Lavoro Di Studio Laura Picchi Letteratura Italiana

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Studio di Laura Picchi in Letteratura italiana Parte 1 La storia della Letteratura in generale Capitolo 1 L'Iliade , l'Odissea e l'Eneide Prima di iniziare a scrivere di Storia della Letteratura italiana si riportano le sintesi dell'Iliade e Odissea di Omero, dell'Eneide di Virgilio perchè nel programma del Liceo Classico. Sintesi Iliade Libro I – Per non aver restituito Criseide al padre, sacerdote di Apollo, Agamennone ha provocato l'ira del dio, che con un'epidemia devasta il campo acheo. Costretto a restituire la fanciulla, Agamennone prende in cambio Briseide, l'ancella dono onorifico di Achille. Irato, Achille giura che non parteciperà più alla guerra e chiede aiuto alla madre Teti che ottiene da Zeus la promessa che i Troiani avranno la meglio fin quando il figlio non avrà ottenuto riparazione all'affronto subito. La pestilenza si placa. Libro II – Zeus con un sogno ingannevole incita Agamennone ad attaccare Troia. Prima, però, il capo acheo vuole mettere alla prova l'esercito e, convocata l'assemblea, propone ai soldati che lo desiderino di tornare in patria. Il finto invito viene accolto e Odisseo insieme ad altri capi deve ristabilire l'ordine. Segue il catalogo delle forze greche e di quelle dei Troiani. Libro III – Paride propone di mettere fine al conflitto sfidando a duello Menelao. Viene stipulata una tregua. Dalle porte Scee Priamo, re di Troia, con gli anziani ed Elena assiste allo scontro. Paride sta per essere trafitto da Menelao, ma viene tratto in salvo da Afrodite che costringe Elena a recarsi da lui. Mentre Elena giace con Paride, Agamennone proclama la vittoria di Menelao e la guerra sembra così terminata. Libro IV – Nell'Olimpo Zeus promette a Era la caduta di Troia e manda Atena tra le schiere troiane per indurre Pandaro a rompere la tregua lanciando una freccia che colpisce Menelao. Ritorna ad infuriare la guerra. Libro V – Atena dà forza al greco Diomede, figlio di Tideo, che fa strage di Troiani e ferisce Afrodite mentre protegge il figlio Enea. Afrodite piangente fugge sull'Olimpo e chiede conforto alla madre Dione. Apollo salva Enea e i troiani, con l'aiuto di Ares, avanzano vittoriosi. Ares, ferito da Diomede, si ritira sull'Olimpo. Libro VI – I Troiani cominciano ad avere la peggio. Sul campo si incontrano intanto Glauco e Diomede, i quali, scoprendo di essere legati da vincoli di ospitalità, si scambiano le armature. Ettore, ordinati i sacrifici alle donne, si reca in città per ricondurre Paride a combattere, e alle porte Scee saluta con un commosso addio la moglie Andromaca e il figlio Astianatte. Ettore e Paride si avviano sul campo di battaglia. Libro VII – Duello tra Ettore e Aiace Telamonio. Sopraggiunge la sera e gli araldi sospendono lo scontro, si decide una tregua per raccogliere e cremare i morti. Il giorno seguente gli Achei costruiscono un muro a difesa delle navi. Libro VIII – Zeus, dopo aver proibito agli altri dei di intervenire, pone il destino dei due popoli sulla bilancia. La sorte è favorevole ai Troiani che, guidati da Ettore, respingono gli Achei.

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Studio di Laura Picchi in Letteratura italiana

Parte 1La storia della Letteratura in generale

Capitolo 1 L'Iliade , l'Odissea e l'Eneide

Prima di iniziare a scrivere di Storia della Letteratura italiana si riportano le sintesi dell'Iliade e Odissea di Omero, dell'Eneide di Virgilio perchè nel programma del Liceo Classico.

Sintesi Iliade

Libro I – Per non aver restituito Criseide al padre, sacerdote di Apollo, Agamennone ha provocato l'ira del dio, che con un'epidemia devasta il campo acheo. Costretto a restituire la fanciulla, Agamennone prende in cambio Briseide, l'ancella dono onorifico di Achille. Irato, Achille giura che non parteciperà più alla guerra e chiede aiuto alla madre Teti che ottiene da Zeus la promessa che i Troiani avranno la meglio fin quando il figlio non avrà ottenuto riparazione all'affronto subito. La pestilenza si placa. Libro II – Zeus con un sogno ingannevole incita Agamennone ad attaccare Troia. Prima, però, il capo acheo vuole mettere alla prova l'esercito e, convocata l'assemblea, propone ai soldati che lo desiderino di tornare in patria. Il finto invito viene accolto e Odisseo insieme ad altri capi deve ristabilire l'ordine. Segue il catalogo delle forze greche e di quelle dei Troiani.

Libro III – Paride propone di mettere fine al conflitto sfidando a duello Menelao. Viene stipulata una tregua. Dalle porte Scee Priamo, re di Troia, con gli anziani ed Elena assiste allo scontro. Paride sta per essere trafitto da Menelao, ma viene tratto in salvo da Afrodite che costringe Elena a recarsi da lui. Mentre Elena giace con Paride, Agamennone proclama la vittoria di Menelao e la guerra sembra così terminata.

Libro IV – Nell'Olimpo Zeus promette a Era la caduta di Troia e manda Atena tra le schiere troiane per indurre Pandaro a rompere la tregua lanciando una freccia che colpisce Menelao. Ritorna ad infuriare la guerra.

Libro V – Atena dà forza al greco Diomede, figlio di Tideo, che fa strage di Troiani e ferisce Afrodite mentre protegge il figlio Enea. Afrodite piangente fugge sull'Olimpo e chiede conforto alla madre Dione. Apollo salva Enea e i troiani, con l'aiuto di Ares, avanzano vittoriosi. Ares, ferito da Diomede, si ritira sull'Olimpo.

Libro VI – I Troiani cominciano ad avere la peggio. Sul campo si incontrano intanto Glauco e Diomede, i quali, scoprendo di essere legati da vincoli di ospitalità, si scambiano le armature. Ettore, ordinati i sacrifici alle donne, si reca in città per ricondurre Paride a combattere, e alle porte Scee saluta con un commosso addio la moglie Andromaca e il figlio Astianatte. Ettore e Paride si avviano sul campo di battaglia.

Libro VII – Duello tra Ettore e Aiace Telamonio. Sopraggiunge la sera e gli araldi sospendono lo scontro, si decide una tregua per raccogliere e cremare i morti. Il giorno seguente gli Achei costruiscono un muro a difesa delle navi.

Libro VIII – Zeus, dopo aver proibito agli altri dei di intervenire, pone il destino dei due popoli sulla bilancia. La sorte è favorevole ai Troiani che, guidati da Ettore, respingono gli Achei.

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Libro IX – In una riunione di capi dell'esercito, il greco Nestore consiglia una riconciliazione con Achille. Agamennone è d'accordo e disposto a concedere doni ricchissimi. Odisseo, Aiace e Fenice sono inviati come ambasciatori alla tenda di Achille che, seppure commosso dai loro discorsi, non può dimenticare l'offesa ricevuta e rifiuta di tornare a combattere.

Libro X – Durante la notte Odisseo e Diomede vanno a esplorare il campo troiano. Intercettano Dolone, la spia mandata da Ettore, e lo uccidono, dopo aver saputo da lui dell'arrivo del re di Tracia, Reso, con i suoi magnifici cavalli. Penetrati nell'accampamento dei Traci, rubano gli splendidi animali e tornano indietro.

Libro XI – Ha inizio il terzo giorno di combattimento, dominato dal valoroso Agamennone che respinge i Troiani fino alle porte Scee. La situazione peggiora e Nestore chiede a Patroclo di convincere Achille a riprendere il combattimento oppure a cedere le sue armi all'amico.

Libro XII – I Troiani incalzano e assaltano il muro. Con l'aiuto di Sarpedonte, figlio di Zeus, lo sfondano. Gli Achei fuggono.

Libro XIII – Nonostante il divieto di Zeus, Poseidone assiste gli Achei che resistono valorosamente. Aiace Telamonio sfida Ettore.

Libro XIV – Mentre Era distrae Zeus prima seducendolo poi facendolo cadere in un sonno profondo, Poseidone aiuta i Greci a respingere i Troiani. Ettore è tramortito da una pietra scagliata da Aiace.

Libro XV – Quando Zeus si sveglia ordina a Poseidone di lasciare la battaglia e invia Apollo da Ettore perché si rianimi. Ettore riprende a combattere alla testa dei Troiani e appicca il fuoco vicino alle navi achee.

Libro XVI – Patroclo, indossate le armi e presi i cavalli immortali Balio e Xanto dall'amico Achille, fa strage di nemici (uccide anche Sarpedonte) spingendosi fin sotto le mura di Troia e qui, colpito prima alle spalle da Apollo, viene trafitto da Ettore.

Libro XVII – Si combatte ferocemente intorno alla salma di Patroclo, gli Achei con difficoltà ne difendono il cadavere. Menelao può trascinare il corpo verso le navi mentre Balio e Xanto piangono la morte di Patroclo.

Libro XVIII – Il pianto di Achille per la morte dell'amico Patroclo è tanto disperato che la madre Teti accorre dalle profondità del mare e gli promette nuove armi. Ingigantito da Atena, Achille si mostra e atterrisce tutti con un orribile grido. Durante la notte Efesto, pregato da Teti, forgia nuove armi per Achille e in particolare uno scudo sul quale sono effigiati quadri di vita quotidiana.

Libro XIX – Teti porta al figlio le armi. Convocata un'assemblea dell'esercito, Achille e Agamennone si riconciliano, poi tutti si preparano a riprendere il combattimento e Achille si arma.

Libro XX – Zeus consente agli dei di partecipare all'ultima e decisiva battaglia. Poseidone salva Enea, Apollo salva Ettore, mentre Achille fa una strage.

Libro XXI – Achille riempie di cadaveri il fiume Xanto, ma Apollo, assunta la figura del troiano Agenore, respinge Achille e consente ai Troiani di rifugiarsi entro le mura.

Libro XXII – Ettore rimasto fuori dalle mura fugge di fronte ad Achille e per tre volte corre intorno alle mura della città. Zeus pesa il destino dei due avversari e la sorte di Ettore è segnata. Apollo lo abbandona e Atena, nelle sembianze del fratello Deifobo lo inganna promettendogli aiuto. Achille lo uccide. Invano Ettore morente gli chiede di restituire il suo corpo al padre Priamo. L'ira di Achille non si placa ed egli, legato il cadavere del nemico al carro, lo trascina nella polvere sotto lo sguardo di Priamo, Andromaca e della madre Ecuba.

Libro XXIII – Banchetto e giochi funebri celebrati in onore di Patroclo, la cui ombra appare all'amico Achille e chiede sepoltura.

Libro XXIV – Priamo, per volere degli dei, si reca da Achille per chiedere la restituzione della

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salma del figlio, offrendo in cambio ricchi doni. L'eroe, pensando al proprio padre, accetta l'offerta, restituisce il cadavere di Ettore e assicura una tregua di dodici giorni. La salma di Ettore viene arsa su una grande pira e riceve i dovuti onori dai suoi.

Sintesi Odissea

Libro I – Odisseo è trattenuto per volere di Poseidone, irato con l'eroe che gli ha accecato il figlio Polifemo, nell'isola Ogigia presso la ninfa Calipso. Ottenuto il consenso di Zeus, Atena, protettrice di Odisseo, si reca ad Itaca dove si sono insediati i Proci, un gruppo di pretendenti che da tempo aspirano alla mano di Penelope, e, sotto mentite spoglie, induce Telemaco a partire alla ricerca del padre Odisseo.

Libro II – Telemaco chiede aiuto agli itacesi contro i Proci. Antinoo, il loro capo, gli rammenta la promessa di Penelope: terminata la tessitura di una tela per il suocero Laerte, ella sceglierà come sposo uno dei pretendenti; in realtà la donna di notte sfila tutto ciò che ha tessuto durante il giorno. Senza informare nessuno, se non la nutrice Euriclea, Telemaco si procura una nave con l'aiuto di Atena e parte.

Libro III – Telemaco giunge a Pilo dove il re Nestore lo accoglie affettuosamente, senza però potergli dare notizie del padre. Telemaco parte quindi alla volta di Sparta insieme al figlio di Nestore.

Libro IV – A Sparta il re Menelao e la moglie Elena raccontano le imprese compiute a Troia da Odisseo e anche il suo soggiorno a Ogigia. Intanto a Itaca i Proci tramano contro Telemaco.

Libro V – Dopo una nuova assemblea, Zeus decide di inviare Ermes da Calipso per chiederle di lasciar partire l'eroe che finalmente, può lasciare l'isola di Ogigia a bordo di una zattera. Dopo diciotto giorni di navigazione Poseidone scatena una tempesta. Odisseo si salva e raggiunge naufrago la spiaggia dell'isola di Scheria, la terra dei Feaci, dove cade addormentato.

Libro VI – Nausicaa, figlia del re dei Feaci Alcinoo, indotta da un sogno mandato da Atena, si reca con le ancelle alla spiaggia. Svegliato dalle voci, si presenta loro Odisseo. Colpita dalla prestanza di lui, lo invita a seguirla in città.

Libro VII – Avvolto da Atena in una nube, Odisseo giunge al palazzo di Alcinoo. Il re e la regina Arete gli offrono ospitalità promettendogli di ricondurlo a Itaca.

