Le avventure di Pinocchio: narratività transmediale e parodia

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Dottorato di Ricerca in Letteratura e media: narratività e linguaggi. Ciclo: XXXI Le avventure di Pinocchio: narratività transmediale e parodia Cognome / Surname: Peluffo Nome / Name: Nicoletta Matricola / Registration number: 14601 Tutor: Prof. Paolo Giovannetti Cotutore / Cotutor: Dott. Andrea Chiurato Coordinatore / Coordinator: Prof. Vincenzo Trione ANNO ACCADEMICO 2017/2018

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Dottorato  di  Ricerca  in  Letteratura  e  media:  narratività  e  linguaggi.  Ciclo:  XXXI  

   

 Le avventure di Pinocchio: narratività transmediale e parodia

   

 

Cognome  /  Surname:    Peluffo        Nome  /  Name:  Nicoletta                                                                      

Matricola  /  Registration  number:  14601  

 

Tutor:  Prof.  Paolo  Giovannetti      

Cotutore  /  Co-­‐tutor:  Dott.  Andrea  Chiurato  

 

Coordinatore  /  Coordinator:  Prof.  Vincenzo  Trione        

 

 

ANNO  ACCADEMICO  2017/2018  

   

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Alla mia famiglia

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Indice

0. Introduzione………………….………………………………………..10

1. Le avventure di Pinocchio: genesi, struttura, temi………….................18

1.1. Prime variazioni……………………………………….................21 1.2. Carlo Collodi, Pinocchio e l’industria culturale……………..…..23

1.3. Il passaggio da «storia» a «avventura»……………...…………...30

1.4. Intertitoli tematici o sommari…………………….........................32

1.5. Riassunti e monologhi interiori…………………………………..34

1.6. Metamorfosi e rispecchiamenti……………..................................39

1.7. Le manifestazioni della figura del doppio e i ribaltamenti……....41

1.8. Il teatro di Mangiafoco: spazio utopico e spazio paratopico…….43

1.8.1. Pinocchio nel teatro di Mangiafoco fra agnizioni e straniamento

………………………………………………………………...44

1.9. Esempi di tratti carnevaleschi..…………………………………..46

1.10. Il riso: gradazioni e funzioni…………..………...…………….…49

1.11. Il tema della paternità attraverso la mono-genitorialità di Geppetto……………………………………………………….....52

2. Modelli di intertestualità e intermedialità……………………..……....54

2.1. Riscritture…………………………………………………...........56

2.2. Percorsi intermediali…………………………..…………………59

2.3. Pinocchio, figura seriale................................................................62

3. Le riscritture di Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli……...........65

3.1. Luigi Compagnone e Pinocchio………………………….............65

3.1.1. Commento alla vita di Pinocchio…………………………….66

3.1.2. Il teatro come luogo della metamorfosi…………………...…..67

3.1.3. Accenni di critica al capitalismo…………………..………….68

3.1.4. La trasformazione finale……………………………..………..70

3.2. La vita nova di Pinocchio……………………..…………………72

3.2.1. La struttura e i temi…………….......………………………....74

  6  

3.2.2. «Il teatro degli Edipici» e la psicoterapia.………………….....75

3.2.3. Rovesciamenti e moltiplicazioni: le «Matres»………..……....76

3.2.4. La critica al capitalismo…………...……………………….…78

3.2.5. La «vita nova» e il Babel’s Building……….......…………......80

3.2.6. Le lettere dal Babel’s Building: un metatesto diacronico…….81

3.3. Giorgio Manganelli e la pratica della riscrittura………...……….82

3.3.1. Pinocchio: un libro parallelo. Una riscrittura fra commento metaletterario e variazione………………………………...….85

3.3.2. Fra libro cubico e lamina sovrascritta……………..………….88

3.3.3. Manganelli e l’individuazione di «parallelismi interni» alle Avventure……………………………………………………..89

3.3.4. Il teatro e le sue forme……..........…………………………….92

3.3.5. La duplicità di Mangiafoco e la funzione delle cinque monete d’oro…………………………………………………………..95

3.3.6. Il polimorfismo della Fata………………...…………………..97

3.3.7. Un burattino e un lettore in fuga……………..……………….99

3.3.8. L’isotopia cromatica………..………………………………..100

3.3.9. Conclusione………………………………………………….103

4. Le riscritture di Luigi Malerba e Robert Coover…………..……..….106

4.1. Luigi Malerba e Pinocchio con gli stivali: una fuga temporanea dalle Avventure……………………..…………………………...106

4.1.1. La fuga di Pinocchio come interruzione di un processo….....108

4.1.2. Pinocchio, il Lupo e Cappuccetto rosso: il ribaltamento delle funzioni...............................................................................................110 4.1.3. Pinocchio, il Principe e il teatro……………………………..113

4.1.4. Pinocchio e il Gatto con gli stivali: il ritorno nell’opera fonte115

4.1.5. Una riscrittura tra favola e fiaba……………………………..117

4.2. Robert Coover: Pinocchio in Venice………………………...….122

4.2.1. Modelli di riscrittura di Coover……………………..…….…123

4.2.2. Pinocchio in Venice: struttura dell’opera……………………126

  7  

4.2.3. La rete intertestuale e metatestuale di Pinocchio in Venice…129

4.2.4. La ridefinizione dei personaggi ...………………………...…134

4.2.5. Il corpo grottesco di Pinenut………………………….....…..137

4.2.6. Venezia e il carnevale permanente……………………..…...141

5. Modelli di permanenza e transizione di Pinocchio fra migrazioni e ibridazioni....................................................................................................146

5.1. Circolarità e replicabilità…………………………………...…...148

5.2. La promessa sposa di Pinocchio………………………………..153

5.3. Prime «pinocchiate»………………………………………….....155

5.4. «Pinocchiate» fasciste…………………………………………..156

6. Percorsi intermediali……………………………………………..…..161

6.1. Gli adattamenti di Giulio Antamoro e Giannetto Guardone……161

6.2. Gli adattamenti di Walt Disney e Luigi Comencini: un ricco «multistrato» di riferimento.……………………………………….......165 6.3. Pinocchio negli Stati Uniti: prima di Disney……………..…….166

6.4. L’operazione editoriale di Cramp-Ginn: l’eliminazione della violenza e la riconcettualizzazione valoriale…………………...168

6.5. Primi adattamenti teatrali negli Stati Uniti……………………...171

6.6. Disney e Pinocchio…………………...……...…………………174

6.7. Luigi Comencini e lo sceneggiato Le avventure di Pinocchio....179

6.8. Comencini: un film sul ricatto…………………………..……...184

6.9. La scansione seriale di Comencini……………………………...186

6.10. La musica negli adattamenti di Walt Disney e Luigi Comencini188

6.10.1. La musica come elemento intra-diegetico e extra-diegetico in Disney ……………..……………………………………………….191 6.10.2. La musica come elemento extra-diegetico in Comencini…..193

7. La persistenza di Pinocchio. I casi di Shrek, Grimm, Once Upon a Time, il film di Enzo D’Alò e la miniserie di Alberto Sironi………..………….195

7.1. L’adattamento di Enzo D’Alò e la riconfigurazione della costellazione familiare………………………………………...198

  8  

7.1.1. Geppetto e Turchina: una ridefinizione dei ruoli……..……..199

7.2. La miniserie di Alberto Sironi………..………………………....200

7.2.1. La miniserie, prodotto dell’industria culturale degli anni Duemila……………………………………………………...202

7.2.2. Pinocchio: un adattamento fra rivisitazione biografica, fiction in

costume e riscrittura ………….…………………….………..205 7.2.3. Il doppio narrativo e la cornice narrativa…………………....208

7.2.4. La paternità come conquista progressiva….………………...210

7.3. Il revival del fiabesco nella fiction nordamericana: fra «Grimmification» e «Disneyfication»………….………………213

7.3.1. Un percorso fra continuità e tradizione…………………..…219

7.4. La saga di Shrek: un agglomerato multistratico…………...……222

7.4.1. Pinocchio, modello di rinegoziazione di genere………….....224

7.5. La serie TV Once Upon A Time: multiplot e multipiattaforma…226

7.5.1. Pinocchio/August Wayne Booth: il narratore drammatizzato.229

7.5.2. Il viaggio di Pinocchio……….……………………………...231

7.5.3. I doppi narrativi…………….………………………………..232

7.6. Grimm………………..…………………………………………233

7.6.1. L’«omaggio rispettoso» di Grimm…………………..………235

Conclusioni………………………………………………………………..238

Bibliografia………………………………………………………………..241

Sitografia………………………………………………………………….255

Altre fonti…………………………………………………………………255

  9  

  10  

0. Introduzione

La presente ricerca prende le mosse da quel «coagulo» intertestuale e

intermediale che si è originato intorno a un grande classico della letteratura

italiana, Le avventure di Pinocchio. Dalla sua pubblicazione in volume nel 1883

si generano infinite derivazioni che intrattengono con il testo originario una serie

di relazioni piuttosto variegate. Un testo che, a sua volta, contiene numerose

matrici narrative e concettuali dalle quali discende quel «potere genetico»1 di cui

parla Italo Calvino riferendosi a un modello di narrazione che si offre alla

perpetua collaborazione con il lettore per essere smontato e rimontato. Si

potrebbe includere dunque il testo collodiano fra quelle opere letterarie che

dispongono di molteplici vite e che risuonano in reti intermediali dinamiche. È

proprio il dinamismo l’elemento di base su cui agisce Carlo Collodi stesso

quando, assecondando le richieste dell’industria culturale coeva, rimaneggia il

racconto e il format narrativo originario introducendo le prime varianti e creando

quei legami interni che l’opera intrattiene con la sua stessa forma. Se esiste

un’invariante profonda che riguarda le Avventure, essa va dunque ricercata nelle

pieghe delle varie industrie culturali che hanno, in un modo o nell’altro, accolto,

modificato, rinegoziato, rinnovato l’opera nella sua totalità o in parti di essa in un

viaggio transmediale in cui la dimensione partecipativa e orientata al

consumatore ha avuto un ruolo centrale. Un viaggio che, in questo elaborato, si è

cercato di seguire partendo da un’analisi delle prime pubblicazioni dell’opera nel

formato in feuilleton e la successiva pubblicazione in volume del 1883 con un

particolare interesse per quelle matrici tematiche, testuali, paratestuali e

stilistiche che hanno successivamente favorito fenomeni di disseminazione

attraverso molteplici canali comunicativi.

                                                                                                               1  I.   Calvino,  Ma Collodi non esiste, in «la Repubblica», 19-20 aprile1981; ora in Id., Saggi 1945-1985, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995.

  11  

Una delle caratteristiche alla base del potenziale transmediale dell’opera è

probabilmente legata al potere figurativo che si polarizza nella rappresentazione

del suo protagonista: un punto nodale dello studio riguarda infatti la sùbita

fuoriuscita di Pinocchio dall’opera fonte, una migrazione in solitaria dovuta alla

portata visiva e letteraria di un personaggio altamente riconoscibile tanto da

diventare una «figura seriale». Come sostiene Emilio Garroni, egli «per certe sue

caratteristiche costitutive, si presta particolarmente bene […] a realizzarsi in

sempre nuove storie: che si tratti, in particolare, di un burattino di legno gli

assicura infatti un’identità e una disponibilità che è raro trovare in altri»2. Identità

che appare legata agli «attributi figurativi» che in senso greimasiano

corrispondono all’aspetto esteriore (il naso e il corpo meccanico sono elementi

rappresentativi quasi imprescindibili) e in senso proppiano al nome proprio, che

raramente subisce variazioni e se accade contiene elementi sia del nome

originario sia della natura del personaggio (Robert Coover, per esempio, nella

sua riscrittura adotta il nome di Pinenut che ricorda Pinocchio e si riferisce alla

sua derivazione da pinolo). Anche l’identità tematica risulta preservata: il

burattino in fuga che mente e si trasforma è il centro delle varie relazioni testuali

che si generano e si sviluppano intorno al tema del viaggio, della scoperta e

dell’avventura. A disperdersi maggiormente sembra invece essere l’identità

relazionale temporale e spaziale, già deboli nell’opera fonte. I pochi richiami a

una cronologia esatta e a luoghi definiti favoriscono l’espansione della

narrazione in media differenti e l’adattabilità a diverse esperienze di fruizione.

L’identità relazionale che nelle Avventure collega Pinocchio agli altri personaggi

è invece soggetta a variazioni. In alcuni casi Pinocchio si allontana dai

personaggi comprimari, soprattutto quando si inserisce in reti relazionali con

altre figure seriali (nel recente revival del fiabesco, per esempio, egli partecipa a

storyworlds in cui deve necessariamente isolarsi dal prototesto per aprirsi a

nuove relazioni). Tuttavia, come dimostra Malerba nella sua

                                                                                                               2 E. Garroni, Pinocchio uno e bino, Bari, Laterza, 1975; nuova ed. Bari, Laterza, 2010, p. 39.

  12  

riscrittura/continuazione Pinocchio con gli stivali, Pinocchio ha spesso bisogno

di mantenere un forte legame con i personaggi del testo fonte per intessere nuove

trame narrative. È ciò che accade in produzioni recenti come Once Upon a Time,

dove la storia di Pinocchio /August Booth si intreccia con quella di Geppetto,

della Fata e del Grillo, personaggi dai quali il burattino non riesce a sganciarsi e

isolarsi completamente. Affrancamento che invece si compie nelle prime

«pinocchiate» di fine Ottocento e dei primi del Novecento. In esse, infatti, la

precoce fuoriuscita del protagonista dall’opera fonte genera una serie di

attualizzazioni di carattere transitorio che rispondono alla richiesta del mercato

editoriale di narrazioni ludico-didattiche per ragazzi che puntano sulle «amene

letture» in una strategia pedagogizzante e di intrattenimento. Le «pinocchiate»

rientrano fra quei prodotti rivolti a un pubblico giovane mediati da genitori o

educatori che scelgono e acquistano i libri esercitando un controllo sui contenuti

destinati a figli e scolari i quali, a loro volta, vi ritrovano il gusto della scoperta e

dell’avventura. Nelle «pinocchiate» fasciste, che compaiono fra gli anni Venti e

Quaranta, è invece la funzione propagandistica a guidare le scelte editoriali.

Incardinata su determinati aspetti della storia collodiana come lo sberleffo, il

dileggio e l’intento canzonatorio, la «pinocchiata» fascista è sostenuta da un

linguaggio talvolta crudo e diretto in cui si attenuano, fino a scomparire quasi

completamente, i tratti di ironia bonaria tipica di Collodi e le doti umane di

onestà e semplicità del racconto. Le prime trasposizioni cinematografiche, che

rappresentano un passaggio cruciale del viaggio transmediale di Pinocchio,

propongono scenari esotici che si allontanano dalle descrizioni collodiane in

prodotti sincretici in cui si fonde melodramma, slapstick comedy e teatro. Un

sincretismo che sarà alla base delle transcodificazioni nordamericane dei primi

del Novecento dove la strategia dell’intrattenimento affiancata a finalità

pedagogiche e rielaborata secondo le esigenze della cultura di arrivo accompagna

la diffusione dell’opera che giunge nella traduzione, piuttosto fedele all’originale,

dell’inglese Mary Alice Murray del 1892 per poi essere ripresa, rimaneggiata e

adattata alle esigenze di un pubblico, soprattutto di età scolare, che porta i primi

  13  

editori a eliminare scene violente e linguaggio troppo diretto. I successivi

adattamenti per il teatro e la versione cinematografica di Disney inglobano

Pinocchio in un ambito in cui è la cultura di arrivo a essere predominante e, anzi,

a imprimere un marchio di fabbrica che dagli anni Quaranta in poi diventerà un

modello di riferimento per produzioni successive. La versione per la TV di Luigi

Comencini del 1972 rinnova l’elemento della serialità rispondendo alle esigenze

di un pubblico che ritrova nell’adattamento al format seriale del romanzo

letterario, soprattutto ottocentesco, un prodotto riconoscibile e fruibile. Le

miniserie recenti rispondono invece alle esigenze di breve serialità di qualità che

il pubblico degli anni Duemila, soprattutto in Italia, dimostra di apprezzare. Negli

Stati Uniti, invece, sarà la lunga serialità e il revival del fiabesco a inserire

Pinocchio in narrazioni estese e in nuove strutture discorsive dove egli

interagisce con altri personaggi provenienti a loro volta da altri mondi letterari.

L’universo del pinocchiesco è dunque da sempre un agglomerato dall’alto

potenziale transmediale in rapido movimento che ubbidisce a logiche editoriale

audience oriented e che può essere approfondito, espanso, serializzato e

successivamente co-creato3.

Il presente lavoro intende seguire il percorso transmediale di Pinocchio e

delle sue avventure partendo da un’analisi dell’opera fonte per poi soffermarsi su

alcuni intrecci che da essa discendono.

Il primo capitolo dell’elaborato si concentra su un’analisi delle Avventure

volta a ripercorrere la genesi del romanzo, processo creativo che si incardina su                                                                                                                3 Cfr. M.-L.Ryan (a cura di), Narrative Across Media. The Languages of Storytelling, Lincoln, University of Nebraska Press, 2004; M.-L.Ryan, J.-N. Thon (a cura di), Storyworlds Across Media, Lincoln, University of Nebraska Press, 2014; H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano, 2007. Cfr anche https://www.lhn.uni-hamburg.de/ (ultimo accesso 15.01.2019) Per quanto riguarda un quadro critico sul concetto di transmedialità in Italia, cfr. R. Andò, S. Leonzi (a cura di), Transmedia Storytelling e Audience Engagement. Startegie narrative e pratiche partecipatice nell’era digitale, Roma, Armando Editore, 2013; S. Arcagni, Visioni digitali, Torino, Einaudi, 2016; M. Giovagnoli, Transmedia: Storytelling e comunicazione, Milano, Apogeo, 2013; A. Marinelli, Connessioni. Nuovi media, nuove relazioni sociali, Milano, Guerini e Associati, 2004.

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un passaggio fondamentale: la trasformazione della Storia di un burattino,

pubblicata a puntate sul «Giornale per i bambini» dal 7 luglio 1881, nel romanzo

Le avventure di Pinocchio, raccolto in volume nel 1883. Un’indagine della

struttura dell’opera, con uno sguardo ad alcuni interessanti elementi paratestuali e

narratologici, illumina un’architettura globale che si articola su più livelli e

comporta una molteplicità di piani di lettura. Un impulso espansivo, dunque, che

ne determina, già al suo esordio, una duplicazione, una risonanza destinata a

perpetrarsi all’infinito, ma anche un rovesciamento, o, come lo definisce Emilio

Garroni, «la posticipazione parzialmente rovesciata di una conclusione»4 che si

verifica con la celebre cesura del capitolo XV e il miracoloso ritorno in vita del

burattino perché, come sostiene Gianni Rodari, «le marionette di legno non

possono morire»5. È come se la «cellula primaria» Pinocchio I rappresentasse

uno scarto anti-conformistico rispetto a modelli di scrittura o comportamentali

tardo-ottocenteschi che inducono Collodi a operare già una trasformazione, una

riscrittura su cui sembrano rimodellarsi le successive, numerose manipolazioni

testuali. La rivalutazione del nucleo testuale, portatore di un alto grado di

figurativizzazione, si ramifica presto in una fitta rete di derivazioni. Siamo di

fronte a un esempio di plurivocità e pluridiscorsività di un romanzo le cui

numerose matrici sono largamente rintracciabili nella produzione collodiana

precedente alle Avventure. In essa si possono ritrovare infatti le descrizioni

fulminanti e veloci di Collodi giornalista, la struttura a capitoli del romanzo

d’appendice, abbozzato nei Misteri di Firenze del 1857, l’approccio pedagogico

proveniente dalla narrativa scolastica del Giannettino (1876) e Minuzzolo (1878),

la narrativa da viaggio del Romanzo in vapore (1856) e gli stilemi della fiaba

derivati dalla traduzione delle fiabe di Charles Perrault, M.me D’Alnoy e M.me

Leprince de Beaumont. Si tratta dunque di numerose e variegate tipologie

letterarie, stilistiche e tematiche che impreziosiscono il testo fonte e lo rendono

adattabile a vari contesti.

                                                                                                               4 E. Garroni, op. cit., p.49. 5 G. Rodari, Favole al telefono, Torino, Einaudi, 1973, p.108.

  15  

Il secondo capitolo intende fornire un panorama di alcune delle principali

forme di derivazione e adattamento che si sono generate intorno all’opera fonte,

con particolare attenzione alle riscritture e alle prime migrazioni del personaggio

di Pinocchio al di fuori delle Avventure verso particolari configurazioni narrative,

orientate per lo più all’ibridazione. Il testo fonte appare centrale nelle riscritture

le quali, proponendo espansioni, commenti, parallelismi, metaletture o

continuazioni, propongono soglie letterarie e finzionali in cui il lettore è spinto

oltre i confini dell’opera collodiana per esplorarne le numerose possibilità.

Il terzo capitolo analizza le celebri riscritture di Luigi Compagnone e

Giorgio Manganelli. Compagnone si occupa a varie riprese di Pinocchio,

interesse che confluisce, in particolare, nelle riscritture Commento alla vita di

Pinocchio e La vita nova di Pinocchio. In esse l’autore, attraverso espansioni che

mirano alla ricontestualizzazione e rienunciazione del classico collodiano,

inserisce una critica sociale e etica ricorrendo a una commistione di stili, sia

linguistici sia letterari. Giorgio Manganelli, nel suo Pinocchio: un libro parallelo

del 1977, costruisce una «lamina sovrascritta» seguendo le tracce e le fughe

nascoste tra le pieghe dell’opera originaria.

Il quarto capitolo propone le riscritture di Luigi Malerba e Robert

Coover: se Manganelli e Compagnone hanno un approccio riscrittorio che si basa

per lo più su processi di rewording infralinguistico e su digressioni e espansioni

testuali e metatestuali, Malerba e Coover procedono invece nella direzione della

continuazione tentando di isolare il personaggio di Pinocchio dalla source novel.

Robert Coover decostruisce l’opera fonte e propone una ripresa e

transvalutazione del plot in una vicenda che vede il protagonista, Pinenut,

impegnato in un percorso a ritroso che lo conduce alla riscoperta delle proprie

origini attraverso meccanismi di spoliazione, svelamenti e agnizioni. Luigi

Malerba propone invece una migrazione transgenerica di Pinocchio in altre

storie: si tratta di fiabe molto conosciute, come Cappuccetto rosso, Cenerentola e

Il gatto con gli stivali. L’autore descrive un percorso in cui il burattino tenta di

emanciparsi completamente dal testo collodiano ma non riesce a imporsi come

  16  

personaggio a tutto tondo e deve dunque ritornare nelle Avventure. Le diverse

prospettive e le differenti relazioni testuali che le riscritture stabiliscono intorno

alle Avventure formano una rete in cui, pur nella diversa tipologia riscrittoria, si

possono individuare punti di intersezione. Oltre a ciò, ogni riscrittura mette in

luce numerose e diverse possibilità del classico collodiano e ne illumina la

portata polifonica.

Il quinto capitolo analizza la corsa di Pinocchio al di fuori dell’opera

fonte, una migrazione in solitaria che segue percorsi disparati. Di volta in volta,

infatti, il personaggio si rinnova e si plasma su forme espressive differenti tanto

da diventare, come sostiene Luciano Curreri, «una sorta di icona multiuso della

storia del Novecento, che va dalla propaganda fascista fino agli americanissimi

effetti speciali di Steven Spielberg»6. Una delle prime transcontestualizzazioni

del personaggio origina il fenomeno delle «pinocchiate», trasposizioni

momentanee e transitorie che non si sedimentano nell’orizzonte culturale. Fra le

numerosi attualizzazioni si ritrova anche il testo di Ugo Scotti Berni, La

promessa sposa di Pinocchio che intreccia le due opere che meglio rappresentano

il panorama letterario ottocentesco, espressione dell’industria culturale coeva:

Pinocchio e I promessi sposi.

Il sesto capitolo segue i primi percorsi intermediali di Pinocchio

attraverso l’analisi di due delle prime trasposizioni cinematografiche dell’opera:

si tratta degli adattamenti di Giulio Antamoro del 1911 e di Giannetto Guardone

del 1947. Le due opere, completamente diverse nella resa della storia, anticipano

i due adattamenti destinati a impattare l’immaginario pinocchiesco dalla loro

apparizione. Si tratta del film di Walt Disney del 1940 e della serie per la TV

italiana di Luigi Comencini del 1972.

                                                                                                               6 Curreri L., Il mito di Pinocchio, RaiStoria, 3 luglio 2015, http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma-puntate/il-mito-di-pinocchio/26272/default.aspx (ultimo accesso 27.05.2018)

  17  

Per meglio comprendere la portata dell’operazione compiuta da Disney

si è cercato di ripercorrere le tappe di diffusione delle Avventure negli Stati Uniti

seguendo le prime transcodificazioni di tipo traduttivo e i primi adattamenti per il

teatro: particolarmente interessanti si sono rivelate infatti l’introduzione di

Hezekiah Butterworth alla traduzione di Mary Alice Murray del 1892,

nell’edizione di «Jordan, Marsh and Company» e le successive traduzioni e

riconcettualizzazioni valoriali da parte del traduttore Walter Samuel Cramp, oltre

alle revisioni dell’editore «Ginn and Company».

Dell’adattamento di Luigi Comencini si evidenzia in particolare la

scansione seriale dello sceneggiato televisivo, che lo ricongiunge con il format

originario della Storia di un burattino e l’attenzione del regista verso l’infanzia e

il rapporto padre-figlio. Tale aspetto verrà indagato anche da numerosi autori in

anni recenti, come dimostrano l’adattamento di Enzo D’Alò del 2012 e la

miniserie per la TV di Alberto Sironi del 2008 sceneggiata da Ivan Cotroneo e

Carlo Mazzotta. In entrambe le produzioni la figura di Geppetto viene riabilitata

e riletta alla luce del suo rapporto mono-genitoriale con il burattino, come si

evidenzia nel settimo capitolo dell’elaborato, dove si analizzano alcuni modelli di

persistenza della figura di Pinocchio in produzioni recenti. Oltre ai casi di D’Alò

e Sironi, infatti, si sono individuate alcune produzioni americane, tra le quali

Once Upon A Time, Grimm e Shrek, in cui Pinocchio, grazie alle sue

caratteristiche di resilienza e flessibilità, si inserisce in configurazioni seriali

complesse che, di volta in volta, ne sfruttano tratti identificativi e specifici

altamente riconoscibili.

  18  

La favola è finita, non si può più mentire

Motto russo

1. Le avventure di Pinocchio: genesi, struttura, temi

Dalla sua pubblicazione Le avventure di Pinocchio7 è stato oggetto di

numerosi adattamenti, riduzioni, traduzioni e trasposizioni al punto che l’opera

fonte, con il suo carico di valori e riferimenti culturali, rimane spesso nascosta o

imprecisamente rappresentata. La natura polimorfa e polifonica del romanzo ha

stimolato interpretazioni e istanze classificatorie (romanzo per ragazzi,

Bildungsroman, viaggio picaresco, favola, romanzo popolare e altro)8 mentre il

personaggio di Pinocchio si è progressivamente trasformato in un’icona senza

tempo piegato alle esigenze della transmedialità. Nel corso degli anni l’opera è

stata al centro di numerosi studi critici che ne hanno rilevato le numerose

sfaccettature e i nodi critici mettendo in luce la difficoltà nell’individuare un

nucleo stabile e di tratteggiare un modello di riferimento univoco. Un testo

mutevole e denso che ha originato letture critiche spesso antitetiche. Emilio

Garroni, per esempio, in Pinocchio uno e bino identifica nella «corsa verso la

morte»9 un tema profondo che guida le scelte del burattino e va incontro a quello

che per Garroni rappresenta il finale dell’opera, ovvero la morte per

impiccagione al capitolo XV, evento che segna la frattura fra Pinocchio I e

Pinocchio II.

                                                                                                               7 Per ogni citazione che riguardi Le avventure di Pinocchio (d’ora in poi AP nel testo e nelle note seguito dal numero di pagina) si rimanda al testo allestito nel 1983 da Ornella Castellani Pollidori per la Fondazione Nazionale “Carlo Collodi” in occasione del primo centenario della pubblicazione dell’opera, contenuta in C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, in Opere, a cura di D. Marcheschi, Mondadori (I Meridiani), Milano 1995, pp. 359-526. 8 Nel modello binario delineato da Francesco De Sanctis in cui predomina l’alternanza tra il classicismo leopardiano e il romanticismo manzoniano Collodi si inserisce come un outsider che prende le distanze dal classicismo e dal romanzo storico, si dedica al romanzo sociale e non può, anche per motivi anagrafici, accogliere il verismo. 9 E. Garroni, op.cit., p. 32.

  19  

In direzione opposta si sviluppa la critica di Dieter Richter il quale tenta di

ricostruire il punto di vista di Collodi bambino sulla società del suo tempo e parla di

storia di formazione, rinascita e di «vita indistruttibile»10. Nell’introduzione a

Pinocchio: un libro parallelo Giorgio Manganelli definisce l’opera complessiva «un

libro di tracce, orme, indovinelli, burle, fughe»11, illuminando un altro elemento

forte che riguarda l’opera e il suo personaggio: la fluidità. Sia sul piano

dell’espressione sia su quello del contenuto agiscono infatti quei «virtuemi semantici

- artificio/natura, natura/cultura, vita/morte, animato/inanimato»12 che Paolo Fabbri

attribuisce alla qualità trasformativa del burattino, sorta di «qualità mitica che gli

permetterebbe di conservare un nucleo identitario stabile pur attraverso le infinite

forme di traduzione e riuso»13.

L’analisi strutturale di Gérard Genot14 suddivide la fable (récit comme

histoire) in nove micro-sequenze e il sujet (récit comme discours) in espansioni

funzionali delle sequenze che vanno a comporre una sequenza globale, sorta di

schema attanziale dove l'eroe-oggetto e i vari personaggi si muovono all'interno di

«spazi necessari»15 allo svolgimento della fable: in tale schema inviariantivo si

                                                                                                               10 D. Richter, Pinocchio o il romanzo d’infanzia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2002, p. 60. 11 G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Milano, Adelphi, 2002, p. 8. 12 P. Fabbri, Il rizoma Pinocchio. Varianti, variazioni, varietà, in P. Fabbri, I. Pezzini (a cura di), Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro, Roma, Meltemi, 2002, p. 222. 13 I. Pezzini, Tra un Pinocchio e l’altro, in P. Fabbri, I. Pezzini (a cura di), op. cit., p. 29. 14  G. Génot, Analyse structurelle de “Pinocchio”, Quaderni della Fondazione Nazionale “Carlo Collodi”, V, 1970, pp. 39-102 Le micro-sequenze proposte da Genot (proponimento, tentazione o ostacolo, esitazione, mancanza, punizione, pentimento, prova, salvezza, ricompensa) vengono applicate a sequenze basate sul proponimento (per esempio, "andare a scuola, imparare", oppure "Ritorno dal padre") e vengono analizzate tutte e nove le micro-sequenze in relazione alla situazione di partenza per 16 situazioni totali. Il modello è validato laddove esiste una corrispondenza totale di tutte le micr-sequenze, altre situazioni invece mostrano l'impossibilità di applicare il modello. Si tratta di uno schema che richiama le funzioni di Vladimir Jakovleviç Propp relative alla fiaba e al modello attanziale di Algirdas Julien Greimas. (cfr. V. J. Propp, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966; A. J. Greimas, Semantica strutturale, Roma, Meltemi, 2000). 15 R. Bertacchini, Collodi narratore, Pisa, Nistri-Lischi, 1961, p. 376.

  20  

inseriscono numerose varianti di realizzazione che potrebbero essere replicate

all’infinito.

Da un punto di vista stilistico e linguistico è forse il commento critico di

Fernando Tempesti a fornire un’articolata chiave di lettura individuando nella

«cultura parlata»16 un elemento resistente che non affiora semplicemente in scelte

stilistiche e lessicali (i riassunti, le lamentazioni, la sintassi allusiva, le ellissi),

stilemi testuali tutto sommato innovatori, ma si apre e include numerosi aspetti,

piuttosto variegati: il rapporto fra «l’altro e l’io», l’alternanza padre e figlio, la

commedia fiorentina, il parlato toscano diastraticamente articolato. La cultura

parlata alla quale fa riferimento Tempesti prende le distanze sia dal folklore sia dalla

cultura alta, altro tratto di originalità che rende la produzione collodiana trasversale

rispetto a un pubblico che, all’alba dell’industria culturale italiana, si avvicina a un

prodotto accessibile. Un prodotto tipico della modernità, come sostiene Vittorio

Spinazzola, che inserisce Pinocchio nell’epoca di fioritura «dei maggiori prototipi di

un genere letterario destinato a inoltrarsi in un futuro apertissimo»17. Futuro che

vede un’opera adattarsi a media e codici espressivi molteplici e un personaggio

trasformarsi in un’icona senza tempo che si esprime in tutta la sua flessibilità

conservando però tratti di riconoscibilità profonda. È forse proprio la progressiva

autonomia che acquisisce il personaggio di Pinocchio a rinforzare il valore

intrinseco di un’opera che da prodotto culturale primordiale si è progressivamente

incastonata nell’orizzonte culturale di tutte le epoche.

Le coppie contrastive vita e morte, riso e pianto, bontà e malvagità,

attraversano l’opera dalla sua genesi strutturale per poi ripetersi nelle reti di relazioni

interne, nella natura binaria di rapporti fra i personaggi, nelle metamorfosi, le

agnizioni e i frequenti ribaltamenti narrativi. La figura del doppio mutevole risulta di

cruciale importanza nel comprendere episodi di straniamento che accadono in

capitoli chiave dell’opera e ne enfatizzano aspetti come il teatro e il carnevalesco. Il

                                                                                                               16 F. Tempesti (a cura di), Pinocchio: introduzione e commento critico, Milano, Feltrinelli, 1993. 17 V. Spinazzola, Pinocchio & C., Milano, Il Saggiatore, 1997, p. 43.

  21  

tema del doppio condotto sul filo sottile della finzione (travestita da menzogna)

potrebbe dunque essere considerato una delle chiavi per comprendere le numerose

trasformazioni che il testo ha conosciuto nel corso degli anni diventando a sua volta

oggetto di riscritture, commenti critici, riletture, traduzioni, filiazioni, attualizzazioni

e trasposizioni in codici espressivi diversi.

1.1. Prime variazioni

La struttura delle AP con la sua particolare vicenda compositiva rappresenta

un tratto distintivo dell’opera. La prima puntata appare sul «Giornale per i Bambini»

con il titolo La storia di un burattino il 7 luglio 1881 e la conclusione, datata 27

ottobre 1881, vede il burattino impiccato al ramo della Quercia grande ad opera

degli Assassini nel tentativo di ottenere le monete d'oro che Pinocchio nasconde

sotto la lingua. L’episodio pone fine18 alla corsa del burattino, che però tra il 26

febbraio e il primo giugno 1882 riprende il suo viaggio in Le avventure di

                                                                                                               18 La chiusa finale, scartata e non pubblicata, contiene una morale: «Amici miei, avete dunque capito? Tenetevi lontani i cattivi compagni, e i libri cattivi: perché alla vostra età, un compagno cattivo o un libro cattivo possono esser molte volte cagione della vostra 'rovina'» (in Castellani Pollidori, 1983:XIX). Profondo conoscitore della tradizione favolistica avendo «voltato in italiano» Les Contes di Charles Perrault e altre fiabe di Madame d'Aulnoy e M.me Le Prince de Beaumont, Collodi approda alla fiaba in età matura (come Perrault d'altronde). È probabile che la sua «bambinata» abbia lo stesso sapore che avevano avuto a suo tempo le «bagatelles» di Perrault nel proporre i suoi Contes all'editore-libraio Barbin. Anche l’assenza di happy ending accomuna i due autori: il finale di Cappuccetto Rosso, che rimane nella pancia del lupo e il finale della storia di un burattino, impiccato alla Quercia, grande sono entrambi tragici. Molti elementi appartengono al genere della fiaba: lo stile formulaico con frequenti ripetizioni secondo ritmo triadico, il ricorso ad onomatopeiche, l’antropomorfismo diffuso. Alcuni passaggi sono calcati sul testo di Perrault («Girate la chiave e la porta si aprirà» nel capitolo finale è derivato dal francese «Tire la chevillette, la bobinette cherra» in Petit Chaperon Rouge. Perrault C., Contes, Paris, Gallimard, p.144). Il debito di Collodi verso Perrault è riscontrabile non solo nelle Avventure ma anche in altre opere per l'infanzia come il ciclo dei Giannettini e Minuzzolo, in cui si riscontrano derivazioni sia sul piano della inventio sia su quello della elocutio, nell’uso di nomi grotteschi e nello stile colloquiale e diretto. Su questo aspetto, cfr. G. Pontiggia, Prefazione, in C. Collodi, I racconti delle fate, Milano, Adelphi, 1976, pp. IX-XX.

  22  

Pinocchio: storia di un burattino 19 pubblicata il 23 novembre sempre sul

«Giornale». Successivamente l'editore-libraio Paggi raccoglie la storia in volume e

la pubblica il 25 gennaio 1883 con il titolo Le avventure di Pinocchio. La versione

finale comprende trentasei capitoli pubblicati a ritmo piuttosto irregolare fra pause e

interruzioni. La prima, di circa tre mesi e mezzo, segue la ripresa dal capitolo XV.

Collodi riprende la storia dall’impiccagione di Pinocchio e cambia addirittura il

titolo20, forse a indicare una prima variazione di un nucleo narrativo che rimarrà

comunque la cellula madre di tutta l’opera. La seconda pausa, della durata di quasi

cinque mesi, interrompe il lavoro al capitolo XXIX. Lavoro che riprende il 23

novembre del 1882 senza altre interruzioni. Il 28 dicembre escono gli attuali capitoli

XXX-XXXIV21. La vicenda editoriale porta dunque a suddividere l'articolazione

della storia in due parti nettamente distinte con ulteriori brevi cesure che

confluiscono in un’opera unitaria. Su questo punto insiste Emilio Garroni

nell’ipotizzare come:

sia lecito leggere Pinocchio come due romanzi in uno. Il primo (Pinocchio I), costituito da quel romanzo non solo fulmineo, ma anche fulminante, che va dal capitolo I al capitolo XV, il secondo (Pinocchio II) costituito da quel più complesso romanzo che si svolge dal cap. I al cap. XXXVI ed ultimo (cioè il Pinocchio che attualmente riteniamo tale) – scandito da una, o due, cesure narrative, tra il XV e il XVI e tra il XXIX e il XXX capitolo, corrispondente alle due pause principali della sua pubblicazione a puntate.22

Si tratta di pause durante le quali Collodi continua la sua attività di

giornalista e di autore per l’editoria scolastica, con le correzioni al Giannettino, che

                                                                                                               19 Le Avventure di Pinocchio ripartono dal capitolo I (attuale XVI) a sancire l'inizio di una nuova storia che però, come da raccomandazione dell'editore, si riannoda con la fine della precedente Storia di un burattino. Oltre alla cesura fra i capitoli XV e XVI, una seconda interruzione si riscontra fra i capitoli XXIX e XXX della durata di circa cinque mesi dovuta presumibilmente a un ritardo di Collodi nella consegna del lavoro. 20 Da «Storia di un burattino» a «Le avventure di Pinocchio». 21 Sulla vicenda compositiva delle AP, cfr. D. Marcheschi, op. cit., pp. LXVII-CXXIV. 22 E. Garroni, op. cit., p. 51.

  23  

giunge alla sua sesta edizione, al Viaggio in Italia di Giannettino, di cui sta

allestendo la parte relativa all’Italia centrale, e al Minuzzolo.

La genesi dell'opera pone dunque immediatamente la questione del rapporto

fra Pinocchio II e Pinocchio I, storia che si adatta a essere espansa (o inglobata?) in

una più ampia avventura dove il Pinocchio II «impedisce forse senza scampo di

rendersi conto dell'originaria autonomia della sua matrice, cioè di Pinocchio I»23 che

nasce e termina come storia indipendente e irreversibilmente conclusa dalla morte

del protagonista. La narrazione riprende dal capitolo XV con un ritmo più disteso e

capitoli più lunghi verso un finale accettabile dal pubblico, quei bambini che

scrivono all'editore e richiedono l’allontanamento dell’idea della morte. Un impatto

piuttosto significativo riguarda l’ampiezza della narrazione fra Pinocchio I e la

seconda parte. Nella prima parte il tempo del racconto si dilata e si adegua alla

descrizione degli eventi: quindici capitoli raccontano infatti gli avvenimenti di tre

giorni e tre notti. Nella seconda parte Collodi rimarca momenti e eventi rilevanti ai

fini dell’avventura («i quattro lunghissimi mesi» nella prigione di Acchiappacitrulli,

i tre mesi nel circo, i cinque mesi a girare il bindolo di Giangio, altri cinque mesi nel

Paese dei balocchi) sorvolando talvolta sulla ricaduta psicologica e personale di

questi lunghi periodi. Diciamo che, da un punto di vista della trasformazione

testuale, Collodi opera una prima variazione quantitativa che va nel senso genettiano

dell’«aumento», dispositivo che consente allo scrittore di mettere in relazione il testo

alla cultura di appartenenza24.

1.2. Collodi, Pinocchio e l’industria culturale

La variazione che Collodi apporta alla Storia di un burattino accoglie una

precisa richiesta che proviene dal mercato editoriale coevo. La vicenda editoriale

della Storia e la successiva trasformazione nelle AP è legata al progetto editoriale

                                                                                                               23 E. Garroni, op.cit, p. 53. 24 Cfr. G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997, pp. 272-323.

  24  

del «Giornale per i bambini», al quale la storia di Pinocchio deve la sua diffusione e

che, a sua volta, trova in Pinocchio uno dei motivi del suo successo. A definirne

contenuti e linea narrativa ci pensano Guido Biagi e Ferdinando Martini25 il quale,

chiamato a dirigere il primo settimanale italiano per l’infanzia, vi instilla

quell’intento pedagogico volto a formare i figli di quel ceto medio borghese che

avrebbe contribuito al consolidamento post-unitario del Paese. In quegli anni i

contenuti dei periodici seguono le richieste, quando non addirittura le iniziative, di

istitutori, maestri o direttori di scuole che, attraverso contributi personali, desiderano

colmare un vuoto editoriale particolarmente sentito all’indomani dell’unità d’Italia,

periodo in cui l’editoria si riorganizza e si prefigge di intraprendere un processo di

formazione non solo educativa ma anche civica. Il Martini, invece, ha un’altra

intuizione: adeguarsi alla tendenza di molti Paesi stranieri in cui lo scopo

pedagogico sposa anche la logica dell’intrattenimento. Nell’articolo di presentazione

del neonato progetto editoriale, egli affida a una sorta di «favola-premessa»26 dal

titolo Come andò il compito di descrivere le motivazioni della sua scelta. Egli

descrive la conversazione di un gruppo di giovani, fra i quali i figli dell’autore,                                                                                                                25 Ferdinando Martini (Firenze 1841-Monsummano 1928) alterna l’attività di scrittore ed editore a quella di politico. Dirige il «Fanfulla della domenica» (1878-1882) e la «Domenica letteraria» (1882-1883) e al contempo gli viene affidata la direzione del «Giornale per i Bambini» nel 1881, per il quale è un direttore-ombra, essendo la funzione esercitata per lo più da Guido Biagi. È ministro dell’Istruzione pubblica fra il 1892 e il 1893, commissario civile della Colonia Eritrea e poi Ministro delle Colonie (1915-1916). Nel periodo in cui è ministro dell’istruzione stringe rapporti con i maggiori stampatori e editori fiorentini, fra i quali Enrico Paggi e poi Bemporad. Dai carteggi emersi con gli editori, si evince come l’editoria scolastica rappresenti un grande mercato in rapida espansione, per il quale gli addetti ai lavori cercano di ottenere sostegno, economico e politico, per piazzare i propri prodotti. Lo stesso Martini, nel primo numero del «Giornale per i Bambini» dimostra di essere consapevole delle tendenze di mercato, non solo italiano ma internazionale. Per un approfondimento, cfr. C.I. Salviati, “Sor Enrico”ritratto di un grande editore, in C.I. Salviati, Cecconi A. (a cura di), Paggi e Bemporad. Editori per la scuola, Firenze, Giunti, 2007, pp. 23-30 (contiene frammenti del citato carteggio fra Bemporad e Martini); M. Biondi, Letteratura e Risorgimento da Vittorio Alfieri e Ferdinando Martini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2009; A.Carli, Prima del “Corriere dei Piccoli”: Ferdinando Martini, Carlo Collodi, Emma Perodi e Luigi Capuana fra giornalismo per l’infanzia, racconto realistico e fiaba moderna, Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2007, pp. 29-60. 26 Cfr. F. Tempesti, Collodiana, Firenze, Salani, 1988, p. 59.

  25  

discutono lamentando la mancanza di un giornale come quello delle «bimbe

americane». Martini si chiede quindi: «perché quel che si fa per i bambini in

America, in Inghilterra, in Francia, non s’ha da fare in Italia?» 27 . Il nuovo

settimanale si sviluppa su un modello internazionale e si rivolge ad un pubblico

borghese adottando un approccio laico e positivista. Nell’annuncio di presentazione

del giornale si legge infatti di articoli istruttivi e scientifici, racconti, bozzetti,

novelle, poesie, viaggi, biografie, dialoghi, commedie, enigmi e varietà allo scopo di

«dilettare istruendo» grazie all’impegno di «penne» di qualità, fra le quali è

menzionato espressamente Carlo Collodi.

Martini, pur comparendo come direttore, lascia in realtà la guida del

periodico a Guido Biagi28 che ne decide impostazione e contenuti. Il «Giornale»,

grazie alla sua freschezza e novità, raggiunge in breve tempo le venticinquemila

copie accontentando così l’editore, Ernesto Emanuele Oblieght il quale, già

proprietario di altri periodici, coinvolge nomi e personalità di rilievo per assicurare

la riuscita editoriale (ed economica) del nuovo progetto:

L’Oblieght, editore, mandava ogni tanto a chiamare il Martini e gli diceva nel suo italiano ungherese: «Volere molti nomi, perché il giornale prenda ràdice», e per avere buoni nomi e per cotesta ràdice il brav’uomo non lesinava; tantoché il Fanfulla domenicale e il Giornale

                                                                                                               27 F. Martini, Come andò, «Giornale per i bambini», I, 1, 7 luglio 1881, p. 2. 28 Guido Biagi (Firenze 1855- Firenze 1925) Si laurea nel 1878 con una edizione critica del Novellino e sposa la sorella dell’editore Sansoni. Rimane legato all’ambiente editoriale fiorentino e romano e si occupa della riorganizzazione delle biblioteche pubbliche. Dirige la biblioteca Marucelliana di Firenze dal 1886 al 1889, la biblioteca Riccardiana e, dal 1889 al 1923, la Mediceo-Laurenziana. Svolge numerose attività di promozione culturale, collabora con l’Accademia della Crusca ed è direttore letterario della casa editrice Sansoni. Dal 1884 al 1886 è capo gabinetto del segretario generale Ferdinando Martini. La sua attività di scrittore lo pone fra le personalità più rilevanti del suo tempo, in grado di promuovere iniziative e dialoghi culturali. Nei vari bozzetti giornalistici dimostra di conoscere a fondo i meccanismi dell’industria culturale e le trasformazioni che riguardano la produzione libraria del suo tempo. La sua direzione-ombra (ufficialmente affidata a Ferdinando Martini) del «Giornale per i Bambini» imprime alla pubblicazione un’impostazione biagiana. Per un approfondimento sulla figura di Biagi, cfr. C. Ceccuti, Le isituzioni culturali, in G. Mori, P. Roggi (a cura di), Firenze 1815-1945, un bilancio storiografico, Firenze, Le Monnier, 1990, p. 235; C.I. Salviati, op.cit., pp. 29-42.

  26  

per i bambini nella storia del giornalismo offrirono ai loro scrittori i più lauti e non più raggiunti compensi.29

La «ràdice» che menziona Oblieght è quella fidelizzazione che

avrebbe definitivamente decretato il successo del nuovo prodotto. Nel 1883 il

Martini, a seguito di screzi con Oblieght, chiama Collodi alla direzione del

«Giornale»30 , incarico che egli termina nel dicembre del 1885. Collodi non è nuovo

a questo tipo di esperienza, avendo già diretto altri periodici ed essendo avvezzo alle

richieste editoriali. Il «Giornale per i Bambini»,  tuttavia,  rappresenta un passaggio

cruciale della sua carriera, non tanto per la direzione dello stesso, trattandosi in

realtà, come lo era stato per Martini, di una direzione nell’ombra, quanto piuttosto

per l’impatto che il mercato editoriale e la richiesta del pubblico rappresentano per

La storia di un burattino. Un impatto che non si limita agli anni della

pubblicazione. Come sostiene Gianfranco Bettetini nella prefazione a La fabbrica di

Pinocchio. Le Avventure di un burattino nell’industria culturale, «la

predeterminazione del Pinocchio a un connubio variegato con le esigenze e con le

regole della diffusione di massa era già così accentuata fin dalla prima apparizione

del romanzo, da generare un impatto con l’industria culturale dell’epoca» 31. È

proprio dal mondo del giornalismo che Collodi deriva osservazioni acute e capacità

descrittive poiché, come sostiene Vittorio Spinazzola, «l’autore preferito dalla

grande editoria commerciale […] è il giornalista-scrittore, forte delle attitudini e

esperienze maturate a contatto diretto con un pubblico tanto più vasto e meno

selezionato di quello librario»32. Tuttavia, gli esordi nella libreria Piatti, dove inizia

a lavorare a diciotto anni per «redigere notizie e recensioni per il catalogo della

                                                                                                               29 G. Biagi, op.cit.,p.113. 30 Dal 1882 è Emma Perodi a svolgere la funzione di direttrice del giornale, anche se il suo ruolo rimane nell’ombra, così come lo era stato per il Biagi, fino alla comparsa ufficiale del suo nome quale direttrice sul numero 50 del 1887. 31 G. Bettetini (a cura di), La fabbrica di Pinocchio. Le Avventure di un burattino nell’industria culturale, RAI-ERI, Roma, 1994, p.11. 32 V. Spinazzola, La modernità letteraria, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, 2001, pp. 124-125.

  27  

libreria che annuncia le novità»33 al termine degli studi in Retorica e Filosofia presso

i Padri Scolopi di San Giovannino34, lo inseriscono nell’ambiente di tipografi e

librai che determinano le sorti del suo lavoro futuro e lo rendono partecipe delle

novità e tendenze editoriali del suo tempo:

Lavorando lì, il giovane Carlo poté entrare in contatto con alcuni degli esponenti più in vista della cultura militante, assorbire e maturare, insieme con gli ideali politici, il senso di una motivazione etica profonda che doveva guidare l’individuo, l’intellettuale, ad un impegno indefesso per il rinnovamento e la creazione di una cultura italiana moderna. 35

È tra i fondatori del «Lampione» il 13 luglio 1848 e ne diviene direttore e

compilatore nel 1860 quando il giornale riapre dopo l’interruzione del 1849,

sospensione dovuta ai moti del 1848 e alla conseguente censura per articoli politici e

propagandistici. Il fratello Paolo amministra il giornale che ha una tiratura di 1500

copie. Nel 1855 acquista il giornale teatrale «Lo Scaramuccia» grazie all’aiuto dello

zio Lorenzo Lorenzini. Nella stipula del contratto egli ottiene la «proprietà del

giornale […], l’amministrazione e la riscossione degli abbonamenti […], la

compilazione e la pubblicazione […] dovendo accettare senza esclusione alcuna tutti

gli articoli, annunci o altro che piacesse ai Sig. Socii inserire nel suo giornale»36. La

capacità di contrattazione e l’interesse verso il nuovo mercato lo vedono dunque in

prima linea, in grado di discutere condizioni e vincoli. Segue con molto interesse il

settore dell’editoria per i giovani e ritiene che gli intellettuali del suo tempo debbano

occuparsene seriamente per la formazione dei nuovi cittadini 37. Nel 1856 pubblica

Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica38,(una delle

                                                                                                               33 R. Bertacchini, Il padre di Pinocchio. Vita e opere di Collodi, Camunia, Firenze, 1993, p. 11. 34 Lo stesso istituto sarà frequentato da Giosuè Carducci. 35 D. Marcheschi, op. cit., pp. XXXII-XXXIII. 36  Maini R., Scapecchi P., Collodi giornalista e scrittore, SPES, Firenze, 1981,  p.  16. 37 Nel 1871 recensisce il Manuale di geografia moderna, matematica e fisica descrittiva di G.L. Bevan. 38 C. Collodi, Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, Firenze, Tipografia Mariani, 1856.

  28  

prime opere narrative dello scrittore, insieme a I misteri di Firenze39 del 1857) che

nasce su commissione del tipografo Giuseppe Mariani e viene pubblicato nella

forma di volume tascabile per i viaggiatori della linea ferroviaria Leopolda

congiungente Firenze a Livorno. Oltre alla natura multiforme dell’opera, ai vari

piani di lettura in esso contenuti e alla galleria di personaggi descritti, è interessante

notare l’intenzione dell’autore nel motivare l’opera. L’antefatto, nella forma di

analessi (procedimento narrativo molto frequente all’epoca), ipotizza un incontro fra

autore ed editore in cui viene spiegata la strategia editoriale dell’opera, strategia che

Guido Biagi descrive nel 1923 in Passatisti riflettendo sulle intenzioni di Collodi di

comprendere ciò che il pubblico richiede «nell’offrire ai lettori certi romanzetti ‘a

vapore’, dove si mettevano in burla le romanticherie di quei giorni»40. Proprio in Un

romanzo in vapore Collodi sostiene che «il grande segreto del romanziere […] sta

nel conoscere il modo di eccitare la curiosità, e nel saper incatenare per un verso o

per l’altro, i lettori alle pagine del libro, per poterseli quindi tirar dietro, come tanti

schiavi, attaccati al carro della fantasia»41. I rapporti fra Collodi e gli editori del suo

tempo sono dunque molto frequenti e descrivono un autore attento alle esigenze dei

lettori ma anche dei committenti, con un occhio alle tendenze ed uno ai contenuti,

senza tralasciare la possibilità di ottenere ricavi. La carriera di Collodi conosce

un’altra svolta in seguito all’incontro e alla collaborazione con gli editori-librai

Paggi. Forti dell’egemonia di Firenze capitale d’Italia, pronti ad accogliere le nuove

istanze pedagogiche, i fratelli Paggi sostengono un gruppo di autori di manualistica

immettendo sul mercato volumi dal prezzo contenuto ma curati graficamente con

disegni e illustrazioni eleganti42. La loro visione, sintetizzabile nel motto che

                                                                                                               39 C. Collodi, I Misteri di Firenze. Scene sociali, Firenze, Tipografia Fioretti, 1857, vol. I. 40 G. Biagi, Passatisti, Firenze, Soc. An. Editrice, «La Voce», Firenze, 1923, p. 93. 41 C. Collodi, Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, op. cit., p.156. 42 I fratelli Paggi si avvalgono dell’opera di famosi illustratori del loro tempo, fra i quali spicca la personalità e lo stile di Enrico Mazzanti.

  29  

descrive il lancio della «Biblioteca scolastica» («bene s’impara divertendosi»)43,

concilia i due filoni dell’industria culturale, quello pedagogico e quello

dell’intrattenimento. Non manca l’attenzione rivolta alla lingua d’uso, il toscano, in

grado di dare coesione all’unità nazionale. Dopo la legge Coppino il catalogo della

«Biblioteca Scolastica» accoglie il contributo dei maggiori scrittori per ragazzi

dell’epoca: Pietro Thouar e Ida Baccini, che nel 1875 pubblica Memorie di un

pulcino, e Carlo Collodi, al quale, sempre nel 1875, è affidata la traduzione dei

Racconti delle fate di Charles Perrault. I rapporti fra i fratelli Paggi e Collodi si

intensificano negli anni successivi al 1875 con la pubblicazione dei Giannettini fino

al 1883, anno in cui gli editori inseriscono Le Avventure di Pinocchio nella

«Biblioteca». I Giannettini hanno il pregio di veicolare contenuti nozionistici e

morali polivalenti e anche la loro produzione è divisa in tre vesti editoriali:

economica in brossura per la scuola, con rilegatura in mezza tela e con rilegatura in

tela placcata oro per i clienti più danarosi. La popolarità di Collodi spinge i fratelli

Paggi a immettere sul mercato una nuova collana destinata alle «amene letture», «La

Biblioteca ricreativa», che accoglie, nella prima uscita del 1881, una raccolta di

silhouettes composta da Collodi dal titolo Occhi e nasi.44 Nella presentazione del

progetto Paggi esprime la volontà di indirizzare la nuova proposta ad un pubblico

vasto e variegato, che includa tanto la madre di famiglia quanto l’uomo di scienze.

Collodi opera dunque in un periodo in cui prodotto culturale e prodotto

editoriale possono essere assimilati almeno fino a quando, dai primi anni del XX

secolo, il gusto del pubblico segue tendenze precise e riconoscibili, nuovi media si

affacciano sul mercato dei consumi (la fotografia, il cinema, il fumetto, la

televisione) e il prodotto culturale assume una sua fisionomia definita e legittima                                                                                                                43 Il concetto è contenuto nella presentazione dell’opera di Pietro Thouar sul Catalogo della Biblioteca scolastica edita da Felice Paggi, Firenze, Felice Paggi Libraio Editore, 1880, p.3. Per un approfondimento sull’editoria scolastica ottocentesca, cfr. G. Chiossi, Libri di scuola e mercato editoriale: dal primo Ottocento alla riforma Gentile, Milano, Franco Angeli, 2013; G. Chiossi, TESEO, Tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento, Milano, Edirice Bibliografica, 2003. 44 Molte delle silhouettes ivi raccolte sono già state pubblicate in precedenza su altri periodici.

  30  

agli occhi del moderno consumatore. Tuttavia, la vicenda editoriale di Pinocchio e

l’attenzione di Collodi verso novità e nuove proposte permettono di cogliere una una

linea di sviluppo che porta Fausto Colombo a indicare proprio nella pubblicazione

dei primi episodi di Pinocchio sul «Giornale per i Bambini» nel 1881 «l’apertura

della stagione culturale in Italia»45. Una predeterminazione dunque che attraversa le

epoche e le richieste delle viarie industrie culturali in maniera trasversale e che si

plasma e si adatta ai nuovi media e alle varie forme di ibridazione. La «bambinata»46

avrà un seguito tale da rappresentare una delle pietre miliari dell’industria culturale

di tutti i tempi.

1.3. Il passaggio da «storia» a «avventura»

Le richieste di Guido Biagi e Ferdinando Martini inviate a Carlo Collodi e

l’esortazione a riprendere la storia in seguito alla pubblicazione dell’ultima puntata

della Storia di un burattino, quella in cui Pinocchio muore impiccato alla Quercia

grande, sono ben documentate 47 . È invece difficile rintracciare un intervento

dell’editore riguardo al titolo dell’opera, che può dunque essere attribuito

integralmente a una decisione dell’autore. Nelle prime uscite il titolo contiene la

marca della finitezza, una «storia» prevede una conclusione, che può essere tragica o

a lieto fine, ma comunque compiuta. Il passaggio da Storia di un burattino a Le

avventure di Pinocchio avviene con l’uscita sul «Giornale per i Bambini» del 26

                                                                                                               45 F. Colombo, La cultura sottile, Milano, Bompiani, 1998, p. 39. 46 In una lettera a Guido Biagi, redattore del «Giornale» ai suoi esordi, Collodi scrive: «Ti mando questa bambinata, fanne quel che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla», in G. Biagi, Il babbo di “Pinocchio”: C. Collodi, op. cit., p. 113. 47 Analizzando i primi numeri del «Giornale» si delinea piuttosto chiaramente il tentativo di coinvolgere quel ceto medio borghese che, escluso dall’elaborazione culturale del Risorgimento, era chiamato ora a consolidare quelle istituzioni intellettuali e ideologiche del nuovo Stato unitario. L’insistenza su alcuni valori positivi riguarda in particolare la famiglia, il lavoro e anche l’idea della morte. A morire sono solitamente i poveri, gli ammalati, gli anziani e i diversi. Non sorprende dunque che l’idea della morte di un burattino, creatura inanimata ma dotata di grande vivacità e freschezza, fosse difficilmente accettabile dai lettori che, nel corso delle puntate, si affezionano e si fidelizzano alla storia portando dunque quella «ràdice» su cui insisteva Oblieght.

  31  

febbraio 1882 per poi essere ripresa nell’edizione in volume di Paggi del 1883. Il

nuovo titolo non condivide nessun elemento del precedente, dove la riformulazione

in «avventure» permette alla narrazione di ripartire e di aprirsi verso un continuum, a

suggerire una flessibilità narrativa e un finale diverso. L’impiego di «avventure» al

plurale prevede d’altronde un grado di straordinarietà e imprevedibilità e un’assenza

di progettazione, ma soprattutto inserisce l’idea di un viaggio che ha una triplice

natura: è fisico perché attraversa vari luoghi, interiore perché comporta una

trasformazione e metamorfico perché determina un passaggio di stato. In accordo

con questa riformulazione, infine, l’elemento generico, il «burattino» che compare

sul «Giornale» è sostituito da un nome proprio, Pinocchio, che diventa elemento

catalizzatore di tutto il titolo. È come se, in qualche modo, Collodi volesse avvisare

il lettore della rifunzionalizzazione della storia, che abbandona l’idea della morte

verso l’apertura, verso nuovo piano (e progetto) narrativo. Un progetto che si apre

all’idea del viaggio, della corsa, della fuga e che ritrova in Pinocchio il vettore

sempre in movimento che guida i vari slittamenti tematici e figurativi. Collodi si

dimostra così consapevole della funzione svolta dall’elemento paratestuale del titolo

che, come sostiene Gerard Genette, deve contenere «indicazione del contenuto e

seduzione del pubblico»48, due aspetti che ricollegano le AP all’industria culturale

coeva: il titolo crea infatti un «orizzonte d’attesa» nel lettore, prepara la lettura, la

incanala in un determinato processo che, in questo caso, va nella direzione della

molteplicità. Si tratta dunque di inserire il lettore in uno schema aperto che punta

sull’accumulo di una serie di episodi, di peripezie, che muovono, nel caso di

Pinocchio, dal principio dell’inosservanza delle regole49 che lo inserisce in un

intreccio avventuroso.

                                                                                                               48 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989, p. 76. 49 Principio che si ripresenta in molte opere destinate ai ragazzi dell’ epoca che vedono un personaggio dai tratti picareschi, un briccone, che prepara al romanzo di formazione dei primi del Novecento.

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1.4. Intertitoli tematici o sommari

Nella prima edizione in volume del 1883 compaiono per la prima volta gli

intertitoli tematici sotto forma di sommari introduttivi dei capitoli. Nell'uso

dell'epoca, l’intertitolo ricopre una funzione paratestuale con «effetti di clin d'oeil

diversamente sfruttati»50: descrittivo, connotativo, metalettico, parodico (soprattutto

nel caso di racconti comici). Nei romanzi dell’Ottocento i testi piuttosto lunghi o la

pubblicazione a puntate sui giornali richiedono una lettura frazionata che gli scrittori

cercano di rendere fluente introducendo gli intertitoli di accompagnamento al testo.

