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24 “L as cualidades sonoras del mejor instru- mento desmerecen si está provisto de cuer- das mediocres.” (Emilio Pujol, Escuela razonada de la Guitarra, Buenos Aires, 1934) INTRODUZIONE In fatto di corde e criteri di scelta delle mon- tature per chitarra nel corso del XVIII, XIX e parte del XX secolo, lo studio del materiale sto- rico recentemente reperito non ha mancato di suscitare una certa sorpresa, forse perché ben poco in questo campo è stato finora indagato. Inoltre è tuttora radicata l’opinione che tutto ciò che faccia parte del passato di questo strumen- to sia in qualche modo riconducibile semplice- mente ad una serie di passaggi intermedi di quel lungo processo evolutivo che avrebbe portato al- la cosiddetta “meta” finale: l’avvento della chi- tarra “di Torres” (e sue varianti), 1 l’uso delle un- ghie della mano destra e l’abbandono delle pri- mordiali corde di minugia in favore dei mate- riali sintetici. Vige poi l’idea – presa a prestito forse dagli strumenti ad arco riadattati per eseguire la mu- sica barocca – che la chitarra dell’Ottocento e di parte del secolo seguente fosse caratterizzata da incordature assai leggere rispetto ai criteri odierni. Trattandosi infine nello specifico di cor- de di budello, è ancor più radicata l’opinione che le prestazioni acustiche globali dovessero es- sere in qualche modo inferiori a quelle delle cor- de di nylon o di PVDF (polivinil dilenfluoruro), il cosiddetto “carbonio”, nonostante siano ben pochi coloro che hanno provato sulla propria chitarra una sola corda di minugia. Ciò che ha cominciato in realtà a trasparire dall’esame della documentazione reperita – op- portunamente integrata da una certa sperimen- tazione pratica – spinge con forza verso realtà sostanzialmente differenti. Questo contributo sembra rendersi dunque ne- cessario, non soltanto perché si va sempre più ingrossando la schiera di coloro che stanno ri- scoprendo il gusto di suonare determinati re- pertori con strumenti d’epoca o copie degli stes- si, ma perché, più semplicemente, si tratta di un atto di per sé doveroso per il recupero della sto- ria (non solo musicale) del nostro strumento e, non ultimo, per poter ascoltare con spirito an- cor più consapevole le incisioni chitarristiche an- teriori agli anni Cinquanta, epoca in cui budel- lo e seta regnavano indisturbati. Così, se la ricostruzione filologica degli anti- chi repertori musicali e il recupero degli stru- menti ad essi relazionati non possono assoluta- mente prescindere dall’indagine, a sua volta pun- tuale e comparata, dei vari elementi a disposi- zione, allora la corda, quale essenza generatri- ce del suono, ne rappresenta certamente l’ele- mento cardine di partenza; essa è infatti – co- me già ormai dimostrato da numerosi studi – non più “pietra scartata dal costruttore” (sem- plice accessorio, insomma) bensì “pietra angola- re del tempio”. Uno strumento privo di corde – Stradivari o Torres che sia – risulta privo di vi- ta musicale propria, se non quella dovuta alla semplice percussione dello stesso. LE CORDE PER CHITARRA TRA IL SETTECENTO ELAVVENTO DEL NYLON Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta di Mimmo Peruffo 1. Per una più ampia trattazione dell’argomento vedi: STEFANO GRONDONA -LUCA WALDNER, La chitarra di liu- teria, L’Officina del Libro, Sondrio, 2001.

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“L as cualidades sonoras del mejor instru-mento desmerecen si está provisto de cuer-

das mediocres.” (Emilio Pujol, Escuela razonada dela Guitarra, Buenos Aires, 1934)

INTRODUZIONEIn fatto di corde e criteri di scelta delle mon-

tature per chitarra nel corso del XVIII, XIX eparte del XX secolo, lo studio del materiale sto-rico recentemente reperito non ha mancato disuscitare una certa sorpresa, forse perché benpoco in questo campo è stato finora indagato.Inoltre è tuttora radicata l’opinione che tutto ciòche faccia parte del passato di questo strumen-to sia in qualche modo riconducibile semplice-mente ad una serie di passaggi intermedi di quellungo processo evolutivo che avrebbe portato al-la cosiddetta “meta” finale: l’avvento della chi-tarra “di Torres” (e sue varianti),1 l’uso delle un-ghie della mano destra e l’abbandono delle pri-mordiali corde di minugia in favore dei mate-riali sintetici.

Vige poi l’idea – presa a prestito forse daglistrumenti ad arco riadattati per eseguire la mu-sica barocca – che la chitarra dell’Ottocento edi parte del secolo seguente fosse caratterizzatada incordature assai leggere rispetto ai criteriodierni. Trattandosi infine nello specifico di cor-de di budello, è ancor più radicata l’opinioneche le prestazioni acustiche globali dovessero es-sere in qualche modo inferiori a quelle delle cor-

de di nylon o di PVDF (polivinil dilenfluoruro),il cosiddetto “carbonio”, nonostante siano benpochi coloro che hanno provato sulla propriachitarra una sola corda di minugia.

Ciò che ha cominciato in realtà a traspariredall’esame della documentazione reperita – op-portunamente integrata da una certa sperimen-tazione pratica – spinge con forza verso realtàsostanzialmente differenti.

Questo contributo sembra rendersi dunque ne-cessario, non soltanto perché si va sempre piùingrossando la schiera di coloro che stanno ri-scoprendo il gusto di suonare determinati re-pertori con strumenti d’epoca o copie degli stes-si, ma perché, più semplicemente, si tratta di unatto di per sé doveroso per il recupero della sto-ria (non solo musicale) del nostro strumento e,non ultimo, per poter ascoltare con spirito an-cor più consapevole le incisioni chitarristiche an-teriori agli anni Cinquanta, epoca in cui budel-lo e seta regnavano indisturbati.

Così, se la ricostruzione filologica degli anti-chi repertori musicali e il recupero degli stru-menti ad essi relazionati non possono assoluta-mente prescindere dall’indagine, a sua volta pun-tuale e comparata, dei vari elementi a disposi-zione, allora la corda, quale essenza generatri-ce del suono, ne rappresenta certamente l’ele-mento cardine di partenza; essa è infatti – co-me già ormai dimostrato da numerosi studi –non più “pietra scartata dal costruttore” (sem-plice accessorio, insomma) bensì “pietra angola-re del tempio”. Uno strumento privo di corde –Stradivari o Torres che sia – risulta privo di vi-ta musicale propria, se non quella dovuta allasemplice percussione dello stesso.

LE CORDE PER CHITARRA TRA IL SETTECENTO

E L’AVVENTO DEL NYLON

Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta

di Mimmo Peruffo

1. Per una più ampia trattazione dell’argomento vedi:STEFANO GRONDONA - LUCA WALDNER, La chitarra di liu-teria, L’Officina del Libro, Sondrio, 2001.

