Le Biccherne come icone del potere - Accademia dei Rozzi · Il denaro è segno di forza politica....

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1 Le Biccherne come icone del potere di ROBERTO BARZANTI Ormai la serie delle tavolette dipinte che fungevano da copertine dei Libri tenuti dall'Ufficio della Biccherna deno- minate per traslazione biccherne - e così per attrazione lo sono anche quelle pre- disposte dalla Gabella e da altri pubblici uffici, il Concistoro, Casseri e fortezze, la Camera del Comune o da altri enti, quali il Santa Maria della Scala e l’Opera del Duomo: una collezione di 134 pezzi, più o meno - è stata commentata e analizza- ta da molti punti di vista: artistico, ico- nografico, araldico, e di storia politica, civile, religiosa, financo archivistica. Eppure credo ci sia ancora molto da aggiungere a questo insieme singolarissi- mo di opere, e lo farò da semplice osser- vatore di questa affascinante sequenza, da non addetto ai lavori, suggerendo qualche spunto di riflessione, azzardan- do qualche ipotesi. Per come segnalano i contenuti di un codice, per come rappresentano il potere della committenza, o lo individuano attra- verso l’araldica o alludono alla sua natura con simboli o in rappresentazioni di quo- tidiana routine burocratica, per come si dedicano alla celebrazione di eventi importanti o esprimono una devota reli- giosità, le biccherne sollecitano una lettu- ra che ne colga i significati di laiche Icone del potere, di un nuovo potere, di una nuova idea della politica e della sua missione. Il nome si trova per la prima volta nel 1193 nella formula “blacherna senensium consulum”. Non è chiaro se il nome viene da Constantinopoli, prezio- sa spezia d’Oriente inserita nel nostro les- sico, o da un più prossimo Bücher. Senza volerle piegare ad una tesi scan- dita con temporale continuità e organiz- zata storicisticamente secondo una razio- nale evoluzione, le biccherne nei muta- menti grafici che evidenziano riflettono mutamenti di sensibilità, variazioni nella gerarchia dei valori, connotati e finalità del potere per come si veniva presentan- do o desiderava presentarsi. Dunque sono anche, questi “singolarissimi frutti di un eccezionale connubio tra l’Arte e la Burocrazia” (E.Carli), uno straordinario deposito di ideologia, che trova nel dise- gno e nella scelta dei soggetti, nella dis- posizione degli stemmi, nei rapporti tra campiture o nel loro intreccio una speci- fica determinazione, che chiede di essere decodificata con attenta adesione alla spi- rito dell’epoca. Insomma c’è una semio- logia delle biccherne, che invita a guar- darle con uno sguardo teso non tanto a privilegiare gli aspetti estetici, o la qualità artistica o il peso documentario, ma a sof- fermarsi sul sistema di figure o allego- rie o simboli che la lignea illustrazione consacra. E a cercar di capire come le continue variazioni siano in relazione con equilibri politici, ambienti sociali, appa- renze e abitudini. Dalla prima biccherna che abbiamo, quella che si dice raffigurare il camarlin- go - il termine è registrato nel 1219 e deri- va palesemente da Kamarling, addetto alla camera del re e per estensione teso- riere, preposto a incamerare le entrate - don Ugo, monaco cistercense di San Galgano, all’ultimo quadro commissiona- to dagli ufficiali di Biccherna, il "San Galgano a Montesiepi" del 1682 (AS Siena n. 87) si hanno via via trasformazioni che fanno ben intendere quanto queste opere uniche siano in relazione con il contesto che le ha prodotte. Anzitutto cambia la loro funzione: le copertine si staccano dalla loro fun- zione e abbandonano i codici per diventare quadro, talvolta addirittura

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Le Bicchernecome icone del poteredi ROBERTO BARZANTI

Ormai la serie delle tavolette dipinteche fungevano da copertine dei Libritenuti dall'Ufficio della Biccherna deno-minate per traslazione biccherne - e cosìper attrazione lo sono anche quelle pre-disposte dalla Gabella e da altri pubbliciuffici, il Concistoro, Casseri e fortezze, laCamera del Comune o da altri enti, qualiil Santa Maria della Scala e l’Opera delDuomo: una collezione di 134 pezzi, piùo meno - è stata commentata e analizza-ta da molti punti di vista: artistico, ico-nografico, araldico, e di storia politica,civile, religiosa, financo archivistica.Eppure credo ci sia ancora molto daaggiungere a questo insieme singolarissi-mo di opere, e lo farò da semplice osser-vatore di questa affascinante sequenza,da non addetto ai lavori, suggerendoqualche spunto di riflessione, azzardan-do qualche ipotesi.

Per come segnalano i contenuti di uncodice, per come rappresentano il poteredella committenza, o lo individuano attra-verso l’araldica o alludono alla sua naturacon simboli o in rappresentazioni di quo-tidiana routine burocratica, per come sidedicano alla celebrazione di eventiimportanti o esprimono una devota reli-giosità, le biccherne sollecitano una lettu-ra che ne colga i significati di laicheIcone del potere, di un nuovo potere, diuna nuova idea della politica e della suamissione. Il nome si trova per la primavolta nel 1193 nella formula “blachernasenensium consulum”. Non è chiaro seil nome viene da Constantinopoli, prezio-sa spezia d’Oriente inserita nel nostro les-sico, o da un più prossimo Bücher.

Senza volerle piegare ad una tesi scan-dita con temporale continuità e organiz-zata storicisticamente secondo una razio-nale evoluzione, le biccherne nei muta-

menti grafici che evidenziano riflettonomutamenti di sensibilità, variazioni nellagerarchia dei valori, connotati e finalitàdel potere per come si veniva presentan-do o desiderava presentarsi. Dunquesono anche, questi “singolarissimi frutti diun eccezionale connubio tra l’Arte e laBurocrazia” (E.Carli), uno straordinariodeposito di ideologia, che trova nel dise-gno e nella scelta dei soggetti, nella dis-posizione degli stemmi, nei rapporti tracampiture o nel loro intreccio una speci-fica determinazione, che chiede di esseredecodificata con attenta adesione alla spi-rito dell’epoca. Insomma c’è una semio-logia delle biccherne, che invita a guar-darle con uno sguardo teso non tanto aprivilegiare gli aspetti estetici, o la qualitàartistica o il peso documentario, ma a sof-fermarsi sul sistema di figure o allego-rie o simboli che la lignea illustrazioneconsacra. E a cercar di capire come lecontinue variazioni siano in relazione conequilibri politici, ambienti sociali, appa-renze e abitudini.

Dalla prima biccherna che abbiamo,quella che si dice raffigurare il camarlin-go - il termine è registrato nel 1219 e deri-va palesemente da Kamarling, addettoalla camera del re e per estensione teso-riere, preposto a incamerare le entrate -don Ugo, monaco cistercense di SanGalgano, all’ultimo quadro commissiona-to dagli ufficiali di Biccherna, il "SanGalgano a Montesiepi" del 1682 (AS Sienan. 87) si hanno via via trasformazioni chefanno ben intendere quanto queste opereuniche siano in relazione con il contestoche le ha prodotte.

Anzitutto cambia la loro funzione: lecopertine si staccano dalla loro fun-zione e abbandonano i codici perdiventare quadro, talvolta addirittura

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affresco e tela devozionale di grandidimensione.

L’inizio è modesto, strumentale,asciutto, sobrio. Il solido potere che leha inventate non chiede loro di oltrepas-sare le finalità per le quali sono state con-cepite. Successivamente acquisisconoun’autonomia che gradualmente le tra-sforma in compiaciuto dono e pubblico -anche pubblicitario, perché no? - ricordodi coloro che hanno ricoperto un incaricotanto delicato. Alla perdita di funzionalitàcorrisponde l’attenuarsi di incisività econcretezza di un potere che non vivepiù un’ebbrezza statu nascenti.L’estetizzazione ne fa arredo non stretta-mente collegato alle “sudate carte”: quan-do l’eccitante febbre della borghesia inascesa è svanita e ha ceduto lo scettro aduna più avveduta aristocrazia repubblica-na, dedita molto a perpetuare la suadignità in fasti e pompe. Fino alle tele cheassomigliano a ex-voto o ai grossi quadriche non hanno più alcun rapporto conl’esercizio di un saldo e concreto potere.Potrebbero figurare solo su un altare: inquesto esprimono il senso di una "reli-gione civile", ma testimoniano anche ilprevalere di una magniloquenza retorica,"controriformistica", più propensa e cele-brare il passato con invincibile nostalgiache vogliosa di affermare il nuovo consicurezza di conquista. Non si tratta diriproporre, guardando le biccherne, lavicenda di Siena come un inevitabile elento declino, ma di cogliere come nellediverse epoche acquistino spazio diversoe diversamente proporzionato i segni pursempre ricorrenti all’interno di un univer-so fortemente caratterizzato da un desi-derio di continuità.

Il potere comunale che si affermanon ha bisogno di fronzoli o amplifi-cazioni. Eppure anche l’iniziativa di fardipingere le copertine lignee dei libronicontabili si deve ad una celebrazione diruolo o di status. Sia stato don Ugo (AS

Siena n.1, 1258) o appena prima di luidon Bartolomeo a inaugurare la fortunataserie è indubbio che fu un monacocistercense a inventare la soluzione. Econ questo si voleva anche esprimeresoddisfazione e tramandare per le viedell’arte un successo dell’ordine, e incerto senso propagandarlo, esaltarlo. Nonera cosa da poco aver avuto dal Comuneun incarico tanto oneroso e prestigioso:solo il camarlengo era addetto ai paga-menti, mentre i provveditores o provisores,prima due poi quattro fino alla metà delsecolo XIV, riscuotevano. Con un atto chenon incrinava la laicità del potere, madovrebbe far capire come si agissecomunque entro un mondo unitario divalori e di fini. Gli elementi che si dipin-gevano in prima di copertina “erano tuttimodi per far riconoscere l’autore di untesto e per far riconoscere il testo stesso.Le copertine - ha scritto Mario Ascheri1 -dovevano dare un’idea dell’uno e dell’al-tro, come avveniva per le opere d’arte inuna cappella o in una sala del Comune. Iltesto del messaggio completava la perso-nalità del committente. Quando l’uso siacominciato è difficile dire (le registrazionisono lacunose), ma certo esso s’affacciòquando il soggetto committente - ilComune-Repubblica di Siena- e il suo pro-filo politico-istituzionale erano ormai pie-namente consolidati”.

Conviene procedere per esempi,appoggiandosi su una smilza antologia diappena venti biccherne:

1. Don Ugo (AS Siena n.1, 1258). Unpotere sobrio, un potere come servi-zio. Più che un ritratto il frate (non ram-mentato per nome neppure di sfuggita)esprime - quasi un logo - una funzionedoverosa, assolta con devozione e umiltà.

2. Don Bartolomeo conta alcunemonete (AS Siena n.6, 1276). Le monetesono esibite senza vergogna. Il denaro èsegno di forza politica. Non hanno

1 M.ASCHERI, Siena centro finanziario, gioiellodella civiltà comunale italiana in Le Biccherne di

Siena. Arte e Finanza all’alba dell’economiamoderna, Roma 2002, p. 15.

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senso i falsi pudori. Siena fu tra le primecittà toscane ad avere una zecca. L’attivitàdi conio viene fatta risalire al XII secolo.Alcune biccherne allineano solo gli stem-mi: importanza del ruolo della famiglia.

3. ll Buon Governo (Gabella, AS Sienan.l6, 1344). Proviene dal laboratorio diAmbrogio e riprende il motivo del BuonGoverno così come è raffigurato negliaffreschi di poco anteriori di PalazzoPubblico. Nelle copertine confluiscono glielementi di un immaginario che avevaampia circolazione ed era ben codificato.Il Signor Comune non era un signore,ma lo stesso Bene Comune nelle vestidi un giudice, di un rex judex, non diun imperator. Si vedano, da ultimo, lepagine illuminanti di Maria MonicaDonato2, che hanno approfondito unodegli episodi più clamorosi di una vera epropria campagna di “persuasione civica”(Ascheri). Gli stessi ufficiali fecero le cosein grande e comandarono l’esecuzione diun quadro, la splendida Annunciazione diAmbrogio (Pinacoteca Nazionale, n. 88).La tavoletta comincia a star stretta. Siamoal culmine dell’affermazione dei Nove.

4. L’offerta dei tributi (Boston,Museum of Fine Arts, n.50.5, 1364). Unaversione più popolare dello stesso sog-getto, e meno elegante, prosaica edesattoriale.

5. Il Governo restaurato tiene a bada icittadini (AS Siena n.19, 1385). Il momen-to è meno trionfante. Il Vegliardo ha ilsuo bel daffare nell’imporre concordiaai Dieci (da ventiquattro). Allegoria delconcreto.

6. Il camarlengo e lo scrittore (ASSiena n.20, 1388, Paolo di Giovanni Feiforse).Compare una vena narrativa. Latemperatura è normale. Si è affermata unanuova concezione del mondo. La vitaactiva acquista una dignità straordinaria.

L’umanesimo civile viene cantatonelle cadenze di un’epica convinta esicura. Coluccio Salutati: “Consacrarsionestamente ad oneste attività può esserecosa più santa che non vivere in ozionella solitudine. Poiché la santità dellavita rustica giova solo a se stessa, ma lasantità della vita operosa innalza l’esisten-za di molti”. È citato da Oscar Nuccio inun saggio che rivendica per questi cristia-ni del Comune i meriti che Max Weberassegna ai protestanti nella nascita delmoderno capitalismo3. L’icona dismette lasua rigidità e si declina in termini dipacata cronaca neorealistica. Non c’èbisogno ora di toni alti.

7. Allegoria della peste (Berlino,Kunstgewerbemuseum, 1437, Giovanni diPaolo). La tavoletta è diventata tavola dipittura, si è emancipata da un ruolo pre-valentemente funzionale. Si fa predica,ammonimento morale, assempro, incor-pora temi della predicazione bernardinia-na. Il potere si sente in balìa del destino.