Anche Collodi sembra consapevole dell’effetto che gli intertitoli possono suscitare

sul lettore e infatti li introduce in alcune delle sue opere sfruttando di volta in volta

le diverse funzioni liminali51, ma il caso delle Avventure è singolare: qui l'elemento

paratestuale sembra andare oltre la soglia liminale per diventare uno strumento che

Daniela Marcheschi considera:

altri spazi di fuga interni all'opera: l'autore-"pesce" sembrerebbe dare al lettore-"pescatore" l'amo a cui restare impigliato, ma per sfuggire subito dopo. È il gioco del darsi e del sottrarsi, della libertà fantastica d'inseguire i propri estri, ma anche di sorprendere, di creare ulteriori varchi per il paradosso e la parodia, ovvero per modalità di scrittura che erano da sempre più congeniali al Collodi.52

L’intertitolo è dunque, secondo Marcheschi, un meccanismo consapevole

nelle mani di Collodi, che precede la lettura del capitolo e illumina determinati

                                                                                                               50 Ivi, p. 296. 51 In I Misteri di Firenze e Un Romanzo in vapore, nelle opere scolastiche come il ciclo dei Giannettini o Minuzzolo, gli intertitoli hanno funzione tematico- descrittiva. Il caso di Pipì o lo scimmiottino color di rosa è invece molto più simile alle Avventure. Pubblicato sul «Giornale per i Bambini» ad intermittenza fra il 1883 e il 1885, completato e ritoccato per la pubblicazione su Storie allegre nel 1887 (sempre per Paggi), riporta intertitoli in forma di sinossi con la stessa struttura sintattica usata per le Avventure (il capitolo II è introdotto dall’espressione «come andò»). 52 D. Marcheschi, op. cit., pp. 917-918.

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elementi dell’interazione53, elementi che virano verso il paradosso e la parodia. Un

esempio interessante è rappresentato dalla sinossi del capitolo I: «Come andò che

Mastro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno che piangeva e rideva come un

bambino54.L’espressione formulaica «come andò che»55deve essere necessariamente

seguita da una forma completiva in cui si alternano passato remoto e imperfetto, la

stessa alternanza che si ritrova poi all'interno del capitolo: forse un’anticipazione del

capitolo? Oppure un modo per accompagnare il lettore dentro la storia? A tale

proposito è interessante ricordare come secondo Franz Karl Stanzel l’impiego di

tempi finiti (in particolare il passato) negli intertitoli e il riscorso a formule narrative

ripetitive non riporta una semplice disposizione degli elementi della fabula ma

supera la funzione liminale e s’incunea nel processo dell’intreccio o racconto:

chapter headings of the narrative type contain, as a rule, a signal revealing that we will be dealing with narration: the heading itself draws the reader’s attention to the mediacy of narration. The past tense is thus used instead of the synoptic present. 56

Ma la sola presenza di un tempo finito al passato non è sufficiente a

segnalare una narrazione: in molti casi infatti le espressioni usate negli intertitoli,

soprattutto nei romanzi ottocenteschi, ripercorrono formulazioni stereotipiche che

non hanno alcuna portata narrativa. Il primo intertitolo delle AP però va oltre la

formulazione stereotipica. L’alternanza fra l’imperfetto durativo e il passato remoto

(tempo della scena, preciso e definito) comporta una «capacità autonoma del

                                                                                                               53 Interessante notare come Marcheschi attribuisca i ruoli di pescatore e pesce rispettivamente a autore e lettore, dove è il pesce a dare l'amo al pescatore per poterne sfuggire subito secondo un meccanismo che rimarca la consapevolezza di Collodi nell’uso degli intertitoli. 54 AP, p. 361. 55 L'espressione è molto frequente in altri scritti dell'epoca, probabilmente di derivazione giornalistica, per esempio Bizzarrie. Come andò che i virtuosi di canto diventassero cantanti e che i cantanti si tramutassero in artisti di canto! (Carlo Collodi sulla «Lente», 30 giugno 1858), oppure lo stesso Ferdinando Martini, nell'articolo di apertura del «Giornale per i Bambini». 56 F.K. Stanzel, A Theory of Narrative, Cambridge, Cambridge University Press, 1984, p. 38.

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racconto rispetto alla storia»57: la consequenzialità è suggerita anche dal secondo

connettivo «che» a mettere in correlazione tutte le parti del testo. Dal punto di vista

della fabula, invece, sono anticipati i due elementi che aprono e chiudono l’intera

opera: il pezzo di legno animato e il bambino.

La struttura complessiva delle sinossi risulta eterogenea così come l'uso dei

tempi verbali con l’alternanza di paratassi e ipotassi, forme attive e forme passive58.

In alcuni casi l’anticipazione di azioni e eventi è accompagnata dal futuro

rimarcando la presenza di un narratore onnisciente e rivelando talvolta il finale del

capitolo stesso. Altre volte Collodi dimostra di essere in grado di stimolare l’effetto

sorpresa nel lettore creando suspense nell’intertitolo. 59 La disposizione

consequenziale dei sommari, tuttavia, ricostruisce una trama di senso compiuto con

una linea narrativa precisa che rimanda alla storia stessa, come se si trattasse di una

storia nella storia. Dunque sarebbe ipotizzabile relazione che supera la paratestualità,

forse non propriamente metatestuale ma comunque con tratti di testualità di secondo

grado che prevedono una relazione con il testo di partenza e ne condensano o

ampliano alcuni punti, un richiamo al lettore, una sorta di guida volta a illuminare

alcuni tratti ritenuti significativi dall’autore. Gli intertitoli saranno ripresi anche in

alcune ri-mediazioni, per esempio negli adattamenti di Giulio Antamoro e di

Giannetto Guardone, come unità didascalica di passaggio e collegamento diegetico.

1.5. Riassunti e monologhi interiori

I riassunti, probabile eredità del formato in feuilleton, servono a Collodi per

ricapitolare eventi e situazioni e ripartire con la narrazione. Fernando Tempesti

riconosce nei «leggendari riassunti» di Pinocchio un riferimento alla cultura parlata

                                                                                                               57 G. Genette, Figure III. Discorso del racconto. Torino, Einaudi, 1976, p. 133. 58 L’intertitolo del capitolo VI recita: «La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noja di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro». In questo caso la locuzione avverbiale «hanno a noja» assolve la funzione metrica del passato e segnala narrazione. AP, p. 371. 59 «Pinocchio ritrova in corpo al Pesce-cane…chi ritrova? Leggete questo capitolo e lo saprete». AP, p. 510.

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piena di «ellissi, di ricuperi e di false partenze»60. I riassunti creano insomma un

rapporto di asincronia anaforica fra il tempo del racconto e il tempo della storia e

hanno la funzione di transito fra due momenti del racconto che devono essere

collegati. L’autore vi ricorre soprattutto in situazioni specifiche, ovvero quando

Pinocchio deve ottenere un vantaggio o un avanzamento nel suo percorso personale.

I tre riassunti più consistenti si trovano infatti in corrispondenza di tre situazioni

critiche. Nel primo caso Pinocchio racconta la sua disavventura a Geppetto (di

ritorno dal carcere) e ottiene il rifacimento dei piedi bruciati durante la notte sopra il

caldano e le pere per placare la fame. Lo stile del primo riassunto è concitato, ricco

di catene paratattiche, parallelismi, sineddochi e susseguirsi di congiunzioni e ritmo

crescente a creare un effetto comico dalla sintassi allusiva:

‘Pinocchiuccio mio! Com’è che ti sei bruciato i piedi!’ ‘Non lo so, babbo, ma credetelo che è stata una nottata d’inferno e me ne ricorderò fin che campo. Tonava, balenava e io avevo una gran fame, e allora il Grillo-parlante mi disse « Tu sei un burattino «Ti sta bene: sei stato cattivo, e te lo meriti» e io gli dissi: «Bada, Grillo!...» e lui mi disse: «Tu sei un burattino e hai la testa di legno» e io gli tirai un manico di martello, e lui morì, ma la colpa fu sua, perché io non volevo ammazzarlo, prova ne sia che messi un tegamino sulla brace accesa del caldano, ma il pulcino scappò fuori e disse: «Arrivedella... e tanti saluti a casa.» E la fame cresceva sempre, motivo per cui quel vecchino col berretto da notte, affacciandosi alla finestra mi disse: «Fatti sotto e para il cappello» e io con quella catinellata d’acqua sul capo, perché il chiedere un po’ di pane non è vergogna, non è vero? me ne tornai subito a casa, e perché avevo sempre una gran fame, messi i piedi sul caldano per rasciugarmi, e voi siete tornato, e me li sono trovati bruciati, e intanto la fame l’ho sempre e i piedi non li ho più! ih!... ih!... ih!... ih!’61

Un resoconto dunque che evidenzia l’ingenuità e l’inadeguatezza del

burattino nell’affrontare la vita senza una guida.

Il secondo riassunto si ritrova dopo che Pinocchio è stato salvato e

recuperato dalla Quercia grande e deve raccontare alla Fata la sua vicenda allo

                                                                                                               60 F. Tempesti, op.cit., nota 7, pp. 51-52. 61 AP, p. 380.

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scopo di ottenere l’assoluzione e l’amicizia della donna-bambina. La

concatenazione degli eventi si fa più ordinata e stilisticamente più lineare:

‘Ora vieni un po’ qui da me, e raccontami come andò che ti trovasti fra le mani degli assassini’. ‘Gli andò, che il burattinaio Mangiafoco mi dètte cinque monete d’oro, e mi disse: «To’, portale al tuo babbo!», e io, invece, per la strada trovai una Volpe e un Gatto, due persone molto per bene, che mi dissero: «Vuoi che codeste monete diventino mille e duemila? Vieni con noi, e ti condurremo al Campo dei miracoli.» E io dissi: «Andiamo;» e loro dissero: «Fermiamoci qui all’osteria del Gambero rosso, e dopo la mezzanotte ripartiremo.» E io, quando mi svegliai, loro non c’erano più, perché erano partiti. Allora io cominciai a camminare di notte, che era un buio che pareva impossibile, per cui trovai per la strada due assassini dentro due sacchi da carbone, che mi dissero: «Metti fuori i quattrini;» e io dissi: «non ce n’ho;» perché le monete d’oro me l’ero nascoste in bocca, e uno degli assassini si provò a mettermi le mani in bocca, e io con un morso gli staccai la mano e poi la sputai, ma invece di una mano sputai uno zampetto di gatto. E gli assassini a corrermi dietro, e io corri che ti corro, finché mi raggiunsero, e mi legarono per il collo a un albero di questo bosco col dire: «Domani torneremo qui, e allora sarai morto e colla bocca aperta, e così ti porteremo via le monete d’oro che hai nascoste sotto la lingua.’62

Il burattino ha acquisito maggiore maturità e soprattutto la scaltrezza di

riconoscere le potenzialità dell’interlocutore.

Nel terzo riassunto Pinocchio parla con il venditore di pelli che, acquistatolo dal

Direttore del circo, vuole trasformare il piccolo ciuco infermo in pelle da

tamburo. In questo caso il riassunto procede in modo più lineare: Pinocchio,

attraverso il discorso diretto libero, fornisce una relazione lineare degli eventi e le

interruzioni del venditore creano un equilibrio scenico fra il tempo del racconto e

il tempo della storia. Pinocchio temporeggia e distrae il venditore per

guadagnarsi la salvezza e la fuga:

Quel buon pasticcione del compratore, curioso di conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e

                                                                                                               62 AP, p. 419.

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allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell’aria, prese a dirgli così: ‘Sappiate dunque che io ero un burattino di legno, come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo mondo ce n’è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa... e un bel giorno, svegliandomi, mi trovai cambiato in un somaro con tanto d’orecchi... e con tanto di coda!... Che vergogna fu quella per me!... Una vergogna, caro padrone, che Sant’Antonio benedetto non la faccia provare neppure a voi! Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal Direttore di una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di me un gran ballerino e un gran saltatore di cerchi: ma una sera, durante lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata e rimasi zoppo da tutt’e due le gambe. Allora il Direttore, non sapendo che cosa farsi d’un asino zoppo, mi mandò a rivendere, e voi mi avete comprato!’.63

Si tratta di un resoconto più distaccato e disincantato: Pinocchio,

consapevole della fine che lo attende, temporeggia e cerca di distrarre

l’interlocutore. L’evoluzione verso il burattino scaltro e il briccone astuto e

spudorato è completa. In seguito a questo episodio inizia il percorso verso il

ravvedimento.

Oltre ai riassunti, che servono a ripercorrere parti del racconto e ripartire

con la narrazione, Collodi ricorre in due episodi al monologo interiore, nei

capitoli XIV e XX. Il capitolo XIV è successivo a uno dei momenti più tragici

del cammino di Pinocchio: il burattino ha appena lasciato l’Osteria del Gambero

rosso e decide di raggiungere il Gatto e la Volpe nel Campo dei miracoli.

Attraversa un bosco buio e minaccioso mentre il Grillo trasformato in lucciola

simile a un lumino da morto, lo esorta a ritornare indietro. Quasi per darsi

coraggio, il burattino parla fra sé e sé e riesamina la sua situazione disgraziata

con un approccio, anche in questo caso, auto-assolutorio. Il primo monologo

contiene un’anticipazione anacronica di quanto sta per accadere realmente,

ovvero l’incontro con gli Assassini:

                                                                                                               63 AP, p. 504. In questo passaggio è riportata solo la prima parte del riassunto, a titolo esemplificativo.

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— Davvero — disse fra sé il burattino rimettendosi in viaggio — come siamo disgraziati noi altri poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti ci dànno dei consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perché io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che agli assassini io non ci credo, né ci ho creduto mai. Per me gli assassini sono stati inventati apposta dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte. E poi se anche li trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse soggezione? Neanche per sogno. Anderei loro sul viso, gridando: «Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che con me non si scherza! Se ne vadano dunque per i fatti loro, e zitti!» A questa parlantina fatta sul serio, quei poveri assassini, mi par di vederli, scapperebbero via come il vento. Caso poi fossero tanto ineducati da non volere scappare, allora scapperei io, e così la farei finita.64

Si tratta per lo più, in questo caso, di ciò che Seymour Chatman definisce

«monologo interiore concettuale»65, registrazione delle parole che passano nella

mente del personaggio e che conduce anche a una sorta di auto-riflessione sulla

situazione disgraziata in cui si trova. Se il primo monologo è di tipo auto-

assolutorio, nel secondo, a distanza di sei capitoli, si intravvede una maggiore

consapevolezza da parte di Pinocchio in merito ai propri errori e alle proprie scelte

scellerate:

Quante disgrazie mi sono accadute... E me le merito! perché io sono un burattino testardo e piccoso... e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi voglion bene e che hanno mille volte più giudizio di me!... Ma da questa volta in là, faccio proponimento di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente... Tanto ormai ho bell’e visto che i ragazzi, a essere disubbidienti, ci scapitano sempre e non ne infilano mai una per il su’ verso. E il mio babbo mi avrà aspettato?... Ce lo troverò a casa della Fata? È tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo più, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdonerà la brutta azione che le ho fatta?... E pensare che ho ricevuto da lei tante attenzioni e tante cure amorose... e pensare che se oggi son sempre

                                                                                                               64 AP, p. 405. 65 S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel cinema, Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 201.

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vivo, lo debbo a lei!... Ma si può dare un ragazzo più ingrato e più senza cuore di me?66

Pinocchio sta per incontrare il Serpente che devierà ancora una volta i

suoi buoni propositi, ma il secondo monologo esprime piuttosto commiserazione

per coloro che lo hanno aiutato e rammarico per non averli ricompensati. Anche i

monologhi, come i riassunti, spostano la narrazione da uno scenario all’altro e

accompagnano la crescita del personaggio verso una maggiore consapevolezza

del proprio percorso, sia interiore sia nel rapporto con la narrazione. I monologhi

ed i soliloqui hanno dunque la funzione di interpunzione nella linearità

cronologica ma anche di breve autoriflessione sul proprio operato che però il più

delle volte non contribuisce a una crescita, rimane fine a sé stessa e alle esigenze

della narrazione.

1.6. Metamorfosi e rispecchiamenti

Il processo metamorfico che investe Pinocchio va oltre la doppia natura

binaria animato/inanimato. Nato burattino, forma che dovrebbe essere totalmente

eterodiretta, è in realtà in continua evoluzione e si sviluppa attraverso esperienze

animali (la trasformazione in ciuchino, in cane da guardia, in pesce) che lo mettono

al centro di continui ribaltamenti stranianti in un processo evolutivo che precede e

anticipa la trasformazione finale. L’evoluzione del personaggio passa dunque

attraverso varie forme che in un microcosmo sociale condiviso da esseri umani,

esseri fantastici e animali parlanti non sorprendono: Pinocchio che diventa cane da

guardia o è scambiato per un pesce dal Pescatore verde rientra nell’alternanza di

percezioni contrastanti in cui si muove il protagonista. La trasformazione in ciuchino

però è diversa: qui avviene un passaggio di stato quasi letale, come dimostra

Lucignolo, che da quella condizione animale non tornerà indietro. Ma Pinocchio ne

è consapevole e lo dimostra la drammaticità della scena in cui il riflesso dell’acqua

                                                                                                               66 AP, p. 430.

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gli rimanda l’immagine delle orecchie d’asino, immagine che oggettiva un

sentimento di panico: abituato a un corpo ligneo in cui le orecchie compaiono e

scompaiono, non si aspetta di essere trasformato in un animale. Dalla percezione alla

realtà, dunque. Il passaggio di stato, anche se temporaneo, è un inevitabile processo

preparatorio per la trasformazione finale che avviene in un ambiente domestico

rinnovato, non solo nella mobilia, ma anche nel livello sociale in cui Pinocchio

vuole inserirsi dall’inizio.

Gli episodi in cui Pinocchio si specchia rappresentano passaggi importanti

verso la presa di coscienza di quell’Io multiforme che attraversa varie

trasformazioni. Il rispecchiamento avviene per lo più in superfici liquide, variante

del vetro che, per via delle sue caratteristiche, non restituisce immediatamente

un’immagine unitaria dell’oggetto. Lo specchio d’acqua è inevitabilmente collegato

al mito di Narciso che in Pinocchio assume spesso la forma di autocompiacimento

narcisistico che ha come unico destinatario sé stesso che si manifesta dal primo

rispecchiamento. Pinocchio ha appena ricevuto un «vestituccio di carta fiorita, un

paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane»67 e soprattutto

un paio di piedi nuovi, riscostruiti da Geppetto. «Pinocchio corse subito a

specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase così contento di sé che disse

pavoneggiandosi:‘Paio proprio un signore!’» 68 . All’atto della vestizione segue

immediatamente la costruzione del sé nel rispetto delle aspettative di una società

borghese che attende il burattino al di fuori della casa paterna. Aspettative che si

ricompongono nell’ultimo capitolo quando Pinocchio «non vide più riflessa la solita

immagine della marionetta di legno, ma vide l’immagine vispa e intelligente di un

bel fanciullo coi capelli castagni, cogli occhi celesti e con un’aria allegra e festosa

come una pasqua di rose».69 Anche in questo caso il rispecchiamento segue la

vestizione: risvegliatosi dal sogno della Fata, «saltando giù dal letto trovò preparato

un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo e un pajo di stivaletti di pelle, che gli

                                                                                                               67 AP, p. 384. 68 Ibid. 69 AP, p. 523.

  41  

tornavano una vera pittura»70. Questa volta però non è una superficie acquatica a

rimandare la sua immagine ma lo specchio della sua nuova camera da letto a

sottolineare forse un’immagine definitiva e, da questo momento, invariabile.

Per questo secondo finale Collodi mette in scena uno sdoppiamento immutabile

in cui l’idea della morte è sostituita dall’amore per sé stesso: la trasformazione finale

comporta un abbandono, anche fisico, della natura lignea, con il burattino che giace

inanimato su una sedia e il ragazzo che lo contempla dal di fuori, come se si trattasse

del suo alter-ego. Il controverso finale diventa quindi il luogo dell’ambiguità e

invece di concludere la storia la apre verso nuove prospettive.

1.7. Le manifestazioni della figura del doppio e i ribaltamenti

La metafora del doppio si incarna perfettamente nella doppia natura che

Collodi assegna a Pinocchio, quella di burattino e di essere umano che però nel

corso della sua avventura conosce anche altre metamorfosi, che non sono mai

permanenti. Sdoppiamenti e rovesciamenti attraversano dunque l’opera dalla sua

genesi sia da un punto di vista tematico e figurativo, sia a livello strutturale e

diegetico.

Oltre a Pinocchio, anche la figura della Fata attraversa una serie di

trasformazioni che sembrano più funzionali alla narrazione piuttosto che legate a un

processo di crescita. La Fata appare per la prima volta nel capitolo XV come «una

bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli

occhi chiusi e le mani incrociate sul petto»71 in attesa della bara che venga a portarla

via, creando così un forte simbolismo che richiama alla morte in un’atmosfera tetra e

drammatica. Il rovesciamento che segue la prima descrizione è collegato alla

necessità di riprendere la storia dalla cesura del capitolo XV mantenendo la figura

della Fata come perno della narrazione intorno a cui riscostruire il plot e come

elemento di accompagnamento delle varie evoluzioni di Pinocchio. Nel capitolo

                                                                                                               70 Ibid. 71 AP, p. 409.

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successivo infatti essa diventa «una bonissima Fata che da più di mill'anni abitava

nelle vicinanze di quel bosco»72 passando così dalla vita alla morte e dalla tragedia

alla fiaba73. Un passaggio successivo la descrive come «una buona mamma»74 che

dà la medicina a Pinocchio per poi diventare la sua «buona sorellina»75 e una

«buona donnina»76 che sfama Pinocchio. Nelle diverse funzioni evocate da questa

peculiare caratterizzazione, il personaggio della Fata raggiunge un alto livello di

riconoscibilità tanto che dal cap. XXIV in poi non ha più bisogno di attributi (bella,

piccola, turchina) per essere descritta: è il personaggio che, pur nelle mille

sfaccettature, raggiunge un’autonomia e un’indipendenza seconda solo a Pinocchio.

Fra i vari personaggi, la figura del doppio è incarnata appieno dalla coppia del

Gatto e la Volpe, uniti indissolubilmente da una natura duplice accomunata da

un’unica matrice: il raggiro. Pur avendo caratteristiche fisiche definite e assai

diverse, essi sono percepiti come un unico personaggio e sopravvivono l’uno in

funzione dell’altro uniti in un destino comune. La loro forte caratterizzazione non li

rende autonomi da Pinocchio, né altera il loro status sociale e narrativo: rimangono

gli antagonisti e aiutano Pinocchio nel suo percorso di trasformazione senza per

questo emanciparsi dalla loro situazione di disagio77.

La presenza di un mondo rovesciato è forse più evidente nel nucleo originario

della storia. La dissacrazione e il gesto parodico interessa, in particolare, il

                                                                                                               72 AP, p. 412. 73 Con un battito di mani la Fata chiama il can-barbone Medoro e lo manda, su una bella carrozza, a prelevare il burattino mezzo morto. Il battito di mani ripristina una dimensione fiabesca e una distensione nel racconto. 74 AP, p. 417. 75 AP, p. 440. La lapide di marmo riporta: «Qui giace la bambina dai capelli turchini morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio» (Ivi) ristabilendo il parallelismo bambina/sorella. D'altra parte la fata non potrebbe essere morta, vista la sua natura sovrannaturale. 76AP, p. 450. 77 Nel capitolo finale Pinocchio ritrova molti dei personaggi della storia fra i quali il Gatto e la Volpe, riconoscibili solo per l’abitudine del Gatto di ripetere le parole della Volpe. Pinocchio li congeda con un “addio mascherine” (AP, p. 518.) in un processo di depotenziamento del loro ruolo che è funzionale alla crescita di Pinocchio ma non sopravvive autonomamente.

  43  

microcosmo piccolo-borghese che si appresta a leggere, all’alba dell’industria

culturale, la Storia di un burattino. Il mondo rappresentato da Collodi contrasta con

quanto descritto da altri collaboratori del «Giornale per i bambini», un mondo in cui

gli adulti sono le figure di riferimento assolute, la famiglia è il nido protettivo e il

lavoro un valore fondante e necessario. Collodi invece mette in scena

immediatamente un adulto che non riesce a sbarcare il lunario con il proprio lavoro e

ha bisogno di un elemento esterno, Pinocchio, su cui riorganizzare la propria vita.

L’acquisizione del pezzo di legno avviene in seguito a un litigio fra anziani e dunque

si assiste immediatamente a un rovesciamento valoriale che continua per buona

parte del testo e si traduce nella «giustizia ingiusta», altro fattore di critica

collodiana, che porta Geppetto a essere incarcerato al posto di Pinocchio e il

burattino stesso a ritrovarsi in carcere pur essendo innocente. È un mondo alla

rovescia, un mondo in cui si rispecchia la società tardo-risorgimentale e che di essa

rappresenta un ribaltamento. Fino a quando Pinocchio non incontra un re,

Mangiafoco.

1.8. Il teatro di Mangiafoco: spazio utopico e spazio paratopico

L’isotopia dello spettacolo lega la narrazione delle Avventure dalle prime

righe, da quando Geppetto decide di fabbricare un burattino:

Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea. Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchiere di vino.78

Le parole di Geppetto preconizzano il futuro del burattino, che deve

essere «maraviglioso», suscitare interesse nel pubblico e grazie alle sue azioni

mirabolanti provvedere al sostentamento del vecchio. Quando Pinocchio decide

                                                                                                               78 AP, p. 364.

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di vendere l’Abbecedario e comprare il biglietto per il teatro in realtà segue il suo

destino e l’ingresso nel Gran Teatro di Mangiafoco è la concretizzazione di

un’intenzione intrinseca alla sua creazione. L’esperienza che Pinocchio si

accinge a vivere cambierà il suo futuro ma allo stesso tempo non lascerà tracce

nella sua memoria. Nonostante sia il nucleo narrativo dell’intero capitolo X, il

teatro e i suoi protagonisti infatti non si ripresenteranno più nel resto del

racconto: esso vi è rappresentato come un altrove indipendente, lo spazio zero in

cui si concentrano spazio utopico e spazio paratopico. Nello spazio utopico

Pinocchio si ricongiunge con le sue origini: per poter continuare sulla strada della

trasformazione, che lo porterà a essere un ragazzo in carne e ossa, deve infatti

compiere un percorso regrediente che lo riconduca all’origine della sua

creazione, il pezzo di legno. Nello spazio paratopico si assisterà invece al

definitivo allontanamento dai fratelli di legno che lo lasceranno libero di correre

verso la trasformazione finale in «ragazzino perbene». I personaggi del teatro

non possono seguirlo e rimangono immobili dietro al sipario che li mostra e poi li

nasconde per sempre. Anche Mangiafoco, pur emergendo come protagonista

assoluto delle Avventure rimane confinato all’interno del suo teatro.

1.8.1. Pinocchio nel teatro di Mangiafoco fra agnizioni e straniamento

La vicenda di Pinocchio all’interno del teatro può essere suddivisa in

sequenze, ognuna delle quali ha una funzione precisa nel percorso di

straniamento e di agnizione che colpisce sia i protagonisti sia il lettore.

1) Pinocchio entra nel teatro;

2) Le marionette sono sul palco e stanno recitando: in scena è rappresentata

una disputa fra Arlecchino e Pulcinella;

3) Le marionette riconoscono Pinocchio e lo chiamano sul palco;

4) Pinocchio riconosce i suoi fratelli, lascia la platea e sale sul palco;

5) Il pubblico chiede a gran voce che si prosegua con lo spettacolo;

6) Mangiafoco irrompe sulla scena;

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7) Pinocchio dialoga con Mangiafoco;

8) Pinocchio parla di Geppetto e Mangiafoco si commuove (breve accenno alla

madre);

9) Pinocchio ottiene la grazia per sé e per Arlecchino;

10) Pinocchio ottiene le cinque monete d’oro e lascia il teatro per rimettersi in

viaggio.

Da quando entra nel teatro, Pinocchio si ritrova in un’atmosfera sospesa,

coinvolto in una serie di agnizioni che lo allontanano dal pubblico, ovvero da

quelle persone a cui vorrebbe assomigliare. Ma il distacco e la distanza sono

anche la via verso la conoscenza: prima di entrare la sua strada era segnata e

aveva già intrapreso un processo di «vestizione» verso l’omologazione.

All’interno del teatro invece Pinocchio può svestirsi delle aspettative riposte su

di lui e spingersi alle soglie di un’epifania che lo ricollega con le sue origini.

Questo processo passa attraverso l’agnizione da parte delle marionette e lo

straniamento da parte del pubblico, che richiede a gran voce la ripresa dello

spettacolo. Gli spettatori problematizzano dunque il ruolo degli attori, in questo

caso le marionette, che si allontanano dalla recitazione e recitano la realtà. Il

dispositivo narrativo che interrompe questa impasse è Mangiafoco, che irrompe

sulla scena, ristabilisce il tempo del racconto e fa ripartire la storia. Il dialogo che

segue fra il burattinaio e Pinocchio reintroduce una serie di elementi che

serviranno al burattino a riprendere il percorso dal punto in cui lo aveva lasciato:

insieme ricordano il padre, accennano brevemente all’assenza della madre, e

rimarcano più volte la povertà di Geppetto. Mosso a compassione, Mangiafoco

gli consegna le cinque monete d’oro passando così dalla funzione attanziale di

opponente a quella di aiutante. Con la consegna delle cinque monete d’oro egli

partecipa a uno dei principali twist narrativi della storia: se Pinocchio non avesse

avuto le cinque monete, infatti, la sua vita non sarebbe cambiata e uscito dal

teatro sarebbe probabilmente tornato a casa, ma le cinque monete cambiano il

suo destino e anche le sue avventure. Da un punto di vista narrativo, le cinque

monete d’oro rappresentano il viatico per lasciare il teatro e creano l’embrayage

  46  

necessario al ripristino del piano enunciativo. Si potrebbe affermare che lo

straniamento nel teatro di Mangiafoco procede su piani differenti: da un punto di

vista narrativo si ottiene una «defamiliarizzazione», una deviazione da forme

convenzionali e da pattern di rappresentazione prestabiliti ma che stimolano una

visione conscia dell’oggetto rappresentato; dall’altro invece si crea un effetto

alienante al centro del quale si ritrova il pubblico del teatro che sospende il

meccanismo di identificazione e prende le distanze dalla rappresentazione. Da un

punto di vista sintattico, la narrazione onnisciente di Collodi procede attraverso

l’impiego di forme impersonali e passive in un capitolo in cui la componente

dinamica è sostenuta quasi totalmente dai dialoghi fra i protagonisti.

1.9. Esempi di tratti carnevaleschi

Il personaggio di Mangiafoco richiama atmosfere di tipo carnevalesco. Il

suo aspetto di pseudo-orco ha tratti grotteschi e bassi: starnutisce rumorosamente e

sviluppa istinti antropofagi, ma è anche «sovrano assoluto con diritto di vita e di

morte sui suoi sudditi»79 che gli viene immediatamente riconosciuto da Pinocchio. Il

burattino lo implora di salvare la vita a Arlecchino in un crescendo di termini

encomiastici in cui prevale il superlativo80 «ma non è un superlativo retorico, esso è

gonfiato e montato in modo ironico e a tradimento: è il superlativo del realismo

grottesco»81. Mangiafoco cerca legna da mettere sotto lo spiedo dove cuoce il

montone: l’iperbole del cibo è legata al basso materiale-corporeo e l’inclinazione al

dettaglio per i focolari e le bettole è simbolicamente legata alla festa di piazza

carnevalesca82. I tratti di umanità di Mangiafoco rallentano la tensione tragica e la

scena termina con un bacio di Pinocchio sul naso del burattinaio, ma il ribaltamento

                                                                                                               79 D. Marcheschi, op. cit., p. 961. 80 Eccellenza, illustrissimo, Signor Cavaliere, Signor Commendatore. 81 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale,Torino, Einaudi, 1979, p. 175. 82 L’osteria del “Gambero rosso” al capitolo XIII è un luogo dove si consuma un episodio grottesco generato dall’insaziabile appetito del Gatto e la Volpe.

  47  

della situazione tragica inizia già quando il burattinaio, «a sentirsi chiamare

Eccellenza fece il bocchino tondo»83 in segno di compiacimento.

Uno degli episodi più farseschi di tutta l’opera è il consulto medico attorno

al letto del burattino appena raccolto dal bosco sotto la Quercia grande. L’atmosfera

fatata che accompagna il recupero di Pinocchio 84 diventa paradossale quando, al

capezzale del letto, tre animali antropomorfi (un Corvo, una Civetta e un Grillo-

parlante) in un linguaggio alto e imbonitorio 85 decretano la pseudo-morte di

Pinocchio. Il consulto medico ricompone la linea grottesca dei falsi imbonitori e

della medicina alternativa di derivazione popolare ma permette anche a Collodi di

irridere l’operato di quei medici che mascherano la loro incompetenza con parole

incomprensibili e altisonanti.

Elementi fisici come la bocca, il naso, i piedi e le braccia ricorrono spesso

nelle descrizioni collodiane. Michail Bachtin rileva come il naso e la bocca86 siano

parti anatomiche tipiche del corpo grottesco, «corpo in divenire [dove] particolare

significato vengono ad avere tutte le escrescenze e le ramificazioni, tutto ciò che

prolunga il corpo e lo unisce agli altri corpi o al mondo non corporeo»87. Il corpo

mutevole, costantemente in divenire di Pinocchio, dunque, con il naso che cresce,

                                                                                                               83 AP, p. 394. 84 Il burattino è stato recuperato dal Can-barbone Medoro e da una “carrozzina tirata da cento pariglie di topini bianchi”. AP, p. 413. 85 Solamente il Grillo, nel corso del consulto, abbassa il registro e lo riporta al rimbrotto paternalistico. D’altra parte il Grillo, espressione del paternalismo e del pedagogismo tardo-ottocentesco, ha il compito di farsi comprendere da Pinocchio e riportarlo sulla retta via. Pur non essendoci riferimenti diretti con il Grillo ucciso all’inizio della storia, è ipotizzabile che Collodi voglia inserire una figura che possa richiamare la prima parte della vicenda. 86 I tratti fisici dei vari personaggi sono un elemento di rilievo in tutta l’opera. Collodi insiste in particolare sulle estremità che hanno una funzione di passaggio fra corporeo e non corporeo. Le descrizioni anatomiche non riguardano solo Pinocchio e il suo naso, che si rigenera e cresce da subito, i piedi che si bruciano nel caldano, le orecchie che compaiono e spariscono fino alla trasformazione in orecchie d’asino, ma sono estese a buona parte dei personaggi. La bocca è una parte su cui lo scrittore insiste molto: a partire dal primo capitolo si incontra spesso una bocca spalancata (la bocca di maestro Ciliegia simile a un mascherone da fontana o del pesce-cane che si spalanca a dismisura) oppure un bocchino o una boccuccia. 87 M. Bachtin, op. cit., pp. 346-347.

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le orecchie mobili e i piedi che prima si bruciano sul caldano e poi sono ricostruiti

è un corpo che facilita l’interazione fra esterno e interno.

Collodi tratteggia in modo grottesco quei personaggi che hanno a che fare

con il mondo del teatro e del circo. Un esempio, oltre a Mangiafoco, è

rappresentato dall’omino di burro, che conduce Pinocchio e Lucignolo nel Paese

dei balocchi: la presentazione antifrastica88 sottolinea la natura doppia dell’uomo,

seducente ma spietato89. I tratti del corpo, la voce e soprattutto la violenza

dissimulata restituiscono un’immagine sgradevole. Pinocchio è condotto nel paese

dei balocchi dove tutto ha il sapore della festa di piazza con giochi, baccano e

teatrini di tela e lì si trasforma in asino, animale che nella cultura popolare

rappresenta gli istinti più bassi insieme al maiale. Dieter Richter sostiene che:

l’immagine del Paese dei balocchi […] traspone, con le sue immagini di vita pubblica infantile priva di disciplina e di regole, l’antica utopia popolare del paese di cuccagna nella cultura dell’infanzia. Gli elementi costitutivi dell’utopia popolare, radicati nella cultura del carnevale, vengono rimpiccioliti a misura del mondo infantile. 90

Venduto a un impresario circense, Pinocchio calca la scena teatrale per la

seconda volta (in maniera meno spettacolare rispetto all’episodio dei burattini) ma

con la consapevolezza del proprio stato degradato nonostante la presentazione

altisonante del direttore del circo, vero imbonitore di piazza, e i paramenti lucidi e

sgargianti. In questo episodio si compie il ricongiungimento con la figura della Fata,

presente allo spettacolo che però non provoca un ribaltamento poiché Pinocchio è

già consapevole della sua condizione: se nel teatro di Mangiafoco infatti scopre di

essere il «fratello di legno» delle marionette, nel circo si paventa la possibilità della

morte. La linea che collega il teatro di Mangiafoco, il Paese dei balocchi e il circo

                                                                                                               88 La descrizione dell’omino è ricca di dettagli: «più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un gatto, che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa». AP, p. 483. 89 «Ma l’omino, invece di ridere, si sentì preso da tanto amore per quell’irrequieto asinello che, con un bacio, gli portò via di netto la metà di quell’altro orecchio». Ivi. 90 D. Richter, op.cit.,p.71.

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rappresenta dunque una traiettoria evolutiva lungo la quale i ribaltamenti e le

agnizioni dei primi episodi sono sostituiti nel corso della narrazione da scelte più

lineari.

1.10. Il riso: gradazioni e funzioni

Satira e ironia sono tratti tipici della produzione collodiana e che discendono,

in particolare, dalla sua esperienza giornalistica. La scrittura umoristica è un genere

in rapida espansione nella seconda metà dell’Ottocento e Collodi vi ricorre per i suoi

attacchi alla politica e alla società del suo tempo. Il genere comico-umoristico è

apprezzato dalla nascente classe media borghese cui si rivolge buona parte della sua

produzione. Lo stile digressivo in cui si può individuare un’influenza sterniana91 e la

naturale propensione alla stilizzazione dei caratteri confluiscono nelle AP, dove

l’ironia si trasforma spesso in riso. Il riso compare nella storia nel primo intertitolo e

attraversa l’opera assolvendo varie funzioni. Il primo a ridere è Mastro Ciliegia che,

nell’udire la vocina proveniente dal legno, cede a un riso auto-consolatorio che                                                                                                                91 Lawrence Sterne è conosciuto in Italia grazie a Foscolo che nel 1813 traduce A Sentimental Journey through France and Italy pubblicato nel 1768 (anche Carlo Bini se ne occuperà su «L’Indicatore» di Livorno), mentre esistono traduzioni in francese di The Life and Opinions of Tristam Shandy (1760) che Collodi può leggere grazie alla sua conoscenza del francese. Sia Renato Bertacchini sia Daniela Marcheschi concordano nel rintracciare una linea sterniana nella produzione collodiana nel tipo di scrittura umoristico-descrittiva e nella riflessione che si fa digressione. Di parere diverso Fernando Tempesti che rileva la facilità con cui, a partire dalla diffusione delle opere di Sterne, ogni riferimento comico-umoristico o digressivo sia ricondotto allo scrittore inglese (per un approfondimento sullo sternismo in Collodi, cfr. R. Bertacchini, D. Marcheschi, F. Tempesti, Sterne e Collodi, Quaderni della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, nuova serie n.2, Fazzi editore, Lucca, 1999). Oltre a riferimenti legati al naso e alla digressione sul nome, che si ritrovano in Tristam Shandy, è un tipo di scrittura non lineare a far presupporre un tratto di sternismo in Collodi. La narrazione ironica e i richiami metanarrativi al lettore vengono introdotti a partire dalle opere precedenti, soprattutto Un romanzo in vapore, per poi svilupparsi nelle Avventure. L’expertise nel tratteggiare personaggi e luoghi è un’eredità del lavoro di giornalista, grazie al quale egli dispone di una ricca galleria di silhouettes. Il tema del doppio e l’artificio della menzogna attraversano anche la produzione sterniana e si ritrovano soprattutto in Tristam Shandy, dove gli elementi della fabula sono sparsi nell’opera e la voce del protagonista decostruisce la narrazione attraverso un sistema di rimandi e digressioni che parodizzano la forma romanzo del suo tempo.

  50  

scaccia lo spavento. Il primo riso di Pinocchio invece è apparentemente di tipo

canzonatorio nei confronti di Geppetto, derisione scorretta ma anche primo vagito di

socialità del neonato burattino che Geppetto percepisce come profonda mancanza di

rispetto e abbassamento del suo ruolo genitoriale. L’analisi dei materiali fiabeschi

condotta da Vladimir Propp dimostra come il riso corrisponda alla vita in

contrapposizione alla morte:

Nel folclore mondiale in questo altro regno, il regno dei morti, è proibito ridere. Il riso è una caratteristica esclusiva della vita, morte e riso sono incompatibili. Se un eroe, entrando nel regno dei morti, scoppiasse a ridere, sarebbe riconosciuto come ancora vivo e verrebbe distrutto.92

Dunque la risata di Pinocchio potrebbe definirne la vita, ma Geppetto la

percepisce come scherno e risponde con il pianto creando nella stessa scena una

opposizione duale che si reitera nel corso dell’opera. La fuga di Pinocchio dalla

casa paterna è accolta dal riso corale scenico dei passanti che accompagna anche

uno dei primi rovesciamenti narrativi, fenomeno che Bachtin identifica come riso

rituale di matrice folclorica che rovescia le gerarchie e le norme sociali e si

trasforma in spettacolo di piazza93. La folla che ride di Pinocchio e di Geppetto

potrebbe stimolare un’alleanza fra i due personaggi, ma Pinocchio non può ancora

conformarsi a un modello e dunque vi sfugge quasi partecipando alla derisione della

folla nei confronti di Geppetto. Il riso del Gatto e la Volpe nel capitolo XII introduce

poi la sfumatura dell’inganno che suscita in Pinocchio una reazione impermalita e

un sentimento di esclusione. Ma la lusinga ingannevole della coppia tesse una trama

sottile e il burattino, che ha bisogno di un attestato di stima e di riconoscimento, vi

rimane intrappolato nonostante i numerosi avvertimenti che gli provengono, anche

in maniera piuttosto esplicita, dall’esterno.

Una risata neutra e meccanica accoglie infine Pinocchio nel Campo dei

miracoli mentre innaffia le cinque monete d’oro. Qui il pappagallo, che si inserisce

                                                                                                               92 V. Ja. Propp, Feste agrarie russe, Bari, Dedalo, 1978, p. 187. 93 M. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979.

  51  

nella linea precettistica degli animali parlanti inaugurata dal Grillo, ammonisce il

burattino e la sua risata di riprovazione conduce Pinocchio alla ragionevolezza e alla

consapevolezza di essere stato raggirato.

Le gradazioni del riso conducono in molti episodi al suo contrario, il pianto

e la disperazione, alternanza che si incontra già dai primi capitoli e costituisce un

tema forte dell’opera. Geppetto reagisce sempre con la tristezza all’ilarità di

Pinocchio, non solo per la mancanza di rispetto che egli percepisce ma anche perché

è consapevole che il riso del burattino è conseguenza di una superficialità foriera di

guai. In alcuni casi Collodi traccia una progressione dal riso al pianto marcando una

successione di sentimenti consequenziali, come avviene nel capitolo XX. In questo

episodio l’«allegrezza» di Pinocchio per la liberazione dal carcere lo accompagna

lungo la via di ritorno verso la Casina della Fata. Improvvisamente incontra un

Serpente spaventoso che blocca il suo cammino. Nel tentativo di superarlo

Pinocchio cade con la testa nel fango e le gambe ritte. La scena provoca un accesso

di riso convulso nel Serpente che ne provoca la morte. In questo caso il riso è

associato all’evento più tragico in assoluto, la morte, a indicare quell’alternanza di

comico e drammatico che accompagna la rappresentazione, soprattutto scenica, di

eventi tragici. Nel capitolo successivo il burattino è trasformato in cane da guardia e

la narrazione assume tratti drammatici che corrispondono allo stato d’animo di

Pinocchio che piange e si dispera per la condizione in cui è relegato. La sua

liberazione provoca non felicità ma «allegrezza», sentimento di gradazione inferiore

che però è destinato a esaurirsi: per Pinocchio, infatti, non è ancora giunto il

momento della felicità. Nel capitolo XXXI alla «risatona impertinente e

sgangherata»94 che accompagna tutti i ragazzi condotti nel Paese dei balocchi fa da

contrappunto la tristezza dei ciuchini che trainano i carri. Uno di essi versa una

lacrima, ultimo baluardo di umanità punito e represso immediatamente dall’omino

di burro. Ma presto anche l’ilarità dei ragazzi che si trasformano progressivamente

in asini muta in un riso tragico obliquo che precede il pianto e termina in un tragico

raglio.                                                                                                                94 AP, p. 489.

  52  

Nel gioco di rimandi interni, il riso, data la sua natura instabile e sfuggente,

rappresenta una componente che agisce sia sul piano testuale sia sul piano

dell’interpretazione. Il riso accompagna le esperienze stranianti che raddoppiano i

piani interpretativi e si diramano nella fitta rete intertestuale che discende dall’opera.

1.11. Il tema della paternità attraverso la mono-genitorialità di Geppetto

Il tema della paternità è radicato nell’opera sin dalle prime pagine. Geppetto

è investito di tutta la responsabilità genitoriale che si protrae fino alla fine e che

imbriglia il burattino, creatura potenzialmente libera e giocosa, in una forzata

obbedienza e devozione al suo «babbo». Geppetto ha dunque la doppia funzione

genitoriale che gli deriva dall’essere padre e unico tutore di Pinocchio, guida morale

e pedagogica. A sua volta, la vicenda di Geppetto è complicata dalla natura doppia,

lignea e umana, di Pinocchio che diventa un tema ricorrente e, a tratti, all’insegna

dell’indistinguibilità. Non a caso l’intertitolo del primo capitolo con il pezzo di

legno che «piangeva e rideva come un bambino»95 anticipa un’alternanza che si

ripeterà nell'arco di tutto il racconto e le due essenze, dalla creazione in poi, si

sovrappongono in maniera quasi casuale, come se burattino e bambino/ragazzo

fossero sinonimi, almeno nella considerazione di Geppetto. Uno sdoppiamento che

non interessa solo il personaggio di Pinocchio ma riguarda anche Geppetto nella

funzione genitoriale. Al capitolo II, infatti, quando Mastro Ciliegia (o

Mastr'Antonio) consegna il pezzo di legno parlante a Geppetto, si genera subito una

«dissociazione della paternità»96 che viaggia su un binario unico, quello della mono-

genitorialità di Geppetto, padre forse inadeguato che cresce insieme al figlio.

La creazione di Pinocchio, d’altra parte, non nasce da un’esigenza di

paternità, non è guidata da tale impulso. Uno dei principali motivi che portano

l’uomo a costruire il manufatto risponde piuttosto a un’esigenza contingente e

cogente:

                                                                                                               95 AP, p. 361. 96 E. Garroni, op.cit., p. 59.

  53  

Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino.97

Ma Pinocchio non è creatura malleabile e anzi sarà il genitore a doverne

seguire le peripezie. Dopo averlo scolpito il destino di Geppetto è asservito alle

esigenze del suo «figliolino» svolgendo quelle funzioni che spettano solitamente a

un genitore: è lui a trovargli il nome e il cibo, a rifargli i piedi e a donargli

l’Abbecedario, a metterlo dunque sulla via dell’emancipazione e dell’autonomia.

Come Pinocchio, però, anche Geppetto non progredisce nel suo status sia sociale sia

genitoriale. Egli si trasforma lentamente in figura quasi patetica via via che il

burattino intraprende un percorso eroicomico fino a essere dipinto come un

vecchietto inadeguato alla crescita di un figlio: «anche e proprio nei suoi aspetti

commoventi la figura di Geppetto esemplifica un fallimento della paternità».98 Solo

il finale riabilita Geppetto: insieme a Pinocchio si inserisce in un nuovo spazio che

non è più il rudere delle prime pagine, con il fuoco dipinto e la mobilia fattiscente.

Geppetto si prepara a percorrere un nuovo cammino, questa volta insieme a

Pinocchio, e il suo ruolo di guida pedagogica è ben delineato. Sul rapporto padre-

figlio insistono numerosi studi critici, riscritture e ri-mediazioni che riflettono su un

rapporto difficile e in divenire mettendo in luce il tema della mono-genitorialità e

l’inadeguatezza di un uomo che si deve reinventare come padre e come figura di

riferimento unica.

                                                                                                               97 AP, p. 364. 98 V. Spinazzola, Pinocchio & C., Milano, Il Saggiatore, p. 58.

  54  

2. Modelli di intertestualità e intermedialità

Lo studio sull’intermedialità è un ambito dinamico ed eterogeneo, molto

vasto e articolato, che, dalla seconda metà del Novecento, interessa vaste aree di

studi che riguardano in particolare riscritture, processi intermediali e ri-

mediazioni. Per tali motivi il presente capitolo intende fornire una breve

ricapitolazione di alcune delle questioni che rimandano allo studio delle

riscritture e di altre forme di adattamento che hanno al centro l’opera fin qui

analizzata, Le avventure di Pinocchio. Sulle possibilità di espansione interne

all’opera e al suo nucleo centrale e sui temi rilevanti si è già trattatto nel capitolo

precedente. Ciò che interessa, qui, è analizzare alcune delle numerose dinamiche

che si sono sviluppate intorno all’opera collodiana dalla sua pubblicazione in

volume da parte dei librai-editori fratelli Paggi nel 1883. Da quel momento il

testo si è trovato al centro di una fitta rete intertestuale che ha portato

prevalentemente a due tipi di evoluzione: una transcodificazione e

risemantizzazione del plot e una sùbita fuoriuscita di Pinocchio dal testo di

partenza. Pinocchio attraversa configurazioni discorsive e testuali che ne

amplificano la replicabilità e l’adattabilità, e se da un lato persiste un continuum

che ne rinforza alcuni tratti, dall’altro si fa strada una costante rinegoziazione di

valori e contenuti che genera versioni, trasposizioni e rielaborazioni

diacronicamente rilevabili. La tessitura testuale e linguistica, la fluidità della

caratterizzazione del protagonista e la smontabilità dei temi delle AP

compongono un universo in grado di plasmarsi su forme espressive differenti

generando una serie di possibilità narrative e ibridazioni. Tuttavia, se da una

parte il complesso testuale delle AP viaggia verso numerosi e differenti territori

espressivi e comunicativi, dall’altra esso persiste e via via si sedimenta

nell’orizzonte culturale di riferimento componendo un universo rizomatico dalla

salda componente identitaria.

Nella sua corsa al di fuori del testo fonte, poi, il personaggio di

Pinocchio si plasma e si rinnova tanto da assumere una valenza iconica che

  55  

conferma e rimarca un attributo che Paul Hazard riconosce già nel 1915 quando,

parlando del burattino, lo definisce una «figura mitologica» 99 al pari di

Cappuccetto Rosso o Edipo.

È forse corretto dunque sostenere che il percorso che conduce

Pinocchio verso l’iconicità comincia quando l’immaginario complessivo delle

AP si frantuma in sistemi di immagini, costruzioni allegoriche e costellazioni di

invarianti, variazioni e varietà che viaggiano attraverso canali intermediali

differenti. Piermarco Aroldi e Barbara Gasparini100, nel disegnare una mappa

della permanenza di Pinocchio nei media, propongono una serie di tipologie di

adattamento che prevede traduzioni, attualizzazioni, filiazioni, continuazioni,

merchandising, contaminazioni, parodie, citazioni e «metapinocchio». In questo

scenario è importante dunque considerare gli itinerari generativi che sono il

risultato finale di una concatenazione di scelte formali, enunciative e

comunicative. I fenomeni intertestuali che si generano intorno alle AP possono

essere ricondotti a varie tipologie: quelli di limitata estensione testuale, che

riguardano una parte del testo, come la citazione o l’allusione, quelli che

comportano una transvalutazione del testo nella sua interezza, a cui si possono

ascrivere le riscritture e quelli che riguardano la migrazione del personaggio al di

fuori dell’opera fonte e il suo inserimento in nuovi schemi narrativi che, di volta

in volta, ne utilizzano caratteristiche utili al nuovo adattamento, che riguardano

per esempio le numerosissime «pinocchiate». Si tratta, in ogni caso, di

fenomeno che si ingenerano sulla ricnoscibilità dell’opera fonte e del suo

protagonista e sulla sua sedimentazione nell’orizzonte culturale.

                                                                                                               99 L’accademico francese Paul Hazard si occupa di Pinocchio nel 1914 nel saggio La littérature enfantine en Italie e in seguito nel suo libro Le livres, le enfants et le hommes del 1932. 100 P. Aroldi, B. Gasparini, Le avventure di Pinocchio fuori dal libro, in G. Bettetini (a cura di), La fabbrica di Pinocchio. Le avventure di un burattino nell’industria culturale, Roma, RAI-ERI, 1994, pp. 44-45.

  56  

2.1. Riscritture

Le riscritture considerate nei prossimi capitoli si basano essenzialmente

su una risemantizzazione e «ri-valutazione» del testo di partenza considerato

nella sua totalità. La loro analisi strutturale e tematica ha cercato di mettere in

luce i diversi approcci riscrittori e, allo stesso tempo, di evidenziare i punti di

intersezione tra le varie riscritture del grande classico. Per questo motivo si è

cercato, dapprima, di analizzare le opere sovrapponnendole, laddove possibile,

al testo di partenza e individuandone via via le differenti evoluzioni. Ognuna di

esse ha messo in luce le numerose e differenti possibilità interpretative delle AP

che, in questo processo, sono state considerate il modello base di partenza.

L’analisi ha però messo in luce come ogni riscrittura, pur mantenendo un forte

legame con l’opera collodiana, richiamata in varie e diverse maniere, fornisca a

sua volta un nuovo modello riscrittorio e un’evoluzione polifonica che

influenza opere successive, partecipando a quel «coagulo» di espansioni e

interferenze plurime che si generano di solito intorno a un grande classico. Le

riscritture presuppongono una conoscenza dell’opera di partenza da parte del

lettore a cui sono destinate, lettore che deve riconoscere un modello sul quale il

riscrittore va a compiere la sua pratica di risemantizzazione. Tale pratica si

articola poi su una «generazione di senso»101 che ogni testo comporta, entrando

in relazione dialogica con altri testi con i quali intesse una nuova rete di

significati. Nel processo trasformativo l’opera di riferimento deve essere

riconoscibile e la trasformazione può avvenire in maniera diretta, nel caso di un

commento, oppure in maniera mediata nel caso di un’imitazione dove il

riscrittore crea un modello intermedio su cui innestare il nuovo testo. Nell’atto

del trasferire il riscrittore ricombina gli elementi del testo fonte in un nuovo

apparato mantenendo viva l’identità dell’ipotesto che dovrà essere riconoscibile

ma allo stesso tempo transvalutato. Le riscritture stabiliscono inoltre con il testo

                                                                                                               101 Cfr. J. Lotman, La semiosfera: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Verona, Marsilio, 1985.

  57  

precedente una relazione declinata in vari regimi, dal ludico al satirico al serio e

in generi che vanno dalla parodia al pastiche 102 . Ogni riscrittura poi è

influenzata dall’apparato culturale, linguistico e personale del proprio autore: è

il riscrittore a decidere quali elementi devono essere mantenuti e come devono

essere inseriti in una nuova rete di spunti intertestuali. Egli crea una dimensione

imitativa e trasformativa intorno all’ipotesto con un occhio al lettore, il quale

conosce il testo fonte e deve essere in grado di riconoscere (in maniera diretta o

indiretta, grazie ai suggerimenti dell’autore) anche il mosaico di testi che vi

gravita intorno. Diciamo che una letteratura di secondo grado comporta un

lettore di secondo grado, al quale il riscrittore fornisce gli strumenti per

orientarsi nel nuovo testo. Le riscritture rientrano, infatti, in un sistema in cui

uno schema orizzontale fra emittente e ricevente incrocia uno schema verticale

di scritti anteriori. A questo proposito Julia Kristeva sostiene che ogni «testo è

doppiamente orientato: verso il sistema significante in cui si produce (la lingua

e il linguaggio di un’epoca e di una società determinata) e verso il processo

sociale a cui partecipa questo discorso». 103 Nell’atto di trasformazione il

riscrittore sa di dover rendere riconoscibile l’opera fonte, eventuali altri testi, il

codice linguistico e i tratti culturali rimontati nel nuovo testo.

Grazie alle sue caratteristiche di smontabilità e rimontabilità, le AP

rappresentano un testo che si presta a operazioni di trasformazione diretta o

indiretta e che ne favorisce la «riscrivibilità». Una «riscrivibilità» che Giorgio

Manganelli affida alla capacità del lettore di individuare indizi e suggerimenti,

un lettore che egli considera come un «affranto pellegrino, […] unico che tenga

insieme la dispersa famiglia delle parole che lo frastornano, lo invadono, lo

occupano, e trasformano»104. Si fa dunque strada in Manganelli l’idea di un

testo che risuona nel lettore come un «rumore […] introdotto nel dialogo

                                                                                                               102 Cfr. G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, op. cit., pp. 10-36. 103 J. Kristeva, Ricerche per una semanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 21. 104 G. Manganelli, op. cit., p.10.

  58  

fittizio fra autore e lettore».105 I vari richiami al lettore da parte di Manganelli,

che d’altronde ricordano le intrusioni diegetiche di Collodi nelle AP, sono forse

intesi proprio a sollecitare una cooperazione. Manganelli aspira a una

costruzione testuale che risulta tanto più complessa nell’ottica di una

interpretazione in cui il testo non ha limiti, è una costruzione labirintica in cui

precipitare, mobile, così come mobile deve diventare il lettore. In un articolo

pubblicato sul «Corriere della sera» in seguito all’uscita del libro parallelo,

Pietro Citati scrive:

Quando abbiamo finito di leggere questo libro parallelo, ci sorprendiamo a immaginare quanti libri paralleli potremmo scrivere. Abbiamo già davanti a noi tutte le trame, tutti i personaggi, tutti i destini possibili: non ci resta che insinuarci nelle pagine dei volumi passati, e raccontare un’altra volta l’Odissea e il Don Chisciotte, Guerra e Pace e I Promessi Sposi, rifacendoli identici e trasformandoli completamente. 106 Citati evidenzia un processo nel segno del rifacimento e della

trasformazione, che differenza la riscrittura di Manganelli da quelle di Luigi

Compagnone. La riscrittura di Compagnone si allontana dal rewording

infralinguistico manganelliano per dedicarsi a una ricontestualizzazione e

rienunciazione del testo fonte. Attraverso una commistione di stili, linguistici e

letterari, che in un certo senso deformano il testo originario, l’autore procede

nella direzione di una «dislocazione»107 del senso che ridelinea la struttura delle

AP e modifica la storia. La profonda critica sociale che attraversa l’opera di

Compagnone infatti inserisce Pinocchio e le sue avventure in un cronotopo fitto

di riferimenti culturali e sociali riconoscibili dal lettore dell’epoca ma inseriti in

una rete intertestuale in cui è l’autore a fornire (quasi sempre) gli strumenti

                                                                                                               105 R. Barthes, S/Z, Torino, Einaudi, 1973, p. 227. 106 P. Citati, Questo Pinocchio è un vero fantasma, in M. Belpoliti, A. Cortellessa, (a cura di), Riga 25 Giorgio Manganelli, Milano, Marcos y Marcos, 2006, p. 240. 107 Cfr. L. Doležel, Heterocosmica. Fiction e mondi possibili, Milano, Bompiani, 1999, pp. 202-208; L. Hutcheon, A Theory of Parody: The Teachings of Twentieth Century Art Forms, New York, Methuen, 1985.

  59  

necessari per permettere al lettore di orientarsi. In un processo simile, ma

orientato alla pratica decostruttiva e ricostruttiva del plot, si inserisce la

riscrittura di Robert Coover Pinocchio in Venice, che procede nel segno della

rivisitazione consapevole dei topoi collodiani nascosti da una fittissima rete di

rimandi intertestuali che sembrerebbe offrire un doppio movimento di adesione e

di distanziamento, un double coding in cui si contaminano codici e riferimenti

«alti» e «bassi» in un’ibridazione che comporta una pluralità di stili e voci.

Attraverso la riscrittura di Luigi Malerba è possibile delineare un diverso

approccio nella manipolazione del testo fonte, andando a isolareil personaggio di

Pinocchio dall’opera fonte. Malerba procede nella creazione di un mondo in cui

collocare una serie di personaggi, derivati da fiabe molto popolari, i quali devono

a loro volta ricostruire nuove relazioni e dinamiche conservando però i tratti

distintivi acquisiti nelle storie precedenti. La ricostruzione di relazioni passa

attraverso dialoghi, digressioni e monologhi che però non si concludono mai in

maniera definita. È come se i vari personaggi fluttuassero in una dimensione in

cui regna l’incomunicabilità: i vari mondi e i piani narrativi non si intrecciano

mai completamente e Pinocchio sembra non poter sopravvivere al di fuori della

sua storia. Se Malerba dunque riaccompagna Pinocchio nel capitolo conclusivo

delle AP, altri percorsi, improntati all’ibridazione e all’intermedialità, vanno

nella direzione opposta.

2.2. Percorsi intermediali

Fino a qui sono state prese in considerazione opere che interessano le AP

nella sua interezza, come testo intorno al quale si crea una rete intertestuale di

relazioni in cui le variazioni ruotano intorno a tratti invarianti rappresentati da

temi e motivi conduttori. Ma un fenomeno che interessa valutare a questo punto è

la migrazione di Pinocchio al di fuori delle AP, una corsa in solitaria oltre i

confini di un’opera verso forme di ibridazione che ne determinano la persistenza

in seno all’orizzonte culturale di tutti i tempi.

  60  

Un passaggio chiave nel processo di migrazione e ibridazione potrebbe

essere collegato alle prime illustrazioni del personaggio da parte di Enrico

Mazzanti. Già illustratore della traduzione dei Racconti delle Fate, Giannettino e

Minuzzolo, Mazzanti definisce un mondo che, fino a quel momento, era stato

solamente immaginato dal lettore. Basti pensare che le prime immagini utilizzate

per le illustrazioni del «Giornale per i bambini» sono «raccogliticci» che

vengono con ogni probabilità mutuati, come sostiene Tempesti, da «un

committente chiesastico ad un committente laico»108 a dimostrazione del fatto

che l’utilizzo delle immagini non segue logiche di adattamento ai contenuti del

testo. Un primo passo è compiuto dai Paggi: essi commissionano a Collodi la

traduzione dei Racconti delle fate e a Mazzanti le tavole iconografiche dedicate

all’opera, inaugurando così il passaggio dall’illustrazione raccogliticcia alla

vignetta nazionale, concepita per l’opera viene destinata. Per Pinocchio un primo

cambiamento si registra dal 16 febbraio 1882, con la ripresa della storia109: in

questa occasione, le immagini sembrano ideate per il testo che accompagnano.

Da questo momento in poi, il corredo iconografico segue il viaggio di Pinocchio

e stimola l’interesse di numerosi illustratori fra i quali spiccano i nomi di Carlo

Chiostri e Attilio Mussino.

Dalla pubblicazione in volume del 1883 il personaggio di Pinocchio

inizia a compiere un viaggio in solitaria e a inserirsi in altri dispositivi narrativi.

Ne sono un esempio le numerosissime «pinocchiate», attualizzazioni che non si

sedimentano nell’orizzonte culturale ma sfruttano il tema della fuga e del

viaggio, così importante nelle AP, per inserire Pinocchio in scenari esotici o

nostrani piuttosto variegati (ne sono un esempio le celebri «pinocchiate»

fasciste). Si giunge così ai primi adattamenti cinematografici e teatrali con la

prima trasposizione di Giulio Antamoro del 1911 fino al 1940, anno della svolta

nell’approccio adattivo di Pinocchio. L’adattamento di Walt Disney, infatti,                                                                                                                108 F. Tempesti, op. cit., p. 267. 109 Le prime immagini che ritraggono in maniera pittosto stilizzata la storia sono attribuite a Ugo Fleres. Si tratta di sei tavole che ritraggono parti della storia soffermandosi sulla seconda parte, dall’impiccagione in poi.

