L’avventura delle idee -...

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Numero centoquattro Aprile 2015 Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra DISTRIBUZIONE GRATUITA www.socratealcaffe.it la Feltrinelli a Pavia, in via XX Settembre 21. Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30 pochi giorni dall’apertura dell’ Esposizione universale, devo confessare che l’avventura di idee che ha coinvolto negli ultimi anni i grandi temi di Expo 2015 è stata affascinante e paradigmatica. Il fascino deriva dal coinvolgimento di centri di ricerca nel mondo e di istituzioni accademiche nel confronto delle idee a proposito delle dimensioni plurali che i contenuti e le implicazioni di “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” chiamano in causa. Il paradigma che si è venuto via via mettendo a fuoco è quello di un approccio sistemico e multidimensionale alle grandi e radicali questioni della nutrizione in un mondo globalizzato e attraversato da severe contraddizioni e ingiustizie, tanto quanto da opportunità luminose. Penso alla complessa esperienza dei lavori di Laboratorio Expo della Fondazione Feltrinelli che con Società Expo ha costruito a partire dal 2013 una sorta di Accademia multidisciplinare, immersa in una rete di ricerca globale. E ha messo a fuoco le dimensioni della sostenibilità (Continua a pagina 2) GIORGIO FORNI Alle pagine 3-4-5 FONDAZIONE SARTIRANA ARTE L’EDITORIALE L’avventura delle idee di Salvatore Veca FONDART RENDE OMAGGIO A GHINZANI MELOTTI INCONTRA BOZZOLA A proposito di un recente libro. Riflessioni sul rapporto con l’Islam dopo Charlie Hebdo Luciano Musselli ALLE PAGINE 6-7-8 LA COMUNICAZIONE EF- FICACE GAIA VICENZI A pagina 2

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Numero centoquattro – Aprile 2015

Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca

Direttore responsabile Sisto Capra

DISTRIBUZIONE GRATUITA

www.socratealcaffe.it

la Feltrinelli a Pavia,

in via XX Settembre 21.

Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30

pochi giorni

dall’apertura

dell’ Esposizione

universale,

devo

confessare

che

l’avventura di idee che ha coinvolto negli

ultimi anni i grandi temi di

Expo 2015 è stata

affascinante e paradigmatica.

Il fascino deriva dal coinvolgimento di centri di

ricerca nel mondo e di

istituzioni accademiche nel

confronto delle idee a

proposito delle dimensioni

plurali che i contenuti e le implicazioni di “Nutrire il

pianeta. Energia per la vita”

chiamano in causa. Il

paradigma che si è venuto via

via mettendo a fuoco è quello di un approccio sistemico e

multidimensionale alle grandi

e radicali questioni della

nutrizione in un mondo

globalizzato e attraversato da

severe contraddizioni e ingiustizie, tanto quanto da

opportunità luminose. Penso

alla complessa esperienza dei

lavori di Laboratorio Expo

della Fondazione Feltrinelli

che con Società Expo ha costruito a partire dal 2013

una sorta di Accademia

multidisciplinare, immersa in

una rete di ricerca globale. E

ha messo a fuoco le dimensioni della sostenibilità

(Continua a pagina 2)

GIORGIO FORNI Alle pagine 3-4-5

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

L’EDITORIALE

L’avventura delle idee

di Salvatore Veca

FONDART RENDE OMAGGIO A

GHINZANI

MELOTTI INCONTRA BOZZOLA

A proposito di un recente libro. Riflessioni sul rapporto con l’Islam dopo Charlie Hebdo

Luciano Musselli

ALLE PAGINE

6-7-8

LA COMUNICAZIONE EF-

FICACE

GAIA VICENZI A pagina 2

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Pagina 2 Numero centoquattro - Aprile 2015

Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè

Il giornale di Socrate al caffè Direttore Salvatore Veca

Direttore responsabile Sisto Capra Editore

Associazione “Il giornale di Socrate al caffè” (iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)

Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia 0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected]

Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia

Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002

I PUNTI SOCRATE

in rapporto al fare cibo, alla

connessione fra cibo e culture, alle

ineguaglianze dei titoli e nell’accesso

al cibo, all’energia e al bene comune dell’acqua nella gran città del genere

umano, in cui da pochi anni, per la

prima volta nella storia del pianeta, la

popolazione urbana ha superato la

popolazione rurale. Mi piace ricordare, in proposito, che la prima

idea di Laboratorio Expo mi fu

suggerita qualche anno fa da Roberto

Schmid, quando lavoravamo insieme

all’avvio dell’esperienza dello IUSS.

Penso al lavoro di ricerca di molti

giovani delle nostre Università e al confronto fra idee e prospettive, fra

teorie, esperienze, pratiche e agenda

con i loro colleghi senior e junior di

Università e Istituti di tutto il mondo.

Il Patto della scienza, che emerge da

quasi tre anni di lavoro, è l’esito di questa avventura di idee, affascinante

e paradigmatica. E costituisce una

delle tessere del mosaico della Carta

di Milano, la legacy immateriale di

Expo 2015 a Milano. Un documento

di global citizenship che, muovendo

dalla convinzione secondo cui il diritto al cibo è un diritto umano

fondamentale, chiede un’assunzione

di responsabilità condivisa nei

confronti degli impegni per l’obiettivo

di un mondo senza fame. Impegni che coinvolgono donne e uomini, cittadini

di questo pianeta, la società civile, le

imprese e che chiamano in causa la

responsabilità delle istituzioni, dai

livelli nazionali al livello

internazionale e transnazionale. Penso a un semestre Expo, in cui

l’agorà si trasformi in uno spazio

pubblico globale per il confronto delle

idee, per la discussione pubblica, per

la partecipazione e la divulgazione dei grandi temi

al centro

della ricerca.

