BN42_IL GIOIELLO DI ATLANTIDE

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women fiction

Transcript of BN42_IL GIOIELLO DI ATLANTIDE

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Jewel Of Atlantis

HQN Books © 2006 Gena Showalter Traduzione di Anna Polo

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne

giugno 2011

Questo volume è stato impresso nel maggio 2011 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 42 del 24/06/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Gli dei non intendevano crearli. Percorsero i cieli per secoli, invocando esseri da guida-re, nutrire e dominare, desiderosi di un regno traboccante di sudditi leali, grati e obbedienti. Così nacque l'idea dell'Uomo. Terra, aria, mare e fuoco vennero mescolati per forma-re delle creature viventi. Gli elementi però erano instabili e le proporzioni difettose, così che il risultato finale fu a-troce: gli esseri creati non avevano le sembianze e l'indo-le che gli dei si aspettavano, non erano leali e grati e tan-to meno obbedienti. I draghi, i minotauri, i vampiri, i nin-fi, i formoriani e molte altre creature erano potenti rivali, potenziali usurpatori del trono immortale. Nei cieli si diffuse la paura. Presi dal panico, gli dei condannarono quelle creature mostruose a vivere sotto il mare, legati per sempre a una città e a una terra di nome Atlantide. L'unico ricordo del-la loro esistenza era il Libro di Ra-Dracus, che illustrava nei particolari la creazione e i punti deboli di ogni razza. Passarono vari secoli. Come sempre accade, il tempo indusse gli dei a di-menticare e a seppellire il ricordo del loro errore passato. Ormai percepivano solo il bisogno crescente di compa-gnia, così cercarono un'altra volta di creare l'Uomo.

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Questa volta il risultato fu del tutto diverso e nacque la razza umana. Poco dopo iniziò l'età dell'armonia: gli dei interferiva-no nella vita degli umani e questi li adoravano. Restava solo un'unica, tacita regola: le due creazioni tanto diver-se, la razza umana e quella di Atlantide, non dovevano mai incontrarsi, conoscersi e innamorarsi. Ma qualcuno avrebbe dovuto spiegarlo a Grayson Ja-mes.

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Avrebbe dovuto essere una missione facile e rapida, un lavoretto da niente. Il suo capo gli aveva rifilato quel genere di stronzate e Grayson James era stato così stupido da credergli. Appe-na entrato nella terra lussureggiante e lambita dal mare nota come Atlantide, tuttavia, Gray si rese conto che a-vrebbe avuto più fortuna cercando di vendere un frigori-fero a un eschimese. Atlantide. Non era un mito, maledizione. Avrebbe preferito il contrario. In una mano stringeva un GPS in miniatura, program-mato secondo le coordinate ritrovate in una vecchia mappa di Atlantide che il suo capo aveva scoperto nel nascondiglio di un milionario scomparso. In quel mo-mento il segnale lo aiutava a muoversi nella giungla che ricopriva quella parte di Atlantide. Nell'altra mano strin-geva un machete affilato, utile a farsi largo nella fitta ve-getazione che gli bloccava il passaggio. Atlantide non era un mito, ma la dimora delle creature più mostruose che avesse mai incontrato. E come agente dell'OBI, Otherworld Bureau of Investigation, specializ-zato in missioni su altri mondi, tra razze diverse da quel-la umana, Gray ne aveva conosciute molte.