  61  

rappresenta un multistato culturale di riferimento che dalla sua uscita in poi si

pone al fianco dell’opera fonte in quanto modello di riferimento, sia formale sia

discorsivo, per successivi adattamenti. Un adattamento rappresenta infatti uno

schema narrativo, cristallizzato nella memoria di chi ne usufruisce, e che entra in

relazione con altri testi in un gioco di rimandi al cui centro si trova il fruitore. Il

nuovo schema è il risultato di forze centrifughe e centripete che agiscono sia a

livello di produzione sia a livello di ricezione poiché, come sostiene Linda

Hutcheon, «un adattamento non esiste nel vuoto né in quanto prodotto né in

quanto processo ma sempre in un contesto – un luogo, una società e una cultura

determinante» 110 . Per questo motivo, è necessario considerare non solo il

prodotto, ovvero l’adattamento in quanto tale, ma anche il processo che

determina e guida l’itinerario generativo di tale prodotto. Per quanto riguarda

l’adattamento di Disney l’itinerario generativo comprende i numerosi passaggi

che precedono l’opera e che in questo caso sono rappresentati dalle traduzione

delle AP e dai primi adattamenti per il teatro negli Stati Uniti.

Il processo di transcodificazione a cui sono sottoposte le AP comprende

infatti anche le numerose traduzioni che si susseguono negli anni. In questo

percorso sono state analizzate le traduzioni che, per prime, sono giunte negli Stati

Uniti e che hanno rappresentato modelli di base per successive

transcodificazioni. Una delle prime è quella di Mary Alice Murray pubblicata a

Londra nel 1891 e poi giunta negli Stati Uniti l’anno successivo. La Murray

propone una traduzione piuttosto fedele all’ipotesto sia nei contenuti sia nei

registri e nei toni. Diverso è invece l’approccio di Samuel Cramp che nel 1904

procede a tagli e riconfigurazioni testuali, soprattutto per gli episodi più violenti,

che rappresentano a loro volta una matrice per futuri adattamenti111. Insieme alle

                                                                                                               110 L. Hutcheon, Teoria degli adattamenti, Roma, Armando, 2011, p. 13. 111 Le traduzioni delle AP sono numerose. Si è ritenuto opportuno analizzare le traduzioni di Murray e Cramp in quanto rappresentative di due approcci traduttivi distinti che influenzano a loro volta altre traduzioni. È possibile infatti stabilire un parallelismo fra la traduzione di Murray e quella di Augustus Caprani del 1909 per Doubleday Page per completezza e fedeltà all’originale, a cui si aggiunge anche la traduzione di Carol Della Chiesa per Mcmillian del 1925. L’approccio di Cramp,

  62  

traduzioni, è necessario considerare le prime riscritture per il teatro che

comportano una risemantizzazione e una riflessione sull’opera fonte e

un’adesione alle richieste dell’industria culturale americana dei primi anni del

Novecento. Pinocchio entra a far parte del Federal Theatre Project che

influenzerà anche le scelte di Disney nella sua versione cinematografica. In Italia,

invece, è la serie TV di Luigi Comencini del 1972 a fornire un nuovo modello di

adattamento, ripristinando quella scansione seriale che risale alla pubblicazione

in feuilleton del 1881. Si potrebbe dunque sostenere che le versioni di Disney e

Comencini contribuiscono a una ridefinizione del dualismo fra autore e fruitore

nel processo dialogico di ricezione di una storia che ha viaggiato nel tempo e è

stata sottoposta a un processo di “transculturalizzazione”112.

Pinocchio è un esempio di quanto il significato e la resa di una storia

siano soggetti a cambiamento e a un riposizionamento all’interno della cultura di

arrivo e dell’industria culturale di riferimento con la quale ricostruiscono rapporti

di senso. Non a caso il personaggio partecipa al revival della fiaba che si sviluppa

intorno agli anni Novanta e che interessa numerosi altri personaggi come

Biancaneve o Cenerentola. Forse perché anche la fiaba, come è capitato alle AP,

è stata per anni al centro di una decostruzione nei suoi temi e nelle sue unità

costitutive che ne ha favorito la migrazione e l’ibridazione.

2.3. Pinocchio, figura seriale

La veicolazione della fiaba e del materiale fiabesco avviene in maniera più

dispersiva e ramificata in epoche recenti poiché si deve adeguare a una forma di

nuova oralità che, dalla fine degli anni Novanta circa, modifica l’approccio ai

processi di adattamento. Si fa strada la teoria che non esiste una versione

assoluta, unica, primaria di una storia, soprattutto una storia nota, poiché il

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   invece, è seguito da Joseph Walker nel 1909, con una variazione evidente dei contenuti (omissioni e alterazioni) e anche, in alcune circostanze, di toni e registri. 112 L. Hutcheon, op. cit., p. 209.

  63  

fruitore è già entrato in contatto con la storia attraverso una serie di variazioni e

ripetizioni senza replicazione113. In questo panorama articolato e in espansione si

afferma un prodotto multilineare e transmediale che si espande nella fairy tale

web e che trova nella serializzazione il format narrativo più adeguato. Accade

che i personaggi, soprattutto derivati da fiabe e storie molto conosciute,

abbandonino il loro mondo e, pur conservando tratti distintintivi o motivi

(elementi non diegetici) che li riconducono alle loro origini, possano essere

introdotti in nuovi contesti. Si tratta per lo più di un percorso resiliente che

permette al personaggio di rendersi autonomo da una storia e da un autore per

diventare autosufficiente e inserirsi in nuove strutture discorsive dove interagisce

con altri personaggi mutuati da altre storie. È ciò che accade, per esempio, in

Once Upon A Time, serie TV trasmessa negli Stati Uniti dal 2011, in cui una

serie di personaggi, fra i quali si distingue Pinocchio, interagiscono in un nuovo

mondo creato sulla base dei loro precedenti mondi di cui si conservano tratti

riconoscibili ma che nel corso delle puntate creano nuove dinamiche e si

rinnovano in nuovi scenari. L’iconicità dei personaggi e il riconoscimento da

parte dello spettatore permette al plot di svilupparsi appoggiandosi al già noto per

poi inserire nuovi piani narrativi che si basano essenzialmente su agnizioni e

svelamenti. Dispositivi che Collodi utilizza già nelle AP: Pinocchio si trova

spesso al centro di twist narrativi ai quali si adatta con estrema flessibilità. Nel

saggio L’uso pratico del personaggio114 Umberto Eco definisce questo tipo di

personaggio come topos, un personaggio che si collega facilmente alla memoria

dello spettatore e che rimanda al già noto, a quell’accumulo di informazioni che

proviene dalle varie storie che il fruitore ha immagazzinato e che gli permettono

di riconoscerlo grazie a determinate caratteristiche e a reinserirlo in nuovi schemi

narrativi. L’inserimento di Pinocchio è anche facilitato da un altro elemento,

quello di essere mutaforme. Già nelle AP è al centro di numerose mutazioni che

gli permettono di superare i vari ostacoli e che, in ultima analisi, lo sottraggono

                                                                                                               113 Cfr. L. Hutcheon, op. cit., p. 246. 114 U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, pp. 187-218.

  64  

alla morte. Mutevoli sono, spesso, anche gli scenari che lo ospitano e altri

personaggi che incontra, come la Fata, personaggio che lo confonde e lo guida.

Il viaggio di Pinocchio, quella costruzione semio-discrosiva e narrativa che

sostiene le AP, è forse il programma narrativo che permette all’eroe-Pinocchio di

affrancarsi dalle AP e compiere una migrazione, spesso solitaria, grazie anche al

potere visivo e evocativo che il personaggio consolida nei vari passaggi di

medium.

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  65  

3. Le riscritture di Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli

Luigi Compagnone e Giorgio Manganelli si interessano a Pinocchio a lungo

e il personaggio, insieme alle AP, diventa parte centrale della loro produzione. In

entrambi gli autori, è l’opera nella sua totalità a suscitare un interesse che va nella

direzione del commento e della digressione intertestuale, un commento che essi

interpretano in maniera del tutto personale.

3.1. Luigi Compagnone e Pinocchio

L’interesse di Luigi Compagnone per Pinocchio e le sue avventure copre

un arco temporale di circa venti anni durante i quali egli scrive commenti,

riscritture, ballate e articoli sul testo collodiano 115 . Nel 1966 pubblica un

Commento alla vita di Pinocchio116 in cui emerge una critica aperta verso finale

dell’opera, da sempre al centro di critiche, in particolare per quell’incarnarsi del

burattino in ragazzino perbene. Il Commento sembra un esercizio preparatorio in

vista della riscrittura del 1971, La vita nova di Pinocchio, seguita nel 1977 da un

Dizionarietto collodiano117 e nel 1980 da La ballata di Pinocchio.118

                                                                                                               115 La raccolta Gli ultimi paladini e altri racconti, curata da Raffaele Messina, contiene numerosi scritti provenienti dal tirocinio narrativo di Compagnone presso giornali, riviste e settimanali. In uno di essi l’autore ripercorre i pensieri e le azioni di una ragazza che si getta sotto un treno diretto a Sorrento. Nelle considerazioni introduttive il narratore manifesta un sentiment di invidia per le la vita avventurosa di Pinocchio, così diversa dalla sua monotona routine. Pur riferendosi brevemente a Pinocchio, è interessante notare come il personaggio collodiano interessi l’autore già dai suoi esordi. Cfr. L. Compagnone, Gli ultimi paladini e altri racconti, Napoli, Guida Editori, 2006. 116 L. Compagnone, Commento alla vita di Pinocchio, Napoli, Marotta, 1966. 117 L. Compagnone, Dizionarietto collodiano, in «Corriere della sera», 9 dicembre 1974. 118 L. Compagnone, La ballata di Pinocchio, Torino, Stampatori, 1980.

  66  

3.1.1. Commento alla vita di Pinocchio

Pubblicato nel 1966, è una delle prime opere d’ispirazione «pinocchiesca»

di Compagnone. Da un punto di vista strutturale mantiene un’impostazione simile

all’ipotesto: è suddivisa in trentasei capitoli, gli intertitoli sinottici sono sostituiti da

titoli tematici che forniscono un’informazione sul contenuto del capitolo, i topoi

dell’opera originale sono sviluppati in maniera talvolta esplicita, altre volte

diventano accenni impliciti ma chiaramente identificabili.

Di solito il commento assolve la funzione di accompagnamento al testo e si

sviluppa come lettura guidata alla ricerca di spunti nascosti tra le pieghe della

narrazione. Il Commento di Compagnone compie invece un passo verso la

riscrittura: intrattiene una relazione trasformazionale con l’opera fonte e rappresenta

un esercizio di scrittura citazionistica e ludica che sarà sviluppato più tardi in La vita

nova di Pinocchio. Compagnone non deforma i tratti resistenti delle AP ma li

attualizza per innescare la sua critica verso la società contemporanea. Il Commento

ha una posizione intermedia fra l’ipotesto collodiano e l’opera successiva di

Compagnone e potrebbe rappresentare quel modello di transizione che permette

all’autore di staccarsi progressivamente dall’opera fonte selezionando gli elementi

su cui innestare la riscrittura successiva. Uno dei temi cari a Compagnone, che

rappresenterà il filo conduttore di La vita nova di Pinocchio, è la critica nei

confronti della società capitalistica e consumistica che provoca un’iniqua

distribuzione dei beni e accresce il divario fra il Nord e il Sud. Compagnone imposta

la sua critica nei capitoli che descrivono il teatro dei burattini individuando nelle

cinque monete d’oro l’inizio dei problemi di Pinocchio. Negli stessi capitoli imposta

quel mosaico testuale e linguistico che diventerà uno dei tratti più forti della Vita

nova.

  67  

3.1.2. Il teatro come luogo della metamorfosi

Fino al capitolo VII Compagnone ripercorre l’avventura di Pinocchio

puntando essenzialmente sul rapporto padre-figlio. Nel capitolo dal titolo Male

Oscuro119 avviene una sorta di emancipazione che inizia nel momento in cui

Pinocchio entra nel teatro. Compagnone inserisce in un topos collodiano, il teatro,

un tema forte ripreso dallo scrittore Giuseppe Berto, il rapporto padre-figlio,

attraverso uno stile narrativo tipicamente bertiano che però anche Collodi pratica,

con finalità diverse: il monologo interiore. Ripercorrendo la stessa sequenza di

riconoscimenti e agnizioni delle AP, Compagnone procede a un’ulteriore

esplicitazione degli elementi. Pinocchio, il «Grande Bugiardo», entra finalmente nel

luogo a lui più congeniale, il teatro, « ‘menzogna vitale’ (o poetica convenzione)

[dove] ha finalmente trovato fra i burattini il proprio Gruppo Sociale, cui appartiene

per affinità naturali e elettive»120. Anche qui interviene il pubblico a ristabilire il

tempo del racconto, un pubblico che dimostra la propria estraneità alla

rappresentazione, «pagante e benpensante, ossia nonpensante» quella platea che non

è pronta all’innovazione e che da lì a poco avrebbe accolto le maschere pirandelliane

con disprezzo. Il teatro dei burattini è lo sfondo su cui condurre una critica verso il

regionalismo italiano in uno «spettacolo [che] rappresenta forse l’Antagonismo tra

Nord e Sud»121. Uomo del Sud, profondamente legato alla sua Napoli, Compagnone

non può evitare di rappresentare il contrasto attraverso la disputa sul palco tra

Arlecchino, «sociodrammaticamente ghiotto di Sud»122 e Pulcinella, «personaggio

rassegnato alla miseria, allo sfruttamento, alle beffe»123. Compagnone è interessato

a una lettura sociologica del rapporto fra Pinocchio e il suo «Gruppo Sociale»

                                                                                                               119 Compagnone riprende il titolo di un celebre romanzo di Giuseppe Berto, Il male oscuro. Cfr. G. Berto, Il male oscuro, Milano, Rizzoli, 1964. 120 L. Compagnone, Commento alla vita di Pinocchio, op. cit., p. 32. 121 Ivi, p. 31. 122 Ibid. 123 Ivi, pp. 31-32.

  68  

rappresentato dai burattini nel teatro e dal sottoproletariato artigiano nella realtà, una

classe che aspira all’imborghesimento e al perseguimento del benessere.

La fedeltà all’originale si ritrova nel tratteggio di Mangiafoco con tutto il

suo carico di attributi carnevaleschi e prosegue nel capitolo successivo, dal titolo

Sua eccellenza e la grazia, che riprende la sequenza encomiastica con cui Pinocchio

intende sedurre Mangiafoco per ottenere la salvezza. Mangiafoco è da una parte lo

stesso pseudo-orco delle AP, dall’altro il traghettatore di Pinocchio verso la società

capitalistica e corrotta rappresentata materialmente dalle monete d’oro e socialmente

dalla coppia del Gatto e la Volpe. Compagnone rispetta l’atmosfera circense che

evoca la figura del burattinaio, dapprima paragonato a un carnefice di Sade ma

subito derubricato a piccolo commerciante con l’inclinazione al facile guadagno

«che precipita nei vizietti e buffonaggini della società italiana del tempo»124. Il

seguito del capitolo rispetta la scansione collodiana, con Mangiafoco che si

commuove e «fa il bocchino tondo» (riferimento corporeo resistente dell’ipotesto),

trasformandosi da orco a «bottegaio tutt’italiano […] con l’inconscia convinzione

che l’elemosina è l’oppio del sottoproletariato»125. Egli consegna dunque le cinque

monete d’oro a Pinocchio innescando quella corsa verso l’accumulo che provocherà

tanti problemi al burattino. Il quale, ancora ignaro di essere diventato una preda,

abbandona il teatro e ripiomba nella sua solitudine. Nel Commento l’autore preserva

i tratti d’ingenuità di Pinocchio, ma prepara il terreno per la trasformazione che il

personaggio subirà nella Vita nova soprattutto riguardo al possesso di beni e alla

critica al capitalismo e consumismo della società moderna.

3.1.3. Accenni di critica al capitalismo nel Commento

Le cinque monete d’oro diventano il simbolo di quella corsa all’accumulo

che d’ora in poi accompagna Pinocchio il quale assume lentamente le caratteristiche

                                                                                                               124 Ivi, p. 35. 125 Ivi, pp. 36-37.

  69  

di «burattino economico»126. Uscito dal teatro, Pinocchio incontra il Gatto e la

Volpe, definiti da Compagnone «Coppia Maledetta»127. Essi conservano tratti che

derivano dalle AP, soprattutto nel travestimento comico della «guittesca

mascheratura che si esprime con tic, ammiccamenti, farfuglii, contrazioni del viso

proprie degli ebeti»128 ma anticipano anche quella feroce critica al capitalismo che

Compagnone porta a termine nella Vita nova. Il loro riso canzonatore d’ispirazione

collodiana riconduce Pinocchio al livello di plebeo, ma allo stesso tempo lo

imbonisce e lo affascina in una «felice credulità di sonnambulo»129. Pinocchio e la

coppia sono indissolubilmente legati dal denaro e ogni volta che le loro strade

s’incrociano, emerge il tema dell’accumulo. Lo sviluppo del loro rapporto tuttavia

rispetta, almeno da un punto di vista formale, l’opera fonte: mentre il burattino si

evolve, il Gatto e la Volpe sono destinati alla povertà e alla perpetuazione dei loro

giochi ingannevoli fino al finale in cui Pinocchio li redarguisce con massime e

proverbi che lo rendono simile al Grillo Parlante. In questo modo si riabilita il

burattino che può proseguire sulla via della redenzione, mentre le due losche figure

antropomorfe possono solo soccombere alla loro insaziabile bramosia di denaro e

potere.

Insieme al Gatto e la Volpe, una figura che Compagnone rappresenta con

tinte negative è quella della Fata. Gli episodi in cui si prende cura di Pinocchio sono

sempre descritti con una vena di cinismo e ironia. Lo scrittore le attribuisce due

eventi «catastrofici» per il burattino: il primo corrisponde alla salvezza

dall’impiccagione, il secondo alla trasformazione finale, vera catastrofe che

introduce Pinocchio «nella razionalità e nell’ingranaggio del mondo italiano del suo

tempo e del nostro»130. Dopo aver resuscitato Pinocchio, è associata alla menzogna e

all’accumulo di beni con un’anticipazione di quella lascivia che sarà poi sviluppata

appieno nella Vita nova.

                                                                                                               126 Ivi, p. 79. 127 Ivi, p. 48. 128 Ivi, p. 39. 129 Ivi, p. 42. 130 Ivi, p. 135.

  70  

La critica nei confronti del capitalismo si esplicita completamente nel

capitolo Faine e mimesi, in cui Pinocchio, trasformato in un cane da guardia,

incontra le Faine che «secondo la benefica legge del plusvalore»131 introducono il

burattino nel «processo o vocazione alla mimesi che investe gli italiani perbene, i

quali, una volta entrati negli ingranaggi burocratici, diventano perfetti burocrati»132.

Inizia in questo episodio il processo di conformismo che conduce Pinocchio verso

un finale accettabile, «principio del suo decadimento»133 rappresentato dal gesto del

contadino che gli leva il collare dopo averlo trasformato in cane da guardia. In realtà

Compagnone condanna con sarcasmo l’intero episodio: il contadino, attento solo a

preservare i propri averi rappresenta una difesa estrema della proprietà privata a

scapito di chi è povero e nullatenente. Pinocchio, con la sua fedeltà incondizionata,

condanna quelle persone che invece dovrebbe tutelare.

Un’analisi particolare è condotta da Compagnone sui luoghi di Pinocchio:

essi sono trasposti dalla loro dimensione classica collegata alla realtà contadina e

toscaneggiante e diventano teatro degli inganni cui è sottoposto Pinocchio.

Compagnone si dilunga soprattutto nella descrizione del Campo dei miracoli

«analogo della Banca romana, che fra qualche anno si esibirà in una delle più

colossali truffe del tempo alle spalle del risparmiatore».134 Il campo dei Miracoli è,

insieme al Paese dei balocchi135, luogo dell’illusione e del decadimento destinato a

diventare uno degli scenari principali delle azioni frodolente di Pinocchio nella

Vita nova. Compagnone dimostra di avere chiara l’evoluzione di Pinocchio già nel

Commento: egli infatti fa riferimento all’«altra vita» di Pinocchio, che diventerà vita

nova nella riscrittura successiva, dal momento in cui Pinocchio inizia a lavorare e

intrecciare canestri per aiutare Geppetto, preludio della trasformazione finale.

                                                                                                               131 Ivi, p. 69. 132 Ivi, p. 70. 133 Ibid. 134 Ivi, pp. 59-60. Il riferimento alla Banca Romana ricorre spesso in Compagnone come esempio di corruzione e insabbiamento da parte del potere centrale. 135 Il Paese dei balocchi è descritto come una sorta di Disneyland degli svaghi di massa.

  71  

3.1.4. La trasformazione finale

L’«altra vita» di Pinocchio inizia quando il burattino si dedica al lavoro

piegandosi alla logica del guadagno e al ritmo della catena di montaggio. Il lavoro

sembra orientato al recupero del rapporto padre-figlio che si sviluppa per tutto il

Commento e cresce fino al ribaltamento finale, in cui è Pinocchio a guidare il padre

e a condurlo fuori dalla balena e sulla terraferma. È questo il finale che secondo

Compagnone l’opera avrebbe dovuto avere:

Scortato invece dalle buone intenzioni del suo Autore, lo vedremo a poco a poco inserirsi in una piccola società come quella toscana, fino a diventare il comodo piccolo eroe dell’Italietta del tempo, modello esemplare di accordi bonari su certezze comuni. Ma di questo Collodi non si accorse. E poté credere che il processo progressivo di Pinocchio continuava anche dopo la fuga.136 L’ultimo capitolo, È passata la musica innocente137, è il più lungo e

ripercorre la vicenda e la trasformazione del burattino verso quell’epilogo negativo

in cui Pinocchio precipita «per contagio di livellante magia contro la sua libera

infanzia»138. La critica a Collodi è di non aver percorso fino in fondo quella via

rivoluzionaria con un finale di vera libertà dai luoghi comuni e dalle aspettative dei

lettori e del buon senso. Il suo sperimentalismo, imbrigliato nelle trame del

provincialismo, rimane secondo Compagnone un tratto sospeso e interrotto da

Collodi, tratto che egli decide invece di cogliere e percorrere nella seconda

riscrittura delle AP, La vita nova di Pinocchio.

                                                                                                               136 Ivi, p. 128. 137 I versi sono ripresi da una poesia di Ossi di seppia di Eugenio Montale. 138 Ivi, p. 134.

  72  

3.2. La vita nova di Pinocchio

Il titolo, di trasparente ispirazione dantesca, allude a un rinnovamento

nella vita di Pinocchio. Nella quarta di copertina l’opera è definita una

riscrittura e una trasformazione della bonaria e civile arguzia di Collodi in una

lingua stravolta. In un articolo scritto in occasione della pubblicazione del libro

parallelo di Giorgio Manganelli, Compagnone inserisce anche La vita nova di

Pinocchio fra i libri paralleli:

[Non] sapevo di aver scritto un libro parallelo […]. L’intero libro di Pinocchio è un Travestimento, come sarà sempre un libro travestito ogni Libro Parallelo che nasce necessariamente all’insegna della dismisura: forse perché dovendosi misurare con un Modello, lo può fare solo a patto di travalicarlo. Più lo travalica, più ne rivela i segreti.139

Il travestimento cui si riferisce Compagnone è una forma di riscrittura

che si genera da un modello travalicandolo e rovesciandone i temi e le

funzioni. La vita nova di Pinocchio deforma sia le AP sia il Commento ma

inserisce richiami, citazioni e imitazioni di numerosi altri testi e stili poiché,

come sostiene Genette, «uno stesso ipertesto può trasformare un ipotesto e

contemporaneamente imitarne un altro»140. Le AP fanno capolino attraverso le

trame di un ipertesto dai registri variegati, travestito e attualizzato in una

trasformazione che sussume parodia e travestimento. Gli elementi della fabula

collodiana sono frantumati e sparsi in una diegesi mimetica. Collodi inserisce

Pinocchio in una serie di avventure, senza però esplicitare luoghi e tempi: il

burattino attraversa borghi e boschi, si tuffa nel mare e impiega giornate di

cammino per raggiungere la casa della Fata o del padre, ma nessun riferimento

spazio-temporale è preciso o definito, soprattutto dal capitolo XV in poi, dove

gli spazi e i tempi di percorrenza sono dilatati. Compagnone crea un nuovo                                                                                                                139 L. Compagnone, Pinocchio contro Pinocchio, in «Tuttolibri», n.45, 3 dicembre 1977. 140 G. Genette, op.cit., p. 3.

  73  

cronotopo in cui gli spazi e i luoghi della narrazione s’immettono nel

movimento del tempo e dell’intreccio in maniera più definita, con riferimenti

più precisi rispetto all’originale. Il filo conduttore è rappresentato dal burattino

che attraversa i piani dell’opera in un percorso a tappe verso il finale dall’esito

inatteso. In questa fuga Compagnone mantiene diversi topoi collodiani ma

scompagina contenuti e stile. Definito spesso un pastiche linguistico e

narrativo, l'opera sfugge a una tassonomia di genere. Secondo una definizione

genettiana, il pastiche consiste nell’imitazione ludica di un genere, di uno stile

o di una classe di testi in un regime di riscrittura dal tono satirico e polemico,

mentre Frederic Jameson parla di sparizione dello stile personale dell’autore in

una mimesi totale. La riscrittura di Compagnone coniuga entrambe le

definizioni: ha un potente effetto destrutturante e di frantumazione

dell’ipotesto, ma i lunghi monologhi interiori ricollegano parti di racconto e

riprendono la diegesi collodiana. Il tono è satirico, talvolta cinico, in costante

polemica verso i valori corrotti della società capitalistica, le disuguaglianze

sociali, i rapporti manipolati fra le persone e gli ambigui legami familiari. La

pratica imitativa è presente e dichiarata dall’autore stesso attraverso un gioco di

richiami e suggerimenti più o meno espliciti. Il lettore si trova così al centro di

una ricca rete intertestuale che Compagnone tesse intorno al nucleo centrale

delle AP, una rete dissonante, in cui il paradosso e la critica sociale legano le

varie avventure del burattino, una fabula che «risulta fortemente frantumata

dall’accostamento di frammenti narrativi di più storie, e dall’inserimento di

situazioni e personaggi che […]si presentano come apparenti motivi liberi, ma

che viceversa hanno una precisa funzione narrativa»141. La pluralità di voci si

associa a una varietà linguistica dovuta all’utilizzo di forme dialettali,

anglicismi e sofisticati effetti retorici che producono nuovi effetti di senso.

                                                                                                               141 C. Brancaleoni, «La vita nova di Pinocchio» di Luigi Compagnone o dell’integrazione nel sistema di produzione capitalistico, in F. Scrivano (a cura di), Variazioni Pinocchio: 7 letture sulla riscrittura del mito, Perugia, Morlacchi, 2010, p. 92.

  74  

3.2.1. La struttura e i temi

I ventisette capitoli in cui è suddivisa l’opera riassumono eventi che

nella storia originale si sviluppano su più capitoli ed espandono altre

situazioni assenti nell’ipotesto. Gli intertitoli sinottici dell’originale sono

sostituiti da titoli tematici allusivi. Spesso le sinossi degli intertitoli sono

riprese all’interno dei capitoli e servono a ristabilire la diegesi dell'opera fonte

e continuare il racconto. Il ricorso al monologo interiore142 e al flusso di

coscienza, accennati in AP, rappresentano tratti narrativi e di analisi interiore

di considerevole importanza.

Gli elementi resistenti tipicamente pinocchieschi sono contenuti nelle

prime pagine: le parti anatomiche, in particolare il naso, il riso di scherno per

Geppetto e la fuga di Pinocchio per i «tristi sobborghi» accolta dall’ilarità

della folla, il «Grillo parlante e docente»143 che abita in casa di Geppetto tra

le pagine ingiallite di un grosso libro, il teatro e la sua funzione catartica.

Uno dei primi temi introdotti da Compagnone è il rapporto padre-

figlio, ripercorrendo quel tema della mono-genitorialità così presente in

Collodi che suggerisce anche l’inadeguatezza di un padre, solo e sprovvisto di

strumenti relazionali, a prendersi cura di un figlio inatteso. Geppetto è sempre

all’inseguimento del burattino il quale inizia da subito un percorso autonomo

e indipendente. In seguito al rifacimento dei piedi, Geppetto perde

progressivamente la sua potestà genitoriale a causa dell’inserimento di una

pluralità di figure femminili, le «Matres», che occupano lo spazio destinato al

                                                                                                               142 Compagnone ricorre spesso al monologo interiore tanto da creare un verbo, "interiormonologare". Spesso il monologo occupa intere pagine e si trasforma in un flusso di coscienza che ha anche lo scopo di inserire elementi e riferimenti utili al proseguimento della narrazione. Il primo a utilizzare il monologo interiore è Geppetto che nel primo capitolo ripercorre tappe della Storia del mondo e della sua storia personale e affida al monologo, che diventa una lunga digressione, la genesi del suo burattino. I monologhi contengono spesso affondi sociologici introspettivi dall’effetto quasi grottesco. 143 L. Compagnone, La vita nova di Pinocchio, Firenze, Vallecchi, 1971, p. 22.

  75  

padre nell’opera fonte. Nel finale della storia il rapporto fra le due figure

maschili si ristabilisce ma in maniera debole e superficiale.

Un tema cui Compagnone dedica molta attenzione è rappresentato

dalle fughe di Pinocchio verso la corruzione, dapprima come mendicante con

il «Rey Catolicismo Felipe II de España dicho el Cojo, ovvero lo Zoppo»144

(Porqué lloras, niño?) e poi come socio del Gatto e la Volpe.

Uno degli elementi chiave della Vita nova è rappresentato dal teatro:

come nelle AP e nel Commento, i pifferi seducenti attraggono Pinocchio

mentre si reca a scuola con il vestito procuratogli da Geppetto: per poterlo

acquistare il falegname vende al Museo dei Reduci la giubba del Lager, in cui

viene rinchiuso al posto di Pinocchio. Il Lager sostituisce il carcere delle AP:

l’esperienza della prigionia è associata al tema della fame e della povertà, che

investe soprattutto Geppetto.

Il teatro della Vita nova è il luogo della psicoterapia che trasmette al

burattino l’ossessione per la madre (anzi, le madri). È questo uno dei temi

persistenti della riscrittura di Compagnone, insieme alla denuncia del

capitalismo e della corruzione.

3.2.2. «Il teatro degli Edipici» e la psicoterapia

I pifferi seducenti (gli stessi delle AP) attraggono Pinocchio in un

percorso di deviazione che lo allontana dalla scuola, descritta da Compagnone

come luogo dell’omologazione e della pedante e dottrinale trasmissione di

informazioni. Il burattino entra nel «Teatro degli Edipici […] ove si

rappresentano Psicodrammi [attraverso] una forma di psicoterapia […] in cui

si chiede al paziente affetto dal Mal di Edipo di rappresentare una parte in un

                                                                                                               144 Ivi, p. 26. Le caratteristiche del re anticipano i tratti della coppia di impostori per eccellenza, il Gatto e la Volpe. Il re di Spagna accompagna Pinocchio nelle prime fughe e lo introduce allo sfruttamento provocando la ribellione del burattino. Compagnone dichiara di aver inserito il re per sopperire alla mancanza di re delle AP.

  76  

dramma creato con speciale riferimento ai suoi sintomi e problemi».145 Il

capitolo, dal titolo Psychodrama interruptus, inizia con la scena di un

battibecco fra due personaggi, Edipo e Giocasta, che sostituiscono Arlecchino

e Pulcinella. I due alternano registro teatrale e locuzioni dialettali fino al

momento dell’agnizione corale che coinvolge «gli Edipici, Amleto e Oreste e

Clitennestra ed Egisto, e Antigone Ismene Eteocle Polinice […]» 146 :i

personaggi riconoscono Pinocchio e lo accolgono con «abbracci di sincero

Edipismo».147

Anche qui i balzi di Pinocchio lo straniano dal pubblico che reclama

lo Psicodramma, ma anziché Mangiafoco arriva sulla scena il Regista che

conserva alcuni tratti del burattinaio: «un ometto dall’aria cupa e dalla

barbetta nera e grigia sul mento e la mascella sinistra fregiata di cicatrici e gli

occhi [che] parevan due lanterne scrutanti sin nel fondo dell’animula

oedipica»148. Persiste l’idea di bruciare Pinocchio in un fuoco che è del tutto

interiore al burattino e al suo vissuto, ma viene meno il carico carnevalesco

che investe Mangiafoco nelle AP149. Il Regista, in linea con l’impostazione

psicoanalitica del capitolo, si rivela essere il dottor Freud e stimola in

Pinocchio la riflessione sul rapporto con il padre, parola che provoca la tosse

nel Regista (lo starnuto in Mangiafoco). Per la prima volta è menzionata la

figura materna in maniera diretta e Pinocchio dichiara che la madre è morta

prima della sua nascita. . Il dottore consegna a Pinocchio la madre («La Ma'»)

sotto forma di un’effigie della Gioconda che diventa un elemento costante

della riscrittura: da questo momento infatti Pinocchio è teso alla protezione

                                                                                                               145 Ivi, pp. 44-45. 146 Ivi, p. 46. 147 Ivi, p. 47. 148 Ivi, p. 48. 149 Gli elementi carnevaleschi, grotteschi e antropofagi che nelle AP e nel Commento sono utilizzati per descrivere Mangiafoco sono qui attribuiti al re di Spagna. Pinocchio utilizza titoli encomiastici per imbonire il sovrano proprio come nell’ipotesto era solito fare con il burattinaio.

  77  

della madre con la quale deve creare un rapporto che assume sfumature

diverse nel corso della narrazione.

3.2.3. Rovesciamenti e moltiplicazioni: le «Matres»

Uno dei rovesciamenti più consistenti rispetto all’ipotesto riguarda la

figura della madre. Completamente assente nelle AP, dove è sostituita dalla

Fata, che ha spesso un approccio materno, rappresenta uno degli elementi

costanti della Vita Nova. L’introduzione della figura materna rappresenta un

ribaltamento della mono-genitorialità paterna di Geppetto ma anche la nascita

di un doppio narrativo e tematico. La madre è in realtà sfuggente, abbinata a

vizi più che a virtù. È consegnata a Pinocchio dal dottor Freud sotto forma di

effigie della Gioconda con la raccomandazione di consegnarla al padre,

proprio come era avvenuto per le cinque monete d’oro. Alla madre-Gioconda

Compagnone trasferisce il carico di valori delle monete e per traslazione la

madre subisce lo stesso tipo di trattamento. Questa figura materna è ignota a

Pinocchio, a Geppetto e anche al lettore: non ha voce né struttura narrativa, è

un elemento inanimato che sorride in ogni situazione ma diventa presto il

fulcro della narrazione. Seguendo i suggerimenti del Gatto e la Volpe,

Pinocchio semina la madre nel Campo delle Madri, che si trova nel Paese dei

Figli, affinché cresca in un albero rigoglioso e si moltiplichi. La

moltiplicazione e l’accumulo delle «Ma’» è il pensiero ricorrente di Pinocchio

che ravvisa dapprima un vantaggio affettivo e in seguito un ritorno

economico. Le «Matres» abbondano, si replicano e in ogni situazione

assumono connotazioni diverse. Compagnone tratteggia una figura materna

adatta a ogni esigenza narrativa fino al finale in cui la madre diventa un

oggetto di lucro nelle mani di un corrotto Pinocchio. Da un punto di vista

linguistico, invece, i riferimenti alla madre sono parodici, mutuati dal

linguaggio comune: «O la Ma’ o la vita», «Dacci la Ma’ o sei morto», «La

Ma’ no, mai».

  78  

Alla fine del capitolo X (Il sorriso e i capegli) la madre, ovvero la

Gioconda, al centro di una disputa fra Pinocchio e gli Assassini, perde la

parrucca svelando la sua vera identità maschile, il suo travestimento, in un

ulteriore rovesciamento che restituisce a Geppetto l’unica potestà genitoriale

su Pinocchio. Lo svelamento ha anche la funzione di condurre il burattino

all’impiccagione, gesto suicida provocato dalla perdita della madre.

L’atmosfera in cui avviene l’impiccagione è collodiana, con il vento che

mugghia e sbatacchia il burattino il quale, «sentendo avvicinarsi la morte,

balbettò più volte: «O Ma’! O Ma’!»150.

Nel capitolo XI, dal titolo Alma Mater, ecco dunque riapparire una

«bella Signora dai capelli azzurri e il viso di cera»151 che emana un leggero

odore di alcol: sembrerebbe una versione corrotta della Fata, ma in realtà la

signora dai capelli turchini che fa recuperare Pinocchio dalla Quercia è la

Maga Medea 152 , dedita desiderosa di stabilire un rapporto edipico con

Pinocchio.

3.2.4. La critica al capitalismo.

La critica al capitalismo, accennata dalle prime righe, si sviluppa nei

capitoli XIV e XV, Fame, oppio dei popoli e Due spettri percorrono i campi.

Pinocchio, dopo aver seminato la Mater Medea e raccolto le «Matres» fiorite

sull’albero, si avvia verso la casa del padre con l’intenzione di portargli la

felicità. Spinto dai morsi della fame decide di cogliere l’uva ma è catturato

dal contadino che teme che Pinocchio voglia rapire sua madre e lo trasforma

in cane da guardia. Durante la notte “due spettri” si introducono nell’orto per

                                                                                                               150 L. Compagnone, op. cit., p. 66. 151 Ivi, p. 64. 152 L'apparizione di Medea come prima madre in carne ed ossa di Pinocchio non è di buon auspicio: Medea è infatti il personaggio mitologico che per vendicarsi di Giasone uccide i figli. Nessuna delle madri descritta da Compagnone conserva i tratti della «bonissima Fata».

  79  

rubare le madri per il principio della distribuzione tra i figli del mondo. In

realtà i due ladri si rivelano essere Marx e Engels che aspirano alla

redistribuzione equa delle «Ma’» fra tutti gli orfani secondo la teoria del

«plurimammismo o plus-mammismo»153: la formulazione è innestata sulla

teoria del plusvalore introdotta nel Commento e qui abbinata alle figure

materne.

Nel capitolo XX, Lu Campu de li Fissi, Compagnone esprime il

disgusto verso l’accumulo dei beni che talvolta accomuna vittime e predatori.

Il burattino, dopo aver vagato alla ricerca delle «Matres» in un’odissea dai

contorni biblici, ritrova il Gatto e la Volpe. La coppia di «persuasori occulti e

palesi»154 esercita su Pinocchio un potere ambiguo e perverso che a ogni

incontro lo conduce sulla strada della deviazione morale. I due incarnano

l’anima malvagia del capitalismo sfrenato, volto all’accumulo dei beni e al

raggiro, sempre pronti a ingannare il prossimo «come uccelli grifagni in attesa

di preda».155 Il cinismo di Compagnone non risparmia le prede, soprattutto

quando ostentano ricchezza e mediocrità. Il quartetto composto dal Gatto, la

Volpe, Pinocchio e Gioconda inducono «un italamericanese che tornava a

casa dopo molti anni di lontananza dalle sue terre meridionali» a seppellire

dollari nel Campu de li Fissi con la promessa che i dollari sarebbero cresciuti

sugli alberi a grappoli. Il Campu è la trasposizione del Campo dei Miracoli e

di quello dei Figli e raffigura il miracolo italiano degli anni Sessanta.

L’«italamericanese», fondatore della Standard Oil Company, è il grande

speculatore che si arricchisce nel paese del capitalismo e decanta la propria

ricchezza davanti ai compaesani rimasti in patria. La descrizione del raggiro è

quasi compiaciuta, non c’è benevolenza nei confronti dell’uomo che è

                                                                                                               153 Ivi, p. 91. «Ora, tu capisci, l’accumulo delle ma’ nelle mani di pochi ha trasformato la piccolo casa matriarcale d’un tempo nella grande fabbrica del Plurimammismo attuale». 154 L. Compagnone, Dizionarietto collodiano, in «Corriere della sera», 9 dicembre 1974. 155 L. Compagnone, La vita nova di Pinocchio, op. cit., p. 127.

  80  

animato dalla stessa avidità di Pinocchio nelle AP. La posizione di Pinocchio

è ribaltata: il burattino partecipa al raggiro in maniera consapevole, come se

avesse imparato la lezione. L’assalto notturno all’«italamericanese» permette

a Pinocchio di impossessarsi dei dollari e comprare il latte per Geppetto, che

riemerge dopo un lungo periodo di assenza ed è sempre abbinato alla fame e

alla povertà. L'episodio segna la svolta verso la sua nuova vita che si genera

da un evento violento: l’efferrato omicidio dell’ «italoamericanese» impiccato

alla Quercia grande. La nuova vita di Pinocchio prosegue sulla via

dell’accumulo di beni e della lascivia in un luogo dai tratti grotteschi: il

Babel’s building.

3.2.5. La vita nova e il Babel’s Building

La nuova vita di Pinocchio inizia nel capitolo XXII, Il faut cultiver

notre jardin, riferimento esplicito a François Voltaire. L’orto di Pinocchio è

un luogo di sordido divertimento che si chiama Babel’s Building.

L'edificio,«edificato proprio sullo spazio dove un tempo era cresciuto

l’Albero delle Madri» 156 appartiene al Gatto, la Volpe, la Gioconda e

Pinocchio. A metà strada fra il Paese delle api industriose e il Paese dei

balocchi rappresenta un esempio di nascente terziario157.

Nel Babel’s, Pinocchio matura il disagio per il suo corpo ligneo. Fino

a questo momento la sua natura non-umana rimane un elemento marginale

della narrazione: Pinocchio gioca alla pari con tutti gli altri personaggi forse

perché nessuno di loro ha tratti umani definiti e anche gli umani si muovono

in una dimensione che trascende la realtà. Nemmeno Geppetto esterna

                                                                                                               156 Ivi, p. 24. 157 «Ora la gente di quei sobborghi era grata a chi aveva creato quel termitaio detto Babel’s Building, che portava ricchezza sviluppando colà l’Industria del Forastiero, e come api s’industriavano a fabbricar chincaglierie per quei magnate e principi erranti». Ivi, p. 148.

  81  

pulsioni umane: la fame e il disagio gli sono attribuiti da Pinocchio e il

falegname percorre la sua condizione di povero in uno stato d’ipnotismo

onirico. Dopo il lungo monologo iniziale, Geppetto compare spesso in

maniera indiretta, evocato da altri personaggi. Passa dalla misera casa in cui

abita «solo, vicino a un piccolo regno di morti che pullulavano giù nel

sottoscala […]. La sua mobilia era una seggiola rotta, un gelido legno

scoffato, un tavolino storpiato, poi uno scranno accanto alla parete di fondo

con su un televisore»158 al Babel’s dove vive «incartato in sé stesso, svanito;

e, come un sonnambulo, continuava a piallare e a pillare quel suo pezzo di

legno» 159 :il corpo meccanico, caratteristica di Pinocchio, è trasferito a

Geppetto che sembra una marionetta senza vitalità.

Anche le madri si ritrovano nell’edificio: dopo essere entrato nel

ventre della balena e averle liberate, Pinocchio le conduce al Babel’s, sfruttate

come serve o come intrattenimento dal nuovo socio della ditta del raggiro,

l’Omino e il suo circo.

Gli avventori del Building sono per lo più viaggiatori che vanno e

vengono: ognuno di loro ricorda a Pinocchio di essere un burattino. La

trasformazione di Pinocchio avviene in maniera del tutto inattesa. Un giorno

«che doveva essere un giorno qualunque»160 egli si sveglia e scopre di essere un

ragazzino perbene e celebra la trasformazione con la sua nuova famiglia: il

Gatto, la Volpe e la Gioconda mentre la voce del Signore (artefice della

metamorfosi) chiama al suo cospetto Geppetto. Al momento della svolta finale

dunque sembra che Pinocchio e il suo corpo rinnovato non possa rimanere

insieme a Geppetto, come se fra i due non vi fosse possibilità di convivenza.

Nel finale Compagnone mette in scena il rovesciamento totale delle

AP. La trasformazione non è un premio ma una punizione per essere stato

vinto da sogni e incantesimi e precipita Pinocchio nel mondo corrotto degli

                                                                                                               158 Ivi, p. 13. 159 Ivi, p. 149. 160 Ivi, p. 167.

  82  

umani. Il Babel’s Building è dunque il luogo della vita nova di Pinocchio ma

anche della sua morte.

3.2.6. Le lettere dal Babel’s Building: un metatesto diacronico

L’edizione di La vita nova di Pinocchio del 1971 contiene in

appendice una serie di lettere che l’autore, che si firma semplicemente con

l’iniziale L., immagia di scrivere dal Babel’s Building a un amico critico, il

cui nome è indicato dall’iniziale G. Si tratta di una raccolta epistolare che si

sviluppa come metatesto letterario focalizzato sulla ricognizione dei luoghi e

dei personaggi contenuti sia nel poemetto su Pinocchio, scritto da

Compagnone fra il 1966 e il 1970, sia nella Vita nova. Le prime lettere

raccontano di una visita ai «tristi sobborghi» attraversati da Pinocchio nelle

AP, come se si trattasse di un’osservazione diretta sul campo per raccogliere

informazioni e notizie sul protagonista, presupponendo dunque una reale

esistenza di tali luoghi. Che appaiono però da subito nebulosi ed evanescenti,

quasi inesistenti. L’autore decide allora di incontrare i vari personaggi che

popolano il Babel’s e chiede l’aiuto dell’Omino, che vi lavora come Grand

Chef. Introdotto ai proprietari, il Gatto e la Volpe, scopre che nell’edificio

lavorano anche le «Matres». La situazione diventa critica quando lo scrittore

chiede di Pinocchio. Le risposte vaghe e gli ammiccamenti della coppia

gettano una luce sinistra sulla sorte del burattino. Il tono delle lettere si fa

preoccupato e lo scrittore dichiara di avvertire un senso di minaccia,

soprattutto da quando ritrova una bambola di gomma seduta vicino al letto

con lame affilate al posto delle unghie. L’ultima lettera contiene un’accorata

richiesta di aiuto all’amico per il presagio della morte imminente.

Le lettere, che non ricevono alcuna risposta, compongono un breve

racconto surreale con atmosfere lugubri alla maniera di Edgar Allan Poe. La

forma epistolare e la narrazione in prima persona sembrano voler avvalorare e

sostenere la veridicità degli eventi raccontati nella riscrittura di Pinocchio e il

  83  

realismo dei personaggi. Compagnone percorre dunque fino in fondo la

vicenda collodiana con un accenno di continuazione in cui proprio Pinocchio

è il grande assente.

3.3. Giorgio Manganelli e la pratica della riscrittura

Nel 1977 Giorgio Manganelli pubblica due riscritture: Pinocchio: un

libro parallelo per Einaudi e Cassio governa a Cipro, ispirata all’Othello di

Shakespeare, per Rizzoli. I due volumi, che escono a distanza di circa tredici anni

dalla sua opera d’esordio – Hilarotragoedia161 rappresentano un’insolita forma di

commento e di omaggio a due «classici» della letteratura, esperimento cui

Manganelli si è già dedicato con l’adattamento del Morgante Maggiore162di

Luigi Pulci per la lettura radiofonica del 1972. Hilarotragoedia può essere

considerato un testo dal valore programmatico in cui Manganelli sintetizza e

anticipa la sua visione letteraria. Definito dall’autore stesso un «libretto

tanatocentrico» da proporre a «un pubblico esiguo e iracondo come do-it-

yourself per l’apprestamento di un ordigno insieme ovvio e di temeraria

complessità», l’autore vi affronta il tema della morte e della «natura

discenditiva» dell’uomo attraverso un’indagine che diventa metariflessione sulla

letteratura e sul linguaggio. La riflessione sulla scrittura e sui generi letterari

prosegue poi nel 1969 con la pubblicazione di Nuovo Commento163che si articola

                                                                                                               161 G. Manganelli, Hilarotragoedia, Milano, Feltrinelli, 1964; poi Milano, Adelphi, 1987. 162 Del Morgante Maggiore egli predilige l’estrosità e la stravaganza che Pulci comunica attraverso i motti fulminanti, la manipolazione linguistica, le pantomime iperboliche, la spregiudicata ribalderia dei personaggi, soprattutto di Margutte. C’è anche un altro aspetto del Morgante che attrae Manganelli: l’interesse per il negletto, l’ambiguo, il trickster dal corpo deforme, proprio come Pinocchio. Come afferma Gianfranco Marrone «per Manganelli, Pinocchio sarebbe una particolare manifestazione del trickster, ma con una caratteristica particolare, quella d’essere strutturalmente suicida». G. Marrone, Parallelismi e traduzione: il caso Manganelli, in P.Fabbri, I.Pezzini, op. cit., p. 260. 163 G. Manganelli, Nuovo Commento, Torino, Einaudi, 1969; poi Milano, Adelphi, 1993.

  84  

come commento a un libro mai scritto in cui Manganelli introduce il concetto di

scrittore-commentatore che si cala nel centro del «cosmo commentabile» e lo

espande. Attraverso una scrittura labirintica ed ecolalica, in cui lo scrittore è

destinato a «lavorare con sempre maggiore coscienza su un testo sempre più

estraneo al senso»164, la pagina scritta si propone come un dedalo di cunicoli, un

sobborgo da perlustrare, un progetto in cui precipitare, teorie che Manganelli

svilupperà nella sua produzione successiva e sulle quali si soffermerà nella

riscrittura di Pinocchio: un libro parallelo. Il commento è un «genere» che

Manganelli contrappone al romanzo «inteso come protratta narrazione di eventi o

situazioni verosimili» che ha espresso le sue potenzialità nell’Ottocento ma

difficilmente replicabile nell’era moderna, periodo in cui è «caduto in tanta

irreparabile fatiscenza che il problema è solo quello dello sgombero delle

macerie, non del loro riattamento a condizioni abitabili»165. Come sostiene

Matteo Di Gesù, Pinocchio: un libro parallelo e Centuria. Cento piccoli romanzi

fiume «rappresentano paradigmaticamente le sole maniere possibili con le

quali,‘manganellianamente’, è lecito maneggiare la forma-romanzo:

riscrivendola in una lettura parallela nel primo caso, parodiandola e irridendola

nel secondo».166 Con Cassio governa a Cipro e Pinocchio: un libro parallelo

l’autore, come afferma Graziella Pulce, si cimenta in «qualcosa che partecipa sia

della riscrittura che del commento e che somiglia a quella che nel linguaggio

musicale è la variazione»167. La variazione manganelliana è una pratica che

coinvolge sia lo scrittore sia il lettore che si incontrano in un universo comune, il

testo scritto, all’interno del quale ognuno ritrova la propria storia. Sempre Matteo

di Gesù considera Cassio governa a Cipro:

                                                                                                               164 G. Manganelli, op.cit., p. 222. 165 G. Manganelli, Il romanzo, in Il rumore sottile della prosa, a cura di P. Italia, Milano, Adelphi, 1994, p. 57. Il romanzo è uno scritto di Manganelli preparato in occasione della riunione annuale del Gruppo 63 che nel 1965 ha come tema il romanzo sperimentale. 166 M. Di Gesù, Palinsensti del moderno, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 78. 167 G. Pulce, Giorgio Manganelli. Figure e sistema, Firenze, Le Monnier Università, 2004, p. 7.

  85  

Il primo risultato della serie di incursioni manganelliane nel territorio dell’intertestualità, scorribande che troveranno qualche anno dopo, nel Discorso dell’ombra e dello stemma, una sorta di ennesima legittimazione teorico-fantastica, demandata ancora alla forma pseudo-trattatistica. Con ciò naturalmente non si intende circoscrivere a queste opere quel carattere eminentemente metaletterario e intertestuale, che è invece proprio di quasi tutta la prosa di Manganelli, per la quale anzi è pressoché impossibile darsi prescindendo dal pastiche […] quanto da una visione parodica della letteratura.168

Il Discorso dell’ombra e dello stemma,169pubblicato nel 1982, prosegue

la riflessione sulla scrittura come commento senza fine in cui la parola diventa

ombra che nasconde molteplici sfaccettature ma anche stemma, luce che illumina

suoni e significati nascosti.

3.3.1. Pinocchio: un libro parallelo. Una riscrittura fra commento metaletterario e variazione letteraria

La scelta di Le avventure di Pinocchio come ipotesto su cui condurre una

riscrittura e una riflessione linguistica e di genere non pare casuale. In La

letteratura come menzogna Manganelli propone una suddivisione dei libri in tre

categorie: da un larto i «grandi e terribili classici, oggetti taciturni e indifferenti,

ereditati da arcaici antenati, sacri alle biblioteche dei nascituri»; dall’altro gli altri

libri che rimangono provvisoriamente sugli scaffali, «presenze esili ed insolenti»

e, infine, quei libri difficilmente collocabili:

Destinati a lettori comuni, anonimi, non meno che agli smaliziati, alle “persone colte”. Entrati di contrabbando in un empireo che non è stato progettato per loro, riescono a rimanervi grazie al festoso cinismo, al garbo delle loro favole lievemente insensate: e così conseguono una frodolenta eternità170.

                                                                                                               168 M. Di Gesù, op. cit., p. 78. 169 G. Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma, Milano, Rizzoli, 1982. 170 G. Manganelli, I tre moschettieri, in La letteratura come menzogna, Milano, Adelphi, 2004, p. 34.

  86  

Il riferimento al «garbo delle favole lievemente insensate» e alla

«frodolenta eternità» sembra diretto proprio alle AP opera che, per struttura

linguistica e narrativa, non può rimanere indifferente al Manganelli

commentatore. Il testo rappresenta infatti un universo complesso dalle molteplici

sfumature: la natura metamorfica del burattino, le trasformazioni testuali e i piani

di lettura che si sovrappongono, la sparizione dell’autore in seno all’opera, la

presenza di storie parallele all’interno dell’ipotesto, elementi che confluiscono

nella visione manganelliana di «libro cubico» che contiene a sua volta infiniti

libri. Il libro cubico è percorribile secondo vari itinerari e seguendone i sentieri e

gli indizi, le parole e i silenzi, tanto da riuscire a contenere tutti i libri paralleli

che esso può contenere. All’idea di libro cubico si affianca dunque quella di

«libro parallelo», ovvero di:

un testo scritto accanto ad un altro, già esistente libro, una lamina scritta che mima le dimensioni e forme di altra lamina, e ne insegue i caratteri, i segni, parte scrivendo, parte traducendo, confermando, negando, ampliando: avrebbe dunque del commento, e da questo si distinguerebbe per la continuità non frammentata a chiosa di singole parole, ma piuttosto atteggiata a parafrasi volta a volta pantografata o miniaturizzata, o del tutto deviata.171

La lamina scritta è simile a un palinsesto, una sorta di testo sovrascritto

in cui il riscrittore «presto si accorge che la lamina ha un suo modo di

conformarsi, per cui il ‘libro parallelo’ è tale all’interno del libro che

persegue»172. La pratica riscrittoria di Manganelli si apre dunque a numerose

interpretazioni che sembrano seguire due direzioni: il rapporto dialogico fra le

AP e il libro parallelo e la relazione che coinvolge lo scrittore e il lettore.

Per quanto riguarda la pratica trasformativa operata da Manganelli,

Gianfranco Marrone nel saggio Parallelismi e traduzioni: il caso Manganelli

sembra suggerire due tipi di parallelismi:

                                                                                                               171 G. Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, op. cit., p. 7. 172 Ibid.

  87  

Un parallelismo esterno tra due libri-lamine, dove il secondo deve per forza di cose mantenere un incontro all’infinito con il primo, ricalcandone forme e percorsi. È il parallelismo […] alla Genette, quello del palinsesto e della parodia, della catena di testi che si copiano e si modificano fra loro, secondo una tassonomia preordinata di regole di passaggio. Dall’altro ci sarebbe invece un parallelismo interno a un libro-cubo, dove la molteplicità dei possibili percorsi di lettura può essere più o meno magnificata, più o meno narcotizzata. È il parallelismo […] alla Jackobson, quello dei meccanismi poetici presenti nella struttura testuale, che implicitamente accompagnano il lettore comune nella fruizione estetica. 173

Marrone suggerisce dunque un parallelismo esterno, più lineare, di

compresenza fra due testi di cui uno, le AP, rappresenta «l’umile edificio

toscano» che Manganelli trasforma sapientemente in «architettura barocca»174

attraverso digressioni, espansioni, aggiunte, il tutto nella direzione,

genettianamente parlando, della metatestualità dichiarata. Il secondo tipo di

parallelismo riguarda invece il rapporto con il lettore che in Manganelli diventa il

centro di un sistema basato sull’intersoggettività che si riscopre nella scrittura

ecolalica e labirintica fatta di scale e di piani da cui precipitare secondo un

modello che discende da Hilarotragoedia. In questo processo, in cui tanto il

«mittente» quanto il «destinatario» sono condotti negli infiniti meandri nascosti

dalle parole, Manganelli suggerisce come la «mano ubbidiente» dell’autore,

definito «disegnatore di grafici», dovrebbe rimanere invisibile e permettere alle

parole di sfiorarsi e aggregarsi poiché «l’uccisione dell’autore è un’esigenza

elementare della lettura»175. Se dunque i testi si parlano fra loro e il lettore è in

grado di coglierne il rapporto dialogico, allo scrittore non resta che sparire dietro

al testo e permettere al lettore attento, o meglio al «rilettore», di far risuonare il

testo dentro di sé. Manganelli attribuisce infatti al «rilettore» una caratteristica

                                                                                                               173 G. Marrone, Parallelismi e traduzione: il caso Manganelli, in P. Fabbri, I. Pezzini (a cura di), op. cit., pp. 262-263. 174 P. Citati, Questo Pinocchio è un vero fantasma, in M. Belpoliti, A. Cortellessa, (a cura di), Riga 25 Giorgio Manganelli, Milano, Marcos y Marcos, 2006, p. 239. 175 G. Manganelli, op. cit., p. 71. In questa affermazione si possono ritrovare echi della teoria di Roland Barthes riguardo la morte dell’autore alla quale viene contrapposto il linguaggio impersonale e anonimo come unico apparato formale dell’enunciazione.

  88  

specifica, che lo differenzia dal lettore: la volontà rituale. L’atto della rilettura

presuppone difatti una consapevolezza del già letto sulla quale proseguire

un’esperienza di approfondimento e introspezione poiché «il lettore, e soprattutto

il rilettore, attento, non ignora che una pagina, una riga, una parola è un gran

suono dentro di lui, un rintocco cui offre i suoi nervi, gli anfratti anonimi, le

latebre latitanti e tenebrose».176 Il riscrittore, che è a sua volta rilettore, è

consapevole che quel «rintocco» risuona in una rete testuale in cui un libro

«genererà infiniti libri [e] questa sorta di commentatore non parlerà delle parole

che si leggono, ma di tutte quelle che vi si nascondono»177. Tuttavia, come nota

Grazia Menechella, «ci troviamo di fronte a un paradossale, estremistico

tentativo di negazione di comunicazione ma verificheremo che l’autore ‘morto’ è

onnipresente e ci dà istruzioni ben precise su come leggere il testo»178: l’autore

infatti non è assente e tanto meno nascosto ma anzi si prodiga in approfondimenti

e richiami che tradiscono una regia precisa della riscrittura, che si sviluppa

alternando con sapienza il libro cubico e la lamina riscritta.

3.3.2. Fra libro cubico e lamina sovrascritta

La riscrittura di Manganelli segue la stessa suddivisione delle AP in

trentasei capitoli e ripercorre la stessa scansione narrativa dell’originale.

Manganelli non riporta gli intertitoli dell’opera fonte e non li sostituisce con titoli

tematici ma utilizza una semplice numerazione dei capitoli in caratteri romani.

La pratica para-decostruzionista e la risemantizzazione dell’ipotesto si

sviluppano dall’incipit, la cui analisi dimostra come l’impianto narrativo

collodiano si generi da una «frode iniziale» che allontana le AP dall’«antica terra

di fiabe, certificata dall’aureo cerchio di una corona»179 in un atto scoronante per

                                                                                                               176 Ivi, pp. 18-19. 177 Ivi, p. 20. 178 G. Menechella, Il felice vanverare. Ironia e parodia nell’opera narrativa di Giorgio Manganelli, Ravenna, Longo, 2002, p. 143. 179 Ivi, p. 11.

  89  

cui il Re è sostituito da un semplice pezzo da catasta: l’unico attestato di

sovranità, seppur scenico dunque momentaneo, è attribuito a Mangiafoco.

Le espansioni metatestuali si generano con particolare vivacità nelle parti

in cui il commento riguarda riflessioni sull’uso della lingua. Un caso

esemplificativo è riportato al capitolo VI, dove la digressione si genera da un

refuso interpretativo, quel «nottataccia d’inferno» e «nottataccia d’inverno» che

divide i commentatori. Manganelli ritiene che Collodi intendesse fornire

un’informazione sulla “stagione della nascita di Pinocchio”, ma l’uso di inferno

al posto di inverno è considerato dall’autore un «refuso agevole» che richiama il

fuoco e l’inferno e si collega alla figura della fuga e della morte. I numerosi

richiami ai lettori procedono essenzialmente in due direzioni: da un lato essi

intendono focalizzare l’attenzione sugli elementi dell’ opera fonte, dall’altro

corrispondono alla volontà dell’autore di fornire indicazioni sulla pratica

riscrittoria. Al primo tipo appartiene, per esempio, l’invito a congedare con

gratitudine Mastro Ciliegia dalla storia, definito «l’unico nostro rappresentante,

colui il cui unico destino è l’errore»180 figura che ha il privilegio di introdurre

Pinocchio e che viene abbandonato senza commiato da Collodi. Al secondo tipo

sono invece riconducibili le numerose digressioni sui livelli e i fuochi di lettura.

A metà dell’opera, nel capitolo XVIII, Manganelli collega tutti i temi

portanti del suo commento: le fughe di Pinocchio, il suo rapporto con i vari

personaggi, in particolare con Geppetto, la Fata e la coppia di «Criminali

Sventurati» 181 del Gatto e la Volpe, le isotopie cromatiche, il teatro e la

recitazione. Il capitolo rispetta il cambio di tono e di registro narrativo

dell’originale e prepara lo sviluppo della seconda parte della storia. Anche nel

capitolo conclusivo Manganelli incrocia la riscrittura con l’opera fonte nel

portare a conclusione i temi principali e nel congedare i personaggi.

3.3.3. Manganelli e l’individuazione di «parallelismi interni» alle AP

                                                                                                               180 Ivi, p. 26. 181 Ivi, p. 102.

  90  

Manganelli individua due casi di parallelismo interno al testo collodiano:

la vicenda delle due bare e la città di Acchiappacitrulli.

Dal punto di vista della fabula, “la piccola bara” che accompagna

l’apparizione della Fata al capitolo XV è la stessa che dovrebbe portar via

Pinocchio che giace ammalato sul letto della casina bianca nel capitolo XVII. Ma

né Pinocchio né la Fata ne usufruiscono: «la morte di Pinocchio coincide con la

salvezza della Bambina e della casina bianca», dunque la bara diventa il cardine

di un doppio ribaltamento narrativo per cui Pinocchio riprende vita e la sua fuga

continua mentre la Bambina diventa Fata, figura «polimorfa ma anche

instabile»182. La presenza delle due bare a poche pagine di distanza è un

particolare che, per Manganelli, non può sfuggire al commentatore che abbia

istinto da parallelista: «il caso della ‘piccola bara da morto’183 può dare qualche

suggerimento sul modo adeguato di commentare, o piuttosto di scrivere in

parallelo»184. La presenza di una storia parallela all’interno di un testo non è

altro, dunque, che la dimostrazione della profondità di un testo, il quale, «sia

attraversato nella sua struttura di luogo degli echi, che maneggiato come labirinto

di tutti i possibili itinerari, è assolutamente senza limiti». 185

Le due bare sono anche presagio di un destino sinistro, un ulteriore

parallelismo che accomuna le due figure, Pinocchio e la Fata, in un percorso che

attraversa due luoghi d’incontro privilegiati: la prigione e lo «spedale». I due

luoghi sono menzionati in un accoppiamento semantico nel capitolo IV dal Grillo

parlante e successivamente dalla Fata. È come se la Fata fosse presente in tutto il

viaggio del burattino e la sua fine allo «spedale», ultimo luogo fisico in cui è

descritta, ricongiungesse la sua storia a quella di Pinocchio (il quale ha

conosciuto anche la prigione in maniera indiretta, per aver fatto incarcerare

                                                                                                               182 Ivi, p. 101. 183 Una terza, possibile bara aleggia nel capitolo XXVII, quando Eugenio è colpito alla tempia da un libro e giace come un «morticino» assistito da Pinocchio. 184 Ivi, p. 99. 185 Ivi, pp. 99-100.