Libro VIII – Durante un banchetto offerto in onore dell'eroe, l'aedo Demodoco canta le imprese della guerra di Troia. Odisseo turbato fa interrompere il canto e si commuove. Alcinoo chiede all'eroe chi egli sia.

Libro IX – Odisseo si rivela e racconta. Dopo la caduta di Troia, sfuggito agli attacchi dei Ciconi, Odisseo e i suoi compagni giungono presso i Lotofagi, il cui cibo toglie la memoria. Arrivano poi nella terra dei Ciclopi, giganti pastori con un solo occhio in mezzo alla fronte. Prigioniero del ciclope Polifemo, Odisseo con l'astuzia riesce a liberare sé e i compagni. Stordisce Polifemo offrendogli un vino delizioso e mentre il gigante è addormentato con un palo infuocato lo acceca. Polifemo invoca l'ira del padre Poseidone su Odisseo.

Libro X – Favoriti da un vento propizio mandato da Eolo, Odisseo e compagni si rimettono in navigazione. I compagni aprono però l'otre dei venti che l'eroe portava con sé, scatenando così una tempesta che li spinge nel paese dei Lestrigoni. Qui perdono le navi e, con l'unica rimasta, fuggono verso l'isola di Aia dove Circe trasforma in porci un gruppo di compagni di Odisseo. Avuta da Ermes un'erba magica, Odisseo salva i compagni e resta un anno presso Circe, che si è innamorata

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di lui. Quando Odisseo le esprime il desiderio di tornare in patria, la dea lo manda prima negli Inferi.

Libro XI – Odisseo raggiunge il paese dei Cimmeri. Compiuti i sacrifici scende negli Inferi dove incontra il vate Tiresia, che gli svela il motivo dell'ira di Poseidone, il difficile ritorno in patria e la morte in terra straniera; vede poi la madre Anticlea, Agamennone, Achille e mitici eroi come Tantalo e Sisifo.

Libro XII – Odisseo ritorna da Circe, ma riparte subito non prima di aver saputo dalla dea come superare le prove che lo attendono. Giunto per mare presso le Sirene, Odisseo per sfuggire al loro irresistibile canto ottura con la cera le orecchie dei compagni e lega se stesso all'albero della nave. Attraversa lo stretto di Scilla e Cariddi: costeggia il promontorio di Scilla, abitato dal mostro a sei teste, per evitare i gorghi di Cariddi. Sbarca in Trinacria, dove i compagni, tormentati dalla fame, uccidono alcune giovenche della mandria del Sole. Essi periscono poi in mare durante una tempesta suscitata dal dio. Odisseo naufrago approda all'isola Ogigia.

Libro XIII – Terminato il racconto, Odisseo con una rapidissima navigazione è ricondotto dai Feaci nella sua Itaca. Atena si presenta all'eroe in veste di pastore e insieme dicidono come affrontare i Proci. Odisseo viene trasformato in un vecchio mendicante e si reca dal porcaio Eumeo.

Libro XIV – Da Eumeo l'eroe riceve ospitalità e viene informato delle prepotenze dei Proci e della fedeltà di Penelope.

Libro XV – Intanto, a Sparta, Atena suggerisce a Telemaco di tornare a Itaca e recarsi da Eumeo.

Libro XVI – Odisseo si svela al figlio Telemaco. Eumeo va da Penelope ad annunciarle il ritorno del figlio.

Libro XVII – L'indomani Eumeo, Odisseo e Telemaco si recano alla reggia. Odisseo viene riconosciuto dal vecchio cane Argo, che dopo averlo salutato muore ai suoi piedi. Odisseo mendica tra i Proci e Antinoo lo colpisce con uno sgabello.

Libro XVIII – Odisseo vince al pugilato il mendicante Iro. Penelope si mostra e riceve ricchi doni.

Libro XIX – Mentre la vecchia nutrice Euriclea lava i piedi di Odisseo, lo riconosce, ma l'eroe la costringe a tacere. Penelope svela al mendicante la decisione di proporre ai Proci una gara con l'arco per scegliere il pretendente alle nozze.

Libro XX – Durante la notte Odisseo, sdegnato per quanto avviene nella sua casa, medita la vendetta.

Libro XXI – Penelope porta l'arco di Odisseo perché i Proci si sfidino nel far passare una freccia attraverso gli anelli di dodici scudi. I Proci tentano invano di tendere l'arco ma la gara è vinta da Odisseo. Telemaco impugna la spada.

Libro XXII – Si compie la vendetta. Uno dopo l'altro tutti i Proci cadono. Le ancelle che avevano frequentato i loro letti sono impiccate. Solo il cantore Femio e l'araldo Medonte vengono risparmiati.

Libro XXIII – Penelope non riesce ancora a credere che Odisseo sia tornato ma quando l'eroe, lavato e reso più bello da Atena, svela alla moglie il segreto della costruzione del loro letto nuziale, i suoi dubbi svaniscono.

Libro XXIV – Odisseo si reca dal padre Laerte e lo riconduce con sé alla reggia. Il padre di Antinoo per vendicare il figlio suscita una rivolta degli itacesi, ma Atena ristabilisce la pace tra Odisseo e il suo popolo.

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Sintesi Eneide

I - Una tempesta scatenata da Eolo, istigato da Giunone ostile ai Troiani, sorprende la flotta di Enea in navigazione dalla Sicilia verso l'Italia. L'intervento di Poseidone e di Venere consente a Enea, naufrago con sole sette navi, di approdare presso Cartagine. Didone, regina e fondatrice della città, accoglie benevolmente i profughi Troiani e offre loro un banchetto.

• II - Durante il banchetto Enea racconta le sue vicende: l'inganno del cavallo di legno che consente ai Greci di penetrare entro le mura di Troia e incendiare e distruggere la città; la fuga nella notte con il vecchio padre Anchise, il figlioletto lulo, la moglie Creusa e pochi altri; la perdita di Creusa e la partenza in cerca di una nuova patria.

• III - Prosegue il racconto di Enea: i Troiani arrivano in Tracia, dove conoscono la sorte di Polidoro, ultimo figlio di Priamo, ucciso dal re Polimestore, a cui era stato affidato; approdano a Delo, dove l'oracolo dà un responso sulla nuova sede, erroneamente individuata da Anchise in Creta; a Creta un sogno svela a Enea che la terra destinata è l'Esperia (o Ausonia); partono da Creta e giungono alle isole Strofadi, da dove le Arpie scacciano Enea; a Butroto in Epiro incontrano Andromaca ed Eteno; poi in Sicilia sfuggono il pericolo di Scilla e Cariddi e di Polifemo, e qui a Drepano muore Anchise.Salpati dalla Sicilia li assale la tempesta e naufraghi sulle spiagge libiche saio accolti dai Cartaginesi. Termina così il lungo racconto.

• IV- Didone s'innamora di Enea e lo confida alla sorella Anna. Giunone e Venere li fanno incontrare soli in una grotta. Entrambi cedono alla dolcezza dell'amore e s'illudono di poter trovare la felicità. Ma Giove invia Mercurio, che richiama Enea alla sua missione. L'eroe obbedisce e parte, nonostante le preghiere di Didone, che per la disperazione s'uccide, dopo oscure maledizioni e previsioni di futura vendetta.

• V - Enea naviga verso l'Italia. Si ferma in Sicilia dove celebra i ludi in memoria di Anchise. Qui le donne Troiane incendiano le navi per porre fine alle peregrinazioni. Solo quattro però vanno perdute grazie alla pioggia provvidenziale mandata da Giove. Enea è convinto in sogno da Anchise a lasciare le donne e i vecchi in Sicilia. Per loro fonda Segesta e sul monte Enea innalza un tempio a Venere. Poi riprende la navigazione, durante la quale cade in mare il nocchiero Palinuro.

• VI - Giunto a Cuma Enea, dopo aver compiuto i riti prescritti, è guidato dalla Sibilla nell'Averno. Passato il fiume Stige sulla barca di Caronte e placato dalla Sibilla il cane a molte teste Cerbero, Enea s'inoltra nel regno dei morti. Nei "campi del pianto" incontra Didone. Chiusa nel suo dolore la regina non risponde alle parole dell'eroe che cerca di giustificarsi. Giunge al Flegetonte, alla reggia di Plutone e infine ai "campi Elisi", sede dei beati, dov'è Anchise. Questi gli indica presso il fiume Lete le anime che purificate incarneranno i discendenti di Enea, da Remolo a Marcello, giovanissimo nipote di Augusto. Tornato dai compagni Enea è pronto a ripartire.

• VII- Nel Lazio Enea è accolto dal re Latino che gli promette in sposa la figlia Lavinia. Giunone manda la furia Aletto a suscitare l'ira di Amata, moglie di Latino, che s'oppone e vuole sia mantenuta la promessa di nozze fatta a Turno, re dei Rutuli. Scoppia la guerra. Rassegna dei guerrieri latini e italici, chiusa dalla vergine guerriera Camilla, fra le schiere dei Volsci.

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• VIII - Enea risale il Tevere per cercare alleati. Giunge da Evandro, re di un'umile colonia di

Arcadi sulle rive del fiume presso il Palatino, edificata negli stessi luoghi su cui sorgerà Roma. Evandro manda con Enea il figlio Pallante e cento cavalieri. Venere porta al figlio le armi fabbricate da Vulcano e lo scudo sui quale sono effigiati gli episodi della storia futura di Roma sino alla vittoria di Augusto ad Azio.

• IX - Turno attacca e da fuoco alte navi troiane che sì trasformano in ninfe. Eurialo e Niso, audaci guerrieri di Enea, vengono uccisi mentre tentano una pericolosa azione nel campo nemico. La guerra è cruenta e molti cadono da entrambe le parti.

• X - Nel concilio degli dèi Giove dichiara che nessuno, neppure lui stesso, può opporsi ai destino. Arriva Enea con gli alleati e la battaglia si fa sempre più aspra. Cadono Pallante ucciso da Turno e Mezenzio con il figlio Lauso, uccisi da Enea.

• XI - Una tregua permette la sepoltura dei morti e le spoglie di Pallante vengono restituite a Evandro. Si torna a combattere e muore eroicamente Camilla. I Troiani hanno la meglio. Turno decide di sfidare Enea a duello.

• XII - Prima che il duello cominci Giunone provoca un tumulto nel quale Enea resta ferito. Tratto in salvo da Venere è guarito e torna a combattere. I Troiani vittoriosi s'avvicinano alla città di Laurento e la regina Amata si toglie la vita. Enea affronta Turno in duello e l'uccide.

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Capitolo 2 La Divina Commedia di Dante AlighieriSintesi Divina Commedia

Inferno

Canto IDante si smarrisce nell' oscura selva dei suoi errori e peccati. Quando spera di poter salire sulla cima di un colle e rivedere la luce del sole, il cammino gli è sbarrato da tre fiere, simboleggianti lussuria, superbia ed avarizia, ed è costretto a retrocedere. Gli appare Virgilio, il suo modello di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante potrà ascendere al Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato battezzato, dovrà lasciarlo ad un' altra guida.

Canto IIÈ il tramonto. L'animo di Dante, che si era riaperto alla speranza, è nuovamente vinto dal dubbio. La visione dell'aldilà era stata concessa, prima della morte solo ad Enea e a San Paolo; ma il primo era stato eletto da Dio a fondatore di Roma, fulcro dell'impero e futura sede del pontificato; l'altro a stabilire con la sua predicazione la fede in Cristo, senza la quale non è dato salvarsi. Perché mai un tale dono di grazia dovrebbe ripetersi a beneficio di un uomo qualsiasi, senza particolari meriti e senza un visibile fine provvidenziale? Per vincere la viltà che offusca lo spirito di Dante e minaccia di distoglierlo dall'onorata impresa, Virgilio gli risponde che la sua salvezza sta a cuore a tre donne beate: la Vergine, Santa Lucia e Beatrice. Quest' ultima non ha esitato a scendere nel limbo per esortare Virgilio ad accorrere in aiuto del suo amico disperato ed impotente. A queste parole la virtù di Dante si rianima, come un fiore che il sole illumina all'alba; e con spirito ardito e franco si avvia, dietro la sua guida, per il cammino alto e silvestro.

Canto IIIVirgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che nella parte superiore porta incisa la famosa scritta conclusa con la sentenza "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".Entrambi attraversano l'uscio penetrando così nel mondo infernale. L'ambiente buio, e si sentono subito pianti, lamenti e grida dei dannati . Quell'anticamera dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro che vissero senza prendere mai

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una posizione, né buona né cattiva, inutili a sé stessi ed alla società. Tra le anime dannate si trovano anche gli angeli che nella guerra tra Dio e Lucifero non si schierarono né dall'una né dall'altra parte.Gli ignavi si lamentano della loro sorte perchè trascurati da tutti con disprezzo per non aver lasciato in vita nessun ricordo di sé. Sono continuamente punzecchiati da mosconi e vespe, così da versare ora inutilmente (sono solo cibo per vermi) quelle lacrime e quel sangue che in vita non furono in grado di versare. Sono anche costrette ad inseguire una insegna che cambia rapidamente posizione in ogni momento. Tra le anime Dante riesce a vedere quella di Celestino V, colui che per vigliaccheria aveva ceduto alla carica papale lasciando il posto a Bonifacio VIII, che il poeta ritiene responsabile del male di Firenze e del suo esilio. Questo papa voleva che la chiesa avesse anche il potere temporale.Dante guarda poi sul fiume Acheronte l'immensa schiera di anime pronte ad essere traghettate sull'altra sponda da Caronte.Il traghettatore infernale si fa rispettare, subito urla contro i dannati, minacciandoli e spaventandoli con percosse, poi si rivolge a Dante per impedirgli il viaggio.Virgilio salva tutto celebre frase "vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare", "così è stato deciso in Paradiso, là dove si può fare ciò che si vuole, e non chiedere altro", zittendo il demone.