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A volte si chiedeva perché mai avesse accettato di la-vorare per l'agenzia. Conosceva la risposta e non era perché avesse passato l'adolescenza a guardare in segreto le puntate di Star Trek e sapeva parlare klingon. Quando aveva scoperto con un misto di orrore e fasci-nazione che esistevano altri mondi nella vastità delle ga-lassie, aveva dato le dimissioni da detective della polizia di Dallas e si era messo a cercare un diverso tipo di lavo-ro. Quando l'OBI l'aveva contattato, Gray aveva accetta-to subito l'offerta di diventare un agente: credeva con fer-mezza nella necessità di conoscere questi mondi alterna-tivi e se necessario di proteggere la Terra da loro. Come avrebbe potuto immaginare che le creature più temibili di tutte risiedevano nel suo stesso pianeta, na-scoste sotto il mare e protette da una strana, lucente cu-pola di cristallo? Evitò un ramo e strinse i denti. «Atlantide» borbottò. «Nome in codice, Inferno.» Dopo aver varcato un portale luminescente e sottoma-rino che l'OBI aveva scoperto in Florida, si era ritrovato in un enorme palazzo di cristallo sorvegliato da uomini im-ponenti e armati di spada. La fortuna l'aveva assistito, permettendogli di avanzare senza farsi vedere e di entrare nella giungla. A quel punto però quella stessa fortuna l'aveva ab-bandonato. Nelle ultime due notti un comitato di ricevimento composto da un vampiro succhiasangue, un drago spu-tafuoco e un demone alato gli aveva dato la caccia; o-gnuno di loro voleva divorarlo, era chiaro, e il solo ricor-do lo faceva sudare. Gray ormai sapeva che cosa lo aspettava: il buio sa-rebbe calato nel giro di un'ora e quelle... creature sareb-bero emerse per riprendere la caccia.

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Il sangue gli si gelò nelle vene al pensiero e nemmeno l'aria umida e afosa riuscì a riscaldarlo. Era bloccato in quel luogo infernale da cinquantotto ore e per quattordici aveva seguito lo stesso schema: le creature lo inseguiva-no e lui fuggiva. La prima notte aveva cercato di sparare con la sua Be-retta: era riuscito a colpire il drago in mezzo agli occhi, ma gli altri inseguitori avevano schivato le pallottole con mosse agili e veloci, mettendosi al di fuori della sua por-tata. La seconda notte Gray aveva usato la sua esperienza in combattimento per tagliare la gola al vampiro. Doveva ammettere che era stato un piacere, ma non era rimasto illeso: ora cinque profondi tagli e un morso gli adornava-no il collo e una coscia: pulsavano in modo doloroso e anche se non si erano infettatati non stavano nemmeno guarendo. Non sapeva come avesse fatto a sfuggire al demone: ferito, sanguinante e indebolito com'era, non sarebbe stato difficile sopraffarlo e divorarlo come una deliziosa cenetta. Gray si era chiesto spesso se il demone non l'a-vesse lasciato andare di proposito per godersi più a lungo l'eccitazione della caccia. Be', quella notte il mostro non sarebbe stato l'unico a divertirsi, pensò con un sorriso soddisfatto. Non si sa-rebbe fatto cogliere di sorpresa e anzi aveva già elaborato un piano per uccidere quel bastardo e mandarlo a rag-giungere all'inferno i suoi orribili amici. Se l'operazione non fosse riuscita, sarebbe ricorso a un piano di emer-genza, correndo come un pazzo a nascondersi, in attesa della luce che avrebbe ricominciato a filtrare dalla cupola di cristallo sovrastante. Sollevò lo sguardo su di essa: al posto del cielo, c'era solo un'immensa distesa di cristallo iridescente e perla-ceo. Le onde si frangevano in continuazione contro il la-