8. Il camarlingo Ser Ghino di PietroBellanti si lava le mani (AS Siena n.29,1451, Sano di Pietro). Non convince latesi di chi la ritiene una vignetta che allu-de a uno che “se ne lava le mani e augu-ra ai senesi che la Madonna ci pensi lei aproteggerli”. Possibile che in una pitturadi genere, mai propensa all’humour, siinsinui una smorfia da disegnatore satiri-co? Tradurrei così la situazione: “Cedovolentieri le responsabilità a religiosi,la Madonna (bianconera, quasi unavolante Balzana) continuerà a essere lavera protettrice della città”. L’interno èinquadrato in una rappresentazione sim-bolica che ribadisce l’eguale altezza tratorre del Mangia e campanile del Duomo,la complementare simmetria dei poteri.Antonio Paolucci pone una domandaimpertinente e divertita: “A quale maiincognita tangentopoli senese del

2 M.M. DONATO, Ancora sulle ‘fonti’ nel BuonGoverno di Ambrogio Lorenzetti in Politica e cultu-ra nelle Repubbliche italiane dal Medioevo all’Etàmoderna Firenze-Genova-Lucca-Siena- Venezia,Roma 2001, pp. 43-79.

3 O. NUCCIO, Arte, economia e coscienza civile.Il contesto economico e culturale della fìorituraartistica nei Comuni italiani dal Xll al XVI secoloin Arte e finanza all’alba dell’economia moderna.Le Biccherne di Siena, Roma 2002, p. 53.

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Quattrocento alluderà il camerlengo chevistosamente si lava le mani mentre laMadonna si precipita in volo planato acoprire la sua città dai guai giudiziari o datempeste politiche che (forse) stanno perscatenarsi?”4.

9. Incoronazione di Papa Pio II. Sienatra due chimere (AS Siena n. 32, 1460,Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta). Inalto in due cerchi di eguale misura glistemmi dell’Impero e del Comune epopolo di Siena: eloquente riferimentoad una situazione di grande equilibrio. Ilcarattere è celebrativo e riguarda unavvenimento di cui in contemporanea sisottolinea il peso storico. L’elezione alpontificato di Pio II, di due anni prece-dente (3 settembre 1458). E le chimere ailati della città? La città non è distesa aisuoi piedi, ma separata da una cornice. Èpossibile che le chimere stiano a signifi-care - come vuole Michela Becchis5 - chel’Assunta è ceduta come protezione all’illustre concittadino, "rimanendo presen-za sì amata, ma anche vigile, propriocome le chimere" ?

10. Nozze gentilizie (AS Siena n. 37,1473, post quem, Sano di Pietro). LaGuadia, cioè la promessa di matrimonioavviene in privato. In effetti lo spazio incui la scena si svolge è squadrato e circo-scritto, domestico. Eppure la scena è rap-presentata a copertina di un Libro che dinorma esalta momenti pubblici. Vi è chia-ra la felicità di Sano in “quel trasporre lastoria in cronaca simbolica”, comedice Maria Cristina Paoluzzi6, che nonriguarda solo questa biccherna. IlComune si sente depositario di una con-sacrazione pubblica di atti e momenti chene estendono la presenza al di là dellefunzioni più propriamente amministrati-vo-finanziarie, documentate dai codicirilegati e istoriati.

11. I senesi demoliscono la Fortezza

fatta costruire dagli spagnoli (AS Sienan.57 1552); (Gabella AS Siena n.58, 1552);l’assedio di Montalcino (AS Siena n. 591553). Le tappe del declino rappresen-tate in diretta e osservate con impassibi-le volontà di documentazione, archiviatein solenne cornice.

12. L’Assunta (AS Siena n.61, 1558).L’Assunta sovrasta le palle mediceeche a loro volta dominano gli stemmidelle famiglie di appartenenza dei gover-nanti. L’impaginazione è un racconto,meglio la sigla di un’epopea.

13. La commissione per la riforma delcalendario (AS Siena n.72, 1562). Iltempo in cui ci si trova inseriti non èpiù quello scandito dall’orologio dellatorre civica. L’orizzonte non è più Sienae dintorni.

14. La vittoria navale di Lepanto (ASSiena n.69 1571). Il 7 ottobre 1571 vienesubito percepito come una data storicain una dimensione globale. Le vicendedella Cristianità sovrastano il perifericomondo senese.

15. La Madonna di Provenzano vene-rata dai santi Bernardino e Caterina (ASSiena n. 80, 1601-1604). Un dorato ex-voto (attribuito a Francesco Vanni o aVentura Salimbeni). L’immagine dellaMadonna sovrasta lo stemma mediceo,corteggiato e adulato dagli stemmi di unagran pletora di governanti. Meno siconta, in più si vuole apparire. È evi-dente il significato civile di un culto chepartorirà quella sorta di rito di riparazio-ne che è il Palio di luglio.

16. Traslazione dell’immagine dellaMadonna di Provenzano nella Chiesa a leidedicata (AS Siena n. 85 1610-1613).“L’edificazione di un nuovo luogo di cultoe le pubbliche cerimonie che, comesempre, sottolinearono l’avvenimentoriflettono il clima culturale dell’epoca erispondono al programma politico dei

4 A. PAOLUCCI, Ambrogio Lorenzetti e la pitturacivica a Siena in Arte e Finanza cit. p 124.

5 Le Biccherne cit. p. 196.6 Ivi, p.210.

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Medici”7: è una nota di Ubaldo Morandida ritenere.

17. San Carlo Borromeo (AS Siena n.861616-1619, Francesco Rustici detto ilRustichino). Il santo, veneratissimo inepoca di Riforma cattolica, era particolar-mente onorato in Toscana, perché gli siattribuiva l’avvenuta guarigione diCosimo II, che, comunque, morì pocodopo (1621). In alto gli stemmi di MariaMaddalena d’Austria e di Cristina diLorena, che avrebbero assunto la funzio-ne di reggenti in attesa della maggiore etàdi Ferdinando II. Lo sfoggio dell’araldi-ca maschera la perdita di potere reale.

18. San Galgano a Montesiepi (ASSiena n.87, 1677-1682). Di grande forma-to (cm. 188 x 134), il quadro che conclu-de la tradizione delle biccherne, senzapiù avere alcun riferimento oggettivoall’uso e alle funzioni legati alla magi-stratura che aveva dato avvio alla tra-dizione è un patetico ritorno alle origini.Lo stemma dei Medici è partito conquello del Comune: una rivendicazioneillusoria di pariteticità. In lontananza siscorge Chiusdino.

Da don Ugo a San Galgano, da unfrate in carne e ossa che viene immorta-lato come umile servitore di un poterenascente a un santo venerato per il suoromitaggio e il disprezzo degli onorimondani si distende una parabola politi-ca, che le stazioni delle bicchernedescrivono con accenti che via via regi-strano vicissitudini e esiti.

Traspaiono così allusivamente o sisquadernano in eloquente successione:fiero senso di autonomia, persuasivapedagogia civile, esaltazione del BeneComune, fervido lavorìo amministrativo,esaltanti successi, accorata consapevolez-za della fine della libertà, cioè della perdi-ta dell’indipendenza. Ma le figure - gliidoli - della consueta devozione, maiabbandonata, riemergono infine, a lenireuna sconfitta che non conobbe la viltàdella resa e affidò all’arte il compito di tra-mandare gloria e conquiste di un potereche credette di sottrarsi così - anche così -ai crudi rovesci delle incessanti battaglie edi durare così - anche così, per via di sub-limazione estetica oltre le imprevedibilioscillazioni di un destino difficile.

7 U. MORANDI in Le Biccherne. Roma 1984, p. 304.

Nelle illustrazioni sono rappresentati i frontespizi dei principali volumi sulle Biccherne.

Pag. 2: A. LISINI, Le tavolette dipinte di Biccherna e di Gabella del Regio Archivio di Stato in Siena,Siena 1901; La sala della Mostra e il museo delle Tavolette dipinte della Biccherna e dellagabella, Siena 1903 e 1911.

Pag. 4: E. CARLI, Le tavolette di Biccherna e di altri uffici dello Stato di Siena, Firenze 1950; Le Saledella mostra e il museo delle tavolette dipinte - catalogo, Roma 1956; U. MORANDI, LeBiccherne senesi, Siena-Bergamo 1964.

Pag. 6: AA.VV., Le Biccherne, Roma 1984; AA.VV., Arte e finanza all’alba dell’economia europea,Roma 2003; Peinture et finance a Sienne du XIII au XVI siecles - Les Bicchernes, Roma 2003.

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Gli stemmi di Palazzo Petroniin Pantanetodi GIOVANNI MACCHERINI

Il recente intervento di restauro ese-guito nel Palazzo Petroni ha, tra l’altro,permesso di ripulire e mettere in eviden-za i cinque grandi stemmi di marmo postisulla facciata [foto 1].

Se numerosi sono gli stemmi presentisulle facciate e nei cortili dei palazzi sene-si è tuttavia minima l’attenzione che, ingenere, vi viene posta.

Del resto disattenzione e superficialitàsono ormai riservate non solo agli stemmidei monumenti e dei palazzi, ma anche ainumerosi blasoni, armi familiari o di città,imprese araldiche in genere presenti neipiù svariati oggetti e manufatti antichi(dai calici gotici, alle predelle d’altare,alle ceramiche e così via).

Se si riflette un attimo è quantomenosingolare che oggi si rinunci, forse soloper preconcetti culturali, ad usufruire

delle numerosissime informazioni che glistemmi appunto sono in grado di tra-smettere, quando per secoli sono stati uti-lizzati proprio con questa funzione pri-maria di “segni” evidenti e di facile rico-noscimento, creati specificatamente percomunicare con immediatezza ed estremasintesi tra persone di ceto diverso, soven-te di lingua diversa e con diverse esigen-ze (soldati o mercanti che fossero), e perquesto motivo caratterizzati da simbolifacilmente intelligibili anche a popolanispesso analfabeti.

Lasciando questa digressione per tor-nare a Palazzo Petroni vogliamo far nota-re come anche i suoi scudi così elegante-mente e attentamente eseguiti siano statiun po’ dimenticati così come il loro impli-cito significato.

Cerchiamo quindi di analizzarli ed

Palazzo Petroni - Particolare della facciata in via Pantaneto dove sono visibili gli stemmi.

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identificarli per ricavarne tutte le possibi-li notizie e informazioni; tenendo contoche la perdita quasi totale della colorituraoriginale non ci consente, almeno peralcuni, di uscire con certezza assoluta dal-l’ambito dell’ipotesi.

Si tratta, come detto, di cinque stemmiin marmo, la cui forma, a scudo triango-lare li colloca, temporalmente, agli inizidel trecento, quindi coevi alla costruzionedel palazzo; questa considerazione inizia-le è confermata dall’esame della maltacementizia e dall’osservazione del tagliodei mattoni eseguiti, al momento delrestauro, dal Dott. Fabio GABBRIELLI.

Passando poi ad esaminare i dueuguali, posti alle estremità del casamento[foto 2] si possono attribuire con sicurez-za alla famiglia PETRONI (campo d’oro alpalo d’azzurro caricato di tre stelle a seipunte del primo)1.

Considerando quindi che siamo neiprimi anni del Trecento si possono imme-diatamente riferire al Cardinale Riccardoillustre personaggio dell’antica casatasenese, legato alla Curia Romana ed elet-to cardinale da Bonifacio VIII nel 1298.

Riteniamo importante questa nota per-ché può dare la chiave di identificazioneanche degli altri stemmi.

Infatti quello centrale [foto 4], noncasualmente collocato al posto d’onore eleggermente più grande degli altri, si fre-gia delle chiavi decussate, simbolo all’e-poca ormai diffusissimo ed inequivocabi-le del Papa di Roma.

Se riflettiamo un attimo sugli strettilegami esistenti tra il cardinale ed ilPontefice e quanto, nel caso specifico,Bonifacio VIII tenesse all’ostentazione delpotere papale (proprio durante il suopontificato il triregno diviene attributo

1 Così viene blasonato lo stemma Petroni dalCrollalanza (Dizionario storico-blasonico) in realtàcome si può ben vedere dalla foto le stelle sono acinque punte, come a cinque punte sono quelle pre-senti negli altri stemmi Petroni coevi rimasti visibilia Siena (quelli scolpiti nel monumento funebre delCardinale Petroni in Duomo, quelli nella Basilica deiServi e quello, forse meno noto, collocato all’internodel San Niccolò, davanti alla porta della cappella

[Foto 3].Sempre a cinque punte li ritroviamo nelle

Biccherne (salvo una strana variante dove non sonorappresentate le stelle ma tre triboli).

Riteniamo che il Crollalanza, per altro sempreattento e attendibile abbia fatto riferimento allo stem-mario delle famiglie senesi dei primi del Settecento(“Armi delle famiglie nobili ...” Siena 1706), doveappunto figura lo stemma con le stelle a sei punte.

Palazzo Petroni - Uno dei due stemmi della famigliaposti ai lati della facciata.

Stemma Petroni - posto all’interno dell’ex Osp. Psic. diS. Niccolò davanti all’ingresso della Cappella.

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fisso dello stemma papale e le chiaviincrociate fino ad allora attributo di SanPietro divengono simbolo diretto delPontefice e ci piace ricordare come nellaben nota statua proprio di Bonifacio VIII,eseguita da Arnolfo di Cambio, ilPontefice stringa le suddette chiavi diret-tamente e saldamente nelle proprie mani)sembra più che logica la presenza di talestemma al centro del palazzo, postolungo la strada Regia Romana, ben visibi-le quindi a tutti i potenti dell’Europa deltempo in viaggio da e per Roma2; un mes-saggio diremmo oggi “forte” sia di devo-zione al Pontefice, sia di prestigio dellafamiglia (Analoghe considerazioni posso-no valere per i due stemmi [foto 5] pre-senti in via Montanini all’angolo del vico-lo MALAVOLTI; uno è lo stemma della fami-glia MALAVOLTI l’altro riporta le stesse chia-vi di San Pietro ed erano verosimilmenteposti, in origine, all’ingresso del“Castellare” che, sappiamo, l’antica fami-glia possedeva lungo la stessa stradaRomana.

