Le due chiese

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Due spettri gemelli prendono sottobraccio la Chiesa cattolica italiana. Il primo riguarda il rapporto con la politica e la società. Si è sviluppato dopo la dissoluzione del partito cattolico e con la scelta dei vescovi di tenere direttamente le fila dei rapporti con la politica e le istituzioni. Il secondo soffia potente per cancellare la strada aperta dal Concilio Vaticano II. Nel 1965 si era delineata l’importanza di un consapevole ruolo dei laici; negli ultimi vent’anni è stata ratificata la subalternità dei laici rispetto alle scelte prese dall’episcopato. L’associazionismo è diventato strumento delle decisioni prese. I due spettri sono rovesci del medesimo problema. La crisi di credibilità impone una rivisitazione della presenza della Chiesa in Italia. Ma quale Chiesa? Il testo consente di cogliere il percorso sotterraneo che scorre non solo dietro i dibattiti suscitati dalle prese di posizione dell’episcopato ma anche sotto i mutamenti strutturali della società italiana.

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Fabrizio Mastrofini

Le due chiese

edizioni la meridianap a g i n e a l t r e

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Indice

Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Chiesa e società: presenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13Dalle “armate” al peso politico-sociale. . . . . . . . . . . . . 29Parrocchia: un futuro senza parroci . . . . . . . . . . . . . . . 45Laici associati e controllati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63Congregazioni e società . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75Teologia per addetti ai lavori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87La punta di diamante: comunicazione e cultura . . . . 103Questioni eticamente sensibili. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117Focus sulle questioni aperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137

Bibliografia… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

Sitografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

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Chiesa e società: presenza

È possibile che nella Chiesa italiana sia in vigore una doppiamorale? Da una parte le scelte nella vita privata; dall’altra lescelte pubbliche e politiche? L’interrogativo è di moltissimicredenti: chiedono ai vescovi che valga per tutti quella coe-renza tra fede e vita invocata a chiare note in tante e diverseoccasioni pubbliche. Invece, a quanto pare, non vale per ipolitici mentre è sempre un tema da tirare fuori quando sitratta dei semplici fedeli. La tematica ha rilevanti ed anchedirompenti conseguenze sul piano politico-sociale. Adesempio si spiega in questo modo perché è preferibileappoggiare un politico che nel suo ruolo pubblico si dichiarain linea con la Chiesa e schierato sul lato conservatore delpanorama parlamentare anche se in privato ne combina diogni tipo. E si spiega in questo modo, come vedremo subito,perché per la mentalità ecclesiale di oggi non vada appog-giato o non sia convincente e affidabile un cattolico convintoe coerente, se le sue scelte politiche lo portano verso il set-tore progressista dello schieramento.

Si tratta di ipotesi malevole dell’autore di questo libro? Emagari avallate dall’editore?

Nel maggio 2011 il cardinale Bagnasco, nella prolusioneche ha aperto i lavori dell’assemblea generale della CEI haparlato di politica “inguardabile” per la rissosità tra gli schie-ramenti e per un declino etico che dalla politica investe l’in-tera società. Sembrerebbero parole dure contro i governantidi quei mesi. Dunque non sarebbe vero che i vescovi fannosconti ad uno schieramento politico rispetto all’altro? La

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risposta alla domanda – legittima – è che non tutto è comesembra. I vescovi indicano problemi che non si possononascondere, ma in realtà quando arriva il momento del votorestano sensibili, sempre, alle sirene di chi garantisce finan-ziamenti o alle promesse del politico di turno sulla intocca-bilità delle leggi a tutela della famiglia fondata sul matrimoniotra un uomo e una donna. E se la CEI nell’insieme vuole assu-mere una parvenza di autonomia distribuendo critiche suitemi politico-sociali, nella realtà le fila dei rapporti sono tenutidalla segreteria di stato vaticana. Certamente quando i poli-tici passano il segno, i vescovi si sentono legittimati ad inter-venire ma nella sostanza le loro sono dichiarazioni che nonintaccano un rapporto più stretto con un’area rispetto adun’altra.