Canto IVDante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi di colpe. Virgilio lo conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In un prato verde all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea, Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone. I poeti si allontanano dal Limbo nell'oscurità.

Canto VAll' entrata del secondo cerchio Minosse assegna ai peccatori il luogo in cui sconteranno la loro pena. Al suo interno gli spiriti dei lussuriosi sono trascinati da una tempesta incessante. Paolo e Francesca, amanti infelici uccisi dal marito di lei, raccontano a Dante la loro storia; questi si commuove e sviene nuovamente.

Canto VIAl risveglio Dante si ritrova nel terzo cerchio, dove i dannati per il

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peccato di gola giacciono prostrati da una pioggia scura, mista di grandine e neve, e vengono dilaniati da Cerbero, un mostruoso cane a tre teste con elementi umani. Non appena Virgilio ha placato la ferocia del custode dandogli in pasto una manciata di terra, un dannato si leva a sedere e richiama l'attenzione di Dante, dicendogli di essere fiorentino e di chiamarsi Ciacco. Alle domande di Dante sul futuro di Firenze, sulla situazione presente e sulle cause della discordia attuale, Ciacco risponde profetizzando un primo, effimero, successo dei guelfi bianchi seguito entro breve tempo da una più duratura vittoria della parte nera; quindi il dannato esprime un severo giudizio sulla condizione morale della città e indica nei vizi l'origine delle contese. Infine, dopo aver dato notizie sul destino ultramondano di eminenti personaggi fiorentini, Ciacco ricade a terra. Quindi Dante e Virgilio riprendono il cammino e, parlando della sorte dei dannati dopo il giudizio universale, arrivano sul ciglio del quarto cerchio, dove li attende Pluto.

Canto VIIIl quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, il dio greco della ricchezza, è quello degli avari e dei prodighi, condannati a spingere col petto pesanti macigni. Dante e Virgilio giungono poi alla palude dello Stige, in cui sono immersi iracondi ed accidiosi. I primi si percuotono e mordono a vicenda, i secondi giacciono sotto la superficie.

Canto VIIICosteggiando la riva dello Stige Dante e Virgilio giungono ai piedi di una torre dalla cui sommità partono segnali luminosi. Questi si rivelano essere avvisi di richiamo per Flegiàs, il traghettatore infernale che, reprimendo l'ira, accetta i due sulla sua barca. Durante la navigazione uno degli iracondi puniti nella palude si rivolge con arroganza a Dante: è il fiorentino Filippo Argenti che, dopo un breve scambio di battute ingiuriose, tenta di assalire la barca ma viene ricacciato da Virgilio nel fango dove è straziato dagli altri dannati. Infine la barca approda davanti alle mura della città di Dite, rosseggiante per il fuoco, protetta da uno stuolo di diavoli che impediscono a Dante e a Virgilio l'ingresso nel basso Inferno. Neppure le parole di Virgilio riescono a persuadere i diavoli a piegarsi alla volontà divina: di fronte alla loro ostilità e allo sconforto della sua guida Dante è preso dal terrore, anche se Virgilio lo rassicura e gli preannuncia l'arrivo di qualcuno in grado di aiutarli.

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Canto IXSulle torri delle città appaiono le Erinni, che chiamano Medusa affinché tramuti Dante in pietra. Interviene però un messo celeste, che apre le porte di Dite e fa entrare i poeti. All'interno delle mura, gli eretici giacciono in sepolcri infuocati posti in una pianura sconfinata.

Canto XUno dei dannati, Farinata degli Uberti, riconosce Dante e lo chiama a sé; egli avverte il poeta che il suo ritorno a Firenze sarà molto travagliato. Da un altro sepolcro Cavalcante de' Cavalcanti chiede a Dante notizie del figlio Guido. Poi i due poeti riprendono il cammino.

Canto XIDante e Virgilio, per assuefarsi al puzzo intollerabile, si riparano dietro la tomba del papa Anastasio II. Approfittando della sosta, Virgilio spiega a Dante l’ordinamento dell’inferno. Restano ancora tre cerchi da attraversare, il VII, l’VIII e il IX, dove sono puniti rispettivamente i violenti, i fraudolenti e i traditori . Fuori dalla città di Dite vi sono i peccatori per incontinenza. Questo ordinamento corrisponde all’esame dei vizi fatto da Aristotele nell’Etica.

Canto XIISiamo nel primo girone del settimo cerchio, custodito dai Centauri. Qui i violenti contro il prossimo giacciono nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Il centauro Nesso mostra a Dante alcuni dei dannati, tra cui Alessandro Magno, Guido di Monfort, Attila e Pirro.

Canto XIIINel secondo girone, custodito dalle Arpie, stanno i violenti contro se stessi, ovvero i suicidi, tramutati in piante, e gli scialacquatori, inseguiti e morsi da cagne affamate. Dante strappa un ramoscello da una pianta, che comincia a parlare: è Pier delle Vigne, che prega Dante di riabilitare la sua memoria.

Canto XIVNel terzo girone, in un deserto infuocato, i violenti contro Dio nella persona, ovvero i bestemmiatori, sono sdraiati a terra sotto una pioggia di fuoco; tra essi c'è il gigante Capaneo. Dante e Virgilio

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arrivano alla sorgente del Flegetonte, e qui il secondo spiega al primo l'origine dei fiumi infernali.

Canto XVSempre camminando sull'argine di pietra del ruscello di sangue, Dante e Virgilio si inoltrano nel settimo cerchio: viene loro incontro correndo un gruppo di sodomiti, violenti contro natura. Uno di essi, con grande stupore, riconosce Dante e ne richiama l'attenzione: Dante incontra così il suo maestro Brunetto Latini, uomo politico e intellettuale fiorentino, che, per parlare qualche istante con l'antico allievo, abbandona la schiera dei compagni di pena. Brunetto loda il discepolo e, dopo avergli predetto l'ostilità dei concittadini, attacca duramente il comportamento morale e politico delle fazioni fiorentine ed esorta Dante a non curarsi della cattiva sorte, tanto è l'onore che le sue qualità gli riservano. Quindi gli indica altri sodomiti, come lui tutti intellettuali e letterati illustri; infine, non prima di avergli affidato l'eredità morale della sua opera più significativa, il Tresor, si allontana di corsa per raggiungere la schiera con la quale è punito e per non essere raggiunto da un altro gruppo di dannati che avanza.

Canto XVIDante è riconosciuto da tre fiorentini, che gli chiedono se sono vere le brutte notizie su Firenze apprese da un dannato appena arrivato all'inferno, Guglielmo Borsiere; Dante risponde con un'aspra invettiva contro la corruzione della propria città. Proseguendo nel viaggio, i due poeti arrivano all'abisso in cui precipita il Flegetonte, e vedono salire da esso un orribile mostro: Gerione, simbolo della frode.

Canto XVIIGerione custodisce il terzo girone, quello dei violenti nell'arte, cioè usurai, seduttori e adulatori. I primi siedono al limite del deserto, presso l'abisso, con al collo delle borse recanti lo stemma della loro famiglia. Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione che li porta al fondo dell'abisso.

Canto XVIIICANTO XVIIILuogo: VIII cerchio: I bolgia: seduttori -

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II bolgia: adulatoriGerione ha lasciato scendere Dante e Virgilio all’ingresso dell’ottavo cerchio, detto Malebolge perché suddiviso in dieci fossati concentrici - le bolge appunto - collegati da ponticelli di roccia: il luogo è tutto dominato dal colore ferrigno della pietra e al centro termina in un profondo pozzo. Nella prima bolgia i dannati sono divisi nelle due schiere dei ruffiani e dei seduttori, che procedono ordinatamente in senso opposto come fanno sul ponte Angelico a Roma i pellegrini durante il Giubileo; camminando sull’argine Dante può riconoscere fra i ruffiani il bolognese Venedico Caccianemico, che brevemente gli espone la sua colpa. Dal ponte è possibile vedere in volto anche i dannati dell’altra schiera, fra i quali Virgilio indica Giasone, capo degli Argonauti e seduttore di Isifile e Medea. Nella seconda bolgia gli adulatori sono immersi nello sterco: qui Dante riconosce il lucchese Alessio Interminelli e, grazie al suggerimento di Virgilio, può vedere Taide, prostituta della commedia classica, mentre si graffia con le unghie lorde.

Canto XIXNella terza bolgia i simoniaci sono conficcati a testa in giù nella pietra; lingue di fuoco bruciano loro le piante dei piedi. Dante ne interroga uno, papa Niccolò III; questi scambia il poeta per Bonifacio VIII, che dovrebbe prendere il suo posto nella buca spingendolo più in basso, ed inveisce contro di lui. Dante pronuncia un discorso contro i papi simoniaci.

Canto XXLuogo: VIII cerchio: IV bolgia: maghi e indoviniNella quarta bolgia il contrappasso punisce la presunzione umana di divinare il futuro: gli indovini hanno la testa e il collo girati al contrario, così che, non potendo guardare avanti, sono costretti a camminare all’indietro procedendo lentamente e bagnando di lacrime il dorso. Anche Dante non trattiene il pianto alla vista della figura umana così deturpata, ma è aspramente rimproverato della sua immotivata compassione di fronte alla giustizia divina; quindi Virgilio gli mostra i maghi e gli indovini dell’antichità, Tiresia, Arunte, e Manto che gli offre il modo di narrare l’origine della città di Mantova. Su richiesta di Dante, la guida indica altri indovini, Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti e Asdente, solo accennando a maghe e fattucchiere. Infine, Virgilio esorta l’allievo a riprendere il cammino, perché la luna sta per tramontare sotto Siviglia e quindi

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sulla terra sono circa le sei del mattino.

Canto XXILuogo: VIII cerchio: V bolgia: barattieriDante e Virgilio sono sul ponte che attraversa la quinta bolgia, colma di pece bollente entro la quale sono immersi, invisibili, i barattieri. Improvvisamente appare sul ponte un diavolo che porta sulla spalla un dannato: gettandolo nella pece, fa sapere ai suoi compagni e ai due spettatori che si tratta di uno degli Anziani di Lucca, città ricca di pubblici amministratori che si arricchiscono vendendo per denaro le prerogative concesse ai loro uffici. Il lucchese cerca di liberarsi dalla pece, emergendo alla superficie, ma i diavoli preposti alla custodia dei dannati minacciano di straziarlo con i loro uncini se non si terrà ben nascosto entro la pece. Dopo aver fatto nascondere Dante, Virgilio arriva sul sesto argine per trattare con i diavoli che nel frattempo sono sbucati dalla loro tana sotto il ponte: dal capo Malacoda ottiene l’assicurazione all’incolumità sua e del suo allievo, che quindi richiama dal nascondiglio. Malacoda offre ai due una scorta di dieci diavoli fino al prossimo passaggio per la bolgia successiva, dato che il sesto ponte è crollato a seguito del terremoto concomitante alla morte di Cristo. Il diavolo mescola verità e menzogna, perché il terremoto ha fatto crollare tutti i ponti e non esiste nessun passaggio praticabile sulla sesta bolgia. Costretti a malincuore ad accettare l’offerta, Dante e Virgilio si incamminano sull’argine in compagnia della minacciosa e tragicomica scorta.

Canto XXIIIl barattiere Ciampolo di Navarra rivolge la parola a Dante; i diavoli tentano di uncinarlo, ma egli fugge tuffandosi nella pece. Due diavoli, Alichino e Calcabrina, si azzuffano rinfacciandosi la mancata preda e cadono nella pece. Dante e Virgilio approfittano del trambusto per fuggire.

Canto XXIIILuogo: VIII cerchio: VI bolgia: ipocritiPer paura che i dieci diavoli, beffati da Ciampolo e umiliati dal tuffo nella pece, possano inseguirli e attentare alla loro incolumità, Virgilio corre precipitosamente verso la sesta bolgia portando Dante

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in braccio come fa una madre con il figlio: non appena in salvo, i due vedono comparire sull’argine i diavoli, ormai inoffensivi perché incapaci di allontanarsi dal fossato a cui li ha ordinati la giustizia divina. La nuova bolgia è affollata dagli ipocriti, che camminano lentamente sotto il peso di cappe di piombo, esternamente dorate. Mentre i due procedono camminando sul fondo della bolgia, un dannato riconosce Dante dalla sua parlata toscana e lo invita a fermarsi con lui e il suo compagno di pena: i due ipocriti sono i bolognesi Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò, fondatori dell’ordine dei Cavalieri di Maria (detti popolarmente frati Godenti), che insieme furono podestà a Firenze. Crocifisso al suolo della bolgia c’è Caifas, che sconta così, insieme agli altri membri del Sinedrio, la condanna a morte di Cristo. Infine Virgilio domanda a Catalano di indicargli la via per la risalita: scopre così che tutti i ponti sulla bolgia sono franati, e che il diavolo Malacoda gli ha mentito.