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Nella nostra trattazione si sono evitate di pro-posito le corde di metallo, le quali, nel mondodella chitarra, cominciarono a prendere piede,a partire dalla seconda metà del XIX secolo inconseguenza della comparsa dell’“acciaio da pia-noforte” (1840 circa), materiale questo di eleva-tissima resistenza tensile rispetto al ferro fino adallora impiegato (assieme ad ottone e bronzo)negli strumenti a tastiera e a penna (come adesempio il mandolino) ma non nella chitarra asei corde. Nel mondo della chitarra – soprat-tutto se “còlta” – vi sono state, infatti, ben po-che eccezioni al budello; circoscritte essenzial-mente intorno alla popolana “Chitarra Battente”o a scelte particolari come quella di AgustínBarrios.2

LE QUATTRO ETÀ DELLE CORDE DI BUDELLO

Il budello è un un materiale di impiego mil-lenario: sono state ritrovate ad esempio corde diminugia in antichi strumenti a pizzico egizi ri-salenti alla Terza Dinastia.3 Nel corso dei secolisi assistette ad un processo di affinamento del-le tecniche necessarie a produrre una buona cor-da, ma solo verso la seconda metà del secoloXVII questa lunga parabola evolutiva portò allarivoluzionaria scoperta e diffusione delle cordegravi filate, costituite da un’anima di budellocompletamente rivestita da un sottile filo metal-lico, generalmente argento ma anche rame e ot-tone.

La ricerca ha permesso di formulare l’ipotesiche la tecnologia di manifattura delle corde dibudello si sia sviluppata non tanto attraverso unalenta pro g ressione ma, piuttosto, per bruschicambiamenti dovuti all’apporto di qualche no-

vità tecnologica che si è poi ripercossa con sor-prendente rapidità sugli strumenti musicali coe-vi, determinando la comparsa/scomparsa di al-cune classi che si erano mantenute in relativostato di quiete nei periodi “di transizione”.

Questa affermazione può essere efficacemen-te verificata esaminando ad esempio gli effetticausati in alcuni strumenti musicali dalla com-parsa delle corde gravi filate, responsabili diret-te del rapido abbandono degli ingombranti bas-si di violino in uso fino alla fine del Seicento –o poco oltre – in favore del nascente violon-cello.4 La comparsa delle stesse permise inoltrel’aggiunta della sesta corda ad una chitarra di li-mitata lunghezza vibrante rispetto a quelle delrecente passato e questo senza conseguenze ne-gative nella resa acustica. È da sfatare nel mo-do più assoluto la concezione ricorrente che lecorde degli antichi fossero in qualche modo “pri-mordiali”, lontane cioè dalla presunta perfezio-ne delle nostre.

La ricerca, si diceva, ha permesso di formu-lare l’ipotesi di quattro “età” caratteristiche del-la tecnologia di manifattura delle corde di bu-dello.

La “prima età” delle corde musicali si per-de nella notte dei tempi ed è stata identificatain quel lungo processo di selezione empirica del-le materie prime naturali atte a possedere uncerto grado di resistenza tensile e una certa pre-disposizione spontanea a produrre suono unavolta intrecciate tra di loro, prime fra tutti la se-ta e il budello. Quest’ultimo, forse a causa del-la più facile reperibilità, prese il sopravventonell’occidente cristiano e nelle civiltà del bacinomediterraneo.

stesso nel 1944 a El Salvador definì senza mezzi ter-mini la sua chitarra “a wire fence” (staccionata metalli-c a ) . Cfr. RI C H A R D ST O V E R, Agustin Barrios Mangoré. HisLife and Music. Part III: Cacique Nitsuga Mangoré, “ G u i t a rReview”, n. 100, Winter 1995, pp. 20-21.

3. WERNER BACHMANN, The Origins of bowing and thedevelopment of bowed instruments up to the thirtheencentury, Oxford University Press, London, 1969 (edizio-ne originale: Die Anfänge des Streichinstrumentenspiel,Breitkopf und Härtel, Leipzig, 1964), p. 79.

4. STEPHEN BONTA, From Violone to Violoncello: A que-stion of strings?, “Journal of the American Musical InstrumentSociety”, volume III, 1977, pp. 64-99.

2. La scelta di Barrios verso le corde di metallo po-trebbe giustificarsi – oltre che per motivi puramenteestetici – anche dal fatto che in Sudamerica non esi-steva alcuna produzione autonoma di corde di budel-lo, rendendo perciò necessaria la loro importazionedall’Europa a costi probabilmente proibitivi e con ine-vitabili lungaggini nei tempi di consegna. Una secondaipotesi – tutt’altro che secondaria – verte sul fatto chein un clima caldo e fortemente umido come quello delParaguay (stato in cui Barrios viveva) qualunque cordadi minugia avrebbe una durata estremamente limitata.L’impiego delle corde di metallo fu osteggiato con vee-menza da Segovia che durante un incontro con Barrios

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Ne sono seguite l’individuazione e la messa apunto progressiva del sistema di fabbricazionepiù idoneo, quello indicato, in buona sostanza,dai numerosi ricettari “fai da te” del Medioevo:procedimento sorprendentemente simile a quel-lo attuale.

Ecco ad esempio una ricetta di anonimo trat-ta dal Secretum Philosophorum, Secolo XV:

Ad faciendum cordas lire Cum autem volu-mus facere cordas lire […] recipe intestina oviumet lava ea munde et pone ea in aqua vel in lexi-via per dimidium vel plus usque caro se separetleviter a materia corde que est similis quasi ner-vo. Post depone carnem de materia cum pennavel cum digito mundo. Post pone materiam inlescivia forti vel rubio vino per 2 dies. Post ex-trahe et sicca cum panno lineo et iunge 3 vel 4simul secundum quantitatem quam volueris ha-bere et atturna ea usque sufficiat. Et extende easuper parietem et permitte sicare […].5

Il prodotto finito, in virtù del fatto che la ma-nifattura non risultava ancora professionalizzata,doveva con tutta probabilità caratterizzarsi dauna variabilità qualitativa piuttosto ampia.

La seconda tappa evolutiva si può senz’al-tro collocare tra la seconda metà del XV seco-lo e la metà del secolo seguente. Essa sembracoincidere con la comparsa della figura del cor-daio, il quale perfezionò e razionalizzò le tec-niche manufatturiere già in uso portando la qua-lità delle corde armoniche ai massimi livelli mec-canici e acustici. Emblematica in tal senso lascomparsa pressoché totale, dai ricettari del tem-po, dei procedimenti per far da sé le corde, ri-cette piuttosto diffuse nel Medioevo.

Lungo il corso del Cinquecento, i centri piùrinomati nella produzione di corde armonichefurono anche importanti centri di tintura e fila-

tura di seta e cotone, basti ad esempio citareBarcellona, Monaco, Norimberga e Lione. Nonpossiamo escludere pertanto una possibile ac-quisizione, da parte dei cordai di queste città,delle più complesse tecniche di filatura in usoper le sete, acquisizione che permise una primaimportante riduzione della rigidità delle cordepiù spesse utilizzate nei registri gravi degli stru-menti.