In realtà questa linea è stata espressa con estrema chia-rezza il 28 febbraio 2011 da mons. Luigi Negri, vescovo diSan Marino e Montefeltro, che fa riferimento all’area espressada Comunione e Liberazione, in un’intervista al quotidiano“La Stampa”. “Le incoerenze etiche di un governante – hanotato – non distruggono il benessere e la libertà del popolo,mentre invece gli attacchi alla famiglia e alla sacralità dellavita devastano la vita sociale.” Mons. Negri, inoltre, è pre-sidente della Fondazione per il Magistero Sociale dellaChiesa. E nell’intervista ribadisce che “da sempre alla Chiesainteressa quello che un governante fa per il bene del paese.Sul piano della condotta individuale indirizziamo [...] le stesseraccomandazioni rivolte a chiunque altro. Sui comportamentipersonali il giudizio spetta solo a Dio”. Il riferimento del-l’intervista erano le dichiarazioni del premier, il giornoprima, in cui garantiva che finché sarà al potere lo schiera-mento di centro-destra non passeranno mai leggi sulleunioni civili o sulle adozioni ai single. Mons. Negri ribadisceche “un politico è più o meno apprezzato moralmente in base

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a quanto si impegna a vantaggio del bene comune”. Invece“a far male alla società è la legislazione laicista, la moralitàteorizzata e praticata da quanti inondano di chiacchiere sullarilevanza pubblica di taluni comportamenti privati”. La Chiesainsomma “interviene sulla promozione del bene comune esu questo valuta un’autorità pubblica”. E così il cerchio sichiude. Come è stato possibile separare così nettamente aspettipubblici ed aspetti privati? E perché la distinzione viene accet-tata dai vescovi, che invece insorgono pubblicamente quandosi vuole relegare la religione ad un fatto personale e privato?Non si usano due pesi e due misure? Si è attenti all’esposi-zione dei simboli della fede come il crocifisso e poi sul pianodei comportamenti si distingue a seconda di chi li mette inatto. Non c’è contraddizione?

Ma non basta, perché oramai il dibattito interno è spentoed invano viene invocato, come dimostrano le numerose let-tere e prese di posizione di parroci italiani, che trovano spaziosu “Adista”, agenzia stampa che rappresenta l’ala critica equello che negli anni Settanta ed Ottanta dell’altro millenniosi chiamava o si autodefiniva dissenso cattolico. I laici, tantosbandierati come il nuovo che avanza, sono ridotti a com-piti esclusivamente esecutivi e quando hanno ruoli di primopiano vengono scelti tra coloro più realisti del re. I rapporticon il governo italiano li tiene in mano direttamente la Curiaromana, cioè il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone,autore all’inizio del suo incarico di una lettera chiara ed ine-quivocabile in cui la Curia rivendica ogni diritto e dovere inmerito. A livello sociale la Chiesa è presente, anzi super-pre-sente sui temi etici definiti “valori irrinunciabili”: cioè controaborto ed eutanasia e per la difesa della vita dal concepimentoalla morte naturale; per il matrimonio indissolubile in Chiesatra un uomo e una donna; contro le sperimentazioni in bioe-tica. Invece è del tutto assente sui grandi drammi che riem-

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piono le pagine dei giornali e le televisioni: i clandestini, idelitti efferati, la perdita del lavoro, l’ingiustizia sociale. Aparte vaghi e generici appelli alla coesione, al dovere dei gover-nanti ad avere stili di vita e comportamenti corretti; a partela “questione educativa” – che spesso si traduce in richiestedi soldi per le scuole cattoliche e non incide sul dissesto chevive la formazione in Italia – la Chiesa in Italia sembra distantee lontana dai problemi del presente.

Sono gli effetti di oltre vent’anni di gestione del cardinaleRuini e di questi anni dell’era Bagnasco, sotto l’egida e la guidadel segretario di stato Tarcisio Bertone e con l’avallo di Bene-detto XVI?