  91  

Geppetto al posto suo, e in maniera diretta per esservi stato rinchiuso da

innocente) e la ricollegasse alla figura della bambina morta che aspetta la bara

all’inizio del capitolo XV. Manganelli rileva dunque che «la prigione e lo spedale

diventano il luogo della decadenza, della fine, della nascita» 186 . Ma è

nell’episodio che precede la trasformazione finale che, secondo Manganelli, si

genera uno dei parallelismi maggiori. Pinocchio vede la Fata che presagisce un

futuro roseo ma anche la Fata sta dormendo e sognando: i due sogni sono dunque

speculari e creano un duplice corridoio onirico attraverso il quale la Fata penetra

per l’ultima volta nel mondo dei vivi.

Il secondo caso di parallelismo interno riguarda una linea che porta

Manganelli a congiungere i tre Paesi descritti da Collodi: Acchiappacitrulli, Api

industriose e Balocchi. Gianfranco Marrone rintraccia nel commento di

Manganelli due tipi di parallelismo: uno lineare, che, sul piano dell’essere,

collega Api industriose, governato dal lavoro ma abitato da ladri e incompetenti;

Balocchi, regolato dal gioco ma catastrofico; e Acchiappacitrulli, luogo della

punizione. L’altro oppositivo, in cui «sul piano dell’apparire Balocchi si oppone

ad Acchiappacitrulli sulla base della categoria euforia/disforia, mentre Balocchi

si oppone ad Api industriose sulla base della categoria gioco/lavoro». 187

Analizzati in ordine di apparizione, i tre paesi propongono una progressione

verso la svolta finale di Pinocchio. In Acchiappacitrulli la città ha «struttura

essenzialmente teatrale»188 e si presenta come un’evoluzione sofisticata del circo.

I suoi abitanti sono dramatis personae che mettono in scena l’utopia rovesciata

inseguita da Pinocchio. Acchiappacitrulli racchiude per Manganelli «una storia

parallela […] che prefigura il Paese dei Balocchi»189 luogo in cui Pinocchio

sperimenta il carcere ( da innocente) e che dunque lo lega al suo destino. Api

industriose è la rappresentazione della menzogna: il nome copre una schiera di

ladri, carabinieri, mastini e mostri verdi, ma anche, secondo Manganelli, il                                                                                                                186 Ivi, p. 201. 187 G. Marrone, op. cit., p. 270. 188 G. Manganelli, op. cit., p. 107. 189 Ivi, pp. 111-112.

  92  

Nuovo Mondo inseguito da Geppetto. Il Paese dei Balocchi è infine la

«metropoli dell’euforia»190, la «terribile profezia [che] ha un che di convenutale e

insieme di carcerario» 191 . Balocchi dunque è collegato a Acchiappacitrulli

dall’elemento del carcere, chiudendo la struttura del parallelismo in maniera

circolare.

3.3.4. Il teatro e le sue forme

L’isotopia dello spettacolo è al centro della rilettura-riscrittura che

Giorgio Manganelli conduce sul capitolo dieci delle AP, capitolo interamente

dedicato al passaggio di Pinocchio all’interno del teatro di Mangiafoco, episodio

che si presta a molteplici riflessioni nella riscrittura manganelliana. Nel

ripercorrere lo straniamento che investe Pinocchio dentro il teatro Manganelli

rispetta le tappe dell’opera fonte di cui approfondisce alcuni spunti specifici,

come la ricostruzione delle origini di Pinocchio, il suo rapporto con Mangiafoco

e l’acquisizione di quella tendenza alla dissimulazione che lo accompagneranno

da quel momento in poi. Consapevole del potere seduttivo delle tecniche di

manipolazione linguistica, egli sembra dunque scegliere questo luogo per la sua

capacità di tematizzare il problematico rapporto tra l’uomo e la realtà, oltre che

per il suo valore paradigmatico di spazio di finzione e di rivelazione. Manganelli

inserisce il teatro dentro lo spazio del «c’era una volta», luogo fisicamente chiuso

e in cui vigono le regole della finzione, abitato da personaggi che non

sopravvivono al di fuori di esso: «accogliendo la regola del “come se”, i burattini

[vi] recitano una finta metamorfosi»192. Nel teatro non esiste d’altronde «il

linguaggio privato, ma solo la recitazione, non [vi] si può discorrere se non per

retorica»193. Arlecchino, nel chiamare Pinocchio che siede tra il pubblico, deve

infrangere la barriera della finzione e sospendere la recitazione di fronte al                                                                                                                190 Ivi, p. 165. 191 Ivi, p. 166. 192 Ivi, p. 62. 193 Ibid.

  93  

pubblico stesso, che Manganelli definisce «la gente vera»194 in un atto che

comprende «emotività e falsità». Ma gli spettatori sono straniati dal processo di

agnizione, così come lo è il burattino: «forse le poche ore umane lo hanno già

reso estraneo».195 Pinocchio partecipa allo spettacolo e si unisce alle altre

marionette poiché per poter andare avanti deve prima regredire fino alle origini.

L’espansione della riscrittura parallela manganelliana si concentra a questo punto

sulle origini di Pinocchio. Il passaggio nel teatro e il contatto con la «compagnia

drammatico-vegetale» restituiscono il burattino alla foresta e all’albero da cui

proviene:

‘Fratelli’ saranno stati in quella ipotetica foresta originaria, e come tali si saranno riconosciuti, e avranno tenuto una qualche conversazione di ‘vocine’. Da sempre, dunque, non si sono mai separati; hanno vissuto nei nodi e nelle scorze della foresta, hanno conosciuto una misteriosa metamorfosi, ed ora sono il Gran Teatro. 196

In questo «Gran Teatro» Pinocchio è un transfuga che Manganelli

colloca nello «spazio disabitato tra la compagnevole fratellanza vegetale e la

vagheggiata condizione umana»197. È proprio in virtù di questa evoluzione che

ora è in grado di dialogare con Mangiafoco, personaggio che, come Pinocchio,

occupa una posizione narrativa intermedia fra le marionette e il pubblico.

Manganelli non manca di rimarcare l’alleanza fra burattino e burattinaio;

entrambi recitano la recitazione «con il risultato di ottenere un altro linguaggio

che non è più quello del Gran Teatro, ma in un certo modo del Teatro dei

Teatri»198 e dunque incarnano la totalità dell’attore. Il rapporto Mangiafoco-

Pinocchio è riletto da Manganelli anche alla luce di un’altra ipotesi: la necessità

di uccidere l’Orco per salvare il burattino. Davanti al burattinaio Pinocchio

ritorna «pezzo di legno da catasta» che si immola per essere bruciato al posto di

                                                                                                               194 Ibid. 195 Ivi, p. 64. 196 Ibid. 197 Ibid. 198 Ibid.

  94  

Arlecchino accettando la «morte per fuoco»199 . Mangiafoco, accettando di

salvarlo, si schiera dalla sua parte praticando quello che Manganelli definisce un

«regicidio complottato e portato avanti con sottigliezza» 200 . Ma, osserva

Manganelli, «un complotto inteso alla distruzione di sé partecipa del suicidio per

interposta persona»201,dunque Mangiafoco è consapevole che, per liberare il

burattino, deve uccidere il lato orrorifico di sé. Una volta uscito dal teatro

Pinocchio dimostra di aver assimilato quelle doti di recitazione e di finzione che

gli permetteranno di diventare un burattino inesperto ma astuto e di ritrovare «le

risorse del Gran Teatro»202 nelle situazioni critiche. Il teatro non è tuttavia solo il

luogo della recitazione e dell’agnizione, ma è anche un corridoio narrativo che

attraversa i vari piani scenici. Un esempio è rappresentato dalla città di

Acchiappacitrulli. I suoi abitanti hanno la funzione di comparse e rappresentano

categorie contrapposte (maschi/femmine, poveri/ricchi, decorosi/indecenti) dalla

consistenza allucinatoria. Il passaggio di Pinocchio nella città è un percorso

attraverso la «Storia come Teatro», quindi rispetto al teatro di Mangiafoco, che è

teatro come storia, Acchiappacitrulli rappresenta un ribaltamento sofisticato che

perde la magia del circo e acquista la drammaticità della quotidianità. Infatti il

giudice scimmione, che abita nella città, è collegato a Mangiafoco in un rapporto

di contrapposizione che trova nella barba l’elemento comune: nera quella del

burattinaio, bianca quella del giudice.

Il teatro luogo della recitazione si ripresenta in occasione dell’incontro di

Pinocchio con gli Assassini. Astuto e veloce, il burattino nasconde le monete

d’oro sotto la lingua e tenta la fuga: «subito agguantato, ritrova le risorse del

Gran Teatro»203 e mette in scena riti e pantomime per salvarsi. Il passaggio nel

Teatro dei burattini ha reso Pinocchio consapevole dei vantaggi della recitazione,

sa di poter recitare la finzione e si affida al linguaggio ingannevole della retorica

                                                                                                               199 Ivi, p. 69. 200 Ivi, p. 70. 201 Ibid. 202 Ivi, p. 65. 203 Ibid.

  95  

per raggiungere la salvezza. Solo la morte sfugge al teatro e alla recitazione:

«Pinocchio ha orrore della morte perché non saprebbe recitarla»204 quindi per

poter morire deve continuare a vivere, fuggire e recitare.

3.3.5. La duplicità di Mangiafoco e la funzione delle cinque monete d’oro

Sulla figura di Mangiafoco Manganelli conduce una lettura particolare

che riguarda soprattutto il rapporto complesso che lo lega ai burattini e a

Pinocchio. La sua «figura insanabilmente duplice»205 lo mette in relazione sia

con il Gran Teatro, luogo della recitazione, sia con il pubblico. Il suo ruolo

intermedio di collegamento fra le marionette e le persone che assistono allo

spettacolo lo astrae dal teatro come luogo della recitazione, avvicinandolo sotto

questo aspetto a Pinocchio. Come Pinocchio, infatti, «recita la recitazione […]

con il risultato di ottenere un altro linguaggio che non è più quello del Gran

Teatro, ma in un certo modo del Teatro dei Teatri»206 incarnando idealmente la

totalità dell’attore.

Il carico orrorifico della sua prima apparizione si attenua, come accade

nelle AP, nel corso della narrazione in una dicotomia «schizoide» che lo

umanizza fino a renderlo simile a un capufficio che necessita delle lusinghe del

burattino e dei titoli encomiastici per essere rabbonito. Rispetto alle AP, tuttavia,

Manganelli non insiste sugli elementi carnevaleschi del personaggio (resistono il

«bocchino tondo» e il «bellissimo bacio» deposto da Pinocchio sul suo naso).

L’aspetto del personaggio che viene enfatizzato è invece quello dell’indefinitezza

caratteriale che alterna cattiveria e bontà, durezza e compiacimento, tirannia e

grazia in una continua dicotomia che lo rende un «caso clinico teatrale»207.

Il rapporto Mangiafoco-Pinocchio viene riletto da Manganelli alla luce di

un’alleanza dal duplice scopo: uccidere l’Orco e salvare Pinocchio dalla sua                                                                                                                204 Ivi, p. 66. 205 Ivi, p. 67. 206 Ivi, p. 64. 207 Ivi, p. 67.

  96  

condizione di burattino che lo spinge verso la «compagnia drammatico-vegetale»

del teatro. Ma l’uccisione dell’ Orco permette a Manganelli di inserire, a

conclusione del capitolo, una breve digressione sul ruolo dell’autore:

L’autore crede di lavorare con parole ambigue, ma non con parole che – come Mangiafoco – sono non parole, con significati che ‘non’ esistono. Insomma diciamo che la distruzione – teatralmente, l’uccisione dell’autore – è un’esigenza elementare della lettura. In questo modo egli traccia un parallelismo fra l’uccisione dell’orco che

permette a Pinocchio di vivere e la simbolica «uccisione» dell’autore, leitmotiv

ricorrente nella sua produzione letteraria e di molta letteratura postmoderna,

volto idealmente a sancire una progressiva emancipazione del lettore dalla

tirannia del padre-padrone del testo.

La natura di Homo Economicus di Pinocchio è sollecitata dalle cinque

monete d’oro avute in dono da Mangiafoco. Manganelli scorge nella consegna

delle monete un esempio dell’irresponsabilità del burattinaio che, dall’alto della

sua regalità, non percepisce l’importanza del denaro. Nelle innumerevoli fughe e

ritorni che si susseguono nella storia di Pinocchio, la ricezione delle monete,

viatico di un ritorno, diventa in realtà lo strumento della fuga più importante: se

non avesse in tasca quelle monete forse tornerebbe indietro e invece è spinto a

consegnarsi alla coppia fraudolenta del Gatto e la Volpe. Nasce così «la terza

figura di Pinocchio: da pezzo di legno, a burattino tra burattini, a vagabondo

inesperto ed astuto»208. Gli zecchini, semi che dovrebbero fecondare la terra,

rendono Pinocchio colpevole di «usura vegetale, orrendo saccheggio della

madre»209.

Manganelli sottolinea come Pinocchio cada nel peccato di profezia

progressista e nemmeno il pensiero della casacca d’oro e d’argento per Geppetto

riesce a sottrarlo alla frode: egli «ama la frode, la generosità dei ladri, il

disinteresse dei ribaldi, la devozione dei falsari, la sollecitudine dei

                                                                                                               208 Ivi, p. 73. 209 Ivi, p. 75.

  97  

saltastrada».210 Una volta esclusa la possibilità del ritorno alla vita onesta, egli

cede alle illusioni del «nume infinitamente e apertamente generoso del Campo

dei miracoli, il Dio adescatore e moltiplicatore di monete»211: il desidero di

moltiplicare i denari contribuisce alla «caricatura fiabesca del ‘piccolo

risparmiatore’, [che] progetta, nell’ordine, tre giorni per imparare a leggere,

scrivere e far di conto, cui seguiranno ‘molti quattrini’ da investire in una giacca

per Geppetto»212.

Manganelli ritorna spesso sulle cinque monete d’oro: esse pesano sul

destino di Pinocchio fino alla fine. Il denaro che Pinocchio guadagna nelle

pagine conclusive grazie al duro lavoro lo rende un risparmiatore attento e

l’autore sottolinea come i quaranta soldi offerti dalla Fata come ringraziamento

per la generosità di Pinocchio concludano il «dramma degli zecchini» e

contribuiscano alla trasformazione totale del burattino in persona.

3.3.6. Il polimorfismo della Fata

Manganelli riconosce a Mangiafoco due incarichi molto importanti:

introdurre il tema della madre e consegnare a Pinocchio la possibilità di

proseguire la sua fuga tramite le cinque monete d’oro. Alla presenza del

burattinaio, Pinocchio tocca infatti uno dei grandi temi della sua storia, l’assenza

della madre, che viene colmata dall’unica figura femminile rilevante nella storia,

la Fata.

Le trasformazioni di questo personaggio sono seguite da Manganelli in

maniera piuttosto aderente all’ipotesto ma a differenza di Collodi, che la

tratteggia in maniera forte, autonoma, quale unica figura che raggiunge lo stesso

grado di indipendenza del protagonista, Manganelli decide di sottolinearne la

natura polimorfa. Se nelle AP la figura della Fata si rende velocemente autonoma

                                                                                                               210 Ivi, p. 76. 211 Ivi, p. 80. 212 Ivi, p. 58.

  98  

e da un certo momento in poi non necessita di attributi per essere definita,

Manganelli la descrive di volta in volta in maniera diversa a ricordare la sua

essenza sfuggente e, tutto sommato, ambigua. Essa compare dunque come

«bambina magata», madre «instabile e crudele», «sorella iniziatica», «signora

degli animali». L’immagine della Fata che emerge dalla riscrittura non è pertanto

sempre positiva. Manganelli nota come la sua prima apparizione sia collegata

alla morte, verificandosi al termine di un viaggio nelle tenebre silvane compiuto

da Pinocchio. In questa occasione l’autore la definisce «cerea non soccorritrice»

insinuando l’idea che sia proprio la Fata la vera menzognera della storia, spettro

ingannevole che collabora alla morte del burattino:

Apparentemente, la Bambina mentiva, dicendosi morta; menzogna insieme atroce e magica e che Pinocchio non intende […] ma che lo consegna al supplizio. Nella lunga e frammentata storia della Fata non di rado essa “mentirà” e si tratterà spesso di menzogne che hanno a che fare con la morte, il sonno, la lontananza. È una menzogna di sapor pedagogico […] ma di quale pedagogia non si intende.213

Manganelli individua nella morte dei due personaggi un doppio elemento

di «conclusione e transito»214: conclusione di un percorso e transito verso una

nuova avventura, o fuga, nella quale possono finalmente conoscersi a vicenda,

«quasi essi disponessero d’un’unica morte in due, e solo attraversandola, e

agendo reciprocamente da guida, si possono incontrare ed iniziare il lento ed

instabile riconoscimento»215.

La Fata di Manganelli è dunque l’opposto di Mangiafoco: non rinuncia

alla sua vita per salvare Pinocchio ma chiede anzi il sacrificio del burattino per

uscire dall’incantesimo che la rende inconsistente. È proprio Pinocchio a liberare

la Bambina che diventa sorella e dà inizio alla loro storia enigmatica, in cui

l’universo femminile è presentato come ingannatore e ambiguo: «la femminilità

morta e mortale appare viva e vitale, ma sempre oscura, ambigua, imminente e                                                                                                                213 Ivi, p. 91. 214 Ivi, p. 92. 215 Ibid.

  99  

distante, costante e infinitamente polimorfa»216. La Fata dimostra il suo lato

amorevole solo quando si presenta come Capretta dal manto turchino che guida

Pinocchio verso Geppetto nel ventre del Pescecane. La proiezione animale della

donna stabilisce in questa situazione di transito una «collaborazione amorosa»

verso ciò che Manganelli riconosce come elemento femminile primario, ovvero

il ventre, che Pinocchio penetra come se si addentrasse nel feto mai conosciuto e

da lì potesse compiersi la sua vera rinascita. Presenza costante nell’universo del

burattino, la Fata compie un percorso inverso rispetto a Pinocchio: mentre il

burattino progredisce verso la sua nuova vita e prosegue la sua fuga, essa ritorna

alla dimensione onirica di partenza, quella in cui appare per la prima volta come

presenza impalpabile e eterea.

3.3.7. Un burattino e un lettore in fuga

Manganelli individua nelle fughe di Pinocchio uno dei temi sotterranei

che attraversano l’opera collodiana, forse il più potente: la storia di Pinocchio

parla di partenze e ritorni continui, tutto in Pinocchio è movimento,

trasformazione, travestimento. Dal momento in cui ha i piedi egli scappa verso il

suo inquieto itinerario in varie maniere e attraversando scenari aperti, come il

bosco, il mare, la spiaggia, o mondi chiusi, come il Teatro dei balocchi e il circo.

Il burattino selvatico che abbandona in maniera animalesca la casa di

Geppetto diventa «fuggitore» seriale di fronte ai moniti del Grillo parlante

(«domani all’alba voglio andarmene da qui»). È la prima consapevolezza di un

viaggio che lo allontana dal suo mondo e lo spinge verso il traguardo finale.

Varcata la «stazione di confine per il grande percorso notturno di Pinocchio»217

rappresentata all’Osteria del gambero rosso, Manganelli non vede alternative alla

fuga di Pinocchio se non la morte.

                                                                                                               216 Ivi, p. 93. 217 Ivi, p. 78.

  100  

La fuga è dunque il sogno infantile che lo anima per tutta la storia,

«figura utopica» che subisce vari tentativi di arresto: i piedi bruciati, la fame

costante, il rogo del bosco, l’impiccagione, il carcere, il serpente, la tagliola, le

faine, il mercante di tamburi, il direttore del circo. Sembra che tutti tramino per

interrompere la sua corsa ma egli supera tutti gli ostacoli attraverso metamorfosi

continue. Anche la morte di Pinocchio, come quella di Mangiafoco, è riproposta

da Manganelli come suicidio che trascina con sé tutti i mostri generati dalla sua

fuga: «egli usa tutto il suo destino per uccidersi: e con il suo suicidio tutti i mostri

che esistevano come destino di Pinocchio scompaiono per sempre»218. Il suicidio

è dunque liberatorio da un lato ma anche drammatico perché lo consegna a una

coabitazione forzata con il burattino legnoso che non sparisce ma rimane al suo

fianco a ricordargli la vita passata. La fuga del burattino viaggia parallela a

quella del lettore all’interno delle innumerevoli pieghe del libro cubico. I

numerosi affondi interpretativi proposti da Manganelli permettono al lettore di

seguire gli indizi, fuggire dalle parole per poi ritornarvi e scoprirne altri

significati, allusioni, travestimenti.

3.3.8. L’isotopia cromatica

La riscrittura di Manganelli segue principalmente due linee cromatiche,

il bianco e il nero, nella loro dimensione metaforizzante. La loro alternanza

determina un cromatismo chiaroscurale che accompagna la fuga di Pinocchio in

quella che Gianfranco Marrone definisce «una doppia isotopia cromatica che

regge l’assiologia di base presente nel testo»219. Manganelli rileva come i colori

non abbondino nel testo, se non nelle parti che riguardano il teatro dei burattini e

il circo, non a caso il baraccone del teatro e i suoi «mille colori» sono attraenti

quanto i «pifferi seducenti» dell’opera fonte e sviano Pinocchio dalla scuola. Ma

anche il colore dell’insegna del teatro non è casuale: le «lettere [sono] rosse come

                                                                                                               218 Ivi, p. 203. 219 G. Marrone, op. cit., p. 268.

  101  

il fuoco» e il fuoco è la morte per un burattino di legno, dunque la sua attrazione

verso il teatro è attrazione verso la morte, tema che, secondo Manganelli, insegue

Pinocchio per tutta la sua storia.

All’interno del teatro Pinocchio danza, tra lumi e lampadari finché l’alba

porta il terzo giorno della sua vita. Il teatro appare dunque un luogo

moderatamente luminoso, ma di una luce artificiale e il riferimento all’alba fa

presagire una luce nascente che in realtà non compare nell’ipotesto.

Nel passaggio successivo al teatro Manganelli rileva solo elementi

chiaroscurali: il percorso notturno nel buio compatto è segnato dall’Osteria del

Gambero rosso, «stazione di confine per il grande percorso notturno che attende

il Pinocchio del «vengo con voi”»220. L’unico «fasto cromatico»221 in questo

luogo di transito è rappresentato dai cibi consumati dalla Volpe, mentre

Pinocchio, con il suo pasto frugale, è già proiettato verso le tenebre. L’oscurità

che si presenta all’uscita dall’Osteria è illuminata dalla seconda apparizione del

Grillo, che pare a Manganelli una «luce cemeteriale»222 che annuncia il paese dei

morti. Siamo nel capitolo XIV che precede la morte per impiccagione.

Manganelli rintraccia un singolare percorso cromatico che parte dal

Merlo bianco del capitolo XII, ucciso dal Gatto, prosegue con il Gambero rosso,

è illuminato dal lumino umbratile del Grillo, attraversa il «nero su nero degli

‘assassini’ nei loro sacchi di carbone»223, è rischiarato dalla «subita omicida

insurrezione del fuoco ai piedi del pino»224 e affonda nel «misterioso fossato nel

quale il bianco si confonde con la notte»225. Pinocchio, nel varcare quel fosso di

acqua «color caffè e latte», terra di confine fra il chiaro e lo scuro, decide di

lasciarsi alle spalle una strada sicura per intraprenderne uno nuovo viaggio verso

l’ignoto. Oltre il fosso «balugina» la «casina bianca», luogo attraente in cui

                                                                                                               220 G. Manganelli, op. cit., p. 78. 221 Ibid. 222 Ivi, p. 79. 223 Ivi, pp. 83-84. 224 Ibid. 225 Ibid.

  102  

tuttavia sperimenta la morte. Lo raccoglie la Fata che lo attende insieme ai

conigli neri. Da questo momento il rovesciamento cromatico ripropone tinte più

chiare che evidenziano la salvezza del burattino.

Alla fine del capitolo XVII Manganelli separa completamente le due

linee cromatiche isolando da un lato gli elementi bianchi (i topini, la polverina, la

pallina di zucchero, la parrucca di Medoro, la casina, il fossato) e dall’altra quelli

neri (i conigli, la notte, gli assassini) e prospetta «una sorta di battaglia cromatica

tra Neri e Bianchi [in cui] i Neri hanno perso, Pinocchio ha attraversato la morte,

la Bambina è salva, le è restituita la sua dimensione di Fata»226.

La dialettica di tenebre e chiarore si ripresenta nel momento in cui

Pinocchio è ingoiato dal Pescecane. L’oscurità viscerale fetale è rotta dal

chiarore che «balugina» e riluce all’interno del Pescecane, dove Geppetto,

«bianco come se fosse di neve o di panna montata»227, è seduto al lume di una

candela. Manganelli individua in questo cromatismo una alleanza tra Geppetto e

la Fata, le due figure genitoriali accomunate dal biancore ai quali è negata ogni

altra possibilità d’incontro se non nella sfumatura cromatica. Ma è anche l’inizio

di una notte diversa, in cui Pinocchio guida il padre con la candela e lo conduce

verso il cielo stellato e la luna: «è la prima luna della storia di Pinocchio, la prima

notte amica. Vi è in quella gran luce una traccia della lunare Bambina-Fata?»228.

Manganelli ricollega il pallore della luna al Merlo bianco e conclude

così, con un movimento circolare, la linea cromatica chiaroscurale seguita nella

storia, linea che non include l’elemento collodiano della casacca d’oro e

d’argento con i bottoni di brillanti. Potenziale risorsa di «fasto cromatico»,

Manganelli le conferisce in realtà un valore intrinseco e potenzialmente salvifico,

un antidoto contro la frode (non raccolto da Pinocchio) e le assegna una qualità

superiore alla sfumatura cromatica. L’isotopia cromatica è collegata in maniera

                                                                                                               226 Ivi, p. 101. 227 Ivi, p. 188. 228 Ivi, p. 191.

  103  

forte al tema delle fughe, soprattutto nel momento in cui Pinocchio rinuncia al

suo destino sicuro e intraprende la via delle avventure.

3.3.9. Conclusione

Nell’ultimo capitolo Manganelli segue le tappe finali dell’evoluzione di

Pinocchio in maniera funzionale alla riscrittura e al raccordo con l’opera fonte.

La scena di Pinocchio che «da solo, su di un libro allegoricamente senza

frontespizio e senza indice, cioè programmaticamente infinito, si esercita a

leggere; e scrive con un fuscello intinto in sugo di more e ciliegie, che rievocale

origini vegetali del burattino»229 è l’occasione per portare a termine due temi

importanti: la struttura infinita e multiforme di ogni libro, al centro delle

numerosi riflessioni metatestuali contenute nell’opera, e la metamorfosi di

Pinocchio. La prima pagina dell’ultimo si apre infatti con una lunga divagazione

sulla forma di un libro:

Nessun libro finisce; i libri non sono lunghi, sono larghi. La pagina, come rivela anche la sua forma, non è che una porta alla sottostante presenza del libro, o piuttosto ad altra porta che porta ad altra. […] Tutte le porte sono penetrabili, non si distinguono porte aperte dalle porte chiuse, le porte portano da porta a porta, nulla è chiuso, tutto è chiuso, tutto è aperto, nulla è aperto.230

Il libro letto da Pinocchio diventa infinito, restituisce tutti i libri e le

parole in esso contenuti, e pone Pinocchio nella stessa condizione del lettore e

del rilettore in cui «risuonano» le parole del testo. L’ultima annotazione sulle

origini vegetali di Pinocchio è dunque collegata alla lettura e conclude la

stagione fanciullesca del burattino impegnato nell’autoformazione, giacché

nessuno parla più di scuola.

                                                                                                               229 Ivi, p. 198. 230 Ivi, p. 192.

  104  

Per quanto riguarda i personaggi, Manganelli procede, come

nell’ipotesto, al loro congedo (parola ricorrente nell’ultimo capitolo) creando una

sorta di collegamento finale fra l’opera fonte e la riscrittura.

Il primo a essere accomiatato è il Tonno, e « pare un congedo agli

innumerevoli animali che hanno parlato [con Pinocchio], che lo hanno

aiutato»231. Il Gatto e la Volpe, nella loro decadenza finale di «mascherine»

sordide, rappresentano per Manganelli «la fine del mondo allucinatorio e

mondano, degli inganni infantili e cosmici»232. Pinocchio, con i suoi proverbi

perbenisti, si lascia alle spalle le due figure e procede verso la sua nuova vita che

ha come tappa successiva l’incontro con il Grillo. Il Grillo vive in una capanna

regalata da una «graziosa capra» in cui Manganelli rintraccia l’evoluzione della

«candida casina» della Fata. Essa è allineata al «latte bianco e candido» che

Pinocchio deve portare a Geppetto e conclude l’isotopia cromatica stabilita a

partire dai primi capitoli.

Il rapporto con la Fata e Geppetto giunge a due conclusioni separate, così

come separate sono rimaste le due figure per tutta la storia. La Fata è ricondotta,

secondo Manganelli, nel «mondo occulto e potente di ombre, incantesimi, larve,

miracoli e dissolvimenti»233 mentre Geppetto, che segue silente le tappe della

trasformazione di Pinocchio, si ripresenta sano e felice nelle battute finali in cui

ottiene un avanzamento professionale: «nato falegname viene ora promosso

‘intagliatore di cornici’»234.

Nelle righe finali del libro parallelo, Manganelli supera la funzione di

commentatore e diventa egli stesso narratore autoriflessivo che spiega al lettore

la sua pratica conclusiva: «nell’atto di finire il libro parallelo, apro a caso il testo

e leggo le ultime parole di tre diversi capitoli»235.

                                                                                                               231 Ivi, p. 194. 232 Ivi, p. 194-195. 233 Ivi, p. 202. 234 Ivi, p. 204. 235 Ibid.

  105  

In realtà i tre passaggi proposti non sembrano del tutto casuali, ma

richiamano tre temi forti illuminati da Manganelli nella riscrittura: la fuga, il

mistero della Fata e la corsa verso l’ignoto.

  106  

4. Le riscritture di Luigi Malerba e Robert Coover

Le riscritture di Luigi Malerba e Robert Coover intrattengono con

l’opera fonte una relazione che va nella direzione della continuazione e

dell’espansione verso nuove linee narrative, che i due autori interpretano in

maniera diversa ma con un particolare interesse per la figura di Pinocchio nella

sua migrazione extra-testuale.

4.1. Luigi Malerba e Pinocchio con gli stivali: una fuga temporanea dalle AP

La riscrittura di Luigi Malerba Pinocchio con gli stivali è pubblicata

nel 1977, anno in cui esce anche il Libro parallelo di Giorgio Manganelli.

Malerba si allontana dal rewording infralinguistico del libro parallelo e dalla

pratica commentatoria per seguire il personaggio di Pinocchio in una

migrazione transgenerica in tre racconti tratti dai Contes di Charles Perrault:

Cappuccetto rosso, Cenerentola e Il gatto con gli stivali. La scelta non

sembra casuale richiamandosi ad un significativo episodio della storia

letteraria nazionale: nel 1875 Collodi «volta in italiano» i celebri racconti

dello scrittore francese per gli editori Paggi.

Il motivo centrale dell’opera di Malerba è rappresentato dal desiderio

di Pinocchio di abbandonare l’ipotesto prima della trasformazione finale,

conservando così la propria natura lignea e burattinesca. La consapevolezza

autoriflessiva acquisita dal personaggio lo spinge insomma a migrare verso

nuovi scenari. Dopo un breve prologo iniziale, Malerba mette Pinocchio al

centro di una serie di digressioni sulle motivazioni che lo spingono a varcare i

confini delle AP: «Io mi trovo bene come burattino e non voglio diventare un

ragazzo né perbene né permale»236.

Un approccio riscrittorio analogo si ripropone in un’altra opera di

Malerba, il racconto Cento scudi d’oro contenuto in Dopo il pescecane

                                                                                                               236 L.Malerba, Pinocchio con gli stivali, Parma, MUP, 2004, p.9.

  107  

(1979). In questo caso tuttavia l’alterazione riguarda il capitolo XXI de I

promessi sposi: Lucia, rinchiusa nel castello dell’Innominato, tenta la fuga

dall’uomo e da Manzoni accusati di aver tramato alle sue spalle e di voler

guidare il suo destino verso un finale a lei non gradito. La fanciulla

abbandona il capitolo e si rifugia in una zona franca della narrazione dove può

esprimere, in prima persona e in maniera distaccata, la sua visione dell’opera

totale e del suo autore. Attraverso questa strategia Lucia interrompe il tempo

del racconto e si estranea dall’ipotesto, svelandone la struttura, praticando un

rovesciamento dissacratorio e criticando alcuni passaggi dell’opera originale

densi di paragoni e similitudini inadeguate, ma non solo. Dopo aver rivelato

le sue inclinazioni, l’eroina manzoniana si concede infatti all’Innominato

ponendosi in netto contrasto con l’edificante quadro moralistico proposto ne I

promessi sposi. Come afferma ella stessa «Manzoni non avrebbe approvato

mai una sortita così imprudente e così poco in armonia con il mio

personaggio» 237 riconoscendo l’inopportunità di una scelta che non si

conforma allo spirito di un’opera così conosciuta e, tutto sommato, alle

istanze morali di un’epoca, quella manzoniana. Malerba dimostra così la

difficoltà di variazione rispetto a un grande classico della letteratura italiana e

riconduce Lucia all’interno della storia originaria rirpistinandone la diegesi.

Il riferimento al pescecane nel titolo della raccolta sembra riferirsi al

celebre episodio collodiano in cui Pinocchio esce dal ventre dell’animale

insieme a Geppetto e, proprio da questo punto delle AP, Malerba prende

spunto per la sua riscrittura Pinocchio con gli stivali: il motivo centrale è lo

stesso che anima il desiderio di Lucia di liberarsi da un destino segnato

dall’autore, destino ineluttabile. Anche Pinocchio, come Lucia, decide di

abbandonare l’opera fonte e di percorrere altre avventure.

                                                                                                               237 L. Malerba, Dopo il pescecane, Milano, Bompiani, 1979, p. 88.

  108  

4.1.1. La fuga di Pinocchio come interruzione di un processo

Ispirato dalle continue fughe di Pinocchio e dalla sua corsa verso

l’ignoto, Malerba cerca il punto ideale in cui è possibile, per il burattino,

evadere dallo schema narrativo collodiano. L’occasione si presenta quando egli

lascia il Pescecane e nuota verso la riva portando Geppetto sulle spalle, evento

che sancisce un passaggio importante nella storia. Da questo momento infatti

Pinocchio si prende carico del padre in un ribaltamento del ruolo genitoriale

che non si ristabilirà più. Il burattino si proietta verso la trasformazione finale

in ragazzo perbene e si impegna a occuparsi del vecchio genitore fino alla fine:

«Dobbiamo ritentare la fuga. Venite con me e non abbiate paura». Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano […]. «Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io». Appena Geppetto si fu accomodato per bene sulle spalle del figliuolo, Pinocchio, sicurissimo del fatto suo, si gettò nell’acqua e cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pescecane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non l’avrebbe svegliato neppure una cannonata.238

Malerba procede quindi a uno smontaggio delle sequenze che

vengono ricombinate in modo da comunicare al lettore il disagio provato dal

burattino nei confronti del finale dell’ipotesto:

Verso la fine del capitolo trentacinque Pinocchio stava nuotando in mezzo al mare con il padre Geppetto sulle spalle. Il mare era tranquillo, la luna splendeva, Il Pescecane dormiva e Pinocchio nuotava. Nuotando pensava che non aveva nessuna voglia di entrare nel capitolo seguente, cioè l’ultimo, perché lì sarebbe diventato un ragazzino perbene e questo a Pinocchio, burattino scapestrato, non gli piaceva né poco né punto.239

                                                                                                               238 AP, pp. 514-15. 239 L. Malerba, op. cit., p. 7.

  109  

Per motivare la fuga l’autore deve ricorrere a un twist narrativo che

interrompe la sequenzialità del racconto originario che nelle ultime pagine si

fa piuttosto enfantico e dettagliato e virare verso una forma più snella e

sbrigativa, che non lasci troppo spazio alla riflessione:

Ma poteva abbandonare in mezzo alle onde il vecchio babbo che non sapeva nuotare? Per quanto scapestrato, Pinocchio non se la sentiva di fare una cosa del genere. Fu così che, nel capitolo trentasei, arrivò sulla spiaggia insieme a Geppetto con l’aiuto del Delfino, e fu così che andò ad abitare nella bella capanna del Grillo Parlante, e fu così che si trovò a lavorare per l’ortolano Giangio.240

Malerba non indulge a lungo sull’aspetto della redenzione poiché in

questo modo comprometterebbe la possibilità di «fuga» dalla storia.

Pinocchio dunque abbandona lentamente il percorso di conversione e ritorna

al motivo della sua creazione, quello di «burattino maraviglioso, che sappia

ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali».241 L’interruzione del processo

pedagogico gli consente di allontanarsi dalle AP e il corridoio narrativo che

favorisce la transizione completa dall’ipotesto è rappresentato dal celebre

sogno finale in cui il burattino incontra la Fata per l’ultima volta e che

determina, al suo risveglio, la trasormazione in ragazzo vero, in carne ed ossa:

Dopo aver intrecciato sedici canestri di giunco, una sera Pinocchio si addormentò e nel sonno, cioè nel sogno, incontrò la Fata turchina turchetta che incominciò una lunga tiritera per convincerlo a mettere giudizio. Pinocchio scappò via piantando in asso la Fata e il sogno. – Io mi trovo bene come burattino e non voglio diventare un ragazzo né perbene né permale – pensava mentre camminava con le gambe di legno che facevano tric trac. 242

                                                                                                               240 Ibid. 241 AP, p. 512. 242 L. Malerba, op. cit., pp. 7-8.

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Se per Collodi il sogno è l’inventio che permette a Pinocchio, ormai

convertito ai canoni del pedagogismo tardo-ottocentesco, di diventare un

«ragazzino perbene», per Malerba, al contrario, la circostanza onirica guida

Pinocchio fuori dalle AP e lo spinge a «trovarsi il posto in un’altra favola,

visto che aveva abbandonato la sua»243. La transizione è avvenuta e da questo

momento Pinocchio è libero di vagare in altre storie.

4.1.2. Pinocchio, il Lupo e Cappuccetto Rosso: il ribaltamento delle

funzioni.

Il primo racconto che ospita Pinocchio è Cappuccetto Rosso. In

seguito all’abbandono delle AP, l’eroe si ritrova immerso in un bosco, luogo a

lui molto familiare, e inizia a camminare con le gambe di legno che fanno

«tric trac». L’epanelessi, reiterata per tutta la riscrittura, rappresenta l’unica

descrizione fisica del personaggio, unica attribuzione che ricorda al lettore la

sua natura lignea. I paesaggi in cui si ritrova sono tratteggiati in maniera

precisa ma rapida e la loro descrizione è funzionale all’azione, come si

conviene a una fiaba e come accade anche nelle AP. Non a caso, il luogo in

cui Pinocchio si ritrova è un bosco, topos tipico della fiaba, luogo di

perdizione che nasconde creature magiche o pericolose. Ma il bosco non è

mai un luogo propizio a Pinocchio e infatti, anche questa volta, vi incontra

subito il Lupo, creatura che, nell’immaginario fiabesco, rappresenta il

guardiano dei boschi. Pinocchio è abituato a interagire con animali come il

Grillo, il Pappagallo, il Serpente e le numerose metamorfosi che lo hanno

spesso trasformato in un animale (cane da guardia, asino, pesce) facilitano il

dialogo con il Lupo. L’incontro, inoltre, non necessita di presentazioni dal

momento che entrambi i personaggi si riconoscono e ognuno sa di essere

parte di un immaginario e di un mondo riconoscibile e riconosciuto dai lettori.

La reazione infastidita del Lupo («Che sei venuto a fare da queste parti?»;                                                                                                                243 Ibid.

  111  

«Meglio che te ne vai, ho un appuntamento»)244 è la prima di una serie di

opposizioni che tutti i personaggi manifesteranno all’arrivo di Pinocchio. Essi

sono d’altronde consapevoli che la prospettiva di un ribaltamento narrativo e

funzionale introdotta dal nuovo personaggio provocherebbe una

ridistribuzione delle sfere d’azione fra i vari protagonisti, sovvertendo il loro

ordine di inserimento e i loro movimenti nella diegesi. Il Lupo nega dunque

una qualunque possibilità di inserimento a Pinocchio, il quale reagisce con

prepotenza: «la favola non è tua, è di tutti»245, intendendo forse sottolineare

l’universalità di un genere che appartiene e proviene dalla cultura popolare.

Pinocchio e il Lupo rappresentano in quest’ottica due visioni

contrapposte che, da ora in avanti, si ripeteranno ogni volta che il burattino

tenterà di inserirsi nelle storie «altrui». L’intenzione di Malerba, attraverso le

parole e le azioni di Pinocchio è di agire sia sull’intreccio sia sulla fabula

sostenendo che in una favola i passaggi chiave si compiono a prescindere

dall’identità degli esecutori: come sostiene Vladimir Propp infatti, «gli

elementi costanti, stabili della favola sono le funzioni dei personaggi,

indipendentemente dall’identità dell’esecutore e dal modo di esecuzione».246

Il Lupo, al contrario, richiama a una conservazione dei ruoli e a un rispetto

della consequenzialità degli avvenimenti poiché, egli sostiene, «nelle favole

ogni personaggio ha una sua funzione»247 e la successione delle funzioni deve

essere rispettata.

Anche Pinocchio tuttavia è ben consapevole del ruolo che gli spetta,

essendo «protagonista assoluto della [sua] favola, dalla prima pagina

all’ultima!», e chiede di poter essere introdotto con il ruolo che gli spetta,

ovvero quello di personaggio a tuttotondo che non deve rinegoziare un ruolo

né con gli altri protagonisti né con il lettore: «Piuttosto fammi entrare nella

                                                                                                               244 Ivi, p. 10. 245 Ibid. 246 V. Propp, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966, p. 27. 247 L. Malerba, op. cit., p. 13.

  112  

favola come Pinocchio»248. A queste parole, il Lupo, in un tentativo di

corruzione, gli offre la parte della Nonna. Una proposta interessante per

almeno due motivi: il Lupo rinuncia all’attributo della ferocia e si esprime

con astuzia e falsità, caratteristiche tipiche della coppia del raggiro, il Gatto e

la Volpe. La proposta prevede inoltre il riconoscimento di un travestimento,

di una parte e dunque di un copione. Il Lupo stesso recita consapevolmente

una parte e si ricrea l’atmosfera del teatro nel teatro che provoca uno

straniamento nei personaggi e nel lettore. A differenza delle AP, dove il teatro

è un evento chiuso e concluso in cui i vari personaggi non hanno

consapevolezza della loro essenza, qui invece entrambi i protagonisti sanno di

recitare. Non a caso il Lupo propone a Pinocchio di «interpretare» una parte al

posto di un altro personaggio:

«La Nonna è talmente svampita che forse ci sta a lasciarti fare la sua parte. È sempre stanca e recita così di malavoglia che forse sarà contenta di riposarsi un po’».249

Ma Pinocchio non può accettare una delegittimazione tale e decide di

fuggire dal Lupo incollerito: in questo modo si ristabiliscono i due tratti

essenziali dei personaggi, la collera per il Lupo, la fuga per Pinocchio.

Durante la fuga egli incontra l’altro personaggio cardine della storia,

Cappuccetto Rosso. A differenza del Lupo, la bambina non lo riconosce: lo

identifica difatti come burattino ma non come personaggio. Il mancato

riconoscimento rende il ruolo di Pinocchio vuoto, privo di ogni rilevanza: a

prova di ciò il fatto che Cappuccetto non cede alle sue proposte e si impegna a

«andare dalla Nonna perché così sta scritto nella favola»250. Pinocchio non ha

più possibilità di scambio e decide dunque di migrare in un’altra fiaba.

                                                                                                               248 Ibid. 249 Ivi, p.13. 250 Ivi, p.17.

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4.1.3. Pinocchio, il Principe e il Teatro

La storia di Pinocchio è segnata dal principio da un’assenza

importante, quella di un Re. Il pezzo di legno che sostituisce il Re nell’incipit

rappresenta un ribaltamento parodistico rispetto alle fiabe tradizionali e, forse

per colmare questa assenza, Malerba decide di inserire una testa coronata

nella sua riscrittura: il Principe di Cenerentola.

Mentre si allontana dal bosco di Cappuccetto Rosso Pinocchio trova

così un castello e, durante il suo primo incontro con il Principe, manifesta il

desiderio di prendere il suo posto nella storia. Questa volta però il burattino

dimostra di sapersi orientare strategicamente in una struttura relazionale che si

fa sempre più complessa. La sua proposta muove infatti da uno scambio, una

richiesta. Egli chiede al Principe di poterlo sostituire nella storia:

«Solo per una volta! in cambio verrò a divertire i tuoi ospiti nel teatrino del castello: so cantare, ballare e fare lo sgambetto. Però devi farmi entrare nei tuoi passi almeno una volta».251

Il Principe riconosce la popolarità di Pinocchio e decide di sfruttarla

per i propri scopi, ribaltando il ruolo del burattino attraverso una contro-

proposta, quella di fare il buffone di corte:

«Devi sapere che alla nostra corte da secoli vengono mantenuti dei buffoni che hanno il compito di prenderci in giro, di dirci delle insolenze. Se vuoi posso assumerti come buffone».252

Malerba enfatizza attraverso tale espediente due tratti forti delle AP: il

teatro e lo scoronamento. Mentre nel romanzo collodiano il protagonista entra

nel teatro attratto da pifferi seducenti che lo guidano verso un luogo a lui

sconosciuto, qui invece il burattino si propone consapevolmente come                                                                                                                251 Ibid. 252 Ivi, p. 21.

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personaggio di teatro, annullando tutto il processo di agnizioni e straniamento

che, nell’opera fonte, accompagna il suo passaggio nel Teatro di Mangiafoco.

In un complesso gioco di rimandi e opposizioni Pinocchio propone, in

definitiva, un ribaltamento narrativo che prevede la scoronazione del Principe

seguita dalla propria auto-incoronazione a Principe della fiaba. In realtà, però,

è il Principe in prima persona a compiere il vero scoronamento: egli nega a

Pinocchio lo status di re fra le marionette, conquistato nelle AP, abbassandolo

a semplice buffone di corte. Il Principe, rappresentante della cultura alta,

enfatizza quindi l’origine umile di Pinocchio, figlio di un povero falegname:

«Per quanto ti sforzi, non sapresti mai dare ai tuoi gesti e alle tue parole la cadenza e l’intonazione giusta. Non si impara in un giorno la parte di Principe e non basta indossarne il mantello e gli stivali. Tutti si accorgerebbero dell’imbroglio».253

La vestizione dunque non sarebbe sufficiente a convincere i lettori ma

permette a Malerba di rinforzare il motivo del travestimento che si ripete in

tutte le proposte del Principe:

«Sai quando Cenerentola scappa dalla reggia la seconda sera?» «Sì, e allora?» «Cenerentola esce nella strada, è inverno, fa freddo, soffia il vento». «E allora?» «Potresti fare il vento»254

Il «motivo» del vento compare spesso nell’ipotesto collodiano associato

a eventi negativi. Quando Pinocchio è impiccato alla Quercia grande una

folata di vento di tramontana «soffiando e mugghiando» lo sbatacchia in qua

e in là; un «ventaccio freddo e strapazzone» lo accompagna durante la

«nottataccia d’inverno» (o d’inferno) in cui esce per cercare l’elemosina e un

po’ di pane; sempre il vento gli toglie il cappello di testa mentre parla con i                                                                                                                253 Ivi, p. 20. 254 Ivi, p. 22.

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carabinieri; un vento dalla forte carica metaforica accompagna la fuga degli

Assassini e anche all’interno del Pescecane si levano sbuffi di vento dai

polmoni del mostro. Il testo fonte fornisce dunque spunti continui a una

riscrittura che accoglie e sottolinea alcuni degli aspetti che riguardano la

permanenza di Pinocchio nel suo corpo ligneo e nel suo ruolo di burattino che

trova nella recitazione la dimensione più congeniale255 . La reazione di

Pinocchio alle parole del Principe sottolinea l’attenzione che Malerba presta

non solo alle AP, ma alla produzione totale di Collodi. Il Principe viene infatti

definito un «codino», termine che Collodi utilizza in molte situazioni con

connotazione negativa, indicando quanti non accettano le innovazioni e

preferiscono seguire il solco delle tradizioni. Il Principe, in effetti, non

riconosce a Pinocchio una fama sufficiente per potersi trasferire in una favola

dalle radici così antiche: «La favola di Cenerentola è antichissima mentre tu,

Pinocchio, sei stato scritto da poco» 256 . Il burattino decide dunque di

abbandonare anche questo racconto ma le guardie lo fermano con l’intenzione

di portarlo in prigione: solo la generosità del Principe gli permette di fuggire.

Il riferimento alla prigione e alla benevolenza del regnante ricorda la città di

Acchiappacitrulli e il suo Imperatore, il quale per festeggiare una vittoria apre

le carceri e mette in libertà il burattinoche, in quella specifica situazione, era

stato arrestato ingiustamente.

4.1.4. Pinocchio e il Gatto con gli stivali: il ritorno del burattino nelle AP

Nell’ultimo episodio della riscrittura Pinocchio entra nella fiaba del

Gatto con gli stivali. In quest’ultimo passaggio egli dimostra di aver imparato

a rispettare le funzioni dei personaggi e la loro riconoscibilità non

                                                                                                               255 Cfr. D. Messina, La leggenda degli stivali: rileggendo il Pinocchio di Luigi Malerba, in F. Scrivano, op. cit., pp. 105-132. 256 Ivi, p. 20.

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rivolgendosi direttamente al Gatto, bensì al suo padrone – il figlio del

mugnaio – cercando di motivare il suo inserimento nella storia:

«Se non sei contento di avere ereditato un Gatto, ti piacerebbe ereditare un burattino che sa cantare, ballare e può accompagnarti in giro per il mondo a dare spettacolo sulle piazze? Soldi a bizzeffe»257

Pinocchio sa di dover portare con sé un dono che è rappresentato dal

motivo della sua creazione, quel «cantare, ballare e fare i salti mortali» per cui

il figlio del mugnaio potrebbe diventare molto ricco. Il burattino dimostra tutto

il suo acume nel proporre a un uomo semplice e povero, come era suo padre

Geppetto, una possibilità di migliorare la propria condizione. L’uomo si lascia

persuadere dalla proposta allettante, chiude il gatto nel sacco e consegna a

Pinocchio gli stivali che gli serviranno per essere riconosciuto dalle guardie

quando porterà il sacco al Re.

Il motivo degli stivali258 rappresenta dunque il fulcro della narrazione,

il viatico che permette a Pinocchio di essere scambiato per il Gatto, di

assumerne provvisoriamente l’identità, seppur non senza qualche

inconveniente:

Le guardie non volevano farlo entrare. Sapevano che doveva arrivare un Gatto con gli stivali e con un sacco in spalla e invece era arrivato un burattino di legno: però aveva anche lui gli stivali e un sacco in spalla.259

Gli stivali, dunque, elemento magico di successo per il Gatto di

Perrault, non bastano a Pinocchio per sostituirsi completamente a esso.

Appena il Re apre il sacco e subisce l’assalto del Gatto che lo graffia reagisce

                                                                                                               257 Ivi, p. 23. 258 Gli stivali rappresentano un elemento vestemico che ricorre spesso nelle opere di Collodi: i ciuchini che trainano il carro verso il Paese dei balocchi, per esempio, indossano stivaletti di pelle bianca che si ritrovano anche in altre storie. 259 Ivi, p. 24.

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con violenza perché «questo non stava scritto nella favola»260. Pinocchio

fallisce anche questa volta, fallimento che pregiudica ogni sua possibile

sopravvivenza al di fuori delle AP. In seguito a questo episodio, egli viene

ricondotto suo malgrado nel capitolo XXXVI dell’ipotesto:

Pinocchio viene preso subito per i piedi e per il naso, messo dentro al sacco e legato stretto con una corda robusta. Due guardie a cavallo lo portarono al galoppo dentro al capitolo trentasei, nel punto preciso da dove era scappato.261

L’epilogo, del tutto simile a quello del racconto Cento scudi d’oro, e

l’emblematica conclusione della riscrittura di Malerba sembrerebbero

dimostrare come sia difficile per Pinocchio migrare in altre storie in maniera

consapevole, rinunciando a quel tratto di flessibilità che ha invece facilitato nel

corso degli anni l’adattamento del personaggio a vari codici e linguaggi.

4.1.5. Una riscrittura tra favola e fiaba

Gianni Rodari in Grammatica della fantasia riconosce l’influenza

della fiaba popolare nel romanzo collodiano, soprattutto nelle atmosfere e

nella lingua:

Pinocchio vive a sua volta di personaggi, toni e colori della fiaba popolare toscana, che entra però nel suo racconto come un sostrato profondo e nell’impasto linguistico solo come uno degli elementi della materia prima. […] Collodi è andato più in là nell’assegnare nuovi ruoli a certi personaggi della fiaba classica : la sua Bambina (poi Fata) dai Capelli Turchini è solo una parente lontana delle fate descritte dalla tradizione; nei panni di Mangiafuoco o del Pescatore Verde il vecchio Orco è irriconoscibile; l’Omino di Burro è un’allegra caricatura del Mago.262

                                                                                                               260 Ivi, p. 26. 261 Ibid. 262 G. Rodari, Grammatica della fantasia, Torino, Einaudi, 1973, p. 52.

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Rodari mette in luce come Collodi assegni nuovi ruoli a personaggi

tradizionali i quali, svincolati dalle dinamiche della fiaba classica e dalla

morale della favola popolare, godono di una maggiore libertà e indipendenza.

Giovanni Nencioni nota a tal riguardo come, considerato nella sua totalità,

l’ipotesto collodiano alterni elementi fiabeschi a quelli della favola:

A chi, senza trascurare la trama narrativa ma prendendo il testo nella sua totalità, rilegga l’episodio del consulto dei tre medici, non può sfuggire la sua singolare articolazione formale con l’episodio precedente, quello del salvataggio del burattino impiccato; articolazione che si risolve in un salto isotopico: il salvataggio, infatti, si svolge sul piano della fiaba, il consulto invece sul piano della favola, intendo della favola esopica.263

Se la prima parte di Pinocchio pare ispirarsi al mondo delle favole,

l’inserimento di una fata sembrerebbe condurre a un universo fiabesco che però

non si sviluppa mai totalmente. La Fata, infatti, non è un elemento magico a

tutto tondo e la sua apparizione non risolve gli ostacoli di Pinocchio. Nel

momento dell’impiccagione e della successiva salvezza del burattino, la celebre

cesura del capitolo XV, è la Fata a essere richiamata in vita dal burattino e solo

da quel momento i due personaggi stabiliscono un patto di cooperazione.

L’unico attributo esterno che può definirsi soprannaturale sono quei capelli

turchini, che si ritrovano anche nel manto della capra, e che conferiscono alla

bambina-donna-mamma una forza misteriosa che altrimenti non avrebbe nulla

di straordinario.

Bisognerebbe inoltre ricordare che Collodi scrive in un periodo in cui

«la favola non ha vita facile perché subisce la concorrenza della fiaba e del

romanzo, due generi anticlassici, cioè privi dei modelli e delle regole di un

passato ormai contestato»264. Forse questo è uno dei motivi per cui nelle AP

elementi che appartengono alla fiaba e alla favola sembrano alternarsi

                                                                                                               263 G. Nencioni, Antropologia poetica?, in «Strumenti critici», n. 19, 1972, p. 247. 264 L. Rodler, La favola, Roma, Carocci, 2007, p. 92.

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continuamente senza che la narrazione si incanali in una direzione precisa.

Anche un episodio come l’incontro con il serpente, che potrebbe essere letto

come un ostacolo sul cammino di casa, una prova che il burattino deve

superare, si risolve in realtà in un espediente scenico, un momento di passaggio

fra il carcere e il successivo furto dell’uva265.

Nel tradurre Perrault Collodi incontra un autore che racconta un mondo

in cui elementi magici e metamorfici accompagnano lo sviluppo dell’intreccio:

i topi si trasformano in cavalli, le scarpe sono un espediente magico, le fate

sono aiutanti, gli animali parlano con gli uomini. Simili espedienti si ritrovano

parimenti nelle AP sebbene tendano a “stemperarsi” nel realismo: un esempio è

rappresentato dai piedi di Pinocchio, bruciati nel caldano e ricostruiti

velocemente da Geppetto non ricrescono da soli o per intervento magico, ma è

il lavoro del falegname a sistemarli.

La riscrittura di Malerba si incardina di conseguenza sul processo di

decostruzione delle AP soffermandosi in particolare sugli elementi più

fiabeschi e favolistici. Il narratore esterno onnisciente delle AP si sposta non a

caso verso una voce omodiegetica e lo sviluppo della diegesi è affidato ai

numerosi dialoghi fra i personaggi. Un nuovo patto deve infatti essere

ristabilito con il lettore ma anche fra i personaggi stessi, che hanno un elevato

grado di riconoscibilità essendo parte di un immaginario consolidato e di uno

schema definito. Malerba cerca di scardinare e frantumare tale schema e in

questo ritrova un senso la migrazione di Pinocchio: essa interrompe l’unità e la

monotipicità dei narratemi attraverso una variazione che interessa sia la

struttura di superficie della storia sia la struttura profonda di genere. La

riconoscibilità che, come suggerisce Propp,266 segue uno schema preciso, risulta

compromessa dall’inserimento del nuovo personaggio Pinocchio il quale

provoca uno sviamento dallo sviluppo tradizionale della diegesi. Il modello                                                                                                                265 La forza simbolica del serpente, da sempre collegato alla tentazione, potrebbe forse presagire il furto dell’uva da parte di Pinocchio che, spinto dalla fame, non riesce a controllare il proprio istinto. 266 V. Propp, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966, pp. 31-126.

  120  

narrativo della fiaba come racconto di un destino si sviluppa qui valorizzando i

punti cruciali delle prove cui il protagonista si presta pur di essere parte di un

mondo che gli è alieno. Nei vari passaggi egli compie una crescita, elabora

strategie e in questo si allontana dall’opera fonte: là Pinocchio non sembra

compiere un’evoluzione personale che lo porti a riflettere sui propri errori. Egli

attraversa situazioni rischiose e incontra personaggi pericolosi ma per tutta la

sua corsa solo in pochi casi si ferma a meditare su quanto gli sta accadendo e

generalmente non impara lezioni. Nei racconti fiabeschi, come rileva

giustamente Calvino, i personaggi ripercorrono problemi e difficoltà

esistenziali, prove da superare per progredire nella crescita «dalla nascita che

sovente porta con sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle

prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere

umano»267. Il Pinocchio di Malerba, all’opposto, è sempre smascherato e non

riesce a imporsi in veste di protagonista assoluto. Il finale della riscrittura può

essere pertanto interpretato come una morale dissacratoria e irriverente, mentre

il ritorno al capitolo finale delle AP potrebbe rappresentare un fallimento nel

sovvertire un ordine gerarchico e la rete a esso correlata. In fondo il Pinocchio

malerbiano tenta di introdurre in un contesto secolarizzato e governato da

regole precise un’alterazione, un tratto di modernità, una rivitalizzazione,

un’anarchia che altera la norma e abolisce ogni gerarchia. Malerba segue

dunque lo sviluppo lineare della narrazione fiabesca, ne riproduce il ritmo e

l’essenzialità sebbene, allo stesso tempo, i richiami all’ipotesto non rendano

mai Pinocchio autonomo e non gli permettano di sviluppare una centralità

assoluta nella vicenda.

Si potrebbe tuttavia riconoscere a Malerba una grande intuizione,

ovvero quella di isolare il personaggio, in questo caso Pinocchio, dall’opera

fonte attraverso una migrazione transgenerica, pratica che denota la profonda

conoscenza dell’autore per il genere della favola di cui esalta paradosso e

inganno, spogliandolo, anche se non completamente, di molte delle                                                                                                                267 I. Calvino, Fiabe italiane, Milano, Mondadori, 2002, p. XV.

  121  

caratteristiche attribuitegli da Collodi. Uno dei tratti quasi completamente

assente è per esempio quello della menzogna che si traduce in una forma più

teatrale attraverso il travestimento, la finzione. Malerba tenta di agire sul piano

dell’enunciazione attraverso débrayages spazio-temporali che allontanino tutti i

protagonisti e i luoghi dalle loro storie di appartenenza, come se esistesse un

non-spazio e un non-tempo in cui i vari personaggi si incontrano e rinegoziano i

loro ruoli e le loro funzioni. Tale pratica, che coinvolge maggiormente i piani

dell’enunciato e della funzione, rappresenta un’anticipazione delle rivisitazioni

e riscritture delle fiabe classiche che in tempi recenti trova terreno fertile in

prodotti televisivi come Once Upon A Time, forme seriali in cui il personaggio

è identificabile anche se estrapolato dal proprio mondo poiché diventa parte di

un universo noto che il lettore, o lo spettatore, riconosce. La proposta di

Malerba, dunque, pur conclusa con il ritorno di Pinocchio nelle AP, propone

una decostruzione e successiva ricombinazione di elementi che hanno una

grande qualità scenica, non a caso esiste una versione teatrale della riscrittura.

  122  

4.2. Robert Coover: Pinocchio in Venice.

La riscrittura di Robert Coover Pinocchio in Venice, pubblicata nel 1991,

si sviluppa come attualizzazione e continuazione della vicenda di Pinocchio.