Questi bassi dovettero per forza di cose es-sere ancor più elastici ed efficienti del solito, seci si poté permettere un primo mutamento inambito morfologico: il liuto, ad esempio, già ver-so la seconda metà del XV secolo poté espan-dersi decisamente verso il grave di un interval-lo di quarta, talvolta quinta, con l’acquisto diuna sesta corda doppia (il cosiddetto “coro”);così accadde anche per le viole da arco.

La terza tappa evolutiva si può collocareverso la seconda metà del XVI secolo quan-do vi fu un ulteriore, importante salto di qua-lità da parte degli strumenti musicali: al liutovenne aggiunto un settimo coro più grave (e inseguito diversi altri sulla tastiera) accordato giàda subito addirittura una quarta, talvolta unaquinta, al di sotto del sesto. Negli strumenti adarco si è accreditata l’ipotesi di una certa con-trazione delle lunghezze vibranti – a parità diintonazione, s’intende – rispetto a quelle prece-dentemente in uso.6

Studi recenti7 tendono a dimostrare che la ra-gione di queste repentine modifiche sia da ri-condurre all’applicazione di un’idea rivoluziona-ria: l’incremento del peso del budello utilizzatoper fare le corde dei bassi mediante opportunitrattamenti di carica con metalli pesanti. Nell’ico-nografia musicale del Seicento non è infrequen-te infatti osservare che le corde di questi regi-stri – che dai trattati per Liuto del tempo si saessere sempre e solo di budello – si presenta-

loaded-weighted gut, “Recercare”,V, 1993, Roma, pp.115-151. ABBOT-SEGERMAN, op. cit., introdussero negli anni ’70la teoria che le corde dei registri bassi fossero ritortesecondo le tecniche costruttive delle gomene marine equesto al fine di renderle notevolmente più elastiche equindi più sonore. Da questo deriverebbe il nome “ C a t l i n e ”,una tipologia di corda bassa in voga nel Seicento, cita-ta anche da Dowland.

5. CHRISTOPHER PAGE, Voices and Instruments of theMiddle Ages: instrumental practice and songs in France,1100-1300, J. M. Dent & Sons Ltd; London, pp. 234-5.

6. DJILDA ABBOT - EPHRAIM SEGERMAN, Strings in the 16thand 17th centuries, “The Galpin Society journal”, XXVII

1974, pp. 48-737. MIMMO PERUFFO, The mystery of gut bass strings in

the sixteenth and seventeenh centuries: the role of the

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no con colorazioniche vanno dal rossocupo fino al marro-ne, completamented i ff e renti quindi daquella gialla, tipicadel budello naturale:queste colorazionicompaiono proprio làdove oggi si utiliz-zano i bassi filatimoderni. I fori per ibassi dei ponticelli( p resunti) originalidi numerosi liuti storici presenti nei musei ri-sultano inoltre troppo stretti rispetto a ciò chesi renderebbe necessario se si impiegassero cor-de di solo budello; a meno che dette corde nonsiano state appositamente appesantite. La mate-matica dimostra infatti che solo un peso speci-fico doppio del budello naturale permetterebbea corde in grado di passare per questi sottili fo-ri di raggiungere tensioni di lavoro opportune.Tale trattamento avrebbe permesso dunque laproduzione di corde molto più sottili e sonoredi quelle in uso fino ad allora, garantendo con-testualmente una corretta tensione di lavoro.

Questa terza fase evolutiva, che caratterizzòl’età di Monteverdi e Stradella, fu esattamentequella in cui la complessità manufatturiera ge-nerale delle corde di budello raggiunse proba-bilmente vertici rimasti poi assolutamente insu-perati.

La quarta e ultima “età” delle corde da mu-sica – quella che a noi interessa e che continuaancor oggi – si caratterizzò per la rivoluzionariacomparsa delle corde basse filate, costituite daun’anima di budello – ma anche di seta – sucui è avvolto strettamente, a spire accostate ospaziate, un sottile filo metallico: si trovò dun-

que un sistema alternativo e molto più efficien-te per appesantire il budello invece di caricarloper mezzo di trattamenti “chimici”.

La più antica testimonianza cartacea mano-scritta a nostra disposizione risale al 1659: “[...]Goretsky hath an invention of Lute strings cove-red whith silver wyer, or strings which make amost admirable musick. Mr Boyle.” […il Goretskyha inventato delle corde per liuto rivestite da fi-lo d’argento, ossia corde che fanno musica inmaniera assolutamente ammirevole] e ancora: “[…]string of guts done about with silver wyer, makesa very sweet musick, being of Goretsky’s inven-tion.” […corda di budello ricoperta da filo d’ar-gento, fa un suono dolcissimo ed è un’invan-zione di Goretsky].8

A questa seguì, in ordine temporale, il Trattatoper Viola da gamba di John Playford del 1664,il quale rappresenta per così dire l’annuncio “uf-ficiale” dato al mondo musicale del tempo.9

La diffusione di questi nuovi e più efficientibassi non fu tuttavia rapida come si potrebbepensare: emblematico il fatto che il violista dagamba Sainte Colombe le introdusse in Franciasolo verso il 1675.10 In Italia, paese da sempreproduttore di rinomate corde armoniche, se ne

Godbid for John Playford, London, 1664; vedere pureCLAUDE PERRAULT, Œuvres de physique […], Amsterdam,1727 (1 st edition, 1680) pp. 224-225; capitolo: “Inventionnouvelle pour augmenter le son des cordes”. Ved. fig.1 qui sopra.

10. JEAN ROUSSEAU, Traité de la Viole […], ChristopeBallard., Paris, 1687.

8. SAMUEL HARTLIB, Ephemerides, manoscritto (locazio-ne non conosciuta), 1659; comunicazione privata forni-ta allo scrivente da Robert Spencer, 1995. Spencer sug-gerisce che l’informazione nei riguardi delle corde fila-te fu fornita a Hartlib dal noto chimico Robert Boyle.

9. JOHN PLAYFORD, An introduction to the skill of mu-s i c [...]. The fourth edition much enlarged, William

Claude Perrault, Oeuvres de Physique, Amsterdam 1680

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ha notizia dal 1677;1 1 risalgono comunque al1681/85 circa le prime raffigurazioni pittoricheeuropee a noi note di strumenti (violino e vio-loncello) in cui si possono osservare corde bas-se filate (la quarta corda grave di questi stru-menti è bianca: filata in argento o rame argen-tato, con tutta probabilità).12 Riguardo agli stru-menti a pizzico come il liuto non risulta però atutt’oggi alcuna evidenza iconografica o scrittadegna di nota che testimoni un loro utilizzo.

