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1.2. DALL’ESPERIENZA DI RAVENNA LA DEFINIZIONE DI UN MODELLO DI RISCHIO LOCALE 3.1. PER IL SISTEMA INFORMATIVO CARTA DEL RISCHIO SICILIANO A cura di: CARLO CACACE, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Istituto Superiore per il Restauro - Responsabile banca dati SIT Carta del Rischio Nazionale

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L’indirizzo metodologico che ha consentito lo sviluppo del SITCarta del Rischio è maturato dalle esperienze vissute in temadi applicazione delle indagini scientifiche del controllo micro-climatico ambientale e delle prove non distruttive, dalla cono-scenza e dalla conservazione dei beni. Infatti, ad integrazioneo in alternativa al restauro che interviene a danno avvenuto,questo indirizzo propone di sviluppare, attraverso interventisistematici di conservazione e manutenzione dei beni, unastrategia basata sulla prevenzione del danno. Tale idea nascedal concetto di “restauro preventivo”, elaborato da CesareBrandi nella “Teoria del Restauro”, concetto che può avere unriscontro concreto solo nella prevenzione del processo didegrado attraverso il controllo delle sollecitazioni esterne (adesempio i fattori ambientali, gli inquinanti etc) e la manutenzio-ne programmata dei beni avviata da Giovanni Urbani, con il“Piano pilota per la conservazione programmata dei beni cul-turali in Umbria”. Dato un certo insieme di elementi, il rischio viene definito daun punto di vista statistico, mettendo in relazione la quantitàdi danno che un evento produce su un determinato oggetto oindividuo della popolazione considerata e la probabilità chequell’evento si verifichi. Applicando questo approccio al patri-monio culturale si possono considerare i beni storico artisticicome le unità di una particolare popolazione statistica e cal-colare i livelli di rischio cui dette unità sono soggette attraver-so i valori che i Fattori di Rischio possono assumere per ognu-na di esse. Ciò implica, ovviamente, che tali fattori possanoessere quantificati, o meglio misurati, per ogni unità dellapopolazione e per ogni unità territoriale su cui la popolazioneinsiste. Di conseguenza, la realizzazione del sistema informa-tivo e della sua banca dati è stata dimensionata assumendo ilmonumento come elemento minimo georeferenziabile allascala del bene (unità statistica della popolazione considerata)di cui bisogna calcolare il rischio di perdita, e il comune comeelemento minimo della scala territoriale (unità territoriale) di cuibisogna quantificare i fattori di rischio. Il programma di sviluppo della “Carta del Rischio” prevedevafin dall’inizio un’evoluzione del Sistema Informativo Territoriale(SIT) a livello territoriale locale. Uno degli elementi innovativi e irrinunciabili del progetto èinfatti quello di considerare i beni del patrimonio culturale nelloro specifico contesto territoriale di appartenenza e nelladinamica temporale dei processi di degrado. La conoscenzadel rischio locale può e deve essere perseguita anche attra-verso un approccio basato sulla misura diretta degli effettiprodotti sulle opere dal processo di degrado. L’esperienza ottenuta dall’ISCR presso il Polo Periferico diRavenna (1996) ha rappresentato l’occasione per uno studiosperimentale del rischio nell’intorno del bene culturale. In que-sta esperienza si è applicata la metodologia a livello naziona-le scendendo di scala al fattore locale territoriale. Ciò è statoutile e necessario per riscontrare il valore degli indici calcolatie per una puntuale verifica della metodologia. La sperimentazione nel caso del rischio ambientale-aria si èattuata attraverso la misura diretta del materiale effettivamen-te perso (o sovrammesso) da una superficie esposta agliagenti atmosferici e all’azione degli inquinanti; questa è signi-ficativa per validare il grado di erosione annuo previsto daquesto indicatore. Solo il confronto diretto fra la previsione delcalcolo e la misura del danno effettivamente subito, quantificala reale attendibilità dell’indicatore, migliorando in concreto lecapacità informative del sistema e la conoscenza necessariaall’attività di conservazione e prevenzione. La misura puòessere fatta in modo sistematico per una serie limitata ma

