamento dei volumi trasportati e la cooperazione degli operatori.

5.2. Integrazione territoriale di filiera e riduzione del costo totale logistico

Le scelte di pianificazione logistica e territoriale non posso-no che assumere come dato di partenza che le imprese operan-ti in un determinato sistema locale vanno messe nelle condizioni di raggiungere il più elevato livello di efficienza nel rispetto del più elevato possibile livello di sostenibilità ambientale e territo-riale. Tali livelli di efficienza vanno verificati in funzione della ca-ratteristiche predominanti del sistema locale produttivo/distribu-tivo facendo riferimento ai costi logistici di categorie omogenee di prodotti caratterizzati da strutture/catene di attività logistiche analoghe e/o con caratteristiche comuni. Si tratta di aggregare funzioni di domanda di trasporto e servizi logistici simili dovute sia alle caratteristiche delle merci che alla struttura dei flussi ad

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esse associabili. Tale aggregazione dovrebbe condurre alla iden-tificazione di filiere logistiche di prodotti che è ragionevole assu-mere omogenee e nelle quali le scelte ed i comportamenti logistici siano alquanto omogenei.

Secondo l’approccio inverso di analisi della domanda di servi-zi di un particolare mercato, il surplus delle imprese consumatrici di servizi logistici è leggibile anche in termini di minimizzazione del costo dei fattori produttivi impiegati nella complessiva fun-zione di produzione dei relativi prodotti. Trattando degli aspetti più strettamente inerenti la dimensione economica della logistica, il concetto di costo logistico totale può consentire di affrontare la problematica delle scelte di ottimizzazione logistica di un sistema territoriale che è un aspetto centrale della Logistica Economica (Forte, 2008).

A livello europeo i dati più recenti evidenziano la tendenza alla crescita dei costi logistici totali (+20%) e in particolare dei costi di trasporto incrementatisi del 35% dal 2003 al 2008. Tale ten-denza è confermata nelle previsioni per i prossimi anni (Fig. 5).

5,9%

1987

2,4%

2,5%

1,3%

12,1%

3,9%

1983

1,8%

1,7%

1,2%

8,5%

–30%

–25%–4% +20%

+5%

2,8%

1998

1,6%

1%

1%

6,4%

2003

3,1%

1,5%

0,8%0,8%6,1%

3,5%

2008

1,8%

1,2%

0,8%7,3%

3,8%

2013(estimates)

1,8%

1,3%

0,8%7,7%

Transportation Warehousing Inventory Transportation

FIG. 5. Andamento dei costi logistici totali.

Fonte: A.T. Kearney and European Logistics Association Excellence in Logistic Study, 2009.

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Tra le tendenze per il prossimo futuro l’European Logistics As-sociation (ELA) mette in particolare risalto la continuazione dei processi di globalizzazione delle economie europee e dei relati-vi traffici di merci, con particolare riguardo all’incremento delle esportazioni come fattore di crescita principale per i paesi maturi che sapranno trarne benefici e l’incremento della regionalizzazio-ne della logistica per la riduzione dei costi e degli effetti ambien-tali negativi (CO2 footprint). Reti regionali decentralizzate per la logistica di carichi sempre più consolidati rappresentano una del-le scelte logistiche strategiche per la ripresa e l’uscita dalla crisi dell’industria europea (ELA, A.T. Kearney 2009).

A fronte di diversi livelli di efficienza generale del sistema lo-gistico territoriale, si rendono disponibili differenti soluzioni stra-tegiche che vanno valutate con riferimento alle caratteristiche ter-ritoriali ed alle esigenze delle attività economiche che si distribui-scono e si comportano diversamente nello spazio. Le infrastruttu-re di trasporto influenzano l’accessibilità e quindi la localizzazione delle strutture produttive e distributive, la specificità dei prodotti, i settori in cui le imprese operano, le fasi e le attività che contrad-distinguono le filiere produttive, le reti logistiche, la vicinanza ai mercati di sbocco, ecc. Oltre il profilo di economicità gestionale da parte delle imprese (surplus e profitto dei produttori), la logi-stica implica problemi di valutazione degli effetti sul sistema dei trasporti da affrontare con gli strumenti dell’analisi economica ed in particolare della Logistica economica. Nei processi di ottimiz-zazione dei flussi il punto essenziale è l’analisi dell’equilibrio della domanda e dell’offerta che dovrebbe essere continuamente ricer-cato lungo tutte le fasi della catena logistica ed essere tale da mi-nimizzare il costo totale logistico interno delle imprese. Tale costo, essendo la sommatoria di differenti costi dei servizi di stoccaggio e valorizzazione commerciale delle merci (scorte, depositi, magaz-zini, assemblaggio, confezionamento, ecc.) e dei costi dei servizi di trasporto e movimentazione ai terminali, si differenzia a seconda dell’adozione di differenti configurazioni di catene logistiche e di differenti strutture di rifornimento dei mercati di consumo (Sivie-ro, 2009).

L’ottimizzazione e la pianificazione del flusso di veicoli o di unità di carico standard nello spazio e nel tempo, che hanno evi-dentemente anche un «impatto esterno» sul territorio e sull’am-biente, dovrebbe essere oggetto di regolazione e gestione comune con la partecipazione attiva di tutti i soggetti a vario titolo interes-sati. È però un campo di azione cooperativa in Italia molto poco

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sviluppato ed in genere riservato ad organismi istituzionali ai vari livelli territoriali (Comuni, province, regioni) che nella maggior parte dei casi hanno scarsissimi rapporti collaborativi con i sistemi locali delle imprese. Una strategia territoriale di sviluppo richie-de coerenza tra indicazioni locali e strategie macroregionali con sufficienti connessioni tra il mondo delle imprese e l’evoluzione dell’economia globale. Alcune infrastrutture, come quelle logisti-che ma anche altre come i centri o le agenzie di sviluppo locale (per l’innovazione ed il trasferimento tecnologico, l’internaziona-lizzazione, ecc.) possono creare effetti di scala ed efficienze alloca-tive se coordinate a livello sovralocale. La strada delle cooperazio-ni inter-distrettuali e/o meta-distrettuali (come nel caso del Veneto per la logistica) va senz’altro incentivata poiché sono diversi i temi di politica industriale condivisi che potrebbero perciò diventare oggetto di realizzazione comune. L’obiettivo fondamentale dovreb-be essere quello di evitare duplicazioni o, peggio, la creazione di sistemi in strettissima concorrenza e competizione territoriale frut-to di scelte «localistiche» senza l’osservazione dei fenomeni che a livello europeo e globale investono in maniera sempre più decisiva le scelte e le tendenze della generale global supply chain manage-ment. Per molti asset logistici (unità di carico e di magazzinaggio, warehouse data management, ecc.), essendo riferibili ad una filiera di produzione (famiglia logistica) ed avendo caratteristiche di beni e servizi ad elevata intensità di utilizzo appartenenti a «club di imprese», potenzialmente spinte da interessi sovrapponibili se non comuni, lo sforzo di codifica comune è infatti tanto più efficace quanto condiviso da più utilizzatori (esternalità positive di rete).