E,

soprattutto, mi sembra non solo

importante ma in certo senso

doveroso pensare a Expo come al terminus a quo di una ricerca che miri

agli obiettivi, difficili ma ineludibili, di

un futuro più degno di lode, di un

futuro sostenibile perché equo. I

cantieri dell’Expo delle idee sono

sempre in corso e proseguono dopo l’Expo. Questo non è un optional. È

un must, dettato dalla semplice

responsabilità intellettuale e civile. Salvatore Veca

(Continua da pagina 1)

el mio libro “La comunicazione Efficace” (ed. Dissensi),

propongo una serie di esercizi pratici per imparare a comunicare con gli altri rispettando loro ma anche noi stessi, con l’obiettivo ultimo di sentirci soddisfatti di noi, del nostro modo di pensare, del nostro modo di fare, del nostro modo di vivere nella società. Tra le abilità che sono necessarie per rendere le relazioni interpersonali di qualità, vi sono la capacità di iniziare un discorso, di intervenire in esso quando già avviato e di concluderlo quando il tempo o l’interesse a disposizione sono mancanti. Avere a disposizione una serie di “strategie” per mettere a punto questi tre importanti momenti della conversazione aiuta a vivere

serenamente la stessa e la sua conduzione. È anche importante sapere formulare critiche costruttive e non distruttive, così come è assolutamente necessario saper gestire le critiche, accogliendo con serenità quelle che riteniamo vere, ma gestendo con altrettanta calma quelle che consideriamo infondate. Contraltare delle critiche sono i complimenti: farli e riceverli richiede ugualmente un’abilità. Spesso dire cose positive ci imbarazza, nella paura che il commento gradevole sia letto con finalità strumentali e adulatorie. Vero è che è ugualmente difficile (se non di più), ricevere apprezzamenti: spesso tendiamo a sminuirli e a minimizzarli. L’effetto di una costante, esplicita sottovalutazione dei rinforzi che riceviamo dall’esterno porta i nostri

interlocutori a diminuirne l’emissione, impoverendoci e privandoci della possibilità di avere feedback su quanto facciamo. È ugualmente un’abilità quella di sapere fare domande che aiutino l’altro ad aprirsi, così come è una capacità quella di comprendere i limiti in cui fermare le proprie richieste. Un’importante dogma che può essere utile ricordare quando ci troviamo nella necessità di chiedere qualcosa è quello di pensare di poter chiedere quasi tutto purché sia riconosciuto all’altro il diritto di dirci di no. Infatti, anche il “dire di no” senza sentirsi in colpa è una competenza che va appresa ed esercitata. Infine, qualche pagina sottolinea l’importanza dell’ascolto e della capacità di gestire il silenzio, nelle infinite sfaccettature che esso può avere.

Il libro si conclude con due capitoli su due specifiche forme di comunicazione: la comunicazione efficace mentre si parla in pubblico e l’assertività adattata ai messaggi di Facebook, Whatsapp e all’utilizzo del cellulare. Così apro il capitolo sul parlare in pubblico: Se nella conversazione in coppia o in piccoli gruppi il pensiero “che cosa penserà di me chi mi ascolta?” è ticchettante, nei discorsi pubblici lo stesso pensiero è assordante. In effetti, lo scoglio principale da superare quando occorre esprimere le proprie idee davanti a un uditorio ampio è l’ansia. Ansia di non saper dire le cose, ansia di dire cose sbagliate, ansia di dire cose non interessanti. La buona notizia, in questi casi, è che l’ansia è gestibile e nelle righe di questo libro offro qualche spunto per imparare come.

Quanto all’ultimo capitolo, quello sull’assertività nei nuovi social media, il punto principale che sottolineo è che è necessario avere regole di “buona educazione” nella gestione di tali mezzi di comunicazione. Qualcuno ha provato a stilare un galateo di Internet per insegnare a “stare in rete” con eleganza. Io aggiungo a questi spunti alcune riflessioni su certi comportamenti che andrebbero evitati e su certi altri che andrebbero appresi e sui quali, invece, c’è ancora poca dimestichezza. Nel leggere il mio libro, trovando in esso strumenti pratici per rendere più efficace la propria comunicazione, vorrei potesse arrivare chiara l’idea di come, imparando a comunicare meglio, si impari anche a vivere meglio.

Tra le forme di ricchezza di cui disponiamo, il “capitale relazionale” è sicuramente un patrimonio importante.

Dalle relazioni con gli altri nascono tesori che sono elemento essenziale del benessere. L’uomo è “animale

sociale”; ma è anche vero che la socialità, per essere foriera di benessere, deve essere fonte di positività,

vissuta come costruttiva, serena. Le “abilità interpersonali” sono annoverate tra le abilità di vita - le

così dette life skills - ovvero quelle competenze cognitive, emotive e relazionali che rendono possibile affrontare con efficacia le richieste del

mondo quotidiano. L’assertività è una di queste, ovvero la capacità di esprimere se stessi, in modo autentico, senza provare disagio, ritenendo

ugualmente importante il diritto dei nostri interlocutori di comunicare essi stessi le proprie idee.

di Gaia Vicenzi

L’avventura delle idee

L’EDITORIALE

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Aprile 2015 - Numero centoquattro Pagina 3