L’influenza in campo costruttivo e musicale diquesta nuova invenzione fu, inutile dirlo, rivo-luzionaria, tanto che si può senz’altro parlare diun vero e proprio “muro divisorio” tra il primae il dopo. Infatti, se negli strumenti più acuticome il violino le lunghezze vibranti rimaserocomunque “a misura d’uomo”, esse furono dasempre assai sproporzionate negli strumenti piùgrossi, rispetto all’estensione raggiungibile confacilità dalle dita della mano sinistra, almeno fi-no alla comparsa delle corde rivestite. Si intui-

sce facilmente che non appena gli antichi pote-rono disporre di bassi molto più esuberanti, laprima cosa che probabilmente venne loro inmente fu proprio quella di ridurre sistematica-mente le lunghezze vibranti di alcuni di loro (ilbasso di viola, ad esempio) o introdurne addi-rittura di nuovi (violoncello) acquistando in agi-lità esecutiva: questo spianò del tutto la stradaa nuove forme musicali e finalmente permise,verso la fine del XVIII secolo, l’aggiunta alla chi-tarra della sesta corda grave, con una conte-stuale, forte riduzione della lunghezza vibrantedello strumento e l’abbandono dei cori (e delletastature per mezzo di legacci) in favore dellecorde semplici.

LA TECNICA MANUFATTURIERA DELLE CORDETRA LA METÀ DEL ’700 E LA FINE DEL ’800.

Il procedimento manufatturiero delle corde neisecoli XVIII e XIX risulta a prima vista sorpren-dentemente analogo a quello odierno, ma in re a l t àvi sono alcune differenze sostanziali che porta-no a concludere che le corde di allora – e al-meno fino alla fine del XIX secolo – fossero piùelastiche e quindi, assai probabilmente, miglioridelle nostre dal punto di vista della durata edella resa acustica.

La procedura dell’epoca prevedeva norm a l-mente l’impiego di budello intero di agnello(che, per inciso, vuoto e sgrassato appare comeuna membrana piatta semitrasparente di soli 3-4 mm di larghezza) di lunghezza pari ad alme-

11. PATRIZIO BARBIERI, Cembalaro, organaro, chitarra-ro e fabbricatore di corde armoniche nella “Polyantheatechnica” di Pinaroli (1718-32): con notizie inedite suiliutai e cembalari operanti a Roma, “Recercare I”, 1989,p. 198 (da una fattura del costruttore di chitarre AlbertoPlatner: “…due corde di Violone, una di argento etun’altra semplice".

12. Vedere il quadro di Antonio Domenico Gabbiani‘Ritratto di musicisti alla corte medicea” (Firenze, 1684-1687), Firenze, Palazzo Pitti, inv. 1890, riprodotto sullacopertina di “Early Music”, XVII/4, novembre 1990.

Interno di bottega cordaia (D’Alembert e Diderot, Encyclopédie, Paris, 1751-1780)

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no cinquanta piedi.13 Dopo essere stato accura-tamente svuotato e sciacquato per alcuni giorniin acqua corrente, esso subiva una serie di trat-tamenti volti ad eliminare le parti inutili al finedi lasciare libera e perfettamente sgrassata la so-la membrana muscolare, ovvero ciò che inte-ressava al cordaio. Questo risultato si ottenevalasciando le budella in immersione per alcunigiorni in bagni alcalini a concentrazione via viacrescente; in seguito, con una semplice e deli-cata raschiatura effettuata con il dorso di un col-tello o per mezzo di un frammento di canna pa-lustre, si asportavano con facilità le membranenon muscolari e il grasso che sempre accom-pagna la minugia.

I bagni alcalini erano costituiti da ceneri ve-getali stemperate in acqua (potassa). L’aumentop ro g ressivo della concentrazione dei bagni si puòs p i e g a re forse con il fatto che all’inizio del trat-tamento di sgrassatura sono sufficienti soluzionidiluite di prodotto alcalino, le quali sono già ingrado di asportare le sostanze grasse più facil-mente solubili. Si riserva la massima concentra-zione di potassa solo alla fine, quando si re n d enecessaria un’azione molto più energica versotutto ciò che risulta ancora difficilmente asporta-bile. In questa fase poteva essere anche aggiun-ta una modesta quantità di allume di rocca, ilcui effetto astringente e conciante induriva unpo’ il budello. I bagni alcalini, in altre paro l e ,p rovocavano un processo di fermentazione e sa-ponificazione della materia organica tale da faci-l i t a re il distacco meccanico delle parti inutili.

I budelli sgrassati venivano quindi accurata-mente selezionati e riuniti in fasci paralleli inquantità variabile (a seconda del diametro di cor-da richiesto; fino anche a cinquanta nel con-trabbasso), annodati agli estremi e successiva-mente ritorti per mezzo di un apposito mulinello(il capo opposto della protocorda veniva fissatoad un piolo bloccato a sua volta ad un lato deltelaio di essiccamento. Dopo aver ritorto a do-vere la corda, il capo libero veniva a sua voltafissato all’altro piolo dello stipite opposto del te-laio, mettendo così in tensione la corda umida.

Quando il telaio risultava ben guarnito di cor-

de lo si trasportava in un’apposita stanza di ri-dotte dimensioni, dove si provvedeva all’im-bianchimento delle corde stesse per mezzo dell’in-solforazione: esse venivano sottoposte per gior-ni all’azione sbiancante dell’anidride solforo s ache si sviluppava dalla combustione, in un ba-cile, di fiori di zolfo. Al termine di questa ope-razione le corde venivano ulteriormente ritorte,quindi si provvedeva al loro essiccamento fina-le in aria libera, operazione che prendeva po-che ore. Essendo il budello fresco simile ad unaspugna intrisa d’acqua, l’essicamento dello stes-so comporta una notevole riduzione di diame-tro: in pratica una corda fresca e perfettamentebianca di circa 5 mm di diametro, una volta es-sicata, si riduce ad una giallastra di circa 1 mmsoltanto.

L’ultima fase consisteva nella levigatura, tra-mite sfregamento, della loro ruvida superficie,per mezzo di un’erba dotata di proprietà abra-sive (imbevuta del liquido alcalino di sgrassag-gio, o “tempra”): l’equiseto, asperella o coda dicavallo; solo nel corso del XIX secolo si co-minciò a preferire maggiormente l’impiego del-la pomice in polvere.

13. FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dansles annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint,Paris, 1786, pp. 514-519. Christoph Weigel, Il cordaio, Regensburg, 1698.

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Le corde, perfettamente levigate, si ungevanoquindi con olio di oliva, venivano tagliate ai ca-pi del telaio e confezionate in circoli; ogni con-fezione di carta oleata poteva contenere dallequindici alle trenta corde o più.14

Potrebbe a prima vista sembrare che la mo-dernizzazione della centenaria e immutata tec-nologia per far corde sia stato un fatto total-mente positivo, ma le cose non stanno entroquesti termini. Alcuni passaggi apparentementebanali del vecchio sistema di manifattura non so-no mai stati investigati a dovere; la differenzapratica la si può riscontrare se si compie un con-fronto tra i pochi campioni di corde superstiti –anche dell’inizio del secolo – con quelle oggidisponibili: estremamente ritorte, morbide edelastiche le prime, quanto generalmente rigide epoco ritorte le seconde. Le nostre corde inoltre,se non verniciate, possiedono in genere una du-rata nel tempo – una volta montate sullo stru-mento – decisamente breve.