Anche in questo caso si tratta di uncasato legato, nel periodo storico in que-stione, alla Curia Romana, dove numero-si si contano i vescovi (ben quattro diSiena) e gli ambasciatori presso la CortePapale.

Più ardua rimane l’attribuzione deglialtri due blasoni, anche perché la scom-

Palazzo Petroni - Stemma centrale dove sono riporta-te le Chiavi di S. Pietro, simbolo della Chiesa.

2 Del resto quanta attenzione ci fosse a Siena,proprio in quel periodo, per tutto ciò che avvenivao si mostrava lungo la strada per Roma è anche con-fermato dalla scritta incisa sopra l’architrave di uno

dei portali del Duomo con il preciso riferimento alGiubileo del 1300, a Bonifacio VIII e all’indulgenzaper i pellegrini.

Due scudi raffiguranti lo stemma Malavolti e le Chiavidi S. Pietro, in via Montanini.

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parsa del colore, parziale nell’uno, totalenell’altro, ne rendono più incerta la lettu-ra; tuttavia integrando i dati “araldici” alleconsiderazioni fino qui esposte si puòtracciare un’ipotesi che riteniamo fondata.

Nello stemma posizionato a destra diquello centrale, guardando il palazzo[foto 6] si vedono due bande ondate onebulose che conservano ancora l’origi-nale pigmento azzurro, mentre nel campoè scomparsa ogni traccia di colore.

Sappiamo che lo stemmo d’origine deiCAETANI, la famiglia appunto di BonifacioVIII, era: d’oro alla gemella ondata d’az-zurro (Crollalanza); cioè appunto uncampo d’oro caricato di due bande ugua-li, ondate, azzurre come nello stemma inquestione.

Sembra perciò fondato e plausibileidentificarlo con quello della famiglia delpapa, a fronte anche di tutte le conside-razioni precedentemente fatte sui rappor-ti tra il Cardinale e il Pontefice.

Riteniamo invece poco probabile l’i-dentificazione (già proposta in passato)con lo stemma ORLANDINI di Siena sia per-ché gli smalti dello stemma in questionesono invertiti (lo stemma ORLANDINI èd’azzurro alle due bande ondate d’argen-to) sia perché non troviamo nessun lega-

me storico tra le due famiglie tale da giu-stificare la collocazione di tale armaaccanto alle altre.

Veniamo infine ad esaminare l’ultimorimasto [foto 7]; si tratta di uno scudo che,in termini araldici si definisce a puntiequipollenti, che equivale a dire diviso innove quadrati di uguale grandezza colo-rati con due smalti alternati.

Nel nostro caso, pur mancando total-mente il colore, si deduce l’alternanzaoriginale dei due smalti osservando comei quadrati siano stati scolpiti su pianidiversi.

Questo tipo di blasone, meno comunedi altri, è comunque del tutto estraneoall’araldica senese (lo stemma ASCARELLI diSiena, suggerito in altro studio, è scacca-to d’oro e d’azzurro, cioè con un campodiviso a piccoli quadrati, simile appuntoalla scacchiera, perciò del tutto diverso).

Viceversa proseguendo ad esaminarele famiglie collegate ai Petroni tra la finedel secolo XIII e l’inizio del successivotroviamo i PALLAVICINO che si fregiano pro-prio di uno stemma a punti equipollenti(con smalti che variano a seconda deirami in cui, già all’epoca era divisa lacasata).

Senza dilungarci ricordiamo che tale

Palazzo Petroni - Possibile stemma Caetani.

Palazzo Petroni - Possibile stemma Pallavicino.

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famiglia, venuta in Italia al seguitodell’Imperatore OTTONE I, svolge, neisecoli successivi, un ruolo di prima gran-dezza nella scena politica italiana divi-dendosi, come già detto in vari rami (diPiacenza, di Cremona, di Genova).

Stretti legami ha il Cardinale Petroniproprio con il ramo di Genova che contamolti prelati, anch’essi legati al Papato, edè proprio a Genova, ritornando daAvignone a Siena, che il Cardinale muore,ospite appunto dei PALLAVICINO, nel 13143.

Possiamo concludere infine che dal-l’attenta osservazione degli stemmi diquesto antico Palazzo, pur con le dovero-se riserve, molte ed interessanti notizie civengono ancora trasmesse sia riguardantila storia dell’edificio medesimo, sia la sto-ria della famiglia che ne fu proprietaria.

Riteniamo quindi logico considerarel’araldica, che consente la corretta inter-pretazione di questi messaggi orgogliosa-mente scolpiti nel marmo e nella pietratanti secoli fa, ancora oggi un preziosostrumento per una più precisa e puntualeconoscenza della storia della nostra città.

Bibliografia

1) DI CROLLANZA G. B. Dizionario Storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili ita-liane, Pisa 1886.

2) BORGIA L. Le Biccherne, Roma 1984.

3) Arme delle Famiglie Nobili di Siena,Stemmario anonimo, Siena 1706.

4) MORELLI P. G. I Petroni di Siena: unafamiglia e il suo patrimonio nel 1300. Tesi diLaurea, Relatore prof. CATONI G., Anno 1982-83, Siena.

5) TORRITI P. Tutta Siena contrada per con-trada, Ed. Bonechi 2001

3 Queste notizie d’archivio si devono alla corte-sia del Dott. Vittorio PETRONI, ultimo discendentedella sua famiglia, e sono anche pubblicate nella tesidi Laurea in Storia di Paola Giovanna MORELLI suiPETRONI di Siena.

Sempre da tali notizie apprendiamo che nel

palazzo di Pantaneto venivano spesso ospitati cardi-nali e personaggi illustri di passaggio per Siena, aconferma che gli stemmi di cui abbiamo trattatopotevano avere anche funzione di facile identifica-zione del palazzo stesso.

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Quando la sorte è in giocodi PATRIZIA BIANCIARDI MARTINELLI

Per dare spasso al’afannata mentee per volere l’altrui otio schifaree alquanto il mio adfanno aleviareche per troppo disio l’anima sente

Fuoro facte queste, non perché la gentedebbia credere in tucto al loro parlare:pigliatene piacere quanto vi parecredendo solo in Dio onnipotente.

Chi avesse disio volere sintirechi fu di queste sorte lo inventoreLorenzo Spirito fu senza fallire

Adonqua, non vivete in tanto erroreche troppa fede vi facesse ossciredel camino dricto delo eterno Amore.

Con questi versi - il prologo dell’opera- Lorenzo Spirito Gualtieri presenta il suoLibro delle sorti o della ventura in quellache si pensa essere la prima edizionestampata a Perugia dai tedeschi StephanoArns di Bamberga, Paolo Mechter eGherardo Thome nel 1482, e cheGiuliano Catoni, parlando dell’ampiorisalto della Fortuna nel palio, ove la sorteè, appunto, dominante, cita nell’Euforiadella ventura, in apertura al preziosovolume L’immagine del Palio. Storia, cul-tura e rappresentazione del rito di Siena,pubblicando le dieci bellissime incisionirappresentanti simboli di altrettante con-trade, tratte da una edizione di settanta-cinque anni più tarda. Ho allora pensatoa questo mio piccolo contributo, che vuolessere una “nota a margine” di quellacitazione poiché l’opera ebbe notevolissi-ma fortuna. È interessante, divertente,così come personaggio notevole e inte-ressante fu Lorenzo Spirito, difficile, nonimbrigliato, fecondo, versatile, ingegnosoe ancora non studiato a fondo in tutta lasua interezza e complessità.

Figlio di un affermato notaio -

Cipriano Gualtieri - e nato a Perugia versoil 1425-1426, è stato definito “rimatore eventuriere”: fu infatti ai servigi dei trePiccinino, a cominciare, giovanissimo,appena diciassettenne, da Niccolò, perdivenire devoto di Francesco e, partico-larmente, di Jacopo che seguì in ogniavventura e, con tutta probabilità, anchenella guerra con Siena, se lo troviamo sta-bilito definitivamente a Perugia solo versoil 1458-1459. Nella sua città, dedito allavoro per il Comune, ricoprì vari incari-chi ed uffici; proprio nel 1459 è Capitanodella Guardia del Palazzo, tre volte ottie-ne - nel corso degli anni - la carica dipriore, svolge inoltre numerose ambasce-rie e raggiunge l’apice della carriera poli-tica divenendo nel 1472 podestà diTolentino. Fu certamente stimato, definitoin atti ufficiali quale virum quidem provi-dum, literatum, idoneum, gravem, exper-tum... Si dice (ma è forse più ragionevo-le pensare che si trattasse del suo secon-do nome) che debba l’appellativo di“Spirito”, col quale egli stesso preferiscefirmarsi, alla vivezza del suo ingegno,all’arguzia, ma anche a certe sue risentitee turbolente invettive sui mali della città,che sentiva in decadenza, e a certe sueacri affermazioni anticlericali.

E in effetti come tale, oltre alle moltesue terzine, lo denuncia un documentopresentato al governatore di Perugia ovesi afferma che il detto Lorenzo ...essehominem maledicum, sprezzante degliordinamenti di Santa Madre Chiesa, deri-sore della fede cattolica e dei mandatipapali ...nec non vilipensorem ...sacra-rum monitionum et predicantium pias,salubres constitutiones Sancte MatrisEcclesie, ove inoltre si giudicano i suoiversus, cantilenas, libellos famosos di dis-doro, obbrobrio ...ac detrimentum et -infine - damnum fidei christiane et SanctiDomini Nostri Pape.

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Senza dubbio un personaggio scomo-do che però godette di grande popolaritàattraverso le sue molteplici opere, tutte involgare, che elenco brevemente per darel’idea della produzione piuttosto vasta edell’ecletticità dei suoi argomenti.

Intanto, versi d’amore, come quelli diun poemetto in 21 canti, Fenice, nel qualeimmagina d’incontrare nel terzo cielo ladonna da lui amata e un Canzonierecostituito da 209 sonetti, 4 canzoni, 2sestine ed un capitolo in terza rima, stu-diato finemente da Ignazio Baldelli; versidi guerra, poi: opera piuttosto nota èl’Altro Marte composta per cantare legesta di Niccolò Piccinino; rime su cuiriversa l’amore e l’impegno civico, ilLamento di Perugia; versi che danno ilsegno della sua formazione umanistica:tradusse infatti, in terza rima, una partedelle Metamorfosi di Ovidio. Infine versid’estro, giocosi, irridenti: il Libro dellesorti, appunto.

Imitatore di Dante e Petrarca, i suoiendecasillabi, troppo spesso ipermetri,sono stati definiti da Vittorio Rossi, conespressione figurativamente felice, “scor-revoli e slombati”, ricchi di suoni e diforme dialettali. Assai più severo il giudi-zio, certo assai poco generoso, di un suoconcittadino Luigi Bonazzi che nella suaStoria di Perugia del 1879, spigoloso erisentito anche più del Gualtieri, stigma-tizza: “nulla guadagnò la poesia”. E inverità il pregio delle sue opere non èsegnatamente quello letterario. Si può, infondo, dire di lui che cantò “le donne, icavallier, l’arme, gli amori, le cortesie,l’audaci imprese”, anche se - fuor di dub-bio - senza la minima parvenza dell’ele-ganza e dell’armonia ariostesca.

Ma torniamo all’argomento che più ciinteressa, ovvero alla ventura, al giocodivinatorio elaborato dallo Spirito e inparticolare all’edizione del 1482, giocoche, a sfogliare l’incunabolo, pare assaicomplesso: un susseguirsi di tavole fittefitte di simboli, di nomi e di numeri, inci-sioni complicate, dalla cornice sontuosa,che occupano più della metà dell’opera.In realtà l’apparenza scenografica inganna

l’occhio, dando il senso dell’arcano, delcriptico, del misterioso mentre il meccani-smo che porta alla profezia, molto bencongegnato, è semplice, quasi lineare.

Apre il volume la ruota della sortecon, al centro, la raffigurazione dellaFortuna che regge nelle sue mani duecartigli recanti la scritta Sempre ognorami movo, loco stabili non trovo. Ai quat-tro punti cardinali, quattro figure maschi-li introducono l’elenco dei quesiti per cuisi può chiedere il responso: “se la vitadey essere felice o sventurata; in che ter-mine l’omo dey morire; se si dey vincereuna guerra; se la moglie è bona; se èbono el marito; se dey ritrovare unofurto; se l’amante è benvoluto da lamanza; se è bono fare uno viaggio; se èbono torre moglie, se è bono togliermarito; se l’omo è amato dalle persone;se si dei fare una vendecta; se è bonovendicare; se si dei guadagnare una cosa;que ricolta farà el suo podere; se l’omodey uscire d’uno affanno; se uno pensie-ro dey avere effecto; se una gratia per-duta si dey raquistare; se si dei guarired’una infirmità; se la donna dey partoriremaschio o femina”. Tutta una gamma,isomma, di richieste che comprendevanoogni aspetto della vita, primi fra tuttiquello del matrimonio e quello del patri-monio, l’aspettativa di vita, l’incolumitàfisica. Un tocco di una qualche inaspetta-ta finezza psicologica mi pare, poi, quel“se l’omo è amato dalle persone”.

Per avere la risposta ad ognuno deiventi quesiti si rimanda al nome di un Re.Le tre carte seguenti recano infatti elabo-rate incisioni di altrettanti sovrani (David,Salamone, Turno, Iubba, Priamo,Agamennone, Artù, Carlo, Iosuè, Egisto,Tolomeo, Ruberto, Alixandro, Latino,Nino, Faraone, Ladislao, Porsenna,Numma, Desiderio). Cinque sono in real-tà le matrici, più volte impresse sotto nomidiversi. Solo David compare un’unicavolta. Tutti portano le insegne del potere,scettro, corona o elmo e armatura.