6. .La pianificazione nazionale della logistica e progetti di sviluppo di Filiere Territoriali Logistiche

6.1. La pianificazione nazionale degli interporti e l’attuazione della legge 240/90

Articolare un progetto territoriale di logistica «diffusa» com-porta la previsione che la logistica, sia che venga terziarizzata o che venga realizzata in proprio dalle imprese, necessita di strut-ture che, ben servite da infrastrutture e dotate di tecnologie, sia-no in grado di soddisfare una domanda in continua evoluzione sempre più differenziata ed esigente anche in termini di qualità. La realizzazione di una rete di piattaforme logistiche nelle quali si

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possano localizzare ed integrare operazioni e processi generando economia di scala e di scopo, dovrebbe consentire di:

– concentrare gli investimenti per fornire una vasta gamma di servizi con elevati standard di qualità, orientati al cliente ed al prodotto, capaci di generare valore aggiunto. Infatti, le esigenze del mercato e la consapevolezza che la competitività farà leva sui grandi volumi, spingono inevitabilmente gli operatori del settore ad accorparsi per fornire a livello mondiale e con sistemi multi-modali l’intera catena logistica (dalla raccolta dei componenti alla distribuzione ai consumatori finali);

– ridurre l’impatto ambientale e sociale del traffico merci, ri-disegnando l’organizzazione dei trasporti e prevedendo l’impiego di modalità meno impattanti (trasporto combinato ed intermoda-le). La polarizzazione degli impianti logistici consente di realizzare importanti sinergie con notevoli riduzioni di costi grazie ad un’in-tegrazione delle operazioni.

Disgiungere la crescita economica dalla crescita dei trasporti è a livello europeo una assoluta priorità (decoupling tra tasso di crescita del reddito nazionale e tasso di crescita del trasporto mer-ci) e dovrebbe essere l’obiettivo comune a cui devono tendere le azioni delle amministrazioni pubbliche e degli operatori privati attraverso programmi e progetti di riassetto logistico del territo-rio (CCE, 2006). L’approccio pubblico seguito in Italia negli ulti-mi 25 anni sul tema della logistica e della intermodalità, a partire dal primo Piano Generale dei Trasporti del 1986, si è rivelato in molti casi inadeguato. Infatti, eccettuati pochi casi, la creazione di una rete nazionale di interporti previsti per favorire il riequilibrio modale in modo non correttamente contestualizzato a livello eco-nomico e territoriale locale, non solo non è stata completata, ma la sua realizzazione è ferma a circa il 40% degli importi finanziati ed a meno del 50% delle infrastrutture previste (MIITT, 2010). La quantità di merce movimentata negli interporti italiani con tra-sporto intermodale è concentrata per oltre il 90% nei soli inter-porti di Verona, Padova e Bologna. La Lombardia, che non dispo-ne di interporti ma di 18 terminali intermodali che movimentano oltre 11 milioni di tonnellate/anno, circa il 40% delle complessive UTI (unità di traffico intermodali) movimentate in Italia, presenta uno stock di immobili logistici di oltre 4,5 milioni di mq. Tali dati portano a riflettere sul reale impatto sul trasporto in Italia che ha finora avuto un politica della logistica così pensata.

Realizzare, quando ciò avviene in tempi accettabili, infrastrut-ture integrate di trasporto intermodale, non significa pianificare la

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logistica territoriale. Sul fronte della concessione di finanziamenti e contributi pubblici, l’incertezza del pianificatore centrale è sta-ta ancor più evidente. I primi finanziamenti ai sensi della legge 240/90 venivano concessi per un insieme di opere, magazzini pri-vati compresi, in un ottica di completa integrazione tra infrastrut-ture di trasporto e attività di logistica privata. Il tasso medio di rendimento degli immobili per la logistica si è attestato in media italiana tra l’8-10%, tale da non giustificare l’intervento pubblico se non in un’ottica di incentivazione alla localizzazione «adiacen-te» ad un terminal ferroviario nella speranza che quest’ultimo, realizzato con risorse pubbliche, fosse maggiormente utilizzabile. Inoltre, mentre al Nord funzionava l’approccio terrestre delle reti volte ai flussi di import-export con l’Europa settentrionale attra-verso i valichi, al Sud gli interventi avrebbero dovuto orientarsi alla logistica retroportuale rivolta all’«economia del mare» piutto-sto che replicare un modello valido per le regioni industrializzate del Nord.

La legge Obiettivo del 2001 ha introdotto il criterio della «non redditività» finanziaria per gli interventi oggetto di contributo pubblico all’interno degli interporti, quindi principalmente: ter-minal ferroviari, strade di accesso ed altre infrastrutture primarie, ma poche sono state finora le risorse assegnate all’intermodalità. Il decreto sulla competitività (legge 80/2005) introduce il concet-to di piattaforme tecnologiche e logistiche in senso più moderno ed avanzato ma non si sono ancora visti i concreti risvolti sotto il profilo della programmazione di specifici interventi e dell’impiego di risorse finanziarie.