L’autore riprende il personaggio dopo la trasformazione finale: diventato un

«ragazzino perbene» egli si trasferisce negli Stati Uniti dove, con il nome di

Pinenut, prima diventa attore e sceneggiatore a Hollywood e, infine, Emeritus

Professor, storico dell’arte di fama mondiale, esperto in arte veneziana grazie a

numerosi studi sull’illusionismo e la trasfigurazione:

Now he is better known for intellectual works of a tougher order such as Sacred Sins or Art and the Spirit, his devastating indictment of theatricality and amateurism in the plastic arts, but it was through the great masters of the Venetian school that his scholarly career, then as an art critic and historian, originally -- as they say in the Other World -- "took off" (here only the pigeons would understand such an expression, and they would not mean the same thing by it), with his seminal studies on illusionism, transfiguration, and the motif of the ass in Venetian paintings of the life of Christ.268

Giunto alla fine della sua carriera l’anziano Professore deciderà di

tornare a Venezia per scrivere il capitolo finale del suo capolavoro (così è

definito nel testo), Mamma. In realtà, il viaggio corrisponde a un desiderio di

colmare un vuoto affettivo che ha impedito a Pinenut di elevarsi completamente

dallo stadio vegetativo a quello umano:

Indeed it could be said that his entire Mamma project had been really little more than a homiletic account of his idiosyncratic search for the magic formula by which to elevate his soul from vegetative to human form, as though body, far from being a corrupting adversary, were in itself a kind of ultimate fulfillment. Soul itself, in the particular.269

Pinenut è dunque consapevole che il ritorno a casa corrisponde alla sua

                                                                                                               268 R. Coover, Pinocchio in Venice, New York, Grove Press, 1991, p. 41. 269 Ivi, p. 54.

  123  

morte e le prime pagine della riscrittura, in cui egli perde il computer e con esso

il capolavoro incompiuto, rappresentano il primo atto di un processo di

svestizione che lo conduce a un denudamento totale. Nell’explicit, dalle spoglie

del suo corpo umano riemerge lentamente il burattino di legno. La riscrittura di

Coover è una continuazione dell’originale che traspone il protagonista in un

diverso cronotopo per poi reinserirlo in un percorso a ritroso che lo conduce alla

morte. Attraverso una prospettiva bachtiniana che enfatizza la polifonia e esalta i

tratti grotteschi, scatologici, di personaggi che vivono immersi in un carnevale

permanente, Coover conduce la riscrittura con accenni di satira menippea in cui

«è caratteristica la pluralità di toni del racconto, la mescolanza di sublime e di

infimo, di serio e di ridicolo»270. La riscrittura di Pinocchio giunge a seguito di

una serie di altre riscritture in cui Coover procede a ribaltamenti e rovesciamenti

dei plot originali attraverso una pluralità di voci che forniscono altrettanti punti

di vista del tutto inattesi. Oltre a ciò, l’autore procede a un tipo di scrittura

autoriflessiva in cui mette a nudo gli stessi meccanismi diegetici attraverso

svelamenti e agnizioni che provocano nel lettore e nei personaggi stessi un

sentimento di straniamento e di disagio.

4.2.1. Modelli di riscritture di Robert Coover

Una delle prime pubblicazioni di Coover, Pricksongs and Descants

(1969), è una raccolta di racconti in cui l’auotore sperimenta un approccio

riscrittorio che troverà pieno sviluppo in Pinocchio in Venice. In essi l’autore

statunitense si appoggia su un mito, un’allegoria, una parabola o una fiaba,

procedendo a una reinvenzione che sovverte la struttura dell’originale e

aprendola così a interpretazioni diverse, come se il lettore potesse osservare

l’impianto totale della narrazione e i meccanismi finzionali.

In una delle storie, The Babysitter, è presentata una serie inconciliabile di

sequenze narrative, talvolta in contraddizione le une con le altre, in cui è                                                                                                                270 M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 1968, p.142.

  124  

possibile assegnare a ogni linea uno svolgimento plausibile all’interno della

trama. Dal momento in cui la babysitter arriva a casa dei Tucker ogni

personaggio porta in scena una serie di pensieri e riflessioni che creano diversi

piani di rappresentazione e l’unica scansione temporale è rappresentata dai

programmi di una televisione sempre accesa, che a loro volta entrano nella storia.

Sul piano strutturale la vicenda è suddivisa in centosei frammenti in cui è

possibile trovare diverse interpretazioni dello stesso evento. In accordo con tale

impostazione anche il finale non può che rimanere aperto: in una versione la

babysitter, dopo essere stata violentata da Mr. Tucker è uccisa dai suoi due

fidanzati, Mark e Jack, mentre nella sequenza successiva si vede la ragazza

lavare i piatti, mandare a letto i bambini e addormentarsi.

La scomposizione frammentaria delle sequenze restituisce l’impressione

che ognuna di esse possa essere ricombinata seguendo ordini diversi,

problematizzando alla radice la relazione fra i personaggi e il contesto. Coover

crea così una moltitudine di piani narrativi in cui è la narrazione stessa a essere al

centro del processo e il narratore, esterno e onnisciente, si pone alla stregua di un

demiurgo che governa le varie linee:

It is Coover who is doing the playing, however, rather than his characters, for he is a heartless demiurge, continually taking his creations to the extremities of fictional experience.271

In The Dead Queen (1973), riscrittura della celebre fiaba di Biancaneve,

Coover propone invece un rovesciamento narrativo in cui il personaggio focale è

il Principe. La narrazione riprende dal punto in cui è interrotta dai fratelli Grimm:

Biancaneve e il Principe si sposano e la Regina muore durante il ballo. Al

funerale il Principe vede la Regina rinchiusa nella stessa cassa di vetro che aveva

ospitato Biancaneve e, attraverso una serie di flashback, ripercorre la notte del

ballo e procede a una sovrapposizione delle due donne.                                                                                                                271 K. Atkinson, Introduction, in R. Coover, Pricksongs & Descants, London, Penguin, 2011, p. III.

  125  

Il punto focale dell’intreccio è qui costituito dal racconto della prima

notte di nozze. Il Principe, nel descrivere particolari privati del rapporto con la

moglie, svela l’intreccio fiabesco e altera l’archetipo rappresentato da

Biancaneve contrapposta, in negativo, alla matrigna. La fanciulla si dimostra

glaciale e distante tanto da sembrare morta, cristallizzata in un’eterna, verginea

adolescenza mentre la regina muore con la consapevolezza di sé: davanti allo

specchio ritrova sé stessa e quindi, rispetto a Biancaneve, compie un progresso. Il

Principe decide infine di riportare in vita la Regina e la bacia, sovvertendo lo

schema narrativo della fiaba e l’ordine degli eventi.

Eppure è proprio il Principe, secondo Coover, a cadere nella trappola

della convenzione fiabesca: dopo aver svelato la logica manipolatoria che

governa le fiabe, il Principe ristabilisce l’ordine degli eventi proprio attraverso il

bacio, attributo che lo identifica e, in questo caso, lo ridicolizza. La trama di The

Dead Queen pone il lettore al centro di un continuo processo straniante, a tratti

grottesco, poi ripreso dall’autore statunitense in Briar Rose, riscrittura ispirata a

La Bella Addormentata nel bosco.

In questo caso la storia comincia in media res, quando la Principessa

dorme da circa cent’anni e il principe entra nell’agglomerato di rovi che

circondano il castello per liberarla. L’azione inizia e termina nello stesso

momento e la narrazione non progredisce, ristagna in un varco spazio-temporale

immobile: il Principe non raggiunge mai il castello, la Principessa non si

risveglia. Il dinamismo della narrazione viene di conseguenza affidato ai sogni

della ragazza, che creano una struttura polifonica in cui si intersecano varie voci.

I sogni si susseguono in una mise en abyme che si fa paradossale: la

fanciulla infatti sogna una serie di Principi che la baciano e la vecchia Fata,

autrice dell’incantesimo, si inserisce nei sogni narrando leggende di altre

principesse addormentate e manipolando le visioni della donna:

This prince […] is but one of countless princes who have visited her in her dreams, unceasing, without so much as day’s respite. None remembered of course, no memory of her dreams at all, each forgotten

  126  

in the very dreaming of the mas though to dream them were to erase them And yet, so often have her dreams revisited fragments and images of dreams dreamt before, a sort of recognizable architecture.272

Il groviglio di rovi e spine sembrerebbe dunque una proiezione dei sogni

e la vecchia Fata aiutando la Principessa a rimanere nel suo mondo auto-

prodotto. In maniera analoga anche in Stepmother, novella pubblicata del 2004,

Coover analizza una figura archetipica delle fiabe, la Matrigna.

L’incipit della novella vede una ragazza rinchiusa in una cella che

attende di essere uccisa. La Matrigna cerca di salvarla delusa e frustrata per non

essere riuscita a salvare altre ragazze in passato. In Stepmother la narrazione si fa

più ampia rispetto a Dead Queen e Briar Rose e è possibile ritrovare riferimenti a

varie fiabe, da Cenerentola a Biancaneve, oltre a tutta una serie di oggetti magici

tradizionali come anelli, stivali, lampade e bacchette. La ricontestualizzazione

della storia avviene attraverso la narrazione in prima persona di un personaggio

femminile tradizionalmente antagonista, la Matrigna, che diventa il personaggio

focale. Il suo desiderio di vendetta è un’attribuzione tipica fiabesca, ma il motivo

della sua vendetta, il dolore di una madre, la allontana dalla tipizzazione

negativa.

4.2.2. Pinocchio in Venice: struttura dell’opera

La riscrittura di Pinocchio rappresenta un progetto più ampio e

ambizioso rispetto ai precedenti, abbracciando l’opera fonte nella sua totalità. Il

percorso a ritroso di Pinenut è accompagnato da un processo di resilienza in cui

il protagonista incontra personaggi e luoghi delle AP trasfigurati e talvolta

irriconoscibili. L’opera, molto simile a un copione teatrale, è suddivisa in

cinque parti: A Snowy Night, A Bitter Day, Palazzo dei Balocchi, Carnival,

Mamma. Ogni parte è suddivisa a sua volta in sottocapitoli: alcuni richiamano

le AP, come La Bella Bambina, The Star of Dance, The Fatal Math Book, The                                                                                                                272 R. Coover, Briar Rose, New York, Groove Press, 1996, p. 5.

  127  

Gambero Rosso, Night of Assassins; altri contengono riferimenti filosofici,

come Plato’s Prank o Art and Spirit, oppure culturali e folkloristici, come A

Gondola Ride o The procession in Honor of Count Agnello Ziani-Ziani Orseolo

and the Madonna of the Organs.

La sezione d’apertura, A Snowy Night descrive l’arrivo del protagonista

alla stazione di Santa Lucia in una notte nebbiosa e nevosa. A causa del

maltempo il suo aereo non può atterrare a Brusiglio e è dirottato su Milano, da

dove Pinenut deve prendere un treno per Venezia. La breve digressione sul

viaggio in treno ricorda indirettamente l’interesse di Carlo Collodi per il romanzo

di viaggio del Treno in vapore e il rapporto pedagogigo-odeporico di Il viaggio

per l’Italia di Giannettino in cui si celebra lo sviluppo della linea ferrata in

Toscana e il conseguente sviluppo industriale, turistico e culturale.

La scena iniziale influenza tutta la narrazione che enfatizza gli elementi

noir e gotici delle AP soprattutto per quelle atmosfere notturne in cui Pinocchio

sembra in fuga verso un’oscurità che lo avvolge e che cela minacce e creature

pericolose:

He has arrived, as do most Italians, through what foreigners, who prefer always to approach this most remarkable of landing places by sea, think of as the city's back door, but, though Italian-born himself, not by choice or custom but by the simple dictates of the deteriorating weather: the airport was fogged in, he has had to land at Milan, where snow was already beginning to fall, then take the train on from there.273

La stazione viene qui descritta come l’avamposto di un luogo sospeso e

insulare all’interno del quale il tempo e lo spazio si cristallizzano in una

dimensione onirica di confine, «a boundary between process and stasis, geometry

and optics, extension and unity, velocity and object, between product and art».274

La città di Venezia con tutto il suo carico immaginifico, che si apre oltre la

stazione, diventa da questo momento in poi uno dei protagonisti della storia.                                                                                                                273 R. Coover, Pinocchio in Venice, op. cit., p. 13. 274 Ivi, p. 20.

  128  

Lasciata la stazione, il Professore vaga alla ricerca di un alloggio mentre

qualcuno, che si scoprirà poi essere Eugenio, gli ruba il computer e con esso il

capolavoro a cui sta lavorando da anni. Inizialmente l’uomo crede di aver perso

il bagaglio e chiede aiuto a un portantino, personaggio mascherato che lo

accompagna in un albergo fatiscente dove incontra Alidoro e Melampetta, i due

cani filosofici che lo aiutano a superare le prime difficoltà. Da qui inizia una

ricerca del bagaglio e del computer che porta l’uomo a vagare per Venezia.

La ricerca ha un carattere erratico e si sviluppa in uno spazio testuale

labirintico che interessa almeno le prime tre parti dell’opera. Nella seconda parte,

A Bitter Day, il Professore scopre che la città di Venezia si è trasformata in un

Paese dei balocchi turistico e industriale in seguito alla politica aggressiva e

dissennata, votata al mero guadagno, dell’Omino e dei suoi figli.

Palazzo dei Balocchi, la terza parte, è il momento in cui l’uomo prende

coscienza dei cambiamenti rispetto al passato e scopre che Eugenio, suo ex

compagno di scuola, ha ereditato l’impero immobiliare dell’Omino diventando il

nuovo dispotico Signore di Venezia. In Carnival Pinenut ripercorre poi alcuni

eventi cruciali della sua vita, come la trasformazione in ciuchino o l’episodio del

Campo dei miracoli.

La parte finale, Mamma, è composta da un solo capitolo, Exit, che

descrive l’uscita di scena del protagonista. Il finale vede uno smembramento del

corpo di Pinenut dal quale riemerge il burattino di legno. La Fata, ovvero la

Mamma che il Professore ricerca per tutta la vita e che è la ragione del suo

viaggio a Venezia, lo accoglie fra le sue braccia negli ultimi istanti di vita:

There's not enough left here for a sandwich and a cigar box. You're not even worth burning. I'm afraid there's nothing left to do but send you to the pulping mills to help ease the world paper shortage. - She leans down, little more than a loving shadow to him now, to kiss his eyes closed, whispering down the long receding tunnel of his earhole: - We'll make a book out of you !- Ah! - he replies with his vanishing voice, grateful for the line she has, in her wisdom, thrown him. - But a

  129  

talking book, mamma! A talking book!275

La fine di Pinocchio è dunque quella di ritornare carta da libro, motivo

che riconduce alla riscrittura. Nelle ultime due parti dell’opera il protagonista è

dominato da una sorta di ipnosi che produce stati allucinatori in cui passato e

presente si sovrappongono. Il dinamismo ottenuto dai vari stati allucinatori che

confondono i livelli temporali della riscrittura permette a Coover di passare

agevolmente da uno scenario all’altro e di intrecciare i vari piani narrativi: il

sogno a occhi aperti ricorre spesso in un narratore che non è sempre onnisciente

ma anzi talvolta è straniato dagli eventi stessi che lo coinvolgono. D’altra parte

anche Collodi ricorre al sogno, soprattutto nel finale, per preparare una

trasformazione che è per certi versi irreale.

4.2.3. La rete intertestuale e metatestuale di Pinocchio in Venice

L’opera fonte collodiana, inserita da Coover in una fitta rete intertestuale

e metatestuale, rappresenta il fil rouge che cuce i vari piani narrativi densi di

eccessi e pastiche linguistici. La rete di riferimenti creata dall’autore si espande

in maniera labirintica e richiede al lettore di muoversi da una unità testuale a

un’altra individuando riferimenti e costruendo un proprio testo che si appoggia

sulla pluralità di spunti e collegamenti offerti dall’autore. La rete così costruita è

davvero molto fitta e è quasi impossibile seguire tutte le linee che si aprono e che

offrono spunti disparati: è possibile ritrovare riferimenti a Dante e a James Joyce,

Platone e Aristotele, Omero e Virgilio.

L’autore statunitense dimostra inoltre di aver seguito con particolare

attenzione il processo di disseminazione che sia l’opera sia il protagonista hanno

conosciuto nel corso degli anni con riferimenti talvolta molto diretti che

riguardano i vari adattamenti cinematografici fra i quali non manca una critica

piuttosto diretta a Walt Disney:

                                                                                                               275 Ivi, p. 329.

  130  

«Gentlemen! Please!», protested Eugenio, who, for a confused moment, the dying scholar mistook for his old friend and benefactor Walt Disney with his apple red cheeks and pussycat voice and sweet soft ways, oily as whipped butter.276

La descrizione di Disney non è del tutto positiva e ricorda la descrizione

antifrastica dell’Omino di burro collodiano:

Un omino […] tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.277

Coover critica l’eccessiva semplificazione di Disney nel tratteggiare i

personaggi, soprattutto Geppetto, del quale viene colto l’aspetto più superficiale,

quello di uomo semplice e piuttosto passivo che però nasconde una certa astuzia

che non compare nel film: «The   Disney   film   had   captured   something   of  

Geppetto's  stupidity  maybe,  but  not  his  malice»278. Allo stesso modo, egli

depreca con toni piuttosto accesi facili allusioni alla Seconda Guerra mondiale

verso la quale Disney, secondo Coover, intende esprimere un approssimativo

giudizio moralistico:

This was on the eve of World War Two, the film had just appeared and was being viewed as a realpolitik fable, with Geppetto as a kind of Swiss neutral, Stromboli as a bearded Mussolini, Foulfellow and Barker the Coachman as fifth columnists, Monstro the Whale as the German U-boat menace, the Miss America-like Blue Fairy279.

In alcune parti è stigmatizzata invece la decisione di attribuire a un

desiderio di Geppetto le metamorfosi del burattino, negando i progressi compiuti

da Pinocchio prima dell’incontro con la Fata:

                                                                                                               276 Ivi, p. 179. 277 AP, p. 483. 278 R. Coover, op. cit., p. 218. 279 Ivi, p. 217.

  131  

According to the script, she first brought the wood to life, then, after all the entertaining sin-and-redemption rituals, she changed the wood to flesh, more as a part of Geppetto's dream than my own, since the movie suggested I was more or less dead by then, or at the very least hopelessly waterlogged. When I pointed out to the director that I'd been a talking puppet for ages before I'd ever met the Blue-Haired Fairy, he said that was interesting but he couldn't use it.280

Un altro testo che emerge in maniera definita fra le pagine della

riscrittura è La morte a Venezia di Thomas Mann pubblicata nel 1912. Il titolo

stesso della riscrittura propone un pastiche linguistico in cui Pinocchio è

direttamente collegato all’opera di Mann. I riferimenti testuali proseguono

nell’incipit: mettendo a confronto le due opere, si possono individuare espliciti

riferimenti al testo di Mann:

Gustav Aschenbach, o von Ascenbach come, dal giorno del suo cinquantesimo compleanno, suonava ufficialmente il suo nome, un pomeriggio di primavera dell’anno 19.., di un anno che per tanti mesi aveva mostrato al nostro continente una fisionomia così minacciosa, aveva lasciato la sua abitazione nella Prinzregentenstrasse, a Monaco, per fare una lunga passeggiata da solo281.

On a winter evening of the year 19.., after arduous travels across two continents and as many centuries, pursued by harsh weather and threatened with worse, an aging emeritus professor from an American university, burdened with illness, jet lag, great mischievings, and excess of luggage, eases himself and his encumbraces down from his carriage onto a railway platform in what many hold to be the most magical city of the world .282

La storia del vecchio professore che si consuma lentamente dopo l’arrivo

a Venezia ripercorre le tappe del percorso di Ascenbach che si indebolisce e

muore su una spiaggia del Lido. Entrambi perdono i bagagli al loro arrivo in città

e entrambi perseguono un ideale di bellezza in un ambiente che si fa sempre più

ostile.

                                                                                                               280 Ivi, p. 215. 281 T. Mann, La morte a Venezia, Milano, Feltrinelli, 1965, p. 1. 282 R. Coover, op. cit., p. 13.

  132  

Nei due testi si ritrova d’altro canto un comune richiamo al martirio di

San Sebastiano. Nella chiesa di San Sebastiano Pinenut, ormai consapevole della

sua decadenza corporale, anela alla salvezza mistica. Davanti al dipinto di

Veronese che rappresenta il santo trafitto dalle frecce ammira la postura estatica

di Sebastiano e si abbandona nella consapevolezza che la fine della vita, e

dunque della sofferenza, è prossima. Anche per Aschenbach San Sebastiano

incarna l’ideale di bellezza tormentata dal sacrificio cui ispirarsi per superare le

proprie angosce. Sia Pinenut sia l’eroe di Mann cercano di trasformare la loro

vita in un’opera d’arte totale e entrambi percorrono un processo di decadenza

fisica che li conduce alla morte.

Volendo includere nella comparazione altri testi si ritrovano affinità

formali tematiche non meno interessanti. La descrizione di Venezia, ad esempio,

spazio vibrante in cui si entra attraverso porte di vetro che sembrano specchi

(«One is ejected through its glass doors as through the famous looking-glass into

a vast empty but strangely vibrant space, little more than a hollow echo of the

magnificent Piazza at the other end of the Canal»)283, ricorda le prime righe del

romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore che, come Pinocchio in Venice,

inizia in una stazione ferroviaria in cui «c’è qualcuno che sta guardando

attraverso i vetri appannati, apre la porta a vetri del bar, tutto è nebbioso»284.

Entrambi i romanzi iniziano in una stazione e nella nebbia e i personaggi si

ritrovano soli e devono occuparsi di un bagaglio che si rivelerà problematico.

In molte parti della riscrittura poi Coover ricerca un parallelismo con le

AP e ripropone espressioni o passaggi che, pur conservando un rapporto formale

con l’ipotesto, si inseriscono in contesti diversi e creano espansioni scollegate

dall’opera fonte. A seguire alcuni esempi:

1- mentre parla con Bluebell, il Professore scivola e cade in un canale: « ‘la

strada è pericolosa’, a creature once warned him, long ago on that fateful

                                                                                                               283 Ivi, p. 20. 284 I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Milano, Mondadori, 2002, p. 10.

  133  

Night of the Assassins»285

2- mentre si trova nel Santuario di Santa Maria dei Miracoli, il dipinto di una

Madonna del Quattrocento prende vita e lo redarguisce: «‘Birba d’un

burattino!’ Are you not afraid to die?»286

3- quando apprende che del suo capolavoro si è salvata solo una pagina,

impreca «‘Addio mascherine!’he’d laughed, throwing proverbs at them

like stones»287

In altri passaggi il parallelismo è ancora più esplicito e aderente alle AP:

1- Pinenut attraversa un campo e è riconosciuto da Arlecchino che chiama

tutti i suoi compagni: «It is! It is really he!» «It's our brother Pinocchio!»

«Evviva Pinocchio!» «Lift him out of his hamper there!» «Who has done

this to him?» «Oh dear Pinocchio! Come to the arms of your wooden

brothers!» «Give us a kiss, love!» «Easy! The damp seems to have got to

him!» «Why have you been tormenting him so, Arlecchino? Our own

brother!» «He saved your life!» «I didn't recognize him, he's been

smeared with all this funny makeup!» «That's human flesh, you imbecile!»

«Pinocchio, how did it happen?» «Why did you leave us?» «It's been so

long!» «Careful, Brighella, don't drop him!»288.

2- Il pubblico si spazientisce perché lo spettacolo è stato interrotto: «We want

the music! We want the music!» they chanted, stamping their feet, and the

puppets, conscious as always about how they were «coming down the

strings» as they liked to put it, snatched up their instruments and began

improvising an original number with the old professor himself, in his new

role as deputy Dottore, at the keyboard»289.

Le ultime due sequenze riguardano chiaramente l’episodio del teatro e

conservano lo stesso tipo di scansione liturgica delle AP, a sottolineare ancora

                                                                                                               285 R. Coover, op. cit., p. 155. 286 Ivi, p. 318. 287 Ivi, p. 98. 288 Ivi, p. 139. 289 Ivi, p. 147.

  134  

una volta la difficoltà di alterare un tratto invariantivo così definito, chiuso e

concluso. La compagnia teatrale è sostituita qui dal gruppo musicale Great

Puppet Show Punk Rock Band esperti in vegepunk rock, appellativo che

ricorda la «compagnia drammatico-vegetale» di Mangiafoco. Arlecchino e

Pinenut rammentano il loro primo incontro come se fosse un sogno e in

questa dimensione ipnotica Coover espande l’ipotesto collodiano

aggiungendo particolari che Pinenut non ricorda: Arlecchino infatti racconta

che al termine dello spettacolo aveva avuto luogo una festa con danze di ogni

genere e che successivamente la compagnia si era sciolta e ognuno aveva

cercato di farsi strada nel mondo del teatro con scarsi risultati. La lettura di

Pinocchio in Venice, pur richiedendo una conoscenza dell’ipotesto

collodiano, riorganizza la trama su vari livelli e relativizza i nodi testuali e la

loro successione.

4.2.4. La ridefinizione dei personaggi

Fra tutti i personaggi che Pinenut incontra a Venezia, quello che emerge

in maniera più definita è la Fata, il cui nome, ricalcato sull’ipotesto collodiano, è

tradotto con Blue Haired Fairy Queen. Il suo aspetto è multiforme, quasi Coover

volesse mantenere quel tratto proteiforme e mutevole delle AP che la vede come

bambina, donna, mamma, capra e infine creatura magica. Il Professore la

incontra al suo arrivo a Venezia nei panni di un’impiegata dell’ufficio

informazioni che si rifiuta di aiutarlo nella ricerca di un hotel poiché l’uomo si

presenta oltre l’orario di lavoro. Successivamente si ripresenta nelle vesti di una

sua ex allieva che lo avvicina mentre si trova nella chiesa di San Sebastiano. La

donna, una bionda disinvolta e giunonica che indossa jeans e stivali da cow-boy,

si presenta come Bluebell e gli confessa di aver assistito alle sue lezione in

maniera superficiale. La donna gli fa capire quanto le sue lezioni fossero inutili e

totalmente asservite a accrescere il suo ego. Nella scena finale è ancora la Fata a

accogliere Pinenut sul suo grembo e i due corpi diventano un tutt’uno. Mentre

  135  

sparisce fra le sue braccia, Pinenut sintetizza in tre aggettivi i molteplici tratti

della sua personalità: «She is grotesque. Hideous. Beautiful»290.

La ricerca della Fata rimane il motivo principale del ritorno del

Professore in Italia e anche l’argomento dell’ultimo capitolo del libro. Se da un

lato la Fata è il fulcro del percorso introspettivo condotto dal protagonista,

dall’altro egli realizza di averla chiamata in vita la notte in cui fugge dagli

Assassini: «It was not she who had given me a place in the world, you see, but I

who had called her into being»291. Il racconto di quell’esperienza è ancora vivo e

si sovrappone a tratti alle atmosfere di The Dead Queen:

It all began when, one terrifying night, running from murderers, he came upon a snow white house set in the deep dark woods and, knocking frantically with feet, fists, and head, aroused a little girl with sea-blue hair and a waxen white face who would have been quite beautiful had she not been completely dead. She couldn't open her eyes, much less the door, so the two assassins caught him and, after shattering a couple of knives on his hardwood torso, hung him from an oak tree, where, after crying for his daddy, he died.292

La «snow white house» ricorda la dimora di Biancaneve, il viso cereo

(«waxen face») accomuna le due donne che portano un presagio di morte, mentre

la descrizione dell’impiccagione rimanda in modo piuttosto fedele all’ipotesto:

I was up there for hours, blowing about like a bell-less clapper, till at last my neck broke and my joints locked up and my nose went stiff. And all the while that dead girl was watching me with her eyes closed.293

Il ricordo del salvataggio della Fata, tuttavia, fa sorgere molti dubbi in

Pinenut, che ritiene l’episodio una messa in scena della donna («she staged an

                                                                                                               290 Ivi, p. 329. 291 Ivi, p. 44. 292 Ivi, p. 70. 293 Ivi, p. 71.

  136  

elaborate rescue with a bunch of circus animals and some crazy doctors»)294 la

quale si è concessa del tempo per allestire lo spettacolo («Why did she wait so

long?»)295.

Mentre la Fata ha un ruolo chiave nella riscrittura, Geppetto, paragonato

a Giona, è menzionato in varie parti soprattutto in relazione alla creazione di

Pinocchio ma non si inserisce come personaggio a tutto tondo. L’immagine che

ne emerge è quella di un anziano che desidera fabbricarsi un giocattolo senza

consapevolezza delle conseguenze che, soprattutto per il suo aspetto esteriore,

avrebbero avuto sulla sua vita al di fuori dell’ipotesto.

Coover isola personaggi minori, che nell’ipotesto hanno avuto un ruolo

secondario, e li investe di nuove funzioni e ruoli. Un esempio è rappresentato da

Alidoro, Melampetta, nipote di Melampo e Eugenio. Alidoro è il cane che,

inviato dalla Fata, soccorre Pinocchio dopo l’impiccagione e lo porta al cospetto

dei dottori mentre Melampo è il cane da guardia che Pinocchio sostituisce dopo il

furto dell’uva. Entrambi conservano il loro aspetto canino e oltre a aiutare il

Professore nella ricerca del computer e accompagnarlo nelle varie vicende,

ristabiliscono vari collegamenti con l’ipotesto collodiano.

La loro funzione si alterna con un altro personaggio, Eugenio. Eugenio

compare brevemente nel capitolo XXVII delle AP durante il «gran

combattimento» fra Pinocchio e i suoi compagni, anche noto come «battaglia dei

libri». Abbandonato da Collodi sulla spiaggia, tramortito da un libro, ritorna nella

riscrittura con un ruolo completamente diverso. Confessa a Pinenut di aver finto

il ferimento, motivo della carcerazione di Pinocchio, e gli racconta di aver

lasciato la scuola e la famiglia per unirsi al gruppo dell’Omino di burro nel Paese

dei balocchi. La sua sorte però è stata diversa rispetto a Pinocchio e Lucignolo:

divenuto amante dell’Omino, lo convince a consegnargli tutta la sua eredità,

ovvero la città di Venezia. Eugenio gli rivela infine di aver commissionato il

furto del suo computer a due vecchie conoscenze, il Gatto e la Volpe, e glielo

                                                                                                               294 Ibid. 295 Ibid.

  137  

riconsegna.

Pinenut, deluso e amareggiato, decide di liberarsi del suo lavoro e getta il

computer dalla finestra, colpisce accidentalmente Eugenio e questa volta lo

uccide davvero, seppur involontariamente. L’episodio è descritto nel capitolo The

Fatal Math Book: «Blood pooled out richly around the computer, as though the

Piazza were flooding from below. This time there was no mistake, Eugenio was

as dead as he could be»296. Con l’eliminazione del computer Pinenut elimina

contemporaneamente il motivo della sua presenza a Venezia e l’oggetto che ha

accompagnato costantemente tutta la seconda parte della sua vita, «the most

recent instrument of his own daily acts of self-deception and –destruction»297. Il

passo decisivo verso il denudamento è compiuto, ogni rapporto con la sua

seconda vita annullato e si anticipa la metamorfosi finale che lo attende

nell’ultimo capitolo – Exit – nel quale egli chiude il cerchio della sua esistenza

ricollegandosi simbolicamente alla propria origine.

4.2.5. Il corpo grottesco di Pinenut

Uno dei tratti che Coover enfatizza con forza nella sua riscrittura è senza

dubbio il corpo grottesco del protagonista il quale, nella sua progressiva

mutazione, scandisce i vari passaggi narrativi della riscrittura. Dal suo arrivo a

Venezia Pinenut compie una serie di «atti del dramma corporeo»298 che iniziano

con il furto del computer e del suo capolavoro che egli definisce «opus magnum

in all of its physical manifestations»299.

Il computer viene insomma descritto come un’appendice corporea

indispensabile. La spoliazione prosegue con la perdita dei vestiti cui segue il

deterioramento delle membra da cui emerge il corpo di legno che però è talmente

                                                                                                               296 Ivi, p. 300. 297 Ivi, p. 299. 298 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, op. cit., p. 347. 299 R. Coover, op. cit., p. 63.

  138  

malridotto da essere irriconoscibile. Una simile mutazione permette al

protagonista di eliminare tutte le identità e le sovrastrutture stratificate nel corso

degli anni, quel carico di simboli religiosi, antropologici, psicoanalitici, esoterici,

politici e culturali che ha da sempre interessato le varie interpretazioni del

personaggio. Perché, come afferma Nicholas J. Perella, «Pinocchio is interpreted

theologically, psychoanalitically, socipolitically, anthroposophically,

allegorically, and historicoculturally. The puppet is eanestly compared to

Odysseus, Aeneas, Christ, and Dante, as well as to Renzo»300.

Coover accoglie le varie voci e le polarizza in quel burattino di legno che

rappresenta l’essenza primordiale di Pinenut. Il percorso si compie attraverso una

metamorfosi, tratto invariantivo delle AP, con la differenza che nell’ipotesto le

varie trasformazioni sono orientate alla preparazione della mutazione finale in

«ragazzino perbene». L’unico episodio che in quest’ottica potrebbe ricollegarsi

alla riscrittura di Coover si può ritrovare nel capitolo XXXIV delle AP:

«Pinocchio, gettato in mare, è mangiato dai pesci e ritorna a essere un burattino

come prima»301. È il punto in cui il burattino, trasformato in ciuchino, viene

gettato in mare per essere soppresso e trasformato in pelle da tamburo.

Anche in questo caso riemerge dunque il legno, seppur in funzione

salvifica: un burattino di legno non può morire. Allo stesso modo Pinenut è, in un

certo senso, destinato alla salvezza: quel «talking book» in cui si potrebbe

riciclare è infatti rivolto ai posteri. La trasformazione finale sembra dunque avere

una doppia rilevanza: da un lato riconduce Pinenut al motivo del suo ritorno a

Venezia, ovvero scrivere un’opera per i posteri, dall’altro lo ricongiunge con

l’ipotesto collodiano, capolavoro di fama mondiale.

Nel corso del processo di spoliazione emerge l’attributo per il quale

Pinocchio è universalmente conosciuto, il naso. Nelle AP cresce in maniera

spontanea appena scolpito da Geppetto e successivamente si allunga o si accorcia

                                                                                                               300 N.J. Perella, An Essay on Pinocchio, in C. Collodi, The Adventures of Pinocchio, London/Berkeley, 1986, p. 4. 301 AP, p. 503.

  139  

quando il burattino racconta bugie (non sempre).

Pur essendo una ramificazione corporea animata e quasi indipendente del

corpo di Pinocchio, Collodi non assegna mai al naso funzioni sessuali o

grottesche. Coover invece gli conferisce una connotazione metaforica e liminare

di natura sessuale e lo descrive come un tentativo di Geppetto di indebolire la

sessualità del figlio («an attempt to emasculate his own son»)302. Parte anatomica

che va oltre sé stessa e entra in contatto con la realtà circostante è definito «a

kind of itchy boundary between everywhere and somewhere»303.

Nel capitolo The Original Wet Dream, attraverso un dialogo fra Pinenut,

Eugenio e i suoi collaboratori, emerge quanto il naso sia stato il motivo più

utilizzato nelle rappresentazioni di Pinocchio:

It was cited at the time 'for standing for the truth in the age of the Great Lie.' […] Military units wore his nose into battle and fighter pilots painted it on their fusilages: "Always Hard." It appeared on condom packets sold in PXs and USO canteens.[…] With all the dignity of his great career he carried his nose through the world as though it were only a nose, he alone beguiled by his own pretenses. It might have been otherwise. There were students who wanted, who might have… but whenever they got too close his nose would start to smart and shrivel as if the Blue-Haired Fairy's woodpeckers were at it again, a painful humiliation far worse than any imaginable pleasure. 304 All the pornographic films and comic books, the sex magazine cartoons, the party songs and burlesque routines, just pages really out of a depressing case history. The boy who had to wear on his face what other people hid in their pants.305

L’iperbolizzazione del corpo grottesco si manifesta nelle pagine finali

della riscrittura, in cui Pinenut esce dal proprio corpo e osserva la scena

dall’esterno, come se stesse osservando un’opera d’arte, quell’opera d’arte totale

                                                                                                               302 R. Coover, op. cit., p. 296. 303 Ivi, p. 20. 304 Ivi, p. 217. 305 Ivi, p. 112.

  140  

a cui ha anelato per tutta la sua vita. L’uomo, ormai ritornato burattino, è fra le

braccia della Fata, essere mostruoso e indefinibile:

What he sees up there is a decrepit misshapen little creature, neither man nor puppet, entangled in blue hair and lying in an unhinged sprawl in the embrace of a monstrous being, tented obscurely in her own wild tresses, but revealing, as she picks and nibbles at the ridiculous figure in her lap (it feels, remotely, very good), glimpses of tusk and claw and fiery eye. She is grotesque. Hideous. Beautiful.306

I loro corpi deformi si confondono in un unico agglomerato di cui non si

riconoscono i limiti ma da lontano il protagonista riconosce il suo naso:

Somewhere, out on the surface, distant now as his forgotten life, fingers dance like children at play and soft lips kiss the ancient hurts away. And… is she doing something with his nose? Ah…! Yes…! Good.307

Le ultime righe descrivono le due figure fuse fra loro racchiuse in un

movimento circolare impresso dalle braccia della Fata, i cui gesti mettono in

scena quelli che Bachtin definisce «i tre atti fondamentali della vita del corpo

grottesco: l’atto sessuale, l’agonia e l’ultimo respiro»308. L’episodio sembra un

ribaltamento della scena finale delle AP, dove Pinocchio si compiace nel vedere

la sua immagine allo specchio:

Non vide più riflessa la solita immagine della marionetta di legno ma vide l’immagine vispa e intelligente di un bel fanciullo con i capelli castagni, cogli occhi celesti e con un’aria allegra e felice come una pasqua di rose.309

Coover ricontestualizza i personaggi che il Professore incontra a Venezia

in un’atmosfera surreale dai tratti grotteschi, in particolare i due aiutanti di

Pinenut, Alidoro e Melampetta, le cui azioni appartengono alla sfera del basso

materiale e corporeo. I due cani antropomorfi si prendono cura dell’uomo e lo                                                                                                                306 Ivi, p. 329. 307 Ivi, p. 330. 308 M. Bachtin, op. cit., p. 389. 309 AP, p. 572.

  141  

soccorrono, ma i loro atti sono dettati da un irrefrenabile istinto animale che

sfocia nella depravazione e nell’eccesso.

4.2.6. Venezia e il carnevale permanente

Venezia si manifesta in tutta la sua complessità labirintica e diventa da

subito protagonista della narrazione. Mentre per Collodi i luoghi non sono mai

definiti e si piegano alle esigenze dei personaggi e del racconto, per Coover

Venezia fa parte integrante del racconto. La sua rappresentazione della città

accoglie difatti quegli elementi delle AP che richiamano la metamorfosi e il

carnevalesco e che si prestano maggiormente a conseguire lo scopo finale di

Pinenut: la vita come opera d’arte e la trasformazione finale in burattino di legno.

L’elemento acquatico e lagunare restituisce l’idea di uno spazio chiuso e

concluso che ricorda molto il teatro dell’ipotesto e infatti dalle prime righe della

riscrittura si avverte la stessa atmosfera straniante:

The Stazione Santa Lucia is like a gleaming syringe, connected to the industrial mainland y its long trailing railway lines and inserted into the rear end of Venice's Grand Canal, into which it pumps steady infusions of fresh provender and daily draws off the waste. As such (perhaps it is constipation, that hazard of long journeys, that has provoked this metaphor, or just something in the air, but its irreverence brings a thin twisted smile to his chapped lips), it is that tender spot where the ubiquitous technotronic circuit of the World Metropolis physically impinges upon the last outpost of the self-enclosed Renaissance Urbs, as a face might impinge upon a nose, a kind of itchy boundary between everywhere and somewhere, between simultaneity and history, process and stasis, geometry and optics, extension and unity, velocity and object, between product and art. One is ejected through its glass doors as through the famous looking-glass into a vast empty but strangely vibrant space, little more than a hollow echo of the magnificent Piazza at the other end of the Canal, to be sure, severe still in its cool geometry transposed from the other world and stripped of all fantastical ornament, but its edges, lapped at by the city's peculiar magic, are already blurred and mysterious, its lights hazed by a kind of furtive narcissism, its very air corrupted by the

  142  

pungent odor of the nonfunctional.310

Ma Venezia non è solo una città statica e immobile, paralizzata da secoli

di storia e arte. È anche una città moderna e industrializzata che invade l’urbe

rinascimentale in uno «sconfinamento pruriginoso» fra la staticità e il progresso,

il prodotto e l’arte.

Il Campo dei Miracoli è trasformato nel complesso petrolchimico di

Porto Marchera, responsabile dell’inquinamento delle falde idriche della città. Le

porte di vetro introducono in uno spazio vibrante, uno specchio attraverso il

quale si è trasposti in un luogo dai confini fluttuanti e misteriosi, in un’aria

corrotta dall’odore pungente e diffuso. Come possiamo vedere si tratta di una

città mobile e tentacolare che invita e nasconde, come se fosse un essere animato

e pensante: «Here I am, the city seems to be saying, in all my innocence and

beauty. Within my depths lies that final knowledge you seek. Enter me»311.

La città richiama dunque il vecchio Professore e lo invita a diventarne

parte. La nebbia veneziana che accompagna la narrazione si dirada solo per

mostrare al Professore la staticità delle sue azioni. Mentre egli pensa di aver

attraversato ponti, calli e campi, in realtà compie pochissimi movimenti in spazi

chiusi e oscuri come il Palazzo in cui alloggia, ricoperto di muffa e scurito da un

probabile incendio. Le parti del testo che si svolgono all’aperto servono da

passaggio fra un luogo e l’altro, come se si trattasse di piani scenici e teatrali.

La borsa e il computer di Pinenut, che spariscono nella prima scena, sono

intercettati in giro per la città, nei diversi campi, allo scopo di moltiplicarne il

contenuto in una mise-en-abyme continua. Ogni campo, inoltre, ospita un grillo

parlante, i «Venetian grillini» che hanno una mera funzione di intrattenimento

nelle serate estive e non aiutano il Professore a superare gli ostacoli.

Qui Venezia rivela a pieno le conseguenze della sua irreversibile

modernizzazione, in seguito alla quel cui l’Omino di burro e i suoi figli sfruttano

                                                                                                               310 R. Coover, op. cit., pp.19-20. 311 Ivi, p. 21.

  143  

le risorse naturali e Eugenio ha piegato i luoghi alla logica del consumo,

trasformando il Palazzo dei balocchi in resort per ricchi. Gli scenari dell’opera

collodiana e di quella «Toscanina» umile e bonaria si sono insomma evoluti in

luoghi di fasto o di decadenza estrema. Il Paese dei Balocchi, l’Isola delle Api

Industriose e la città di Acchiappacitrulli diventano The Three Kingdoms, ovvero

i tre regni dello sfruttamento da parte dei figli dell’Omino di burro.

La Toscana, o meglio la sua immagine ideale, è tuttavia presente e

vibrante nel racconto del vecchio Professore, e scorre davanti ai suoi occhi sotto

forma di descrizioni scenografiche che si inseriscono nel copione della sua vita:

They have maintained the illusion of it by passing - or being passed by – revolving stages with painted backdrops representing the scenes of his childhood: the Tuscan village where his carpenter father lived, his fairy mother’s cottage in the woods, the city of pauper’s known as Fools’Trap where all who came there lost their hair and plumage and other valued parts, the infamous Toyland, though here labeled “Pleasure Island”and looking a bit dated, even the little hill and coastal towns he toured as a marionette and dancing donkey, all gleaming and decourus as the backgrounds in a Bellini altarpiece.312

I luoghi frequentati nelle AP sono rifunzionalizzati e adattati alle

esigenze della riscrittura pur mantenendo dei legami con l’opera fonte. L’osteria

del Gambero rosso, ad esempio, è il primo luogo in cui si ferma il Professore per

consumare la sua cena ma, a causa della stanchezza e del jet-lag, non riesce a

mangiare. Nell’ipotesto accade la stessa cosa: al Gambero rosso Pinocchio, a

causa della stanchezza, mangia solo «uno spicchio di noce e un cantuccino di

pane»313. In maniera simile il carcere si ripropone in entrambi i testi, le AP e

Pinocchio in Venice, come luogo della punizione ingiusta: mentre giace confuso

e arreso nella vana ricerca del suo albergo Pinenut viene condotto in carcere dalla

polizia per comportamento contrario alla decenza, disturbo alla quiete pubblica,

sospetto terrorismo, inquinamento ambientale e presunta violazione di domicilio.

                                                                                                               312 Ivi, p. 48. 313 AP, p. 368.

  144  

In tutte queste situazioni tuttavia permangono alcuni elementi che attraversano la

riscrittura come una costante e che si possono ritrovare nel carnevalesco, con

tutti i suoi tratti tipici, e nel costante presagio di una catastrofe incombente.

Coover si sofferma sulla descrizione di luoghi e edifici con dovizia di particolari

insistendo soprattutto sugli elementi gotici intorno ai quali si muovono

personaggi macabri e grotteschi in una perpetua festa carnevalesca. I numerosi

piani narrativi si sviluppano intorno a due elementi polarizzanti: da una parte il

Professore che ricerca la sua «I-ness» e quindi procede verso un progressivo

smascheramento di tutte le identità precedenti, dall’altra le maschere che gli

gravitano intorno e che si collocano in un sistema rituale che crea un contrasto

con lo smascheramento del protagonista.

La prima persona che Pinenut incontra è significativamente un portantino

che indossa una maschera da Medico della Peste e che lo conduce in un hotel

sinistro il cui gestore indossa la bauta. L’ambiguità dei due personaggi e il

richiamo alla morte accompagneranno poi il protagonista per tutta la storia,

intensificandosi in particolare quando l’uomo incontra la Fata. La progressiva

mutazione del corpo umano di Pinenut enfatizza difatti le rappresentazioni della

morte che lo accompagnano per tutto il suo percorso.

Uno dei momenti di maggior tragicità di questa erranza si svolge

all’interno di un negozio di maschere in cui l’uomo si ritrova in uno stato di semi

incoscienza allucinatoria. Una delle maschere si anima e rivela a Pinenut di

coprire le spoglie di una creatura morta, la Fata, che riposa in una tomba. Pinenut

è terrorizzato dall’idea della tomba, perseguitato per tutta la vita dal pensiero di

quella tomba che racchiudeva il corpo della Fata bambina:

After innumerable misadventures, he finally made his way back to where her cottage had been and found nothing but a tombstone with an inscription saying that the little girl with the azure hair had "died of sorrow on being abandoned by her little brother Pinocchio." "It nearly broke my heart. I tried to tear my wooden hair out. That was before I had real hair, of course.314

                                                                                                               314 R. Coover, op. cit., p. 72.

  145  

But whenever I let myself go a little, I'd see her tomb again: “Here lies who died Because…” I couldn't get rid of it, it was worse than athlete's foot, and it ruined everything.315

Venezia e il carnevale si contrappongono in un rapporto dialogico: da una

parte la città eterna, meta di scrittori e artisti, con la sua perfezione classica e

immutabile, dall’altro i fasti carnevaleschi con tutto il loro carico di eccessi, feste

di piazza, folla mascherata e il suo richiamo alla cultura bassa. Un teatro

bachtiniano, in ultima analisi, ove non c’è pubblico poiché ognuno interpreta una

parte nella commedia e non c’è un palcoscenico poiché non esiste distinzione fra

attori e spettatori. Non è uno spettacolo per la gente, è lo spettacolo della gente,

sregolato e libero da vincoli in cui i tratti più bassi, come la corruzione, la morte,

i corpi deformi, la scatologia e l’oscenità, sono messi in scena da figure

grottesche.

                                                                                                               315 Ivi, p. 75.

  146  

5. Modelli di permanenza e transizione di Pinocchio fra migrazioni e ibridazioni

La tessitura testuale e linguistica delle AP, la fluidità del personaggio di

Pinocchio e la smontabilità dei temi e delle figure compongono un universo in

grado di plasmarsi su forme espressive differenti generando una serie di

possibilità narrative e ibridazioni che si attivano in seguito alla pubblicazione

dell’opera in volume nel 1883. Tuttavia, se da una parte il complesso testuale

delle AP viaggia verso numerosi e differenti territori espressivi e comunicativi,

dall’altra esso persiste e via via si sedimenta nell’orizzonte culturale di

riferimento componendo un universo rizomatico in ultima analisi ben

riconoscibile.

È forse corretto dunque sostenere che il percorso che conduce Pinocchio

verso l’iconicità comincia quando, in seguito alla pubblicazione in volume da

parte degli editori-librai Paggi, l’immaginario complessivo delle AP si frantuma

in sistemi di immagini, costruzioni allegoriche e costellazioni di invarianti,

variazioni e varietà che viaggiano attraverso canali intermediali. Piermarco

Aroldi e Barbara Gasparini316, nel disegnare una mappa della permanenza di

Pinocchio nei media, propongono una serie di tipologie di adattamento che

prevede traduzioni, attualizzazioni, filiazioni, continuazioni, merchandising,

contaminazioni, parodie, citazioni e «metapinocchio». In questo scenario è

importante dunque considerare gli itinerari generativi che sono il risultato finale

di una concatenazione di scelte formali, enunciative e comunicative. Una delle

prime trasposizioni diegetiche che coincide anche con una migrazione e una

transcontestualizzazione del personaggio è rappresentata dalle cosiddette

«pinocchiate». Si tratta, come avverte Curreri, di esercizi di attualizzazione sui

generis, che rientrano nell’alveo della letteratura minore (e in questo rispettano il

filone in cui erano inserite le AP alla loro prima pubblicazione) e che seguono

fasi e tappe storiche, culturali e sociali di impronta marcatamente popolare: «le                                                                                                                316 P. Aroldi, B. Gasparini, Le avventure di Pinocchio fuori dal libro, in G. Bettetini (a cura di), op. cit., Roma, RAI-ERI, 1994, pp. 44-45.

  147  

pinocchiate rispondono anch’esse, cronologicamente, in parte alla rinascita

ottocentesca di un genere, la novella, e in parte alla prospettica, e già

novecentesca o quasi, fortuna del racconto» 317. La pinocchiata si sviluppa come

trasposizione momentanea e transitoria, attualizzazione che a lungo andare:

perde d’attualità, di efficacia, viene inghiottita a sua volta dalla distanza storica, e contrariamente al testo originale che si mantiene e si perpetua proprio in virtù di questo distanziamento, esso decade per aver voluto seguire, e per aver seguito, il gusto e la maniera di un momento. 318 In questo tipo di processo Pinocchio è un eroe solitario che agisce spesso

come un transfuga depotenziato di volta in volta di caratteristiche che invece gli

erano state assegnate da Collodi. Ma la transcontestualizzazione non interessa

esclusivamente Pinocchio, personaggio iconico: nella «pinocchiata» il burattino

si accompagna a elementi e temi forti delle AP, asserviti alle necessità più che

della narrazione, del contesto storico e culturale di riferimento. Ne sono un

esempio le «pinocchiate» fasciste, sottogenere che dimostra come il burattino

possa essere piegato alla logica propagandistica unito a alcuni temi meno sfruttati

delle AP, per esempio la sopraffazione e il dileggio. Le «pinocchiate»

accompagnano un percorso narrativo che travalica l’opera di riferimento pur

rimanendo nell’alveo della trasposizione letteraria e, per quanto il corredo

iconografico e l’adeguamento alla cultura di riferimento implichino una

trasformazione, l’opera fonte riemerge ma è al centro di una profonda

transvalutazione. Anche i primi adattamenti filmici, di cui, in questo capitolo, si

tratterà considerando le opere di Giulio Antamoro, Giannetto Guardone, Walt

Disney e Luigi Comencini, per quanto determinati da un diverso processo

trasformazionale, mantengono forti riferimenti con le varie transcodificazioni che

riguardano Pinocchio e con esse vanno a formare un ricco intreccio intermediale.

A loro volta, i quattro film analizzati rappresentano altrettanti esempi di

                                                                                                               317 L. Curreri (a cura di), Pinocchio in camicia nera, Cuneo, Nerosubianco, 2011, p.146. 318 G. Genette, Palinsesti, Torino, Einaudi, 1997, p. 68.

  148  

adattamento: Antamoro presenta un’opera sincretica che amalgama alcuni motivi

delle AP e delle «pinocchiate» con una serie di percorsi del cinema delle origini

dove si ritrovano numerosi riferimenti al teatro, al genere slap stick e alla

narrazione intervallata da commenti scritti. Guardone procede con un impianto

introduttivo molto simile a quello di Disney in cui permangono i commenti scritti

di collegamento fra le parti, una recitazione improntata al teatro e una fedeltà

all’opera fonte che difficilmente si ritrova in altri adattamenti. Il percorso che

porta all’analisi dell’opera di Disney è volto a dimostrare come le prime

traduzioni e adattamenti teatrali abbiano rappresentato un solido sostrato su cui

Disney ha a sua volta inserito elementi della cultura di arrivo e dell’industria

culturale americana coeva. Comencini adotta la scansione seriale e opera un twist

narrativo iniziale piuttosto singolare, presentando Pinocchio come bambino in

carne e ossa subito dopo la creazione del burattino di legno.

Nel corso dell’analisi si cercherà di mettere in luce i diversi approcci che

riguardano principalmente il racconto, la mostrazione e l’interazione. Se, infatti,

come sostiene Linda Hutcheon, «un adattamento non esiste nel vuoto né in

quanto prodotto né in quanto processo ma sempre in un contesto – un luogo, una

società e una cultura determinante»319, è importante considerare non solo il

prodotto ma anche il processo che determina e guida i vari itinerari generativi,

risultato finale di una concatenazione di scelte formali, enunciative,

comunicative, culturali e personali.

5.1. Circolarità e replicabilità

L’industria culturale si presenta come sistema variegato e multiforme in

i cui prodotti hanno una caratteristica precisa: il prodotto culturale contiene una

matrice riconoscibile inglobata in forme nuove ma dall’alta valenza identitaria.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’industria culturale rinforza

la costruzione di un modello ideale che si reitera in una serie di modelli che si                                                                                                                319 L. Hutcheon, op. cit., p.13.

  149  

adattano a loro volta alle richieste di vari fruitori. Le AP, modello di prodotto

culturale primordiale, partecipano a questo tipo di rinnovamento e si adattano

alle richieste dell’industria culturale in maniera trasversale. Le varie forme di

transcodificazione cui sono sottoposte fanno pensare a un’implosione precoce del

materiale pinocchiesco tanto da assimilarlo a una «fabbrica» che ha due matrici

di fondo: la circolarità e la replicabilità. Ogni rilettura «industriale» dell’opera

produce infatti una germinazione di immagini e una ramificazione e espansione

di quei temi che sono già contenuti nella source novel ma che si incanalano in

maniera del tutto indipendente da essa e anzi sono al centro di numerosi

operazioni commerciali che dipendono dalle esigenze del mercato e della cultura

di riferimento. Ma l’industria culturale non opera in solitaria: essa adotta e adatta

schemi che si replicano e si ripetono e mentre in Europa si gettano le basi di

un’avanguardia che stuzzica le coscienze dei lettori, in Italia «si dà credito ai

prodotti d’evasione ben confezionati dalla neonata industria libraria e si fa buon

viso al sereno intrattenimento delle gratificazioni ideali» 320 . Il che rende

probabilmente ragione delle numerose pratiche parodistiche che comportano

riprese del plot e transodificazioni, pratiche miste, che però, almeno in origine,

legano le variazioni all’originale in modo che il lettore possa rifugiarsi in un

materiale conosciuto che provoca sì una forma di straniamento, ma la cui

matrice rimane stabile. In questo tipo di approccio potrebbe risiedere uno dei

motivi da cui discendono le sùbite fuoriuscite di personaggi e linee narrative da

romanzi che sono già best seller e che investe grandi classici della letteratura

italiana fra cui i Promessi Sposi. La vicenda del romanzo manzoniano rientra

unfatti in quella circolarità che coinvolge anche Pinocchio, con alcune differenze

sostanziali che riguardano in particolare la grande attenzione che Manzoni

riserva alle richieste del mercato culturale e, collegato ad esso, lo sviluppo del

materiale iconografico che accompagna la sua opera. Materiale iconografico che

accompagna il lettore nella visualizzazione di ciò che legge. Assecondando tale

                                                                                                               320 G. Tellini, Le muse inquiete dei moderni, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006, p. 25.

  150  

inclinazione la casa editrice Ricordi, seguendo l’uscita del romanzo del 1827,

propone l’acquisto di una serie di dodici tavole litografiche ispirate all’opera al

costo di 50 centesimi l’una che Manzoni provvede prontamente a far ritirare

ritenendole di scarsa qualità. Ma la tendenza del mercato editoriale è ormai molto

definita, tanto che dalla metà dell’Ottocento fiorisce un mercato di illustratori,

prevalentemente figurinai, che però eseguono le tavole in maniera indipendente,

senza consultarsi con gli autori, i quali a loro volta non si curano troppo del

corredo iconografico che accompagna le loro opere. Ma non Manzoni, che

intuisce l’importanza dell’immagine di accompagnamento e già con l’edizione

del 1827 compila un quaderno, un brogliaccio, su cui indica gli spazi in cui

devono essere inserite le illustrazioni arricchiti da una serie di dettagli su abiti,

luoghi e persone che affida a Francesco Gonin il quale deve a sua volta eseguire

una serie di bozzetti prima di ottenere l’approvazione definitiva dell’autore. La

vicenda che conduce all’illustrazione «ufficiale» dell’opera, quella della

Quarantana, passa per una serie di contrattazioni che coinvolgono Francesco

Hayez, ritenuto troppo autonomo e indipendente dallo scrittore. Ma sono le

immagini xilografate di Gonin ad avere la meglio, poiché sembrano soddisfare

maggiormente l’occhio del lettore per quel gusto per il dettaglio melodrammatico

tanto in voga all’epoca. Le illustrazioni di Gonin accompagnano dunque la

pubblicazione in dispense dagli stampatori Guglielmini e Redaelli tra il 1840 e il

1842, edizione curata direttamente da Manzoni. L’edizione rappresenta un punto

di riferimento per il rapporto fra testo e immagine che da quel momento segnerà

il destino di molte altre pubblicazioni. L’edizione del 1841 è seguita dunque

personalmente dall’autore che spera di «farci guadagno» avendoci investito

buona parte del patrimonio familiare. Nel flusso circolare dei prodotti che si

influenzano a vicenda in un rapporto intermediale rientrano le cartoline illustrate

dai disegni di Gonin e i vari prodotti pubblicitari come le carte assorbenti della

ditta Bertelli e le figurine Liebig, che dedicano varie serie alla storia e ai luoghi

  151  

de I promessi sposi a partire dal 1926 mentre nel 1951 una serie è dedicata alla

vita di Alessandro Manzoni321. Come afferma Gianfranco Bettetini, infatti:

fin dalla prima edizione dei Promessi Sposi è fiorito, accanto a variazioni ed analisi ‘colte’, un gran numero di manifestazioni popolari che interessavano quasi tutti gli ambiti espressivi: dalla musica alla poesia, dal melodramma al teatro delle marionette, dal cinema ai fumetti, dal fotoromanzo alla televisione…I 25 lettori-modello auspicati dal Manzoni si sono così trasformati in molti milioni di consumatori, impegnati ai diversi livelli della pluralità di accostamenti consentiti dal romanzo.322

Manzoni dunque comprende e partecipa alla traslazione del romanzo nella

cultura popolare «orchestrando con una regia minuziosa quella che sarà la

matrice di ogni successiva volgarizzazione: l’integrazione visiva della vicenda

per mezzo delle 400 illustrazioni del Gonin a proposito dell’edizione riveduta del

1840»323. Una scelta che, seguendo il filone pedagogico e dell’intrattenimento,

privilegia messaggi moralizzanti o momenti descrittivi in uno sviluppo

iconografico in cui l’immagine di Manzoni accompagna spesso quella dei suoi

eroi. L’autore rimane dunque fortemente collegato al testo e il consumatore ne

conosce l’aspetto e il valore artistico: il narratore e il narrato sono egualmente

riconosciuti dal pubblico di riferimento. Le figurine Liebig veicolano due tipi di

approcci: una serie riassume il romanzo e enfatizza la parte melodrammatica del

racconto, con un’attenzione rivolta a gesti e espressioni del corpo; l’altra si

                                                                                                               321 Anche la storia di Pinocchio rientra nella serie nel 1961 (serie n. 17750). Intento promozionale e pedagogico accompagnano l’emissione delle figurine, con una progressiva accentuazione della parte informativo-didascalica. Le figurine che riguardano Pinocchio iniziano infatti con una accurata spegazione della genesi dell’opera e della sua prima pubblicazione sul «Giornale per i bambini», cui segue il riassunto della che si sviluppa nelle varie emissioni. Le immagini non rispettano fedelmente la didascalia ma contengono le parti salient del racconto. La parte scritta è molto densa e contiene numerose informazioni. 322 G. Bettettini, Cronaca del “matrimonio” tra l’industria culturale e i “Promessi Sposi” in G. Manetti (a cura di), Leggere i Promessi Sposi, Milano, Bompiani, 1989, p. 255. 323 Ibid.

  152  

focalizza maggiormente sui paesaggi e i luoghi in cui si muovono i protagonisti.

La fioritura di variazioni e analisi più o meno colte del romanzo lo avvicinano al

tipo di rappresentazione popolare che trova nel teatro delle marionette una delle

variazioni più diffuse dell’opera manzoniana che interessano, nel corso del

Novecento, i più vari ambiti espressivi, dal cinema ai fumetti, dal fotoromanzo

alla televisione, seguendo lo sviluppo dell’industria culturale in tutte le sue

forme. Come afferma Aldo Grasso nel saggio Una lacrima sul griso:

le due “figure” narratologiche principali del romanzo sono la circolarità e l’excursus. Circolarità di corrispondenze formali, simboliche, strutturali; circolarità di un testo che non finisce di agire (classico libro per ciascuno e per chiunque); circolarità di un romanzo “alius et idem” in grado di sopportare tutti i tipi di interpretazione e di critica; ma soprattutto circolarità intesa come forza centrifuga: un nocciolo duro attorno al quale ruotano gli spin-offs narrativi. In fondo, i Promessi sposi sono già un remake di Fermo e Lucia. 324

L’iter seguito dalla diffusione dei Promessi sposi è simile a quello di

Pinocchio, che si diffonde attraverso una delle forme più tipiche dell’industria

culturale ottocentesca, il feuilleton, per poi essere inglobato in un romanzo dal

forte richiamo visivo. Come Manzoni, anche Collodi dimostra di conoscere le

dinamiche dell’industria culturale (non a caso chiede a Biagi di pagargli bene la

sua «bambinata»), ma a differenza di Manzoni non mette a frutto fino in fondo

una strategia di consumo che lo leghi indissolubilmente alla sua opera: Manzoni

è l’autore de I promessi sposi, Collodi non mantiene con la sua creatura un

rapporto di dipendenza e univocità e la sùbita fuoriuscita del personaggio dal

romanzo ne rimarca l’indipendenza. Manzoni dunque mantiene un vincolo con la

sua opera e l’iconografia dei Promessi Sposi rimarrà a lungo legata alle

illustrazioni di Gonin mentre il Pinocchio di Mazzanti, pur essendo una delle

prime, riuscite illustrazioni del personaggio, non riesce a imporsi come immagine

                                                                                                               324 A. Grasso, Una lacrima sul griso. Appunti in margine a una parodia televisiva, in G. Manetti (a cura di), op. cit., p. 294.

  153  

di riferimento, tanto che in ogni epoca i vari illustratori definiscono il

personaggio in maniera personale o asservita alle esigenze del mezzo e del

processo culturale di riferimento. Le pinocchiate che seguono la pubblicazione

dell’opera ne sono un chiaro esempio, come anche i vari artisti che si susseguono

nella resa del personaggio.

5.2. La promessa sposa di Pinocchio

Nel 1939 Ugo Scotti Berni pubblica, presso Marzocco, La promessa

sposa di Pinocchio. Nelle pagine introduttive Paolo Lorenzini, Collodi Nipote,

parla della storia scritta da Scotti Berni definendola la «vera» continuazione di

Pinocchio. Il testo merita qualche riflessione per i diversi spunti che contiene e

che la rendono diversa rispetto alle tradizionali «pinocchiate» in cui è il

personaggio del burattino a fare da perno a tutta la narrazione. In questo caso

l’opera si presenta, già dall’introduzione, come una legittima continuazione della

storia del burattino. Un’operazione editoriale e narrativa in cui Collodi Nipote e

Berni collaborano per convincere il lettore della veridicità dell’iniziativa. Paolo

Lorenzini descrive dunque i presunti incontri fra lo zio Carlo e Ugo Scotti Berni

nel corso dei quali il celebre autore lo avrebbe incoraggiato a scrivere il seguito

della storia di Pinocchio:

[ Ugo Scotti Berni] trascrisse in brevi annotazioni quanto il Collodi gli disse e, dopo quasi cinquant’anni da allora, se ne è ricordato, le ha tratte fuori dai più cari ricordi della sua giovinezza ed ha scritto questo libro, in omaggio all’amico, che ne fu l’ispiratore325.