Da essi si rimanda ad un “Segno”. Iventi segni - così lo stesso Spirito li chia-ma - poco o nulla hanno a che vedere

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con le denominazioni astrologiche classi-che: rapportabili possono essere lo scor-pione, il pesscie, il cancer, il lione, la ver-gene; altri sono rappresentati da animalidomestici, come il cane, il cavallo, ilporco, il gallo, il bove o comunque con-sueti come il cervo, oppure da figuremitologiche e leggendarie come l’alicor-no, il dragone, la sirena e il grifone.Quest’ultimo era - ed è - lo stemma diPerugia, il simbolo del suo potere e dellasua forza. Il perugino Lorenzo Spirito loraffigura, infatti, rampante e con espres-sione rapace e bellicosa. Tre segni sonodedicati agli astri: sole, luna, stella mentrei due rimanenti sembra vogliano accen-nare ai due opposti poli dell’animoumano, l’avidità - il diamante - e la gene-rosità - il core.

Ognuna delle venti tavole dei “Segni”é suddivisa in 56 piccoli riquadri cherecano per lo più nomi di fiumi italiani estranieri, piccoli e grandi. Sono presenti,ad esempio, il Giordano e il Rodano,l’Eufrate e il Nilo, il Brenta e l’Adige, maanche l’Ombrone e l’Arbia, il Chiascio e ilNera; alcuni nomi sono legati alla classi-cità e alla mitologia come Scilla, Cariddi oDelfo e Stigio, Elicon e Atalanto. [Credoche proprio la lettura a prima vista diqueste tavole abbia indotto a definire ilgioco profetico dello Spirito “un trattatodi geomanzia”].

È a questo punto che colui che harichiesto il responso della sorte deve get-tare tre dadi. Ciascun riquadro è contras-segnato da tre facce risultanti dal lancio,per un totale, appunto di 56 per ognitavola, tante quante sono le possibilità dicombinazione; a seconda delle numera-zioni riportate si rinvia alla consultazionedi una “Sfera” e ad una delle partizionidella stessa.

Seguono pertanto altre venti xilografieche riproducono al loro centro il simboloche le caratterizza: Sole, Saturno, Venus,Marte, Luna, Mercurio, Tauro, Gemini,Montone, Sagittario, Acquario, Aries,Capricorno, Cancer, Scorpione, Apollo,Cristallina, Iove, Virgo, Libra, questa voltapiù largamente ispirati alle costellazioni

zodiacali, pianeti o denominazioni astro-nomiche. All’esterno del cerchio che rac-chiude il simbolo, un grande anello è sud-diviso in due fasce, partite, a loro volta in28 settori - così da ricostituire il numero 56- segnate con il nome del fiume scaturitodal lancio dei dadi; ogni settore rimanda alnome di un “Profeta” e al numero dellaterzina che costituisce l’annuncio dellaprofezia o ventura. I venti profeti cheemettono le loro sentenze sono, nell’ordi-ne Davit, Daniello, Esechielle, Abraam,lsaia, Isahac, Noé, Nabuc, Nectalim,Baalam, Tobia, Metusalem, Adamo, Iosep,Iacob, Iona, Simeone, Moise, Elia, Eliseo.Le sentenze, come ho detto, sono costitui-te da 56 terzine per ognuno di essi, per untotale, dunque, di 3360 versi.

Esaurita la descrizione dell’architetturaalla base del libro delle sorti, è opportu-no, mi pare, alleggerire un’elencazioneche alla lettura può suonare piuttostoarida e, forse anche confusa, con qualcheesempio. Così, se voglio sapere “se èbono el marito”, debbo prima andare dare Priamo che mi manda al segno delGrifone. Poniamo ora che il lancio deidadi mi dia la combinazione 1,1,1, mi siinvia allora alla sfera di Mercurio, al fiumePaglia; il settore consultato mi suggerisceil nome del profeta Isahac e la terzinanumero 2 che recita: “Elli é buono e tu ‘lfai non cerchar più/ vero è che va dirietoall’altrui moglie;/ di questo non pensarguarirlo tu”. Se invece si cerca conferma(o smentita) “se la moglie è bona”, è il reTurno che spedisce diritto al segno delloScorpione. Se i dadi dessero, ad esempio,la combinazione 2,2,2, si verrebbe invita-ti a consultare la sfera della Luna, la fasciasuperiore, il settore marcato dal fiumeOrcia, dove s’impone “va’ al profeta Isaia,a’ versi 2”, che sentenzierà “Perfecta è latua moglie e virtuosa/tu non la meritastemai d’avere/che tanto li dai vita doloro-sa”. Certo, a caso, son venute fuori duesorti non cattive, ma senza dubbio tali dascatenare in famiglia sequele di lamenti eritorsioni.

Di sentenza in sentenza, di profezia inprofezia, lo Spirito predice la ventura pas-

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sando dall’ironia alla dolcezza, dall’esor-tazione alla beffa, dalla lusinga al sarca-smo, dal rispetto al disprezzo, dal consi-glio e l’incoraggiamento, all’annunciodella tragedia, del lutto e della morte,profondendo la sua esperienza umana, lasua conoscenza degli innumerevoli aspet-ti della vita, delle miserie e delle nobiltàdegli esseri umani, delle loro aspettative,ansie e paure, pregi e difetti.

Così la fortuna può dare ad esempio, achi l’ha richiesto, un responso sui guada-gni, favorevole:

Per la venuta delo imperatoreguadagnerai a sfondo tanta robache sempre sarai ricco a tutte l’ore

e anche:

Ciò che tu tocche, in man ti si fa orosempre serai contento in quisto mondonell’altro poi girai nel sommo coro

o avverso:

Poco pane, assai vin d’avere aspectanon sirà anno da far buon bocconeconviene far la vita miserecta

e consigliare:

Restrema a la tua bocha el largo pasto,fa’ massaria, che da me puoi saperech’ala recolta assai quisto anno é guasto.

Naturalmente il sapido, il beffardo - etalora il grossolano - si svelano con mag-gior facilità nel gioco dell’amore:

S’ella t’amasse, savia non sarìa,ma ella è savia e per questo non t’amache non li par degnar tua compagnia

ma anche:

Questa tua donna ha el core tutto perfectoin ogne cosa è bona e specialmented’inverno igniuda in mezzo d’il tuo lecto

oppure:

Se togli moglie questo anno presenteassai denare e corna aquisterai,l’amaro e ‘1 dolce verrà insiememente.

La sua vena audacemente anticlericaleirride preti, frati e bizoche; a proposito diun viaggio, ad esempio, avverte:

Sicuramente va, ma guarda benedi non t’acompagnare per via con preteché te saria cagione di molte pene

Esorta così una moglie:

Dai monasterii el guarda, donna miache le bisoche li vanno per lo capoe se ‘1 podesse te n’enganneria

Ad un celibe mette fretta:

Dé, non lassare passare tante giornatetolli la donna e poi che l’arai toltasopra ogne cosa guardala dai frate

Specchio dei tempi calamitosi, densi difatti di guerra, di scorrerie militari e didanni conseguenti, altre terzine offronosquarci di vita vissuta:

Le gente d’arme che per lo paesehanno a venire, te farà molto danno,che appena avrai la robba per le spese

e, ancora:

Li nimici soldati guasterannoquesta raccolta del’altrui paesee non sirà difecto di questo anno

Molte terzine mutuano del resto il lin-guaggio tipico del soldato, come questa:

Aparecchia la carta ad far memoriadela felici impresa, ché triumphoaquisterai con somma tua victoria

Le sorti, positive o negative, si alterna-no mentre il poeta (va bene, chiamiamo-lo così, per questa volta!) sorride ironicodentro di sé, ammonendo, sferzando nelcontempo vizi:

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Per mangiare troppi fructi inanze al mostocon scandalo assai, con poca paceio t’indovino che morrai d’agosto

malcostumi:

Serai con donna altrui colto con frodee senza dire tua colpa serai morto;tu serai savio se m’intende e ode

crimini:

Per disonesta cosa a mal partitotu verrai a questione e per superbiaocciderai e saraine punito

Di tanto in tanto affiorano superstizio-ni e credenze popolari:

Una vecchia che sai, che male ti voletanto farà che giovini morrai.Denota e intende queste mie parole

o prese di posizione personali, comela sua poca fiducia nei medici:

Medici e medicine t’ha facto peggiose lapse fare ala natura uno pocoin piccolo tempo guarito te veggio

e:

Per cagione che l’infermo non l’aprezzae ancho per lo medico cactivoa morte el condurrà con grande asprezza

Particolarmente facete sono spesso leventure predette a chi vuol sapere deifigli che metterà al mondo, in specie se sitratta di femmine:

La femina farai, non bella troppoe quando saré el tempo a maritarsele darai per marito un vecchio zoppo

con la consapevolezza, del resto, cheesse non sono troppo gradite alla coppia:

Femena nasscierà, ma per quista unala madre e ‘1 padre ne siranno contentiché sirà molto amica di fortuna.

Ma non ho l’intenzione di riportaretutte le millecentoventi terzine. Metto dun-que il freno alle citazioni e torno al noc-ciolo principale, vale a dire all’edizionedel Libro delle sorti e alle sue xilografie.

L’incunabolo perugino è più che raro,unico, poiché si trova solo allaStadtbibliothek di Ulm. Come ci sia finitonon si sa, ovviamente, ma di sicuro il fattoè legato alla fitta presenza di stampatoritedeschi. Un collegamento potrebbe esse-re costituito dalla testimonianza della per-manenza a Perugia di uno studente “oltre-montano” della Sapienza Vecchia, prove-niente da Ulm, Enrico Clayn, che trovia-mo, pochi anni prima (1476-1477) asso-ciato a Giovanni Wydenast nella stampadel Digesto vecchio.

Ma è solo un’ipotesi e del resto non haimportanza. Dell’opera è stata fatta unaristampa anastatica eseguita a Perugiapresso le Officine Grafiche Benucci per laVolumnia editrice nel 1980, in 500 esem-plari.

Prendendo in considerazione l’appara-to iconografico, molte sono le difformitàtra l’incunabolo e l’edizione cinquecente-sca da cui sono tratte le illustrazioni deisimboli attinenti alle contrade pubblicatinel volume ricordato all’inizio.

La stampa del 1482 ha raffigurazioniestremamente più semplici, tratti menoricchi, meno accurati e, soprattutto pochisono i simboli “contradaioli”. Sono pre-senti soltanto, infatti, tra i “Segni”Alicorno, Dragone, Lione, Gallo ed unsemplice Pesscie al posto del magnificodelfino fiero e grintoso; tra le “Sfere” sitrova invece il Montone, praticamenteriprodotto tre volte. Le immagini delCapricorno e dell’Aries sono infatti a que-sto pressoché speculari e recano appenalievissime differenze. Inoltre, c’è Marte,armato, che può interpretare il ruolo dellaSpadaforte.

La fama, specie postuma, di LorenzoSpirito (muore nel 1496) e del Libro dellesorti fu veramente estesa. A prescindereda una seconda stampa perugina datata1532, per i tipi di Cosimo di Bernardodetto Bianchino del Leone, che è introva-

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bile, parecchie e ripetute furono le edi-zioni, alcune già nel XV secolo, la mag-gior parte nel XVI, in Italia e, tradotte,all’estero. Elenco brevemente quelle dicui sono a conoscenza attraverso lo spo-glio dei vari repertori e annali tipografici- anche se il panorama dell’esistente potràdirsi completo solo quando giungerà acompimento il censimento delle edizionidel XVI secolo elaborato e coordinatodall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico- cominciando dalle stampe italiane:Brescia 1484, 1533, 1544, 1553, 1556;Vicenza 1485 ca.; Milano 1500, 1501,1508, 1509; Bologna s.a. e n.t., ma sec.XVI in., 1508; Firenze post 1500: Roma1535 e, infine, Venezia 1537, 1544, 1551,1557. In particolare Max Sander (Le livrea figures italien depuis 1467 jusqu’a1530. Essais de sa bibliographie et de sonhistoire) e M. Tammaro De Marinis(Appunti e ricerche bibliografiche) dannoanche indicazioni relative alle xilografie.Dunque, troviamo nominati Dragone,Lione e Gallo già nell’edizione brescianadi Bonino de Boninis (conservata allaBiblioteca Marciana di Venezia) mentrel’incunabolo vicentino di LeonardoAchates porta un Leopardo (= Pantera) eun Delfino; la stampa milanese diGotardo da Ponte del 1509 (che reca lestesse incisioni di quella del 1501 mostraMontone, Leopardo, Delfino, Aquila: que-ste ultime tre, pubblicate da Tammaro DeMarinis tra le tavole del suo volume, sem-brano identiche a quelle riprodottenell’Euforia della ventura. Non era delresto affatto inconsueto usare in stampediverse gli stessi legni o copiarli ed imi-tarli. Ancora una sorpresa la riserva l’edi-zione bolognese del 1508 di Giustinianodi Rubiera che illustra Montone, Leone,Orso, Spinoso (= Istrice), Alicorno,Aquila, Leopardo, Delfino, Dragone.L’esemplare, al recto della prima cartadove il titolo figura in una cornice incisain legno, reca anche il nome dell’intaglia-tore: “Piero Ciza fe’ questo intagio”.

Ancora il Delfino - gettonatissimo! -compare nell’edizione di Pietro Martyrede Montegazi per Johannes de Legnano,

Milano 1500 (una copia è conservatapresso la Biblioteca dell’Arsenal diParigi); così sappiamo anche che la stam-pa fiorentina dei primi anni del secoloXVI riproduce i simboli del Montone e delLeocorno e quella veneziana del 1557,ancora del Montone e dell’Istrice.

A fronte di così numerose stampe eristampe soltanto due sono i manoscrittiche tramandano il Libro delle Sorti, unopresso la Biblioteca Marciana di Venezia -individuato come autografo da IgnazioBaldelli - l’altro alla Queriniana di Brescia(Kristeller).

Ma la fortuna del gioco profetico diLorenzo Spirito travalica i confini nostranie vede altre edizioni, tradotto in francese,in inglese, in spagnolo, in olandese.Proprio in Francia si ha una edizioneancora nel XV secolo che rappresenta latraduzione più antica, a Lione nel 1497con il titolo L’esprit Laurens livre de passetemps; l’incunabolo dovrebbe essere - epuò esserlo con tutta probabilità - quellocitato dal Brunet come “un’altra edizionepiù antica di quella del 1528” e introducealla giocosità delle profezie: “Lourenlesprit sans fiction /feust inventeur decest art cy /pour doner recreation / a unsigneurs et dames auxi”; vi si indica inol-tre: “De lombard ie lai traslate”. E difattile xilografie usate sono le stesse che ser-virono all’edizione di Brescia del 1584.