La questione della durata si spiega facilmentein base al fatto che una corda fatta da budelliinteri, trattata solo con una leggera levigatura conerba abrasiva o pomice, presenta un numero as-sai ridotto di fibre superficiali spezzate rispettoad una corda costituita da fettucce di budello ilcui diametro finale sia stato imposto per mezzodi una rettifica meccanica, la quale può asporta-re anche discrete quantità di materiale dalla su-p e rficie della corda grezza rendendola più sog-getta a sfilacciamento pre m a t u ro.

Il secondo importante aspetto – il quale va ainfluire pesantemente sulle prestazioni acustichegenerali – verte sul fatto che le corde di budellodi oggi sembrano in qualche modo indirizzate arinunciare alla ricerca della massima elasticità infavore della sola resistenza tensile a causa del-la scarsa torsione a loro impartita: ci si dimen-

tica che il compito di una corda armonica èquello di suonare al meglio, non certo di com-petere con una fune da traino. In altre parole,esse devono avere la capacità di trasformare l’im-pulso meccanico trasmesso dal dito in un motovibrazionale che, per quanto possibile, deve es-sere scevro dagli attriti interni alla corda che ri-d u r re b b e ro il rendimento di trasform a z i o n edell’energia meccanica trasmessa al materiale.

Che le corde attuali siano in genere scarsa-mente ritorte rispetto a quelle del passato lo sideduce, oltre che dalle informazioni provenien-ti dagli antichi documenti, anche dall’esame dispezzoni sopravvissuti; superfluo ricordare comeil fattore torsione risulti basilare nel determina-re il grado di elasticità di una corda di budel-lo: una corda molto ritorta è sempre meno ri-gida e maggiormente sonora.15

La conclusione porta a ritenere che le cordearmoniche di un tempo fossero probabilmentesuperiori – dal punto di vista acustico e di du-rata – alle nostre, le quali, se non altro, vanta-no il fatto di essere almeno di dimensioni pre-cise e quindi raramente “false”: vero e costanteproblema delle corde prima dell’avvento dellarettifica meccanica introdotta soltanto dopo lametà del XX secolo.

torsione. Più precisamente, secondo Segerman, fino al-la fine del Medioevo le corde erano scarsamente ritor-te; soltanto in seguito – e cioè in pieno XVI secolo –i cordai si accorsero che ritorcendo maggiormente unacorda si otteneva una migliore resa acustica. Il nostropunto di vista sostiene invece l’ipotesi che fin da sem-pre le corde furono prodotte con un alto grado di tor-citura – tranne forse le corde più sollecitate in assolu-to: i cantini del liuto – e che questo non costituiva af-fatto un segreto, vista la banalità di realizzazione, con-sistente nel dare più o meno giri alla ruota del muli-nello nella fase di torcitura.

14. È interessante notare, nell’iconografia musicale delSeicento, come il tratto di corda eccedente sullo stru-mento venisse riposto a mazzetto, quasi si trattasse dimorbido spago. Questo suggerisce fortemente che lecorde del tempo fossero estremamente morbide. A par-tire dal Settecento le corde venivano invece confezio-nate secondo un profilo circolare: questo sembra con-fermare i cambiamenti incorsi nel campo cordaio, ac-caduti forse dopo la comparsa delle corde filate.

15. ABBOT-SEGERMAN, in Strings in the 16 th and 17th cen-turies…, introducono per primi il concetto che le cor-de di budello erano realizzate sia in bassa che in alta

Macchina per filare le corde (D’Alembert e Diderot,Encyclopédie, Paris, 1751-1780)

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I CENTRI DI PRODUZIONE

Nel corso del Seicento il centro più prestigiosodi produzione di corde armoniche italiano edeuropeo fu certamente Roma che nel 1735 van-tava una ventina di botteghe cordaie (regolateda precisi ordinamenti statutari) in grado di rifor-nire tutta l’Europa di allora di corde armonichedi ottima qualità.16

I cantini romani rimasero rinomati fin’oltre lafine del Settecento, secolo in cui fu sciolta lapotente corporazione dei cordai dell’Urbe. Il pri-mato della qualità venne quindi portato avantiper tutto l’Ottocento e oltre dai valenti cordai diNapoli, seguiti a ruota da quelli della città diPadova (nel 1786 spiccano i nomi del cordaioAntonio Bagatella e la bottega “Antonio fratelliPriuli detto Romanin”, fondata nel 1613 da AntonioRomanin, forse originario di Roma) dove la pro-duzione di corde armoniche cessò per semprenel 1911.17

Il De Lalande scrisse che: “La fabbricazione dicorde di violino è pressochè un monopolio ita-liano, visto che Roma e Napoli ne fornisconotutta l’Europa ed esiste sempre molto mistero neisettori esclusivi del commercio…”.18

Ecco ora le indicazioni del Galeazzi: “Veniamofinalmente alle corde: devonsi provveder le cor-de alle migliori Fabbriche d’Italia; quali sonoquelle di Padova; di Napoli; di Roma; di Budriosul Bolognese; e dell’Aquila nell’abruzzo. Vi so-no ancora altre fabbriche in Città di Castello;Perugia; Rieti; Teramo; ed altri luoghi; ma le pri-me portano il vanto; specialmente quelle di Padova;e di Napoli.”.19

Il violinista Spohr riporta quanto segue: “Visono corde italiane e corde tedesche, delle qua-li le prime devono essere preferite; quantunque

anche nelle corde italiane ve n’abbia delle cat-tive. Ordinariamente le migliori sono le cordeNapolitane, poi vengono quelle di Roma ed in-fine quelle di Padova e Milano; ma queste ulti-me valgono poco.”20

La qualità impareggiabile dei cantini da violi-no – ma anche per altri strumenti21 – prodotti a

fournissent toute l’Europe & il y a toiours beaucoup demystère dans ces branches exclusives de commerce...”FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dans lesannés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris,1786, pp. 514-519.

19. FR A N C E S C O GA L E A Z Z I, Elementi teorico-pratici diMusica, con un saggio sopra l’arte di suonare il violino[…], Pilucchi Cracas, Roma, 1791, p. 71.

20. LO U I S SP O H R, Violinschule, Tobias Haslinger, Wien,1832,pp.13-4.

21. ANTOINE-GERMAIN LABARRAQUE, L’art du boyaudier,Imprimerie de Madame Huzard, Paris 1822, pp. 31-32.

16. Statuto dell’università dei cordai di Roma, Archiviodi Stato, Camerale II, Arti e mestieri, Statuti, coll. 312,busta 12, anno 1642.

17. In base a ricerche da noi compiute alla Cameradi Commercio di Padova, risulta che la fabbrica delRomanin fu gestita a partire dal 1849 dalla famigliaCalegari, fino alla cessione dell’azienda alla ditta “ErediNicola Bella” di Drezza Giuseppe in Verona, il qualenon proseguì la produzione di corde armoniche e con-cluse così per sempre la lunga e gloriosa tradizione cor-daia padovana.