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FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

i sono stato con Marco Savio («è bravo come Vandrasch ..., ma più economico», Alberto diceva) per fotografare alcune opere pronte per la

mostra di Bellinzona, inaugurata pochi giorni prima della scomparsa dell’amico. Alberto era in ansia per lo spazio imponente da affrontare, anche con sculture di grandi dimensioni. Il grande non era la sua cifra più congeniale, proprio come per Melotti, guarda il caso, occasione di questi ricordi su Socrate. Ho insistito per alcune pose di lui autore sovrapposto, quasi in trasparenza, sui suoi lavori. Immagini belle, nel casino grande dello studio, pieno di opere da terminare, materiali grezzi, colori, bozzetti su fogli appiccicati con pezzi di nastro alle pareti. Appunti. Atmosfera creativa nel capannone illuminato dal sole al tramonto che

entrava dalle vetrate sulla campagna lomellina. Mi ricordava una foto dello studio di Giacometti. Ancora non a caso. Alberto cercava dei poster e cataloghi di sue mostre passate per il nostro archivio in aggiornamento/integrazione … e un disegno da dedicarci, compenso per le riprese fotografiche appena fatte. Dediche affettuose che leggo su altre carte mentre le appendo a parete. A Loriana e me sposi, per i nostri 60 anni, per il matrimonio di Ginevra, ai nipotini (ad ognuno il suo ...). La piccola incisione per gli auguri del natale 1981, da primo presidente del nostro Centro Studi ... Tutti segni di un rapporto di amicizia e lavoro comune per la promozione della cultura visiva nei nostri luoghi. Ma con l’accento emozionale e partecipativo di … uno di famiglia. Storia per accenni di oltre trent’anni

di strette relazioni e collaborazioni a progetti discussi e vissuti insieme.

Viaggi, scorribande in luoghi improbabili (chiesette abbandonate, cappelle di cimiteri ...) alla scoperta di pezzi di passato dimenticato e negletto. Sculture o affreschi da documentare e restaurare, siti da segnalare, itinerari da costruire. Reti, appunto, tra enti e luoghi, da unire in percorsi di conoscenza. Alberto era questo e altro. Un’anima poetica, anche nella scrittura, meno nota delle espressioni plastiche per le quali è amato e apprezzato. Di noi per dopo è il titolo di 12 acqueforti con altrettante piccole note poetiche a fronte, stampate a Udine con Corrado Albicocco, appena tornate da una mostra alla Biblioteca Nazionale di Minsk. Altri fogli appendo, tutti venati da una sottile malinconia esistenziale che sottende a tutto

il suo lavoro. Anche in forme tangenti al filone principale, nei

gioielli, fusi dalla cera persa con gli orafi di Valle e Sartirana, che furono la miccia di innesco alla nascita della nostra collezione di ornamenti d’artista. Con il coinvolgimento di Melotti, ecco un altro intreccio, di Arnaldo Pomodoro e Benevelli, Consagra, Uncini e Maestri, quali Staccioli e Cavaliere, Bozzola (altro intreccio), idea sposata da un altro grande amico, Luciano Soletti, che non c'è più. Come Ivo Misani, sponsor generoso della prima mostra realizzata con i prototipi appena fusi (sotto l’occhio vigile del sempre presente Notaio Ugo Reitano). La chiamammo “disegnare l’oro” e avemmo Ornella Vanoni come madrina ... Potrei continuare, tanti sono gli spunti e le occasioni da approfondire, ancora per molto. Ma il racconto (lo dicevano Chatwin e altri che la sapevano lunga ...) non spegne la pena. Solo affievolisce, diluendoli, l’amarezza e il rimpianto.

ALBERTO GHINZANI, scultore

di fama internazionale e direttore

della Permanente di Milano, è mancato

il 5 aprile scorso nel capoluogo lombardo. Era nato a Valle Lomellina

nel 1939. Il ricordo

di GIORGIO FORNI

Da sinistra: MEMORIALE, STELE, ARMADIO DELLA MEMORIA; una delle acqueforti in Di noi per dopo; SPILLE, PAGINA BIANCA. Qui sotto: FIGURA CHE SI INOLTRA.

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Pagina 4

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

bbiamo anticipato ai giorni delle feste pasquali l’ultimo ciclo di presentazioni a Sartirana con un intreccio tra la ricerca di Bozzola e le opere, da tempo non esposte, di

Fausto Melotti. Si rincorrono quindi sulle pareti le lastre incise e i dipinti anni ‘50 del Maestro di Galliate con le acqueforti (tirate in via Giannone dal grande Franco Sciardelli, altro amico appena scomparso) e le tempere, delicate e progettuali, dell’antico proprietario del castello.

Di Melotti sono in mostra anche una serie di gessi dipinti (anni ‘60) e una piccola selezione di sculture, multipli in ottone, acquisite nel tempo direttamente dal Maestro o dalla figlia Marta. Ritorno atteso, questo delle opere di Melotti, da una lunga serie di presentazioni in Turchia e Libano, poi in molti Paesi sudamericani. Sempre con immenso successo. Ritorno felice e a un tempo mesto, quasi a segnare un destino, se leggiamo gli accadimenti. Con Alberto Ghinzani preparavo la grande antologica di Melotti che inaugurammo nei giorni della

scomparsa del Grande Maestro, quasi trent’anni fa. E mentre nei giorni scorsi aprivo le casse giunte da oltreoceano, con gli ottoni filiformi e musicali, tintinnanti di catenelle e campanellini, per riallestirli e iniziare la stagione … giunge la notizia della morte di Alberto. Che aspettavo nei giorni delle vacanze pasquali, dopo l’apertura della sua grande mostra a Bellinzona. Per criticare e suggerire, modificare o aggiungere, come era solito fare. In ogni occasione dei lunghi e fantastici anni di vivace e intensa gara a chi le progettava … più belle/impossibili/difficili ... Invece Alberto non è venuto.