Canto XXIVLuogo: VIII cerchio: VII bolgia: ladriDante e Virgilio giungono alla rovina del ponte crollato, tanto erta da essere impraticabile al vivo; dopo l’iniziale turbamento della guida e di riflesso anche dell’allievo per la difficoltà della risalita, Virgilio esorta Dante e lo aiuta nell’impresa che infine, dopo molta fatica e qualche rischio, li conduce sull’argine della settima bolgia. Dal nuovo fossato si leva una voce incomprensibile: dato che l’oscurità non permette di vedere dal ponte quello che succede sul fondo, i due scendono nella bolgia. Il luogo è infestato da ogni tipo di serpenti, con i quali sono legate dietro la schiena le mani dei peccatori, i ladri. Uno di questi, trafitto fra il collo e le spalle da una serpe, viene incenerito all’istante, ma, subito dopo, riprende sembianze umane risorgendo dalle sue ceneri come l’araba fenice. A compiere la metamorfosi è il pistoiese Vanni Fucci, ladro sacrilego, che, per vendicarsi della curiosità di Dante, gli profetizza l’ascesa dei guelfi neri a Firenze e la rovinosa sconfitta della parte bianca a Pistoia.

Canto XXVLuogo: VIII cerchio: VII bolgia: ladri

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Terminata la profezia, Vanni Fucci rivolge a Dio un gesto osceno di sfida, ma la sua superbia viene immediatamente punita dai serpenti che lo avvolgono fino a bloccarne i movimenti e le parole. Dante commenta l’intero episodio rivolgendo una dura invettiva contro Pistoia. Quindi compare Caco, il centauro colpevole del furto degli armenti di Ercole, con il dorso ricoperto di bisce. Lo seguono tre ladri, due dei quali subiscono metamorfosi: il primo si fonde con un serpente a sei piedi che lo ha avvinghiato come edera all’albero, formando una sola mostruosa creatura, il secondo si trasforma in serpe dopo essere stato trafitto da un serpentello che, contemporaneamente, diventa uomo. Nell’unico ladro che ha mantenuto il suo aspetto umano Dante riconosce Puccio Sciancato e nel serpente trasformato in uomo Francesco dei Cavalcanti, fiorentini come tutti gli altri protagonisti di queste metamorfosi.

Canto XXVIDante trasforma il suo sdegno per i tanti fiorentini incontrati all’Inferno in un’aspra invettiva contro la sua città, per la quale pronostica le sciagure che le augurano tutti i comuni toscani sottomessi al suo dominio. Quindi Dante e Virgilio risalgono il dirupo, fino a raggiungere l’argine da dove è visibile l’ottava bolgia. Il fossato è disseminato di fiamme in movimento, simili a lucciole in una sera d’estate, e ciascuna di esse custodisce un peccatore, colpevole di un aver suggerito e consigliato una frode. Restando sulla sommità del ponte, Dante nota una fiamma biforcuta ed esprime il desiderio di sapere chi cela; dopo aver saputo che vi sono puniti insieme Ulisse e Diomede, corresponsabili sia dell’inganno del cavallo che permise ai greci di espugnare Troia sia del furto fraudolento della statua di Pallade, prega la sua guida di far avvicinare la fiamma. Virgilio acconsente al desiderio, ma riserva a sé il compito di interrogarla: dalla lingua di fuoco Ulisse gli parla della sua sete di conoscenza del mondo e degli uomini, che lo condusse a lasciare la patria per intrapprendere un viaggio oltre le Colonne d’Ercole. Sfidando i divieti divini, Ulisse con un ristretto gruppo di compagni giunse in mare aperto: ma, ormai in vista della montagna del Purgatorio, un turbine inabissò la loro nave prima che potessero raggiungere la meta del loro desiderio di sapere.

Canto XXVII(Dante incontra l'anima di Guido da Montefeltro, che un diavolo

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disputò con successo a S. Francesco).Dopo le parole di Ulisse, un’altra fiamma attira i due poeti, muovendosi. Chiede notizie sulla Romagna. Dante fa un quadro della situazione politica della regione, dominata da uomini pronti alla guerra. L’anima si fa riconoscere dicendo: "Fui guerriero e poi frate , credendo così di riparare al male creato. Ma la sua conversione era stata soltanto formale, dettata dalla convenienza, il cordiglio francescano non aveva cinto un uomo nuovo. Alla sua morte San Francesco venne per portarlo in cielo, ma il diavolo lo fermò con queste parole: "Quest’anima deve seguirmi all’inferno, poiché è contraddittorio che ci si possa pentire di una colpa che si ha l’intenzione di compiere. Quando fu davanti a Minosse, questi girò otto volte la coda intorno al suo corpo, destinandolo al cerchio ottavo. Dopo la converasazione, la fiamma si fa indietro e Dante giunge al ponte che domina la bolgia dei seminatori di discordia.

Canto XXVIIILuogo: VIII cerchio: IX bolgia: seminatori di scismi e discordieNella nona bolgia il contrappasso punisce chi seminò discordie e provocò scismi, con squartamenti, mutilazioni e ferite ancor più sanguinose di quelle provocate dalle guerre più cruente della storia. Un diavolo è preposto alla punizione, che è tanto più spettacolare e orribile quanto più grave fu la colpa del dannato: fra questi Dante incontra Maometto con le interiora e l’intestino che gli penzolano da uno squarcio fra il mento e l’inguine, e suo genero Alì con il volto spaccato dal mento alla fronte. Dopo aver saputo da Virgilio che Dante è vivo, il profeta dell’islamismo gli raccomanda di avvertire lo scismatico fra Dolcino dell’assedio in cui lo stringerà il vescovo di Novara, affinché possa prepararsi e ritardare il proprio arrivo nella nona bolgia. Anche il romagnolo Pier da Medicina, con la gola squarciata e privo del naso e di un orecchio, affida a Dante un messaggio per due eminenti cittadini di Fano, preannunciando un prossimo tradimento del signore di Rimini, città che costò cara a un altro dannato, il tribuno Curione che spinse Cesare contro Pompeo e ora porta la lingua mozzata in gola. Quindi il fiorentino Mosca dei Lamberti con le mani mozzate chiede di essere ricordato come colui che diede inizio alle faide fra guelfi e ghibellini. Infine si presenta il trovatore Bertran de Born che, per aver istigato il re Enrico III a ribellarsi al padre, ora è smembrato egli stesso e porta in mano la propria testa come fosse un lume.

Canto XXIX Prima di lasciare la nona bolgia Dante cerca con gli occhi in essa un suo congiunto, Geri del Bello, seminatore di discordia, la cui morte

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violenta è rimasta invendicata, ma Virgilio gli ricorda che l’ombra di questo suo parente è passata sotto il ponte, mostrando sdegno e minacciandolo col dito, quando egli era tutto intento ad osservare Bertran de Born. Ripreso il cammino, i due pellegrini giungono sopra l’ultima bolgia dell’ottavo cerchio, nella quale si trovano i falsatori, divisi in quattro categorie: falsatori di metalli con alchimia, falsatori di persone, falsatori di monete, falsatori di parole. Con il corpo deformato da orribili morbi giacciono a mucchi o si trascinano carponi gli alchimisti. Due di questi dannati attirano l’attenzione di Dante: stanno seduti, appoggiandosi l’uno alla schiena dell’altro, e cercano, con furiosa impazienza, di liberarsi delle croste che li ricoprono interamente. Furono arsi sul rogo dai Senesi, il primo, Griffolino d’Arezzo, per non avere mantenuto fede alla promessa di far alzare in volo, novello Dedalo, uno sciocco; il secondo, Capocchio, per aver falsificato i metalli, da quell’eccellente imitatore della natura che fu in vita.

Canto XXXImprovvisamente compaiono due anime, pazze di furore: l'una si avventa su Capocchio da Siena, e azzannandolo al collo lo trascina, l'altra su Griffolino. Ma prima di essere sbranato, l'aretino rivela a Dante l'identità e il peccato dei due: sono il fiorentino Gianni Schicchi e Mirra, che si finsero un'altra persona per ottenere favori da un testamento l'uno, l'altra per commettere adulterio con il padre. Quindi a Dante appare un dannato, con il ventre rigonfio per l'idropisia, che confessa di essere maestro Adamo, e di aver falsificato il fiorino di Firenze su incarico dei conti Guidi da Romena, nel Casentino. Su invito di Dante, maestro Adamo denuncia l'identità di due suoi compagni di pena che sembrano fumare per la febbre: l'una è la moglie di Putifarre che accusò ingiustamente Giuseppe, l'altro falsario di parola è il greco Sinone che, fingendosi amico, convinse i troiani a far entrare il cavallo dell'inganno in città. Sinone reagisce alla denuncia di maestro Adamo, e i due danno vita a una rissa fatta di tragicomici colpi e di reciproche accuse. Dante rimane intento a seguire la lite fino a che non lo distolgono i rimproveri di Virgilio per aver dimostrato tanto volgare interesse.

Canto XXXILuogo: pozzo dei gigantiDante e Virgilio lasciano Malebolge, e, superato l’ultimo argine roccioso, si ritrovano immersi nel crepuscolo e odono un suono di corno più terribile di quello lanciato da Orlando a Roncisvalle. Per la

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scarsa luce Dante crede di vedere le torri di una città che sono invece, gli spiega Virgilio, giganti conficcati attorno al pozzo dalla vita in giù: via via che si avvicinano diminuisce l’errore e aumenta la paura di Dante. Giunti ai margini del pozzo Virgilio mostra al suo allievo Nembrot, il gigante responsabile della costruzione della torre di Babele, reso ora incapace di parlare una lingua comprensibile, poi Fialte che sfidò Giove tentando di scalare l’Olimpo e ora è incatenato in modo da non potersi muovere, mentre Briareo, di cui Dante ha chiesto notizie, è immobilizzato più lontano e non è visibile. Accanto a Nembrot è conficcato Anteo, il gigante ucciso da Ercole, libero da catene perché non prese parte alla rivolta contro Giove: dopo averlo blandito, Virgilio gli chiede di trasportarlo sul fondo del pozzo. Anteo non può opporsi alla richiesta, quindi distende la mano e afferra Virgilio, che a sua volta stringe a sé Dante; infine depone i due sulla distesa ghiacciata di Cocito.

Canto XXXIICocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il capo rivolto in alto: tra essi Bocca degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un dannato che rode la testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.

Canto XXXIIIIl dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino della Gherardesca, la sua vittima l'arcivescovo Ruggeri. Dante e Virgilio passano poi nella zona detta Tolomea, dove i traditori degli amici tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si congelano sugli occhi: tra essi frate Alberigo e Branca Doria.

Canto XXXIVL'ultima zona di Cocito è la Giudecca, dove i traditori dei benefattori sono completamente immersi nel ghiaccio. Ora Dante e Virgilio sono di fronte a Lucifero, infisso nel ghiaccio dalla vita in giù. Esso ha tre teste, e ciascuna delle tre sue bocche dilania un peccatore: la prima Giuda, la seconda Bruto, la terza Cassio. I due poeti si aggrappano al corpo di Lucifero e lo ridiscendono, passando nell'emisfero terrestre meridionale. Attraverso uno stretto budello riescono a ritornare in superficie in corrispondenza degli antipodi.

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Sintesi Purgatorio

Canto I

Venuti fuori dalla voragine infernale, Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia di un'isola situata nell'emisfero antartico, nella quale si eleva la montagna del purgatorio. Inizia il secondo momento del viaggio di Dante nell'oltretomba, durante il quale argomento del suo canto sarà la purificazione delle anime prima di salire in paradiso: necessaria è perciò la protezione delle Muse, che egli invoca prima che la sua poesia affronti il tema dell'ascesa alla beatitudine eterna. L'alba è prossima e i due pellegrini procedono in un'atmosfera ormai limpida e serena; dove brillano le luci delle quattro stelle che furono viste solo da Adamo ed Eva prima che fossero cacciati dal paradiso terrestre, situato per Dante sulla vetta del monte del purgatorio. Volgendo lo sguardo verso il polo artico Dante scorge accanto a sé la figura maestosa di un vecchio: è Catone Uticense, che Dio scelse a custode del purgatorio. Poiché egli li crede due dannati fuggiti dall'inferno, Virgilio spiega la loro condizione e prega che venga loro concesso di entrare nel purgatorio, promettendo a Catone di ricordarlo alla moglie Marzia, che si trova con Virgilio nel limbo. Il vecchio risponde che una legge divina separa definitivamente le anime dell'inferno da quelle ormai salve; ma non è necessaria nessuna lusinga, dal momento che il viaggio è voluto da una donna del cielo. Infine Catone ordina a Virgilio di cingere Dante con un giunco (simbolo d'umiltà) e di detergergli il volto da ogni bruttura infernale. I due pellegrini si avviano verso la spiaggia del mare per compiere i due riti prescritti da Catone

Canto IIDante e Virgilio si trovano ancora sulla riva del mare quando vedono approdare sul lido una piccola imbarcazione a bordo della quale si trovano l'Angelo nocchiero e le anime degli espiandi che in coro intonano il salmo In exitu Israel). Dopo aver ricevuto la benedizione dell'Angelo, gli spiriti scendono sulla spiaggia, e ignari della strada da prendere per raggiungere la montagna del Purgatorio, chiedono informazioni ai due poeti. Virgilio risponde loro confessando di essere anch'egli inesperto del luogo. A quel punto, le anime si rendono conto che Dante è ancora vivo e la loro meraviglia è tale che per guardar lui dimenticano quasi di andarsi a purificare. Una di loro si fa avanti e pochi versi dopo apprendiamo che si tratta di Casella, il musico, amico di Dante. Quest'ultimo si mostra stupito di trovarlo in quel luogo e in quel momento, dato che molto tempo è ormai passato dalla morte di costui. Il dubbio del poeta non sarà sciolto che parzialmente dalle parole di Casella,

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il quale ricorda che è alle foci del Tevere che si raccolgono le anime destinate al Purgatorio. Dante che prima lo aveva pregato di fermarsi a parlare con lui adesso gli chiede di consolare il suo spirito con il canto, come faceva un tempo. Casella intona allora un testo dello stesso Dante, la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, e la dolcezza del suo canto ammalia tutti, Virgilio compreso, distogliendoli dal loro dovere. A scuoterli dall'oblio interviene Catone, riapparso all'improvviso, che rimprovera la loro negligenza e incita le anime all'espiazione: esse allora, simili a colombe spaventate, fuggono verso il pendio del monte. E i due poeti riprendono il cammino.