significativa di siti campione, scelti in modo da rappresentareadeguatamente tutte le classi di pericolosità individuate dalcalcolo. Alla base della misura dello stato di conservazione èla possibilità di definire numericamente la “struttura formale”del manufatto, ad un certo istante della sua vita. Ripetendol’operazione, in momenti successivi, diventa allora possibiledeterminare, per differenza, le variazioni subite dalla “strutturaformale” del manufatto nell’intervallo di tempo considerato. Inquesto modo, più propriamente, si misura la velocità di degra-do, perché la differenza riscontrata fra i due stati è quantifica-ta dal volume di materiale perso (o aggiunto) o da altri para-metri fisici misurabili, come la micromorfologia della superficiee/o la rugosità, parametri utilizzati per caratterizzare la finituradi superficie da cui dipende l’aspetto. Nella realtà, il modulo di Ravenna ha rappresentato il terrenosperimentale e di attendibilità della metodologia e delle tecni-che di elaborazione individuate e messe a punto nella ricerca.Purtroppo però la sperimentazione, privilegiando la letturadelle peculiarità proprie di quel territorio, ha mancato l’obietti-vo di individuare uno standard comune, almeno per quel checoncerne i livelli cartografici di riferimento, la modalità di rac-colta, selezione e organizzazione dei dati di pericolosità, lamodalità di localizzazione cartografica dei beni ed anche l’ela-borazione dei dati di pericolosità, vulnerabilità e rischio. Sullabase di quella sperimentazione si sono quindi evidenziati dueproblemi metodologici: come associare i diversi fattori di peri-colosità e pervenire ad un indicatore di sintesi e, quindi, comeproiettare sulle dirette localizzazione dei beni quei fattori disintesi che vengono rilevati in localizzazioni diverse o su scalapiù ampia.Le sperimentazioni e le ricerche intraprese nell’ambito dellostudio della Carta del Rischio della Regione Siciliana sonostati indispensabili per migliorare e approfondire la conoscen-za dei fattori locali di degrado e costituiscono occasioni fon-damentali di studio per poter adeguatamente definire proce-dure normalizzate utili alla costruzione di componenti localidella Pericolosità.Se si considera che il danno subito da un bene è il risultato diun processo di deterioramento non scomponibile in eventi ele-mentari esprimibili solo in termini probabilistici e che il mecca-nismo secondo cui si produce il danno coinvolge un elevatonumero di variabili legate tra di loro in modo articolato e com-plesso, è facile accorgersi che l’applicazione di un modello diRischio rigorosamente statistico non è possibile in quantobisognerebbe definire a priori sia l’evento dannoso sia il con-testo stocastico in cui l’evento può avvenire. Poiché l’ambitostorico artistico non consente una misura del Rischio in talitermini, si sono individuate allora le variabili fisiche e socialilocali che influiscono sul processo di deterioramento da utiliz-zare nella quantificazione del Rischio, ponendo in relazionefunzionale il Rischio con i Fattori di Rischio. Ciò significa cheil modello sviluppato è in pratica un modello misto, che siavvale allo stesso tempo di metodologie statistiche e determi-nistiche nei processi di calcolo dei parametri e nell’analisi pun-tuale dei dati. In altri termini la difficoltà di una misura pura-mente probabilistica del Rischio ha portato in pratica allacostruzione di “Indicatori di Rischio” per esprimerne il livelloattraverso il calcolo di indici, indipendentemente da una loropossibile correlazione con una valutazione di probabilità verae propria. Allo stesso modo la misura dei diversi Fattori diRischio è stata espressa in termini di Indicatori dei Fattori diRischio. In pratica tali fattori sono stati suddivisi e organizzatisecondo una logica deterministica di causa e effetto, che vededue componenti principali:

1.2. DALL’ESPERIENZA DI RAVENNA LA DEFINIZIONE DI UN MODELLO DI RISCHIO LOCALE3.1. PER IL SISTEMA INFORMATIVO CARTA DEL RISCHIO SICILIANO

Carlo Cacace

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- la Pericolosità Territoriale locale (Pl) e la VulnerabilitàIndividuale (V).La competenza dell’ISCR nello specifico settore della conser-vazione è servita a sostenere le scelte del Centro Regionaleper la Progettazione ed il Restauro per selezionare le variabiliutili a definire lo stato di conservazione dei beni e per ridefini-re il modello schedografico normalizzato da utilizzare sulcampo per la raccolta dei dati. In questo ambito sono stati uti-lizzati anche apparati strumentali per effettuare un rilievo geo-metrico speditivo del bene e dare un supporto grafico e foto-grafico ai dati di 1° livello utilizzati per la definizione dello statodi conservazione. Lo studio applicato ha permesso di definire il modello chedescrive lo stato dei beni al fine di effettuare approfondimentidi terzo livello e verifiche sulle variabili utilizzate per il calcolodella pericolosità e controlli sulle funzioni di danno adottate.In questo modello è possibile esprimere il Rischio in funzionedi queste due componenti e misurarne l’intensità attraverso lamisura delle grandezze fisiche, che concorrono alla lorodeterminazione. Il tempo (t) e la localizzazione spaziale (x,y,z)delle grandezze fisiche considerate sono le altre variabiliintrodotte per poter conoscere la distribuzione spazio/tempo-rale dei parametri e dei fenomeni che si vogliono analizzare:ciò ne consente la rappresentazione geografica territoriale ela sua evoluzione nel tempo. Oltre alla quantificazione dellegrandezze fisiche che, caratterizzando il dominio della vulne-rabilità e quello della pericolosità, devono essere consideratenella loro interazione dinamica, nella loro diversa incidenzarispetto alle varianti tipologiche dei manufatti e nella determi-nazione dei differenti rapporti di scala per la rappresentazio-ne delle informazioni e dei fenomeni, si è dovuto preliminar-

mente procedere alla definizione del sistema fisico di riferi-mento, ossia degli elementi geografici di base che caratteriz-zano lo spazio in cui i beni sono collocati. Altra determinazio-ne di base è stata quella di quantificare gli elementi costituen-ti il patrimonio culturale, per poter inserire e considerareanche i beni culturali tra gli elementi geografici di base.Quindi gli approfondimenti di questo progetto hanno portatoall’individuazione dei caratteri morfologici, naturali più signifi-cativi dei comuni, individuazione delle aree ad elevata inten-sità di beni e la conoscenza del territorio per l’analisi dei feno-meni di pericolosità (presenza, estensione e intensità) e rap-presentazione della tipologia e del livello.L’individuazione delle variabili per il calcolo degli indicatori èstata determinante per selezionare sia le fonti esistenti da cuiattingere dati significativi per la Pericolosità che per definiremodalità normalizzate per l’acquisizione diretta dei dati,necessari per la Vulnerabilità. Dal punto di vista operativo ilmodulo di Rischio locale si pone come obbiettivo quello diconsentire la gestione di tutte quelle informazioni relative allapericolosità, quelle relative al bene attraverso le schede divulnerabilità e patrimoniale in un unico ambiente che sia fles-sibile e in grado di rispondere alle esigenze operative di tuttigli enti preposti alla conservazione e valorizzazione dei beniculturali. I dati sono stati memorizzati mediante proceduresoftware che ne garantiscono il formato omogeneo nell’ar-chiviazione, ciò al fine di rendere il flusso delle informazioni,indipendente dall’hardware, e integrabile con altre banchedati esistenti. Pertanto, all’incremento della banca dati con-corrono non solo le amministrazioni che si occupano dellatutela dei beni ma anche quelle che si occupano della tuteladel territorio.

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A cura di:CARLO CACACE, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Istituto Superiore per il Restauro - Responsabile banca dati SIT Carta del RischioNazionale