Costringendomi a smontare di notte la sala di Scanavino per dedicare a Lui, ad Alberto assente, una sorta di felice e sontuosa sala di commiato. Non una celebrazione, un ricordo vibrante, piuttosto. Con le sue opere su carta, le sue Lomelline , i muri, le porte, i ponti , le incisioni e le piccole sculture, i disegni, i gioielli. Un bronzo tra tutti. Quello che Alberto chiamò “Figura che si inoltra” … , nell’ombra. Allusione di sapore egizio /etrusco a un viaggio dell’anima. Che oggi ha preso concretezza. Senza ritorno.

di Giorgio Forni

NELLE FOTO I GESSI DI FAUSTO MELOTTI: 1 - 3B, 1978 (27,5x42,5) 2 - 13B, 1981 (26x23,5) 3 - 16B, 1974 (33x24) 4 - 19E, 1974 (26x24) 5 - 24B, 1973 (33x24) 6 - 30B, 1977 (26x24) 7 - 32B, 1977 (26x24)

○1

○2 ○3

○4

○5 ○6 ○7

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Pagina 5

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

bbiamo anticipato ai giorni delle feste pasquali l’ultimo ciclo di presentazioni a Sartirana con un intreccio tra la ricerca di Bozzola e le opere, da tempo non esposte, di

Fausto Melotti. Si rincorrono quindi sulle pareti le lastre incise e i dipinti anni ‘50 del Maestro di Galliate con le acqueforti (tirate in via Giannone dal grande Franco Sciardelli, altro amico appena scomparso) e le tempere, delicate e progettuali, dell’antico proprietario del castello.

Di Melotti sono in mostra anche una serie di gessi dipinti (anni ‘60) e una piccola selezione di sculture, multipli in ottone, acquisite nel tempo direttamente dal Maestro o dalla figlia Marta. Ritorno atteso, questo delle opere di Melotti, da una lunga serie di presentazioni in Turchia e Libano, poi in molti Paesi sudamericani. Sempre con immenso successo. Ritorno felice e a un tempo mesto, quasi a segnare un destino, se leggiamo gli accadimenti. Con Alberto Ghinzani preparavo la grande antologica di Melotti che inaugurammo nei giorni della

scomparsa del Grande Maestro, quasi trent’anni fa. E mentre nei giorni scorsi aprivo le casse giunte da oltreoceano, con gli ottoni filiformi e musicali, tintinnanti di catenelle e campanellini, per riallestirli e iniziare la stagione … giunge la notizia della morte di Alberto. Che aspettavo nei giorni delle vacanze pasquali, dopo l’apertura della sua grande mostra a Bellinzona. Per criticare e suggerire, modificare o aggiungere, come era solito fare. In ogni occasione dei lunghi e fantastici anni di vivace e intensa gara a chi le progettava … più belle/impossibili/difficili ... Invece Alberto non è venuto.

Costringendomi a smontare di notte la sala di Scanavino per dedicare a Lui, ad Alberto assente, una sorta di felice e sontuosa sala di commiato. Non una celebrazione, un ricordo vibrante, piuttosto. Con le sue opere su carta, le sue Lomelline , i muri, le porte, i ponti , le incisioni e le piccole sculture, i disegni, i gioielli. Un bronzo tra tutti. Quello che Alberto chiamò “Figura che si inoltra” … , nell’ombra. Allusione di sapore egizio /etrusco a un viaggio dell’anima. Che oggi ha preso concretezza. Senza ritorno.

di Giorgio Forni

NELLE FOTO LE SCULTURE DI FAUSTO MELOTTI:

8 - I pendoli; 9 - Scultura 26; 10 - Cubo alfabeto; 11 - I magnifici sette; 12 - Il giudizio di Paride; 13 - Le nuvole;

14 - La luna al sole; 15 - Tema e variazioni n° 20; 16 - Tema e variazioni n° 6;

17 - Il triangolo; 18 - Insonnia

FAUSTO MELOTTI (foto Ugo Mulas)

○8 ○9

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○12

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○13 ○14

○15 ○16 ○17 ○18

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Pagina 6 Numero centoquattro - Aprile 2015

IMPRESA CALISTI PAVIA

1928-2015

TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVOTRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVOTRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO DI EDIFICI E MONUMENTI STORICIDI EDIFICI E MONUMENTI STORICIDI EDIFICI E MONUMENTI STORICI

Già nell’ultimo decennio del

secolo scorso Houellebecq si è

affermato come una delle voci

più originali della

letteratura francese

contemporanea. Narratore sempre in

bilico tra la

descrizione precisa

della realtà - quasi

anatomica nei suoi momenti di crudo realismo -,

l’analisi della solitudine

esistenziale e della tristezza

dell’homo urbanus contemporaneo (frustrato,

anaffettivo o addirittura oltre i limiti della psicosi, come ne

Le particelle elementari e La carta e il territorio), la fantasia

e la fantascienza

(fantabiologia compresa, come

ne La possibilità di un’isola),

nel suo lavoro più recente lo scrittore ha applicato le sue

doti a un esperimento nel

quale i temi consueti si

intrecciano con la

fantapolitica.

Houellebecq è oggi divenuto celebre, anche presso il vasto

pubblico, per una ipotesi che

nessuno, fra gli scrittori

odierni, aveva neppure osato

concepire. Nel 2022 la sfida (la vera e propria lotta, anzi,

se si considera il contesto di

violenza e di degrado sociale

che costituisce lo scenario del

romanzo) per le Presidenziali

vede protagonisti Mohammed Ben Abbes, leader carismatico di un partito

espressione della Fratellanza

Mussulmana, e Marine Le

Pen, a capo del Fronte

Nazionale. Per quanto sia a capo di una formazione di

minoranza, grazie alle lotte

interne fra i partiti del “fronte

repubblicano” (PS e UMP) Ben

Abbes riesce a diventare l’ago della bilancia. Le sinistre e il

centro-destra, infatti, pur di

non consegnare la vittoria al

Front e alla sua visione vicina

ai movimenti identitari

nazionalisti scelgono di appoggiare il candidato

islamico. Ben Abbes è un

politico capace e avveduto: assegna la presidenza del

Consiglio dei Ministri a un

vecchio politico centrista e

cattolico, François Bayrou (un

personaggio tratteggiato con

toni caricaturali) e promuove una islamizzazione di fatto del

Paese, condotta passo dopo

passo, facendo estrema

attenzione a non forzare i

margini sempre più ampi di tolleranza della nazione

francese. Il tutto mentre gli

ultimi ebrei, compresa la

giovane amata dal

protagonista (sulle cui

capacità amatorie Houellebecq indugia spesso),

lasciano la Francia. Sugli

aspetti narrativi tornerò in

seguito.