Canto IIIDopo il rimprovero di Catone, mentre Dante e Virgilio si avviano verso il monte, il poeta latino in una lunga esortazione invita gli uomini ad accettare il mistero di cui avvertono l'esistenza: i saggi antichi che vollero spiegarlo, scontano ora nel limbo il loro folle desiderio. Mentre sostano ai piedi dell'erta. parete rocciosa, compare una schiera che avanza lentamente e verso la quale essi si dirigono, per chiedere informazioni. Sono le anime di coloro ché morirono nella scomunica della Chiesa, pentendosi solo in fine dì vita, e che devono restare fuori della porta del purgatorio, nella zona chiamata antipurgatorio, trenta volte il tempo durante il quale vissero scomunicati. Esse invitano i due pellegrini, a procedere davanti a loro, verso destra, mentre una si rivolge direttamente al Poeta: è lo spirito di Manfredi di Svevia, morto nella battaglia di Benevento nel 1266. Egli prega Dante di riferire alla figlia Costanza la vera storia della sua morte; ricevute le due ferite che ancora deturpano la sua figura, si affidò pentendosi, prima di morire, alla misericordia divina. Ebbe dapprima sepoltura sotto un cumulo di sassi, secondo l'uso guerriero, ma i suoi nemici guelfi; e in particolare il vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, legato del papa Clernente IV, vollero disseppellire il suo corpo e lo abbandonarono fuori del territorio della Chiesa (dove gli scomunicati non potevano essere sepolti), lungo le rive Garigliano. Chiede infine che Costanza preghi per lui, perché le preghiere dei vivi aiutano ed abbreviano il tempo della purificazione.

Canto IVTre ore sono trascorse dall'apparizione dell'angelo nocchiero quando Dante e Virgilio, in seguito all'indicazione delle rime degli scomunicati, iniziano la salita lungo uno stretto sentiero, la cui

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ripidità è tale che solo il grande desiderio di purificazione può aiutare a percorrerlo. Durante l'ascesa Dante può rendersi conto, meglio che non quando si trovava ancora lungo la spiaggia, dell'altezza e dell'asperità del monte del purgatorio: ha un momento di scoraggiamento, dal quale il maestro lo scuote esortandolo a raggiungere un ripiano sul quale potranno riposare. Qui giunti, Virgilio spiega al discepolo perché i raggi del sole nel purgatorio provengono da sinistra, mentre nell'emisfero artico chi guarda verso levante vede il sole salire nel cielo alla sua destra. Ma Dante teme l'altezza del monte e Virgilio lo rassicura: l'ascesa è difficile solo all'inizio, quando si è ancora sotto il peso del peccato, poi si presenterà man mano sempre più facile ed agevole. Non appena il poeta latino termina di parlare, si leva improvvisamente una voce verso la quale i due pellegrini si dirigono, finché si trovano davanti a una grande roccia alla cui ombra giacciono le anime dei negligenti, che, per pigrizia, si pentirono solo all'estremo della vita e che, per questo, devono restare nell'antipurgatorio tanto tempo quanto vissero. Chi ha parlato è il fiorentino Belacqua, che Dante conobbe e con il quale il Poeta stabilisce un affettuoso colloquio finché Virgilio gli ingiunge di proseguire il cammino

Canto VContinuando a salire, Dante e Virgilio incontrano i negligenti morti violentemente. Questi notano che il corpo di Dante proietta l'ombra, e quindi è vivo; lo pregano perciò di dire loro se riconosce qualcuno per il quale fare pregare i vivi. Pur non conoscendone nessuno, Dante promette di esaudire i loro desideri; si fanno avanti Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei.

Canto VIIl canto inizia con le anime dei morti uccisi per violenza che fanno ressa intorno a Dante per raccomandarsi a lui e alle sue preghiere.Esse gli si accalcano intorno, e a ciascuna Dante promette dunque di ricordarle, una volta tornato sulla Terra.Per descrivere questa situazione, il poeta ricorre ad una similitudine, nella quale paragona se stesso ad un vincitore del gioco della “zara”.La zara era un gioco piuttosto popolare all’epoca, ed era una specie di morra che si era soliti praticare nelle taverne o nelle osterie, facendo uso di tre dadi.Il gioco era di origine orientale, infatti il termine “zara” altro non è che la storpiatura della parola araba (“zahr”) che significa “dado”, e

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dalla quale in italiano deriva anche la parola “azzardo”.Virgilio nota in disparte l'anima di Sordello, poeta mantovano come lui, e lo abbraccia. A quella vista Dante amaramente ricorda come gli Italiani siano invece in continua lotta fra loro, con i Fiorentini in prima fila.

Canto VIISordello,mentre si avvicinano,dice che già prima del tramonto indicherà i personaggi che stanno in questo posto.Così dicendo,passa in rassegna i principi negligenti:Rodolfo,Ottocaro,che si nutri di lussuria e ozio,Filippo III e Enrico I.L'elenco continua con il robusto Pietro III d'Aragona e con Carlo I d'Angiò.Ma le sue virtù,purtroppo,non si trasmisero agli altri eredi.Esse sarebbero state ben tramandate se fosse salito al trono il giovanetto,che ora risiede accanto a lui.Da questo episodio Dante trae spunto per dimostrare che la virtù non si eradita da padri,ma discende da Dio,come una grazia.Sordello indica ancora Arrigo III d'Inghilterra,seduto in disparte, e poi posto in luogo piu basso,Guglielmo VII,alla cui morte segui una dolorosa guerra nelle regioni del suo marchesato(Monteferrato e Canavarese.

Canto VIIIScende la sera nella valletta, un'anima intona il Salmo liturgico di compieta ”Te lucis ante” cui rispondono devotamente tutte le altre. Scendono dal cielo due angeli “verdi come fogliette pur mo nate” che dovranno scacciare il serpente tentatore, poi Dante, Sordello e Virgilio si inoltrano nella valle.Qui i nobili che si presentano sono ancora memori della vita breve: Nino di Gallura rimprovera la moglie Beatrice d'Este di aver smesso presto le bende vedovili per sposare Giangaleazzo Visconti di Milano. Corrado Malaspina predice a Dante l'esilio e questi loda il “pregio della borsa e della spada” (quindi tutto mondano) di quella stirpe nobiliare potente in Lunigiana.

Canto IXDante si addormenta e sogna di volare in groppa ad un'aquila fino alla sfera del fuoco, dove entrambi bruciano. Al risveglio Virgilio lo conduce alla porta del Purgatorio, dove un angelo incide con la spada sulla sua fronte sette P (simboleggianti i sette peccati capitali da cui Dante dovrà purificarsi durante il viaggio).

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Canto XVarcata la porta, i due poeti salgono su un cornicione del monte la cui parete sul lato interno è colma di bassorilievi in marmo bianco riproducenti esempi di umiltà. Qui i superbi camminano curvi sotto il peso di enormi macigni, studiando gli esempi dei bassorilievi.

Canto XITra i superbi ci sono nobili senesi come Umberto Aldobrandeschi, conte di Santafiore, e Provenzan Salvani, ma ci sono soprattutto gli artisti: il miniatore Oderisi da Gubbio considera quanto breve sia la fama terrena: Cimabue è superato da Giotto, Guinizzelli da Cavalcanti. La vita è un attimo in confronto all'eternità, la fama appassisce come l'erba (Salmo 89).Dante è attento all'evoluzione dell' arte e alla gloria dei grandi, ma bada soprattutto alle conseguenze psicologiche e morali che travolgono chi nel mondo raggiunge tale gloria.

Canto XIIPiù avanti, i bassorilievi mostrano esempi di superbia punita: Lucifero, i Giganti, Saul, Ciro, Troia ed altri ancora. L'Angelo dell'Umiltà cancella la prima P dalla fronte di Dante. I due poeti arrivano ad una scala piuttosto stretta.

Canto XIIISiamo nella seconda cornice, dove spiriti volanti e invisibili gridano esempi di carità e invidia punita agli invidiosi che, seduti col cilicio e le palpebre cucite da fil di ferro, cantano litanie dei Santi; tra essi la senese Sapia.

Canto XIVGuido del Duca chiede a Dante la sua provenienza, e Dante risponde con una perifrasi. Rinieri de' Calboli chiede perché il poeta non abbia dato una risposta diretta, ma risponde Guido sostenendo che è giusto che la Val d'Arno non si nomini più e lanciandosi in un'aspra invettiva contro la Toscana e la Romagna.

Canto XVSono le tre del pomeriggio, e i due poeti si trovano ancora nel secondo girone, quando Dante viene colpito da una luce abbagliante che lo costringe a schermarsi il volto con la mano per

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poterne sostenere la vista. Tale fulgore promana dall'angelo disceso a indicare loro il modo per poter salire al terzo girone, quello degli iracondi. Durante l'ascesa Dante espone alla sua guida un dubbio, nato in lui ascoltando le parole di Guido del Duca. Ma la risposta di Virgilio è causa nella mente di Dante di un ulteriore interrogativo: allora Virgilio, dopo una spiegazione parziale, lo esorta a purificarsi dei peccati in attesa di essere illuminato dalle parole di Beatrice. Nel frattempo essi sono arrivati nel terzo girone e subito a Dante appaiono tre visioni: quella di Gesù giovinetto al tempio, quella della clemenza di Pisistrato e quella della lapidazione di Santo Stefano. Virgilio che sa perfettamente in quali spettacoli sia immersa la mente di Dante, lo sprona a proseguire il cammino poiché si sta facendo sera. L'immagine conclusiva del canto è quella dei due poeti avvolti in una cortina di fumo nero e quindi impossibilitati a vedere alcunché.

Canto XVIGli iracondi camminano recitando l'Agnus dei avvolti in una nuvola di fumo. Uno di essi, Marco Lombardo, spiega a Dante la teoria del libero arbitrio e le cause della corruzione della terra, portando l'esempio della Lombardia.

Canto XVIIDopo aver assistito ad esempi di ira punita, Dante e Virgilio giungono all'uscita della terza cornice, dove l'Angelo della Pace cancella la terza P. Virgilio spiega a Dante come sia ordinato il Purgatorio.

Canto XVIIINella quarta cornice gli accidiosi si spronano vicendevolmente alla corsa continua, gridandosi esempi di sollecitudine. L'abate di San Zeno spiega ai poeti come salire alla cornice successiva. Dante, dopo aver sentito gli esempi di accidia punita, cade nel sonno.

Canto XIXDante sogna una brutta donna, che al suo sguardo diventa sempre più bella; ma interviene Virgilio che ne strappa le vesti rivelando il suo ventre fetido. Dante si sveglia di soprassalto e racconta il sogno a Virgilio; questi lo spiega identificando nella donna il troppo amore per i beni terreni, colpa che viene punita nelle cornici superiori. Si arriva così alla quinta cornice, dove avari e prodighi giacciono proni,

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legati mani e piedi; tra essi papa Adriano V.

Canto XXUgo Capeto grida esempi di povertà e generosità; vedendo i due poeti, maledice i suoi discendenti, accennando alla discesa in Italia di Carlo d'Angiò e a Filippo il Bello che ruberà il tesoro dei Templari. Improvvisa arriva una scossa di terremoto e gli angeli cominciano a cantare.

Canto XXIIl poeta Stazio spiega a Dante e Virgilio che il terremoto avviene ogni volta che un'anima ormai purificata si sente pronta per salire al cielo; questo è quanto accade ora a lui, dopo un'espiazione pluricentenaria.

Canto XXIII tre poeti arrivano all'uscita, dove l'Angelo della Giustizia cancella la quinta P. Stazio racconta del suo peccato (la prodigalità eccessiva) e della sua conversione al Cristianesimo provocata dalla lettura di Virgilio. Chiede poi notizie degli altri grandi poeti pagani. Si giunge alla sesta cornice, dove voci gridano esempi di temperanza ai golosi.

Canto XXIIILa sesta cornice accoglie i golosi: smagriti dal forte desiderio di bere e di mangiare suscitato in loro da alberi a forma di cono rovesciato. Dante incontra l'amico Forese Donati, che inveisce contro i cattivi costumi delle donne del suo tempo

Canto XXIVForese indica a Dante l'anima di Bonagiunta da Lucca, col quale il poeta intavola una discussione sul "dolce stil novo". Bonagiunta mostra di aver capito che la sua poesia, oltre a quella di Jacopo da Lentini e di Guittone d'Arezzo, non può rientrare in quel genere non essendo ispirata dal vero amore. Forese predice la morte violenta del fratello Corso. In lontananza si scorge un albero da frutta verso il quale tendono le braccia numerose anime; una voce grida esempi di golosità punita, ricordando che quell'albero discende da quello del bene e del male. L'Angelo dell'Astinenza cancella la sesta P dalla fronte di Dante.

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Canto XXVStazio spiega come si genera l'uomo e come si formano le ombre dopo la morte corporea. Nella settima cornice i lussuriosi avvolti da fiamme cantano, ascoltano esempi di castità e si danno baci fraterni.

Canto XXVIDante trova tra i lussuriosi Guido Guinizelli, per il quale mostra grande ammirazione; ma questi si schermisce, dicendo che assieme a lui c'è un poeta ben più grande, Arnaldo Daniello, che canta piangendo i propri eccessi di un tempo.