A Lione il giochino deve esser piaciutoparecchio poiché fu edito ancora nel 1528,1532, 1560, 1574, 1576 e 1583; a Parigi Lesorti sono date alle stampe nel 1559, 1574,1585 e ancora nel 1634 e 1637, nel 1650 aRotterdam, a Londra nel 1686.

Precoce fortuna ebbe l’opera anche inSpagna. È del 1515 l’edizione di Valencia,Jorge Castilla, intitolata Libro del juegosd’las suerte, emendata “y mutada... porque mas facilmente entender se pueda”nel 1528 (Valladolid, Joffre), una fortunache pare negli ultimi anni stia di nuovoaleggiando se nel 1983 è stata fatta unariproduzione della cinquecentina valen-ciana a Madrid e nel 1991 una nuova edi-zione a Salamanca con tanto di prologo edi introduzione.

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Girellando nel web mi sono poi ulti-mamente imbattuta nella notizia giornali-stica (La Jornada, 19 novembre 2002)della presentazione di un’edizione messi-cana del Juego de las suertes “... un oràculinserto en una traditiòn oracular advina-toria y, sobre todo, predictiva, querisponde a ansiedad del ser humano porconocer el futuro ...” curata da MargaritaPena che nel corso di certe altre sue ricer-che si era imbattuta in una edizione incastigliano finora non conosciuta, del1534, nella biblioteca tedesca HerzogAugust di Wolfenbutten.

Così, cinquecentoventi anni dopo lasua invenzione la Ventura, oltre che le

montagne ha travalicato l’oceano ed èsbarcata nel nuovo mondo.

Di tante e tante edizioni restano peròin circolazione solo pochi, pregevoliesemplari, quasi certamente a causa - iro-nia della sorte! è proprio il caso di dirlo -di quell’apparato clericale contro il qualeLorenzo Spirito, in vita, aveva spesso indi-rizzato la sua irriverente vis polemica. Allametà del Cinquecento infatti la sua operapiù diffusa venne messa all’indice e le suecopie, maledette, condannate a bruciaretutte tra le fiamme dei roghi dell’intolle-ranza.

Eppure, come si sa, la sorte talvoltadecide altrimenti dalla volontà degliuomini ...

Le xilografie di seguito riprodotte sono tratte dal Libro de la Ventura di L. Spirito,nelle edizioni di Gotardo da Ponte (Milano, 1509), Giustiniano de Rubiera (Bologna, 1508),

P. da Mantegatiis (Milano, 1500), Mattia Pagani (Venezia 1557) ed altre sconosciute.

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Una strana combinazione:due differenti edizioni senesidella vita di S. Caterina,entrambe pubblicate nel 1524di ETTORE PELLEGRINI

Già nel precedente n. 16 questa rivistasi era interessata dell’antica editoria sene-se, celebrando con un bel saggio diAlessandro Leoncini i 5 secoli della primaedizione di un libro stampato da un tipo-grafo senese1, che si chiamava Simone di

Niccolò di Nardo e che, tra il 1502 ed il1536, avrebbe pubblicato una cinquanti-na di opere. Allora fummo in pochi a sot-tolineare un avvenimento assolutamentemeritevole di attenzione, invece, peroggettivi motivi di carattere storico e cul-

1 Cfr. A. Leoncini, 28 Aprile 1502- 28 Aprile2002. Per i cinquecento anni della pubblicazionedel primo libro stampato da un cittadino senese,Accademia dei Rozzi, a. IX, n. 16, pp. 13- 18. Dello

stesso autore vedi pure l’introduzione alla ristampaanastatica de La sconficta di Monte Aperto, Siena,Betti, 2002.

Pagine finali della biografia di S. Caterina, stampata da Michelangelo di Bartolomeo

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turale; come oggi non perdiamo l’occa-sione di riflettere su una nuova vicendaeditoriale, per certi aspetti anomala edindecifrabile, comunque destinata a con-fermare la non modesta rilevanza, ancheextra moenia, che le attività tipograficheavevano assunto nella Siena del primoCinquecento.

Il 10 maggio del 1524 era finito distampare il libro intitolato: Vita miracolo-sa della seraphica sancta Catherina daSiena. Composta in latino dal BeatoPadre Frate Raimondo da Capua, giàmaestro generale de l’Ordine dePredicatori: Et tradoctain lingua volgareThoscana, da el vene-rando Frate AmbrogioCatherino de Politi daSiena del medesimoordine, aggiuntovialcune cose pertinential presente stato dellaChiesa notabili et utiliad ogni fedel Cristiano.Il volume, in quartopiccolo, presenta 112carte numerate, prece-dute da 6 carte nonnumerate con un’ inci-sione xilografica apiena pagina in princi-pio. A carta 111 (verso),insieme alla data dipubblicazione, si leggo-no i nomi dello stampa-tore e dell’editore:Michelangelo di Barto-lomeo F(iorentino). Adinstantia di MaestroGiovanni di Alixandro(Landi) Libraro. Inoltreuna graziosa figurinacon il ritratto dellaSanta tra due incappuc-ciati è riprodotta sia allacarta 112 (recto), sia alverso della penultimacarta non numerata,mentre alle carte 11 e112 (verso) viene pro-posto uno stemma raffi-

gurante tre monti tra due stelle sormonta-ti da un cipresso, con le lettere G e L, dasciogliere molto probabilmente inGiovanni Landi.

È interessante notare che il secondostemma, a carta 112 (verso), è arricchitodalle figure di S. Bernardino e S. Caterina,ad indicare la nazionalità dell’editore, conal centro quella di S. Giovanni Battista,che potrebbe invece ricordare la prove-nienza fiorentina dello stampatore. Laxilografia al frontespizio presenta, entrouna cornice di maniera, la figura diCaterina ritratta in piedi con i suoi tradi-

Xilografia con l’immagine di S. Caterinatratta dall’edizione di Michelangelo di Bartolomeo.

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zionali apparati iconografici, sullo sfondodi una straordinaria veduta di Siena, sin-tetizzata con rara efficacia descrittivadallo sconosciuto incisore, del quale restala sigla I.B.P. Da notare che l’incisioneoffre una delle più antiche rilevazioni gra-fiche realistiche dell’immagine di Siena,capace di presentare interessanti dettaglidelle porte e delle mura nella zona diCamullia, del profilo del Duomo, nonchédelle torri della città, dominate da quelladel Mangia.

Pochi mesi dopo, il citato protostam-patore senese, Simone di Niccolò, produ-ceva un nuovo volume con la stessa bio-grafia di S. Caterina scritta da Raimondoda Capua e tradotta in volgare daAmbrogio Catarino, del tutto simile anchenel titolo: Vita miracolosa della seraphicaS. Catherina da Siena. Etc. Alla carta 115(verso) si legge: Stampata nella magnifi-ca città di Siena per Simione di Niccolò.Ad instantia di Antonio Cataneo LibraroSenese. A. di: i. di Settembre. Nelli annidella salutifera incarnatione 1524.

Questa edizione, pure in quarto picco-lo, è composta da 116 carte numerate,precedute da un proemio di 6 carte nonnumerate, come non numerate sono le 4carte finali. Distribuite nel testo troviamoalcune piccole xilografie che ritraggonoscene della vita di S. Caterina; tra le qualidi particolare interesse è quella alla carta2 (recto), che mostra una fedele veduta diFonte Branda e dell’omonima portadominate dall’abside di S. Domenico: inassoluto una delle più antiche rappresen-tazioni grafiche realistiche di monumentisenesi. Anche in questo caso la primacarta presenta una xilografia della Santache espone i consueti simboli iconografi-ci, con il panorama della città sullo sfon-do: un’incisione, siglata I.C. da uno sco-nosciuto intagliatore, di qualità comples-sivamente inferiore all’altro frontespizio.

Nel terzo decennio del Cinquecentol’arte della stampa si era ormai affermata

in Europa ed in Italia, rivoluzionando dra-sticamente il sistema di scrittura sulla basedi un automatismo che avrebbe favorito,con la centuplicazione dei libri, un’affer-mazione della cultura di chiara matricerinascimentale. Anche a Siena il tipografotedesco Enrico da Colonia, chiamato nel1484 da alcuni professori dell’Università,aveva potuto mostrare gli straordinaripregi dell’invenzione messa a punto unatrentina d’anni prima dal connazionaleGiovanni Gutenberg e, nella condivisibileipotesi formulata dal Leoncini, insegnaread altri il mestiere del tipografo2.

Non deve quindi meravigliare se giànella prima metà del XVI secolo, a Siena,erano attivi diversi stampatori. Un attentostudioso elenca, oltre a Simone di Niccolò- ed ai suoi figli Callisto, Niccolò eFrancesco - Giovanni Landi, Michelangelodi Bartolomeo, Michelangelo Castagni,Antonio Mazzocchi, Niccolò di Pietro diGuccio3, che esercitarono un’intensa atti-vità editoriale, alimentata in non modestamisura anche dalle produzioni teatrali deiRozzi e degli Intronati. I volumi pubblica-ti a Siena in questo periodo sono benpoca cosa rispetto ai moltissimi prodottidall’editoria veneziana, senza dubbio lapiù ragguardevole in Italia, ma non dob-biamo dimenticare che l’arte della stampaviveva ancora in una fase primordiale enon si era diffusa in ogni parte del paese.La pubblicazione di libri da parte di tipo-grafie stabili riguardava allora solo pochecittà italiane, mentre in Toscana eraappannaggio esclusivo delle due capitali:Firenze e Siena. Ovviamente le opereprodotte in questo contesto sono divenu-te oggi rarissime, difficilmente acquistabi-li anche sul mercato antiquario più selet-tivo e difficilmente consultabili nelle piùimportanti biblioteche pubbliche, chedevono custodirle con gran cura.

La biografia di S. Caterina scritta in lati-no da Raimondo da Capua era stata vol-garizzata e stampata una prima volta a

2 Cfr. l’art. cit. alla nota prec. a p. 13.3 Cfr. F. Cerreta, Luca Bonetti e la stampa a

Siena nel Cinquecento, in “La Bibliofilia”, LXXI(1969), pp.278-279.

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Firenze nel 1477 da due frati del mona-stero di S. Iacopo a Ripoli ed una secon-da volta nel 1488, impressa a Milano perJohanne de Antonio de Honate; dopo diqueste troviamo la traduzione diAmbrogio Catarino, il cui successo è atte-stato dalle numerose edizioni veneziane(Farri, 1571; Zoppini, 1583; Marinelli,1587; Fiorina, 1591; Giunti e Ciotti, 1602)che fecero seguito alle due senesi.

Ambrogio Catarino, al secoloLanzillotto Politi, fu un protagonista dellacontroriforma religiosa del Cinquecento:professore di diritto in età giovanissimapresso l’Università di Siena, dove a soli 15anni aveva dato alle stampe la celebreSconficta di Monte Aperto4, divenne avvo-cato concistoriale presso la curia papaledi Leone X e, vestita nel 1537 la tonacadei domenicani, iniziò un’accesa campa-gna contro l’eresia ed in particolare con-tro Martin Lutero, Girolamo Savonarolaed il concittadino Bernardino Ochino,che l’avrebbe qualificato tra i più combat-tivi difensori dell’ortodossia cattolica efatto approdare al Concilio di Trentocome rappresentante del pontefice.

Autore di una trentina di opere pubbli-cate a Roma, Venezia, Lione e Parigi5,occupa un posto di rilievo nella letteraturateologica e tra gli scrittori senesi del Ri-nascimento, ma nel 1524 non si era anco-ra affermato sulla ribalta letteraria naziona-le e non è pensabile che un suo scrittoricevesse un tale apprezzamento da favo-rirne due edizioni in così breve tempo.

L’argomento stesso della vita di S.Caterina, pur importante e certamenteassai ambito dalla miriade di conventi ecentri religiosi allora attivi in Italia, maanche da qualsiasi persona di cultura,non sembra giustificare l’esigenza di dueedizioni quasi contemporanee; si pensialla cadenza, molto meno stretta, con cuisarebbero state prodotte le citate ristampeveneziane.

Dunque la pubblicazione da parte didue editori diversi della stessa opera,nella stessa città e nell’arco ristretto dicinque mesi, rappresenta certamente unfatto atipico nella storia dell’editoria ita-liana del Cinquecento, oscuro ed appa-rentemente inspiegabile, ma non al puntoda impedire di ricercarne una motivazio-ne plausibile.

Come si è detto, appare improbabileche alla base della necessità di ristampa-re il volume fosse da collocare la venditaimmediata di tutta la prima tiratura e nonsarebbe corretto risolvere il problema intermini di mercato, o quanto meno cerca-re d’individuare nel successo commercia-le dell’opera l’unico motivo che ne avreb-be determinato la ristampa.

Non è da escludere, infatti, che all’ori-gine di questo evento editoriale siano daricondurre anche aspetti di carattere psi-cologico.

La biografia del Politi descrive unafigura spigolosa ed irascibile, sottolinean-do come il suo carattere tendesse spessoalla litigiosità. Inoltre, è facile notare chenelle carte non numerate finali dell’edi-zione curata da Simone di Niccolò sonoriportate ben quattro pagine di errori fattiin la prima stampa del dì 10 diMaggio1524 e corretti in questa secondaper il medesimo autore.

Alla luce di queste osservazioni si puòpensare che il Politi, adirato per i nume-rosi errori apparsi sulla prima edizione,dopo essere intervenuto personalmenteper eliminarli ed aver risolto la collabora-zione con lo stampatore fiorentino, aves-se promosso immediatamente una secon-da edizione, affinché il volume emendatopotesse di fatto screditare il precedente.Una conferma di questa ipotesi, indirettama di non modesto significato, è datadalla precisazione di mano dell’autoreche si legge in calce alla “errata corrige”inserita nella seconda edizione: questi

4 E’ l’opera pubblicata da Simone di Niccolò diNardo nel 1502, la cui moderna ristampa è statasegnalata alla nota 1.

5 Vedi L. De Angelis, Biografia degli scrittorisanesi, Siena, 1824, pp. 214-5.

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errori sopra signati…in questa (ristampa)non li trovaresti; dove risuona seccamen-te il tono di rimprovero nei confronti diMichelangelo di Bartolomeo per la scarsaqualità del suo lavoro, in chiara contrap-posizione alla validità di quello condottoda Simone di Niccolò.