La problematica principale che può emergere nel contesto di una pianificazione territoriale ispirata a principi di ottimizzazio-ne logistica è proprio quella della prospettiva di analisi; porsi dal lato della pianificazione delle infrastrutture di trasporto e preve-dere l’insediamento di attività logistiche in funzione della miglio-re accessibilità alle reti o porsi dal lato delle imprese di logistica e assumere comportamenti «adattivi» alle scelte di insediamento e localizzazione ed alle decisioni di investimento da esse operate al fine di intercettarne i flussi sulle principali direttrici. Come già evidenziato, l’approccio generalista con un modello unico nazio-nale «industriale», del tipo di quello avanzato con la legislazione della fine degli anni ’80 per la realizzazione degli interporti con il contributo «pubblico» (legge 240/90), in pochi casi ha dato frutti positivi e principalmente nel Nord Italia. Infatti, l’idea basata sulla integrazione funzionale tra attività di logistica tradizionale (deposi-

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to, magazzinaggio, smistamento, ecc.), terminalizzazione di attività di trasporto stradale e interscambio modale con il trasporto ferro-viario, si è rivelata in realtà poco adatta a territori meridionali non interessati da grandi volumi di trasporto bilanciati ed in cui le at-tività produttive sono più disperse sul territorio e le scelte delle imprese sono state effettuate in prevalenza senza alcuna forma di condivisione tra loro e con il settore pubblico, come avvenuto con il modello distrettuale del Nord Italia.

Il caso del Mezzogiorno è emblematico in tal senso, il solo In-terporto Campano di Nola presenta una certa rilevanza proprio perché risente meno delle precedenti criticità per la presenza di un contesto imprenditoriale commerciale-distributivo già concen-trato (CIS, Vulcano Buono, ecc.) e nel quale l’azione dei privati è stata centrale. Tuttavia, anche nell’interporto di Nola l’intermo-dalità strada-ferrovia stenta fortemente a decollare come nel resto del Mezzogiorno. I dati di traffico degli interporti italiani eviden-ziano che la quota di traffico intermodale ferro-gomma si attesta in media intorno al 25% mentre l’interporto Campano registra solo il 6% anche se in totale movimenta oltre 4 milioni di ton-nellate che lo pongono al settimo posto della graduatoria nazio-nale per volume movimentato, dopo i grandi interporti del Nord: Verona, Padova, Bologna, Novara, Parma, Trento, e dispone di un terminal intermodale per dimensioni pari a tali grandi inter-porti (circa 225.000 mq). In questi interporti la quota in media di traffico intermodale ferro-gomma è pari a circa il 37%. Ne deriva conseguentemente il basso grado di utilizzazione dell’infrastruttu-ra intermodale di Nola con circa 1,1 ton/mq rispetto alle 21,7 di Novara ed alle 21,3 di Verona ed al dato medio nazionale di 9,1 (CENSIS, 2009).

L’approccio del tipo inland terminal a servizio di aree industria-li per la localizzazione dei terminali merci di RFI, molti dei quali siti all’interno dei maggiori interporti, si riscontra nella densità de-gli impianti sul territorio coerente con quella delle principali aree di produzione industriale. L’intermodalità ferro-strada vista come tecnica di trasporto a supporto dell’industria in senso stretto, pe-nalizza quindi per definizione il Mezzogiorno trascurando comple-tamente l’interfaccia con il trasporto marittimo ed i porti che rap-presentano il principale comparto logistico del Sud (Fig. 6).

Altro aspetto cruciale che segna la scarsa incisività dell’inter-vento nel Mezzogiorno e della politica «pubblica» degli interporti, è stato l’allontanamento che in molti casi è stato perseguito dei nodi intermodali dalle coste e quindi dai porti. Lo sviluppo in-

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terno di attività di trasporto e di logistica, è stato in molti casi ritenuto un elemento strategico della pianificazione urbanistica regionale principalmente a causa della già forte congestione delle aree urbane costiere che in tal modo potevano essere alleggerite del traffico pesante. Da qui il progressivo abbandono o smantel-lamento di gran parte degli scali e dei raccordi ferroviari in pros-simità o all’interno dei porti. Negli anni più recenti, con il forte recupero del trasporto marittimo che ha interessato i porti italiani e del Mediterraneo, dal decisore pubblico forse mai correttamente previsto, viene posta tra le principali carenze del sistema portuale

FIG. 6. Impianti merci RFI per servizi di terminalizzazione.

Fonte: RFI, 2009.

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Densità degli impianti

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0 10 20 30 40 50

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meridionale la scarsa dotazione di infrastrutture e servizi ferroviari direttamente connessi con i porti che si ripercuotono drammatica-mente sui costi di «ultimo miglio». Allo stesso tempo il trasporto ferroviario cargo in Italia, nonostante la liberalizzazione, sta viven-do forse la maggiore crisi strutturale e di mercato degli ultimi de-cenni. Dal 2006 al 2010, il traffico ferroviario merci è sceso da 68 milioni di treni-km a 42 milioni (–38%) e la quota modale della ferrovia è pari a circa il 6% del totale delle merci trasportate in Italia, pari a meno della metà della media europea (Federmobilità, 2009).

Da tali dati emerge come la scelta intermodale strada-ferro che si pensava negli anni ’90 poter essere competitiva con il trasporto tutto-strada ai fini del riequilibrio modale, è stata in parte posi-tiva soltanto per alcuni poli di traffico transfrontaliero terrestre del Nord Italia, in primis per l’attraversamento delle Alpi. Nel Mezzogiorno tale scelta uniforme per l’intero territorio nazionale, si è rilevata del tutto inadeguata contribuendo ad allontanare gli operatori di trasporto e di logistica dai porti e dal trasporto ma-rittimo che, invece, rappresenta il principale modo di trasporto per gli scambi internazionali ed intermediterranei. Il concomitan-te successo dello short sea shipping (ro-ro) o combinato maritti-mo, cresciuto in Italia del 44% dal 2000 al 2008 (MITT, 2010), testimonia nei fatti quanto la logistica nel Mezzogiorno dovreb-be maggiormente fondarsi sulla co-modalità marittimo-terrestre e sulla prossimità logistica alle attività marittime e portuali.