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to esterno della cupola e pesci e creature di ogni colore e dimensione nuotavano in tutte le direzioni. Le sirene nu-de erano le sue preferite. Un rametto gli graffiò la guancia, peggiorando il suo umore già nero. Be', almeno gli sciami di insetti avevano smesso di tormentarlo. Una vera consolazione, pensò amaro. Non avrebbe mai dovuto accettare quella missio-ne. In quel momento il suo orologio prese a vibrare e Gray si fermò di colpo. «Proprio quello che ci voleva» borbot-tò. Era ora di comunicare con la base. Lasciò cadere a terra lo zaino, vi frugò dentro, estrasse un piccolo trasmettitore nero e lo accese. Se non si fosse fatto vivo almeno una volta al giorno, avrebbero mandato i rinforzi a portare a termine la sua missione. Gray non aveva mai fallito e non intendeva cominciare adesso. «Babbo Natale a Mamma» dichiarò. Come al solito quei nomi in codice gli strapparono una smorfia di disgu-sto. La sua unità gli aveva dato quel soprannome, visto che visitava altri mondi e vi lasciava regalini, tipo bombe e cadaveri, e lui non era più riuscito a liberarsene. «Mi sentite?» «Continua, Babbo Natale» rispose qualcuno dopo una serie di scariche. Gray riconobbe la voce di Jude Quinlin, il suo capo. «Sono ancora senza il pacco, ma va tutto bene.» «Ricevuto.» «Chiudo.» Interruppe la trasmissione, infilò il ricevitore nello zai-no e si rimise in moto. Le cose non andavano affatto be-ne: per sopravvivere al prevedibile attacco del demone doveva trovare una radura con lo spazio per mettersi al riparo e fino a quel momento non aveva avuto fortuna. E il calar del buio era sempre più vicino... Una vera muraglia di alti alberi gli bloccò il cammino e

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Gray girò a destra, ma il GPS emise una serie di segnali frenetici, segno che aveva sbagliato strada. Lui tornò in-dietro digrignando i denti, fino a quando l'aggeggio in miniatura non si fu calmato. Il sudore gli colava dalle tempie sulla tuta mimetica. Si meritava una vacanza, maledizione, una possibilità di abbracciare i fratelli e la sorella che non vedeva da più di due anni. Li chiamava regolarmente, ma quelle telefo-nate, per quanto frequenti, non erano lo stesso che strin-gerli a sé e ridere con loro. Stare con loro. Gray voleva giocare con i bambini di Katie e assicurarsi che suo mari-to Jorlan la trattasse come meritava. Lavorare per l'OBI significava fare continui viaggi tra pianeti e non permetteva frequenti visite a casa. Anzi, non permetteva viaggi se non in mondi alieni e ora in cit-tà sottomarine. Di sicuro quella vita non favoriva appun-tamenti e scopate, a meno di non desiderare un'avventu-ra di una notte con una femmina aliena con tre occhi e la pelle viscida e azzurra. E lui non la desiderava. Primo, non gli erano mai piaciute le avventure di una notte. Preferiva molte notti con molteplici orgasmi. Secondo, l'idea di una femmina del genere non lo at-traeva per niente. Terzo, gli piaceva prendersi tutto il tempo del mondo con una donna, indugiare su ogni sfumatura del suo cor-po, gustare il suo profumo e il suo sapore e sentirla loda-re in inglese il suo stupefacente talento a letto. Quell'ultimo pensiero gli strappò una risata. Un ramo gli graffiò di nuovo la guancia e il divertimen-to svanì: era colpa sua. Non avrebbe dovuto abbando-narsi a simili divagazioni. Quello non era il momento di pensare al sesso e alle donne. Gray attribuì quella distra-zione al caldo e al fatto che non scopava da tempo. Da troppo tempo.

Anima nera EVE SILVER

Graffio assassino RACHEL VINCENT

Fredda e calcolatrice, Naphré ha venduto l'anima a un de-mone che si avvale dei suoi servigi come sicario. Non si aspetta certo che un mietitore d'anime le dia la caccia, ep-pure Alastor Krayl non le dà tregua. Quel seducente mieti-tore d'anime le fa ribollire il sangue, ma Naphré non può fidarsi di lui. Anche se vorrebbe arrendersi alla passione...

La vita di Faythe non conosce un attimo di noia: il suo fi-danzato, Marc, è stato esiliato, e le manovre politiche dei clan rivali le impediscono di vederlo per lungo tempo. Ma quando lui viene aggredito da una banda di randagi muta-forma e dato per disperso, Faythe sfodera gli artigli, pronta a difendere l'uomo che ama. Anche a costo della vita.

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