Naturalmente la scelta di AmbrogioCatarino cadde su questo tipografo, che aSiena era giustamente stimato come ilmigliore della città e Simone di Niccolònon volle perdere l’occasione di contribui-re alla brutta figura di un concorrente,arricchendo la qualità editoriale del volumecon un pregevole corredo iconografico.

Per altro l’incidente non danneggiòpiù di tanto Michelangelo di Bartolomeo,che non fallì e non andò in esilio, macontinuò a produrre libri in Siena almenofino al 1533. Tra i suoi numerosi clientitroviamo “il Marescalco”, Stricca Legacci,“lo Strascino”, Bastiano di Francesco,Francesco Fonsi, Niccolò Alticozzi, daiquali gli fu affidata la stampa di diversecommedie: prolifico humus che, proprioin quegli anni, avrebbe fatto germogliarel’indomita “suvera” della Congrega deiRozzi e favorito l’affermazione letterariadell’Accademia degli Intronati.

Xilografia con l’immagine di S. Caterinatratta dall’edizione di Simone di Niccolò di Nardo.

Il “finito di stampare” dell’edizione curata da Simone di Niccolò di Nardo.

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Un raggiro ingegnosonel periodo di chiusuradella Congrega: i due Falotici,il lino e la stoppadi MENOTTI STANGHELLINI

Roberto Alonge, autore de Il teatro deiRozzi di Siena, un’opera fondamentale alriguardo, che risale al 1967, afferma che il“secondo Cinquecento si affida pratica-mente alla nostra memoria per il solonome di Giovanni Battista Binati, dettoFalotico, sarto di professione. Una talepovertà di autori non deriva però soltan-to dalla vita stentata della Congrega chein questo cinquantennio poté restareaperta soltanto dal 1561 al 1568; proprioil Falotico opera intorno agli anni settan-ta, dopo che la Congrega era stata costret-ta nuovamente a chiudersi”.

Tuttavia, continua l’Alonge, se leCongreghe erano chiuse, le recite pubbli-che potevano aver luogo; solo che lacommedia nel clima del dopoguerra era“diventata ormai inattuabile”. Anche ilBinati si provò in questo genere teatrale,ma ne compose una sola, il Racanello,senza tanto successo. Poi passò al dialo-go, un genere che testimonia “il ritornoverso uno stadio di scrittura che è al diqua del teatro”. Senza entrare in altrequestioni toccate dallo studioso, il giudi-zio di quest’ultimo sul Binati è in com-plesso negativo.

La mediocrità dei tempi genera artemediocre. Il Binati è un abile verseggia-tore, ma non può dirsi un buon poeta. Èun poeta riflesso: ha bisogno di trovare laspinta e l’ispirazione nelle opere altrui.

Detto questo, è doveroso però ancheammettere che senza il Binati l’immaginedella realtà senese nella seconda metà del

Cinquecento ci sarebbe arrivata conmeno evidenza. La sua fama è affidatasoprattutto a due composizioni: una è ilBoschetto del 1574 e l’altra il Dialogorusticale di Pastinaca e Maca del 1604. Ilfatto è che il Boschetto non ci è giunto inuna pubblicazione a se stante. Il titolocompleto è Il Bruscello et il Boschetto.Dialoghi molto allegri et dilettevoli delFalotico della Congrega de Rozzi. Et unCapitolo alla sposa nuova padrona, delFumoso della medesima Congrega. Nelletre edizioni a noi note, la prima del 1574,la seconda del 1583, la terza senza datama certo più tarda perché porta i segnimarcati della censura controriformistica, iltitolo rimane immutato. Il Bruscello e ilBoschetto figurano come opere di unostesso autore, il Falotico, come sostieneanche l’editore Bonetti nella dedica aPirro Gessi del 1574: “Queste sono amen-due opere d’uno stesso autore”, fino al1993 ritenuto il Binati, il Falotico sarto.

Da allora invece noi sappiamo, permerito di Ivaldo Patrignani, che ilBruscello, vale a dire il Bruscello diCodera et Bruco, dialogo da me pubbli-cato con testo critico e commento perl’Accademia dei Rozzi nel 1999, non è delBinati ma di Ansano Mèngari, che nellaCongrega era soprannominato, guardacaso, Falotico.

Chi voglia meglio conoscere come ilPatrignani arrivò a questo, non ha che daleggere il suo libro, pubblicato postumonel 1993 da Giuliano Catoni e intitolato Il

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bruscello, una gloria dei Rozzi. Cerco diriassumere l’essenziale: in uno dei duemanoscritti della Biblioteca ComunaleSenese che contengono la Mascheratadella sposa, un’opera ancora inedita, silegge accanto al titolo: di Ansano detto ilFalotico Rozzo. I personaggi principalisono proprio Codera e Bruco, il primodei quali ai vv. 414-419 (la numerazioneè mia) dice:

Io so’ Codera, a ricordarvi, quelloche portava il balestro co’ pulzonie tirava or a chesto et or a chello.

E chesto chi è Bruco che talponiportava la lanterna col campano,quando andava a postare e’ frosoni.

Siccome Codera e Bruco sono gli stes-si personaggi del Bruscello, l’autore diquest’ultimo non può essere che AnsanoMèngari, il Falotico speziale. Il Patrignanidimostra poi in modo chiaro comela composizione del Bruscello risa-le a prima del 1550 e quella dellaMascherata della sposa (nonMascharata, come si cita comune-mente) all’immediato dopoguerra.Aggiunge che il Boschetto, anchese recitato dagli stessi personaggi,non ebbe il seguito straordinariodel Bruscello e lamenta che questedue maschere senesi del contadi-no-cacciatore “non ebbero la ven-tura di giungere fino a noi, comele altre maschere della Commediadell’Arte, per motivi che andrebbe-ro attentamente considerati, mache dovettero coinvolgere tutto ilteatro rustico dei Rozzi, non maiapprezzato nel suo giusto valore”(op. cit., pp. 35-36). Dà quindi perscontato che il Bruscello e ilBoschetto vadano fatti risalire auno stesso autore, il Falotico spe-ziale. Ma così non è. Anche ilPatrignani è in parte caduto inquel raggiro ingegnoso che, a mioparere, Giovanni Battista Binati,sarto, architettò forse con la com-plicità dell’editore Bonetti. Eccocome e perché.

C’è da tenere presente che il Mèngarientrò in Congrega col soprannome diFalotico nel 1544 (il Mazzi nella suaCongrega dei Rozzi di Siena sbagliò nel-l’attribuirgli il soprannome di Dolente,basandosi sulle testimonianze del Fabiani,del Pecci, del Torrenti e del Faluschi), ilBinati vi fu ammesso diciassette annidopo, nel 1561. Ma nelle carte dellaCongrega, stando al Mazzi (vol. I, p. 450),accanto al suo nome e cognome nonfigura che tra parentesi il soprannome diFalotico. Questo fa venire qualche dub-bio. Ammettiamo pure che il Mèngarifosse ancora vivo nel 1571, anno dell’edi-zione a sé stante del Bruscello (l’autorenon è indicato con il suo nome, ma solocon il soprannome di Falotico): di certonel 1574, quando uscì il Bruscello et ilBoschetto con il Capitolo del Fumosocome appendice, il Mèngari doveva esse-

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re già morto, altrimenti nonavrebbe accettato che una suaopera, il Bruscello, venisse sub-dolamente fatta propria dalBinati e che l’editore nelladedica scrivesse quello chescrisse, in buona o cattiva fede.

Il Bruscello e il Boschettosono di due autori diversi. Chis’intende un po’ di lingua e distile non può avere dubbi alriguardo. Se ne potranno ren-dere conto i lettori quando frapochi mesi, con il patrociniodell’Accademia, del Mèngaricurerò la pubblicazione dellaMascherata della sposa e delBinati il Boschetto insiemeall’altro dialogo di Pastinaca eMaca.

Naturalmente su come anda-rono le cose si possono faresolo ipotesi, ma in base ai datidi cui disponiamo è più chelecito congetturare che il Binati,abile verseggiatore, emulo eammiratore del Mèngari, dopola morte di quest’ultimo (che seho interpretato bene certe cartedella Congrega era originario diPorto Santo Stefano, non diGrosseto, ma su questo potranno direqualcosa di più preciso altri che sannomaneggiare e interpretare meglio i docu-menti di archivio) nei primi anni settanta,approfittando anche del lungo periodo dichiusura della Congrega, fece pubblicareil Bruscello, il capolavore del Mèngari,insieme al suo Boschetto. Autore: ilFalotico dei Rozzi, senza altre precisazio-ni. Forse per meglio confondere le idee,a questi dialoghi fu aggiunta l’operaminore del Fumoso, il già citato Capitolo.Il gioco riuscì, a pensarci bene, in modoelegante e quasi impeccabile. Così perquattro secoli e mezzo Giovanni BattistaBinati, esperto in ribattezzamenti, finì peraccaparrarsi la gloria del Bruscello, chesoprattutto da allora supererà l’ambitoristretto di Siena e diventerà famoso inItalia, in Francia e altrove, rendendofamoso anche il Falotico, vale a dire il

Binati, perché del povero Mèngari ormai,dopo le tante traversie della guerra edella Congrega, non si ricordava più nes-suno.

Messo in chiaro questo, bisogna direanche che il Boschetto non è certo operapriva di interesse. Tuttavia Codera eBruco sono quasi irriconoscibili: il lorolinguaggio è ricco e scoppiettante, pienodi espressioni e modi di dire legati allacaccia, nonché di doppi sensi lùbrici eosceni. Ma tutto rimane in superficie. NelBruscello i due contadini-cacciatori trova-no un momento di euforia e di esaltazio-ne, dopo il quale sarebbero ripiombatinella vita faticosa e noiosa di tutti i gior-ni, oppressi dai debiti e assillati dallemogli sempre scontente e brontolone.Nel Boschetto si avverte la mancanza dellamano di un artista vero che con pochitocchi magistrali leghi la vita al gioco, le

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cose serie a quelle frivole, e spinga a pen-sare alla inutilità sovrana di tutto quantogli uomini desiderano, dicono e fanno. IlMèngari era riuscito a esprimere appienotutto questo servendosi con immediatez-za quasi pittorica di pochi elementi essen-ziali: la gioia della bevuta a casa di unamico, una canzone cantata a squarciago-la e un proverbio, “fra cent’anni tantovarrà la stoppa quanto il lino”, articolatoper metà.

Nell’ultimo verso del Boschetto vero eproprio, nell’unica edizione libera da cen-sure, il Binati fa dire a Codera arrabbiatoe deciso a finirla con la caccia:

No’ mettaren nel cul de’ tordi in cabbia.

Che, se ho capito bene, vuol dire:“Ormai i tordi da richiamo che abbiamo

nelle gabbie ce li possiamo mettere anchenel culo”. Il Patrignani (op. cit., p. 44)parlava di “immagine sconcia ma efficaceche ha in sé qualcosa della forza gran-diosamente oscena di certe immaginidantesche”. Per me è solo un tocco reali-stico, un’espressione comprensibile inbocca a contadini-cacciatori arrabbiati edelusi, ma non riscattata come altre simi-li del Bruscello da uno stato d’animo esa-cerbato a causa di vicende ben più gravi,e intimamente triste.

Un solco profondo separa il Faloticospeziale dal Falotico sarto. Nessuno scip-po, nessun raggiro elegante e ingegnosopuò bastare a colmarlo: ci sono voluti piùdi quattro secoli, ma alla fine il lino si èpreso una giusta rivalsa sulla stoppa.

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Briciole di cronacaIl trionfo della moraledi ENZO BALOCCHI

Correva l’anno 1939 XVII, ottobre, el’ombra della guerra già gravava tenebro-sa sull’Europa; i primi venti di guerra ave-vano portato la fatale alleanza tral’Unione Sovietica comunista e laGermania nazional socialista che, da lealimalfattori, si erano spartita la Poloniaaggredita da due parti (e per fortuna nonesistevano i pacifisti che avrebbero chie-sto ai polacchi di arrendersi subito e cosìperdere perfino l’onore).

E gli italiani? E i senesi? Vivevano unpo’ sollevati, tutti d’accordo, anche i fasci-sti, ché la guerra si profilava bella, maassai scomoda, gli indefinibili mesi della“non belligeranza” in una finta normalità,drôle de guerre sul fronte anglo-franco-tedesco, drôle de paix nel nostro Paese.

E in quella temperie non proprio eroi-ca ecco due stuzzicanti cronachette dallepagine senesi dei quotidiani toscani LaNazione e Il Telegrafo del 17 ottobre 1939XVII. La polizia a Siena vince un’ennesi-ma battaglia – che proprio vincesse laguerra nessuno lo potrebbe affermare –contro la immoralità, idra dalle setteteste. I metodi usati e il “rispetto” alle per-sone che emergono dalle due cronachet-te sono straordinarie, e caratterizzanoun’epoca di costume non tanto fascistaperché la politica non vi ha parte, quantoborghese e candidamente ipocrita secon-do l’antico adagio nisi caste saltem caute.

Il Telegrafo “in difesa della moralità edel buon costume – il fermo di trentacin-que coppie”. Proseguendo in una oppor-tuna opera di difesa della morale e delbuon costume la Questura a mezzo disquadre di agenti dirette dal CommissarioDott. Mendia, ha proceduto ieri sera alfermo di ben trentacinque coppie di …innamorati trovate nell’ora “in cui volge il

desio” in luoghi reconditi o comunquenon illuminati dalla violenta luce dellelampade ad arco né da quella della can-dida luna come è noto nemica dei ladri edegli amanti. I piccioncini furono distrattinel dolce tubare ed accompagnati neilocali della Questura per la loro identifi-cazione e relativi accertamenti ed even-tuali provvedimenti. L’azione della R.Questura varrà certamente a richiamaread una più retta austerità di costumi incoloro che dimenticano con troppa facili-tà le forme di una giusta convenienza econvivenza sociale”.