Una delle peculiarità che fanno nascere non pochi equi-voci e confusioni deriva dalla contemporanea presenza dellaChiesa italiana e del Vaticano come istituzione politica edecclesiale di respiro mondiale. Occorre così di volta in voltadistinguere quali aspetti appartengano alla Chiesa italiana nelsenso della CEI, e quali altri al Vaticano, con il compito diregolare la vita della Chiesa universale. Naturalmente nonpoche volte tali aspetti possono intersecarsi: la Santa Sedein quanto entità statale dentro il suolo italiano e soggetto diun Concordato con lo Stato, certamente non è neutrale maparte in causa. Soprattutto da quando, esplicitamente, il car-dinale Bertone, segretario di stato, ha rivendicato al suo ufficioed al suo ruolo i contatti con le istituzioni civili, attribuendoai vescovi una esclusiva azione in campo pastorale. Impo-stazione completamente diversa rispetto alla linea seguita finoal 2007 dal cardinale Ruini, che prevedeva la presa diretta-mente in carico della presidenza CEI dei rapporti istituzio-nali e politici. Linea differente dunque, inaugurata proprioin coincidenza con il pensionamento del cardinale Ruini, primacome presidente dei vescovi e poi come vicario del papa perla diocesi di Roma.

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Laici associati e controllati

Pastorale integrata è la “parola d’ordine” della CEI in questianni. Vuol dire fare perno sulla parrocchia e limitare l’inci-denza dei movimenti cattolici, che sotto Giovanni Paolo IIhanno conosciuto una straordinaria fioritura. Con BenedettoXVI è cominciata una fase nuova. Il cardinale Ratzinger, cer-tamente sostenitore dei movimenti, da papa ha impostato unavisione più pacata. Tre aspetti illustrano le diverse polaritàdel problema, la sua vastità ed importanza per il futuro.

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, l’Italia in mezzo

Nel settembre 1981, al primo Congresso internazionale deimovimenti a Rocca di Papa, vicino Roma, Giovanni PaoloII nella brevissima omelia affermò fin dall’inizio: “la Chiesastessa è un movimento”1. Da questa affermazione discendeil gran lavoro fatto dal Pontificio Consiglio per i Laici cheha approvato gli statuti di un gran numero di movimenti, moltidei quali italiani, con diramazioni consistenti in tutto il mondo:dai Focolarini fondati da Chiara Lubich, ai neocatecumenalifondati da Kiko Arguello e Carmen Hernandez, al Rinno-vamento nello spirito il cui leader è oggi Salvatore Martinez,a Comunione e Liberazione fondata da don Luigi Giussani,col suo gruppo ristretto di sacerdoti della Fraternità San Carlo,guidati da don Massimo Camisasca. E molti altri.

1. Omelia del 27 settembre 1981, in “L’Osservatore Romano”, p. 1.

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Nel corso degli anni Ottanta e in seguito, la crescita deimovimenti ha avuto un carattere esponenziale ed è stata unacostante dei viaggi internazionali vedere in prima fila tra ifedeli gli striscioni dei movimenti, sempre più numerosi.Obiettivo: rievangelizzare.

Il cardinale Ratzinger, con l’intervento del maggio 1998al IV Congresso dei movimenti, prese una decisa posizionea loro favore, contestualmente alla presa di distanza rispettoalle critiche di alcuni vescovi. In sostanza i movimenti ven-gono apprezzati tanto da Giovanni Paolo II quanto da Bene-detto XVI perché sono fedeli prima di tutto al papa. Da quile tensioni con i vescovi.

Tensioni che per l’Italia hanno un primo sviluppo proprionegli anni Ottanta dello scorso secolo.