6.2. Il Piano Nazionale della Logistica e la visione territoriale di macro-area

Il Piano Nazionale della Logistica approvato dal CIPE nel 2006 è stato il primo piano nazionale di riferimento chiave per le azioni strategiche nel comparto delle infrastrutture, quale con-tinuità programmatica del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001, integrato dagli interventi trasportistici inclusi nel programma delle infrastrutture strategiche (legge 443/2001). Le indicazioni strategiche contenute nel Piano hanno portato alla identificazione territoriale di macroaree che, con adeguata caratte-rizzazione funzionale, possono diventare le piattaforme logistiche del Paese:

– Piattaforma logistica del Nord-Ovest;– Piattaforma logistica del Nord-Est;

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– Piattaforma logistica tirrenico-adriatica del Nord;– Piattaforma logistica tirrenico-adriatica centrale;– Piattaforma logistica tirrenico Sud;– Piattaforma logistica adriatica Sud;– Piattaforma logistica del Mediterraneo Sud.Nel contesto macro-territoriale, la rete portante è costituita da:– 9 grandi hub intermodali di attrazione per il combinato ter-

restre: Novara, Milano, Verona Quadrante Europa, Padova, Bo-logna, Roma Nord, Marcianise, Bari, Catania. Essi intercettano i flussi di traffico sulle principali direttrici di trasporto e fungono da porte di accesso ad un sistema articolato, costituito dal resto della rete dei terminal ferroviari intermodali che con la rete degli interporti, della retroportualità e delle piattaforme di filiera, com-pleta la struttura di distribuzione delle funzioni trasportistiche e logistiche;

– 11 poli di concentrazione dei traffici per il combinato ma-rittimo: La Spezia/Savona-Genova; Venezia/Chioggia; Trieste/Monfalcone; Ravenna; Livorno/Marina di Carrara-Piombino; Civi-

FIG. 7. Piattaforme territoriali logistiche nel Mezzogiorno.

Fonte: MIITT, Piano per la Logistica, 2006.

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tavecchia-Olbia; Ancona; Napoli-Salerno; Bari-Brindisi; Palermo-Trapani; Catania/Augusta-Messina.

Tali poli sono rafforzati dalle strutture retroportuali e interpor-tuali, che fungono da polmone operativo laddove la dimensione degli spazi portuali non consenta il massimo livello d’integrazione con il territorio d’influenza.

– 3 hub portuali: Gioia Tauro, Taranto e Cagliari;– 2 hub aeroportuali: Milano Malpensa e Roma Fiumicino.Il sistema portante sopra individuato dovrà essere adeguata-

mente supportato sia da una rete infrastrutturale che migliori l’ac-cessibilità alle macro-aree di cui si è detto sopra, sia da una rete telematica integrata; entrambe sono finalizzate a migliorare i livel-li di capacità della rete, gli standard degli operatori e la gestione delle imprese dei servizi di trasporto e della logistica, anche ai fini della sicurezza.

Tale quadro generale pianificatorio appare sicuramente come il riferimento alla pianificazione nazionale più valido per rilanciare, in particolare nel Mezzogiorno, politiche di sviluppo fondate sulla spinta che le attività produttive possono ricevere da una più effi-ciente funzione di governance della logistica. In particolare, i pri-mi documenti relativi alla revisione del precedente Piano ed alla definizione delle linee politiche del nuovo Piano della Logistica (MIITT, 2010), vedono tra le azioni prioritarie le politiche di fi-liera ovverosia azioni strategiche che interessano alcune filiere in cui si rilevano best practice per una successiva estensione a tutte le filiere, in primo luogo a quelle che saranno regolamentate anche attraverso i previsti accordi di settore. Le esperienze di filiera in-dividuate riguardano:

– Distribuzione urbana delle merci e processi di premialità.– Best practice per la filiera dei beni di largo consumo.– Best practice filiera del farmaco.– Best practice Elettrodomestici.– Best practice Automotive.– Dal piano delle merci a quello della mobilità urbana.Viene rimarcata quindi la necessità di allargare la base delle

imprese che per dimensioni aziendali possono puntare su attivi-tà di tipo logistico, attraverso nuovi strumenti di aggregazione di imprese e/o servizi (contratti di rete, di distretto, di filiera) che consentano la formazione di «massa critica».

Alla luce della crisi economica mondiale che sta ancora mani-festando i suoi effetti negativi principalmente in Europa occiden-tale, la revisione in atto del Piano delle Logistica dovrebbe quindi

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tener conto della possibilità di costruire insieme al mondo produt-tivo progetti di filiera territoriale logistica aperti all’economia glo-bale in grado di risollevare gli indicatori fondamentali dello svi-luppo economico, ovvero PIL, valore aggiunto e occupazione.

6.3. Aree logistiche retroportuali e sviluppo di Filiere Territoriali Logistiche nel Mezzogiorno

Il sistema logistico portuale e dei trasporti marittimi diviene sicuramente strategico costituendo il naturale sbocco terminale dei corridoi pan-europei in proiezione verso il resto del mondo. Il grande recupero di traffico marittimo avvenuto nel Mediterra-neo negli ultimi dieci anni ne è la più evidente testimonianza, nel 2010 si prevede un traffico in ripresa complessivo di circa 30 mln di TEU nel bacino del Mediterraneo (OSC, 2006). Tali livelli di crescita dei traffici del Mediterraneo portano a considerare vali-do un progetto di creare un importante area logistica e di libero scambio nel sistema transfrontaliero del Mediterraneo superando logiche localistiche e cooperando tra i paesi in ottica di moltipli-cazione degli scambi e di condivisione virtuosa dei fattori produt-tivi. I traffici marittimi vanno dove trovano maggiore convenienza, vantaggi che si possono riassumere in porti localizzati sulle mag-giori direttrici con grande capacità e velocità di movimentazione, infrastrutture adeguate e tariffe competitive. Le grandi alleanze e i consorzi di linee marittime sono solite programmare con largo anticipo anche le scelte dei porti su cui contare per lo sviluppo futuro.

Possono contribuire al raggiungimento di tali obiettivi di siste-ma trasporti-territorio politiche partenariali (pubblico-privato) di condivisione strategica e di gestione operativa dei sistemi logistici con criteri deterministici, condivisi e comuni tra operatori di tra-sporto, operatori di logistica, imprese manifatturiere e imprese di distribuzione (accordi multilaterali di filiera, patti logistici territo-riali, contratti logistici di distretto, agenzie miste pubblico-privati, ecc.). È il mercato manifatturiero e distributivo, con le sue spe-cifiche e molto diversificate esigenze, a seconda dei vari prodotti e filiere, a condizionare le logiche organizzative e insediative del settore della logistica. Non esiste un servizio logistico standard ma di volta in volta si ricerca la soluzione in quel momento migliore e che deve essere attuata in tempi ristretti. La vita media di un magazzino è di 10 anni ed i contratti con i grandi fornitori non

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superano i 9 anni, è quindi alto il rischio di realizzare strutture non in posizione ideale ma dove lo strumento urbanistico e la di-sponibilità locale consentono rapide attuazioni, destinate ad essere dismesse non appena non più funzionali. La necessità è quindi di minimizzare, all’interno di un’unica funzione produttiva, costi di aree, servizi, manodopera e trasporti che complessivamente condi-zionano la scelta per una corretta localizzazione logistica.