Canto XXVIIUn angelo invita i poeti ad attraversare un parete di fiamme; Virgilio vince la paura di Dante dicendogli che oltre quelle fiamme troverà Beatrice. davanti alla scala per il paradiso Terrestre, l'Angelo della Castità cancella l'ultima P dalla fronte di Dante. Cala la notte, e Dante sogna Lia che raccoglie dei fiori. All' alba Virgilio dichiara Dante guarito dai suoi mali.

Canto XXVIIINell'Eden i poeti incontrano Matelda che raccoglie fiori; essa spiega come nell'Eden vi siano acqua e vento; la prima viene da una sorgente divina e forma il Lete, che cancella le colpe, e l'Eunoè, che predispone al bene; il secondo è originato dal movimento del Primo Mobile.

Canto XXIXI quattro risalgono le sponde del Lete. Viene verso di loro una meravigliosa processione: nella scia di sette candelabri dorati avanzano ventiquattro vegliardi, seguiti da quattro strani animali; tra essi un grifone tira il carro trionfale, affiancato a destra da tre donne e a sinistra da quattro. Infine seguono due vecchi, quattro personaggi di aspetto dimesso, e un vecchio che cammina dormendo.

Canto XXXI 24 vegliardi cantano mentre la processione si arresta davanti a Dante e ai suoi compagni. Appare Beatrice, che racconta ai presenti la storia del traviamento di Dante; questi si volta verso Virgilio, ma

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la sua guida è scomparsa.

Canto XXXIBeatrice rimprovera Dante e poi gli ingiunge di guardarla; folgorato da tanta bellezza il poeta sviene. Matelda lo fa rinvenire immergendolo nel Lete e lo riporta al cospetto di Beatrice.

Canto XXXIILa processione torna indietro fino all'albero di Adamo ed Eva, a cui il Grifone lega il timone del carro. Dante si addormenta al suono di un dolce canto. Matelda lo risveglia e gli mostra la processione che sta tornando in cielo. Beatrice siede sotto l'albero in compagnia delle sette donne che portano i sette candelabri. Improvvisamente un'aquila piomba addosso al carro, la terra si fende sotto di esso e un drago emerge dall'abisso squarciandone il fondo. Sul carro spuntano sette teste, una prostituta e un gigante che la frusta, scioglie il carro e lo porta via.

Canto XXXIIII presenti si incamminano, e Beatrice profetizza la venuta di un messo divino che ucciderà la prostituta e il gigante; invita Dante a riferire agli uomini ciò che ha visto. Dante e Stazio bevono l'acqua dall' Eunoè e si sentono pronti per salire al Paradiso.

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Sintesi Paradiso Canto I: Senza accorgersene Dante sale al cielo. La luce della sfera del fuoco e l'armonia delle sfere celesti lo riempiono di meraviglia. Beatrice gli spiega che è nell'ordine naturale dell'universo che egli purificato delle colpe ascenda verso il cielo.

Canto II: D. e Beatrice arrivano nel cielo della Luna e Beatrice spiega al poeta la ragione delle macchie lunari. La diversa luminosità dei pianeti deriva dal diverso grado in cui si manifesta la virtù delle intelligenze motrici.

Canto III: Spiriti evanescenti appaiono a D. Piccarda Donati gli spiega che essi hanno un grado inferiore di beatitudine perché mancarono ai voti, ma si piegano lieti alla volontà di Dio. Racconta poi del suo rapimento dal chiostro e gli mostra l'imperatrice Costanza.

Canto IV: Beatrice informa D. che queste anime non dimorano nel cielo della Luna, ma gli sono venute incontro dall'Empireo loro sede per manifestare sensibilmente il loro grado inferiore di beatitudine. Spiega inoltre che Piccarda demeritò per non essersi opposta alla violenza subita. D. chiede se le opere meritorie possano soddisfare i voti mancati.

Canto V: Beatrice risponde che il voto è un libero sacrificio e non può essere commutato. Salgono nel cielo di Mercurio. Uno spirito si fa incontro a D.

Canto VI: Rivela di essere l'imperatore Giustiniano e traccia un quadro delle glorie dell'aquila romana, simbolo dell'impero, da Costantino a se stesso, che affidò le armi a Belisario e riordinò le leggi nel grande Corpus luris. Il sacrosanto segno fu sempre degno di reverenza, da Pallante sino a Carlo Magno; ora i guelfi e i ghibellini ne fanno scempio. Giustiniano informa poi D. che gli spiriti del cielo di Mercurio in terra furono attivi per desiderio di gloria. Gli presenta l'anima di Romeo di Villanova.

Canto VII: Beatrice scioglie due dubbi di D. nati dalle parole di Giustiniano. Spiega che potè essere gloria dell'impero romano sia la condanna di Cristo, in quanto uomo che espiava il peccato di Adamo, sulla vendetta, con la distruzione di Gerusalemme, di quella condanna che era stata comunque inflitta al figlio di Dio. Spiega in-

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fine che Dio ha scelto l'incarnazione di Cristo e la sua morte per redimere l'umanità come atto di misericordia e giustizia.

Canto VIII: Salita al cielo di Venere. Qui si fanno incontro a D. le anime luminose, cantanti e danzanti, di coloro che si lasciarono vincere dall'amore terreno. D. parla con Carlo Martello che gli spiega come da un padre di una certa natura possa nascere un figlio di natura opposta.

Canto IX: Carlo si allontana dopo aver profetizzato le sventure degli Angioini. Parla al poeta Cunizza da Romano. Egli deplora i mali costumi della Marca Trevigiana che s'oppone all'autorità imperiale. Folchetto da Marsiglia gli indica la meretrice di Gerico, Raab, salva perché aiutò gli Ebrei nella conquista della Terra Santa. Biasima poi i papi colpevoli di pensare ad arricchirsi invece che a liberare la Terra Santa dagli infedeli.

Canto X: Beatrice e D. salgono nel cielo del Sole e il poeta loda la provvidenza divina per il sapiente ordine del creato. Dodici spiriti luminosissimi circondano D., uno di questi, Tommaso d'Aquino, presenta gli altri: Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi Areopagita, Paolo Orosio, Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, Riccardo da San Vittore e Sigieri di Brabante.

Canto XI: San Tommaso accenna alla fondazione degli Ordini francescano e domenicano, loda la vita di San Francesco e biasima la corruzione dei Domenicani degeneri.

Canto XII: Una seconda corona di spiriti recinge la prima. Parla il francescano San Bonaventura che loda la vita di San Domenico e poi deplora la corruzione dei Francescani. Presenta infine le altre anime: Illuminato, Agostino, Ugo da San Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro Spano, Natan, Crisostomo, Anselmo d'Aosta, Donato, Rabano Mauro e Gioacchino da Fiore.

Canto XIII: Le due corone cantano e danzano. San Tommaso chiarisce a D. che la sapienza massima infusa da Dio a Salomone riguardava il suo essere re e non uomo, poi lo esorta a non esprimere giudizi senza prima riflettere bene.

Canto XIV: Per intercessione di Beatrice, Salomone, l'anima più luminosa, spiega a D. che dopo la resurrezione della carne, per la

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condizione di maggior perfezione, essi saranno ancor più lucenti senza però affaticare la vista. Salita al cielo di Marte, dove gli spiriti militanti formano una croce luminosa.

Canto XV: Un lume scende ai piedi della croce e si rivolge a D., è il trisavolo Cacciaguida, che descrive la Firenze piccola, semplice e onesta dei suoi tempi e poi parla di sé e della famiglia. Morì cavaliere di Corrado III di Svevia col quale combattè contro gli infedeli.

Canto XVI: Cacciaguida, su richiesta di D., racconta degli antenati e della Firenze antica in cui non c'era la mescolanza tra famiglie cittadine e del contado. Ricorda poi alcune famiglie, in fiore a suoi tempi, e ora decadute.

Canto XVII: Interrogato da D. Cacciaguida gli predice l'esilio, i dolori, il conforto ospitale degli Scaligeri. Infine gli consiglia di usare nel racconto del suo viaggio oltremondano piena sincerità e di non risparmiare i potenti, così sarà utile agli uomini e farà onore a se stesso.

Canto XVIII: Cacciaguida indica a D. alcuni spiriti della croce: Giosuè, Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Rinoardo, Goffredo di Buglione, Roberto il Guiscardo. D. e Beatrice salgono nel cielo di Giove. Gli spiriti si dispongono a formare la scritta "diligile iustitiam qui iudicatis terram" e poi l'immagine dell'aquila. D. prega Dio e gli spiriti di questo cielo a porre un riparo alla corruzione dei papi, che ostacolano l'attuazione della giustizia in terra.

Canto XIX: L'aquila ammonisce D. sull'insufficienza della ragione umana e gli chiarisce che la fede da sola non basta senza le opere. Per questo molti principi cristiani ingiusti saranno giudicati da Dio più severamente di buoni infedeli.

Canto XX: L'aquila invita D. a guardare gli spiriti che formano il suo occhio: Davide, Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo il Buono, Rifeo. Traiano e Rifeo sono pagani, ma per grazia di Dio destinati al Paradiso. La predestinazione, continua l'aquila, è un mistero non solo per gli uomini, ma per gli stessi beati.

Canto XXI: Nel cielo di Saturno gli spiriti contemplanti salgono e

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scendono per una scalea d'oro. San Pier Damiano insiste sul mistero della predestinazione e, accennando al suo cardinalato a Fonte Avellana, inveisce contro il lusso dei moderni prelati. Un grido degli altri spiriti accoglie queste parole.

Canto XXII: Quel grido, spiega Beatrice, è annunzio della prossima vendetta di Dio. Anche san Benedetto, dopo aver accennato al suo Ordine, ne rimprovera la corruzione in alcuni monasteri. Attraverso la scalea D. e Beatrice giungono nel cielo stellato, nella costellazio-ne dei Gemelli, e di qui il poeta contempla il sistema planetario.

Canto XXIII: D. resta abbagliato alla vista di un'immensa turba di anime illuminate da una luce intensissima: è Cristo. Risalito Cristo all'Empireo, D. vede tra le anime quella radiosa di Maria Vergine, una corona luminosa le cinge il capo. Mentre ella risale al cielo gli spiriti cantano "Regina coeli".

Canto XXIV: Beatrice prega gli Apostoli di concedere a D. un po' della loro sapienza e i beati mostrano letizia ruotando lucenti su se stessi. Poi prega san Pietro di esaminare D. su vari punti della fede. Terminato l'esame san Pietro manifesta la sua approvazione e benedice il poeta.

Canto XXV: D. pensa nostalgicamente alla patria ed esprime la speranza di poter ottenere col poema l'incoronazione di poeta e il ritorno a Firenze. Un altro spirito, San Jacopo di Galizia, si avvicina a D., lo esamina sulla Speranza e manifesta la sua approvazione. S'avvicina l'anima luminosissima di San Giovanni Evangelista che conferma di essere puro spìrito e che anch'egli riavrà il corpo nel giorno del Giudizio. D. resta abbagliato dallo splendore del santo.

Canto XXVI: San Giovanni esamina D. sulla carità. I beati esprimono la loro approvazione. Beatrice ridona a D. la vista, che ora risulta rafforzata. Vede un quarto lume: è Adamo che risponde alle domande del poeta, quando fu creato, quanto restò nel Paradiso, quale fosse la natura del suo peccato e che lingua parlasse.

Canto XXVII: I beati intonano il Gloria. San Pietro inveisce contro i papi corrotti e preannunzia l'intervento di Dio. Tornati i beati nell'Empireo, D. e Beatrice salgono al Primo Mobile. Beatrice apostrofa severamente l'umanità traviata e profetizza un rimedio

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non lontano.

Canto XXVIII: Negli occhi di Beatrice D. vede riflessa una luce. Si volge e scorge Dio, un punto luminoso in mezzo a nove cerchi lucenti, le intelligenze celesti, giranti a velocità proporzionale alla distanza dal punto. Beatrice spiega che l'ordine dei cerchi è inverso a quello dei cieli, ma ad esso perfettamente corrispondente, se si guarda non all'ampiezza di essi, ma al grado di virtù che li muove. I cerchi sfavillano. Beatrice enumera le gerarchie celesti secondo la spiegazione che Dio concesse a Dionigi Areopagita: la prima, Serafini, Cherubini, Troni; la seconda, Dominazioni, Virtù e Potestà; la terza, Principati, Arcangeli e Angeli.

Canto XXIX: Beatrice parla degli angeli, creati da Dio come atto d'amore. Una parte di essi si ribellò a causa della superbia di Lucifero. Gli altri rimasti fedeli cominciarono a girare intorno a lui. Precisa quali siano le facoltà degli angeli e accusa i falsi predicatori, accenna infine al numero enorme degli angeli.

Canto XXX: D. e Beatrice, bella com'egli non l'aveva mai vista, giungono all'Empireo. D. sente crescere le proprie facoltà. Vede un fiume di luce tra due rive di fiori e faville. La visione si trasforma: il fiume diviene un tondo formato da una scalinata circolare. I fiori divengono beati, vestiti di bianco e seduti su più di mille gradini; le faville diventano angeli volanti. Un seggio vuoto, su cui è la corona imperiale, segna il posto di Enrico VII di Lussemburgo.

Canto XXXI: I beati formano una candida rosa nella quale D. è stato condotto da Beatrice. Quando il poeta si volge a lei al suo posto trova san Bernardo. Beatrice ha raggiunto il suo posto in uno dei seggi più alti. D. le rivolge un commosso ringraziamento. San Bernardo invita D. a contemplare la candida rosa e la bellezza di Maria circondata da mille angeli.