La crescita dei movimenti ha avuto due aspetti distinti. Ilprimo ha riguardato il contrasto netto con la “scelta religiosa”attuata dall’Azione Cattolica guidata da Alberto Monticone,presidente dal 1980 al 1986, nel momento in cui iniziava l’a-scesa di mons. Camillo Ruini al vertice della CEI. La “sceltareligiosa” voleva dire un nuovo modello di associazionismoecclesiale, avente come finalità primaria la formazione dei laicicristiani lungo l’arco di ogni età e la conseguente loro azionenella Chiesa e nella società in forma aggregata. Anticipavala fine dell’impegno diretto nella Democrazia Cristiana, cheallora per i vescovi era invece inderogabile, ed intendeva get-tare un ponte tra l’appartenenza alla città di Dio nella suaconcretezza locale e la partecipazione da cristiani alla cittàdell’uomo, anche questa individuata nella specificità ditempo e di luogo. Voleva distinguere l’ambito ecclesiale daquello politico-partitico, per liberare la Chiesa dal coinvol-gimento in politica, ed affermare il valore della laicità cristianaesercitata in forma individuale e collettiva. Il duro contrastotra la CEI e l’Azione Cattolica, portò da un lato alla crescita

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dei movimenti nelle parrocchie e nelle diocesi, nonostanteil parere contrario di molti vescovi. Dall’altro lato ha por-tato al drastico ridimensionamento numerico della stessaAzione Cattolica, diminuita dai 6-800 mila aderenti di queglianni ai 400 mila di oggi. Un dissidio destinato a ripetersiquando un’associazione prende posizioni troppo autonome.Nel febbraio 1999 il cardinale Ruini, subito dopo avernominato presidente dell’Azione Cattolica Paola Bignardi,le invia una lettera per metterla in guardia dall’entrare in spaziche non competono all’associazione e che sono propri delleforze politiche, evitando con cura qualsiasi coinvolgimentonella competizione tra i diversi schieramenti. Fu considerato,allora, un modo per mettere sotto tutela la nuova presidente,che il 10 marzo, in un’intervista a “L’Unità”, si disse dispo-nibile a discutere eventuali riconoscimenti alle coppie di fatto,comunque una realtà impossibile da ignorare. Un successivointervento della presidenza della CEI costrinse la Bignardiad un’intervista sul quotidiano “Avvenire” (12 marzo 1999),per correggere il tiro delle precedenti affermazioni, cuiseguì un editoriale sul settimanale associativo “Segno Sette”.

La situazione attuale

Opus Dei, Sant’Egidio, Comunione e Liberazione, Legio-nari di Cristo, Rinnovamento nello Spirito, Cammino neo-catecumenale, Focolarini e tanti altri. Fanno tutti capo alrispettivo fondatore, più che al vescovo del luogo. Come unicoraccordo di Chiesa assumono il riferimento diretto al papa.Ciascun movimento ha una sua visione liturgica, una sua disci-plina, un sistema di autorità e di credenze. Per comprenderequanto sia aperto il dibattito e problematica la situazione,possiamo citare due episodi recenti. È del dicembre 2005-gennaio 2006 uno scambio di lettere tra il cardinale Francis

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Arinze, all’epoca prefetto della congregazione per il cultodivino e i fondatori dei neocatecumenali, Kiko Arguello eCarmen Hernandez.

Il cardinale chiedeva il rispetto – ribadito dal papa il 12gennaio 2006 – di alcune norme relative alla necessità di limi-tare le Messe del sabato sera esclusivamente riservate agliappartenenti alla comunità, per cercare un maggior inseri-mento nella parrocchia. Il secondo esempio, sempre per i neo-catecumenali, riguarda una lettera pubblicata dal periodico“Settimana”2 in cui un lettore pone il caso concreto di comearmonizzare la vita della parrocchia con la presenza di benotto comunità neocatecumenali che normalmente compionovita separata dal resto della vita parrocchiale.