Tutta la parte paratestuale è dunque destinata a convincere il lettore

dell’autenticità dell’operazione editoriale, come emerge anche da un’analisi della

dedica di Scotti Berni, che recita:

                                                                                                               325 U. S. Berni, La promessa sposa di Pinocchio, Firenze, Marzocco, 1939, p. VI.

  154  

Alla venerata memoria del vecchio amico di mia lieta infanzia CARLO LORENZINI detto Collodi dedico la fantasiosa novella ch’Egli pensò ma che non scrisse e di cui a me – con paterna speranza confidò il Soggetto, perch’io ne assolvessi testamentario lascito a discepolo fedele la lusinghiera attuazione dopo cinquanta anni dal nostro ultimo incontro nella bella Firenze.326

L’opera è divisa in due parti: nella prima si trova Geppetto che scolpisce

la bambola da un ramo di un albero caduto per caso, mentre nella seconda parte

entra in scena Pinocchio che desidera sposare la bambola-fanciulla ma è

osteggiato da personaggi che indossano abiti neri, ibridazione fra i Bravi e i

quattro conigli neri che trasportano la bara nella casa della Fata. Il testo, dalla

caratura limitata, ha il merito di integrare le due opere che meglio rappresentano

la stagione dell’industria culturale ottocentesca: I Promessi sposi e Pinocchio.

Ugo Scotti Berni utilizza i due schemi narrativi riconoscibili e li attualizza

trasponendoli negli anni Trenta intrecciando due situazioni stabili da cui

discendono nuovi sviluppi narrativi: si tratterebbe, secondo una definizione di

Genette, di «un epilogo [che] ha la funzione di esporre brevemente una

situazione (stabile) posteriore allo scioglimento propriamente detto, dal quale

essa risulta»327.

L’operazione editoriale si accompagna ad un’iniziativa commerciale

molto in voga in quegli anni che accoglie anche una finalità pedagogica e

divulgativa: la Farmacia Roberts di Firenze distribuisce le figurine ispirate al

libro insieme al Borotalco e al termine della raccolta i clienti ricevono il libro in

omaggio. Processo molto simile alla distribuzione delle figurine Liebig, che

inseriscono l’opera di Scotti Berni nel sistema di consumo culturale.

                                                                                                               326 Ivi, p.VII. 327 G.Genette, op.cit., p. 241.

  155  

5.3. Prime «pinocchiate»

Il filone delle «pinocchiate»328 è inaugurato da Oreste Boni con Il figlio

di Pinocchio del 1893 che propone la prima filiazione del personaggio, seguita da

Il fratello di Pinocchio di Ettore Ghiselli del 1898 e Il cugino di Pinocchio di

Augusto Piccioni del 1901. Nelle «pinocchiate» il burattino è isolato dall’opera

fonte di cui però, di volta in volta e in base alla necessità dell’opera, mantiene

alcuni temi e figure. La sua struttura meccanica, per esempio, lo avvicina a

innovazioni tecnologiche di varia natura come in Pinocchio in dirigibile di

Epaminonda Provaglio nel 1909 e Pinocchio in automobile di Giulio Erpianis nel

1910; il tema del viaggio e della scoperta è centrale in Pinocchio in Affrica di

Eugenio Cherubini del 1904 e Pinocchio nella luna di Tommaso Catani nel

1919. In genere la «pinocchiata» tende a enfatizzare quel lato legato alla fuga e al

viaggio che permette ai vari autori di estrarre Pinocchio dalle AP e di incanalarlo

in linee narrative indipendenti. Così l’immagine di Pinocchio che salta e

sgambetta in terre lontane incontra il gusto per l’esotico che coinvolge il

giornalismo, la letteratura di consumo, i fumetti e il cinema dei primi anni del

Novecento. Le contaminazioni con altre opere iniziano a proliferare all’inizio

degli anni Venti grazie a Bettino D’Aloja (Pinocchio all’inferno; Pinocchio nel

purgatorio; Pinocchio in paradiso) in cui il personaggio è affiancato a Dante

Alighieri.

I cicli di filiazioni e continuazioni procedono fino alla pubblicazione

delle «pinocchiate» fasciste che mostrano un Pinocchio piegato alle esigenze

della propaganda in cui, in maniera un po’ forzata, quella tendenza alla fuga e

alla conquista di nuove esperienze converge nella fascistizzazione del

                                                                                                               328 Cfr. R. Biaggioni, Le pinocchiate: appendice bibliografica, in Pinocchio: cent’anni di avventure illustrate, Firenze, Giunti-Marzocco, 1984; L. Curreri, Play it again Pinocchio. Saggi per una storia delle «pinocchiate», Bergamo, Moretti & Vitali, 2017; L. Curreri, M. Martelli (a cura di), Pinocchio e le «pinocchiate», Nuove misure del ritorno, Cuneo, Nerosubianco, 2018.

  156  

personaggio. I tratti caratteriali e grafici, talvolta sgradevoli, sono spesso

accompagnati da una sottile violenza attenuata dall’intento canzonatorio.

5.4. «Pinocchiate» fasciste

Tra il 1923 e il 1944 compaiono le cosiddette «pinocchiate» fasciste,

alcune delle quali sono raccolte da Luciano Curreri nell’opera Pinocchio in

camicia nera 329 . Seguendo le tappe fondamentali dell’affermazione del

Fascismo, le «pinocchiate» rimangono nell’alveo del genere autarchico,

stereotipato, dove anche per la figura di Pinocchio si procede a una ridefinizione

dei tratti distintivi che però, perdendo quella predisposizione libertaria, risulta

talvolta irriconoscibile, un’icona artificiale che affida la sua riconoscibilità a

determinate caratteristiche fisiche che vengono enfatizzate nel corredo

iconografico. Oltre a Pinocchio è anche il suo creatore, Carlo Collodi, a essere

recuperato dal regime come esempio di scrittore patriottico dalla portata eroica.

Nel 1925 la commissione Lombardo Radice inserisce infatti Giannettino e

Minuzzolo nei «libri degni di lode per il loro valore intrinseco e didattico e che

corrispondono bene allo spirito dei nuovi programmi»330.

Le «pinocchiate» fasciste seguono le fasi di sviluppo e affermazione del

Fascismo: Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista di Giuseppe

Petrai illustrato da Giove Toppi inserisce il burattino nelle incursioni squadriste

del 1922; Pinocchio tra i Balilla: nuove monellerie del celebre burattino e suo

ravvedimento, scritto e illustrato nel 1927 da Cirillo Schizzo ripercorre la

nascita dell’Opera Nazionale Balilla del 1926 che, nel 1934, raggiunge i due

milioni di iscritti; Pinocchio istruttore del Negus e Il viaggio di Pinocchio di

Ciapo, disegni di Fulvio Bianconi, del 1944 e Pinocchio vuol calzare gli

                                                                                                               329 L. Curreri, Pinocchio in camicia nera, Cuneo, Nerosubianco, 2008-2011. 330 A. Ascenzi, R. Sani (a cura di), Il libro per la scuola tra idealismo e fascismo: l’opera della Commissione centrale per l’esame dei libri di testo da Giuseppe Lombardo Radice ad Alessandro Melchiori (1923-1928), Milano, V&P, 2005, p. 292.

  157  

abissini 331 pubblicato da Salani nel 1939 ripercorrono il sogno imperiale

mussoliniano degli anni Trenta e il periodo del suo declino intorno al 1944.

Petrai descrive Pinocchio come un burattino ravveduto, figlio di un ciabattino e

non di un falegname, Geppetto, che lo sceglie fra un gruppo di burattini e lo

adotta perché è «sempre ardito e di buon umore, la sua passione è di guadagnarsi

la tessera di fascista»332. Personaggi nuovi, come l’antagonista Niccolaccio, si

alternano a personaggi noti come Giangio, descritto però non come l’operoso

lavoratore delle AP ma come «un fannullone, un vagabondo, in sostanza, che

[…] riusciva sì e no ad accozzare il pranzo con la cena»333. Per quanto i simboli

fascisti, come l’olio di ricino, siano inseriti nella narrazione spogliati del loro

carico greve e violento, le illustrazioni di Giove Toppi raccontano invece un

burattino piegato alle dinamiche fasciste. Pinocchio infatti indossa una camicia

nera, un fez e nell’immagine di copertina versa l’olio di ricino in bocca a

Niccolaccio mentre con l’altra mano brandisce un manganello di legno. Il suo

naso è molto lungo e dal fez spuntano i capelli. Nelle varie tavole i movimenti

risultano piuttosto marcati, a enfatizzare la natura burattinesca che si accompagna

a un carico di aggressività e supponenza. Niccolaccio tradisce una certa

somiglianza con Mangiafoco: capelli e barba lunghi e neri, ha piedi e mani

collegati a fili per essere governato da un burattinaio, che, in un ribaltamento dei

ruoli, è proprio Pinocchio.

Il ciclo delle pinocchiate fasciste prosegue con Pinocchio fra i balilla,

scritto e illustrato da Cirillo Schizzo nel 1927 e pubblicato dalla casa editrice

Nerbini. Il sottotitolo Nuove monellerie del celebre burattino e suo ravvedimento

è ripreso dagli intertitoli tematici delle AP e anche l’impostazione dell’opera

presenta una suddivisione in capitoli che seguono le scorribande del «monello

vegetale» fra personaggi nuovi, come Succianespole il capo dei balilla, Gaetano

il guardaboschi, Gustavo il guercio, Pietrone l’accalappiacani, Barabba oltre a                                                                                                                331 Il testo non è parte della raccolta Pinocchio in camicia nera di Luciano Curreri ma può essere incluso nel filone delle «pinocchiate» fasciste. 332 L. Curreri, op. cit., p. 18. 333 Ivi, p. 21.

  158  

vecchie conoscenze come Geppetto e un redivivo Lucignolo, che compare

brevemente come venditore ambulante di cerotti per i calli e lozioni per i capelli.

I primi capitoli descrivono l’attitudine burattinesca alla corsa e alle bricconate

compiute ai danni del popolo. Figlio irrequieto e vivace, è fonte di

preoccupazioni continue per il povero Geppetto, padre sconsolato e povero.

Pinocchio è costantemente in fuga a causa dei suoi malestri e durante una delle

sue numerose scorribande ai danni del popolo, è inseguito da Pietrone

l’accalappiacani e preso al laccio:

Pinocchio intanto sgambettava disperatamente ciondoloni al laccio che Pietrone teneva sollevato in aria, guardando stupito e contrariato quello strano cane con quel po’ di naso.334

L’immagine di Pinocchio che sgambetta ricorda il finale di Pinocchio I,

dove il burattino è sbatacchiato dal vento appeso alla Quercia grande, ma la

tensione drammatica è immediatamente interrotta dalla folla che chiede di

portare Pinocchio al municipio dentro il «cassino» insieme agli altri cani: per un

attimo, egli rivive l’episodio della trasformazione in cane da guardia. Anche in

questo caso, l’episodio provoca una cesura rispetto alla prima parte dell’opera:

dalla fine del capitolo III, infatti, inizia il processo di conversione alla disciplina

balilla del burattino, accompagnato da Succianespole. Il capitolo IV descrive

l’incontro fra Pinocchio e il maestro che lo incoraggia a diventare balilla ma, di

fronte alla prospettiva dello studio e dell’impegno, il burattino fugge inseguito da

Succianespole e i suoi amici. Nella corsa inciampa e infila la testa nella tela di un

pittore che sta ritraendo un ciuchino. In questo modo Pinocchio si compie la

seconda metamorfosi di Pinocchio, accompagnata da un cartello su cui è scritta la

seguente frase:

Questo è Pinocchio Re dei Ciuchi, qui messo alla berlina per punizione

della sua birbanteria. Dategli la biada.335

                                                                                                               334 Ivi, p. 36.

  159  

Le minacce e lo scherno cui è sottoposto convincono il burattino a

diventare un Balilla. La sua decisione lo stimola a convincere i suoi compagni di

scorribande, il Guercio e Barabba, trasposizione del Gatto e la Volpe, a entrare

anch’essi nella palestra dei Balilla, dove Pinocchio è nominato caporale e il

racconto si conclude con l’augurio di diventare console. Per quanto il burattino

indossi camicia nera, pantaloni verdi e fez, una vena sarcastica e canzonatoria

accompagna la sua metamorfosi in balilla: il suo naso colpisce i compagni in

piedi sull’attenti, il saluto romano diventa saluto fiorentino, all’ordine di rompere

le righe il burattino rompe un righello. L’illustrazione della copertina presenta

alcune differenze rispetto alle tavole interne: il personaggio rappresentato in

copertina ha tratti del viso umani, con il naso molto pronunciato, mentre il corpo

è quello tipico della marionetta; l’abito ricorda l’illustrazione di Enrico Mazzanti,

ripresa anche da Carlo Chiostri, con il collo a gorgiera, la casacca a fiori, il

cappello bianco a cono e i pantaloni corti a righe. La posa è tipica dell’epoca, con

il burattino che fa il saluto romano circondato da alcuni balilla e Geppetto che lo

guarda con le mani giunte e l’espressione piena di orgoglio. Le tavole interne

invece variano con il variare della storia. Nelle prime illustrazioni Pinocchio

rispecchia l’immagine di copertina ma quando cambia abito e indossa la divisa

dei Balilla anche la sua immagine si modifica: il naso si accorcia, l’espressione

del viso si umanizza, la corporatura è più pingue. La posizione con le mani sui

fianchi che si ripete in alcune tavole può essere soggetta a una doppia

interpretazione: essa ricorda l’illustrazione classica di Mazzanti ma potrebbe

anche riprendere la tipica posa mussoliniana.

Nel 1939 Marzocco pubblica Pinocchio istruttore del Negus nella

collana «Libriccini Belli». Qui il burattino, portato in Abissinia da un inglese,

dopo essersi rovesciato un calderone di cioccolata addosso, ritorna in patria

grazie a un italiano che lo riconosce. L’opera sottolinea l’iconicità e

l’identificabilità del personaggio, riconosciuto anche all’estero come simbolo

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   335 Ivi, p. 53.

  160  

dell’italianità: «chi è l’italiano che non riconosce Pinocchio anche se un

po’abbronzato…dalla cioccolata?» 336 . Sempre negli anni Trenta, Nerbini

pubblica Pinocchio esploratore: avventure di terra e di mare con chiari richiami

alla propaganda fascista e al desiderio di scoperta del burattino.

Dal 1938 circa la casa editrice Nerbini inserisce il burattino in un nuovo

filone con la pubblicazione di «Pinocchio: il giornale dei ragazzi italiani» che

ricorda, anche nel titolo, il vecchio «Giornale per i bambini» su cui appare la

storia per la prima volta. Anche in questo caso il burattino è al centro di

un’operazione commerciale e culturale piuttosto interessante sempre legata alla

propaganda fascista. Nel 1938 infatti il Ministero della Cultura Popolare

(MinCulPop) emette una direttiva che elimina gli eroi statunitensi dai giornali

italiani richiedendo la sostituzione con personaggi nostrani. La casa editrice

Nerbini accoglie l’istanza inserendo Pinocchio in storie che si ispirano al mondo

nordamericano: Pinocchio e la fanciulla del West337, Pinocchio esploratore,

Pinocchio nel Far West e Pinocchio Robinson. Questo tipo di variazione si

interseca con i primi prodotti filmici che si interessano a Pinocchio, primo fra

tutti il film di Giulio Antamoro del 1911.

                                                                                                               336 Ivi, p. 62. 337 Il 10 dicembre 1910 al Teatro Metropolitan di New York Giacomo Puccini mette in scena la prima dell’opera in tre atti La Fanciulla del West.

  161  

6. Percorsi intermediali

6.1. Gli adattamenti di Giulio Antamoro e Giannetto Guardone

Le «pinocchiate» forniscono un esempio di adattamento in forma

letteraria che si sviluppa contestualmente alle prime trasposizioni filmiche delle

AP. La prima versione per il cinema338 che vede protagonista il celebre burattino,

oltre a essere uno dei primi lungometraggi della storia del cinema italiano, è del

1911. Diretto da Giulio Antamoro, prodotto dalla «manifattura cinematografica»

Cines339, il film in bianco e nero e senza sonoro è interpretato dal celebre attore

francese Fernand Guillaume, conosciuto con il nome di Polidor. Come sostiene

Raffaele De Berti, «il film entra nel circuito intermediale partecipando sia

all’affermazione di una nuova iconografia di Pinocchio, insieme alle illustrazioni

di Mussino, che a diventare a sua volta modello per le famose ‘pinocchiate’

letterarie»340.

Pinocchiate, film, illustrazioni creano dunque un nuovo immaginario

pinocchiesco dalle vicendevoli influenze. Nel film di Antamoro, per esempio, gli

abiti del burattino si ispirano alle illustrazioni che Attilio Mussino prepara per

l’edizione di Bemporad del 1911: una casacca con toppe simili a fiori, pantaloni

corti con riga laterale, una cuffietta bianca e scarpe nere. Per aderire al nuovo

spirito avventuriero e esotico delle «pinocchiate» e accogliere una tendenza della

letteratura coeva341 improntata alla scoperta e al viaggio, Antamoro prende

                                                                                                               338 Il lungometraggio è stato restaurato nel 1994 dalla Cineteca Nazionale di Milano e dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. 339 La Cines è la prima casa di produzione a produrre pellicole di ispirazione risorgimentale e garibaldina: Garibaldi (1907), Il piccolo garibaldino (1909), Anita Garibaldi (1910) e altri. A seguire si inseriscono nel filone anche la Milano Films, la Helios e alter case di produzione. Le varie produzioni concorrono alla formazione di una vera e propria epopee risorgimentale che si incentra sulla figura avventurosa di Garibaldi, eroe nazionale ma che travalica i confini della nazione e si impone come simbolo libertario e cosmopolita. 340 R. De Berti, Il Pinocchio cinematografico di Giulio Antamoro, in I. Pezzini, P. Fabbri (a cura di), op. cit., Roma, Meltemi, 2002, p. 170. 341 In quegli anni la casa editrice Nerbini pubblica titoli come Il naufragio di Pinocchio, Pinocchio corsaro: grandi avventure di terra e di mare, Pinocchio professore di

  162  

spunto da un episodio che compare nel capitolo XXXIII in cui Pinocchio, alla

ricerca del padre incontra un piccione che gli comunica di averlo visto tre giorni

prima sulla spiaggia:

Si fabbricava da sé una piccola barchetta, per traversare l’Oceano. Quel pover’uomo sono più di quattro mesi che gira per il mondo in cerca di te: e non avendoti potuto mai trovare, ora si è messo in capo di cercarti nei paesi lontani del nuovo mondo.342

Il regista trasforma la «barchetta» in un motivo, che si ripresenterà in

Disney e in Comencini, e che diventa il pretesto per il viaggio e l’esplorazione di

terre lontane. Nella barchetta infatti Pinocchio raggiunge Geppetto nel ventre

della balena (non più un pescecane, dunque) per salvarlo. Ma gli Indiani

d’America attaccano la balena, liberano i due e, mentre Pinocchio è scambiato

per un mago (figura totemica dovuta probabilmente alla struttura lignea) e

liberato, Geppetto è imprigionato e messo sul girarrosto. Pinocchio chiede aiuto

ai soldati canadesi e in un commento scritto si legge: «I Canadesi ammazzano

tutti gli Indiani e rimandano Pinocchio a casa… come vedrete». Nel finale

Pinocchio, seduto su una palla di cannone, è proiettato a casa dove lo sta

attendendo Geppetto. Il sincretismo dell’adattamento di Antamoro riguarda sia il

piano della forma sia il piano del contenuto. Da un punto di vista narrativo,

l’intreccio si espande rispetto all’originale e le varie sequenze, che si presentano

in maniera piuttosto segmentata e disomogenea, sono collegate da didascalie che

illustrano lo svolgimento della diegesi e replicano la struttura paratestuale degli

intertitoli tematici dell’originale. Ma è Pinocchio-Polidor con la sua forza

mimica a sostenere lo sviluppo della diegesi dalla prima scena, in cui si presenta

su un palcoscenico come attore e, dopo un doppio salto mortale, si trasforma in

Pinocchio grazie all’utilizzo della stop motion. La caratterizzazione del

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   geografia che presentano un personaggio curioso e desideroso di nuove scoperte che ricorda, fra l’altro, il ciclo dei Giannettini e di Minuzzolo. 342 AP, p. 345.

  163  

personaggio da parte di Polidor rappresenta la forza narrativa dell’opera: egli

unisce la mimica melodrammatica alla fisicità del sotto-genere slapstick, molto

popolare in quegli anni e che affonda le radici nel teatro delle marionette. Lo

spettatore è invitato dentro il teatro, omaggio forse a uno degli elementi più

riconoscibili dell’opera fonte, il teatro di Mangiafoco, ma anche modello

narrativo che negli anni successivi ispirerà i primi sceneggiati televisivi. Per

quanto le ricostruzioni degli interni, in particolare la casa di Geppetto e il ventre

della balena, siano di grande interesse scenografico, tanto da essere

successivamente riprese da Guardone e da Luigi Comencini, l’attenzione dello

spettatore è forse più attratta dalla performance teatrale di Polidor, personaggio

molto conosciuto e dalle notevoli doti attoriali e mimiche, e dalle innovazioni

tecniche. Antamoro elude quasi completamente l’intento pedagogico, tanto che il

personaggio del Grillo parlante non ha una parte di rilievo nella storia.

La lezione pedagogica è invece al centro dell’adattamento di Giannetto

Guardone del 1947. Il film Le avventure di Pinocchio, accolto negativamente

dalla critica e descritto in maniera piuttosto negativa anche da Vittorio Gassman,

che vi figura nella parte del Pescatore verde, rappresenta un esempio di riscrittura

in cui fabula e intreccio ricalcano in maniera piuttosto fedele l’opera di Collodi.

Anche se da un punto di vista formale si ritrovano numerose influenze di Disney

e anche di Antamoro, se, come sostiene George Bluestone, la complessa

relazione fra film e romanzo fa sì che le due linee narrative si intersechino, si

incontrino a un certo punto e poi divergano343, Guardone cerca la convergenza

quasi totale. È come se il regista volesse operare «un ampio confronto

intertestuale con l’opera adattata»344 senza operare quell’allontanamento creativo

e funzionale tale da considerare l’opera fonte materiale grezzo345 da riplasmare

secondo le esigenze del mezzo e della cultura di arrivo.

                                                                                                               343 G. Bluestone, Novels into Film. The Metamorphosis of Fiction into Cinema, Berkley and Los Angeles, University of California Press, 1966, p. 63. 344 L. Hutcheon, op. cit., p. 28. 345 G. Bluestone, op. cit., p. 62.

  164  

Le prime immagini del film, ispirate probabilmente dall’incipit del film

di Disney, mostrano la copertina del libro di Pinocchio con il burattino che fugge

da una balena-pescecane, dai gendarmi e dal serpente. Le pagine si sfogliano e

riportano i titoli di testa insieme a immagini che ritraggono i vari personaggi

delle AP accompagnati da una musica allegra. La casa di produzione Excelsa

compare insieme a Fiaba Film a indicare l’origine letteraria dell’adattamento. In

Guardone un narratore extra-diegetico, voce fuori campo, interviene a presentare

i vari personaggi e a collegare le varie parti della narrazione. Girato a Viareggio,

il film alterna ambientazioni in interni con cambi di scena dall’impostazione

teatrale e sfondi di cartapesta, a scene in esterna, soprattutto in aperta campagna e

sul mare. L’interno della casa di Geppetto è molto simile a quello rappresentato

da Antamoro ma la musica allegra e la luminosità rendono lo scenario gradevole,

attenuando il tema della povertà estrema e l’isotopia chiaroscurale che

accompagna il burattino nella sua fuga e che è alla base della resa drammatica di

numerosi episodi nell’opera fonte. Pinocchio è un bambino con un naso

posticcio, il suo corpo non è meccanico e indossa abiti chiari che ricordano molto

le illustrazioni di Carlo Chiostri, per quanto le scene iniziali che mostrano il libro

di Pinocchio ricordino le illustrazioni di Fiorenzo Faorzi per l’edizione Salani del

1934. Il continuo movimento, forse teso a riprodurre l’idea della corsa e della

fuga, rende il protagonista a tratti caricaturale e ipercinetico. Il Grillo è

interpretato da un attore che indossa abiti eleganti e porta una maschera che

ricopre l’intero volto come tutti i personaggi antropomorfi: il Gatto e la Volpe (la

Volpe è impersonata da un’attrice), il cane Medoro, i dottori al capezzale di

Pinocchio. Nella maschera e nell’abito del Grillo è possibile riconoscere una

somiglianza con Jiminy Cricket di Disney. La Fata si presenta come una vera fata

delle fiabe con l’abito lungo e il cappello a cono impreziosito da un velo. Il

pescecane ha le dimensioni di una balena e il suo interno è un luogo umido in cui

Geppetto ricostruisce un ambiente domestico. Il risveglio di Pinocchio dal sogno

finale avviene in una stanza con due tende laterali simile a un palcoscenico dove

entra Geppetto che indossa una specie di uniforme militare con decorazioni

  165  

dorate e bottoni di brillanti (la famosa giacchetta che Pinocchio avrebbe dovuto

comprargli con le monete d’oro). Il bambino Pinocchio indica un burattino di

legno riverso su una sedia: questa è l’unica scena in cui compare il burattino nel

film. Nonostante la presenza di attori di buon livello, il film non regge il

confronto con la versione di Disney accolta dalla critica italiana come «un

capolavoro, una libera interpretazione, anzi una variazione […] sul tema di

Collodi», 346 mentre l’adattamento di Guardone è definito dalla critica

un’operazione poco professionale.

6.2. Gli adattamenti di Walt Disney e di Luigi Comencini: un ricco «multistrato» di riferimento

Nel processo di evoluzione transmediale delle AP e del personaggio di

Pinocchio gli adattamenti di Walt Disney e Luigi Comencini rappresentano, in

due modi differenti, due pietre miliari nella resa dell’immaginario pinocchiesco

che supera il dibattito sulla fedeltà e rispetto dell’opera fonte, operazione che,

come dimostra ilfilm di Guardone,non sempre ha esiti positivi. Diciamo che

entrambi vanno a comporre quel «multistrato» di riferimento per opere

successive e sebbene siano opere seconde, sono spesso identificate e conosciute

come opere primarie.347 Disney propone una variazione che si costruisce su una

serie di elementi che oscillano fra cultura di partenza e cultura di arrivo, mentre il

progetto di Comencini intende rimodellare il materiale grezzo dell’opera fonte,

che in entrambi gli adattamenti scompare per consentire al personaggio

Pinocchio di esercitare quella potenza mitica 348 acquisita dalla sua prima

apparizione. Viene dunque meno quel grado di subalternità rispetto all’opera

letteraria anteriore, complice anche l’ibridazione con un medium espressivo

differente e il processo di transculturizzazione che guida i due adattamenti che,

                                                                                                               346 Piesse, La Rivista del Cinematografo, Roma, 4 aprile 1948. 347 L. Hutcheon, op. cit., p. 28. 348 P. Fabbri, op. cit., pp. 207-225.

  166  

pur nella loro differenza, sono accomunati ancora una volta da un unico

elemento: l’industria culturale.

6.3. Pinocchio negli Stati Uniti: prima di Disney

Per comprendere appieno l’operazione di Disney, è necessario

ripercorrere brevemente le tappe di diffusione delle AP negli Stati Uniti dalla sua

prima transcodificazione letteraria di tipo traduttivo ai primi adattamenti teatrali.

Pinocchio giunge negli Stati Uniti dall’Inghilterra nel 1898, quando

l’editore Jordan, Marsh and Company pubblica The Adventures of Pinocchio in

Wonderland nella traduzione che Mary Alice Murray aveva realizzato per

l’editore londinese T. Fisher Urwin. La traduzione della Murray risulta piuttosto

fedele all’originale e conserva le illustrazioni di Enrico Mazzanti. Urwin invia le

pagine alla casa editrice in modo che l’editore possa rilegarle e pubblicarle con il

proprio nome. La casa editrice però deve momentaneamente sospendere le

pubblicazioni a causa di uno scandalo interno e quando, alcuni mesi dopo,

riprende con il nuovo nome di Cassell and Company, Pinocchio non compare fra

i titoli pubblicati. Bisognerà attendere il 1898 per vedere ricomparire Pinocchio,

questa volta a Boston, nel formato Urwin/Cassell ma pubblicato da Jordan,

Marsh and Company, sempre nella traduzione di Mary Alice Murray.

L’introduzione è curata da Hezekiah Butterworth349 e non si ritrova menzione né

dell’autore, né del traduttore e nemmeno dell’illustratore, di cui spesso non si

scorgono le iniziali. La nota introduttiva focalizza l’attenzione su determinati

elementi della storia e dà l’idea del pubblico cui intende indirizzarsi e dei valori

che l’editore decide di veicolare: «Here is a new delight for childhood. We have

                                                                                                               349 L’edizione di Butterworth e la sua prefazione accompagnano l’uscita dell’edizione tradotta da Murray, nella quale non compare il nome di Collodi. Nel 1911 la casa editrice E.P. Dutton and Co. pubblica Pinocchio, the Tale of a Puppet, questa volta riportando il nome dell’autore, C. Collodi. Ristampe di questo volume si susseguono dal 1914 al 1965.

  167  

heard of toy books, but here is one that makes a toy live»350. Opera per l’infanzia,

dunque, dove il protagonista sembra essere un giocattolo che diventa bambino.

Butterworth fornisce anche qualche dettaglio sul carattere del protagonista:

The fancy of the canvas writer makes the wooden puppet live, suffer from the consequences of many amusing pranks and, finally, seeing the errors of all such thoughtless ways, turn into a happy, living, well-behaved, manly boy.351

Si tratta di un percorso di redenzione che conduce all’happy ending e

non menziona l’aspetto tragico della storia di Pinocchio, descritto come un

simpatico, spensierato briccone. Butterworth conduce anche una riflessione

relativa all’approccio narrativo dell’autore:

The German fairy tale follows the method of the Hebrew parable or the Oriental fable of Cinderella. […] this story has the German rather than the Oriental form and coloring. It has the curious fascination of a street ‘Punch and Judy’s show.352

In queste poche righe Butterworth imprime al testo un carattere ben

definito: lo paragona a una fiaba tedesca e, secondariamente, lo inserisce nella

scia dei teatri di strada, i puppet shows che si ispirano alla Commedia dell’Arte e

che trovano nel Punch and Judy show una forma di rappresentazione vivace,

legata al mondo delle marionette (in cui si inserisce anche Pinocchio), con forti

richiami all’Italia e che ispira a sua volta alla tradizione della slapstick comedy

che si diffonde negli Stati Uniti agli inizi del Novecento.

Nel 1904 l’editore Ginn and Company pubblica la prima traduzione

americana di Pinocchio di Walter Samuel Cramp, dal titolo Pinocchio: The

Adventures of a Marionette, illustrata dai disegni in bianco e nero di Charles                                                                                                                350 H. Butterworth, Introduction, in Pinocchio’s Adventures in Wonderland, trad., Mary Alice Murray, New York, Jordan, Marsh & Co., 1898, p. I. 351 Ibid. 352 Ivi, pp. I-II.

  168  

Copeland. Ginn si occupa prevalentemente di testi scolastici su scala nazionale e

la pubblicazione di Pinocchio segue un doppio binario, quello

dell’intrattenimento e quello pedagogico: in questo, l’opera di Collodi segue le

stesse strategie della sua pubblicazione in Italia alla fine dell’Ottocento, ma Ginn

distingue i due ambiti utilizzando due diverse copertine, come se volesse

separare i due filoni della storia. La distribuzione del libro è immediatamente

sospesa e ne viene richiesta una revisione allo scopo di eliminare le scene

eccessivamente violente.

6.4. L’operazione editoriale di Cramp-Ginn: l’eliminazione della violenza e la riconcettualizzazione valoriale

La traduzione di Cramp e le revisioni di Ginn producono una

riconcettualizzazione della storia che oscilla fra valori della cultura di partenza e

valori della cultura di riferimento, accogliendo anche quelle istanze pedagogiche

e moralistiche imposte dall’industria dell’editoria scolastica e di intrattenimento.

Una delle prime rimozioni riguarda il finale del capitolo II: in Collodi la disputa

fra Mastro Ciliegia e Geppetto assume toni drammatici enfatizzando il crescendo

del diverbio che culmina in un corpo a corpo fra i due uomini, che, anziani e

indeboliti dal freddo e dalla fame, si accordano sulla cessione del pezzo di legno

a Geppetto. A innescare la disputa l’utilizzo del soprannome Polendina che

suscita l’ira dell’uomo. Mentre la Murray riporta fedelmente l’episodio cercando

di fornire una spiegazione sul soprannome di Geppetto, Cramp lo omette

completamente e interrompe la scena quando il legno cade addosso a Geppetto

che si lamenta, lo raccoglie e torna a casa. La scelta rispetta le richieste

dell’editore che a sua volta deve seguire le linee guida per le pubblicazioni

scolastiche.

Nel capitolo III Geppetto sceglie il nome di Pinocchio rimarcando un

aspetto negativo:

  169  

Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina. 353

Nella versione Ginn-Cramp si legge:

I think I will call him Pinocchio. That name will bring with it good fortune. I have known a whole family called Pinocchio. Pinocchio was the father, Pinocchio was the mother, and the children were called little Pinocchios, and everybody lived well. It was a happy family. 354

Cramp omette l’allusione alla povertà e alla vita stentata della famiglia dei

Pinocchi, anche se mantiene il riferimento alla povertà di Geppetto nel dialogo

fra Pinocchio e Mangiafoco, riferimento necessario alla consegna delle cinque

monete d’oro. Anche l’episodio della battaglia sulla spiaggia è descritto con toni

meno drammatici, mentre vengono eliminati gli insulti fra i ragazzi che si

lanciano i libri. L’incontro con gli Assassini è appena accennato e le scene troppo

cruente rimosse: il Gatto quindi non conficca il coltello fra le labbra di Pinocchio

e Pinocchio non stacca con un morso lo zampino del Gatto, omissione che

annulla anche la scena successiva in cui il Gatto deve giustificare la zoppìa. È

cancellato anche l’episodio tragico e violento in cui l’Omino di burro stacca a

morsi l’orecchio del ciuchino ribelle che, a sua volta, colpisce Pinocchio con una

«gran musata sullo stomaco». La Fata si affaccia alla finestra nella drammatica

notte dell’impiccagione e dice: «In this house there is no one, they have all gone

away»355 omettendo ogni riferimento ai morti.

Insieme alla storia di Pinocchio giungono negli Stati Uniti anche alcune

«pinocchiate». La prima è Pinocchio in Affrica di Eugenio Cherubini, tradotto da

Angelo Patri e pubblicato nel 1911 sempre da Ginn and Co. L’illustratore è lo

                                                                                                               353 AP, p. 345. 354 C. Collodi, Pinocchio: The Adventures of a Marionette, trad. W.S.Cramp, Boston, Ginn & Company, 1904, p. 10. 355 Ivi, p. 65.

  170  

stesso di Pinocchio, Charles Copeland. Nel 1913, Il segreto di Pinocchio di

Gemma Rembadi Mongiardini è tradotto con il titolo di Pinocchio Under the Sea

che enfatizza la parte dell’opera dedicata all’esplorazione dei mari fino

all’Artico. Il cuore di Pinocchio: nuove avventure del celebre burattino, scritto

da Collodi nipote nel 1917, è tradotto da Virginia Watson e pubblicato da Harper

and Brothers, di New York, nel 1919, con il titolo The Heart of Pinocchio: The

New Adventures of the Celebrated Little Puppet. L’attualizzazione di Collodi

Nipote si pone al servizio della letteratura per l’infanzia per spiegare il contesto

della Grande Guerra e il sacrificio dei feriti e mutilati in battaglia. L’allusione a

Cuore nel titolo rimanda ai valori di patriottismo e sacrificio presenti nel testo:

Pinocchio, ormai diventato un ragazzino perbene, può servire e difendere la

patria. Il libro conosce un breve periodo di popolarità e la sua pubblicazione si

interrompe nel 1933, ma la notorietà di Pinocchio e l’enfasi sull’amor patrio

contribuiscono alla sua diffusione fra i giovani americani di quei valori di

empatia e compassione fraterna per i feriti in guerra356.

Una delle prime attualizzazioni americane di Pinocchio è scritta da Angelo

Prati, traduttore di Pinocchio in Affrica, e s’intitola Pinocchio in America.

Pubblicata nel 1928 da Doubleday, Doran’s and Co., illustrata da Mary Liddell,

l’opera si propone di spiegare ai ragazzi americani la figura del burattino dalla

prospettiva di un emigrato, il Patri, editore di testi scolastici e giornalista. Patri si

serve del burattino per un processo di transculturizzazione in cui devono

emergere i valori patriottici di un testo scolastico, l’attenzione per i problemi

degli immigrati, il ricordo della patria e il percorso adattativo nel nuovo mondo.

Patri descrive l’accoglienza riservata a Pinocchio negli Stati Uniti con molto

affetto e attenzione e i personaggi che egli incontra fungono da tutor per il

raggiungimento del suo benessere e per la sua protezione in terra straniera.

L’America rappresentata da Patri sembra più un luogo scenografico in cui si

stagliano personaggi fittizi che guidano Pinocchio attraverso il suo percorso

                                                                                                               356 Cfr. R. Wunderlicht, T. Morissey, Pinocchio Goes Postmodern: Perils of a Puppet in the United States, New York and London, Routledge, 2002, p. 151.

  171  

verso il ritorno in patria. Il libro ha un tale successo che la casa editrice Ginn and

Co. lo ripubblica con il titolo Pinocchio’s Visit to America nel 1929 e nel 1930,

anno in cui Patri traduce l’originale di Collodi per la collana «Doran’s Junior

Books» della casa editrice Doubleday. Nel 1948 Patri scrive l’introduzione

all’edizione per la collezione dei classici della casa editrice Lippincott in cui

sono reintrodotti alcuni riferimenti alla morte e alla violenza elusi nelle

traduzioni precedenti.

Alcune scelte e soluzioni che si ritrovano nel film di Disney sono

dunque il risultato di variazioni editoriali e adattamenti precedenti, in particolare

riguardo la neutralizzazione della violenza e l’inserimento di Pinocchio in un

contesto indefinito, dove si attenuano i tratti di italianità. Oltre alle proposte del

mercato editoriale, Disney può attingere da un vasto repertorio teatrale che

accoglie Pinocchio e lo canonizza in un contesto che sembra il più adatto a un

burattino.

6.5. Primi adattamenti teatrali negli Stati Uniti

Gli adattamenti teatrali rappresentano un passaggio importante per la

fortuna di Pinocchio negli Stati Uniti e soprattutto per la configurazione

dell’immaginario creato da Disney. Intorno agli anni Venti si registra un grande

ritorno d’interesse per i burattini grazie anche alle rappresentazioni di due

importanti personalità: Tony Sarg e Remo Bufano. Tony Sarg, talentuoso

burattinaio e illustratore, installa a New York il suo teatro sperimentale

ispirandosi agli spettacoli con burattini molto popolari a inizio secolo. Sarg opera

a New York dopo aver vissuto a lungo in Germania e Inghilterra e, oltre

all’attività di burattinaio, si occupa di libri illustrati dove si inserisce anche il

personaggio di Pinocchio che ben concilia i suoi due interessi principali: il teatro

e l’illustrazione. Nel 1940 illustra Pinocchio per il volume curato da Watty Piper

e pubblicato dall’editore Platt and Munk Co. di New York. Nelle sue

  172  

illustrazioni Pinocchio è rappresentato come un burattino dal naso molto lungo

ma dall’aspetto fanciullesco. Indossa una casacca rossa con un collettino bianco,

pantaloncini a sbuffo neri, un cappello verde con passamaneria gialla e scarpe da

bambino nere. Geppetto è un uomo solare dall’aspetto rubicondo che lavora in un

luogo accogliente e pieno di oggetti. La rappresentazione di Pinocchio e del suo

ambiente subisce dunque una variazione interessante, che prepara l’operazione di

Disney che, soprattutto da un punto di vista scenografico, dimostra di essersi

ispirato a Sarg nell’ideazione dei costumi e della resa iconografica dei

personaggi. Ma sono soprattutto le rappresentazioni teatrali di Remo Bufano a

ridefinire l’immaginario collodiano. Remo Bufano si dedica al teatro delle

marionette intorno al 1914, dopo aver visto uno spettacolo di pupi siciliani che

ispirano la sua versione dell’Orlando Furioso, presentato in italiano. Nel 1929

Bufano prepara una drammatizzazione del celebre burattino, dal titolo Pinocchio

for the Stage, divisa in quattro parti: Pinocchio Runs Away; The Forest of the

Blue Fairy; Pinocchio Turns Donkey; The End of Pinocchio’s dream. Il copione

conserva diversi tratti invarianti collegati all’immaginario pinocchiesco come la

suddivisione in sequenze, i temi della fuga e della metamorfosi, ma la lingua

subisce una semplificazione per essere adattata, come sostiene Bufano stesso, ai

bambini americani. Inoltre, Bufano vuole avvicinare alcuni tratti delle AP alla

cultura di arrivo e per questo motivo introduce due variazioni importanti: il grillo

non è ucciso e il pescecane diventa una balena asmatica (variazione già presente

in altre opere). Se la prima variazione elimina un episodio violento, per la

seconda l’autore cerca di introdurre qualcosa di più familiare: un cetaceo molto

conosciuto dai bambini e un simbolo religioso che richiama Giona, imprigionato

per tre giorni e tre notti nel ventre della balena. Un’edizione della versione

teatrale è pubblicata a New York nel 1929 dall’editore Alfred A. Knopf e si

diffonde molto velocemente grazie a rappresentazioni nei parchi, per le strade e

nei grandi magazzini357. Bufano pubblica altri due libri sul mondo del teatro dei

                                                                                                               357 Cfr. McPharlin P., The Puppet Theater in America, A History, Boston, Boston Plays Inc., 1949, pp. 342-344.

  173  

burattini: Be a Puppet Showman, nel 1933, e Magic Strings nel 1939. Intanto nel

1931 Adams T. Rice propone una versione di Pinocchio aderente alla traduzione

di Mary A. Murray, quella introdotta da Hezekiah Butterworth, presso l’editore

Samuel French di New York. Rice non modifica i ruoli dei personaggi né cambia

il loro nome, ma semplifica alcune parti ritenute troppo complicate per essere

rappresentate in scena, scompone la fabula e ricompone l’intreccio del testo

originale. Nella prima scena, per esempio, è Mangiafoco a entrare nella bottega

di Geppetto e ordinare un burattino di legno e Pinocchio non entra nel teatro

attratto dai pifferi ma da Lucignolo. Alcune note dell’autore forniscono

indicazioni su come neutralizzare elementi di disturbo per i bambini: nella scena

in cui il Gatto e la Volpe vogliono derubare Pinocchio, per esempio, Rice

suggerisce di non portarli in scena con il capo coperto da un sacco di tela ma di

farglielo indossare successivamente mentre la scena dell’impiccagione deve

avvenire nella penombra; i conigli neri nella casa della Fata sono sostituiti da

Corvo e Civetta. Il pescecane è invece conservato da Rice e la descrizione del

suo ventre è uno degli episodi più avvincenti e meglio rappresentati.

Gli archivi di Disney registrano la presenza delle versioni di Bufano e di

Rice oltre alla presenza di un altro adattamento che, secondo Wunderlich e

Morissey, registra l’impatto più profondo nella resa dei dettagli disneyani. Si

tratta della versione di Yasha Frank rappresentata nel 1937 a Los Angeles per il

Federal Theatre Project358. La versione, creata a Los Angeles e interpretata da

una compagnia del Federal Theatre Project di New York, viaggia per gli Stati

Uniti dove ottiene un grande successo tanto che Hallie Flanagan, produttrice

                                                                                                               358 Nel 1935 il Congresso conferisce mandato alla Works Progress administration per lo sviluppo di quattro progetti per reimpiegare quei lavoratori del teatro che avevano perso il lavoro durante la Depressione. Fra questi progetti rientra il Federal Theatre Project, diretto da Hallie Flanagan che doveva coordinare alter unità su tutto il territorio nazionale. L’unità di New York si specializza in comunicazioni radio, informazione e teatro per i bambini, che si focalizza a sua volta su spettacoli di marionette, produzioni per le scuole e spettacoli itineranti. Yasha Frank partecipa al progetto e si distingue per l’adattamento di Pinocchio. Lo spettacolo ottiene un successo così grande, che quando nel 1939 il FTP termina, il personaggio di Pinocchio viene portato in processione dentro una bara per le strade di New York a simboleggiare la morte del progetto.

  174  

teatrale e direttrice del progetto federale, definisce Pinocchio di Yasha Frank un

esempio pedagogico359. La versione di Frank è nota a Disney e al suo staff, che

assiste alla rappresentazione per ben otto volte. Il personaggio di Frank è dolce e

naif e nella rappresentazione è accompagnato da aiutanti, come Geppetto e la

Fata, e da antagonisti, come il Gatto e la Volpe. Geppetto è felice e ama

circondarsi di oggetti in un ambiente caldo e accogliente. La versione di Frank

slitta nel sistema di valori di Disney che propone un burattino semplice,

innocente, impreparato ma buono, calato in un ambiente in cui la povertà non è

rappresentata. Lo spettacolo di Frank viaggia per gli Stati Uniti e il 23 dicembre

1938 è rappresentato al Ritz Theatre di Manhattan dove rimane fino al 30 giugno

1939 per 197 repliche. Nel 1940, quando Disney propone Pinocchio al pubblico

americano, il burattino è già piuttosto conosciuto e inserito in un sistema di valori

che lo allontanano dalla cultura di partenza e lo avvicinano alla cultura di arrivo.

6.6. Disney e Pinocchio

Molti studiosi sostengono che l’immaginario relativo alla storia di

Pinocchio è stato riconfigurato in seguito all’adattamento di Walt Disney che

rappresenta una pietra miliare nell’itinerario transmediale percorso dalle AP, un

adattamento ricomposto in base a numerosi elementi che coniugano cultura di

partenza, cultura di arrivo (che in Disney diventa preponderante) e tutta una serie

di variazioni presenti già in altre transcodificazioni inglobate dal prodotto

disneyano. Lo scenario che anticipa la versione di Disney è dunque piuttosto

denso: traduzioni dell’opera collodiana sono completate da traduzioni di

«pinocchiate» e da adattamenti teatrali. Disney ha diversi elementi da cui

attingere e una storia che gli offre, oltre a analogie autobiografiche, la possibilità

di portare in scena un personaggio che è già scenico, che si presta alla

metamorfosi e alla metafora e una storia atemporale che può essere smontata e

                                                                                                               359 H. Flanagan, Arena: the History of the Federal Theatre, New York, Blom, 1965, pp. 229-300.

  175  

rimontata e soprattutto adattata a una diversa cultura. L’operazione è rischiosa

ma anche supportata da un precedente importante: Mickey Mouse. Realizzato

intorno al 1928, la struttura creativa semplice ma al tempo stesso rivoluzionaria

del personaggio, oltre alla sua personalità dai contorni definiti, lo allontanano

dalle convenzioni delle popolari slapstick comedies per far spazio a uno schema

narrativo dai caratteri innovativi, in cui è il tratto avventuroso e esotico delle

storie a contraddistinguere le prime imprese del personaggio. A ciò si aggiunge

un altro elemento che accompagnerà per sempre la produzione disneyana: la

colonna sonora. Nel 1929 Mickey Mouse compare in guanti bianchi e scarpe nere

insieme a un accompagnamento sonoro in quella che Oreste De Fornari definisce

«l’emblema della riforma Disney»360 . La musica rappresenta da subito un

elemento che accomuna e identifica la produzione disneyana, elemento che,

insieme a altri, contribuirà a favorrne la brandizzazione.

Nel 1930 Mickey Mouse è famoso a livello internazionale e piegato alle

esigenze culturali dei vari paesi in cui viaggia, ma sempre devoto a una linea

perbenista imposta da Disney. All’inizio degli anni Trenta una riforma epocale

dei film animati è introdotta da Disney: l’utilizzazione di innovativi storyboards

che si ispirano a fiabe piuttosto conosciute. Nel 1934 Snow White and the Seven

Dwarfs è il primo lungometraggio dotato di sonoro che apre la produzione di

feature films e della multiplane camera, in modo da ottenere quel magic realism

che diventerà il marchio di ogni produzione disneyana. Seguendo questo filone,

Disney produce, fra il 1940 e il 1942, quattro film per i quali impiega ingenti

risorse economiche e creative e che decreteranno il futuro della casa di

produzione: Pinocchio, Fantasia, Dumbo e Bambi. Seppur diverse

nell’ispirazione, le opere conservano tratti comuni e rispondono a quella ricerca

di standardizzazione dei personaggi tipicamente dineyana per i quali vige la

regola dell’atemporalità. Non è strano dunque che il regista sia attratto dall’opera

di Carlo Collodi, esempio di racconto atemporale, abitato da un personaggio

flessibile e adattabile come Pinocchio, che con le sue fughe e la sua corsa può                                                                                                                360 O. De Fornari, Walt Disney, Milano, Il Castoro, 1995, p. 17.

  176  

essere in un certo senso assimilato alle prime realizzazioni di Mickey Mouse. Se

infatti da un lato i lungometraggi disneyani si propongono lo studio e la

rappresentazione dell’alterità e delle differenze culturali, in realtà, a livello più

profondo, gli strumenti impiegati per evocare altre culture soggiacciono alla

cultura narrante, che riveste l’impianto narrativo, caratterizza i personaggi e

restituisce una visione stereotipica anche delle culture altre. Come afferma Jack

Zipes:

The characters are stereotypes, arranged according to a credo of domestication of the imagination. The domestication is related to a colonization insofar as the ideas and types are portrayed as models of behaviour to be emulated. Exported through the screen as models, the “American” fairy tale colonizes other national audiences. 361

Il modello di ri-mediazione delle fiabe proposto da Disney è destinato a

diventare un marchio non solo per la casa produttrice ma per un’intera industria

culturale che vi troverà ispirazione per tutto il corso del ventesimo secolo e oltre.

Il modello disneyano si aggancia all’industria culturale e la influenza in più

modi: le riscritture proposte stimolano il desiderio di lettura negli spettatori, che

dopo aver visto il film vogliono acquistare il libro, e inoltre l’uscita

dell’adattamento è anticipata da un progetto promozionale che si standardizza

negli anni: il «pacchetto Disney» di solito prevede un’operazione di marketing

totale che comprende un libro illustrato, un pupazzo, abiti e un poster. La fiaba

diviene dunque un bene di consumo che si autoalimenta e che alimenta un

mercato: nel caso di Pinocchio un mercato di libri da colorare, pop-up e

oggettistica si sviluppa nel corso degli anni Cinquanta.

Da un punto di vista espressivo, una delle maggiori difficoltà per Disney

risiede nella resa dell’elemento legnoso del personaggio, che comporta

un’eccessiva rigidità e sgradevolezza nei movimenti, mentre i vari lungometraggi

                                                                                                               361 J. Zipes, Breaking the Disney Spell, in Fairy Tale as Myth, Myth as Fairy Tale, Lexington, University of Kentucky Press, 1994, p. 94.

  177  

prodotti in precedenza propongono figure armoniche per le quali i movimenti

vengono studiati e preparati con attori. Disney opera dunque un cambiamento

nella struttura iconografica del burattino e crea un personaggio ibrido: un mezzo

burattino del quale solo le gambe sono legnose e collegate da chiodi al resto del

corpo che diventa morbido e flessibile, umano. Forse per questo motivo Geppetto

deve essere rappresentato come fine intagliatore e non come povero falegname

che scolpisce gambe dei tavoli e la sua casa deve essere piena di bambole e

marionette: in questo modo può produrre un oggetto più rifinito e gradevole.

L’approccio di Disney vira dunque subito verso l’infantilizzazione del burattino,

rendendo Pinocchio un eroe adatto al periodo in cui il film viene prodotto,

l’America della post-depressione che si appresta a far fronte alla guerra in

contrasto rispetto al messaggio finale di Collodi, che invece anela

all’adultizzazione del ragazzo verso un futuro di responsabilità e impegno.

Tuttavia, se qualche tratto invariantivo è preservato rispetto all’opera fonte, è

proprio da ricercare in quelle ultime righe che descrivono il risveglio del

protagonista dal sogno dal sogno finale in cui la Fata lo riabilita e gli annuncia

«felicità eterna»:

Ora immaginatevi voi quale fu la meraviglia quando, svegliandosi, si accorse che non era più un burattino di legno: ma che era diventato, invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dette un’occhiata all’intorno e invece delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella camerina ammobiliata e agghindata con una semplicità quasi elegante. Saltando giù dal letto, trovò preparato un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo, un pajo di stivaletti di pelle, che gli tornavano una vera pittura. […] Geppetto sano, arzillo e di buon umore, come una volta, […] avendo ripreso subito la sua professione d’intagliatore, stava appunto disegnando una bellissima cornice ricca di fogliami, di fiori e di testine di diversi animali. 362

Lo scenario in cui Disney colloca i personaggi all’inizio del film pare

una trasposizione della casa di Geppetto, ma quella delle ultime pagine di

                                                                                                               362 AP, p. 523.

  178  

Collodi, della «camerina ammobiliata con elegante semplicità» dove gli orologi

alle pareti e le bambole di legno possono trovare una giusta collocazione.

Pinocchio si presenta già vestito, annullando il primo processo di vestizione che

corrisponde all’abilitazione al mondo dei grandi e all’ingresso a scuola e la sua

creazione è anticipata dall’inserimento di Jiminy Cricket, personaggio vivo e

vivace che funge narratore onnisciente e che sostituisce tutti gli animali parlanti

che nelle AP mettono in guardia Pinocchio. Tutti gli altri animali antropomorfi

hanno invece una spiccata tendenza all’archetipizzazione che si ritrova nei loro

nomi: il Gatto e la Volpe diventano John Worthington Foulfellow (Honest John)

e Gideon, la balena diventa Monstro. Il crescendo di personaggi negativi esalta la

positività di Pinocchio, che però rimane passivo e quasi indifferente allo

svolgimento dell’azione sempre soggetto alle decisioni altrui. La sequenza

introduttiva imposta la modalità del racconto e sottolinea l’aspetto di finzione:

Jiminy Cricket canta la sigla iniziale seduto sopra il libro di Pinocchio, a indicare

la matrice letteraria dell’adattamento e si presenta subito come voce narrante che

descrive ciò che lo spettatore sta osservando, eliminando la cesura fra titoli di

testa e inizio del racconto, come se si trattasse di un musical. Jiminy invita

dunque lo spettatore a seguirlo nel libro come se lo guidasse attraverso un piano

enunciativo non cinematografico ma orale, quello della fiaba. Tuttavia, la scritta

«Technicolor» che campeggia all’inizio del film richiama le produzioni

hollywoodiane del periodo e ristabilisce un modello facilmente riconoscibile. La

narrazione si sviluppa intorno a macrosequenze che corrispondono a sei scenari:

la casa di Geppetto, il teatro di Mangiafoco, l’osteria del Gambero Rosso, il

Paese dei Balocchi (Pleasure Island), il fondo del mare e il ventre della balena

(Monstro). Le prime immagini di Disney propongono un villaggio di montagna

in cui si può riconoscere un riferimento a quelle atmosfere proposte da Disney in

Biancaneve, in omaggio ai tedeschi fratelli Grimm. Mentre numerose sono le

critiche che riguardano il sistema di valori e la rappresentazione dei personaggi,

unanime è l’apprezzamento nei confronti della resa scenica e delle innovazioni

tecniche operate da Disney, soprattutto per l’utilizzo del linguaggio musicale,

  179  

elemento di richiamo indissolubile da Pinocchio che converge nella strategia di

comunicazione del marchio Disney.

6.7. Luigi Comencini e lo sceneggiato Le Avventure di Pinocchio

Luigi Comencini gira lo sceneggiato sulla storia di Pinocchio nel 1972

con l’assistenza della sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico. Il progetto nasce

però nel 1963 come film per il cinema. Comencini sta girando La ragazza di

Bube, trasposizione cinematografica del libro di Carlo Cassola, ambientato in

Toscana e decide di fare «un film moderno molto semplice, molto povero, su

questa Toscana ma senza ricordi storici»363. Il romanzo di Collodi si adatta

perfettamente alle esigenze della sceneggiatura e ancora una volta è quel tratto di

atemporalità impresso da Collodi a guidare la scelta del regista, che si rivolge al

produttore Franco Cristaldi. Nel frattempo Federico Fellini annuncia di lavorare

alla preparazione di un film su Pinocchio per la televisione italiana (che però non

sarà realizzato). Comencini sospende allora il progetto, che sarà ripreso otto anni

dopo quando la Rai richiede al regista un film su Pinocchio, ma a puntate e per la

televisione, nel solco di una tendenza iniziata verso la metà degli anni Cinquanta

che vede l’affermazione dello sceneggiato come genere.

I primi sceneggiati si basano infatti sull’adattamento di testi letterari: «il

romanzo era destinato a rivelarsi precocemente, e in forma duratura, il principale

veicolo della diffusione massiva della cultura umanistico-letteraria presso il

pubblico italiano»364. In particolare i primi adattamenti televisivi propongono

romanzi di tradizione storica o letteraria, di matrice per lo più risorgimentale per

rinforzare il senso di appartenenza e la condivisione di ideali, oltre a consolidare

l’unità linguistica degli spettatori. Adattato al format dello sceneggiato, il

romanzo offre anche la possibilità di veicolare letteratura alta e storia, stabilendo

                                                                                                               363 Gili, A.J., Luigi Comencini, Roma, Gremese, 2003, p. 72. 364 M. Buonanno, La fiction italiana: narrazioni televisive e identità nazionale, Bari, Laterza, 2012, pp. 6-7.

  180  

uno standard che la Rai segue dall’inizio nella sua funzione di servizio pubblico.

I primi teleromanzi ricalcano le routine produttive del teatro: non a caso i primi

attori di sceneggiati provengono dal mondo teatrale e si prestano al nuovo

genere, che si impone inizialmente come ibridazione di diverse forme di

rappresentazione in cui la figura dell’attore è il cardine della narrazione. La

staticità delle scene e l’impianto teatrale delle scenografie si adattano al formato

seriale in cui rientra la lezione del feuilleton mutuata anch’essa dalla

paraletteratura ottocentesca. Nel 1967 l’adattamento de I promessi sposi

introduce un’innovazione: suddiviso in otto puntate, molto fedele all’originale,

porta in scena l’opera letteraria alta per eccellenza, sovvertendo la tendenza

all’adattamento di opere minori:«permeato da una ‘sorta di ossessione

dell’interno’ istigata dalla ricerca dello ‘specifico televisivo’, e pertanto girato

interamente in elettronica e in studio, I promessi sposi è stato la più compiuta e

perfetta incarnazione della concezione culturale ed estetica dello sceneggiato»365.

Non è dunque strano che, in questo periodo di revival della letteratura

ottocentesca, a Comencini sia proposto l’adattamento di un prodotto culturale

tipico di quell’epoca. Allo stesso tempo, il regista ha già sperimentato la pratica

della serializzazione attraverso il genere del documentario e soprattutto grazie a

una delle sue realizzazioni più note: Pane amore e fantasia. Uscito nel 1953,

insieme a Poveri ma belli (1957) di Dino Risi diventa il prodotto della Titanus

che dà inizio alla pratica della serializzazione. Per Pinocchio però il progetto è

diverso poiché è trasmesso agli inizi degli anni Settanta, quando lo sceneggiato

televisivo è già un genere affermato e soprattutto in un periodo in cui la Rai sta

riformando il suo palinsesto e può evolversi vero una diversa organizzazione da

un punto di vista sia espressivo sia formale. La triade reithiana «informare,

educare, intrattenere», che ha rappresentato un modello paradigmatico unitario

fino alla fine degli anni Sessanta, scorpora i tre elementi che conoscono uno                                                                                                                365 M. Buonanno, op. cit., p. 12. Cfr. anche O. De Fornari, Teleromanza. Mezzo secolo di sceneggiati e fiction, Alessandria, Falsopiano, 2011; A Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 1992.

  181  

sviluppo autonomo e si intrecciano in maniera disomogenea. Abbandonati i

clichés dello sceneggiato statico, ambientato in un teatro o in uno studio, la Rai

inizia a spingersi verso programmi più dinamici e creativi. Dopo anni di

ricostruzioni e scenografie in cartapesta, nel 1970 la «Tv dei ragazzi» propone

programmi di narrativa ambientati in esterni seguendo un percorso innovativo e

sperimentale che diventa il marchio di Raidue, dove un pubblico sia adulto sia

giovane segue le avventure di «Nel mondo di Alice» e «Jack London, l’avventura

del grande Nord» (1974). Lo scopo non è più esclusivamente pedagogico, ossia

avvicinare i ragazzi alla lettura dei classici, o di intrattenimento, ma in alcuni casi

diventa parodistico. I grandi classici della letteratura Ottocentesca iniziano infatti

a essere svestiti del loro autoritarismo e le fiabe tradizionali sono rivisitate in

maniera dissacrante e scherzosa.366 Parallelamente, la Rai trasmette programmi

recitati da attori e marionette come «Gulliver» (1969) o «Storia di una nota che

stonava» (1970). Il passaggio cruciale per l’avvento della TV dei ragazzi è il

1972, anno che anticipa la riforma Rai del 1975367, quando la prima rete Rai

rinuncia alla «Tv dei Ragazzi» a favore di Raidue che, dal 1976, trasmette «Tv2

Ragazzi». La riforma Rai segna uno spartiacque nella programmazione e nella

narrazione anche per fronteggiare la concorrenza delle reti private che in quello

stesso periodo offrono cartoni animati giapponesi e telefilm americani. Allo

stesso tempo cresce la produzione di sceneggiati filmati che si avvicinano sempre

di più al modello produttivo del cinema italiano e europeo. Dalla fine degli anni

Sessanta compaiono i primi sceneggiati su pellicola che, essendo piuttosto

costosi, sono dati in appalto a grandi produttori cinematografici: il primo modello

di questa nuova fase è rappresentato dall’Odissea di Franco Rossi del 1968.

Il Pinocchio di Comencini si colloca dunque in questo scenario di grandi

cambiamenti nella narrazione, nell’audience e nel tipo di produzione. Comencini

                                                                                                               366 «Uoki-Toki», programma del 1975, anticipa i programmi-contenitore di oggi e propone una serie di rivisitazioni delle fiabe lette in molti casi da attori teatrali come Paolo Poli . 367 Cfr. E. Pellegrini, Gian Burrasca, Pinocchio &Company. Il racconto televisivo per ragazzi 1954-1994, Rai, VPQT n. 129, Roma, 1995, pp. 7-64.

  182  

adatta, un po’ a fatica368, la storia al format seriale e gira le scene in esterna in

luoghi aperti e rurali che da una parte restituiscono l’idea della Toscanina

collodiana e dall’altra accolgono il desiderio di avventura e la giocosità di un

bambino. L’eroe della Rai degli anni Settanta è rappresentato appieno dal

modello di Pinocchio: personaggio indipendente, autonomo, che si affida al

padre ma ne mette in discussione l’operato e corre verso la libertà, ma anche

simpatica canaglia, che si impappina mentre parla con Mangiafoco e mente in

maniera spudorata. Questo modello, proposto in numerose produzioni Rai

destinate ai giovani, è orientato a accrescere l’autostima nei ragazzi, dei quali si

conserva il lato spensierato ma si rinforza la spinta verso l’adultizzazione.369

Altri sceneggiati dell’epoca, come Ciuffettino (1969) e Gian Burrasca (1964),

propongono lo stesso tipo di eroe fanciullesco derivato da opere letterarie, ma

Comencini apporta numerose variazioni sia sul piano dell’espressione e della

forma sia sul piano del contenuto. Lo sceneggiato, come dichiarato dal regista, ha

una struttura ad arco in cui i vari episodi, che funzionano come piccole storie

indipendenti, sono legati da macrotemi: «ho ricostruito quello che procedeva

unicamente in funzione del finale tra padre e figlio; il dialogo nella balena,

l’uscita, il ritorno alla vita di Geppetto guidato questa volta dal bambino»370.