Canto XXXII: San Bernardo spiega la distribuzione dei beati nella rosa celeste. Da Maria scendendo stanno Èva, Rachele, Sara, Rebecca, Giuditta, Rum e altre donne ebree. Esse formano una divisione tra i beati del Vecchio e del Nuovo Testamento. Dall'altra parte della rosa la linea di divisione è formata dall'alto da san Gio-vanni Battista, san Francesco, san Benedetto, sant'Agostino e altri. In basso stanno i bambini. L'arcangelo Gabriele vola davanti alla Vergine cantando l'Ave Maria. San Bernardo indica le più eccelse

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anime della rosa: Adamo, Mosè, san Pietro, san Giovanni Evangelista, sani' Anna, santa Lucia.

Canto XXXIII: S. Bernardo prega la Vergine affinchè D. possa alzare lo sguardo fino a Dio. D. fissa lo sguardo verso la luce divina, ma non riesce a descriverne la visione e invoca l'aiuto di Dio. Continua a fissare e riesce a gradi a penetrarne l'Essenza. Vede tre cerchi di tre colori e d'una stessa dimensione. Dal primo si riflette il secondo e il terzo sembra fuoco che spira da entrambi: l'unità e la trinità di Dio. D. cerca invano di comprendere il mistero dell'Incarnazione finché un'improvvisa folgorazione gli fa intuire la verità. Il poeta sente ora il suo animo totalmente accordato con Dio.

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Capitolo 3 Il PetrarcaPetrarca Canzoniere

Il testo integrale si trova al link:www.liberliber.it/mediateca/libri/p/ petrarca / canzoniere / pdf /canz on_p. pdf

In lingua volgare, accompagnandolo con costanti correzioni, modifiche, il Petrarca scrisse il Canzoniere (1330-65), una raccolta di 366 componimenti (il titolo dato del Petrarca è Rerum vulgarium fragmenta), la maggior parte dei quali si riferisce all'amore per Laura, da lui conosciuta nella chiesa di S. Chiara in Avignone il 6 aprile 1327 e morta durante la peste del 1348. Le rime sono un nuovo modello di lirica d'amore che non può essere confrontato con gli schemi trovatorici e le loro derivazioni in Italia: per approfondimento psicologico di stati d'animo, di situazioni, per le perplessità esistenziali del Petrarca in mezzo a cui fiorisce il sentimento d'amore. Il poeta ama Laura come donna terrena e ne descrive le bellezze del corpo (gli occhi neri, i capelli biondi e crespi, le «man bianche e sottili», «il bel giovenil petto»), la descrive nel paesaggio a Valchiusa vicino alle acque del fiume Sorga, la vede passare in barca, in cocchio, sorridente, piangente. Al desiderio di amore si oppone nell'animo del poeta il sentimento religioso: in questi elementi di contrasto, che il Petrarca sentì per tutta la vita, simboli dell'uomo vecchio e dell'uomo nuovo che erano in lui, si svolge la lirica del Canzoniere. Incertezza, esitazione, timori non rappresentano mai stati d'animo definitivi o espressione della risoluzione della crisi, ma punteggiano in modo nuovo la storia d'amore. Il fondo di tutto è esistenziale: il descrittivo, il retorico, il realistico sono assenti. La «voluptas dolendi» è meglio espressa nella musicalità, nell'onda lirica il sentimento trova la sua forma. Le parole comuni sono travolte in suoni di minore immediatezza, natura e quotidiano sono sublimati nella sfera esistenziale; pare che il poeta con la sua infelicità, con il sentimento di caducità non tocchi il reale o crei soltanto tonalità smorzate. Petrarca manifesta la propria vita interiore, il fantasticare, l'illusione vista come realtà, il contrasto che abbiamo visto nel Secretum. Il contrasto si attenua nelle rime scritte per Laura morta dominate dal rimpianto della donna amata che consola «le sue notti dolenti», gli asciuga le lacrime, «sospira dolcemente e

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si adira» vedendolo ancora «vaneggiare» per la passione terrestre. Il Canzoniere è quindi caratterizzato dalla visione del mondo che il Petrarca propose in un tessuto formale di estrema coerenza nella sua opposizione al realismo, nella sua tendenza aristocratica. La lettura dell'opera presuppone la sua storicizzazione e il confronto con la precedente lirica d'amore, oltre che con quella di Dante perché si scorga la nuova esemplarità sentimentale e tecnica. Il sentimento è avvolto da un velo di precarietà, di funerarietà. L'infermità petrarchesca è circondata di dolore, di autocompianto, lo stato d'animo nei momenti più intensi di contemplazione, di rimpianto, è circoncluso in un'atmosfera solenne per mancanza di moto, in cui la risonanza umana appare remota

Capitolo 4 Boccaccio

Decameron di Boccaccio

Il testo integrale si trova al link:www.letteraturaitaliana.net/ pdf /Volume_2/t318. pdf

1° Giornata Decamerone - Riassunto INTRODUZIONEL’opera si apre con la descrizione della tragica situazione di Firenze oppressa dalla peste. I morti per le strade, i lamenti, le urla, l’aria pesante rendevano la vita in città una continua sofferenza. Per questo motivo sette nobili ragazze (Pampinea, Neifile, Filomena, Fiammetta, Emilia, Lauretta ed Elissa) seguendo la proposta di Pampinea, decidono di fuggire dalla città e rifugiarsi in una villa in campagna dove pensano di trovare allegria e di scampare alla peste. Coinvolgono in questa impresa anche tre giovani nobili Filostrato, Panfilo e Dioneo. Così il giorno dopo giungono in questa bellissima casa con i loro servi e stabiliscono che ogni giorno venga eletto un re o una regina che gestirà a suo piacere la giornata. La prima regina è Pampinea che dopo aver dato disposizioni ai servi e agli amici decide che alla stessa ora per dieci giorni ognuno racconti una novella che dovrà seguire l’argomento proposto dal re o dalla regina della giornata. Il tema della prima è vario ed li primo ad incominciare è Panfilo.

PRIMA NOVELLA (PANFILO)Il protagonista di questa novella, Ser Ciappelletto, è descritto da Boccaccio come “il peggior uomo

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che mai nascesse”. Egli è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi e contrasti all’interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato.Egli viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui è vittima di un malore. I due proprietari sono timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l’estrema unzione avrebbe comportato. Il loro dialogo, però, non sfugge a Ser Ciappelletto, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Per questo, fa venire il più “santo” tra i parroci, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo perfetto, che non abbia mai commesso un peccato, quasi un santo. Il frate, stupito da una simile purezza, dopo la morte dell’uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di lodare il defunto. Al funerale partecipa un gran numero di persone che, convinte che ciò che è stato detto riguardo il morto sia del tutto vero, adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato ed adorato.

SECONDA NOVELLA (NEIFILE)La vicenda ha per protagonisti due mercanti: Giannotto, cristiano e Abraam, ebreo. I due nonostante la differenza di religione sono legati da una profonda amicizia. Giannotto insiste a lungo con l'amico per convincerlo a convertirsi al cristianesimo, ma questo, anche se attratto dalle motivazioni dategli, rimane fedele alla sua religione fino a che un giorno comunica al cristiano che stava per compiere un viaggio a Roma per vedere da vicino lo stile di vita del Papa e del clero e che se ne fosse rimasto colpito si sarebbe fatto battezzare. Giannotto è ormai convinto che vedendo il comportamento vergognoso del clero Abraam si convinca per sempre a non accettare la sua religione. Infatti Abraam si accorge da subito della vita peccaminosa dei chierici e quando torna da Giannotto questo ha ormai perso la speranza nella conversione dell'amico. A sorpresa Abraam gli annuncia invece che nessuno potrà ostacolargli il battesimo perché proprio durante il proprio viaggio si è accorto che lo Spirito Santo è con il Cristianesimo e con nessuna altra religione, perché, pensa, solo in questo modo avrebbe potuto sopravvivere in mezzo a tanto peccato e ad accrescere di giorno in giorno il numero dei fedeli, nonostante coloro che hanno il compito di guidare il gregge facciano di tutto per disperderlo.

TERZA NOVELLA (FILOMENA)Questa novella, narra che Saladino, sultano d'Egitto e di Siria, era molto ricco, potente e saggio ma ultimamente, stava affrontando una carenza economica. Siccome Saladino era una persona molto avara, cercò di rivolgersi all'ebreo Melchisedech con l'astuzia affinché riuscisse ad ottenere ciò che voleva con una parvenza di giustizia. Così fece venire Melchisedech che era un usuraio di Alessandria, e gli domandò quale tra la religione giudaica, quella saracena e la cristiana, secondo lui fosse quella vera. Melchisedech però, oltre ad essere un fedele dell'ebraismo, era anche molto astuto e capì subito che con una sua risposta poteva andare contro il sultano. A questo punto l'usuraio, siccome doveva per forza dare una risposta, gli raccontò una novelletta che esprimeva un paragone. Infatti questa novelletta raccontava che un uomo ricco possedeva una pietra preziosa e che alla sua morte la doveva dare in eredità a un figlio che doveva essere molto fedele e responsabile. Questa pietra preziosa fu tramandata per molte generazioni fino a quando, un discendente non sapeva a chi dei tre figli dare la pietra preziosa, poiché erano tutti e tre meritevoli dell'eredità. Così fece rifare due copie perfette della pietra autentica da un abile orefice. Alla sua morte, ognuno dei tre figli ricevette un anello e lo prese per vero, ma non si poté scoprire mai quali dei tre figli avesse ricevuto la pietra autentica. Tutta questa novella servì per far capire al sovrano che come l'eredità dell'uomo ricco era toccata a chissà chi fra i tre figli, ancora oggi non si poteva sapere quale, tra le tre religioni

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prevalenti, fosse quella autentica. Questa novella si conclude bene: Saladino ammirò l'intelligenza di Melchisedech e gli disse francamente la verità. L'ebreo prestò i soldi che servivano al sovrano. Saladino gli restituì poi l'intera somma, aggiunse grandissimi doni e lo fece diventare suo amico.

QUARTA NOVELLA (DIONEO)Un frate, colpito dalla bellezza di una giovane ragazza, decide di condurla nella sua cella dove i due, attratti l’uno dall’altra, si sollazzano. Il frate capisce di essere scoperto dall’abate, decide perciò di uscire lasciando la porta della sua cella aperta per far cadere anche l’abate nella colpa. Il superiore, inizialmente scandalizzato dal peccato, non appena vede la ragazza nella cella del frate, viene subito pervaso anche lui da desideri peccaminosi: cede alla tentazione e li soddisfa. Il frate lo coglie sul fatto e non può venire condannato da colui che ha commesso lo stesso peccato. Così la cosa rimase nascosta, e la fanciulla continuò a frequentare tutti e due.

QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)La marchesa di Monferrato , partito il marito per la terza crociata, si trova ad affrontare le attenzioni del re di Francia Filippo Augusto. Questo aveva sentito parlare della marchesa come una donna bellissima e, senza averla mai vista, se ne innamorò. Per questo si fece invitare da lei a pranzo. La donna accettò lietamente l’invito e ordinò che venissero radunate e cucinate tutte le galline del luogo. Il re fu ricevuto con calore dalla donna, ma si accorse che, benché le bevande fossero costituite da vini vari e pregiati, le portate erano composte esclusivamente da galline. Il re allora chiese alla marchesa se in quel luogo venivano allevate solamente galline. La donna gli rispose di no e aggiunse che le donne, anche se sono differenti in onore e virtù, sono tutte uguali. Il re, compresa la metafora, capì che il suo amore era mal concepito ed era da spegnersi. E così, finito di pranzare, la ringraziò e si affrettò a ripartire dirigendosi a Genova.

SESTA NOVELLA (EMILIA)Un frate minore, benché fosse un inquisitore era anche un raffinato buongustaio dedito ai banchetti. Un giorno, avendo sentito parlare di un uomo molto ricco, il quale da ubriaco aveva detto di avere un vino così buono che anche Cristo lo vorrebbe bere, andò da quest'uomo e lo accusò di aver definito Dio come un ubriacone e per penitenza gli disse che doveva desinare in convento e andare tutte le mattine a messa in chiesa. Lì, un giorno, l'uomo udì dire dal predicatore: ”Voi riceverete per ogni vostro dono cento volte tanto e possederete la vita eterna”. Parlando poi col frate, disse: "Da quando frequento questo convento, ho potuto constatare che donate molta minestra ai poveri e quindi nell’aldilà ne avrete talmente tanta da affogarci". Il frate allora per ira gli rispose che da quel momento in poi poteva fare ciò che più gli piaceva senza più presentarsi davanti al suo cospetto.

SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)Bergamino, novellatore, in seguito ad un ingaggio da parte del signore di Verona Can Grande della Scala, ricevette in dono solo tre vesti. E così Bergamino quando si trovò al cospetto di Can Grande, lo rimproverò della sua avarizia narrandogli la storia di Primasso e dell’abate di Clignì. L'abate non volle ricevere Primasso, che essendosi portato con sé tre pani, se ne nutrì fino a che non fu ricevuto. Quando l’abate alla fine capì che il giovane era venuto solamente per onorare e osservare la sua magnificenza, si vergognò e, per scusarsi, gli donò denari, un cavallo da viaggio e vestiti. Can Grande, avendo udito ciò, pagò l’oste di Bergamino e diede al novellatore, come nella storia, denari, vestiti pregiati e un palafreno (cavallo da viaggio).