La situazione attuale dunque si presenta complessa, per l’im-postazione dei vescovi italiani che intendono rifondare la par-rocchia. Lo sviluppo dei movimenti ha infatti portato in primopiano l’idea che il cristiano singolo non possa esistere più. Ilfedele che si reca in parrocchia senza appartenere all’una oall’altra associazione o movimento, corre il rischio di sentirsiisolato e di non trovare uno spazio proprio.

La linea nuova della CEI è stata espressa con una chia-rezza al limite della brutalità da parte del cardinale AngeloScola, all’epoca patriarca di Venezia, nel suo intervento del2006 al Congresso mondiale dei movimenti. Questi devonoaprirsi, disse il prelato senza mezzi termini. Va evitata,aggiunse, proprio un’interpretazione troppo schematica del-l’affermazione di Giovanni Paolo II che la Chiesa stessa èun movimento:

La natura sempre contingente del carisma di fondazione,e ancor più del movimento che ne deriva, deve mettere in

2. Un parroco, un visitatore e otto comunità neocatecumenali, in “Set-timana”, 41/2007, p. 2.

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guardia dal rischio, anche indiretto, di imporli come mo-delli per l’intera vita della Chiesa. Un’espressione dan-nosa di questo rischio può derivare dal tentativo, appa-rentemente generoso, di creare, di fatto o di diritto, unorganismo generale di coordinamento tra nuovi movi-menti come se il problema della maturità ecclesiale, di cuiparlava Giovanni Paolo II, potesse essere risolto dall’or-ganizzare unitariamente i nuovi movimenti attraversopiani operativi per poi interloquire con le diocesi, le par-rocchie e le aggregazioni classiche di fedeli 3.

Apparentemente dunque i movimenti e le associazioni ope-rano in accordo tra di loro, ponendo termine ai dissidi delpassato, sotterranei ma presenti. Nella realtà la situazione sipresenta più complessa.

Scelte operative

Scrive Giancarlo Zizola, giornalista, saggista, uno dei piùquotati osservatori delle problematiche ecclesiali italiane, che

nella cupola vaticana, il cardinale vicario di Roma4 appa-re fra i più convinti assertori della convenienza di contra-stare la temuta scomparsa pubblica del cristianesimo get-tando nella fornace mediatica e nel tumulto politico l’im-magine d’una Chiesa di piazza. Non importa se questoparadigma di cattolicesimo dimostrativo riveli, per il so-lo fatto della sua esibizione, la sua debolezza interiore. Sitende a rimuovere il monito caro a Rosmini, di recentebeatificato, secondo il quale la sovrapposizione del pote-

3. CARDINALE ANGELO SCOLA, intervento al Secondo Convegno mon-diale dei Movimenti, 2006.

4. Il cardinale Ruini, all’epoca (N.d.A.).

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1. S. CANNISTRÀ, Teologia extra moenia, in “Rassegna di Teologia”, gen-naio/marzo, 2008, pp. 155-57.

2. V. MANCUSO, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina, Milano 2007.

3. C. AUGIAS, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, Milano 2006.

Teologia per addetti ai lavori

La teologia sta uscendo dal circolo ristretto degli addettiai lavori? La domanda se l’è posta il teologo Saverio Canni-strà, dal 2009 superiore generale dei Carmelitani scalzi, giàdocente in diverse Università pontificie. Notava Cannistrà che“è in atto da diversi anni in Italia un fenomeno culturale chemerita la massima attenzione da parte dei teologi: il diffon-dersi dell’interesse per Dio, Gesù Cristo, l’anima, la mistica1,l’escatologia, e altre tematiche ‘spirituali’ fuori dal perimetroecclesiale. Su questi temi si esprimono o si interrogano laicicredenti, che si occupano delle materie più diverse, e anchenon credenti, aperti alla dimensione religiosa e mistica”. Ecitava, a riprova, due recenti istituzioni accademiche, e cioèla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele,i cui temi di fondo sono intrecciati con lo studio della reli-gione e la storia della teologia, e il corso di laurea in Scienzestorico-religiose della Facoltà di Lettere e Filosofia all’UniversitàLa Sapienza di Roma. Per i libri notava il successo editorialedi un best seller2 di Vito Mancuso che rivendica la legittimitàdi una teologia laica e universale. A ciò si deve aggiungere l’in-teresse suscitato dagli studi sulla problematica della storicitàdi Gesù di Nazareth3 e la pubblicazione presso una editricelaica di uno studio del teologo Giuseppe Ruggieri sul Vati-cano II, passato in maniera silenziosa rispetto al dibattito dei