18. “La fabrication des cordes de violon est une cho-se qui est presque réservée à l’Italie, Naplés & Rome en

Frontespizio dello statuto dei cordai di Napoli, 1653.

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Napoli costituì da sempre un autentico rompi-capo per i francesi, abili a costruire qualunquetipo di corda fuorchè i cantini per questo stru-mento. Questi venivano pertanto importati in gro s-sa quantità dall’Italia e, pare, a prezzi proibitivi.I francesi, verso la fine del XVIII secolo, istitui-rono addirittura un riconoscimento per colui ocoloro che fossero stati in grado di eguagliarela qualità del prodotto napoletano. La medagliad’oro fu alla fine assegnata al cordaio pariginodi origini... napoletane Savaresse, il quale risol-se brillantemente il caso: il “segreto” era costi-tuito dal fatto che a Napoli e in numerose altrezone d’Italia si utilizzavano – diversamente dal-la Francia – budelli di bestie piuttosto giovani;ma questo era già stato scritto in verità dal DeLalande nel suo Voyage alcuni decenni prima.22

Il primato della qualità delle corde fabbricatein Italia si ritrova inalterato anche alla fine delXIX secolo, tanto che George Hart scrisse:

“Le corde musicali sono fabbricate in Italia,Germania, Francia e Inghilterra. Gli italiani sonoal primo posto, visto che in passato in questaproduzione la loro abilità era evidente nei trerequisiti principali che le corde devono avere:alto grado di rifinitura, grande durata e purez-za di suono. Vi sono fabbriche a Roma, Napoli,Padova e Verona […] Le corde tedesche si clas-sificano subito dopo quelle italiane e la sededella loro fabbricazione è la Sassonia […] I fran-cesi si trovano al terzo posto […] Gli inglesi fab-bricano tutte le qualità, ma principalmente quel-le meno costose […]”23

Il Forino (1905) ci riporta a sua volta quantosegue:

“...furono celebri le fabbriche di Berti, diColla a Roma, di Ruffini a Napoli. In oggi so-no assai apprezzati i prodotti di Righetti a Treviso,di Raffaele di Bartolomeo a Napoli, di NicolaMorante a Tavernale di Barra (Napoli) di NicolaDi Russo e di Raffaele Pistola Profeta (suces-sore di Ruffini) a Salle (Pescara), di LuigiD’Orazi anche a Salle e di Conti a Mugellano(Rieti) […]. All’Italia ed alla Germania segue ter-za la Francia che produce eccellenti corde so-prattutto per arpa: le corde di Lione godono fa-ma di ottime.”24

Emilio Pujol, unico caso di chitarrista a nostradisposizione che abbia citato espressamente laproduzione di corde per chitarra scrisse nel suometodo:

“Le corde migliori oggi ci sembrano esserequelle di marca Pirastro; e tra queste quelle conl’etichetta dorata. Il loro suono è chiaro senzaessere stridulo; la loro intonazione è in genereprecisa e la loro resistenza e durata rimangonotutt’ora insuperabili. Le marche “Pirazzi”, “Padova”,“Elite” e “El Maestro” sono anche’esse corde dibudello con risultati eccellenti. Le corde di setafilata hanno di solito una giusta intonazione. Sonobuone quelle fabbricate a Valencia da José M.Dutrá, quelle di H. Hauser a Monaco di Bavierae altre che, ignorando la loro provenienza, nonposso specificare.”25

25. “Las mejores cuerdas nos parecen ser hoy las dela marca Pirastro; y de éstas las que llevan una eti-queta dorada. Su sonido es claro sin ser chillón; su afi-nación es generalmente justa, y su resistencia y dura-ción no han sido hasta ahora superadas. Las marcas“Pirazzi”, “Padova”, “Elite” y “El Maestro” son tambiéncuerdas de tripa de excelente resultado. Las de seda hi-lada suelen ser, de afinacion justa. Son buenas las quefabrica en Valencia José M. Dutrá, las de H. Hauserde Munich, y otras que por ignorar su procedencia, nopuedo precisar.” EM I L I O PU J O L, Escuela Razonada de laGuitarra, basada en los principios de la técnica deT a r r e g a, Libro Primero, Ricordi Americana, Buenos Aires,1934, p. 33.

22. DE LALANDE, op.cit., p. 514.23. "Musical strings are manufactured in Italy, Germany,

France and England. The Italians rank first, as in thepast times, in this manufacture, their proficiency beingevident in the three chief requisites for string, viz. highfinish, great durability, and purity of sound. There aremanufactories at Rome, Naples, Padua and Verona [...].The German strings now rank next to the Italian, Saxonybeing the seat of manufacture [...]. The French take thethird place [...]. The English manufacture all qualities,but chiefly the cheaper kinds...". GEORGE HART, The vio-lin and its music, Dulau and Schott, London, 1881, pp.46-47.

24. LUIGI FORINO, Il violoncello, il violoncellista ed i vio-loncellisti, Hoepli, Torino 1905, pp. 55-56.

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Come si può facilmente intuire la fabbrica-zione delle corde filate fu una prerogativa nontanto dei cordai quanto dei liutai, se non pro-prio dei musicisti.26

I CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE CORDE

Ma quali erono i criteri guida che contraddi-stinguevano una buona corda da una pessima?

La prima cosa da sottolineare è che traspare,da parte dei musicisti professionisti del tempo –chitarristi compresi –, una grande abilità nel sa-per distinguere al tatto e alla vista il materialedi buona qualità e vibrazione (la zona di pro-venienza era già di per sé considerata un indi-ce sicuro). Queste conoscenze venivano tra-mandate da sempre di maestro in allievo, se-condo una sorta di tradizione orale ma anchescritta27 che cominciò a spezzarsi forse a partiredagli albori del Novecento, quando prese pro-gressivamente piede la consuetudine di affidar-si ciecamente alle grosse aziende cordaie checominciavano a svilupparsi in Germania e Fran-cia (ma non certo in Italia: il cordaio italianocome figura artigianale volgeva ormai al decli-no; dopo la Grande Guerra la maggior parte diloro cominciò a chiudere bottega o preferì emi-grare all’estero, America in testa, determinandola rapida fine della gloriosa e pluricentenaria tra-dizione italiana), le quali imposero di fatto le lo-ro scelte in termini di strategie manufatturiere edi calibri standard commerciali.28

La consuetudine secolare della tradizione ora-le potrebbe spiegare il fatto che, nei metodi perchitarra del tempo, si trovi ben poco sui criteridi scelta delle corde e quel poco che si riescea sapere lo si trova principalmente nei metodiper violino – strumento intorno al quale tuttoruotava – o nei manuali riguardanti la liuteriaper archi in genere.