Strumento di grande interesse a livello internazionale per lo sviluppo di aree retroportuali, con funzioni logistiche di supporto all’espansione delle filiere locali, sono le zone franche o speciali nelle quali sono attuate politiche incentivanti di tipo principal-mente fiscale. Il concetto di zona franca è ormai ben conosciuto nella politica economica internazionale. Il fenomeno è cresciuto rapidamente negli ultimi trent’anni: se nel 1970 solo pochi paesi ne erano dotati già nel 1996 l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) stimò in circa 500 le zone fran-che industriali d’esportazione localizzate in ben 73 paesi, mentre l’elenco internazionale elaborato nel 1997 dalla World Economic Processing Zones Association (WEPZA) indicava in ben 830 il numero totale di zone franche d’esportazione e zone franche com-merciali sparse in tutto il mondo. Una zona franca, spesso deno-minata anche zona economica libera (nei paesi anglosassoni Ex-port Processing Zones o Special Economic Zones), è un territorio delimitato di un Paese dove le imprese godono di alcuni benefi-ci in materia doganale e fiscale prevalentemente legati a processi produttivi e di logistica semi-produttiva diretti all’esportazione o alla riesportazione di beni finali in seguito a perfezionamenti attivi di semilavorati e beni intermedi.

I territori che nel tempo si sono avvalsi di tale speciale con-dizione hanno riscontrato una notevole crescita trainata dalla stimolazione dei commerci e degli investimenti in attività pro-duttive superando condizioni iniziali di difficile accessibilità ed inoltre sono spesso riusciti a perseguire altri obiettivi di carat-tere strategico, economico e/o diplomatico, funzionali agli inte-ressi della nazione di appartenenza. I meriti della formula sono vantati con gli stessi termini: attirare gli investimenti esteri, crea-re posti di lavoro, sviluppare l’industria nazionale e le infrastrut-ture, favorire i trasferimenti di tecnologia. Per di più le organiz-zazioni internazionali (FMI, Banca mondiale e ONU) sostengono sia ideologicamente che finanziariamente le zone franche con-siderandole un mezzo efficace per accelerare la globalizzazione dell’economia.

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Il Regolamento CEE n. 2913/1992 (Codice doganale comuni-tario) stabilisce che in una zona franca o deposito franco è auto-rizzata qualsiasi attività industriale, commerciale o di erogazione di servizi e l’esercizio di queste attività è preliminarmente notifi-cato all’autorità doganale. Le merci non comunitarie collocate in una zona franca o in un deposito franco possono, durante la loro permanenza nella zona franca o nel deposito franco:

a) essere immesse in libera pratica, alle condizioni previste dal-lo stesso regime e dalla disciplina comunitaria. L’immissione in libera pratica attribuisce ad una merce non comunitaria la posi-zione doganale di merce comunitaria; essa implica l’applicazione delle misure di politica commerciale, l’espletamento delle altre formalità previste per l’importazione di una merce, nonché l’ap-plicazione dei dazi legalmente dovuti;

b) formare oggetto, senza autorizzazione, di alcune manipola-zioni usuali intese a garantire la conservazione delle merci e mi-gliorarne la presentazione o la qualità commerciale o a prepararne la distribuzione o la vendita;

c) essere vincolate al regime di «perfezionamento attivo» alle condizioni previste da tale regime. Il regime di perfezionamento attivo consente di sottoporre a lavorazione sul territorio doganale della Comunità, per far subire loro una o più operazioni di perfe-zionamento, le merci non comunitarie destinate ad essere riespor-tate fuori dal territorio doganale della Comunità sotto forma di prodotti compensatori, senza essere soggette ai dazi all’importa-zione né a misure di politica commerciale (sistema della sospen-sione). Tali operazioni di perfezionamento comprendono: la lavo-razione di merci, compreso il montaggio, l’assemblaggio, l’adatta-mento ad altre merci; la trasformazione di merci; la ripartizione di merci, compreso il loro riattamento e la loro messa a punto (atti-vità di logistica a valore aggiunto).

In merito alla potenziale disponibilità di aree portuali e retropor-tuali nelle quali poter attivare zone franche, in Italia, a partire dagli anni ’80, si è assistito a fenomeni intensi di dismissione di attività produttive localizzate in aree urbane di antico impianto industriale. La crescente liberalizzazione del commercio internazionale e la ri-duzione dei costi di trasporto sulle lunghe distanze hanno spinto le imprese a delocalizzare o terziarizzare le attività in paesi caratteriz-zati da un basso costo dei fattori. Sono state quindi dismesse aree industriali della «prima generazione» dotate di strutture ed impianti in parte riutilizzabili e quasi sempre adiacenti ad infrastrutture di trasporto che all’epoca erano funzionali a cicli manifatturieri locali.

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Il recupero delle aree dismesse comporta azioni complesse e la soluzione di una vasta gamma di problemi patrimoniali, procedu-rali, ambientali, funzionali, urbanistici, architettonici e di oppor-tunità economiche e sociali. L’unione degli interessi privati con quelli pubblici può far sì che la riconversione di tali aree possa ottimizzare e bilanciare il rapporto tra vantaggi economici, socia-li ed ambientali. In tal senso, specie nel Mezzogiorno, potrebbe in alcuni casi risultare opportuna la riqualificazione e destinazio-ne logistica di tali aree, prevedendo la realizzazione di distripark e poli logistici in genere, in un’ottica funzionale ed integrata ai flussi internazionali di traffico marittimo. La destinazione logistica potrebbe risultare vantaggiosa anche con riferimento ad altri set-tori critici per l’economia urbana e regionale come la city logistics, la reverse logistics, la gestione dei rifiuti per il riciclaggio, ecc.

La funzione strategica di tali aree dovrebbe essere quella di concorrere a raggiungere un equilibrio socialmente sostenibile dei flussi logistici, alleviando il territorio dagli effetti del traffico pe-sante che si riflettono nei livelli di congestione, inquinamento e, in generale, su tutta la catena di esternalità negative particolarmente rilevanti nelle aree urbane, ovvero una razionalizzazione in chiave di logistica urbana de flussi. Non va trascurato, infine, il notevole impatto che dette scelte di investimento potrebbero avere sull’oc-cupazione, grazie alla caratterizzazione labour intensive delle atti-vità logistiche, ed altresì il ruolo fondamentale del decisore pub-blico, che dovrà provvedere mediante strumenti e meccanismi in-novativi (ad esempio il project-financing) a convogliare risorse per la bonifica e l’infrastrutturazione di dette aree.