Nello stesso periodo Comencini si dedica a un’inchiesta sulle condizioni

dell’infanzia in Italia, I bambini e noi, documentario in sei puntate che la Rai

trasmette tra il 1970 e il 1978371. L’inchiesta, condotta personalmente dal regista,

                                                                                                               368 La versione del 1972 è composta da 5 episodi, mentre la versione per l’estero ne conta 6. La versione del 1982 ha 6 episodi. 369 Il modello Rai si contrappone al modello proposto dale televisioni private in cui gli eroi adulti tendon all’infantilizzazione e I ragazzi non sono definiti a tutto tondo, ma solo in alcune caratteristiche, talvolta enfatizzate, come la scarsa indipendenza o la tendenza a combinare guai. 370 Gili, A.J., Luigi Comencini, Roma, Gremese, 2003, p. 72. 371 Attraverso la voce degli intervistati Comencini racconta il processo di evoluzione socio-culturale dell’Italia e rimarca la differenza fra nord e sud. I bambini sono i veri protagonisti della narrazione che si sviluppa in sei puntate, ognuna su un tema specifico: le differenze sociali, il lavoro, l’istruzione, gioco e divertimenti. L’approfondimento del tema dell’infanzia e del rapporto genitori figli (soprattutto padri e figli) è al centro di altre opere di Comencini come Incompreso, Infanzia, vocazione e prime esperienze di

  183  

si sviluppa su scala nazionale e fornisce una fotografia sulla condizione dei

bambini in Italia, il loro rapporto con la famiglia e le differenze sociali. Il

racconto dei vari protagonisti372 e la scansione in puntate aiutano il regista a

realizzare uno sceneggiato che ha come protagonista un bambino e è destinato a

un pubblico giovane, anche se i risultati di ascolto (ventun milioni di spettatori in

media) dimostrano quanto Pinocchio sia un personaggio trasversale e adatto a

ogni generazione. La messa in onda è preceduta da un’operazione di lancio

promozionale con interviste di regista e attori sul set, una serie di speciali e

un’ulteriore iniziativa volta a coinvolgere il pubblico in una partecipazione

attiva: la Rai indice il concorso «Ho visto Pinocchio in TV» in cui i giovani

telespettatori devono restituire un feedback dopo la visione dello sceneggiato,

con una premiazione nell’aprile 1972, durante la trasmissione dello sceneggiato.

L’informazione diventa elemento paratestuale intorno al primo testo televisivo

basato sulle AP, ma restituisce anche a Pinocchio quello status di prodotto

culturale che da sempre lo accompagna nella sua vicenda editoriale. Anche in

questo caso, infatti, Pinocchio è oggetto di consumo e modello di consumo,

adattamento non secondario, unica versione televisiva italiana a imporsi in

maniera decisa e che rappresenterà un modello di riferimento per le produzioni

future, un prodotto a cui sarà impossibile non riferirsi. La produzione che

accompagna il film di Comencini fagocita infatti altri adattamenti dell’opera di

Collodi, come dimostra Un burattino di nome Pinocchio373 di Giuliano Cenci del

1970, che non gode dello stesso tipo di ricezione, sovrastato dalla produzione di

Comencini che va in onda di sabato in cinque puntate (8,15,22,29 aprile e 5

maggio 1972) alle ore 21, fascia di maggiore ascolto dei programmi Rai.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Giacomo Casanova, veneziano (1969), Voltati Eugenio, Cuore. Comencini definisce l’infanzia come l’unico momento di grande libertà e ciò che emerge dalle sue opere è l’attenzione verso l’alterità e la capacità di demarcare i due mondi, adulti e ragazzi, in maniera netta e distinta indagando però i rapporti che legano le due parti. 372 Uno dei protagonist dell’inchiesta, Domenico Santoro, che lavora nella prima puntata dal titolo La fatica, interpreta Lucignolo nello sceneggiato su Pinocchio. 373 Si tratta di una versione più fedele all’originale e molto più artigianale nell’impianto scenografico con la voce narrante di Renato Rascel, autore anche dei testi musicali.

  184  

6.8. Comencini: un film sul ricatto

Il Pinocchio di Comencini nasce burattino dal ciocco di legno e dalle

mani di Geppetto ma si trasforma subito in bambino per poi alternare le due

trasformazioni in maniera piuttosto frequente. Il capovolgimento

dell’impostazione rispetto all’originale è dovuto a una scelta tecnica, narrativa e

di fidelizzazione del pubblico. Il regista evidenzia infatti la difficoltà di

sviluppare una narrazione con un burattino che è presente nella mente di ogni

lettore di Pinocchio come personaggio di fantasia, ma deve essere calato nella

realtà mantenendo intatta la sua forza immaginifica:

Ognuno, leggendo, se lo vede a suo modo, con la fantasia. Ma in un racconto per immagini è difficile rendere umano e credibile un burattino per quanto sia credibile la sua meccanica. Perciò si è capovolto il meccanismo di Collodi: mentre nel libro Pinocchio vive la sua vita di burattino nella speranza di poter un giorno diventare bambino, nel film avviene il contrario.374

A dimostrazione del forte potere evocativo dell’originale, l’adattamento

di Comencini rispecchia, come dichiarato dal regista stesso, il ricordo di un libro

letto nell’infanzia, sedimentato e reinterpretato. Ma l’altro motivo di primaria

importanza che guida il regista nella scelta risiede nell’intenzione di ruotare la

narrazione intorno a un elemento piuttosto trascurato da critici e studiosi, quello

del ricatto:

Avevo una vaga idea del film. È nato davvero il giorno in cui mi sono svegliato dicendomi che bisognava fare un film sul ricatto. Il burattino diventa un bambino subito all’inizio perché tutto il libro di Collodi è fondato su un ricatto al futuro («Tu diventerai un bambino come tutti gli altri se sarai bravo»). Non volevo fare un film intero con un burattino e mi ricordavo che, da bambino, quando avevo letto il libro, ero rimasto molto deluso quando quel burattino, con cui avevo

                                                                                                               374 L. Comencini, «Il Giorno», 2 aprile 1972, in A. Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Grazanti, 1992, p. 281.

  185  

simpatizzato, diventava un bravo bambino. Non si può amare un personaggio che si vede solo alla fine.375

È il personaggio della Fata a diventare centrale in questo tipo di

operazione: dalle prime scene la donna si presente come figura narrativa che

accompagna Pinocchio e verbalizza il ricatto. Figura dall’aspetto materno,

introdotta come moglie di Geppetto deceduta prematuramente, è la persona alla

quale il falegname dedica la costruzione del burattino come se si trattasse di quel

figlio che non hanno potuto avere. La Fata compare ogni volta che il ragazzo non

si comporta bene e mette in scena il ricatto: se ti comporterai male, ti

trasformerai in burattino. La trasformazione avviene infatti in determinate

situazione, tutte legate alla trasgressione del patto con la Fata ;

1. Pinocchio fugge dalla casa di Geppetto che viene arrestato al suo posto.

Durante la notte si addormenta con i piedi sul caldano. La mattina si risveglia

burattino con i piedi bruciati;

2. Pinocchio è impiccato dagli Assassini. Quando cade in terra è un burattino di

legno, si alza e corre verso la casa della Fata;

3. Pinocchio è diventato un ciuchino e viene buttato in mare legato a una corda

da un fabbricante di tamburi che lo vuole uccidere e prenderne la pelle. Il

fabbricante tira indietro la corda vuota, Pinocchio nuota in mare e raggiunge

Geppetto nel ventre della balena;

4. Pinocchio è nella balena. Qui si compie la trasformazione definitiva. Il corpo

del burattino è abbandonato da una parte;

In tutti i casi, tranne il n. 4, la trasformazione ha anche una funzione

formale e narrativa: essa permette infatti alla storia di procedere. Nelle situazioni

elencate il protagonista disubbidisce e dunque, come promesso dalla Fata, si

                                                                                                               375 Gili, A.J., op. cit., p. 72.

  186  

trasforma ma allo stesso tempo, se non si trasformasse, non potrebbe

sopravvivere a eventi drammatici come l’impiccagione e l’annegamento376.

6.9. La scansione seriale di Comencini

Sul piano formale, uno degli elementi che lega la struttura

dell’adattamento di Comencini all’originale collodiano risiede nella struttura

seriale delle due opere. Se in Collodi si ritrova una doppia serialità, quella della

cesura originaria di Pinocchio I che è inglobata in Pinocchio II377 e quella della

scansione in capitoli, Comencini divide la sceneggiatura in cinque puntate della

durata di un’ora che si presentano come avvenimenti collegati ma allo stesso

tempo conclusi.

1º puntata: Arrivo carri circo – morte grillo.

2º: Geppetto torna a casa al carcere – Pinocchio ottiene cinque monete d’oro.

3º : Il Gatto e la Volpe incontrano Pinocchio – Pinocchio cerca il babbo dopo

essere diventato cane da guardia.

4º:Geppetto trova vestito che galleggia di Pinocchio e pensa che sia rapito da

Mangiafoco per portarlo nelle Americhe – amicizia con Lucignolo.

5º :Balocchi – Fine.

L’inizio del film vede un circo arrivare in un piccolo borgo. L’immagine

restituisce immediatamente l’idea della povertà, della fame e del freddo e si

presentano subito i personaggi principali: Geppetto (Nino Manfredi), Mastro

Ciliegia (Ugo D’Alessio), il Gatto e la Volpe (Franco Franchi e Ciccio Ingrassia)

che fanno parte della carovana del circo che potrebbe essere quello di

Mangiafoco. Geppetto ricava da questo passaggio l’idea di costruirsi un

burattino: raccoglie uno dei volantini distribuiti dal Gatto e la Volpe e si reca da

Mastro Ciliegia per chiedere il ciocco di legno. I titoli di testa anticipano tutta la

                                                                                                               376 Il regista utilizza tre differenti burattini: uno per le scene statiche, uno per le scene acquatiche e uno per le scene in movimento. 377 Cfr. capitolo 3.

  187  

scena e in essi i personaggi sono presentati attraverso disegni a indicare

l’appartenenza a un’opera scritta. Tuttavia, sin dai primi fotogrammi, la modalità

narrativa appare mutuata dal linguaggio cinematografico in cui la realtà viene

messa in scena senza mediazione enunciativa e per tutto il resto dell’opera

Comencini piega i moduli narrativi alle necessità della serialità. Il personaggio-

narratore principale è Geppetto che fornisce informazioni esplicite e dirette

sull’ambiente e la situazione circostante attraverso uno dei numerosi monologhi

interiori come se fossero «dirette a un narratario sull’ambiente che si deve

conoscere»378. La creazione di Pinocchio perde subito quell’aura di manufatto

circense con il quale il Geppetto collodiano intende girare il mondo e

guadagnarsi da vivere mentre prevale in Comencini una necessità affettiva che

porterà Geppetto a riferirsi a Pinocchio come al suo «figliolino». Le scorribande

del ragazzino lo conducono attraverso varie vicissitudini in cui è sempre la Fata

(Gina Lollobrigida) a ripristinare la diegesi. Il Gatto e la Volpe, inseriti dalla

prima scena nella storia, accompagnano il ragazzo talvolta sovrastandolo in una

recitazione volutamente eccessiva, che parodizza in alcuni casi la recitazione

teatrale dai toni grevi, mentre l’approccio incentrato sul linguaggio del corpo può

essere mutuato dal genere delle slapstick comedies: i due si rincorrono, litigano,

si picchiano e discutono in continuazione. Alcune scene, come il momento

drammatico in cui i popolani osservano dagli scogli la barca di Geppetto in balia

delle onde o l’impiego di attori non professionisti, come Lucignolo o Pinocchio

stesso, potrebbero essere considerati un omaggio al neorealismo. Le scene in

interni restituiscono numerosi dettagli di grande impatto visivo: il caminetto

dipinto nella casa di Geppetto enfatizza il tema della povertà assoluta, del freddo

e della semplicità contadina. La casa della Fata rappresenta un immaginario

legato al mondo fiabesco ma che include l’idea della morte con il suo biancore,

reintroducendo quell’isotopia chiaroscurale che è la marca del paesaggio

descritto da Collodi. Il Paese dei balocchi alterna la giocosità un po’ inquietante

del luogo della finta giocosità al dramma della perdita: qui Pinocchio si separa                                                                                                                378 S. Chatman, op. cit., Milano, Il Saggiatore, 2003, p. 238.

  188  

per sempre dall’amico fraterno Lucignolo, personaggio caro a Comencini che

tratteggia con grande profondità. Il Teatro di Mangiafoco (Lionel Stander) è

ricostruito come luogo dello straniamento e dell’agnizione e lo stesso burattinaio

concentra quei tratti orrorifici che però si sciolgono nella parte finale in cui

consegna le cinque monete d’oro. Ma è la scena del ventre della balena a

rappresentare una chiave di svolta per l’intera serie. Comencini vi fa coincidere

la trasformazione definitiva di Pinocchio, che lascia il ventre del cetaceo

(ricostruito magistralmente) in groppa al Tonno parlante insieme a Geppetto. Qui

si opera il rovesciamento del ruolo genitoriale, in cui è Pinocchio a occuparsi

dell’anziano babbo e a convincerlo a seguirlo nell’ultima avventura, verso la

salvezza, forzando la ritrosia del vecchio ormai abituato al nuovo ambiente in cui

vive. È qui che Pinocchio restituisce a Geppetto il favore della sua creazione: egli

gli ridona la libertà convincendolo alla fuga e al ritorno alla vita. È qui anche che

Geppetto si affranca dalla figura della Fata-moglie-madre e pronuncia

un’invettiva, quasi come se fosse Comencini stesso a prendere la parola contro

colei che ha portato il suo ricatto alle estreme conseguenze:

Nessuno gli aveva chiesto niente a quella Fata. E chi se lo immaginava che Pinocchio sarebbe diventato un bambino vero? ma dato che l’avevi trasformato ormai non avevi più il diritto di disfare ciò che avevi fatto, nemmeno per educarlo. Bell’educazione!379

Il finale del film ritorna al lirismo collodiano, con paesaggi aperti e una

nuova speranza verso il futuro, che Geppetto e Pinocchio percorreranno insieme.

6.10. La musica negli adattamenti di Walt Disney e Luigi Comencini

Le opere di Disney e Comencini, pur nella diversità dello sviluppo

narrativo e della definizione di personaggi e ambienti, condividono un elemento:

                                                                                                               379 Le avventure di Pinocchio, Luigi Comencini, Ep. 5, 1972.

  189  

una colonna sonora riconoscibile che diventa oggetto di consumo indipendente.

Se facciamo un passo indietro e consideriamo la genesi di Pinocchio, il discorso

musicale non sembra completamente avulso dal testo di Collodi. Conoscitore

della musica (suonava il piano e leggeva gli spartiti a prima vista), lo scrittore

inizia la sua carriera giornalistica pubblicando un articolo dal titolo L’arpa

sull’«Italia Musicale» (1847) dimostrando un profondo acume critico e un

interesse per i generi musicali in voga all’epoca. Tra il 1853 e il 1860 si occupa

spesso di spettacoli operistici anche sullo «Scaramuccia», «La Lente», «La

Nazione», criticando talvolta Verdi e elogiando Rossini. Nelle AP cerca di

ricostruire suoni e rumori e di creare una serie di rimandi immaginari e

referenziali, quasi volesse sonorizzare parti del testo o alludere a un sottofondo

musicale. Nel capitolo IX, per esempio, la parte che descrive Pinocchio attratto

verso il teatro di Mangiafoco evoca una musicalità che il lettore riesce a sentire:

Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di gran cassa: pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum […]Detto fatto, infilò giù per la strada traversa e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della gran-cassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, pì-pì-pì,zum, zum, zum, zum.380

La sequenza è in crescendo, il suono delle onomatopee ritmato e reiterato

in una sequenza triadica (tipica delle reiterazioni collodiane) in cui la catena della

prima parte è separata da un trattino e la seconda da una virgola, come se si

trattasse di una partitura musicale. Nel capitolo XV Pinocchio, inseguito dagli

Assassini, nasconde sotto la lingua le cinque monete d’oro:

Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto

                                                                                                               380 AP, p. 386.

  190  

la lingua. […] E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi zaff e zaff…gli affibbiarono due colpi in mezzo alle reni.381

Le giunture e le monete che suonano sono inframezzate dal suono secco

dei coltellacci in una tensione drammatica che precede l’impiccagione di

Pinocchio. Nel capitolo XXXIII Pinocchio, diventato un ciuchino, è venduto a un

fabbricante di tamburi che vuole utilizzare la sua pelle per costruire strumenti

musicali. In altre scene, per esempio all’interno del teatro di Mangiafoco, la

presenza della musica è solo evocata con un forte richiamo allo straniamento:

Alla notizia della grazia ricevuta i burattini corsero tutti sul palcoscenico e, accesi i lumi e i lampadari come in serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare. Era l’alba e ballavano sempre. 382

In alcuni passaggi non è la musicalità a essere trasmessa ma il silenzio,

carico di tensione quando Pinocchio bussa invano alla porta della Fata turchina

inseguito dagli Assassini lungo e intenso quando Pinocchio e Lucignolo si

osservano vicendevolmente scoprendo le orecchie d’asino.

Le AP si presentano dunque come un testo aperto a varie possibilità

sonore e il ritmo narrativo impresso da Collodi è intessuto di musicalità, con

cambi di ritmo, riassunti, dialoghi, monologhi interiori e descrizioni dettagliate

puntando a quell’insieme di scarti, accelerazioni e ritardi che trasmettono

l’oralità della scrittura. La stessa definizione dei personaggi, descritti in maniera

dettagliata nelle loro caratteristiche fisiche e personali, si prestano a essere

abbinati a altrettanti letimotives, elemento che si ritroverà in Comencini ma

soprattutto in Disney.

                                                                                                               381 AP, p. 398. 382 AP, p. 394.

  191  

6.10.1. Walt Disney e la musica come elemento intra-diegetico e extra-

diegetico

Per Disney l’introduzione della colonna sonora rappresenta una

sperimentazione avviata con le Silly Simphonies degli anni Trenta che si

perfeziona con Steamboat Willie del 1928. Come afferma il critico Leonard

Maltin:

A large part of Steamboat Willie’s success was due to music; the novelty of the cartoon was the synchronization of cartoon action on the screen with music on the sound track. Disney knew that this delighted his audience, and from that time on music always played an important part in his short films. In fact, a good many of the Disney cartoons through the early 1930s are completely around musical themes.383

La casa di produzione attribuisce una grande importanza a musiche e

canzoni che sincronizzano azione e narrazione e in cui la parola cantata si integra

nel tessuto narrativo e partecipa allo sviluppo della diegesi. In queste parti il

sincretismo fra musica e narrazione procede in maniera dialogica creando una

fidelizzazione nello spettatore che identifica determinati motivi e li riconosce per

tutto lo svolgimento del film. A loro volta i motivi musicali, legandosi

saldamente ai personaggi principali, o a eventi particolari, assumono maggiore

densità di figurativizzazione. È il caso dei letimotiv che accompagnano i

personaggi principali come When You Wish Upon a Star384, motivo associato a

Jiminy Cricket e in alcune circostanze anche alla Fata o a Pinocchio, che ha più                                                                                                                383 L. Maltin, The Disney Films, Disney Editions, 2000, p. 361. 384 I compositori della colonna sonora di Pinocchio sono Leigh Harline, che si occupa della partitura musicale, Ned Washington che scrive le parole e Paul Smith che coadiuva il lavoro di Harline. Fra I numerosi brani preparati per il film, Disney ne seleziona cinque. Quando lavora a Pinocchio, Harline ha già esperienza con i cartoni animati, ma la collaborazione con Disney, che inizia con Snow White and the Seven Dwarfs e che riceve una nomina per gli Oscar come miglior colonna sonora, lo consacra come uno dei migliori compositori del periodo. Nonostante ciò, la collaborazione con Disney si interrompe poco dopo Pinocchio. Ned Washington partecipa anche alla colonna sonora di Dumbo, mentre Paul Smith lavora con Harline in Snow White.

  192  

di un leitmotiv in base alle esigenze del racconto: Give a Little Whistle è il brano

cantato quando si trova nei guai, come accade nel Paese dei balocchi insieme a

Lucignolo; Little Wooden Head è il brano che Geppetto canticchia all’inizio del

film e che ricorre in scene in cui il burattino è protagonista. Hi-Diddle-Dee-Dee

accompagna Honest John, Gideon e Pinocchio verso il teatro in una scena che

richiama il genere della musical comedy e del vaudeville. I due personaggi

accompagnano il «wooden boy with no strings» verso il teatro di Stromboli e

anticipano il tema che Pinocchio canterà quando comparirà sul palco scendendo

da una scalinata. Il brano, I’ve Got No Strings, compare una sola volta in tutto il

film e Pinocchio vi canta l’importanza di essersi liberato dei fili e di poter

procedere verso il proprio destino: «I had strings, but now I’m freeI have no

strings on me»385.

L’assolo di Pinocchio è immediatamente ripreso in una serie di

variazioni: una ballerina olandese lo interpreta con gli zoccoli, un gruppo di

ballerine francesi lo presentano come un can-can, un ballerino russo lo balla sulle

note di una balalaika. Anche in Disney il teatro si presenta come luogo chiuso, di

passaggio, in cui si palesa la differenza fra Pinocchio e le altre marionette e non è

un caso dunque che il tema del teatro non abbia occasione di ripetersi.

When You Wish Upon a Star assume una valenza iconica tanto che il

brano vince l’Oscar come miglior canzone originale nel 1941 e per anni

accompagna il logo della Walt Disney Pictures oltre a essere la sigla del Walt

Disney Tv Show. Come sostiene John Willis, When You Wish Upon a Star si

afferma presto come un «Disneyfied American anthem»386 che contiene quei

valori di speranza e positività e di ricerca della felicità, tema fondante della

società americana, già contenuta nella Declaration of Independence del 1776

come uno dei tre diritti inalienabili di ogni cittadino. Le parole ricordano infatti

che ogni persona può raggiungere la felicità, valore fondante della propaganda

                                                                                                               385 L. Harline, N. Washington, I’Ve Got No Strings, Pinocchio, Disney Film, 1940. 386 J. Willis, Disney Culture, Rutgers, Rutgers University Press, 2017, p. 71.

  193  

Disney che va a comporre quel magic realism che a sua volta diventerà il

marchio della casa di produzione.

When you wish upon a star Makes no difference who you are Anything your heart desires Will come to you […] When you wish upon a star Your dreams come true. 387

Leonard Maltin individua nella musica l’elemento fondante del successo

di Disney («the foundation of Disney success»)388, non un semplice ingrediente

dunque, ma parte integrante di uno storytelling che accompagna le varie

produzioni e che confluisce presto in un libro di canzoni e in supporti audio-

visivi che vanno sotto l’etichetta di Disney Music e che rappresentano un

contributo di rilievo all’interno dell’industria culturale americana.

6.10.2. La musica come elemento extra-diegetico in Comencini

La colonna sonora del film di Comencini è affidata a Fiorenzo Carpi,

compositore di grandissima tradizione teatrale che nel 1972 lavora da molti anni

con Giorgio Strehler e Paolo Grassi con i quali aveva fondato, nel 1947, il

Piccolo Teatro di Milano di cui era divenuto il compositore ufficiale. Come nel

caso di Disney, anche Carpi compone una colonna sonora che entra presto nella

memoria collettiva dopo la messa in onda dello sceneggiato del 1972. In essa si

ritrova la musicalità dell’anima popolana con sfumature che richiamano il circo e

rintocchi che impreziosiscono il tappeto armonico. A differenza di Disney, in cui

la musica e la parola cantata entrano nello svolgimento della diegesi, in

Comencini la musica svolge una funzione extra-diegetica di accompagnamento.

                                                                                                               387 L. Harline, N. Washington, When You Wish Upon A Star, Pinocchio, Disney Film, 1940. 388 L. Maltin, op. cit., p. 256.

  194  

Essa scandisce i livelli di figurativizzazione e esplicita qualità cinetiche creando

una sorta di continuità narrativa attraverso gli strumenti impiegati. Si tratta di un

flauto, un organo e un clavicembalo che accompagnano la diegesi e che

sottolineano la leggerezza o la drammaticità delle scene piuttosto che

accompagnare i personaggi. La musica corre o rallenta a seconda della velocità

della scena e soprattutto segue le corse e le fughe di Pinocchio. La scena iniziale,

in cui Geppetto decide di intagliare il legno, parte lenta e sommessa a

sottolineare una situazione di povertà in cui è la fame a animare Geppetto ma,

mentre l’uomo lavora alacremente e vede il legno prendere forma, l’entusiasmo

aumenta e anche la musica risuona allegra e armoniosa. Quando Pinocchio è

burattino e compie i primi movimenti, la musica si interrompe e riprende a

sottolineare ogni sussulto del burattino. Appena lascia la casa di Geppetto, la

musica prende il ritmo della corsa di Pinocchio con un andantino che rallenta o

aumenta a seconda della situazione, fino ad assumere toni più metallici, quasi

macabri, ogni volta che si ritrasforma in burattino. Il finale è scandito dal tema

lirico del flauto, mentre Geppetto e Pinocchio corrono liberi sulla spiaggia a

indicare la libertà e la leggerezza conquistata dai due personaggi.

         

           

  195  

7. Modelli di persistenza. I casi di Shrek, Grimm, Once Upon A Time, il film di Enzo D’Alò e la miniserie di Albero Sironi

Pinocchio attraversa configurazioni discorsive e testuali che ne

amplificano la replicabilità e l’adattabilità, e se da un lato persiste un continuum

che ne rinforza alcuni tratti, dall’altro si fa strada una costante rinegoziazione di

valori e contenuti che genera versioni, trasposizioni e rielaborazioni

diacronicamente rilevabili. In particolare, gli adattamenti di Walt Disney e della

serie TV di Luigi Comencini rappresentano due matrici alternative che si

affiancano all’opera fonte e su cui si costruiscono ulteriori ri-mediazioni fino a

comporre una rete di risonanze intermediali: come sostiene Fausto Colombo,

infatti, «da un lato vi sono le versioni direttamente ispirate dal libro, dall’altro

quelle ispirate dalla versione disneyana, dall’altro ancora quelle ispirate dalla

versione di Comencini»389. Il comune denominatore di tali risonanze si può

ritrovare nelle richieste dell’industria culturale che adeguano il materiale

pinocchiesco alle richieste dell’audience e alle necessità dei diversi mezzi

espressivi.

La canonizzazione del personaggio di Pinocchio come esempio di

smontabilità, replicabilità e adattabilità, quegli stessi tratti che ne hanno

probabilmente favorito la sùbita fuoriuscita dall’opera fonte, lo rendono infatti

un’icona globale e atemporale che partecipa al revival del fantasy e del fiabesco

tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi del Duemila e che confluisce in varie

rivisitazioni, fra le quali la saga di Shrek (DreamWorks, 2001- 2004 – 2007 -

2010), Once Upon A Time (ABC, 2011-2018) e Grimm (NBC, 2011-2017).

Shrek pratica una rielaborazione del fiabesco in chiave moderna e dissacrante,

una rivisitazione parodica dell’universo di Disney in cui Pinocchio è

rappresentato come un burattino impegnato in una ricerca identitaria. Shrek

procede a una rifunzionalizzazione meta-finzionale in cui si ottiene un effetto                                                                                                                389 F. Colombo, Pinocchio intarsiato. Varianti narrative nelle versioni di Le avventure di Pinocchio, in G. Flores d’Arcais (a cura di), Pinocchio sullo schermo e sulla scena. Atti del convegno internazionale dell’8-9-10 novembre 1990, Scandicci, La Nuova Italia, 1994, p. 118.

  196  

comico conseguente a ciò che Margaret Rose definisce «comic discrepancy»390

tra il materiale originale e la sua citazione.

Once Upon A Time propone un multiplot complesso che si basa su

un’intercambiabilità fra i personaggi, «intercambiabilità che mantiene in vita il

genere [fiabesco] per il suo pubblico, che vi riconosce sia la gratificazione del

ripetuto (la funzione per se stessa) sia il piacere del nuovo (per cui un marziano

può rappresentare un antagonista malvagio)»391. La serie si basa sulla costruzione

di mondi e realtà parallele in cui i vari personaggi risalgono alla loro «identità

fiabesca» che all’inizio è palesata solo allo spettatore. In questo universo ricco di

piani discorsivi è proprio la figura di August Wayne Booth, alter ego di

Pinocchio, a svolgere la funzione di vettore nella ricomposizione del plot.

Simile ma meno complesso il progetto di Grimm, serie Tv in cui un

running plot inserisce i personaggi delle fiabe nella cornice tipica dei

procedurals non come figure seriali ma attraverso riferimenti più o meno

espliciti a nomi, caratteristiche o comportamenti in un sistema rizomatico che

richiede competenze più specifiche da parte dello spettatore. Nel caso di

Pinocchio, per esempio, si fa riferimento al motivo della sua creazione da parte di

Geppetto, che però richiede un alto livello di conoscenza da parte degli spettatori

i quali devono ricercare gli indizi nascosti, molto sottilmente, nelle pieghe della

narrazione.

In Italia, invece, nello stesso periodo le riscritture e adattamenti della

storia di Pinocchio tendono a ripercorrere il rapporto padre-figlio, con qualche

deriva paternalistica, illuminando soprattutto il tema della mono-genitorialità con

tutte le sue implicazioni. Il film di animazione di Enzo D’Alò (2012), per

esempio, riabilita la figura di Geppetto attraverso un ispessimento psicologico e

narrativo che lo rende protagonista della storia, tema che ispira anche la miniserie

di Alberto Sironi (2008) sceneggiata da Ivan Cotroneo e Carlo Mazzotta. In essa

                                                                                                               390 M. Rose, A Parody: Ancient, Modern and Post-Modern, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, p. 37. 391 S. Chatman, op. cit., p. 93.

  197  

gli autori si soffermano anche sulla genesi del romanzo e sulla figura di Carlo

Collodi che diventa parte della storia attraverso una linea narrativa che incornicia

la fiction e collega i vari piani della diegesi attraverso una serie di embrayages.

L’introduzione di Carlo Collodi come personaggio polifunzionale mostra il

processo della scrittura delle AP e richiama l’attenzione dello spettatore

alternativamente sul processo e sul prodotto. Oltre a svolgere le funzioni extra-

diegetica e intra-diegetica, il personaggio di Collodi si propone anche come

narratore meta-cognitivo impegnato nella manipolazione del racconto, come nel

caso della celebre cesura del capitolo XV o nel finale aperto dell’opera.

Da un punto di vista formale, sia nelle produzioni americane sia in quelle

italiane è soprattutto il format della serialità a imporsi come struttura narrativa

che accompagna il revival del genere fiabesco: si tratta infatti di un genere che

possiede una serialità potenziale che ne favorisce la ramificazione in variazione e

varietà mantenendo intatte alcune caratteristiche invariantive. I personaggi, per

esempio, diventano figure seriali che possono essere soggette a approfondimenti

e espansioni, in un processo che coinvolge quella che Umberto Eco definisce

«competenza enciclopedica»392 del fruitore che riconosce le varie figure e le

ricollega a un universo già noto. Nel caso di Pinocchio, inoltre, la serialità è la

matrice formale su cui si sviluppa il nucleo originario della storia, pubblicata per

la prima volta a puntate sul «Giornale per i bambini», come richiesto

dell’industria culturale coeva. Non a caso, tutti i casi esaminati di seguito sono

accomunati da un’aderenza alle richieste dell’industria culturale di riferimento in

cui un testo noto si trasforma in una complessa rete di riferimenti e in alcuni casi

si evolve in fenomeni di convergenza partecipativa multipiattaforma, come

dimostrano le esperienze di Once Upon A Time e di Grimm.

                                                                                                               392 U. Eco, L’innovazione nel seriale, in Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985, pp. 125-146.

  198  

7.1. L’adattamento di Enzo D’Alò e la riconfigurazione della costellazione familiare

Nel 2012 esce il film di animazione di Enzo D’Alò con i disegni di

Lorenzo Matotti e le musiche di Lucio Dalla. La dedica nella scena iniziale («Al

mio babbo e a tutti i babbi babbini del mondo») anticipa il motivo centrale del

film: una riconfigurazione della costellazione familiare della storia in cui emerge

la figura paterna di Geppetto e si appiattisce quella della Fata. D’Alò punta infatti

alla riabilitazione della dell’uomo personaggio nella sua funzione di padre devoto

e dedito alla crescita e all’educazione del figlio, e per conferire uno spessore

maggiore alla sua personalità e prepararlo al ruolo genitoriale il regista lo riporta

all’infanzia. L’incipit del film, infrangendo un luogo tipico della storia

collodiana, mostra dunque un bambino che corre con un aquilone, ma non è

Pinocchio. L’aquilone di Geppetto diventa l’oggetto mediatore che collega i piani

narrativi e conduce lo spettatore nelle diverse pieghe della storia. Esso

rappresenta un doppio rispetto a Pinocchio (la carta dell’aquilone è la stessa del

vestito del burattino), ma anche rispetto a Geppetto, che ritrova in esso un ricordo

della sua infanzia e della sua voglia di libertà. L’aquilone accompagna lo

spettatore nella casa di Geppetto adulto che trova il ciocco di legno parlante nella

sua catasta, una casa calda e accogliente, rischiarata da candele, in uno scenario

d’ispirazione disneyana. Geppetto scolpisce il burattino che subito inizia a

correre e saltare e gli regala immediatamente l’abbecedario, motivo che, insieme

all’aquilone, si ripresenta varie volte per ricollegare parti della storia e che ogni

volta richiama Pinocchio ai suoi doveri di figlio. La perdita dell’abbecedario

corrisponde dunque alla perdizione di Pinocchio, soprattutto perché il libro è

acquistato dal Gatto e la Volpe che accompagnano il burattino nel teatro-circo di

Mangiafoco. Riconosciuto dalle marionette, è imprigionato dal burattinaio e

subito liberato per andare incontro alla parte più drammatica della storia.

Nell’oscurità del bosco, il burattino è dapprima minacciato con il fuoco e poi

impiccato dagli Assassini in una scena in cui si ristabilisce l’isotopia

  199  

chiaroscurale dell’opera fonte nella sua parte più cupa. La salvezza da parte di

Turchina, la fata bambina, introduce la seconda parte della storia che, con

qualche scarto rispetto all’originale, si conclude con la fuga di Pinocchio e

Geppetto dal ventre del Pesce-cane e la trasformazione in bambino.

7.1.1. Geppetto e Turchina: una ridefinizione dei ruoli

D’Alò opera una sorta di ribaltamento delle due figure principali che

accompagnano Pinocchio nella sua avventura, Geppetto e la Fata, chiamata

semplicemente Turchina. Pinocchio perde progressivamente la posizione di auto-

destinante che corre incontro al suo destino perché Geppetto, figura dal nuovo

spessore umano e narrativo, lo coinvolge in un progetto di vita comunitaria, fatta

di desideri e aspettative. Desideri e aspettative che non sono una semplice

proiezione dei pensieri dell’uomo. Nell’opera fonte Geppetto decide di costruire

una marionetta per un progetto personale: girare il mondo e migliorare la propria

vita. Il Geppetto di D’Alò invece è teso alla crescita e all’educazione del figlio. A

differenza di Disney, che lo ritrae come un uomo semplice senza iniziativa, o a

Compagnone, che lo percepisce come figura senza voce né struttura narrativa,

D’Alò restituisce a Geppetto un ruolo di guida ben definito. Geppetto si mette al

servizio del burattino e lo accompagna nelle scelte senza però deviarlo

completamente da un percorso già segnato: Pinocchio deve comunque vivere e

fare esperienza per poter crescere. La progressiva emancipazione di Geppetto a

genitore a tutto tondo è bilanciata da un appiattimento della figura della Fata e

una scomparsa del sincretismo attanziale dei due personaggi, che nelle AP

collaborano e si avvicendano nella funzione di destinanti di valori positivi. D’Alò

sviluppa e approfondisce solo una delle varie forme che la Fata assume nelle AP,

quella di bambina, amica-sorella di Pinocchio dai capelli turchini (qui indossa

anche le calze colorate, a enfatizzare un’attitudine infantile e giocosa). Il doppio

attributo di soccorritrice e avversaria che contraddistingue la sua figura

multiforme si semplifica in un personaggio che accompagna Pinocchio ma non lo

  200  

ostacola mai. Rincorso dagli Assassini il burattino bussa alla sua porta ma la casa

è vuota, Pinocchio non vive il disagio e la disperazione di trovarvi la Fata che si

rifiuta di aiutarlo. Solo dopo averlo salvato dalle fiamme del bosco e

dall’impiccagione si fa menzione alla morte, ma in maniera molto leggera e

superficiale. Mentre Pinocchio è al centro del consulto dei medici, la Fata

dipinge e poi e si mette al collo un medaglione con il ritratto del burattino a

indicare un’unione che durerà per sempre. Pinocchio rivedrà Turchina nel circo e

sulla spiaggia, dopo aver lasciato il Pesce-cane con Geppetto: qui la bambina,

avvolgendolo con i suoi capelli blu, lo trasforma in un ragazzino. È Geppetto

tuttavia a rianimarlo e riaccompagnarlo a casa.

7.2. La miniserie di Alberto Sironi

Co-produzione Italia – Gran Bretagna 2008. Rai Fiction, Lux Vide, Powercorp International e Rai Trade. Regia: Alberto Sironi; Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Carlo Mazzotta Personaggi e interpreti: Robbie Kay (Pinocchio); Alessandro Gassman (Carlo Collodi); Violante Placido (Fata turchina); Margherita Buy (maestra Laura); Thomas Sangster (Lucignolo); Luciana Littizzetto (Grillo parlante); Bob Hoskins (Geppetto); Joss Ackland (mastro Ciliegia); Toni Bertorelli (Volpe); Francesco Pannofino (Gatto); Maurizio Donadoni (Mangiafuoco); Steven Kynman (Arlecchino

L’adattamento di Pinocchio di Alberto Sironi393, sceneggiato da Ivan

Cotroneo e Carlo Mazzotta, è trasmesso su Raiuno il primo e il due novembre

                                                                                                               393 Alberto Sironi dirige numerose miniserie televisive. Nel 1995 inaugura il filone storico-biografico con Il grande Fausto, serie coprodotta da Italia, Francia e Germania e interpretata da Sergio Castellitto nella parte di Fausto Coppi. Anche in questo caso, come per la ricostruzione della figura di Carlo Collodi, Sironi fa ricorso a material d’archivio concentrandosi sul racconto di un uomo con tutte le sue fragilità e debolezze. Un lavoro simile porterà alla realizzazione di un’altra miniserie trasmessa su Raiuno nel 2003, Salvo D’Acquisto. Nel 2004 ricostruisce la storia di Marianna de Leya in Virginia. La monaca di Monza interpretata da Giovanna Mezzogiorno, fiction che appartiene al genere biografico-religioso molto popolare nella produzione televisiva italiana tra gli anni Novanta e Duemila. Dal 1999 si occupa della serie TV Il

  201  

2009. La fiction, co-prodotta da Rai Fiction, Lux Vide e Powercorp, è una

miniserie in due puntate della durata di un’ora e mezzo circa ciascuna con un cast

di attori misto, italiani e inglesi. L’intervista agli autori Ivan Cotroneo e Carlo

Mazzotta permette di tracciare un profilo formale e tematico della miniserie. Essi

parlano infatti di:

un adattamento delle Avventure di Pinocchio che non sarà l’ultimo adattamento perché Pinocchio è stato adattato in tutte le forme possibili, al cinema, in televisione , come cartone animato, come libro illustrato anche come libro pop up.394

rimarcando l’estrema adattabilità dell’opera, che si piega ai vari mezzi di

trasmissione e si adatta alle esigenze delle industrie culturali di tutte le epoche.

Cotroneo e Mazzotta propongono infatti una miniserie in due puntate che tra la

fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila risulta essere il format narrativo

più apprezzato e seguito dal pubblico italiano, ma anche dal pubblico inglese che

trova una familiarità con l’adattamento in due puntate dell’opera di Charles

Dickens Great Expectations trasmessa dalla BBC nel 1999395.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Commissario Montalbano adattamento da Andrea Camilleri che si inserisce nella lunga serialità. 394 I. Cotroneo, C. Mazzotta, Intervista di presentazione della serie. Trasmessa il 27.10. 2009 http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-79ed4d21-31a5-4a34-b618-df05ff653728.html (Consultato il 28.07.2018) 395 La serie diretta da Julian Jarrold si ispira all’opera fonte e anche alle varie trasposizioni e adattamenti a codici espressivi diversi che l’opera ha conosciuto nel corso degli anni. Jarrold lavora sul rapporto tra tre personaggi, Pip, Estrella e Miss Havishan e con una progressiva sovrapposizione fra i personaggi di Pip e Magwitch. La condizione di Pip è determinata da una progressiva passività e infine una totale assimilazione al personaggio di Magwitch, mentre Miss Havisham e Estella guadagnano terreno grazie alle loro doti manipolatorie. Teatro della narrazione è Satis House, luogo in cui Pip inizia il processo di assimilazione a Magwitch. La storia presenta dunque diverse similitudini rispetto alla miniserie di Pinocchio, anche se la narrazione si presenta molto più complessa e articolata e si enfatizzano i temi della colpa e della punizione.

  202  

7.2.1. La miniserie come prodotto dell’industria culturale degli anni Duemila

Nel panorama della produzione televisiva dei primi anni del Duemila la

miniserie va a occupare il vertice nella gerarchia dei format di fiction. Trasmessa

solitamente in due puntate consecutive a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro

includendo possibilmente la domenica, collocata nella fascia oraria di prime-time

e indirizzata a un vasto pubblico, essa risponde sia alle esigenze di serialità

nostrana sia ai paradigmi di storytelling seriale a carattere endoforico di

provenienza soprattutto americana. La rinascita della fiction domestica di fine

anni Novanta e inizi Duemila passa dunque attraverso questo tipo di format che è

spesso il risultato di coproduzioni con altri paesi europei. Nel 1998 una legge

italiana, in ottemperanza a una direttiva europea, chiamata «Televisione senza

frontiere», vincola infatti una parte degli investimenti provenienti da canone e

introiti pubblicitari alla produzione e coproduzione di prodotti nazionali e

europei. L’iniziativa incontra il gusto del pubblico, tanto che dalla metà degli

anni Novanta prodotti americani e sudamericani perdono progressivamente

terreno sostituiti da miniserie domestiche. Da questo momento la miniserie

attraversa dunque una fase di grande diffusione e tra il 2005-2006 il dramma

televisivo nostrano si fa spazio nella fascia di prime-time e si afferma come

genere culturale di consumo che accoglie la richiesta di valori e riferimenti

culturali e popolari. Il format si adatta anche alle esigenze di registi e

sceneggiatori che vi ritrovano la formula e il prestigio del racconto

cinematografico, e del pubblico, che ne apprezza la scansione e il contenuto. La

miniserie si pone infatti come continuazione dello sceneggiato e risponde a un

canone di autorialità e irripetibilità derivato dal cinema. Il contenuto riprende i

due capisaldi dello sceneggiato delle origini: adattamento letterario e

ricostruzione biografica. In essa sembrerebbe ricomporsi dunque quell’estetica

  203  

televisiva che Horace Newcomb nel suo The Most Popular Art396 riconduce a tre

elementi principali: intimacy, continuity e history. Per intimacy, Newcomb

intende il livello di contiguità che l’audience condivide con l’esperienza narrata;

per continuity la presenza ricorrente di personaggi e elementi che restituiscono un

ambiente familiare per chi segue con regolarità le serie ma anche un tipo di

narrazione riconoscibile, caratteristiche che vanno a comporre quella density in

cui temi complessi sono esplorati in maniera lenta e dettagliata e all’interno di

schemi definiti e riconoscibili, tanto da collocarsi in discendenza diretta con la

forma letteraria del romanzo. Il riuso e il riutilizzo di personaggi, situazioni e

strutture narrative già note si inserisce perfettamente nella struttura televisiva a

palinsesto che punta alla fidelizzazione dell’utente il quale ritrova contenuti e

istanze estrapolate e trasferite in un tempo storico «mitico» per essere sviscerate

e attualizzate creando catene di verosimiglianza oppure presentando fatti e

epoche del passato ma con un occhio rivolto al presente. Il ritorno del passato

agevola probabilmente il passaggio di un’epoca e la relativa incertezza verso il

nuovo che avanza dove la ciclicità con cui la fiction ripropone eventi pregressi

andrebbe a colmare quella necessità di rassicurazione richiesta dal pubblico e

soddisfare quella che Umberto Eco definisce «fame di ridondanza»397 . La

riproposizione di eventi conosciuti, personaggi noti o storie già metabolizzate

rappresenterebbe dunque un materiale variegato da cui attingere senza

necessariamente sottoporre lo spettatore a un eccessivo straniamento rispetto al

racconto. Si tratterebbe dunque di «rovistare» in un archivio di materiali da

adattare al mezzo espressivo e alle esigenze dell’industria culturale. Ancora Eco

sostiene infatti che «la serie in tal senso risponde al bisogno infantile, ma non per

questo morboso, di riudire sempre la stessa storia, di ritrovarsi consolati dal

ritorno dell’identico, opportunamente mascherato e fasciato di novità

                                                                                                               396 H. Newcomb, TV: The Most Popular Art, Garden City, NY, Anchor Books, 1974, pp. 245-263. 397 U. Eco, op. cit., Milano, Bompiani, p. 131.

  204  

superficiali»398. Tale processo ritrova dunque nel «ritorno del già noto» la sua

matrice di base:

Il ‘ritorno del già noto’ va inteso come il requisito primario del dramma televisivo in quanto narrativa popolare. In primo luogo ci interessa mettere in rilievo una componente forse elusiva, eppure costitutiva: il suo strutturarsi su una temporalità che, senza timore di mescolare alto e basso, sacro e profano, non si deve esitare a definire ‘storica’. Qui preme rilevare come questo senso della storia sia fondamentalmente incardinato sul motivo del ‘ritorno’. Il ritorno infatti […] incorpora l’idea e l’esperienza del trascorrere del tempo e si iscrive nella relazione temporale tra passato e presente. […] Anche quando non si avventura su territori di stretta pertinenza o di palese evidenza storiografica e si limita a raccontare la contemporaneità, all’interno di strutture narrative indifferentemente seriali o non seriali, per il fatto di essere il luogo forte del ‘ritorno’(del già noto) il dramma televisivo si presta a essere considerato e a costruire una forma di ‘storiografia popolare’. 399

L’approccio storiografico restituisce inoltre alla televisione quell’intento

pedagogico che, ancora una volta, la ricongiunge con la TV delle origini, quando

i programmi e gli adattamenti letterari avevano una funzione educativa. Gary

Edgerton, in un saggio dal titolo Television as Historian, descrive la portata del

fenomeno nella TV nord-americana, in cui tra la fine del XX e l’inizio del XXI

secolo la storia diventa il fulcro delle produzioni televisive, in particolare della

fiction, grazie alla TV generalista e alla TV tematica via cavo.400 La stessa

tendenza che si registra in Italia con uno sbilanciamento verso linee narrative che

riguardano i grandi eventi storici o le riscritture biografiche. Fra le venti fiction

italiane più viste tra il 2001 e il 2006 si contano infatti 17 miniserie, 2 serie (Il

Maresciallo Rocca e Il commissario Montalbano) 1 film-TV ( Maria Goretti).

Tra le miniserie, 12 sono incentrate su personaggi famosi sotto forma di racconto

biografico (per esempio Papa Giovanni, Perlasca, Virginia-Monaca di Monza,

                                                                                                               398 U. Eco, op. cit., p. 129. 399 M. Buonanno, Sulla scena del rimosso. Il drama televisivo e il senso della storia, Ipermedium, 2007, pp. 29-30. 400 G. Edgerton, Television as Historian, in G. Edgerton, P. Rollins (a cura di), Television Histories, Lexington, The University Press of Kentucky, 2001, pp. 1-16.

  205  

Giovanni Paolo II, Paolo Borsellino, Karol Wojtila). Di questi 20 prodotti, 18

sono trasmessi su Raiuno e 2 su Canale5401.

La miniserie di Alberto Sironi condensa molti degli elementi tipici del

format TV più in voga nel periodo in cui è trasmessa su Raiuno: l’ispirazione

letteraria a un grande classico ottocentesco che si intreccia con la rivisitazione

biografica dell’autore.

7.2.2. Pinocchio: un adattamento fra rivisitazione biografica, fiction in

costume e riscrittura

La miniserie di Sironi si inserisce nel filone delle coproduzioni europee

che trova nel formato breve una maggiore fruibilità per il pubblico e un facile

posizionamento nel mercato della fiction internazionale. La casa di produzione

Power402 investe in un prodotto in cui convergono quegli elementi che lo

spettatore degli anni Duemila dimostra di apprezzare: la matrice letteraria,

appartenente per lo più al periodo risorgimentale; la rivisitazione biografica della

vita di uno scrittore dell’Ottocento, popolare proprio perché collegato alla storia

di Pinocchio; la connessione con lo sceneggiato delle origini, che ritrova nel

precedente adattamento di Luigi Comencini una fonte di ispirazione formale e

discorsiva; la fiction in costume, così popolare soprattutto nella lunga serialità.

Gli sceneggiatori propongono una rivisitazione biografica della figura dello

scrittore Carlo Collodi che diventa un personaggio della fiction nella

rappresentazione di sé stesso. La storia si sviluppa dunque appoggiandosi a una

                                                                                                               401 Informazioni e dati verificabili su http://www.osservatorioserietv.it/ (consultato il 10.08.2018) 402 Le case produttrici inglesi come la Power utilizzano il format della miniserie in maniera sistematica, avendo peraltro a disposizione un patrimonio letterario di grande valore a cui rivolgersi, conosciuto dal pubblico interno e straniero. La co-produzione di solito prevede che il produttore principale, in questo caso la Rai, si occupi dello sviluppo del progetto che viene cofinanziato chiedendo in cambio la partecipazione di attori famosi nel proprio paese che possano trainare la visione della fiction. Su questo argomento, cfr.: F. Casetti, F. Colombo, A. Fumagalli (a cura di), La realtà dell’immaginario. I media tra semiotica e sociologia, Milano, Vita e Pensiero, 2003; G. Bettetini, P. Braga, A. Fumagalli (a cura di), Le logiche della televisione, Milano, Franco Angeli, 2004.

  206  

sorta di mise en abyme in cui è proprio Carlo Collodi-Alessandro Gassman a

accompagnare lo spettatore attraverso le linee narrative che egli gestisce da due

diversi punti di vista: come narratore intra-diegetico e protagonista della storia

stessa, e quindi personaggio che si mostra e si racconta, e come narratore extra-

diegetico onnisciente, ovvero voice over che fornisce informazioni e spiegazioni

sugli altri personaggi. Il film ripercorre la genesi dell’opera di Pinocchio

presentando nella prima scena l’autore mentre discute con un altro personaggio,

presumibilmente Guido Biagi o Fernando Martini, la richiesta di una storia per i

bambini, «una nuova favola» che parli di qualcosa di magico, di re e regine.

Collodi promette «una storia meravigliosa, una storia fantastica» introducendo la

formula narrativa fiabesca che soggiace allo svolgimento di tutta la miniserie ma

allo stesso tempo esprime la propria perplessità di fronte a una richiesta che non

corrisponde completamente alle sue intenzioni. Collodi si propone dunque in

alcune situazioni nella funzione di narratore cognitivo, colui «che sviluppa

attorno ai bordi della diegesi una dimensione rivolta alle pratiche culturali

esterne, al contesto comunicativo generale su cui il racconto dovrebbe

innestarsi»403. Emerge inoltre il carattere schivo e riservato dello scrittore, che

alterna bonarietà e ritrosia, un uomo che vive da solo in una villa, accudito da

una domestica che controlla quanto scrive e gli consiglia variazioni importanti,

soprattutto nella parte che riguarda l’impiccagione di Pinocchio. Non ci sono

accenni diretti al periodo in cui scrive, ma gli abiti e le ambientazioni, l’uso delle

carrozze e le scene di vita paesana suggeriscono uno scenario tardo-ottocentesco.

L’inserimento di Collodi nella storia crea un’alternanza diegetica che, oltre a

movimentare il racconto, sollecita nello spettatore una riflessione più vasta sulla

gestazione artistica del romanzo. I dubbi che tormentano l’autore mentre si

dedica alla scrittura sono infatti comunicati in maniera molto diretta già dalle

prime scene che mostrano l’uomo alla ricerca di uno spunto per la sua storia,

spunto che trova quando entra nella bottega del falegname Geppo per

commissionargli una nuova gamba per il suo scrittoio. Da questo momento,                                                                                                                403 L. Berta, Oltre la mise en abyme, Milano, Franco Angeli, 2006, p. 136.

  207  

attraverso una serie di rimandi e di sovrapposizioni, si avvia la storia incentrata

su Pinocchio: Geppetto si sovrappone a Geppo e inizia a intagliare il legno. La

scena della creazione di Pinocchio stabilisce una relazione con il testo di partenza

e con l’adattamento di Luigi Comencini. Geppetto-Bob Hoskins ripete i gesti di

Geppetto-Nino Manfredi nella costruzione del burattino e le prime azioni di

Pinocchio ricordano il manufatto ligneo di Comencini, con la stessa sùbita

trasformazione del burattino in ragazzino in carne e ossa. A differenza di

Comencini, tuttavia, Sironi non riporta più il burattino al suo stadio primordiale

tranne che nell’episodio del teatro di Mangiafoco, in cui il forte richiamo alla

teatralità e la presenza di altre marionette permettono al regista di riproporne la

versione meccanica. Nella casa di Geppo si ritrovano molti elementi derivati da

Comencini, in particolare la presenza del ritratto della defunta moglie che

accompagna l’uomo in tutta la sua storia e che fornisce lo spunto per inserire il

tema della paternità nel rapporto fra Geppetto e Pinocchio. Dopo aver parlato con

Collodi, Geppo-Geppetto esce di casa e trova fuori dalla porta un volantino che

pubblicizza l’arrivo del circo in città, altro elemento mutuato da Comencini. Da

questo momento il racconto tocca i punti principali dell’opera collodiana: la

corsa di Pinocchio, l’incontro con Lucignolo, che avviene quasi subito

introducendo l’elemento della disubbidienza e dell’allontanamento, l’incontro di

Pinocchio con il Gatto e la Volpe, due fratelli impegnati nell’arte del raggiro, la

fuga nel Paese dei Balocchi e l’inghiottimento nel ventre della balena.

La cesura originaria, quell’interruzione nella diegesi che corrisponde al

capitolo XV e che separa Pinocchio I da Pinocchio II è rispettata dagli autori che

terminano la prima puntata della miniserie proprio mentre Pinocchio vaga in un

bosco oscuro inseguito dagli Assassini. In una sovrapposizione narrativa tra le

più riuscite, Collodi si ritrova nello stesso ambiente chiaro-scurale e sente gli

stessi rumori di Pinocchio che scopre un nuovo sentimento: la paura. La storyline

interrotta nel momento di maggior suspense crea un cliffhanger che accompagna

lo spettatore all’inizio della seconda puntata in cui Collodi si risveglia e sposta

l’episodio tragico in un piano narrativo onirico, riprendendo la storia dal bosco in

  208  

cui Pinocchio ritrova la Fata che sottrae il bambino agli Assassini e lo

accompagna nella sua casina (non utilizzando il twist con la marionetta, Sironi

deve evitare l’impiccagione).

Il finale prevede la chiusura delle varie linee narrative e la ricostituzione

del nucleo familiare originario: Pinocchio e Geppetto. Geppetto, molto debilitato

dopo la fuga dalla balena, necessita di cure e nutrimento e Pinocchio ottiene un

lavoro da un fattore per avere il latte per il suo babbo. La Fata decide di premiare

Pinocchio per la sua generosità e gli dona un cuore vero: in questo modo si

compie la trasformazione finale che sostituisce la metamorfosi dal corpo ligneo

al corpo umano. Collodi torna nella casa di Geppo per ritirare lo scrittoio ma la

trova vuota e, rovistando fra i mobili, trova in un cassetto il berretto di mollica di

Pinocchio e un biglietto di ringraziamento. La scena finale vede Pinocchio e

Geppetto camminare in un campo e chiacchierare allegramente, finale che

riprende la scena sulla spiaggia dei due protagonisti dello sceneggiato di

Comencini. Collodi, nello scrivere le ultime righe del racconto, dichiara che il

finale potrebbe cambiare ancora molte volte sottolineando la flessibilità della sua

opera.

7.2.3. Il doppio narrativo e la cornice narrativa

La rappresentazione dell’autore nell’atto di comporre il romanzo stimola

nello spettatore una decostruzione del sistema dei personaggi e dell’atto della

creazione stessa. Nel primo caso, il personaggio che emerge con maggiore

spessore è la figura di Geppo-Geppetto che si articola su un doppio narrativo

accomunato da un unico desiderio di fondo: la paternità. Nel secondo caso lo

spettatore è immerso, seppur in maniera superficiale, nella vicenda compositiva

dell’opera di cui può seguire le varie interruzioni e pause.

Lo svelamento dei diversi piani narrativi inseriti da Cotroneo e Mazzotta

avviene all’interno della casa di Geppo dove Collodi entra per commissionare la

gamba dello scrittoio. Collodi rimane affascinato dal mondo di Geppo e

  209  

soprattutto vuole indagare più a fondo la personalità del falegname, uomo

burbero e chiuso che nasconde un forte dispiacere: la morte della moglie e la

mancata paternità. Nella casa di Geppo i due uomini hanno modo di

rispecchiarsi, condividendo la stessa ritrosia nel mostrare i loro sentimenti. La

casa diventa il luogo principale della creazione e trasformazione della storia,

teatro di molte delle svolte narrative, luogo-non luogo in cui Collodi scrittore e

Geppetto falegname si trovano l’uno di fronte all’altro nell’atto di creazione più

importante della loro vita. La casa è dunque il luogo della nascita e formazione,

della vita, ma anche dell’abbandono: la casa vuota, visitata da Collodi nella scena

finale, diventa una disabitata proiezione della sua fantasia. È proprio l’incontro

fra Collodi e Geppo nell’abitazione del falegname il nodo narrativo da cui si

sviluppano i vari piani narrativi seguendo un processo di sviluppo a incastro in

cui la vicenda di Geppo si sovrappone sistematicamente a quella di Geppetto

mentre Collodi, e non Pinocchio, funge da vettore alternando la funzione intra-

diegetica a quella extra-diegetica. La storia di Pinocchio è incastonata all’interno

di un primo livello narrativo e parallelamente altri due elementi, la storia di

Collodi e la storia di Geppo, creano un secondo livello diegetico altrettanto

rilevante che circonda e ingloba il primo. Il doppio narrativo interessa i due

personaggi maschili principali, Geppetto e Collodi, e i due personaggi secondari,

la Fata e il Grillo parlante, ma non riguarda invece Pinocchio che non subisce

trasformazioni e mutazioni.

All’interno della casa di Geppetto compaiono altri due personaggi della

storia, il Grillo e la Fata, che si alternano e si sovrappongono nella loro funzione

guida. La Fata giunge come una scia luminosa che dona la vita a Pinocchio come

accade nell’adattamento di Walt Disney e consegna a Pinocchio il Grillo parlante

che agisce come una vera coscienza nel riportarlo alla realtà. La Fata e il Grillo si

alternano nella funzione di aiutanti di Pinocchio e le due figure, che si affiancano

solo quando Pinocchio giace in riva al mare, sembrano sovrapporsi e completarsi

vicendevolmente: il Grillo, molto simile a Jiminy Cricket, è petulante e saccente

nel rimarcare le azioni scellerate di Pinocchio, mentre la Fata si dimostra

  210  

comprensiva e paziente perdendo quella natura polimorfa e misteriosa delle AP.

Un personaggio che ruota intorno a Geppetto e a Pinocchio e che rappresenta

un’aggiunta rispetto all’opera fonte e a altri adattamenti è rappresentato dalla

maestra Laura, interpretata da Margherita Buy. La maestra svolge la funzione di

mediatrice tra Geppetto, Pinocchio e lo spettatore e di facilitatrice nello

svolgimento della diegesi. La sua apparizione collega infatti parti del racconto e

permette ai due protagonisti principali, soprattutto a Geppetto, di rivelare aspetti

della sua vita e del suo carattere che lo spettatore può solo intuire. La maestra

avvisa Geppetto che Pinocchio non si è mai recato a scuola e lo redarguisce per

non averlo accompagnato sottolineando in maniera bonaria l’inadeguatezza

dell’uomo nel nuovo ruolo di genitore ma è pronta a riconoscere i progressi di

Geppetto quando lo ritrova in riva al mare mentre si costruisce una barca per

partire alla ricerca del bambino, mettendolo in guardia sulla presenza del

pescecane. In questa situazione specifica Laura svolge una funzione attanziale di

aiutante che si esplicita attraverso un dono. Mentre Geppetto si appresta a partire

con la barca, la donna lo raggiunge sulla spiaggia e gli regala le lenzuola del suo

corredo404, impreziosite da ricami, che diventeranno le vele dell’imbarcazione.

Nel finale della storia Geppetto e Pinocchio incontrano Laura e Pinocchio le

comunica di voler tornare a scuola: la presenza della maestra nelle ultime scene

rinnova l’elemento pedagogico e educativo del racconto.

7.2.4. La paternità come conquista progressiva

Nel corso di un’intervista di presentazione della miniserie Ivan Cotroneo

e Carlo Mazzotta descrivono il loro adattamento come una favola sulla paternità:

                                                                                                               404 Nella società tardo-ottocentesca il corredo, oltre a essere un obbligo per la sposa, è anche uno status symbol che rivela la provenienza e l’agiatezza della famiglia. La privazione del corredo da parte di Laura può significare la volontà di legarsi a Geppetto (una sottile vena di romance accompagna sempre i loro incontri) o la volontà di emanciparsi e allontanarsi da uno stereotipo vincolante: Laura si dimostra infatti forte, indipendente e autonoma nelle sue scelte.

  211  

L’occhio ci è cascato anche su questa figura di Geppetto come papà un po’ inadatto come tanti papà che conosciamo, come tanti papà che saremo, che scopre il ruolo del padre insieme a questo bambino già bello grande che gli precipita nella vita […]. È una favola su persone che imparano a essere qualcosa che non sono ancora. Su un pezzo di legno che impara a essere un bambino impara quindi a vivere, su un uomo solo che impara a essere padre e su tutti gli altri personaggi che in qualche modo imparano a essere o meno pedanti come il Grillo parlante o meno esigenti come la maestra di Pinocchio insomma che imparano a farsi sorprendere dalla vita e questo in qualche modo ci è sembrato molto attuale ci è sembrato che potesse raccontare qualcosa anche oggi in prima serata su Raiuno.405 L’inadeguatezza del ruolo genitoriale è dunque uno dei temi portanti

dell’opera: Geppetto diventa padre all’improvviso, in maniera fortuita e

inaspettata e non ha il tempo di prepararsi né di condividere dubbi e incertezze

con una compagna. In Collodi la paternità è un progetto dilatorio e la creazione

della marionetta soddisfa un’esigenza personale di Geppetto, quella di

guadagnarsi da vivere e girare il mondo. Tuttavia l’uomo comprende presto che il

suo progetto non si avvererà e si crea da subito una tensione fra il padre, uomo

semplice votato al sacrificio e il figlio, costantemente in fuga e disobbediente. La

vicenda di Geppetto dipende totalmente da quella di Pinocchio che sarebbe stato

un ribelle anarchico se Collodi avesse interrotto la storia con Pinocchio I. La

corsa verso la trasformazione finale che interessa Pinocchio II capovolge invece

il rapporto padre-figlio e soprattutto adegua il messaggio della storia ai canoni

pedagogici tardo-ottocenteschi (con qualche eccezione)406. In Collodi dunque la

figura del padre si sviluppa in funzione delle necessità di Pinocchio e si

perfeziona attraverso gesti concreti: la vendita della giacchetta per acquistare

l’abbecedario, la ricostruzione dei piedi, il viaggio in barca nella tempesta, la

                                                                                                               405 I. Cotroneo, C. Mazzotta, Intervista di presentazione della serie, trasmessa il 27.10. 2009 http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-79ed4d21-31a5-4a34-b618-df05ff653728.html (consultato il 28.07.2018) 406 Si pensi, per esempio, all’episodio del lancio dei libri sulla spiaggia, in cui i tomi dei maggiori scrittori per l’infanzia tardo-ottocenteschi, fra i quali figura anche il Giannettino di Collodi, diventano cibo per pesci.