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due volumi precedenti, tuttavia capace di avere diverse edi-zioni in pochi mesi4. Tra i nomi noti capaci di interagire conla cultura laica, si possono collocare, tra gli altri, Pietro deMarco, docente alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale, i cuiinterventi su temi liturgici e teologici vengono ripresi nel blogche Sandro Magister ha sul sito internet del settimanale “L’E-spresso”; e la storica Lucetta Scaraffia, editorialista di “Avve-nire” e, più di recente, firma de “L’Osservatore Romano”.

Bastano questi episodi, bastano questi nomi per influiresul dibattito teologico? Bastano per entrare nel più ampiofiume del dibattito culturale sul ruolo della Chiesa italiananella società? E soprattutto: di fronte alle prese di posizionedei vescovi, ovvero della presidenza CEI, i teologi cosa hannoda dire? Dietro i casi editoriali, Cannistrà pone una domandanon nuova, già emersa alla fine degli anni Ottanta nei con-gressi dell’Associazione Teologica Italiana, relativa al ruolodella teologia e al posto del teologo. Se il teologo è solo esempre un ecclesiastico o comunque una persona di Chiesa,uomo o donna che sia, inserito in un ambito accademico cat-tolico, la sua teologia corre il rischio di ridursi a “ideologia”,senza spazi di apertura e sperimentazione.

Del resto i documenti vaticani sul ruolo della teologia indi-cano chiaramente i limiti che deve porsi la ricerca e notanocome teologia e teologi debbano sottostare sempre al magi-stero ecclesiastico5. E ancora: se il teologo cattolico è un laiconon soggetto alla disciplina ecclesiastica e non dipendenteda un’istituzione ecclesiale, la sua ricerca non deve sottostarealle regole più rigide espresse dai documenti del magisteroe la libertà di ricerca ne esce rafforzata. Dai due aspetti del

4. G. RUGGIERI, La verità crocifissa, Carocci, Roma 2007.

5. Il documento vaticano di riferimento è l’Istruzione Donum Veritatis,24 maggio 1990, elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fedeguidata all’epoca dal cardinale Joseph Ratzinger.

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dilemma dipende molto del ruolo e del futuro della teologia,in Italia e non solo.

Se è certamente possibile, anzi auspicabile, il fiorire diuna teologia “non ecclesiastica” (cioè non fatta da eccle-siastici, in un orizzonte solo intraecclesiale) – notava an-cora Cannistrà – è invece una contraddizione in terminiuna teologia che voglia presentarsi libera da qualsivogliapresupposto e condizionamento, con la giustificazio-ne/promessa che solo in questo modo si può giungere al-la scoperta della verità. Ciò equivale a confondere la fe-de con l’ideologia. È certamente esistita ed ancora esisteuna ideologia cattolica, ma essa non è in alcun modoidentificabile con la fede, per il semplice motivo che la fe-de non ha a che fare con le “idee”, ma con la realtà di unfatto. Tanto è vero che oggi assistiamo allo strano feno-meno di intellettuali che si dichiarano pronti a sposarel’ideologia (idee, giudizi morali, progetti politici, ecc.),senza peraltro condividere la fede cattolica. È ovvio checon ciò non si vuole negare legittimità scientifica a un ap-proccio puramente “culturale” ai contenuti della fede,ma solo tenerlo distinto dall’approccio teologico (il chenon esclude, ma è anzi la condizione perché si realizzi unfecondo interscambio). Mi rendo conto, peraltro, delladifficoltà di tracciare una linea netta di demarcazione traciò che è teologia e ciò che non lo è, anche perché fra glistessi teologi esiste una pluralità di posizioni riguardo al-la definizione della teologia e dei suoi rapporti con la fi-losofia e le scienze umane 6.