Ecco qui di seguito quanto riportato dalle fon-ti in nostro possesso:

M. Corrette: “Quelle più compatte sotto le di-ta e trasparenti sono le migliori.”29

F. Galeazzi: “La buona corda dev’esser diafa-na; color d’oro; cioè che dia sul gialletto, e noncandida come alcuni vogliono; liscia; e levigata,ma ciò indipendentemente dall’esser pomiciata;senza nodi; o giunte; al sommo elastica, e for-te; e non floscia, e cedevole.”30

A. Labarraque: “La corda migliore e che si puòusare più a lungo è quella il cui aspetto cam-bia meno quando viene montata […]31

L. Spohr: “...La buona corda si distingue pelsuo colore bianco, la sua limpidezza e liscezza[...]. Corde vecchie, guaste, oppure quelle di cat-tiva fabbrica si conoscono subito al loro coloregiallo e fosco; esse non sono trasparenti, nè ela-stiche come le corde buone”.32

Maugin et Maigne: “I cantini, dice il Signor P.S a v a resse, devono essere trasparenti, perf e t t a-mente compatti e molto regolari nel calibro .

cutore è praticamente obbligato a prendere ciò che gliviene dato. ]

29. ’Les plus unies sous le doigt et transparentes sontles meilleurs”.. MICHEL CORRETTE, Les Dons d’Apollon…,Paris, 1763, p. 221.

30. F.GALEAZZI, op. cit, pp. 71-72.31. “La corde la meilleure et qui doit faire le plus long

usage, est celle qui change le moins d’aspect quand onla monte […]. LABARRAQUE, op. cit., p. 131.

32. SPOHR, op. cit., p.14.

26. F. GALEAZZI, op. cit., pp. 74-76.27. DI O N I S I O AG U A D O, Nuevo método para Guitarra,

Madrid 1843 nel capitolo VII, punto 32 scrisse che “Ilchitarrista deve essere maestro delle corde”.

28. ARTHUR BROADLEY, String gauges, “The Strad”, April1900, p. 371: “[At the present time the matter of stringthickness seems to rest entirely with the makers, the playerhas practically to take what is given to him”. [Al giornod’oggi la questione del calibro delle corde sembra di-pendere completamente dai fabbricanti di corde e l’ese-

F . Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica… Roma 1791

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Non devono essere né troppo bianchi, perc h éciò pro v e rebbe che sono stati fatti da agnellit roppo giovani, e quando si preme con la ma-no un pacco di cantini, essi devono sembrareelastici e ritorn a re subito sù come una mollad’acciaio. […] Le corde grosse, cioè la secondae la terza, devono, al contrario, essere traspa-renti e molto bianche. Devono inoltre esseremolto molli quando se ne comprime un pacco,ma non devono cambiare colore e devono su-bito ritorn a re al loro stato cilindrico; se si pre-sentano troppo rigide, ciò pro v e rebbe che so-no state fabbricate di budelli troppo re s i s t e n t ie, in tal caso, produrranno un suono di cattivaq u a l i t à . ”33

G. Hart: “Scegliete quelle più trasparenti; leseconde e terze, essendo fabbricate con più fi-li, sono raramente molto chiare […] e perciò lamancanza di trasparenza nel loro caso denotal’uso di materiali di qualità inferiore.”34

L’ultimo documento che presentiamo fu datoalle stampe nel 1905 e costituisce probabilmen-te l’ultimo testo che indichi ancora i criteri discelta di una corda armonica secondo la tradi-zione ottocentesca:

L. Forino: “Le corde tedesche hanno il pregiodella resistenza e, come tutti i prodotti di quel-la nazione, hanno anche quello del buon prez-zo. Sono levigatissime, dure al tatto tanto dasembrare di acciaio [!]: anche il suono risente ditale durezza [...]. La buona corda deve esserenon troppo liscia e bianca, chè l’azione della

pomice non giova alla buona sonorità: deve es-sere molto elastica e perfettamente cilindrica [...].Per provare l’elasticità basterà comprimere conle dita una corda ancora attorcigliata e farel’esperimento, per esempio, fra una tedesca eduna italiana.”35

LA TENSIONE DI LAVORO E LA SENSAZIONETATTILE DI RIGIDITÀ

L’aspetto più importante e universale che ca-ratterizzò la scelta delle montature di corda perqualsiasi strumento, a pizzico o ad arco, dalRinascimento fino ad almeno la metà del secolodecimonono, consistette nel fatto che in tutte lecorde dello strumento, premute nel medesimo pun-to, si doveva manifestare una eguale sensazionetattile di rigidità.3 6 Questo criterio fu ribadito, nelcorso dei secoli, fino alla noia dai più autore v o-li trattatisti che scrissero anche come le corde nond o v e s s e ro presentarsi né troppo “dure” né tro p-po “molli”. Si capisce che mentre il criterio di“eguale sensazione di rigidità” tra tutte le corderisulta un criterio di natura universale (eguale si-gnifica eguale), viceversa il concetto di q u a n t o“ d u re o molli” debbano essere (in pratica la scel-ta dei calibri giusti) risulta invece di natura estre-mamente soggettiva, legata alla sensibilità indivi-duale, al tipo di strumento etc:

T. Mace: “Un’altra osservazione generale, in re a l t àla più importante, è questa: qualunque sia il dia-pason del liuto che state per incordare, dovetes c e g l i e re le corde in maniera tale che (nel tipodi accordatura che intendete ottenere) tutte le cor-

son.” JEAN-CARL MAUGIN-WALTER MAIGNE, Nouveau manuelcomplet du luthier, 2a edizione, Roret, Paris, p. 184.

34. “Choose those that are most transparent; the se-conds and thirds, as they are made with several threads,are seldom very clear [...] and hence, absence of tran-sparency in their case denotes inferior materia”. HART,op. cit, pp. 49-50.

35. LUIGI FORINO, op. cit., pp. 55-6. 36. Per “eguale sensazione tattile di rigidità” si inten-

de lo stesso ammontare di spostamento laterale che siottiene tra due o più corde anche diverse nel diame-tro, lunghezza vibrante, grado di torsione, intonazioneetc. per mezzo di una stessa quantità di peso (simile ingenere alla pressione indotta dal dito o dall’arco) agen-te nel medesimo punto.

33. “Les chantarelles, dit M. P. Savaresse, doivent ètretransparentes, parfaitement unies et assenz régulières degrosseur. Elles ne doivent pas être trop blanches, car ce-la prouverait qu’elles ont été faites avec des agneaux tropjeunes, et lorsqu’on serre un paquet de chantarelles sousla main, elles doivent paraitre élastiques et revenirpromptement comme le ferait un ressort d’acier.[...]. Lesgrosses cordes, deuxième et troisième, doivent, au con-traire, être transparentes et très blanches. Il faut, en ou-tre, qu’elles soient très molles quand on en comprime unpaquet, mais elles ne doivent pas changer de couleur etelles doivent revenir promptement à leur état cylindri-que; si elles présentaient trop de raideur, cela indique-rait qu’elles ont été faites avec des boyaux trop résistants,et, dans ce cas, elles auraient une mauvaise qualité de

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de abbiano una rigidità proporzionata e uguale,altrimenti si presenteranno due grandi inconve-nienti: uno per l’esecutore e uno per l’ascoltato-re. Nota bene che quando diciamo che un liutonon è incordato in modo uguale, significa che al-cune corde sono dure e altre molli.”3 7