La Nazione “una retata della squadradel Buon Costume”. Ieri sera dopo avercollocato a posto la mèsse di colombicolti caldi caldi nei nidi di via del Casato,gli agenti di P. S. al comando del Dott.Mendia vollero dare una capatina anche acerti angolini di San Prospero e di Pescaiache restando nell’ombra sono provviden-ziali per i colombi senza nido. E la cacciafu assai fruttuosa poiché ben trentacin-que, diciamo trentacinque coppiette veni-vano sorprese e convogliate sul cellulareverso la Questura per l’identificazione.Pianti, gridolini da parte femminile,imprecazioni mormorate tra i denti daparte maschile, scene tragicomiche siverificarono nella movimentata riunione.La lezione però sarà certo salutare perl’avvenire. L’operazione compiuta dagliagenti della R. Questura così fruttuosa esu vasta scala deve far riflettere anchecoloro che non sono stati “pescati” chenon bisogna rasentare il Codice neancheper quello che riguarda la morale e ilbuon costume. La vigilanza anche in que-sto settore dell’attività di P.S. è, come sivede, continua: è difficile quindi passareinosservati dinanzi alla buona vista di chiè preposto alla tutela dell’ordine e della

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morale”.La notizia precedente era titolata

“Colombi al laccio” annunciava cioè sor-presa di coppie non sposate in case diappuntamento in via del Casato e se nedavano i precisi indirizzi così come siusava per le “fermate per misure”: nome,cognome e indirizzo, tutto sul giornale!!

È una lettura che lascia sbalorditi ma infondo, è passato tanto tempo, tutto som-mato, anche tanto divertiti: settanta perso-ne vengono portate col cellulare dei cri-minali negli stretti anditi di Via delCastoro, individuate, registrate, e ammoni-te a “non farlo più”: alcune coppie, forsetante, denunciate perché facevano l’amo-re. Gli effetti devono essere stati deva-stanti specialmente per le donne sia spo-sate che nubili salvo qualcuna che proba-bilmente se ne infischiò e per molte fami-glie guai e litigi. Fa impressione il nume-ro – una sera a caso presuppone un “tuttele sere” – e non si distinguono, almenonelle cronache, fidanzatini, adulteri, cop-pie libere anzi liberissime di celibi e dinubili. Eppure da poco a Siena era stata“aperta” la casa “chiusa” di lusso e neerano aperte altre a buon mercato, segno

più che evidente della futilità e dell’arcai-cità di certe attuali proposte di eros centeret similia.

I redattori della Nazione e delTelegrafo dopo aver riso, immaginiamo, acrepapelle e sussurrato tra di loro i nomi-nativi più noti e la condizioni nelle qualierano stati scoperti si compiacciono conle Autorità e ne lodano la solerzia, anchese a qualche giovane redattore quellasera era forse andata bene e non era statosorpreso anche lui.

Tempi remoti: ma non tanto poi e sefu “sorpresa” qualche coppia di minoren-ni: qualcuno, leggendo, sorriderà e pen-serà con nostalgia ai rischi e alle gioiedell’adolescenza.

Senza ironie, perché quella sera ci fuvera sofferenza si provò vergogna e forsedisperazione, si può riflettere sull’assolutainutilità di certe operazioni e sulla ipocri-sia nel battere le mani per l’approvazione.

Tempi migliori o peggiori di oggi?Sono dell’opinione del mio parroco cheafferma sempre di non credere che “unavolta” tutto andasse meglio.

Grazie al personale della Bibliotecadegli Intronati, cortesissimi.

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Il Costituto del Comune di Siena del 1309/1310a cura di MAHAMOUD SALEM ELSHEIKH

Ho letto con grande interesse ilCostituto del Comune di Siena, vale a diregli statuti del Comune di Siena volgariz-zati dal notaio Ranieri Gangalandi nel1309 e nel 1310. Si tratta di un’edizionecritica che appare a distanza di un secolodal testo approntato da Alessandro Lisini.Pubblicato dalla Fondazione del Montedei Paschi di Siena, ne è stato curatoreMahamoud Salem Elsheikh.

Il mio è stato un interesse più che altrolinguistico, ma i volumi si leggono volen-tieri anche per la preziosa massa di noti-zie relative a Siena e al suo territorio.Profano in questa materia, mi astengodoverosamente da ogni giudizio: questavuole essere solo una nota. Mi limito adire che per certe parti, in un volumeapposito, sarebbe utile al lettore una spie-gazione del testo, dove questo spessorisulta ostico nella sua concisione notari-le, ma anche dove la visione d’insieme èpoco accessibile nonostante una chiarez-za formale sufficiente. Sarebbe un lavoroche oltre a impegnare il filologo, dovreb-be soprattutto ricevere le cure dello stori-co, profondo conoscitore di cose senesi.

Puntò l’indice su tale esigenza il Lisininella sua introduzione, ricordando che già

Luciano Banchi aveva cominciato un lavo-ro complesso come questo, che la morteprematura aveva interrotto sul nascere.Siccome non si riscontrano novità testualidi grande rilievo (unico fatto nuovo è ilglossario, ampliato e potenziato dagli stru-menti informatici), tanto valeva riprodurreanastaticamente la bella edizione delLisini, destinando buona parte della spesapreventivata a qualche studioso addentroalla materia, che si facesse carico in unvolume a parte del lavoro esplicativo,quello sì indispensabile.

Mi limito all’esempio di un piccolocontributo, prettamente linguistico, relati-vo al Costituto 165 del primo volume, dicui riporto il testo:

Di non ricevere candela, overo caval-catura, da la podestà quando andasse nel’oste.

Et giuri et sia tenuto, la podestà, in qua-lunque luogo stesse overo andasse, percagione di guerra overo per altra cagione,dal comune, overo popolo di Siena, overoalcuna persona, overo luogo de la città,overo contado di Siena, non ricevere can-dela, overo somaia, overo mulo, overo

Riflessioni in merito ad eventidella vita culturale senese:

Una importante pubblicazionepatrocinata dalla Fondazione MPS,una fortunata trasmissione televisivadella RAI e nuove interpretazionidel “Buon Governo”di Ambrogio Lorenzetti

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altra cavalcatura, né alcuna altra cosa, néalcuno di sua famellia lassare menare,overo ricevere. Et questo medesmo s’in-tenda et s’oservi di missere lo capitano delComune e del Popolo di Siena.

Si capisce facilmente che il podestà,ma anche “missere lo capitano delComune e del Popolo di Siena”, insiemea tutti quella della loro “famellia” nondevono far ricorso a cavalcature prese anoleggio, o forse anche a titolo gratuito,quando vanno in guerra o in missione.Per lo storico non dovrebbe essere diffici-le dare una spiegazione logica a un simi-

le divieto. Io sono stato colpito dalla paro-la “candela”, dal significato evidente, madi cui ho cercato inutilmente una spiega-zione accettabile nel glossario allegato aivolumi, nella Crusca e nel dizionario delBattaglia. Ho fatto un ultimo tentativo conun vocabolario di greco antico e ho tro-vato kanthélios, asino con due ceste albasto. Il particolare è per me importanteperché, se non bastassero certi toponimidel territorio senese (si veda per esempioFiletta), testimonia l’influsso che Sienadovette ricevere dai rapporti commercialie politici con i bizantini.

MENOTTI STANGHELLINI

Siena in “Italia che vai”

Non era oggettivamente facile conden-sare in meno di due ore di trasmissioneuna descrizione televisiva di Siena, basatasu immagini della città, del suo contestourbano e del suo territorio, sostenuta daindispensabili riferimenti storici, imprezio-sita dalle impressioni, più o meno colte, diillustri visitatori. E, come hanno puntual-mente sottolineato le cronache giornalisti-che, il programma trasmesso da RAI 1 loscorso febbraio “ha fatto centro” racco-gliendo consensi ed ammirate lodi. I duetoscanissimi conduttori Paolo Brosio eTessa Gelisio si sono mossi con garbatadisinvoltura sia nelle piazze e nelle viedell’antico centro cittadino, sia nelle tramedi una storia plurisecolare, accompagnan-do gli interventi di illustri ospiti comeVittorio Sgarbi e Raina Kabaivanska, odintroducendo autorevoli personaggi comeil Sindaco Maurizio Cenni, il Presidentedel Monte dei Paschi Pier Luigi Fabrizi, ilDirettore della Fondazione Emilio Tonini.Di volta in volta i due conduttori hannovisitato monumenti, musei ed istituzioni:con Duccio Balestracci sono stati nelPalazzo pubblico e sui sagrati del Duomoe di S. Maria dei Servi, con Ermanno Vigninei cunicoli dei “bottini”, con Emilio Ravele Roberto Papei nelle stanze della Civetta- ma di Palio si è ovviamente parlato a

lungo nell’incontro con Aceto -, conAlessandro Mugnaioli nei vasti sotterraneidella fortezza medicea dove ha sedel’Enoteca italiana, con Franco Biondi Santinelle cantine della tenuta di famiglia doveinvecchia il suo prestigioso Brunello. Ma ilterritorio senese ha ricevuto pure altreattenzioni, infatti, dopo Montalcino, letelecamere si sono recate a Colle - per unadoverosa visita al mondo del cristallo - aMontaperti, a S. Gimignano, a BagnoVignoni, a Radicofani - per un’originalerievocazione di Ghino di Tacco - e perfi-no a Castel di Pietra, in Maremma, dovemorì la Pia dei Tolomei. Carlo Verdone haricordato, con sincera ed affettuosa parte-cipazione, la sua infanzia senese e sottoli-neato come alla città sia legata la sua for-mazione umana ed artistica. AlessandroNannini ha confermato la sua divertenteverve. Corrado Augias ha rievocato ladrammatica vicenda di Pia dei Tolomei,cantata da Dante e figura di spicco dellaletteratura romantica ottocentesca. CarloMassarini ha descritto le prerogative e leprospettive della cablatura, che poneSiena all’avanguardia nel mondo per l’im-piego a scopi civici della più avanzata tec-nologia telematica. La Kabaivanska ha evi-denziato l’importanza dell’AccademiaChigiana, descrivendola come una capita-

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le mondiale della musica colta, illuminatadal mecenatismo del fondatore, GuidoChigi Saracini, e dalle performances digrandi concertisti come Rubinstein,Cortot, Segovia, Rostropovich. IntantoVittorio Sgarbi conduceva magistrali lezio-ni: nel Museo Archeologico, perfettamen-te ambientato con gusto straordinariodall’Architetto Canali nei sotterranei del S.Maria della Scala, alla villa di Geggiano,amata dall’Alfieri che vi fece rappresenta-re alcune sue opere e, infine, nella saladella Maestà di Duccio: un artista che ilcritico definisce non inferiore a Giotto ecapace di concepire la pittura con straor-dinaria modernità espressiva e cromatica.Nei suoi nitidi interventi Sgarbi evidenzia-va correttamente i valori dell’arte senese,espressione di una dimensione culturaledella città alta ed elitaria, sicuramente diprimo piano nella storia italiana. Maanche altri contributi tenevano a precisarela particolarità e la grandezza di tantiaspetti della vita di Siena, che tutt’oggifanno pensare alle sue tradizioni, ai suoimonumenti, alla bellezza dei suoi paesag-gi urbani e campestri come ad un qualco-sa di unico ed irripetibile. Sarebbe sconta-to ed inutile rammaricare le dimenticanze,vale a dire tutto ciò che non è stato con-siderato dalla trasmissione, perché perdescrivere compiutamente Siena forsenon sarebbero state sufficienti 10 puntate.Tuttavia ripensando ad alcuni commentiascoltati, traspare qualche stonatura chesegnaliamo non per volontà di critica, maper un doveroso senso di rispetto verso lastoria. Infatti il concetto, per altro insistito,della laicità su cui viene concentrato il rac-conto delle antiche vicende senesi apparequanto meno distorto ed approssimativo,se non vengono contestualmente ricorda-te la forte devozione dell’antico popolosenese per la Vergine, Advocata Senen-sium, la cura costante degli antichi gover-nanti nell’erigere luoghi di culto nella cittàe perfino all’intemo dei palazzi del pote-re, nonché la donazione delle chiavi dellacittà alla sua celeste protettrice sotto l’in-combenza di gravi pericoli.

Non è stato nemmeno accennato allenumerosissime committenze artistiche,

pubbliche e private rivolte a rappresenta-re temi religiosi e, incredibilmente, le tele-camere non sono entrate in nessuna dellestupende chiese sparse nella città o nellecampagne, come non sono entrate nellaPinacoteca. Si è parlato di S. Caterina soloper segnalare che andava a curarsi con leacque termali di Bagno Vignoni, mentrenessuno ha ricordato che i “laicissimi”,antichi governanti affidavano l’ammini-strazione delle finanze comunali ai mona-ci di S. Galgano.

Balestracci ha correttamente evidenzia-to che la costituzione, nel 1472, del MontePio, fu voluta dal Comune e non come inaltre città da enti religiosi; ma, quasi incontraddizione, il Presidente Fabrizi pocodopo mostrava il dipinto dedicato allaMadonna della Misericordia e commissio-nato dai primi amministratori dell’istituto aBenvenuto di Giovanni, perché ne fossecelebrata la fondazione, sottolineandoinnanzitutto la matrice cristiana delle fina-lità assistenziali ad esso affidate.

Si è pure sostenuto il senso della col-lettività come elemento di indirizzo politi-co dell’antico stato senese, che però fupresto frantumato dalla faziosità dei“monti” fino a rappresentare una delleprincipali cause della caduta di Siena nellamorsa dell’espansionismo asburgico.

Ne è pertanto risultata una visione par-ziale, che avrebbe potuto dare luogo adinterpretazioni inesatte e fuorvianti.

In realtà gli assetti istituzionali dell’an-tica Siena mostravano, oltre a una formadi democrazia imperfetta, ma assai avan-zata a quel tempo, un forte ed indubitabi-le riconoscimento dei valori religiosi, tut-t’oggi ben visibile nell’immagine artistica,nelle tradizioni e nella cultura della città.Un riconoscimento che è apparso ingiustoemarginare in ossequio, forse, alla secola-rizzazione oggi dominante, come se ci sidovesse vergognare di un’importante rile-vanza storica, con il magro risultato di ina-ridire la bella trasmissione in una dellerare occasioni in cui la RAI si è ricordatadi Siena.