La maniera un po’ involuta di porre i problemi nascondeil vero fatto nuovo: la grande diffusione che sta avendo lo

6. S. CANNISTRÀ, op.cit.

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Focus sulle questioni aperte

In conclusione una vicenda recente può servire a sinte-tizzare i problemi della Chiesa italiana. La vicenda è quelladella Diocesi di Orvieto, al centro dell’attenzione dei massmedia tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 per il sui-cidio di un diacono che si è visto rifiutare l’ordinazione sacer-dotale e la rimozione del vescovo da parte della Santa Sede.

I fatti

I fatti, come sono stati ricostruiti dalla stampa cattolica,sono i seguenti. All’origine abbiamo un vescovo di Orvietoche appartiene ad una congregazione religiosa e decide diaccogliere in diocesi un piccolo gruppo di seminaristi ai qualigià una prima volta era stato sconsigliato dal proseguire laformazione poiché ritenuti non idonei al sacerdozio. Ilvescovo li accoglie ed invece di inviarli al seminario interre-gionale, come sarebbe prassi, decide che la loro formazionedebba avvenire in modo diverso, destinandoli in alcune par-rocchie rurali ad aiutare i sacerdoti ed incaricandoli disovrintendere alla loro formazione. Il che accade di malavoglia.Tra l’altro i parroci già lamentano scarsa comunicazione conil vescovo che sembra ignorare le loro richieste. Uno di questiseminaristi diventa poi il segretario personale del vescovo ilquale gli impartisce gli ordini sacri fino al diaconato. Venutoil tempo dell’ordinazione sacerdotale, ed evidentementecresciuto il malcontento col trascorrere dei mesi, intervienela Santa Sede per bloccare l’ordinazione sacerdotale, chie-

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dendo di vedere più chiaro nella situazione. Il disagio in dio-cesi è cresciuto al punto tale da non poter più essere igno-rato. Il vescovo si reca più volte in Vaticano, sicuro di potersistemare la vicenda ma il rifiuto all’ordinazione è deciso edil vescovo non può far altro che sottostare. A questo puntocon il suicidio del diacono stesso i problemi esplodono. L’at-tenzione dei mass media si focalizza sulla situazione diOrvieto; il vescovo assume nei media la figura stereotipatadi Davide che combatte contro Golia (la Santa Sede) e inquesto caso soccombe; ha dalla sua sindaco e popolazionelocale, entusiasti di avere per vescovo un sacerdote con cuiè facile ed immediato il contatto. Le doti umane tutti le rico-noscono; i sacerdoti locali tacciono invece sulla scarsissimacapacità del vescovo di occuparsi ed affrontare i problemidella diocesi. Quelli che parlano, a stento, lo fanno solo conla stampa cattolica. La Santa Sede comunque interviene erimuove il vescovo, tra le polemiche e le contestazioni di sin-daco e popolazione.

La loro interpretazione

Dietro questa vicenda dolorosa possiamo cogliere glisnodi problematici per la Chiesa oggi in Italia.

• Primo: le procedure di nomina dei vescovi. Evidentementein questo caso un buon sacerdote non si è rivelato un buonvescovo. Troppo spesso vengono promossi all’episcopatonon persone con le capacità giuste bensì persone che vannospostate perché poco capaci di operare nei settori delicatiin cui sono. Col risultato di ritrovarsi dei vescovi chesaranno in carica per dieci, quindici o vent’anni senza averela minima idea di cosa fare nel migliore dei casi; provo-cando danni nel peggiore. Come nel caso in questione.

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• Secondo: i rapporti tra congregazioni religiose e CEI. Lavicenda descritta avalla l’idea che le congregazioni religiosesiano sempre troppo autonome rispetto alla CEI, anchenel caso di un vescovo. Esiste senz’altro un problema gene-rale di coordinamento a livello pastorale.