Come si è detto, l’opera ha avuto purtroppo vastissima

risonanza per il fatto che il

giorno della sua

presentazione ha coinciso con

la terribile strage di Parigi, in

cui ha perso la vita quasi l’intera redazione del

settimanale satirico Charlie Hebdo. L’evento reale ha

ingenerato un clima di

straniamento, già vaticinato da alcune tetre descrizioni

che si trovano nel romanzo,

dove peraltro si racconta di

una Parigi in preda ai

prodromi di una guerra civile, taciuti per comodità dai mass media. La presa di potere

islamica, anche per effetto

della capacità di controllo

della nuova élite sui

correligionari delle banlieu, fa

immediatamente cessare tale

stato di violenza mai riconosciuta, riconducendo la

vita francese a una normalità

solo apparente.

Un clima quasi da «cronaca di

una morte annunciata», dunque, che conferma gli

spunti che già emergono da

altre opere contemporanee di

ben diversa impostazione

argomentativa e ideologica.

Ne offrono due ottimi esempi Le suicide français di Éric

Zemmour (Albin Michel, Paris

2014, pp. 502) e L’identità infelice, di Alain Finkielkraut

(Guanda, Parma 2015, pp.

191), che affronta anche il

tema del pericolo

rappresentato dalle periferie

delle città, oramai islamizzate e di fatto ingovernabili.

Quanto alla letteratura

precedente, una ipotesi di

conformazione ai precetti

coranici di una nazione

occidentale si trova solo in un’opera dell’inizio del

Novecento. Ne L’osteria volante (The flying inn, 1914),

Gilbert Keith Chesterton

immagina che dei ricchissimi

plutocrati islamici ottengano dal Governo di Sua Maestà

che vengano messe al bando

tutte le bevande alcoliche, in

ossequio alla sharia. Alcuni

personaggi, strampalati e

coraggiosi, dichiarano allora guerra a un simile divieto.

Essi si spostano di continuo,

sfuggendo alle autorità con

l’aiuto di nuovissime carrozze

automobili, sulle quali hanno installato capienti botti di

birra con cui irrigare la

resistenza al nuovo regime:

l’osteria volante, insomma.

Ma si trattava, all’epoca, delle

ironie di un intellettuale dalla nota vena umoristica, che si

serviva del divieto esotico di

una religione lontana dal suo

contesto sociale per ironizzare

sulla società della sua epoca.

Qui, invece, ci

troviamo di fronte

alla descrizione, peraltro

angosciosamente

ambigua sul crinale

fra la fotografia

dell’oggi e l’ipotesi sul

domani, dell’abdicazione ai propri principi da parte di

una odierna democrazia laica.

Una democrazia nata

dall’illuminismo, che muore

di inedia e carenza di valori di

fronte alle (rozze, se si vuole) ma incrollabili certezze

religiose veicolate da folle

sempre più vaste di fedeli,

nell’acquiescenza silenziosa di

una società quasi completamente laicizzata,

ormai talmente frammentata

e individualista da risultare

politicamente irrilevante.

Grazie alle liti feroci tra la

destra identitaria e la sinistra multiculturale e

terzomondista (tra il partito

del sé e il partito dell’altro,

direbbe Finkielkraut), l’evento

che aleggia su tutta la prima

parte del romanzo prende finalmente forma, e la cosa

più inquietante per il lettore è

che, a questo punto, non si

tratta più di un trauma per il

protagonista o per la sua società: è anzi un evento,

(Continua a pagina 7)

UNO SCRITTORE, UN’OPERA, UN’EPOCA

Uno scrittore intellettualmente libero, un romanzo e l’ipotesi della presa di potere dell’Islam in Francia. Come è noto a tutti, al nuovo libro di Michel

Houellebecq è toccato il triste destino di raggiungere la fama non per la

padronanza della lingua e la maestria narrativa del suo Autore, ma per la

strage compiuta da terroristi islamisti presso la redazione del settimanale

satirico Charlie Hebdo il giorno stesso della sua uscita nelle librerie francesi.

PER L’OCCIDENTE

Riflessioni sul rapporto con l’Islam dopo Charlie Hebdo

A proposito di un recente libro

di Luciano Musselli

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Aprile 2015 - Numero centoquattro Pagina 7

ancora una volta, assorbito in

una apparente normalità.

MICHEL HOUELLEBECQ

Prima di addentrarci nel

romanzo è opportuno

chiederci chi sia, e quale sensibilità manifesti, l’autore

di un’opera così significativa

per la sua capacità di toccare

i nervi scoperti della nostra

società. A nessuno dice niente il nome

di Michel Thomas, nato

nell’isola della Réunion nel

1956. Houellebecq è infatti il

cognome della nonna

materna dello scrittore. Dopo la crisi coniugale dei genitori,

Michel fu affidato alla nonna

normanna, della quale in

seguito decise di assumere il

nome di famiglia. Il trauma dell’abbandono segnerà il

giovane con un marchio di

infelicità e carenze affettive,

destinate ad accrescersi per

effetto di un lavoro non

gratificante, prima nel campo della sua laurea in agraria e

poi in ambito informatico

(situazioni trasposte in

Estensione del dominio della lotta). Un margine indelebile

di solitudine, di difficoltà relazionale e comunicativa;