  212  

prigionia. Proprio l’incarcerazione dell’uomo, che avviene all’inizio della storia e

sembra una punizione eccessiva (in fondo, Geppetto non ha compiuto nessun

crimine e nemmeno Pinocchio, bambino che ruba un pesce, avrebbe meritato una

punizione così severa) sembra un’espiazione della colpa originaria: l’aver

generato un figlio per farne oggetto di guadagno. La folla che si raduna intorno a

Geppetto e ai gendarmi chiede proprio questo: una punizione esemplare per

Geppetto che non è adeguato al mestiere di padre. Cotroneo e Mazzotta insistono

sul discorso dell’inadeguatezza rimarcandone il lato positivo: il mestiere di

genitore si impara dagli errori e si costruisce quotidianamente. Proprio l’episodio

del carcere che in Collodi, pur rappresentando un twist narrativo rilevante

(Geppetto e Pinocchio comprendono di essere importanti l’uno per l’altro)

occupa poche pagine, diventa centrale nella prima parte della miniserie. Il

racconto si espande per far spazio all’incontro fra Geppetto e un carcerato che gli

rivela la propria preoccupazione per i figli a casa e per le privazioni che stanno

vivendo. Anche Geppetto scopre di essere in pena per Pinocchio, figlio inesperto

e inadeguato il quale, nel frattempo, vaga nella vana questua di cibo. Oltre al

carico emotivo personale Geppetto introietta anche le tensioni di Geppo che vive

in maniera tragica la mancata paternità: l’alternanza e la sovrapposizione delle

due storie culmina nel dialogo sulla spiaggia fra Geppetto e la maestra Laura che

precede la partenza in barca, momento in cui Geppetto approfondisce parti

importanti della sua storia personale come la perdita della moglie. Geppetto

rimane a lungo sulla spiaggia occupato nella costruzione della barca e proprio la

spiaggia diventa teatro della sua ricongiunzione con i compaesani: l’atto di

sacrificio che sta per compiere per ritrovare il figlio disperso, probabilmente in

viaggio per le Americhe (riferimento che si ritrova spesso in Comencini), lo

ricongiunge al popolo che riconosce il suo percorso di adeguamento alla paternità

e si mette a disposizione per aiutarlo. Parallelamente Pinocchio attraversa varie

vicende in cui il Grillo, oltre a metterlo in guardia, gli ricorda costantemente la

figura paterna. Dopo aver fatto il cane da guardia al posto di Medoro, la famiglia

lo accoglie e gli fornisce l’occasione di raccontare la sua storia: la sua famiglia è

  213  

composta solo dal babbo che lo starà cercando disperatamente. Pinocchio mette a

fuoco piuttosto velocemente le sue responsabilità filiali e corre alla ricerca del

babbo che, come gli comunicano due gendarmi, è sulla spiaggia in procinto di

partire alla sua ricerca. Il ricongiungimento di Pinocchio e Geppetto nel ventre

del Pescecane permette a Geppetto di riflettere sul suo percorso di crescita

genitoriale:

Lo scopo della vita è amare, prendersi cura di chi ha bisogno di te […] perché senza dare amore a qualcuno la vita non ha alcun valore. Pensare che dopo tutti questi anni vissuti ho capito il valore della vita e me l’ha insegnato qualcuno, mio figlio, Pinocchio.407

Cotroneo e Mazzotta intendono lavorare sulla favola e sul potere della

favola di cambiare la vita delle persone: ogni personaggio deve rinunciare a una

parte di sé per poter creare un rapporto con gli altri e dare equilibrio alla favola.

Così Geppetto rinuncia al lato più pedante e paternalistico mentre Pinocchio

rinuncia a parte della sua freschezza e insolenza per aderire ai canoni filiali

richiesti dalla favola. In questa rinuncia risiede l’equilibro della riscrittura: tutti

rinunciano a qualcosa per conformarsi alle esigenze della favola e per impegnarsi

in un progetto di vita.

7.3. Il revival del fiabesco nella fiction nordamericana: fra «Grimmification» e «Disneyfication»

Dalla fine degli anni Ottanta si assiste ad un revival dello storytelling

fiabesco che, soprattutto nel primo decennio del Duemila, conosce una diffusione

crescente grazie al format seriale. Negli Stati Uniti, in particolare, il materiale

                                                                                                               407 Pinocchio, Rai.Tv, video, 1:33:12, https://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-de287744-36fc-4e40-8cd3-a4b9102d5610.html (consultato il 30.07.2018)

  214  

fiabesco origina un modello formulaico e un archetipo narrativo che ruota intorno

a due nomi: Grimm e Disney.

All’inizio degli anni Novanta l’opera dei fratelli Grimm è al centro di

numerosi studi e rivisitazioni sia in Europa sia oltreoceano. Mentre in Germania

la ricerca sul materiale raccolto dai due studiosi nei Kinder –und Husmärchen si

focalizza prevalentemente sull’aspetto storico-filologico, in Gran Bretagna e

negli Stati Uniti lo sviluppo dei Cultural Studies stimola un approccio

multidisciplinare in cui si ricercano temi e motivi, varianti e variazioni delle

numerose edizioni delle storie408.

Pubblicati per la prima volta nel 1812, i Kinder –und Husmärchen sono

revisionati e riscritti dai due fratelli per sette edizioni, fino alla pubblicazione

definitiva del 1857. Nel corso delle varie edizioni essi procedono ricombinando e

riscrivendo le varianti che provengono dalle diverse fonti che a loro volta sono

raccolte da una serie di assistenti dei due autori: essi intervengono dunque su

materiale di seconda o terza mano che subisce ulteriori modifiche soprattutto da

parte di Wilhelm, il quale sottopone ogni storia a una limatura e revisione

continua non solo di lingua e stile ma anche di contenuti. Il lavoro di ricerca,

trascrizione, analisi e riscrittura dei due fratelli409 fornisce le basi di un metodo di

                                                                                                               408 Fra i numerosi studi e ricerche, cfr. i seguenti lavori: . R. B. Bottingheimer, Bad Girls and Bold Boys: The Moral and Social Vision of the Tales, Yale, Yale University Press, 1987; M. Tatar, The Hard Facts of the Grimms’ Fairy Tales, Princeton, Princeton University Press, 1987; D. Haase (a cura di), The Reception of Fairy Tales: Responses, Reactions, Revisions, Detroit, Wayne University Press, 1993; H. Middleton, Grimm’s Last Fairy Tale, New York, St. Martin’s Press, 2001; J. Zipes, The Bothers Grimm: From Enchanted Forests to the Modern World, New York, Palgrave Macmillan, 2003. 409 In merito all’attività di riscrittura dei Grimm, così si esprime Italo Calvino nell’introduzione alla raccolta Fiabe italiane: «Il metodo di trascrizione delle fiabe ‘dalla bocca del popolo’, prese le mosse dall’opera dei fratelli Grimm e s’andò codificando nella seconda metà del secolo in canoni ‘scientifici’, di scrupolosa fedeltà stenografica al dettato dialettale del narratore orale. Proprio ‘scientifici’come oggi s’intende i Grimm non furono, ossia lo furono a metà. Lo studio dei loro manoscritti conferma ciò che la semplice lettura dei Kinder- und Hausmärchen già rivela all’occhio esercitato: che sulle pagine dettate dalle vecchiette i Grimm (particolarmente Wilhelm) lavorarono molto di testa loro, non solo traducendo gran parte delle fiabe dai dialetti tedeschi, ma integrando una variante dopo l’altra, rinarrando dove il dettato era troppo rozzo, ritoccando espressioni e immagini, dando unità di stile alle voci discordanti».

  215  

matrice proto-folclorista e etnologico che si diffonde in Europa e Nord America.

I loro processi e modelli di scrittura e riscrittura si basano su una flessibilità nei

temi, nei motivi e anche nella morale e vanno a comporre un universo estetico e

narrativo che condizionerà il revival del materiale fiabesco fra la fine del XX e

l’inizio del XXI secolo. Oltre a ciò, è forse necessario considerare un ulteriore

elemento di flessibilità da individuare nell’apparato liminale che accompagna la

pubblicazione dei Märchen: si tratta di un sistema di note e prefazioni, una

«soglia» 410 che si frappone fra testo e lettore e ne orienta la lettura e

l’interpretazione. In quanto autori o, secondo una definizione di Donald Haase,

«agenti autoriali»411, i fratelli Grimm incorniciano infatti la loro raccolta con una

serie di informazioni paratestuali finalizzate alla contestualizzazione delle fiabe e

alla loro funzione pedagogica, storica, culturale, etnica e mitologica. È proprio

nell’apparato paratestuale che si ritrova l’impegno patriottico dei fratelli, i quali

perseguono il rigore scientifico unito all’intento educativo rivolto al popolo

tedesco e ai folkloristi in generale. Nel corso delle varie pubblicazioni il

pedagogismo si fa sempre più esplicito e le formule di apertura e chiusura

omogenizzano la narrazione in uno stile fresco e colloquiale che supera l’intento

filologico originario in favore di una leggerezza e maggiore fruibilità. I tratti

brutali e sconci sono attenuati da un’etica moraleggiante molto apprezzata dalla

classe borghese di fine Ottocento, quando le storie diventano parte del sistema

educativo tedesco. Durante il periodo del nazionalsocialismo l’industria culturale

tedesca adotta le fiabe dei Grimm come strumento di educazione nazionale,

tendenza che rinforza il pregiudizio che vede i Märchen collegati

indissolubilmente alla cultura tedesca 412. In realtà la diffusione della raccolta dei

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   I. Calvino, Fiabe italiane. Raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti, Milano, Oscar Mondadori, 1993, p. XV. 410 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989, p. XI. 411 D. Haase (a cura di), The Reception of Fairy Tales: Responses, Reactions, Revisions, Detroit, Wayne University Press, 1996, pp. 9-23. 412 Cfr. R. Bottigheimer, The Publishing History of Grimm’s Tales: Reception at the Cash Regiseter, in D. Haase (a cura di), op. cit., pp. 78-100; C. Kamenetsky, Folktale

  216  

Grimm si diffonde velocemente grazie anche alle numerose traduzioni che

apportano ulteriori variazioni al materiale raccolto, variazioni richieste dalla

lingua e cultura di arrivo e dall’audience di riferimento: in Francia, per esempio,

le prime traduzioni risentono della lingua utilizzata da Perrault per i suoi popolari

Contes mentre in Danimarca la lunga tradizione di racconti popolari permette ai

traduttori di ridurre le note esplicative a margine. In Inghilterra l’opera dei

Grimm è tradotta tra il 1823 e il 1826 da Edgar Taylor che pubblica German

Popular Stories413, selezione di racconti tratti da Kinder - und Hausmärchen che

riporta nel sottotitolo «from oral tradition», a sottolineare l’autenticità e genuinità

del materiale tradotto. Taylor opera una trasformazione del materiale dei fratelli

Grimm per renderlo accessibile ai bambini della media borghesia inglese e

enfatizzare il lato ludico e divertente delle storie. La pubblicazione, presso

l’editore Charles Baldwyn, diventa dunque un prodotto culturale che contribuisce

all’identificazione del nome Grimm con il genere fiabesco ma allo stesso tempo

influenza le scelte dei fratelli, i quali pubblicano, sulla base delle reazioni dei

lettori inglesi, un’edizione ridotta dei Märchen, la Kleine Ausgabe, più snella e

folcloristica rispetto alla Grosse Ausgabe e soprattutto con una marcata enfasi

sugli eventi soprannaturali e magici. I lettori hanno dunque a disposizione due

versioni: una ridotta, più adatta ai bambini, e una completa per un pubblico più

adulto. Cultura di arrivo e cultura di partenza condividono, in questo caso, un

ruolo paritario nell’accogliere le esigenze dei lettori e conferire ai Märchen un

successo internazionale. Anche il corredo paratestuale di Taylor è ricco e

articolato e riporta molte delle spiegazioni dei Grimm cui si aggiungono ulteriori

divagazioni su personaggi, motivi, parallelismi e scelte traduttive. Una

successiva traduzione del 1838, Gammer Gretel, or German Fairy Tales and

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   and Ideology in the Third Reich, in J. Zipes (a cura di), Fairy Tales and the Art of Subversion, New York-London, Routlege, 2006, pp. 134-169. 413 E. Taylor, German Popular Stories, translated from the Kinder und Haus-Märchen Collected by M.M. Grimm, from Oral Tradition, London, Baldwyn, 1823.

  217  

Popular Stories414, denota una chiara intenzione di adattare ulteriormente il

materiale dei fratelli Grimm alle esigenze del pubblico e, allo stesso tempo, di

provocare nel lettore uno straniamento e una curiosità verso una cultura altra. La

raccolta si compone di 42 storie tratte dalle German Popular Stories suddivise in

12 gruppi raccontate ogni sera da Grammer Grethel.

Le traduzioni di Taylor giungono negli Stati Uniti nel 1849 e, per quanto

le opere di Andersen siano già presenti dal 1846 grazie alla traduzione di Howitt,

la diffusione delle storie dei Grimm si rivela più capillare. 415 Taylor elimina

termini e locuzioni con riferimenti espliciti a religione, sesso, violenza e

soprattutto a contenuti politici e ideologici. La rimozione della parte più

violenta, tenebrosa e elusiva dei racconti operata da Taylor, che trasforma gli

orchi in giganti e le fanciulle in creature innocenti che non si concedono prima

del matrimonio, incontrano le esigenze di svago e il perbenismo delle famiglie

borghesi dell’epoca. Inoltre, il carattere magico e fiabesco che i Grimm marcano

nel corso delle varie edizioni, le descrizioni di foreste incantate e alberi parlanti

stimolano una produzione iconografica che porta il pubblico a associare il nome

dei Grimm a tutto ciò che è fantastico e irreale. Nel caso di Taylor, per esempio,

l’etica protestante e il modello patriarcale che il traduttore cerca di evidenziare

nella versione inglese sono alleggeriti dalle illustrazioni del caricaturista George

Cruikshank che enfatizzano invece il tratto comico e sentimentale, adatto a un

pubblico giovane. L’operazione commerciale che favorisce la diffusione delle

opere dei Grimm influenza profondamente la successiva produzione fiabesca del

XIX secolo e, in particolare, l’industria disenyana. I valori paternalistici e la

morale puritana forniscono infatti una base su cui Disney costruisce il suo

marchio di fabbrica che si fonda sul magic realism e l’opera dei fratelli Grimm

dimostra di contenere i tratti e le caratteristiche di entrami i termini del binomio.

                                                                                                               414 E. Taylor, German Popular Stories and Fairy Tales, as Told by Gammer Grethel, London, George Bell and Sons, 1839. 415 Cfr. C. Dollerup, Tales and Translation: The Grimm Tales from Pan-Germanic Narratives to Shared International Fairy Tales, Philadelphia, John Benjiamins Publishing, 1999.

  218  

Come sostiene Frederic Jameson, il termine magic realism, ha viaggiato negli

anni e, superando quell’indeterminatezza teorica su cui si poggia, ha mantenuto

una particolare seduzione («strange seductiveness»)416 trasformandosi così in

un’espressione-ombrello che include varie categorie (misterioso, fantastico,

meraviglioso): tra i due termini, il magico e il realista, si inserisce la fiaba come

intertesto da cui derivare varianti e variazioni. Se da un lato Disney sottopone le

storie dei Grimm a un processo di global Americanization, dall’altro lato il nome

Grimm diventa una sorta di marchio che si applica a ogni storia dal contenuto

magico o fiabesco. Si assiste dunque a un processo di Grimmification che

riguarda materiale di varia provenienza riconducendolo a un'unica fonte e che

dalla fine degli anni Ottanta si allontana progressivamente dallo standard

disneyano per reintrodurre aspetti tenebrosi, oscuri e misteriosi espurgati da

Disney. Il caso di Pinocchio è emblematico: l’introduzione di Hezekiah

Butterworth a una delle prime versione della storia giunta negli Stati Uniti la

paragona alle storie tedesche nello stile e nella coloritura. Un passaggio chiave

nel progressivo affiancamento di Pinocchio ai personaggi dei fratelli Grimm è

compiuto da Disney che dopo il lungometraggio di Biancaneve (1937) produce il

film ispirato alla storia di Pinocchio (1940) inserendolo in un immaginario

fiabesco e narrativo che, anche in prodotti successivi, diventa parte di un

agglomerato piuttosto indistinto in cui si perdono i primitivi tratti folkloristici e

culturali di derivazione e tradizione locale per conformare il tutto a standard

universali e indistinti.

                                                                                                               416 F. Jameson, On Magic Realism Film, in Critical Inquiry, The University of Chicago Press, Vol.12, n. 2, 1986, p. 302. https://www.journals.uchicago.edu/doi/pdfplus/10.1086/448333 (Consultato il 18.08.2016)

  219  

7.3.1. Un percorso fra continuità e frammentazione

Dalla fine degli anni Ottanta l’adattamento del materiale fiabesco si

sviluppa in narrazioni multilineari in cui una serie di approfondimenti e

ribaltamenti narrativi interessano soprattutto i personaggi secondari e femminili.

Si assiste infatti ad un proliferare di voci che introducono un diverso punto di

vista nella rilettura delle storie e che forniscono dettagli e informazioni

modificando lo svolgimento tradizionale della diegesi. L’attenzione si focalizza

maggiormente sul prima e sul dopo e mentre la fiaba classica si svolge in una

dimensione atemporale il pubblico e l’industria culturale richiedono ora

un’attualizzazione e uno svelamento che riguardano i personaggi nel loro

percorso totale. Un esempio di narrazione dilata è Ever After (Andy Tennant,

1998, USA) in cui Cenerentola è una persona reale con tutta la sua complessità

narrativa e psicologica. Il motivo del film è la visita dei fratelli Grimm alla

Grand Dame of France, interpretata da Jeanne Moreau. La donna mostra loro la

scarpetta di cristallo appartenuta a una sua antenata, Danielle de Barbarac (Drew

Barrymore) vissuta in Francia nel XVI secolo. I riferimenti storici e culturali

inseriscono la protagonista in un mondo reale, di cui si possono rintracciare

testimonianze tangibili come la scarpetta o un ritratto della fanciulla di Leonardo

da Vinci. La donna si occupa di diritti civili, differenze di classe e teorie

economiche dimostrando una complessità e una modernità apprezzata dal

pubblico di fine anni Novanta e le tre protagoniste, Drew Barrymore, Jeanne

Moreau e Anjelica Houston (la matrigna) contribuiscono a dare profondità ai loro

personaggi imprimendo una svolta nella definizione degli archetipi fiabeschi. Si

tratta di un approccio che interessa anche molti scrittori contemporanei come

Robert Coover e Angela Carter417 i quali ispezionano la pluridiscorsività che

                                                                                                               417 Su Robert Coover cfr. cap. 4.2. Angela Carter pubblica la raccolta The Bloody Chamber nel 1979 . L’opera rappresenta un ribaltamento rispetto all’epurazione di tratti violenti, macabre e sessuali praticata da Grimm e Disney. Molto più vicina alla produzione di Perrault, Carter restituisce ai personaggi e alle atmosfere quel carattere perturbante e torbido che interessa soprattutto i personaggi femminili. Ma anche la

  220  

soggiace a una apparente e superficiale semplificazione del genere e indagano i

rapporti fra i vari personaggi considerati a tutto tondo, con le loro debolezze e i

loro lati oscuri. Anche fuori dal mondo accademico la fiaba gode di un rinnovato

interesse che confluisce nella costellazione di collegamenti ipertestuali del fairy

tale web.

Simultaneamente a prodotti come Ever After, in cui si ricostruisce un

plot trasposto nella realtà ma sempre ambientato nel passato (come sostiene

Angela Carter, è difficile trasportare una fiaba dal tempo del «c’era una volta»),

citazioni e riferimenti a fiabe sono disseminati anche in prodotti come Hard

Candy (2005) e Sex and the City (2008). Negli anni Duemila il ritorno del

fiabesco e l’approccio realistico si ritrovano in film come Enchanted (Kevin

Lima, 2007, USA). Prodotto dalla Disney nel 2007, il film è una sorta di spin-off

in cui due mondi, e due piani narrativi, collidono: il mondo reale di New York e

il mondo fantastico di Andalasia418. Attraverso una sorta di metalettura comica i

personaggi, in parte animati e in parte reali, rinegoziano i tipici valori di Disney e

rovesciano le dinamiche classiche. Enchanted inizia proponendo un motivo

tipicamente disneyano: un manoscritto che si sfoglia accompagnato da una voce

narrante, proprio come accade nella sequenza di apertura di Pinocchio. La

seconda scena presenta un altro motivo tipico del racconto fiabesco: una

principessa rinchiusa in una torre. La ragazza, Giselle, dimostra però un carattere

ribelle e avventuroso che la allontanano dal classico archetipo disneyano. Nel

corso del film Giselle svela progressivamente una personalità complessa che la

contrappone alla figura maschile di Edward, principe di Andalasia, il quale non

riesce a emergere come personaggio a tutto tondo. In Enchanted la Disney

intreccia una serie di citazioni e riferimenti attraverso una manipolazione dei

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   mescolanza di più generi e voci rappresenta una novità che intacca lo schema narrativo canonico e che influenzerà opera successive. Da un racconto della raccolta, In Company of Wolves, è tratto un film diretto dal regista irlandese Neil Jordan. A. Carter, The Bloody Chamber and Other Stories, London, Penguin, 1981. 418 La tagline utilizzata per la promozione del film recita: «the real and the animated world collide».

  221  

contenuti in una strategia volta a stimolare la partecipazione attiva dello

spettatore, impegnato nella scoperta di collegamenti dispersi nella narrazione.

Enchanted propone un modello di rovesciamento delle convenzioni di genere e di

ruoli che va nella direzione del disincanto ma si interrompe a metà poiché il

modello narrativo e lo stereotipo femminile consolidato dai prodotti Disney non

si ribalta mai completamente419: per quanto l’inizio del film proponga una lettura

parodica degli archetipi disneyani e si apra ad un approfondimento anche

psicologico dei protagonisti, il finale restituisce a Giselle il suo ruolo di fanciulla

diligente e votata alla salvaguardia del matrimonio ripristinando dunque il tipico

storytelling dell’happily ever after.

Nel 2001, sei anni prima di Enchanted, la DreamWorks propone il primo

episodio della saga di Shrek che introduce un cambiamento deciso, e

irreversibile, nello storytelling fiabesco. Enchanted e soprattutto Shrek con il loro

approccio dissacrante e disincantato ispireranno altre produzioni dei primi anni

del Duemila che trovano nella serie televisiva un modello narrativo adeguato. La

serie permette infatti quella frammentazione in cui è possibile inserire

personaggi, scenari, linee narrative principali e secondarie in un ricco e

dinamico intreccio intertestuale e intermediale420. Il format seriale rinfresca il

genere fiabesco che trova nella struttura episodica nuova linfa.

                                                                                                               419 Sulla perpetrazione della tipizzazione stereotipica delle figure femminili disneyane in Enchanted, cfr. L. Pershing, L. Gablehouse, Dinsey’s Enchanted. Patriarchal backlash and nostalgia in a fairy tales film, in G. Pauline, S.E Matrix, Fairy Tales Films. Visions of Ambiguity, Logan, Utah State University Press, 2010, pp. 198-218. 420 Un esempio di parodia e dissacrazione è rappresentato da I Simpson, serie TV trasmessa negli Stati Uniti dal 1987. Dal 1990 è inserita una micro-storia, The Itchy and Scratchy Show (nella versione italiana Grattachecca e Fichetto) che propone personaggi e temi disneyani in maniera distorta e talvolta anche volutamente sgradevole. In un episodio della sesta stagione dal titolo Itchy & Scratchy Land Burt e Lisa Simpson assistono a una rivisitazione del film di Disney Fantasia dal titolo Scratchasia in cui compare il burattino Pinn-Itchy-O che, appena costruito, acceca il padre con il suo naso prima di trasformarsi in un robot e cadere a pezzi.

  222  

7.4. La saga di Shrek: un agglomerato multistratico

La saga di Shrek, prodotta dalla DreamWorks dal 2001421, propone una

rilettura parodica, umoristica, dissacrante e disincantata del genere fiabesco che

sollecita un processo di straniamento da parte dello spettatore. La narrazione

dinamica di Shrek si sviluppa attraverso twist narrativi e svelamenti che trovano

un sostrato di appoggio sui numerosi adattamenti Disney: l’attenzione è dunque

richiamata dal «già noto» per essere poi guidata verso esiti inaspettati. Con Shrek

la DreamWorks tenta infatti di staccarsi dal processo di disneyficazione per

stabilire nuovi canoni estetici e narrativi, non a caso il primo film della saga

produce una rinegoziazione di valori che si ripete nei film successivi in un

dialogismo intertestuale che giunge alla autoriflessività. Mentre in Enchanted la

parodia si trasforma in omaggio, in Shrek la parodia sovverte lo stesso schema

paradigmatico in cui opera.422 In un processo di autoreferenzialità crescente il

plot tradizionale delle fiabe è decostruito, frammentato e ricombinato con la

trama e i personaggi dei vari lungometraggi fino al costruirsi di un proprio livello

enunciativo autoreferenziale e autonomo che va a formare un agglomerato

multistratico. Shrek si spinge oltre il ribaltamento dei classici clichés e degli

stereotipi di genere e percorre in maniera più decisa l’approccio demistificatorio

delle formule fiabesche. Una nuova estetica guida un approccio differente nella

definizione dei ruoli, degli scenari e dei corpi, non più perfetti e scintillanti ma

grotteschi e sporchi. Influenzati dall’interpretazione freudiana che da sempre

accompagna la rilettura delle fiabe, il film è attraversato da un sottotesto morale,

sociale e politico che cattura lo spettatore in un atto di identificazione e

condivisione. La prima scena della saga scardina in maniera parodica l’incipit

tipico delle fiabe La presenza di una fanciulla nella torre e la foresta incantata,

infatti, lasciano subito il posto alla palude e ai suoi abitanti. La presenza del                                                                                                                421 La saga è composta da quattro lungometraggi: Shrek (2001), Shrek 2 (2004), Shrek Terzo (2007) e Shrek e vissero felici e contenti (2010). 422 Cfr. L. Hutcheon, A Theory of Parody, Chicago, University of Illinois Press, 2000, pp. 50-68.

  223  

libro come motivo conduttore che rimanda all’origine letteraria dell’adattamento,

elemento tipico degli adattamenti di Disney, è introdotto da una voce fuori

campo che si rivela essere la voce di Shrek che sposta la magia e la solennità del

racconto nella facezia. Il ribaltamento narrativo della favola e dei personaggi

archetipici ritrovano in Shrek, l’orco che vive nella palude, e in Fiona, la

principessa dai tratti grotteschi, il modello parodistico centrale che, come

sostiene Zipes, incorpora un potenziale sovversivo rispetto al romanzo fonte e

soprattutto rispetto al modello Disney423. Il nuovo schema narrativo in cui

agiscono i personaggi di Shrek implica ciò che Genette definisce

«disconvenienza o discordanza stilistica» 424 tra un modello dall’immutevole

nobiltà, rappresentato da re, principi, eroi, fanciulle in pericolo, e l’abbassamento

del racconto, dei discorsi e dei temi: d’altra parte già la scena di apertura del film,

in cui la mano di Shrek stacca la pagina del libro di fiabe per usarla come carta

igienica introduce un ribaltamento che abbassa immediatamente l’aura mitica e la

sacralità della fiaba in una strategia desublimante volta a mettere in scena

frammenti di quotidianità.

Il fantastico idealizzato e omogeneizzato da Disney è dunque sovvertito

dall’approccio della DreamWorks che attenua il magico anche grazie al tipo di

narrazione seriale, la saga. La saga si sviluppa infatti attraverso «una successione

di eventi, apparentemente sempre nuovi, che interessano, a differenza della serie,

il decorso ‘storico’ di un personaggio e meglio ancora di una genealogia di

personaggi»425: tutti in Shrek vanno incontro alla senescenza, alla morte o all’età

adulta in cui si richiedono decisioni e scelte ponderate. I personaggi femminili

ritrovano una forza sia fisica sia psicologica che bilancia la volubilità e pavidità

dei personaggi maschili e i personaggi secondari ottengono, prima o poi, la

                                                                                                               423 Cfr. J. Zipes, When Dreams Came True: Classical Fairy Tales and Their Tradition, London-New York, Routledge, 2007, pp.27-30. 424 G. Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997, p. 163. 425 U. Eco, Tipologia della ripetizione, in F. Casetti (a cura di), L’immagine al plurale. Serialità e ripetizione nel cinema e nella televisione, Venezia, Marsilio, p. 28.

  224  

possibilità di raccontarsi e di imprimere una svolta alla narrazione, proprio come

accade a Pinocchio. La demitologizzazione totale è però interrotta dalla

reiterazione dell’identico e da una continuity che reintroduce elementi

tipicizzanti, come l’happy ending a conclusione di ogni lungometraggio.

7.4.1. Pinocchio, modello di rinegoziazione di genere

Pinocchio è uno dei personaggi secondari che compare in tutti i film

della saga. Solitamente associato a altri personaggi minori, come i tre porcellini,

svolge in alcuni casi una funzione narrativa di passaggio. Nel primo film

Pinocchio è venduto da Mister Geppetto all’esercito di Lord Farquaad per cinque

scellini e diventa uno dei migliori amici di Shrek. In Shrek 2 è esiliato nella

palude da Farquaad e sorveglia la palude stessa mentre Shrek e Fiona

raggiungono il regno di Molto Molto Lontano. In seguito si reca nel regno per

salvare Shrek, Ciuchino e Gatto prigionieri nel castello di Azzurro e della Fata

Madrina. La Fata lo trasforma in un ragazzo, ma i tre topini ciechi lo

ritrasformano, per errore, in burattino. In Shrek Terzo Pinocchio sorveglia Fiona

e i figli mentre Shrek si prodiga per ricercare un nuovo erede per il regno di

Molto Molto Lontano. Azzurro tenta di ostacolare il loro piano e imprigiona il

burattino in un teatro dove si deve esibire per i clienti. Liberato, aiuta i compagni

a sconfiggere i nemici. In Shrek e vissero felici e contenti Pinocchio gestisce una

biblioteca dove incontra Tremotino, con cui, in un universo parallelo, cerca un

accordo per diventare un ragazzo vero.

Pinocchio è definito in base ai motivi classici del naso che si allunga

quando mente e del desiderio costante di diventare un ragazzo vero. Da un punto

di vista iconografico l’ispirazione disenyana è palese: il personaggio si presenta

infatti come un burattino di legno dal corpo meccanico che indossa i classici

guanti bianchi, il cappello con la piuma e gli abiti di tradizione sud-tirolese.

Unica novità è la bocca collegata al mento che lo rende simile a una marionetta o

  225  

a un pupazzo da ventriloquo. Ma il vero elemento di scarto rispetto alla

rappresentazione classica è il riferimento alla sua identità sessuale, che lo

inserisce in un gruppo in cui si ritrovano anche il Lupo, la Draghessa e Doris la

sorellastra di Cenerentola. Si tratta di personaggi sottoposti a una negoziazione di

genere dovuta a caratteristiche distintive tipiche: in Pinocchio riguarda

l’implicazione fallica del naso e il rapporto mono-genitoriale con Geppetto, oltre

al desiderio di trasformarsi in qualcosa di diverso da sé; nel caso del Lupo è

derivata dalla propensione al travestimento; per la Draghessa si tratta di un

ribaltamento parodico rispetto alla descrizione classica e per Doris il rapporto,

anche in questo caso mono-genitoriale, con la madre. Mentre nel primo Shrek

Pinocchio è considerato un «giocattolo indemoniato» che Geppetto vuole

eliminare dalla sua casa, rimarcando l’idea del rifiuto paterno, in Shrek 2 il

personaggio acquisisce più importanza e di conseguenza è al centro di un’analisi

più approfondita L’episodio che lo vede protagonista si ispira al film

Mission:Impossible. Sulla celebre colonna sonora che nel film accompagna le

imprese di Tom Cruise, Pinocchio deve liberare Shrek, Ciuchino e il Gatto con

gli stivali incatenati da Azzurro in una cella del palazzo reale. Pinocchio è calato

nella cella legato a fili che ne ricordano l’origine burattinesca. Giunto davanti ai

tre prigionieri deve fare in modo che il suo naso si allunghi per permettere a

Zenzero di camminarvi sopra e raggiungere gli amici. Ovviamente, il naso si

allunga quando mente e quindi gli altri personaggi lo esortano a dire una bugia.

Di seguito, si riporta una parte del dialogo della scena accompagnato da un

commento:

[Shrek]: Presto, dì’ una bugia. [Pinocchio]: Ehm, che devo dire? [Ciuchino]: Una cosa assurda, tipo porto le mutandine da donna. [Pinocchio]: Io, io porto le mutandine da donna. Il naso non si allunga, la musica si fa drammatica . [Shrek]: Davvero? [Pinocchio]: Ma neanche per sogno. Il naso inizia a allungarsi. [Ciuchino]: Per sogno forse no, ma nella vita sì. [Pinocchio]: Non è vero.

  226  

Il naso continua a allungarsi. [Gatto]: Che tipo? [Zenzero]: È un tanga. Mentre scopre le natiche di Pinocchio. [Pinocchio]: Sono slip. Mostrando un evidente imbarazzo.426

Lo scopo è raggiunto: il naso si allunga, Zenzero libera i compagni e la

narrazione riprende focalizzando l’attenzione sulla liberazione di Fiona,

prigioniera nel castello. Il passaggio non ha dunque ricadute sul seguito della

trama e apparentemente nessuna ricaduta sulla considerazione di Pinocchio da

parte del gruppo di amici. Rimane, tuttavia, un certo imbarazzo da parte del

burattino nel confessare di sentirsi a proprio agio indossando intimo femminile,

tratto che potrebbe riguardare la sua identità di genere ma che non è analizzato

fino in fondo. Si tratta però, anche in questo caso, di una negoziazione che rientra

nello schema di tipi e motivi tipici di Shrek, uno schema che si contrappone a un

sistema di convenzioni e che riguarda soprattutto i rapporti intersoggettivi e la

loro messa in scena. Per quanto il motivo del travestimento si ripeta in molte

fiabe, collegato solitamente all’inganno o alla fuga da parte di fanciulle

innocenti, in Shrek i personaggi non si travestono per nascondersi ma per

mostrarsi, per dichiarare la loro identità in una sorta di coming out/outing

narrativo. Questa attitudine andrebbe a comporre un modello demistificatorio in

cui il diverso, la creatura di confine come l’orco diventa protagonista e aggiunge

la propria voce al coro.

7.5. La serie TV Once Upon A Time: multiplot e multipiattaforma

Serie TV prodotta dalla ABC. – 7 stagioni. Trasmessa negli Stati Uniti dal 23 ottobre 2011 al 18 maggio 2018. Sceneggiatori: Adam Horowitz e Edward Kitsis427.                                                                                                                426 Shrek 2, A. Adamson, K. Asbury, C. Vernon, USA, 2004, DVD, min. 57:32:12. 427 Horowitz e Kitsis partecipano alla produzione della serie televisiva Lost di J.J. Abrams trasmessa negli Stati Uniti dal 2004 al 2010, oltre a altre serie come Felicity e Once Upon A Time in Wonderland.

  227  

Once Upon A Time è una serie TV prodotta dalla ABC e trasmessa per la

prima volta negli Stati Uniti il 23 ottobre 2011 (in Italia il 25 dicembre 2011)428.

Nel corso delle sette stagioni la complessità e la densità delle linee narrative

producono una struttura multiplot che genera un testo iperdiegetico con

l’inserimento di nuovi personaggi e di piani narrativi che si intrecciano. I

personaggi, prevalentemente derivati da fiabe e racconti, si muovono infatti su

una molteplicità di piani e attraversano mondi che scaturiscono dalle loro storie

personali per confluire poi in una zona franca, il mondo reale di Storybrooke,

cittadina del Maine. Storybrooke è una sorta di realtà rovesciata della Foresta

incantata, luogo originario di tutti i personaggi (tranne Henry) in cui ognuno

acquisisce una nuova identità perdendo però la consapevolezza dell’identità

precedente: Regina, per esempio, matrigna di Biancaneve nella Foresta incantata

è sindaco di Storybrooke, Archie Hopper, il Grillo parlante, è lo psicologo,

Geppetto fa il carpentiere429. Gli abitanti di Storybrooke hanno dunque un alter

                                                                                                               428 In Italia le prime stagioni sono trasmesse su Fox, dalla sesta in poi sono trasmesse su Netflix. In chiaro, la serie è trasmessa inizialmente su Rai 2 per poi passare su Rai 4. 429 La serie trova un precedente in un noto fumetto dal titolo Fables, scritto e ideato da Bill Willingham tra il 2002 e il 2015. Fables riprende una serie di personaggi delle fiabe, tra cui Biancaneve, il Principe e il Lupo i quali, abbandonata la loro Homeland raggiungono un mondo parallelo vicino a New York, Fabletown. Willingham rovescia la classica impostazione paternalistica e moraleggiante introdotta da Disney e in un certo senso anche dai fratelli Grimm e propone una serie di scenari in cui i personaggi rivelano lati oscuri del loro carattere e della loro storia, superando la semplificazione classic ache contrappone il bene al male senza sfumature. Biancaneve è in realtà prigioniera dei nani e il Principe azzurro un uomo mondano e seducente che sposa varie principesse, tra cui Cenerentola e Aurora. I personaggi hanno la possibilità di ritornare alla loro Homeland per recuperare oggetti o caratteristiche della loro vita fiabesca. Ciò accade a Pinocchio che dopo essere diventato una persona in carne e ossa viene decapitato durante una battaglia e ritorna burattino. Egli deve dunque tornare da Geppetto che lo riporta in vita. Geppetto, conosciuto anche come Adversary, è un personaggio a tutto tondo, dalla forte personalità, vero antagonista di un mondo parallelo chiamato The Empire. L’impostazione narrativa di Fables e la struttura episodica è riprodotta in un videogame, The Wolf Among Us (Telltale, 2013-2014). Anche il videogame ha numerose analogie con Once Upon A Time, soprattutto nella definizione dei mondi paralleli e dei personaggi principali che però non hanno lo stesso livello di disneificazione. Cfr. The Fables Road: an afterword by Bill Willinghan in Fables:War and Peace

  228  

ego di cui, almeno all’inizio, non hanno consapevolezza, mentre lo spettatore è

subito informato sullo storyworld. Le realtà parallele sono svelate dall’arrivo di

Emma Swan a Storybrooke condotta dal figlio Henry con l’intenzione di rompere

l’incantesimo creato da Regina e restituire agli abitanti la consapevolezza della

loro altra identità. Il plot, almeno nelle prime serie, ruota intorno al personaggio

di Biancaneve, che si rivela essere la madre di Emma. La sua storia riparte dal

finale della fiaba, dal momento in cui sta per sposare il Principe, secondo un

canone tipico utilizzato anche da Robert Coover e Angela Carter nel loro

approccio decostruttivo del materiale fiabesco. L’episodio pilota mostra dunque

la scena delle nozze fra Biancaneve e il principe interrotte da Regina che ordisce

il suo primo incantesimo. Ogni incantesimo rappresenta un nodo narrativo in cui

ogni personaggio acquisisce o perde informazioni su di sé, alternando di volta in

volta la funzione di oppositore o aiutante in base alle esigenze del plot. Lo

spettatore è informato grazie a numerosi salti temporali e flashback ma è il libro

di Henry, in cui si ritrovano le storie della Foresta incantata, a ricollegare tutti i

piani narrativi e a ristabilire la diegesi, oltre a palesare l’origine letteraria delle

varie storie. Gli spettatori sono inoltre coinvolti direttamente grazie a una

costellazione di esperienze organizzate dalla ABC per il lancio della serie:

episodi inediti, interviste, foto, biografie, pagine Facebook e Twitter. Esperienze

multipiattaforma in cui il «processo tecnologico che unisce varie funzioni

all’interno degli stessi dispositivi» provoca un cambiamento culturale da parte

dei consumatori «stimolati a ricercare nuove informazioni e ad attivare

connessioni tra contenuti mediatici differenti»430.

La forza e la potenza dei personaggi femminili sovverte quel tratto

paternalistico dei personaggi maschili perpetuato da Disney: Storybrooke e la

Foresta incantata sono mondi generati e governati da eroine che non temono di

mostrare le loro debolezze ma, allo stesso tempo, non attendono l’intervento                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    vol.11, New York, Vertigo DC Comics, 2008. 430 H. Jenkins, op.cit., p. XXV. Cfr. anche C.Bacchilega, Fairy Tales Transformed?: Twenty-First-Century Adaptations and the Politics of Wonder, Detroit, Wayne State University Press, 2013.

  229  

maschile per prendere decisioni e agire. Nella sesta stagione si conclude la

battaglia finale fra i regni e le ultime scene fanno pensare a un esperimento fra il

reboot e il sequel che, pur proponendosi come settima stagione, inserisce in

realtà nuove linee narrative e nuovi temi. Il finale della sesta stagione si ricollega

ciclicamente con l’episodio pilota: una bambina di nome Lucy suona alla porta di

Henry Mills e rivela di essere sua figlia. Per dimostrare la propria discendenza,

mostra al padre il celebre libro di favole. Nella settima stagione la narrazione si

sposta a Hyperion Heights e rimangono solo alcuni dei personaggi delle stagioni

precedenti. L’attesa ottava stagione, annunciata dai produttori per il 2018, è

momentaneamente sospesa.

7.5.1. Pinocchio /August Wayne Booth: il narratore drammatizzato

August Wayne Booth/Pinocchio compare nel primo episodio della prima

stagione431. Figlio adottivo di Geppetto/Marco, egli giunge a Storybrooke sotto lo

sguardo dei due narratori intradiegetici, Henry e Emma. Da un punto di vista

narratologico, August Booth rappresenta una «voce non-drammatizzata»: egli

non interviene nello storyworld totale, come Emma o Henry o Regina, ma

introduce alcuni elementi sulla vita di altri personaggi, soprattutto Emma, utili

alla comprensione della sua storia. Grazie a August Emma scopre infatti

informazioni importanti sulla sua vita e sulle sue origini. La complessità dei

personaggi e degli scenari è tale che lo sviluppo della diegesi, di per sé molto

articolata, necessita di voci narranti che favoriscano la comprensione del plot e

illuminino temi e nodi critici, funzione svolta da August. Il riferimento più

esplicito relativo alla funzione narrativa è contenuto nel suo nome che, per

ammissione degli autori, è un omaggio al celebre narratologo statunitense Wayne

                                                                                                               431 Gli episodi in cui compaiono sono i seguenti: Pilot, The Stranger (Stagione 1 – Episodio 20), Selfless, Brave and True (S.2-E.18), Snow Drifts (S.3 – E.21), Tougher Than the Rest (S.6-E.11), Murder Must Foul (S.6-E.12), The Song in Your Heart (S.6-E.20), Leaving Storybrooke (S.7-E.22).

  230  

C. Booth, autore di Retorica della narrativa432. Nel trattato pubblicato nel 1961

Booth delinea la distinzione fra narratore attendibile e narratore inattendibile,

ovvero voce narrante percepita come mendace e inaffidabile. Henry Booth è

dunque collegato all’elemento distintivo del suo alter ego Pinocchio, la

menzogna. Egli conduce sia Emma sia lo spettatore dietro l’apparente assurdità

di ciò che racconta: un mondo speculare a Storybrooke dove tutti i personaggi

ritrovano la loro vera essenza. Proprio mentre cerca di convincere Emma

dell’esistenza della Foresta incantata che si compie la trasformazione in

burattino, dimostrando che ciò che rivela è reale e recuperando la posizione di

narratore attendibile. La prima reazione di Emma alle sue parole è infatti di

diffidenza, ma il processo di trasformazione cui assiste la conduce allo

svelamento del mondo incantato. Identificato come Straniero (The Stranger è

anche il titolo dell’episodio in cui compare per la prima volta) interagisce con

Emma, cercando di avvalorare l’ipotesi di Henry, ovvero che Storybrooke è

oggetto di un incantesimo che intrappola i suoi abitanti e che solo Emma è in

grado di risolvere la situazione. August e Emma, in realtà, sono legati da un

evento accaduto nella Foresta incantata. Il doppio di August, Pinocchio, creato da

Geppetto da un tronco magico433, era stato rinchiuso in un armadio costruito da

Geppetto insieme a Emma. L’armadio, sorta di portale verso un nuovo mondo,

aveva permesso a entrambi di sfuggire all’incantesimo di Regina. Il motivo per

cui August desidera convincere Emma è anche legato alla sua trasformazione:

solo se Emma rompe l’incantesimo egli potrà continuare la sua vita e evitare di

ritornare ad essere un burattino di legno. A causa della maledizione, infatti,

August è destinato a ritornare burattino di legno e solo l’intervento di Emma                                                                                                                432 W. C. Booth, Retorica della narrativa, Firenze, La Nuova Italia, 1997. 433 Un episodio simile si ritrova in un film del 1996, The Adventures of Pinocchio, una co-produzione diretta da Steve Barron e Jim Henson. liberamente ispirata al romanzo di Collodi. Nel film Geppetto trova un tronco nel bosco da cui scolpisce un cuore. In seguito a un incendio che devasta la foresta, solo il cuore rimane integro e pulsante, rivelando lasua essenza magica. Nel 2007 Jim Henson realizza la serie TV The Storyteller, in cui un anziano cantastorie racconta a un cane parlante, un pupazzo animato (Jim Henson è il creatore del celebre Muppet Show) , una serie di favole. Ogni puntata sviluppa un personaggio. Il sistema

  231  

potrebbe salvarlo. Quando Emma finalmente decide di credergli, la

trasformazione di August è quasi completa e irreversibile.

7.5.2. Il viaggio di Pinocchio

La vita di Pinocchio nella Foresta incantata ripropone tratti e eventi

dell’opera fonte e di Disney. Prima dell’incantesimo Pinocchio insieme a

Geppetto, che lo scolpisce da un tronco magico. Abbandonata la casa paterna si

reca a Pleasure Island, luogo di perdizione di ispirazione disneyana.

Successivamente, il burattino è su una zattera, insieme a Geppetto, e lo aiuta a

salvarsi dalla balena Monstro. Interviene la Fata che, per premiare la sua

generosità, non solo lo rianima dopo il naufragio, ma lo trasforma in un ragazzo,

con la raccomandazione di comportarsi bene e di essere generoso. Il bambino

Pinocchio riprende l’iconografia classica di Disney: indossa un cappellino con

piuma, un gilet e un fiocco rosso, indumenti di ispirazione tirolese.

Pinocchio però incarna un altro tema che, molto presente nella fiaba

classica, è parte di un percorso generativo che non può non interessare il cinema.

Si tratta del viaggio, inteso non solo come trasferimento da un luogo all’altro,

che comunque in One Upon A Time ha una certa importanza, ma come

superamento di prove verso un progresso. Pinocchio è accompagnato da un

programma narrativo che lo porta a correre e a attraversare metamorfosi e che si

presta alla figurativizzazione. Il viaggio come percorso di crescita e cambiamento

è parte del progetto di Pinocchio nella Foresta incantata, ma una volta a

Storybrooke perde di importanza: August diventa il trait d’union fra i piani

narrativi a scapito di quella dimensione magica, improntata al superamento degli

ostacoli e alla fuga che è invece uno dei tratti invariantivi maggiori della figura di

Pinocchio.

  232  

7.5.3. I doppi narrativi

Geppetto e Jiminy sono entrambi personaggi collegati alla vita di

Pinocchio che vivono nella Foresta incantata e, in seguito all’incantesimo di

Regina, hanno entrambi un alter ego a Storybrooke: per Geppetto è Marco il

carpentiere, per Jiminy è Archie lo psichiatra e per la Fata è la Madre Superiora

del convento. Geppetto e Jiminy sono collegati da un evento tragico: nella

Foresta incantata Jiminy, insieme a un gruppo di balordi, trasforma

involontariamente i genitori di Geppetto in marionette e in seguito, per riparare al

danno e dietro suggerimento della Fata, si impegna a accompagnare e sostenere

Geppetto nelle sue scelte di vita. Tutti i vari personaggi ricercano il supporto e la

guida di Archie, che diventa così una sorta di narratore onnisciente, uno dei pochi

a Storybrooke in grado di riconoscere e distinguere il bene dal male. Assente per

due stagioni di seguito, la quarta e la quinta, pur con continui riferimenti al suo

operato, il suo reinserimento nella sesta stagione corrisponde con la ripresa

dell’impianto narrativo della prima stagione, episodio ad arco incentrato su

Storybrooke. Archie rimane un personaggio piuttosto lineare, uno dei pochi,

insieme a Biancaneve, che non si sviluppa completamente. Insieme al suo

inseparabile ombrello e al suo cane Pongo sembra non andare oltre una

stilizzazione caricaturale. L’evento principale che unisce Pinocchio, Geppetto e

la Fata riguarda l’armadio magico, un portale che conduce nel mondo parallelo.

La Fata conduce Geppetto nel bosco e gli chiede di costruire un armadio

utilizzando un albero magico. L’armadio serve in realtà a Biancaneve che vuole

fuggire insieme alla figlia Emma per sottrarla all’incantesimo di Regina.

Geppetto accetta a condizione che una delle due creature trasportate sia

Pinocchio. La Fata deve allora mentire dicendo a Biancaneve che solo una

persona può viaggiare nell’armadio, la figlia Emma. Ispirata alla Fata turchina di

Pinocchio e di Disney, in realtà la Fata condivide molti tratti anche con Belle,

protagonista di La bella e la bestia. Un aspetto che la avvicina al romanzo di

Collodi è la sua tendenza a mentire, anche se si tratta di una menzogna che ha il

  233  

fine ultimo di proteggere Pinocchio. A questo proposito un passaggio

interessante riguarda l’incontro tra la Fata e Campanellino. La Fata rimprovera a

Campanellino di disattendere ciò che è scritto nel libro aiutando Regina, mentre

tutti gli sforzi devono essere in favore di Biancaneve. Campanellino chiede di

ottenere un po’di polvere magica per rinforzare i propri poteri ma la Fata le

chiede in cambio una prova di sincero pentimento. Quando poi Campanellino

decide di aiutare ancora Regina, le strappa le ali trasformandola in un essere

umano: la Fata dunque ricerca la sincerità e la verità nelle creature che la

circondano soprattutto in Jiminy, che deve essere spesso redarguito e guidato.

Pinocchio, invece, non ha bisogno di una guida in quanto il suo percorso è già

segnato. Per Pinocchio la Fata svolge la funzione di salvatrice, altro tratto che si

ritrova nel personaggio multiforme di Collodi.

.

7.6. Grimm

Grimm è una serie TV prodotta dalla NBC fra il 2011 e il 2017 il cui

titolo rimanda a un universo di chiara ispirazione fiabesca e la tagline parla di

«dark and fantastical project about a world in which characters inspired by

Grimm’s Fairy Tales exist». Si tratta dunque di un progetto in cui personaggi o

elementi fantastici, ispirati alle storie dei fratelli Grimm, sono inseriti nel mondo

reale. Da un punto di vista formale si ha una sovrapposizione fra «un anthology

plot episodico – il caso procedurale della settimana – a un running plot che va a

coprire l’intera stagione»434. La serie si basa sulle vicende di Nick Burkhardt,

investigatore della squadra omicidi di Portland, in Oregon e discendente di una

genia di mutanti e cacciatori di forze sovrannaturali conosciuti come Grimm. I

Grimm sono guardiani incaricati di regolare i rapporti fra gli umani e i Wesen,

creature mitologiche mutanti che assumono un aspetto umano e solo in

                                                                                                               434 P. Brembilla, Grimm: un ecosistema narrativo in costruzione, in S. Martin (a cura di), La costruzione dell’immaginario seriale contemporaneo, Milano, Mimesis, 2014, p. 110.

  234  

determinate situazioni rivelano la loro vera natura, soprattutto in seguito a forti

emozioni. I Wesen possono appartenere a specie diverse: i più pericolosi sono i

Siegbarste, in grado di sottomettere tutti gli altri Wesen e sfuggire ai Grimm.

Nelle sue investigazioni Burkhardt è affiancato da un amico Wesen Blutbad,

Monroe, che lavora in un’erboristeria dove conduce ricerche sui mutanti e dal

collega Hank Griffin che scopre i poteri di Nick dalla seconda stagione. Oltre a

Monroe, Nick ottiene informazioni anche da un vecchio libro che cataloga tutte

le specie di Wesen e le loro caratteristiche avuto in eredità dai suoi antenati. I

nomi delle varie creature sono tutti tedeschi a evocare il mondo dei fratelli

Grimm ma il riferimento alle fiabe non è esplicito: di solito, esso è disseminato

nella narrazione o contenuto nell’ opening quote dei vari episodi. Al police

drama si interseca poi una linea di romance con la storia fra il protagonista e

Juliette Silverton/Eve e di bromance con l’amico collaboratore Monroe. Monroe

e la sua erboristeria diventano uno dei fulcri della narrazione dalla seconda

stagione, in cui il plot si fa più intricato soprattutto in seguito alle richieste del

pubblico. Il 2011 è un anno piuttosto denso di prodotti che hanno come

riferimento narrativo le fiabe o il soprannaturale. Oltre a Grimm, altre due serie

sono trasmesse in prima serata: Once Upon A Time, di cui si è trattato sopra, e

Supernatural (Eric Kripke, 2005, USA), due prodotti dalla trama multiplot e

dall’intensa proliferazione di piani narrativi. I creatori di Grimm tentano la via

della semplificazione e della linearità per coinvolgere un pubblico diverso, ma

ottengono un feedback che va nella direzione opposta: gli utenti lamentano

un’eccessiva semplificazione dimostrando di sapersi orientare nella rete

intermediale e anzi di aver bisogno di maggiore complicazione e disseminazione

di contenuti, richiesta accolta dagli autori fra i quali compaiono David Greenvalt

e Jim Kouf autori anche di Buffy The Vampire Slayer (1997, 2003) e del suo

spin-off Angel (1999, 2004)435. L’esperienza nel campo della serialità e la

                                                                                                               435 Il Buffyverse è un universo intermediale che scaturisce dalla proliferazione di esperienze che gravita intorno alla serie TV di Buffy e Angel. In esso forze soprannaturali si insinuano nel mondo reale e provengono da universi e mondi disparati

  235  

consapevolezzache i personaggi fiabeschi non possono essere spogliati di tutte le

loro caratteristiche tipiche porta gli autori a spingere maggiormente

sull’anthology plot evocando fiabe e autori di fiabe in maniera più sofisticata e

soprattutto ricorrendo rinfornzando l’importanza dell’opening quote che, da un

punto di vista formale, rappresenta un intertitolo tematico che precede spesso il

racconto fiabesco e che si ritrova in ogni capitolo delle AP.

7.6.1. L’«omaggio rispettoso»436 di Grimm

Il riferimento a Pinocchio è evocato e seguito sottilmente nella trama

dell’ottavo episodio della seconda stagione (S2-E8) dal titolo The Other Side.

Come ogni episodio, è introdotto da una opening quote che recita:

I thought of making myself a beautiful wooden marionette. It must be wonderful, one that can dance, fence and turn somersaults.

La citazione è ripresa dalle AP e riporta le parole di Geppetto nel

momento in cui decide di costruire un burattino:

Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali.437

L’episodio inizia mostrando un gruppo di studenti che si allenano

insieme al loro professore per partecipare a una gara di cultura generale: solo il

migliore potrà accedere al contest. Alla fine della sessione i ragazzi decidono di

trascorrere la serata in un bar: solo uno di essi, Pierce, è accompagnato dalla

madre che, di malavoglia, permette al figlio di trascorrere la serata con gli amici.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   (in questo senso la similitudine con Once Upon A Time risulta maggiore rispetto a Grimm). Del Buffyverse la serie conserva la possibilità del protagonista di riconoscere e comunicare e con entità ultraterrene e la loro interazione con gli umani. 436 L. Hutcheon, op. cit., p. 37. 437 AP, p. 364.

  236  

Dopo aver lasciato il ristorante, uno dei ragazzi è ucciso selvaggiamente in un

parco. Burkhardt e Griffin iniziano le indagini e sospettano del professore. La

morte di una seconda studentessa del gruppo induce però il professore, scioccato

e addolorato438, a prendere un’importante decisione: la sua scuola non parteciperà

alla competizione. Il giorno seguente, anche il professore è ucciso. Sul luogo del

delitto i detective ritrovano l’orologio di Pierce che diventa così il principale

sospettato degli omicidi. Pierce, da parte sua, è convinto che la colpevole sia sua

madre, ma tutte le prove riconducono al ragazzo che è interrogato a fondo dai

poliziotti e non realizza di aver disseminato prove della propria colpevolezza

ovunque. Il twist narrativo avviene quando la madre confessa di aver alterato il

suo patrimonio genetico mescolando i geni di due tipi di Wesen: Genio Innocuo,

piuttosto calmo e pacifico e Löwen, dai tratti molto aggressivi. In preda al panico

e alla rabbia Pierce fugge da casa e decide di suicidarsi buttandosi da un

grattacielo ma Nick riesce a salvarlo conducendolo in carcere. L’ultima scena

che riguarda Pierce lo vede in carcere in balia dei suoi attacchi d’ira e delle sue

trasformazioni, lasciando presagire la possibilità di altri omicidi. In questo modo

si conclude la storia collegata all’episodio e al personaggio di Pierce, che non

comparirà in altre storie. Il riferimento a Collodi collega la madre di Pierce a

Geppetto, entrambi accomunati dal desiderio di un figlio che soddisfi le proprie

esigenze personali: per Geppetto potersi guadagnare da vivere, per la madre di

Pierce ottenere successo e consensi grazie alle capacità del figlio. In entrambi i

casi, i personaggi artificiali, creati in un laboratorio, ovvero Pierce e Pinocchio,

vanno incontro a un tragico epilogo: se Collodi non avesse infatti modificato il

finale della storia, anche Pinocchio sarebbe morto in maniera violenta e tragica.

Una seconda linea narrativa riguarda invece il running plot, quella continuità

interepisodica che segue le vicende del capitano Sean Renard, superiore di Nick,

che cerca di controllare i suoi poteri magici e i suoi impulsi aggressivi di Wesen

Zauberbiest e si rivolge a Monroe per trovare un rimedio naturale alla sua

                                                                                                               438 In seguito allo shock il professore si rivela essere un Wesen.

  237  

aggressività, mentre la sua compagna Adalind si trova a Vienna dove incontra il

fratello del capitano, Eric, pronto a ordire trame.

La citazione di Carlo Collodi nell’opening quote è un esempio di

riferimento culturale e di «omaggio rispettoso» che implica due tipi di difficoltà:

collegare la citazione a Pinocchio, poiché né l’autore né l’opera sono indicati e la

trama non fa mai riferimento a temi o motivi pinocchieschi, come la bugia o il

legno; identificare Carlo Collodi come autore di Pinocchio, dal momento che il

titolo della serie e la tagline forniscono un chiaro rimando ai fratelli Grimm

come autori delle fiabe disseminate nella serie.

  238  

Conclusioni

L’obiettivo preliminare di questo studio era di analizzare alcune delle

innumerevoli transcodificazioni e discendenze delle Avventure di Pinocchio. Si è

trattato di un’analisi diacronicamente rilevabile che ha preso le mosse dalle prime

pubblicazioni dell’opera fonte nella sua natura dinamica che, già in partenza,

conteneva quel germe della variazione che è successivamente esploso in una fitta

e ricca rete intertestuale e intermediale. A questo proposito è stato possibile

rilevare da un lato le potenzialità di un’opera che ancora oggi mantiene intatta la

sua freschezza, dall’altro l’indipendenza del protagonista rispetto all’opera

stessa.

Le varie forme di transcodificazione che hanno riguardato l’opera dalla

sua prima pubblicazione fanno pensare a un’implosione precoce del materiale

pinocchiesco tanto da assimilarlo a una «fabbrica» che ha due matrici di fondo: la

circolarità e la replicabilità. Ogni rilettura «industriale» dell’opera ha prodotto,

infatti, una moltitudine di immagini e una ramificazione ed espansione di quei

temi che sono già contenuti nella source novel ma che, da un certo momento in

poi, si sono incanalati in maniera del tutto indipendente da essa seguendo le

esigenze e le richieste del mercato e della cultura di riferimento.

Le migrazioni di Pinocchio oltre la source novel hanno infatti stimolato

processi di convergenza, ibridazione e dispersione in prodotti seriali che lo hanno

adottato e inserito in scenari molteplici. La «lunga serialità di qualità» che ha

inglobato la figura di Pinocchio in tempi recenti ha restituito al personaggio una

sua autenticità, che forse si era un po’ attenuata nelle numerose «pinocchiate», e

un alto grado di indipendenza e autonomia. Pinocchio si riconferma dunque

come vettore di una narrazione espansa, in grado di uscire dai confini delle AP

ma allo stesso tempo di mantenerne vivi temi e figure. D’altra parte Collodi,

narratore onnisciente, permette spesso a Pinocchio, attraverso i numerosi

riassunti, monologhi e dialoghi, di presentarsi come narratore, ruolo che diventa

  239  

congeniale, per esempio, al personaggio di Pinocchio/August in Once Upon A

Time, assumendo così tratti e caratteristiche di «figura seriale».

Il «potere genetico» di cui parla Italo Calvino nel 1981 continua dunque

a rinforzarsi permettendo all’opera e al suo protagonista di rinnovarsi

costantemente, offrendo numerose soglie che si spalancano su spazi nuovi e

inesplorati. Un potere che si rigenera nei vari passaggi che compongono il

percorso transmediale della storia.

  240  

Ringraziamenti

Il presente lavoro di ricerca non sarebbe stato realizzabile senza la guida

attenta e puntuale dei miei tutor, Professor Paolo Giovannetti e Dottor Andrea

Chiurato. A loro va un sentito ringraziamento per la generosità e l’interesse con

cui hanno seguito le varie fasi del percorso.

Un ringraziamento particolare va anche ai membri del Collegio di

Dottorato per aver fornito indicazioni e consigli preziosi. Ringrazio tutti i miei

compagni di dottorato con cui ho condiviso questa esperienza. Ringrazio, inoltre,

la Biblioteca Nazionale di Firenze, la Biblioteca Marucelliana, il Fondo Collodi

per avermi dato l’opportunità di accedere a materiali e risorse. Devo ringraziare

anche coloro che, nel corso di questi anni, mi hanno fornito suggerimenti e spunti

costanti e variegati, provenienti da ambiti assai diversi: tale vivacità è forse la

prova di quanto Pinocchio sia un patrimonio globale.

Un ringraziamento speciale va, infine, alle persone alle quali questa

ricerca è dedicata: la mia famiglia.  

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