Robert Dowland: “[…] Anche questi bassi gra-vi non devono essere tirati troppo né troppo po-co in maniera tale che, quando percossi dal pol-lice e dalle altre dita, producano in voi la stes-sa sensazione che producono le corde acute”.38

The Burwell Lute Tutor: “[…] quando suonatetutte le corde con il pollice dovete avvertireeguale rigidità […]39

Ma queste regole, estremamente funzionali, ri-sultano oggi quasi completamente ignorate (an-che da quei pochi che cercano di capire cosaci sia dietro un set commerciale di corde), so-stituite oltremodo dal concetto di tensione di la-voro espressa in Kg o, peggio ancora, dai ter-mini “light”, “medium”, “thick” etc. che appaio-no sulle confezioni togliendo così spazio a qua-lunque ragionamento consapevole e alla vogliadi sperimentazione da parte del musicista. Si ri-tiene che l’eguale sensazione tattile di rigidità trale corde (che in uno strumento musicale a piz-zico o ad arco è regola universale) corrispondain tutto per tutto all’eguale tensione, ma questonon è vero.40

Vediamo di chiarire questo punto fondamen-tale, che ha inciso in termini negativi sulla ri-costruzione delle montature di tutti gli strumentia pizzico e ad arco del Rinascimento e delB a rocco, nonché sulle montature moderne perchitarra barocca a cinque ordini o a sei cordesemplici del periodo Romantico e oltre. Mentrela tensione di lavoro è un dato numerico in sép e rfettamente definito dal suo stesso valore, lasensazione tattile di rigidità – essendo appun-to una sensazione – è soggetta a diverse va-r i a b i l i .

Ecco alcuni esempi: tra due corde identichesottoposte alla stessa tensione di lavoro – masottoposte a lunghezze di vibrazione diverse –quella più lunga risulterà più cedevole al tatto;così, tra due corde di budello di pari calibro,tensione di lavoro e lunghezza di vibrazione –ma di cui una sia molto ritorta e l’altra poco –la prima risulterà più cedevole alla pressione del-le dita perché dotata di un cedimento elasticolongitudinale maggiore (ecco per quale motivorisulta sempre problematica la sostituzione diuno stesso diametro di corda di una data mar-ca commerciale con una di diversa provenien-za: il grado di torsione, il tipo di materiale e lasua lavorazione potrebbero essere così differen-ti da rendere inutile l’eguaglianza del calibro aifini dell’ottenimento della stessa sensazione di ri-gidità sotto le dita). Così, infine, tra due cordedi cui sia identico il grado di torsione, la lun-ghezza di vibrazione e la tensione di lavoro –

3 9 . “[...] when you stroke all the strings with yourthumb must feel an equal stiffness[…]”. The Burwell lu-te tutor, manoscritto ca. 1670, facsimile con introduzio-ne di Robert Spencer, Boethius Press, Leeds, capitoloIV: “Of the strings of the lute…”.

40. SEGERMAN, in Strings through the ages, part 1, p.55, scrive: “A more real advantage of equal-tension strin-ging is that the ‘feel’ of each string is the same in thesense that the same force at the same relative positionon the string pushes aside (or depresses) each string thesame amount.…” . STEPHEN BONTA in Further thoughts onthe history of strings, “The Catgut Acoustical Society”,Newsletter XXVI, 1 November, 1976, p. 22, riferendosialle indicazioni di Thomas Mace riguardo alla omoge-nea sensazione tattile di rigidità da riscontrarsi sulle cor-de del liuto, scrive: “...it seems clear that tensions [in-tendendo come eguali Kg] between top and bottomstrings on these instruments cannot have been too di-sparate for the very same reasons.”

37. “Another general Observation must be This whichindeed is the Chiefest: viz. that what siz’d Lute soever,you are to String, you must so suit your Strings, as (inTuning you intend to set in at) the Strings may all stand,at a Proportionable, and ever Stiffness, otherwise, theirwill arise Two Great Incoveniences: the one to the Performer,the other to the Auditor. And here Note, that when wesay, a Lute is not equally String, it is, when some Stringsare stiff, and some slack.” THOMAS MACE, Musik’s monu-m e n t […], the author & John Carr, London, 1676,Capitolo VI, pp. 65-66.

38. “[...] these double bases like wise must neither bestretched too hard, nor too weake, but that they may ac-cording to your feeling in striking with your Thombe andfingers equally counterpoyse the Trebles…”. John Dowland:"Other necessary observations belonging the lute”, inROBERT DOWLAND, Varietie of lute-lessons […], ThomasAdams, London 1610, paragrafo: “Of setting the right si-zes of strings upon the lute”.

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ma non il diametro – risulterà più cedevole altatto quella più sottile.

Si intuisce con facilità quali problemi di di-somogeneità tattile si vengono a generare in unchitarrone (il quale presenta la caratteristica diavere le corde montate in due differenti lun-ghezze vibranti) qualora si disponga tutto – co-me comunemente oggi si fa – in eguale tensio-ne anziché seguendo i criteri degli antichi.

Ricapitolando, quando i documenti di allora– e per “allora” si intende almeno fino alla metàdel XIX secolo – si riferivano alla parola “ten-sione” nei riguardi di una montatura reale di cor-de (cioè non nel caso si trattasse di pure spe-culazioni teoriche circa i rapporti esistenti tra va-ri parametri fisici come la frequenza, la lun-ghezza vibrante, il diametro etc, come ad esem-pio nel Trattato di Mersenne e altri), essa ri-guardava sostanzialmente la sensazione tattile dirigidità, non la tensione – in Kg – come oggiviene da tutti intesa. Il Galeazzi ci ha fornito unesempio decisamente pertinente: “...la tensione[nel Violino, n.d.r.] dev’esser per tutte quattro lecorde la stessa, perché se l’una fosse più dell’al-tra tesa, ciò prudurrebbe sotto le dita, e sottol ’ a rco una notabile diseguaglianza, che moltopregiudicherebbe all’eguaglianza della voce”.41

È trasparente il fatto che “tensione” coincidecon sensazione tattile di rigidità.

Nel trattato del Bartoli risulta altrettanto evi-dente la coincidenza tra “tensione” e sensazio-ne tattile: “Quanto una corda è più vicina alprincipio della sua tensione, tanto ivi è più te-sa [...]. Consideriamo hora una qualunque cordad’un Liuto: ella ha due principi di tensione ugua-lissimi nella potenza, e sono i bischeri dall’uncapo, e ’l ponticello dall’altro: adunque per losopradetto, ella è tanto più tesa, quanto più lors’avvicina: e per conseguente, è men tesa nelmezzo”.42

(continua)

41. F. GALEAZZI, op. cit., pp. 72-73. 42. DA N I E L L O BA R T O L I, Del Suono, de’ Tremori Armo-

nici e dell’Udito, Trattati del P. Daniello Bartoli dellaCompagnia di Giesu, Roma 1679. A spese di NicolòAngelo Tinassi. 4°, 8 + 330 + 1pp.; Proprietà RobertoRegazzi, Bologna.