In Italia, diversi fattori evidenziano la necessità di definire nuovi interventi di riqualificazione territoriale e produttiva basati sull’attivazione di servizi avanzati ed eco-sostenibili. Tra le misure economiche previste per il rilancio del Mezzogiorno, vi è l’istitu-zione di un fondo per il sostegno alla realizzazione di Zone Fran-che Urbane (ZFU) in aree e quartieri degradati. Le Zone Fran-che Urbane sono delle zone franche con caratteristiche peculiari. I primi esempi si sono avuti negli anni ’80 negli Stati Uniti e nel Regno Unito in cui il concetto di zona franca fu associato alle po-litiche di defiscalizzazione portando alla nascita delle Urban En-terprise Zones o Empowerment Zones. Per la prima volta si con-cepirono le Zone Franche come mezzo per perseguire la crescita in aree urbane deindustrializzate o socialmente degradate e quindi le agevolazioni furono caratterizzate da obiettivi non prettamente commerciali o industriali. Bisogna però constatare che l’automati-

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smo fiscale, comunque, prevalse nel modello anglosassone rispetto all’intervento di carattere sociale.

La Zona Franca Urbana può quindi essere definita come una frazione di territorio urbano caratterizzato da un significativo di-sagio sociale, economico e occupazionale e spesso degrado am-bientale nella quale vengono garantiti regimi di esenzione fiscale e contributiva per obiettivi preminentemente legati alla promozione e alla coesione sociale. Le aree interessate presentano però anche forti potenzialità di sviluppo che, per essere concretizzate, necessi-tano di programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese. Obiettivo degli interventi è, infatti, la riqualifi-cazione di queste aree, tramite l’incentivazione, il rafforzamento e la regolarizzazione delle attività imprenditoriali localizzate al loro interno.

Trattare il tema delle Zone Franche Urbane in Italia è abba-stanza complesso poiché il provvedimento adottato con la legge Finanziaria del 2007 ancora oggi non è stato concretamente av-viato. L’art. 1 della legge Finanziaria 2007 (legge 296/2006) pre-vede, infatti, che: «Per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone fran-che urbane, con particolare riguardo al centro storico di Napoli, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello Sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Fondo provve-de al cofinanziamento di programmi regionali di intervento nelle predette aree».

L’elenco delle città in cui si trovano le Zone Franche Urbane scelte dal Dipartimento Politiche di Sviluppo del Ministero dello Sviluppo economico, divise tra le 11 regioni che hanno presentato le candidature, prevede:

– Sicilia: Catania, Gela, Erice;– Calabria: Crotone, Rossano e Lamezia Terme;– Basilicata: Matera;– Puglia: Taranto, Lecce e Andria;– Campania: Napoli, Torre Annunziata e Mondragone;– Molise: Campobasso; – Sardegna: Cagliari, Quartu Sant’Elena e Iglesias;– Lazio: Velletri e Sora;– Abruzzo: Pescara;– Toscana: Massa Carrara;– Liguria: Ventimiglia.

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L’iter che porterà alla nascita delle Zone Franche Urbane in Italia non è ancora concluso, manca infatti il decreto attuativo da parte del Ministero dell’Economia. La prossimità di alcune zone franche urbane individuate nel Mezzogiorno con porti anche mi-nori, si presterebbe fortemente all’insediamento di poli logisti-ci retroportuali, meglio conosciuti con il termine di distripark o logisticpark, dotati di strutture di stoccaggio e distribuzione e la-vorazione semi-produttiva delle merci in grado di fungere da ele-mento di interscambio fra diverse infrastrutture di trasporto (ad esempio porti ed interporti interni) e da anello di congiunzione fra industria e servizi nell’ottica delle filiere territoriali logistiche.

Tali strutture rappresenterebbero siti di insediamento semi-produttivi e di logistica avanzata situati a monte dei terminal

FIG. 8. Zone Franche Urbane.

Fonte: www.dps.it.

Ventimiglia

Pescara

Andria

MateraTaranto Lecce

Crotone

Rossano

Lamezia Terme

Gela

Erice

Cagliari

Iglesias Quartu Sant’Elena

Catania

TorreAnnunziata

Mondragone

Velletri

Campobasso Sora

Napoli

Massa-Carrara

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portuali integrati con i sistemi di trasporto intermodale princi-palmente situati all’interno (inland terminal). In genere, la mag-giore prossimità alle aree retroportuali viene privilegiata dalle attività orientate all’esportazione di produzioni finali locali e re-gionali ed alla riesportazione via mare a seguito di precedente importazione via mare (IM-RIEM: importazioni marittime e rie-sportazioni via mare) per eseguire processi di «perfezionamento attivo» di semilavorati e beni intermedi, fungendo da interfaccia logistica con «sbocco a mare» (gateway) di un determinato terri-torio in direzione terra-mare. Invece, la localizzazione inland in genere è privilegiata da attività distributive ed orientate all’im-portazione di prodotti e beni finali per l’inoltro verso aree va-ste di riferimento anche col ricorso all’intermodalità mare-ferro e gomma-ferro lungo i principali corridoi plurimodali, fungen-do da interfaccia logistica in direzione mare-terra.. Tali ultime infrastrutture logistiche sono definite anche inland port se la quota prevalente di traffico movimentato per l’inoltro terrestre è di provenienza marittima (IM-RIET, importazioni marittime e riesportazioni via terra). Gli interporti ubicati nell’inland terri-toriale delle aree metropolitane, possono risultare anche lontani dai porti come nel caso dell’area padana, dove le esportazioni si orientano via modi terrestri verso l’Europa. In tal caso si di-stinguono nettamente dai distripark soprattutto nel modello IT-RIET (importazioni terrestri e riesportazioni terrestri) (Forte et al., 2009).