stati d’animo che pervadono

sia le sue poesie che i suoi

romanzi. Opere, come si è

detto, che spesso hanno per palcoscenico gli scenari in cui

tali tematiche emergono con

maggiore evidenza: la

metropoli, un futuro prossimo

e al tempo stesso incombente, post-moderno o addirittura

post-umano. Il trauma

dell’abbandono torna

puntualmente anche in

Soumission, dove il narratore

descrive con freddezza e distacco la morte dei suoi

genitori: la sepoltura solitaria

della madre e la sorprendente

scoperta di una seconda vita

del padre, fino ad allora

completamente ignorata. Le difficoltà umane di

Houellebecq, a un certo

punto, sembravano in parte

appianate. Con i lauti

proventi dei suoi primi libri, infatti, egli ha potuto

abbandonare il suo

insoddisfacente lavoro. Esse

riappaiono però bruscamente

a causa di un processo

intentatogli, su istanza di alcune associazioni islamiche

e antirazziste, per una

definizione sprezzante nei

confronti dell’Islam, che lo

scrittore aveva dato in una intervista in occasione della

diffusione del suo romanzo

Plateforme (2001). Anche se

assolto nel merito, lo scrittore

è stato fatto oggetto di ostilità

e minacce (che gli sono valse, anche prima degli eventi del

gennaio scorso, una vita sotto

scorta). Lascia Parigi e vive a

lungo in Irlanda e in Spagna.

Le sue vicende biografiche

entrano così a fare parte, ancora più profondamente,

della sua opera, con raccolte

di riflessioni (La ricerca della felicità) o in visionari racconti.

In Lanzarote Houellebecq fa

di se stesso il protagonista della narrazione; ne La carta e il territorio giunge

addirittura a immaginare e

descrivere il proprio

assassinio da parte di un

personaggio che ha tutta l’aria di rappresentare le sue

ossessioni letterarie e umane.

L’influsso della fantascienza,

secondo un filone che risale a

Howard Phillips Lovecraft (al

quale egli ha dedicato anche un saggio), è evidente nella

sua opera, così come

l’ascendente dei classici

ottocenteschi, che gli ispirano

accuratissime descrizioni, e anche - a mio avviso - quello

di Albert Camus (il Camus de

L’étranger). Nei suoi libri, ormai oggetto di

culto, vanno annoverati

anche componimenti poetici, a ricordare che Houellebecq,

ora tornato (non si sa quanto

stabilmente) a Parigi, inizia la

sua carriera letteraria come

poeta e continua tutt’oggi

lungo questo filone artistico. Nelle sue poesie più recenti si

può cogliere un ripensamento

delle sue tematiche

esistenziali e forse persino un

riavvicinamento alla sensibilità religiosa. Anche

sotto questo profilo, dunque,

il protagonista di Soumission esprime i tratti autobiografici

in fieri del suo

creatore.

IL LIBRO

Il libro qui

presentato, Soumission

(Flammarion

2015, o

Sottomissione,

nella buona

traduzione

italiana edita da Bompiani)

ripete il suo

titolo dal significato letterale

della parola Islam.

Sottomissione morale e

sociale al volere di Allah, in quel caso; sottomissione -

prima ancora che all’Islam - a

una realtà incombente e

annichilente, nel caso della

vicenda raccontata. È la storia di un uomo e della sua

nazione, la Francia, a cavallo

tra il secondo e il terzo

decennio del secolo in cui

viviamo.

Il protagonista di Sottimissione è, come in altri

romanzi di Houellebecq, un

uomo a cui il successo

professionale non ha portato

soddisfazioni durature e che

nella propria vita riconosce essenzialmente un

susseguirsi di vuoti.

Professore universitario di

letteratura francese, François

(si può forse individuare un intento allegorico nella scelta

del nome?) racconta la sua

vicenda umana in un mélange

di apatia, rassegnazione e

indeterminati sussulti di

rigenerazione destinati a cadere nel nulla. La sua

vicenda umana si rapporta in

continuazione con la persona

e l’opera di Joris Karl

Huysmans, lo scrittore

simbolo del decadentismo francese che, alla fine

dell’Ottocento, fece uscire il

romanzo dal solco del verismo

e del naturalismo con À rebours. Il rapporto fra

François e Huysmans, fra lo studioso e l’oggetto del suo

studio, è un tratto ricorrente

del volume e ripercorre in un

elaborato gioco di rimandi il

rapporto fra i due personaggi,

fra le rispettive opere e tra le due società che essi

rappresentano.

All’inizio del romanzo si

descrive la vita del

protagonista, dedito agli studi, al cibo, all’alcool e a

scostanti relazioni sessuali.

Prima studente di lettere alla

Sorbona, poi maître de

conference, grazie alla sua

lodatissima tesi su Huysmans

diviene professore in un’altra

Facoltà parigina. A un certo punto della sua vita appare

Myriam, una giovane e

bellissima ragazza ebrea che

per un poco scuote François

dall’apatia esistenziale. Nel frattempo lo scenario politico

e sociale si trasforma, senza

che nessuno sembri

accorgersene. Si assiste a una

lotta sotterranea tra i fautori

dell’identità francese e gli islamici; l’esito del conflitto

viene suggerito ben presto

dalla crescita progressiva

(come nell’odierna Turchia di

Erdogan) del numero di donne e anche di studentesse

velate. A questo fanno da

contorno avvenimenti strani,

ancora più inquietanti perché

lasciati in sordina da una

tacita e diffusa accettazione: controlli degli accessi alle

aule da parte di islamici, pur

cortesissimi; la progressiva

emigrazione degli ebrei

(un’ipotesi che si limita ad accentuare il processo oggi

realmente in corso in

Francia), compresa la focosa

amante del nostro professore.

Nel frattempo l’estrema destra del Front National sembra

incitare e preparare la guerra

civile contro gli islamici, un

trauma ritenuto ormai

indispensabile per salvare il

potere politico e la laïcité

tramite l’uso dell’esercito, ancora formato da giovani

identitari. La sinistra,

fiaccamente guidata da un

sempre più svuotato e

distante presidente Hollande,

persevera invece nei suoi ritualismi democratici senza

più sostanza o credibilità.