(E. P.)

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Nuove ipotesi e suggestioni sul “Buon Governo”di Ambrogio Lorenzettiinterventi di MARIO ASCHERI, ANDREA BROGI E VINICIO SERINO

Lo scorso 23 giugno si è tenuta nellasala degli Specchi dell’Accademia unaconferenza organizzata dall’ARAS sugliaffreschi lorenzettiani del Buon Governo,nell’intento di offrire nuove “ipotesi esuggestioni” per la loro interpretazione.

Se i dipinti già a un primo sguardo

offrono uno spettacolare, realistico spac-cato di vita quotidiana nella Siena delTrecento, destinato a ben evidenziare ipregi della pace, rispetto alle tenebredella guerra, il loro significato filosoficoed il loro messaggio politico suggerisco-no non pochi elementi di analisi e di

Il particolare del “Bene Comune” nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti.

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riflessione, sui quali filologi, storici e sto-rici dell’arte hanno alimentato una lettera-tura assai ingente e di altissimo livelloscientifico.

Opportunamente quindi l’ARAS hariportato l’attenzione della cittadinanzasulla lettura, tanto complessa quanto affa-scinante, di queste opere, invitando aparlarne Mario Ascheri, Andrea Brogi e lostesso presidente dell’Associazione,Vinicio Serino.

Ascheri ha svolto la relazione d’apertu-ra, illustrando con un’analisi colta e pun-tuale le condizioni storiche che caratteriz-zarono la forza economica e l’impegnopolitico dei “Signori Nove”: l’“Ordine” digoverno nei decenni centrali del XIV seco-lo, che del ciclo lorenzettiano fu commit-tente quanto mai saggio e lungimirante.

Successivamente Brogi ha provato adecifrare la trama urbanistica ed architet-tonica degli affreschi, proponendone unalettura su cui non possiamo non esprime-re alcuni dubbi.

Allo scopo egli individua tre puntid’osservazione della città utilizzati, a suodire, da Ambrogio Lorenzetti per raffigu-rare la scenografia urbana affrescata sullaparete del Buon Governo, nella certezzache il pittore avesse voluto realizzare unarappresentazione esatta e dettagliata delpanorama senese, così come si presenta-va in quel tempo.

Una tecnica analoga sarebbe stataimpiegata 250 anni dopo da FrancescoVanni per rilevare la sua grande pianta diSiena, a ragione considerata uno deicapolavori della vedutistica italiana delCinquecento. Ma negli anni in cuiAmbrogio dipinge il suo capolavoro, l’i-conografia delle città è una disciplinaancora in divenire e la vedutistica urbanaè scarsamente attestata in termini diopere capaci di porsi in un credibile rap-porto di fedeltà all’esistente.

Inevitabilmente il relatore troppo spes-so deve motivare evidenti incongruenzeprospettiche con salti od aggiunte impo-sti dall’artista. In ognuna delle tre pro-spettive selezionate è costretto ad inter-pretare o riadattare i dettagli raffiguratiper dare loro un senso reale; mentre ipochi edifici iconograficamente sicuri,come il Duomo – oggetto, per altro, di

una ripresa successiva dell’affresco - euna porta della città risultano in una col-locazione topografica anomala. Pure lapretesa individuazione del palazzo dellaMercanzia in uno degli edifici centrali del-l’affresco lascia non pochi dubbi: posto inaffaccio sull’area aperta del Campo – daiprimi anni del XIV sec. fino al 1745 quan-do sarebbe stato sostituito da quellovagamente barocco degli Uniti – nonavrebbe potuto ritrovarsi, come nel dipin-to, in mezzo ad un agglomerato di altrecostruzioni; senza considerare, poi, che lagrande stampa raffigurante il Palio diluglio del 1717 – corso in onore diViolante di Baviera - mostra chiaramentei due ordini di trifore che ne corredano lafacciata ed invece il dettaglio dipinto daAmbrogio esibisce due ordini di bifore.

Anche l’individuazione di alcune portecittadine suscita alcune perplessità.Quella affrescata nel Buon Governo èindicata come Porta Tufi; ma perché ilrelatore non parla di Porta S. Marco,oppure di quella Romana, che, eretta dapochi anni, godeva di ben altra rilevanzamonumentale ed appare maggiormenteassimilabile sotto il profilo strutturale a

Dettaglio con il rilevo di una porta della città.

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quella dipinta? L’argomentazione dellapiegatura delle mura che si dipartono dal-l’apparato risulta debole in quanto l’inte-ro circuito murario senese presentavamoltissime piegature necessarie perseguire l’accidentato andamento del terre-no. Inoltre Brogi segnala lo sportello di S.Prospero in riferimento ad una delleporte rappresentate sugli Effetti delCattivo Governo, quando è noto che que-sta era solo una piccola apertura nellacortina – come mostra efficacemente latavoletta di Biccherna dipinta nel 1552 daGiorgio di Giovanni per celebrare la cac-ciata degli Spagnoli – collocata per di piùin una posizione diversa da quella indica-ta nella relazione.

A proposito delle strutture fortificaterappresentate su questi affreschi, giovaricordare quanto affermato da ChiaraFrugoni: “le mura della città sono solouna quinta architettonica” (Il governo deiNove a Siena e il loro credo politico nel-l’affresco dipinto da Ambrogio Lorenzetti,in “Quaderni Medievali”, 7 - 1979, p. 83).Un concetto che sinteticamente, ma effi-cacemente suggella il valore essenzial-mente scenografico del dettaglio struttu-rale dipinto da Ambrogio.

Insomma non poche chiavi interpreta-tive sono sembrate lontane dalla realtàstorica, sospinte da forzature di nonmodesta consistenza e sostenute da argo-mentazioni opinabili.

La critica ritiene ormai unanimementeche gli affreschi commissionati alLorenzetti dovevano soprattutto esprime-re un significato simbolico: la città chevive in pace ed in concordia, fervente diimprese e pulsante di vita; in contrappo-sizione a quella che soffre sconvoltadalla discordia, dove predominano lestrutture militari e le attività di supportoagli eventi bellici.

È evidente che la fonte di ispirazionedelle architetture raffigurate dal Lorenzettideve essere vista nei palazzi e nelle casedi Siena, ma da qui alla specifica indivi-duazione di ogni singolo edificio raffigu-rato sugli affreschi il passo è veramentelungo e purtroppo sprovvisto di docu-menti o di argomenti effettivamente capa-ci di sostenerne la credibilità.

Valga a questo proposito il commento

recente ed autorevole – considerato l’as-soluto valore critico degli studi condottida chi l’ha tracciato - espresso da MariaMonica Donato tra le pagine del suo sag-gio: Il pittore del Buon Governo: le operepolitiche di Ambrogio in PalazzoPubblico (in Pietro e Ambrogio Lorenzetti,a cura di Chiara Frugoni, Firenze, 2002,p.226):

“Lasciamoci avvincere, dunque: ma nonfacciamo l’errore d’interpretare lo spettaco-lo che ci attende sulla parete destra comeuna veduta in senso moderno”.

Successivamente la studiosa sottolineal’importanza dell’affresco, che offre un“credibile paesaggio” per la prima voltanell’arte occidentale: “mai prima uno sce-nario urbano o rurale era stato ricostruitoin pittura con simile ampiezza di raggio,complessità di piani, varietà di detta-gli…in parte visti dal vero”, ma, avverte laDonato, non è un “paesaggio gratuito”,perché il pittore è interessato non tantoad offrire una visione fedele di Sienacome in una foto ante litteram, quanto adesprimere simbolicamente il messaggiopolitico che i “Signori Nove” volevanomostrare ai contemporanei ed ai posteri;ad offrire una rappresentazione idealedella città ben governata ed in questosenso la porta raffigurata da Ambrogiodovrebbe piuttosto essere individuata inquella di Romana, simbolo imponentedella grandezza dei Nove che il cronistaAgnolo di Tura orgogliosamente definivala più “grande e bella …porta che sia inItalia”.

Argomenti che comunque determina-no un sostanziale passo avanti nellavicenda critica relativa all’affresco loren-zettiano, perchè solo saltuariamente glistudiosi che in passato si sono soffermatiad analizzare l’opera hanno tentato didescriverne le vedute urbane in terminispecifici, definendole anzi come l’effettodi una rilevazione “generica” (RandolfStarn, Ambrogio Lorenzetti- The PalazzoPubblico, Siena, New York, 1994, p. 80).

Opportunamente nel suo intervento dipresentazione degli argomenti trattati,Vinicio Serino avvertiva che si trattava diinterpretazioni personali, suscettibiliquindi di essere messe in discussione.Tuttavia, anche nel tema da lui affrontato

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si notavano alcune affermazioni su cuiappare necessario svolgere una breveriflessione.

La pur condivisibile attribuzione di lai-cità allo spirito che pervade e secolarizzail ciclo pittorico, si scontra con una solidarealtà storica al momento in cui Serino,specificando il suo pensiero, evolve ilconcetto di laicità in quello, assai piùradicale, di un manifesto “contrasto conl’allora dominante cultura cristiana”.

Stimolato dal garbato intervento diGiuseppe Pallini, che faceva opportuna-mente notare come sullo stesso affrescodel Buon Governo esistesse un precisoriferimento alle virtù Teologali e Cardinalidestinato ad attenuare la valenza forte-mente “umanistica” dell’opera, Serinoaffermava che la quasi totale mancanzasull’affresco di riferimenti iconograficireligiosi e la diffusa ispirazione simbolicacomprovavano una precisa volontà dicontrapposizione ai valori della Chiesa.Una chiave interpretativa che non si ritro-va in nessuno dei numerosi ed autorevo-li studiosi che con grande attenzionehanno analizzato il messaggio filosoficocontenuto negli affreschi: da NicolaiRubinstein a Ute Feldges Henning, daQuentin Skinner a Chiara Frugoni, daRandolph Starn a Maria Monica Donato;mentre un acuto critico come AlbertoCornice ricollega la rappresentazionedelle virtù Teologali e Cardinali al motivoconduttore degli stupendi pulpiti di Pisa edi Siena, creati rispettivamente daGiovanni e Nicola Pisano, che prima diessere monumenti della storia dell’artesono monumenti del pensiero cristiano.

E’ facile osservare come attorno allafigura principale del ciclo pittorico, quelvegliardo seduto centralmente che, rap-presentando il “Bene Comune”, costitui-sce l’elemento ideale centrale degli affre-schi, si legga la sigla: C.S.C.V., da scio-gliere in Commune Senarum CivitasVirginis. Un semplice, breve enunciato,comunque sufficiente per evolvere lasecolarità della raffigurazione nell’espres-sione dell’alto sentimento religioso chesorregge la visione politica dei “SignoriNove” e guida la mano creativa del loropittore.

D’altra parte, se appare poco visibilel’immagine della Vergine dipinta sul sigil-lo del Comune sostenuto con la manosinistra dal vegliardo, non possiamodimenticare che, di lì a poco, Ambrogiosarà incaricato dagli stessi committenti didipingere nella loggia superiore delPalazzo l’immagine della Madonna colBambino – oggi purtroppo assai malri-dotta – che opportunamente la Donatoconsidera una sintesi tra la forte tradizio-ne cristiana della città e i temi secolari delBuon Governo, dove è possibile indivi-duare l’incontrovertibile omaggio versocolei che gli antichi Senesi riconosconocome la “vera e sola sovrana” della lorocittà, non a caso ripetutamente e persecoli appellata Civitas Virginis.

Forse oggi potrà non piacere, ma nonsi può negare l’evidenza che l’interoPalazzo Pubblico rappresenti una straor-dinaria opera di esaltazione dello spiritoreligioso voluta degli antichi governantidella città ed attestata - nelle forme piùalte dell’espressione artistica - dallaMaestà di Simone Martini, da quellaCappella di Palazzo che era stata eretta inassoluta adiacenza alla sala in cui si pren-devano le supreme decisioni di condu-zione dello Stato, nonchè dalle numero-se immagini di santi disseminate in moltesale. Se poi ricordiamo che tutte le ini-ziative legislative e di governo eranoassunte “in nomine Dei” e richiedendol’aiuto della Vergine “advocata senen-sium”, anche la semplice ricerca di unpur sporadico atteggiamento antireligio-so da individuare nelle iniziative digoverno assunte dai “Signori Nove”,appare destinato al più infelice fallimen-to. Significa non capire che questi antichi“reggitori” dello Stato avevano ben pre-senti il senso secolare delle cose digoverno e la supremazia dell’interessecomune su quello individuale, ma nonavrebbero mai ripudiato, insieme all’anti-ca devozione religiosa, una visione dellapolitica che poneva con serena fiducia lesorti della città nelle mani della sua cele-ste protettrice.

(E. P.)

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Indice

ROBERTO BARZANTI, Le Biccherne come icone del potere . . . . pag. 1

GIOVANNI MACCHERINI, Gli stemmi di Palazzo Petroniin Pantaneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 29

PATRIZIA BIANCIARDI MARTINELLI, Quando la sorte è in gioco . » 14

ETTORE PELLEGRINI, Una strana combinazione: due differentiedizioni senesi della vita di S. Caterina,entrambe pubblicate nel 1524 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 30

MENOTTI STANGHELLINI, Un raggiro ingegnoso nel periodo dichiusura della Congrega: i due Falotici, il lino e la stoppa . . . » 35

ENZO BALOCCHI, Briciole di cronaca.Il trionfo della morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 39

Riflessioni in merito ad eventi della vita culturale senese:Una importante pubblicazione patrocinata dalla Fondazione MPS,una fortunata trasmissione televisiva della RAI e nuoveinterpretazioni del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti

Il Costituto del Comune di Siena del 1309/1310 . . . . . . . . . » 41

Siena in “Italia che vai” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 42

Nuove ipotesi e suggestioni sul “Buon Governo”di Ambrogio Lorenzetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44