6.4. Aspetti funzionali e casi studio di Filiere Territoriali Logistiche del Mezzogiorno

La Filiera Territoriale Logistica, combinando elementi caratte-rizzanti territoriali e settoriali, si sovrappone pertanto alle filiere produttive e distributive di una determinata area vasta, a prescin-dere dai confini amministrativi comunali, provinciali e regiona-li. In essa dovrebbero essere presenti strutture per la movimen-tazione e lo stoccaggio delle merci collocate a monte di terminal portuali integrati con sistemi intermodali. La FTL vede affiancate infrastrutture di trasporto e strutture per la logistica delle merci, quali: capannoni, magazzini, servizi gestionali, informativi e tele-matici, ecc., dove possono essere svolte anche attività semi-mani-fatturiere per trasformare semilavorati e beni intermedi in prodot-ti da distribuire per la commercializzazione.

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Le funzioni peculiari della FTL si concretizzano nella raziona-lizzazione e nell’organizzazione strategica della filiera trasporto/stoccaggio/distribuzione garantendo una penetrazione efficace delle merci sui mercati nazionali ed internazionali. In essa si evidenziano modi sul come utilizzare il sistema infrastrutturale del territorio e la sua ampiezza varia in base al volume delle merci da trattare e dei nodi da connettere. Le strategie per il potenziamento dell’of-ferta infrastrutturale e per le politiche della mobilità delle merci delle aree vaste da trasformare il FTL vanno pertanto finalizzate a:

– favorire l’intermodalità e l’integrazione tra i diversi modi di trasporto eliminando eventuali duplicazioni o sovrapposizioni tra i vettori;

– incrementare l’offerta presente realizzando interventi infra-strutturali per favorire il trasporto in grandi partite e unitizzato, in particolare privilegiando il sistema marittimo e i nodi di scam-bio modale;

– potenziamento dei collegamenti esistenti con le grandi diret-trici nazionali ed europee al fine di intercettare flussi di traffico ed operare come territorio «aperto» sia dal lato mare sia dal lato terrestre;

– adeguamento del sistema e della struttura del settore della lo-gistica con la riorganizzazione e reingegnerizzazione dei processi di trasporto e logistica (localizzazione, capacità, dimensionamento, bi-lanciamento del traffico, offerta di servizi ausiliari e innovativi) ed acquisizione e formazione di nuove competenze e professionalità;

– riorganizzazione della rete logistico-produttiva, migliorando sia l’integrazione verticale delle filiere e della stessa filiera logisti-ca, sia il coordinamento strategico con interporti e piattaforme lo-gistiche presenti nell’area in ottica di integrazione di sistema;

– valorizzazione del ruolo degli hub portuali sia per il traffico container sia ro-ro, con la realizzazione di strutture retroportuali che fungano da base operativa e da «ponte» per l’integrazione e l’espansione geo-economica del bacino interno;

– attrazione di investimenti nazionali ed esteri per la realizza-zione di strutture di stoccaggio, distribuzione e lavorazione logisti-ca per merci ad elevato valore aggiunto che a seguito di processi semi-produttivi possano essere distribuite in tutto il mondo;

– innalzamento generale del livello di connettività della rete logistica attraverso la «messa in rete» operativa e gestionale di tut-te le strutture e infrastrutture individuate con la creazione di un modello organizzativo integrato multifunzionale e multisettoriale a servizio, quindi, dell’intero sistema economico locale;

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– superamento strategico delle difficoltà di coordinamento tra i vari livelli istituzionali e tra i diversi attori coinvolti nel processo di sviluppo logistico locale.

Il modello di sviluppo territoriale articolato in più poli logistici «da/per il mare» verso l’interno consente, unitamente ad un mo-dello di riequilibrio modale del traffico, di aumentare la compe-titività delle aree deboli attraverso un sistema integrato di servizi alle imprese teso alla riduzione del costo logistico totale e, quindi, dell’intero sistema produttivo locale.

Alcuni esempi di attività logistiche «a valore» ed altri servizi che potrebbero essere svolti in poli logistici retroportuali sono: il confezionamento, la riutilizzazione dei componenti, l’etichetta-tura, il packaging, la riparazione e la gestione dei ricambi, il con-trollo qualità, la personalizzazione dei prodotti, l’assemblaggio, la gestione dei sistemi informativi, il servizio ordini, ecc. Le filiere in cui si potrebbe operare sono molteplici, importante risulte-rebbe privilegiare attività ad alto contenuto tecnologico così da sfruttare le risorse del territorio in termini di ricerca ed alta for-mazione. Manifestazioni d’interesse avanzate in questi anni dalle imprese sono state, ad esempio, piattaforme per l’export conso-lidato tra più produttori locali delle produzioni agroalimentari di eccellenza, la creazione una piattaforma logistica medico-sanitaria nella quale consolidare flussi di «medicinali generici» per la di-stribuzione verso l’Africa, l’assemblaggio di prodotti del setto-re dell’elettronica, degli elettrodomestici e dell’arredamento, la personalizzazione di capi d’abbigliamento o accessori moda, lo sviluppo di attività legate all’aeronautica, all’ICT, alle tecnologie ambientali ed al florovivaismo. Con riferimento alla Campania, ipotesi di realizzazione di distripark sono state studiate per l’area di Napoli Est, Torre Annunziata e per il progetto di porto-isola di Salerno.

Secondo una prima ricognizione, in via generale e non esausti-va con riferimento all’intero territorio meridionale, delle funzioni e delle caratteristiche economico-territoriali, si possono individua-re alcune aree vaste che mostrano notevoli potenziali di sviluppo attraverso la loro trasformazione in filiere territoriali logistiche. Esse sono:

– Area vasta dell’Abruzzo centromeridionale e della provincia di Campobasso;

– Area vasta del basso Lazio e dell’alto casertano;– Area Vasta Torrese-Stabiese;– Area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi;

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– Area vasta della piana di Sibari;– Area Vasta catanese (Sicilia orientale);– Area Vasta della Sardegna settentrionale. Tali aree vaste sono accumunate dalla presenza di alcuni im-

portanti potenziali di sviluppo che possono essere oggetto di spe-cifiche politiche di intervento al fine di migliorare le prestazioni logistiche complessive del territorio, ovvero:

– presenza di porti, anche minori e meno congestionati, di aree retroportuali e di inland terminal;

– dotazione infrastrutturale di trasporto multimodale terrestre;– buona accessibilità interna e possibilità di inserimento in reti

di trasporto internazionale (principalmente marittime);– presenza di filiere produttive di eccellenza orientate

all’esportazione;– possibilità di fruire di agevolazioni speciali ed incentivi per

l’insediamento di attività logistiche (Zone Franche Urbane, Pro-grammazione negoziata, Fondi strutturali europei, Contratti di Sviluppo e di Rete, Contratti di filiera, ecc.);

– esistenza di contesti deindustrializzati da riqualificare in sen-so produttivo per incrementare l’occupazione.