• Terzo: la formazione. Questo è il vero punto dolente. Cisono qui dei giovani che chiedono di entrare in un semi-nario diocesano e non vengono ritenuti idonei. Ciò nono-stante un vescovo diverso dal primo, può decidere di acco-glierli e addirittura saltare le procedure formative affi-dandoli ad altri sacerdoti come se fosse possibile una sortadi tutoraggio. Il risultato, tragico, si è visto. La formazioneteologica deve andare di pari passo con un’analisi delle qua-lità e delle problematiche dei candidati, predisponendoun percorso adeguato alle esigenze dei singoli, per affron-tare i problemi ed evitare che esplodano nel tempo.Inoltre nei casi particolarmente problematici, quando sonopresenti patologie, si può respingere un candidato. Sidimentica infatti che quella del sacerdote è una professionedi aiuto, è un continuo contatto con i problemi delle per-sone e dunque risulta indispensabile una solida capacitàdi relazioni interpersonali, unita alla coesione interiore. Dotiche si possono acquisire e perfezionare. I rapporti deivescovi statunitensi che prendono in esame le problema-tiche psicologiche del clero dopo l’ordinazione sottolineanoesattamente quanto sia delicata la formazione permanente.Le situazioni di stress, la solitudine, il sovraccarico pasto-rale, il vuoto affettivo, possono portare o provocare deicomportamenti abnormi, sovrapponendosi a delle pro-blematiche di insicurezza preesistenti e mai affrontatedurante gli anni della formazione.

• Quarto: il rapporto vescovo-sacerdoti. È all’insegna del pater-nalismo oppure dell’ascolto distratto senza vera capacità

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di intervento. I sacerdoti italiani, come nel caso di Orvieto,hanno spesso la sensazione di essere lasciati soli; il dialogocon i vescovi serve a poco vista la difficoltà di questi adintervenire nelle situazioni difficili.

• Quinto: la cosiddetta opinione pubblica e i mass media. Lascarsa capacità di parlare ha complicato la già difficile situa-zione di Orvieto. Da una parte sindaco e cittadini si sonoschierati dalla parte del vescovo senza percepire che la pro-blematica era interna alla Chiesa stessa. Dunque sono inter-venuti senza sapere, mettendo al primo posto le qualitàumane del vescovo (buon contatto con le persone, dialogo,facilità nell’avvicinarlo) e senza vederne i limiti. L’inter-vento della Santa Sede è stato letto come fosse la manodel potere, incurante del sentire del territorio. È mancatauna comunicazione efficace, soprattutto di fronte alle tele-camere ed alle decine di interviste e servizi televisivi e car-tacei su tutta la vicenda. La confusione è diventata mas-sima e nessuno degli attori coinvolti ha avuto la capacitàdi organizzare una efficace comunicazione.

• Sesto: capacità di leadership. Nella Chiesa italiana, dalle dio-cesi al vertice, manca oggi una efficace capacità di lea-dership. Cioè guidare ascoltando, prendere delle decisionicoinvolgendo tutte le parti, rendere concrete ed efficacile decisioni prese senza che si verifichino troppe fughe inavanti o all’indietro. La capacità di leadership non si misurasulle parole, sui troppi convegni, bensì sulla capacità diriconoscere i problemi, meglio se prevenirli, saperli chia-mare per nome ed avviare delle strategie per superarli. Iltutto unito ad una presenza efficace sui media per comu-nicare un messaggio coerente.

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Dalla Diocesi di Orvieto arriva dunque un forte segnaledi attenzione: tutte le problematiche indicate rappresentanoaltrettante sfide per la credibilità della Chiesa. Senza dimen-ticare il rapporto con i laici, il cui ruolo è indispensabile nelmomento in cui la contrazione del clero è forte. Ed è l’oc-casione per de-clericalizzare la Chiesa, italiana e non solo.

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