A questi ultimi epigoni della

Quinta repubblica si

contrappone, come si è detto, Mohammed Ben Abbes,

fautore di un modello

islamista dalle sembianze

moderate. Sotto le insegne

(Continua da pagina 6)

(Continua a pagina 8)

Associazione Amici dei Musei Pavesi

L’Associazione Amici dei Musei e Monumenti Pavesi propone per il mese di aprile

le seguenti iniziative culturali:

SABATO 9 MAGGIO - Visita alla mostra “Il Palma. Una prima mondiale”

Bergamo - GAMeC e ai pittori coevi nell’Accademia Carrara

SABATO 16 MAGGIO - PERCORSI IN PAVIA ANTICA: Palazzo Mezzabarba

a cura di Jessica Maffei - Ritrovo in piazza Municipio, ore 10,30

VENERDÌ 22, SABATO 23, DOMENICA 24 MAGGIO - Visita a Trieste e dintorni

Informazioni presso la segreteria di Santa Maria Gualtieri il martedì e il giovedì

dalle ore 16.30 alle ore 18.00 - email: [email protected]

NELLE FOTO - In prima pagina La moschea di Parigi. A pagina 6 in alto Michel Houellebecq ritratto da Filippo Pellini (www.rivistastudio.com); sotto La copertina dell’edizione italiana Sottomissione edita da Bompiani. Qui sopra, a sinistra lo scrittore francese Joris Karl Huysmans (1848-1907);

a destra Bataille de Poitiers di Charles de Steuben (1788-1856). A pagina 8 La copertina del numero di Charlie Hebdo dedicata a Houellebecq.

Page 8: L’avventura delle idee - socrate.apnetwork.itsocrate.apnetwork.it/blog/wp-content/uploads/2015/04/socrate104.pdf · lansia. Ansia di non saper dire le cose, ansia di dire cose sbagliate,

Pagina 8 Numero centoquattro - Aprile 2015

dell’economia sociale di

mercato e di una transizione ai valori tradizionali

dell’Islam, che promettono di

sanare anche le ferite aperte

del modello di vita occidentale

e secolarizzato, il partito di

Ben Abbes si afferma non soltanto per effetto

dell’accresciuto numero di

elettori mussulmani, ma

anche grazie alla sostanziale

acquiescenza di una società francese che non sembra più

intenzionata a perpetuare il

proprio modello culturale.

I mussulmani, fermati un

millennio prima da Carlo

Martello a Poitier, cercano la loro rivincita. Non a caso il

protagonista, a un certo

punto, compie un viaggio

verso questa città, per

ritrovare gli ultimi brandelli del cattolicesimo medioevale a

Rocamadour. François vive

questa esperienza come un

turista straniero che si rechi

in luoghi remoti e

culturalmente estranei; qui - per ironia, o meglio per quello

che André Breton avrebbe

definito humour nero - attende

in un isolamento quasi

mistico l’annuncio della

vittoria del partito islamico. A un certo punto sembra quasi

che, davanti alla Madonna

Nera, il suo animo venga

toccato dalla conversione, ma

è un tentativo inutile. Malgrado i suoi desideri e i

suoi aneliti, tutto muore,

dentro di lui, come prima di

allora erano morte le relazioni

sentimentali e i rapporti

umani con amici e colleghi. Nel frattempo gli islamisti

occupano silenziosamente le

periferie, per poi insediarsi,

nel pieno rispetto della

legalità formale, al potere. All’elezione segue il silenzio.

Nulla sembra più accadere e,

plasticamente, pare che cali

una cortina di ferro tra il

presente e l’immediato

passato. François coglie il primo segno

delle mutate condizioni

soltanto quando riceve dalla

sua Università una proposta

di congedo, in quanto non mussulmano, con condizioni

favorevolissime. Tornato a

Parigi, si vede poi affidare la

cura dell’edizione critica

dell’opera di Huysmans per la celebre collana Pléiades, che

gli viene dal nuovo rettore

della Sorbona. L’Università

erede della tradizione

cristiana e medievale ora è

stata simbolicamente

trasformata nella prima università islamica di Francia

per volontà dello stesso Ben

Abbes. Il rettore Rédiger,

convertito all’Islam e fornito

perciò di una splendida casa

e di giovanissime mogli, propone a François una

cattedra, con altissimo

stipendio e ogni altro benefit di rango riconosciuto dalla

nuova religione della République, con giovani mogli

annesse.

L’atto di sottomissione del

protagonista, all’esito di una

narrazione ancora più

sconvolgente proprio in quanto condotta con distacco,

a questo punto non risulta

più essere né un gesto

spontaneo né un gesto

coartato. È solo un atto di

rassegnazione completa, un’abdicazione liberatoria che

tuttavia ha il prezzo della

rinuncia a se stessi. Una

rinuncia tanto meno gravosa, in realtà, proprio in quanto

ciò che richiede è di lasciare

una esistenza poco o nulla

definita, slegata da affetti,

convinzioni morali o etiche.