La trasformazione di aree vaste del Mezzogiorno in filiere ter-ritoriali logistiche dovrebbe pertanto vedere l’interagire di diverse tipologie di strutture ed infrastrutture della logistica, con l’offerta di servizi da integrare a livello operativo, funzionale e territoriale. Per le connessioni tra aree del meridione d’Italia ed i paesi del-la sponda Sud ed Est del Mediterraneo vanno considerate inol-tre, sempre in connessione con i nodi intermodali e quindi le con grandi reti europee, le potenzialità di ulteriore sviluppo delle Au-tostrade del Mare, sia verso il Nord Africa ed il Medio Oriente, sia di cabotaggio nazionale ed europeo.

Da una prima analisi dei servizi infrastrutturali attivi nel Mez-zogiorno, si evince una presenza solo in alcune aree di infrastrut-ture logistiche ad accesso pubblico di primo livello (interpor-ti, porti, aeroporti) secondo la definizione ricollegabile alla rete TEN-T dei corridoi plurimodali europei. Tali nodi forniscono an-cora servizi molto ridotti di trasporto intermodale (principalmen-te gomma-ferro ed in misura minore mare-ferro) e ancor meno di logistica a valore a supporto della produzione. Tale offerta di servizi logistici non è suffientemente disponibile nemmeno nelle infrastrutture logistiche di secondo livello dedicate a servizi com-plementari ed ausiliari al trasporto per l’espletamento delle attivi-tà logistiche. Manca quasi del tutto nel Mezzogiorno una strategia

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di sviluppo basata su piattaforme logistiche «di filiera» nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale. La filiera territoriale logistica si propone di colmare tale gap strutturale del sistema lo-gistico del Mezzogiorno che rappresenta un ulteriore elemento di limitazione delle sue possibilità di sviluppo economico.

7. Conclusioni

La rivoluzione tecnologica di trasporti e comunicazioni, insie-me allo sviluppo delle tecniche produttive, hanno consentito di scomporre il processo produttivo in più fasi, creando le condizio-ni necessarie per l’estensione su vasta scala geografica delle reti di fornitura ed approvvigionamento delle imprese parallelamente alla configurazione di network logistici. Il costo dei trasporti relativa-mente basso e la capacità di controllare e coordinare le operazioni di un sistema di fornitura geograficamente molto esteso, ha con-sentito alle imprese di ricercare input nello spazio globale a minor costo possibile (in primis il fattore lavoro).

Per molti studiosi di logistica economica il quesito di fondo, alla luce della recente crisi globale, è principalmente connesso alla questione se l’adozione della produzione flessibile basata sul JIT (just in time) porterà ad un incremento nell’importanza delle eco-nomie regionali di agglomerazione. Nasce così un nuovo e specifi-co problema di localizzazione: l’adozione del JIT condurrà ad una nuova concentrazione geografica della produzione in aree relati-vamente ristrette? Nelle industrie manifatturiere regionali, dove i prodotti intermedi sono re-importati e re-esportati, ogni fenome-no che incoraggia un aumento del contenuto di valore aggiunto di queste industrie, per ogni dato livello di output, incoraggerà la crescita regionale. Se l’adozione generale regionale del JIT in-crementa la crescita dell’agglomerazione regionale (economie di prossimità e di continuità), allora si dovrebbe ragionare su come stimolare la crescita nelle regioni depresse, come il Mezzogiorno, agendo sulla leva di sviluppo costituita dalla logistica locale inte-grata con quella globale.

Il principale intervento pubblico realizzato in Italia in materia di logistica negli ultimi anni, non sembra aver pienamente favorito tali processi di sviluppo economico del territorio nelle aree vaste più sviluppate del Mezzogiorno. Le norme istitutive degli interporti in Italia, in parte modificate ed integrate nell’arco degli anni ’90 (leg-

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ge 240/90), partivano da un presupposto strategicamente poco at-tento alle dinamiche delle economie locali. Infatti, l’ottica uniforme ed omogenea degli interventi per l’intero territorio nazionale, non teneva conto del contesto territoriale, economico e soprattutto in-dustriale in cui l’infrastruttura logistica interportuale a servizio della intermodalità e del combinato si insediava con il sostegno finanzia-rio pubblico. Con riferimento al trasferimento modale ai fini della riduzione del costo totale logistico, tale uniformità di obiettivi ha prodotto ad oggi un bilancio quasi del tutto fallimentare per le re-gioni dell’Italia meridionale se si pensa che l’80% dei flussi movi-mentati di unità standard (container, casse mobili, ecc.) si concentra in soli tre interporti ubicati al Nord, mentre gli altri interporti mo-vimentano il residuo 20%. La strategia di allora non ha interpretato adeguatamente gli orientamenti dei flussi manifatturieri, le relazioni, le dipendenze ed i vincoli territoriali molto differenti tra le diverse regioni italiane. Le produzioni manifatturiere del Nord, ed in par-te in Centro Italia, si orientavano fortemente verso alle esportazioni terrestri generando flussi nei modi terrestri di trasporto (stradale e ferroviario) e gli interporti avevano il ruolo di accrescere la produt-tività complessiva dei processi industriali, viceversa, gli interporti del Sud, in forte ritardo realizzativo e con scarse risorse finanziarie integrative di quelle pubbliche, non hanno prodotto sensibili bene-fici se non in rari casi di supporto alla distribuzione.

Nel Mezzogiorno, l’attività interportuale dovrebbe risultare maggiormente a vantaggio della produttività del ciclo marittimo con portualità e retroportualità da potenziare. Pertanto, dovrebbe-ro crearsi piattaforme retroportuali ed inland dedicate alle filiere di eccellenza presenti nel Mezzogiorno ad elevato tasso di espor-tazione. Le filiere produttive del Mezzogiorno hanno necessità di supporti infrastrutturali e di governance per le facilitazioni e, quindi, una loro visione nel senso di Filiere Territoriali Logistiche (FTL) con sbocchi a mare e retroporti da idoneizzare in regime di fiscalità di vantaggio per l’insediamento di attività di logistica a valore per l’esportazione.

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