Quello che il protagonista ottiene in cambio della

rinuncia a intrattenere

relazioni irregolari con le

studentesse - che poi

puntualmente lo lasciavano quando «incontravano

qualcuno» - è una situazione economicamente e

affettivamente solida; giovani

donne che si sentiranno

onorate di dividere il suo

letto; la stima della comunità di riferimento; un aiuto, in

fondo, a costruire su basi

estrinseche quell’amore di sé

che fino a quel momento egli

si era negato o non era stato

capace di raggiungere. Gli si offre, insomma, la chance d’une deuxième vite, sans grand rapport avec la précédente. François

commenta, laconico: Je n’aurais rien à regretter. Così si conclude, con l’abbandono dell’ultima larva

dell’ideale laico di vita, ridotto

a consumismo e solitudine, il

libro tutto centrato sulla

Francia e su Parigi. Una visuale alla francese, come è

stato ben notato da Gian

Arturo Ferrari, come se

null’altro di veramente

importante esistesse al

mondo oltre alle peculiarità della sfera etica e sociale

d’Oltralpe. Ma sono

osservazioni che non

scalfiscono l’importanza allegorica dell’opera. L’Europa

fa da contorno alla vicenda ed

è pronta a seguire l’esempio

della sua prima nazione,

come già fece al tempo di

Napoleone (ed è, questa del mutamento epocale che taglia

le radici con il passato,

un’idea che Houellebecq

aveva già esposto nel

preambolo a Le particelle elementari). Ben Abbes,

infatti, si intravede già come il nuovo imperatore; fa entrare

nell’Unione Europea non solo

la Turchia ma anche Algeria,

Tunisia ed Egitto. È il futuro

di un’Euroarabia che fonde in

sé, nella visione dello scaltro presidente, i fasti dell’Impero

Romano e la rivelazione

dell’Islam.

SOUMISSION

LA REALTÀ FRANCESE E I VALORI DELL’EUROPA

Fin qui l’autore e il suo libro.

Ma che rapporto ha

quest’opera con la realtà francese di oggi?

Se si assume come punto di

vista quello dell’ordinamento

giuridico, direi piuttosto poco.

La Francia è il primo Paese

che, nel 2004, ha proibito alle studentesse islamiche di

portare il velo a scuola, così

come in generale altri “segni

religiosi ostensivi”. Nel 2010

ha inoltre posto in essere il generale divieto di indossare

il velo integrale, anche se

l’applicazione di questo

secondo divieto non ha avuto

sempre vita facile. Il già ricordato libro di Finkielkraut

spiega con ricchezza di

argomentazioni filosofiche e

sociali il significato centrale di

questi provvedimenti.

Dal punto di vista sociale, le cose si fanno più sfumate. Sia

la moschea di Parigi, con il

suo storico rettore Danil

Boubaker, che il Conseil du Culte Musulman hanno

condannato senza mezzi

termini l’attacco a Charlie Ebdo. Tuttavia la stampa

francese ha riportato molti

casi di alunni di origine

mussulmana che, nei temi e

nelle discussioni in classe,

hanno difeso apertamente la

strage e i suoi autori. Da un lato si è trovato il coraggio, si

spera non effimero, di

stampare il numero

successivo del settimanale in

milioni di copie, di fronte a una strage che ha assunto

una valenza censoria di una

violenza e di una gravità con

pochi precedenti nella storia.

Dall’altro lato, la

manifestazione indetta a Parigi a favore della libertà e

della laicità rimarrà un

episodio importante, ma non

sembra avere indotto una

concreta volontà di rivisitare le politiche delle nazioni

europee nei confronti dei

fenomeni di estremismo

religioso. La destra nazionale,

che con un gesto di debolezza

e divisione si è deciso di lasciare fuori dalla

manifestazione del “fronte

repubblicano”, si spinge

invece a concepire apertis verbis la réimmigration, vale a

dire la pratica di rinviare nei

Paesi d’origine gli immigrati

non intenzionati a integrarsi

pienamente nel tessuto

sociale ospitante. Una

soluzione oggi adottata solo in caso di comportamenti

socialmente gravi, nei

confronti di soggetti sospettati

di terrorismo o in caso di

persistenza nella coabitazione poligamica.

La strage di Parigi ha avuto

un effetto di rilievo anche

negli ambienti liberal-radicali

che si richiamano al retaggio

dell’illuminismo, ponendo in maggior rilievo anche presso

tali studiosi e opinionisti la

necessità di tutelare i valori

repubblicani a livello del

dibattito pubblico e della coscienza sociale, pur senza

usare necessariamente leggi o

mezzi straordinari.

Nell’interpretazione di altri

autori, orientati a destra, la

strage e gli altri recenti attentati sarebbero la prova

eclatante di una strategia di

destabilizzazione messa in

atto per assoggettare la

Francia e l’Occidente in generale all’Islam.

Un’operazione colposamente

facilitata dalla politica

terzomondista e

autolesionista delle sinistre e

dei liberal-radicali, colpevoli di un “tradimento” della

République e della svendita

dei suoi valori fondativi.

Soumission si è inserito con la

perentorietà dell’atto artistico

in questo dibattito. Sia la stampa francese che

quella straniera, e italiana in

particolare, riconoscono ad

Houellebecq il merito di aver

messo il dito sulla piaga e di

aver ribadito una verità evidente ma così scomoda da

venire spesso rimossa dalla

coscienza collettiva: che il

modello di civilisation

francese non funziona più,

nel senso che ha cessato di comunicare i valori

occidentali e illuministici agli

immigrati, in particolare a

quelli di fede islamica.

Soprattutto nelle periferie, dove queste comunità

formano ormai un corpo

sociale distinto e ostile (lo

dimostrano ormai dieci anni

di recrudescenze periodiche delle sommosse nelle banlieu con slogan islamisti), pronto

nelle sue frange più

estremizzanti a lanciarsi in

imprese all’estero o anche

all’interno del Paese.

Il volume di Houellebecq, in questo senso, più che una

descrizione dell’inevitabile è

una provocazione bellissima e

salutare. È un messaggio

forte, che ci invita a

riappropriarci di valori, quelli dei diritti umani e

fondamentali, che oggi

soffrono proprio a causa della

tendenza ad abusarne e a

darli per scontati. Per la loro tutela, dunque, vi è bisogno

di un risveglio di

consapevolezza e della

testimonianza forte, anche

sul piano del diritto e delle

istituzioni, di chi in questi valori intensamente crede, sia

egli di impostazione religiosa,

agnostica oppure atea.

Luciano Musselli

(Continua da pagina 7)