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OTTAVA NOVELLA (LAURETTA)Messer Ermino de Grimaldi era l’uomo più ricco tra tutti i signori di Genova, ma anche il più avaro. In quel tempo giunse in città un valente uomo di corte, Guiglielmo Corsiere, che avendo sentito parlare dell’avarizia di Ermino, volle andare a trovarlo. Ermino accolse Guiglielmo amichevolmente e, mostrandogli la sua nuova abitazione, gli chiese: "Che cosa posso far dipingere di mai visto prima d’ora?". Guiglielmo allora gli rispose che poteva far dipingere la “Cortesia”. Avendo udito queste parole, messer Ermino si vergognò talmente tanto che divenne il più affabile e compiacente uomo di Genova.

NONA NOVELLA (ELISSA)Una donna della Guascogna andò in pellegrinaggio al sepolcro e al suo ritorno, giunta a Cipri, subì violenza da alcuni uomini. Ella pensò allora di rivolgersi al re per ottenere un’adeguata vendetta, puravendo sentito dire che il re era molto indulgente. Giunta al suo cospetto, gli raccontò la vicenda e infine gli chiese come faceva a sopportare tutte le ingiurie che fino ad allora aveva subito. Il re a quel punto, come svegliato da un lungo sonno, si riscosse e stabilì che tutte le ingiurie, a cominciare da quella patita della donna, fossero severamente punite.

DECIMA NOVELLA (PAMPINEA)L’anziano maestro Alberto di Bologna, medico di gran fama, si innamorò di una bellissima donna, Margherita dei Ghisolieri. Cominciò pertanto ad andare tutti i giorni, o a cavallo o a piedi, davanti alla casa della donna. Margherita, insieme ad altre donne, comprese il perché di queste visite, ma non capiva come faceva un uomo anziano a innamorarsi, poiché riteneva che la passione fosse un sentimento proprio dei giovani. In un giorno di festa, vedendo maestro Alberto nelle vicinanze, lo invitò nella sua abitazione. Il vecchio medico però si rese conto che l’invito era una sorta di beffa e allora disse a Margherita che l’amore degli anziani è molto più maturo e profondo di quello dei giovani. Disse inoltre che, come si mangia la parte più cattiva dei porri, anche il suo amore poteva essere assaporato. Così la donna, non avendo considerato le qualità della persona che voleva punzecchiare, si ritrovò punzecchiata.

CONCLUSIONE 1 GIORNATAPampinea nomina come regina della seconda Filomena la quale sceglie il tema:”chi da diverse cose infestato, sia oltre la speranza riuscito a lieto fine”. La stessa, arrivata l’ora del desinare, ordina che si danzi. Emilia canta allora la ballata: Io son sì vaga della mia bellezza.

2° Giornata Decamerone - Riassunto In questa giornata si narrano le avventure di chi, colpito da molte avversità, sia riuscito a raggiungere un lieto fine.

INTRODUZIONEDopo essersi svegliata, la compagnia si diletta sul prato. Dopo il pranzo e qualche ballo, si siedono, e Filomena, regina della giornata, ordina a Neifile di incominciare.

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PRIMA NOVELLA (NEIFILE)Era da poco morto a Trivigi, sant’Arrigo dichiarato santo perché oltre che essere stato un pio uomo, alla sua morte tutte le campane suonarono contemporaneamente. Allora la gente meravigliata, portava nel luogo santo ove era tenuta la salma, sia storpi sia ciechi e altri poveri, affinché fossero miracolati dalla vicinanza del santo. In quel giorno arrivarono nella città tre mercanti fiorentini: Stecchi, Martellino e Marchese che, incuriositi dalla folla, vollero andare a vedere le spoglie del santo. Martellino trovò il modo per passare indisturbati e senza noie: lui si sarebbe finto uno storpio e i due compari l’avrebbero aiutato a reggersi. Arrivato vicino al corpo di Sant’Arrigo, Martellino per burlarsi delle persone che lo guardavano cominciò a fingersi miracolato, ritornando a poco a poco normale. Ma riconosciuto da un suo compaesano stava per essere linciato dalla folla, quando Marchese riuscì a portarlo via; e così tutti e tre fecero ritorno a casa.

SECONDA NOVELLA (FILOSTRATO)Il mercante Rinaldo d’Asti sta cavalcando verso Verona, quando viene derubato da alcuni furfanti travestiti da onesti cavalieri. Rinaldo vagando dopo il calar del sole e rimasto con pochi indumenti addosso, disperava di trovare un rifugio per la notte quando, per fortuna, riesce a ripararsi sotto il portico di una casa che crede abbandonata, ma invece in questa vi era una bellissima vedova che aiuta il mercante a ristorarsi, gli fa fare un bagno e improvvisamente se ne innamora, da parte sua Rinaldo ricambia l’amore della donna e cosi passano la notte insieme. Il giorno dopo, vestito con buoni abiti, riparte ringraziando di tutto la donna e lungo la via incontra i tre briganti che lo avevano rapinato il giorno prima, catturati; perciò può riprendersi i suoi vestiti e i denari, e ritornarsene felicemente a casa.

TERZA NOVELLA (PAMPINEA)Lamberto, Tedaldo e Agolante figli di un ricchissimo cavaliere, alla sua morte sperperano tutta l’eredità e, divenuti poveri, si decidono a lasciare Firenze e a partire per l’Inghilterra dove, prestando il denaro ad usura, riescono a guadagnare piu’ di quanto avevano perso.Ma, affidati i possedimenti inglesi ad un loro nipote di nome Alessandro, se ne tornarono a Firenze. Intanto a causa di una guerra le proprietà inglesi non rendono più, perciò i tre fratelli riperdono tutto e per i debiti sono incarcerati; anche Alessandro, ormai povero, sta per tornare in Italia quando incontra un abate inglese che gli si affeziona particolarmente. Una sera l’abate fatto venire Alessandro nel suo letto, comincia ad accarezzarlo ma Alessandro non capisce come può un uomo toccare un altro uomo; ma l’abate in verità altri non e’ che la figlia del re d’Inghilterra. Dopo una notte di passione, il giorno seguente giunti a Roma furono sposati dal Papa e così Alessandro divenne duca di Cornovaglia e poté liberare i tre zii, essendo oramai ricchissimo.

QUARTA NOVELLA (LAURETTA)A Ravello, una cittadina sul golfo d’Amalfi, vi era un ricchissimo mercante chiamato: Landolfo Rufolo.Questi partì, un giorno, con una nave piena di mercanzie per Cipro; ma commerciando perse tutto e così decise di fare il corsaro.Guadagnò molto di più così che con la precedente attività. Ma un giorno, trovato dai genovesi in un’insenatura, fu derubato e fatto prigioniero; durante il viaggio, l’equipaggio colto alla sprovvista da una tempesta fu scaraventato in mare assieme alle merci rubate.Landolfo riuscì a raggiungere terra aggrappato ad una cassa. Una giovane donna vedutolo sul bagnasciuga, lo portò in casa e lo ristorò per alcuni giorni. Il mercante, dopo aver scoperto che la cassa conteneva moltissime pietre preziose, lasciata la donna partì per Ravello dove, non esercitò più come mercante ma visse di rendita fino all’ultimo.

QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)

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C’era a Perugia un noto mercante di cavalli, Andreuccio, che un giorno partì per Napoli con una borsa di fiorini d’oro. La stessa sera, arrivato nei pressi di Napoli, mentre cenava in un’osteria, trasse fuori la borsa con i soldi che furono subito notati da due scaltre donne. La sera dopo, la più giovane di queste due, invitò Andreuccio a casa sua e, piangendo, gli disse che lei era sua sorella. Dopo aver convinto Andreuccio, lo costrinse a rimanere la sera e la notte a casa sua. Il povero commerciante cadde in una botola, che si trovava nel bagno, e la donna poté così rubargli la borsa; uscito fuori della casa ed avendo cominciato a capire l’inganno, bussò, inferocito, più volte alla sua porta ma, ovviamente, nessuno rispondeva. Perse le speranze, s’incamminò verso l’osteria e sulla strada incontrò due contadini che, ascoltata la storia, sembrava volessero aiutarlo; così lo condussero ad un pozzo per farlo lavare dal fetore che aveva addosso. Ma, una volta calato Andreuccio nel pozzo, scapparono impauriti da alcune persone che stavano arrivando al pozzo; lo sfortunato ragazzo, dopo aver risalito il pozzo, saltò fuori terrorizzando tutti e, corse via. Ma incontrò nuovamente i due astuti contadini che lo obbligarono a rubare un rubino che si trovava al dito di un cardinale sepolto recentemente nella chiesa del paese.Andreuccio trovato l’anello se l’infilo’ in tasca e diede il resto delle pietre, sotterrate con il cadavere, ai due loschi individui, che lo chiusero nella cripta assieme al morto. Il giorno dopo, un prete, incuriosito dal tombino aperto, si calò nell’ipogeo e così, Andreuccio pote’scappare dopo aver spaventato a morte il prete, e ritornare a Perugia con il rubino.

SESTA NOVELLA (EMILIA)Poiché il re Manfredi fu costretto a partire per combattere Carlo, affidò il regno ad Arrighetto Capece, un nobile di Napoli, il quale, venuto a conoscenza della morte del re, non fidandosi della fedeltà dei Siciliani, decise di fuggire dall’isola con la moglie incinta Beritola Caracciola e il figlio Giuffredi, ma i Siciliani lo scoprirono e lo imprigionano insieme ad altri servitori del vecchio re. Tuttavia, la moglie riuscì a salvarsi a Lipari, dove partorì un altro maschio e lo chiamò Scacciato; da lì decisa a ritornare a Napoli dalla sua famiglia, la donna si imbarcò su una nave con i figli e una balia, ma sfortunatamente un forte vento li spinse a Ponza, dove decisero di rimanere finché non si fossero placate le acque. Sull’isola Madama Beritola passò il tempo a piangere il marito ma, non appena si allontanò dai suoi cari per questo, una galea di corsari genovesi rapì i suoi figli e la balia e rubò la loro barca. Mentre Madama Beritola continuava le ricerche dei suoi cari, trovò per caso una grotta in cui si erano riparati due caprioli e la madre e subito offrì loro il suo latte. Alcuni mesi più tardi, approdò sull’isola una nave pisana, sulla quale viaggiava Currado dei Malaspina. Durante una battuta di caccia, questo inseguì i due caprioli fino alla grotta dove trovò la donna che, gli raccontò ciò che le era accaduto. Allora Currado decise di imbarcarla con i caprioli sulla sua nave. I corsari intanto avevano portato i figli di Beritola e la balia a Genova, dove erano stati dati come bottino a Guasparin Doria. La balia, temendo per la vita dei bambini, gli ordinò di fingersi suoi figli e cambiò il nome del più grande in Giannotto da Procida affinché non fosse riconosciuto. Raggiunti i sedici anni, Giannotto iniziò ad imbarcarsi sulle galee del suo. Un giorno arrivò in Lunigiana e lì si mise al servizio di Currado Malaspina della cui figlia ben presto si innamorò; ma dopo lunghi mesi furono scoperti da Currado che, grazie alle preghiere di sua moglie, invece di ucciderli, li incarcerò. Mentre ciò accadeva, il re Pietro d’Aragona liberò la Siciliane, venutolo a sapere Giannotto, decise di rivelare la sua vera identità al carceriere, che subito raccontò tutto a Currado. Quest’ultimo, memore del racconto di Beritola, liberò il ragazzo e la figlia e permise loro di sposarsi. Dopo che Beritola ebbe riconosciuto il figlio, Currado mandò due ambasciatori a Genova e in Sicilia per aver notizie di Scacciato e di Arrighetto. Quando arrivò a Genova, l’ambasciatore rivelò la vera identità di Scacciato a Guasparin Doria, il quale, gli diede in moglie la figlia per scusarsi per averlo trattato come un servo. Riunitisi tutti da Currado per festeggiare i ritrovati parenti e le nozze dei due fratelli, arrivò durante il pasto, l’altro ambasciatore e raccontò che Arrighetto era vivo e che era stato liberato dai Siciliani una volta scacciato Carlo d’Angiò. Dopo i festeggiamenti, partirono tutti per Palermo dove, accolti da Arrighetto fecero una grande festa e vissero lì felici per anni.

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SETTIMA NOVELLA (PANFILO)Il sultano di Babilonia Beminedab, per ringraziare il re del Garbo di averlo soccorso durante una battaglia, decise di dargli in sposa la sua bellissima figlia Alatiel. Per questo, la imbarcò insieme ad altre damigelle su una nave che partiva da Alessandria. Erano quasi giunte a termine del loro viaggio, quando dei forti venti spinsero la nave fuori rotta tanto da farla arenare vicino Maiorca. Alatiel, la mattina seguente fu fortunatamente aiutata da Pericon da Visalgo che, subito s’innamorò della bella fanciulla e la portò nel suo palazzo dove la fece ubriacare. E così trascorse con la giovine una felice nottata. Anche il fratello di Pericon, Marato, s’innamorò della ragazza. Essendo approdata sull’isola una nave di due fratelli genovesi, si accordò con loro per rapirla, uccidere il fratello e poi fuggire con la ragazza. Così accadde. Anche i due fratelli però s’innamorarono di Alatiel e, gettato Marato in mare, cominciarono a litigare violentemente e così combatterono fino alla morte di uno dei due. Alatiel e il genovese sopravissuto giunsero così a Chiarenza dove presto si sparse la notizia della bellezza della ragazza, tanto che il principe dell’Acaia la rapì e la portò nel suo palazzo. Anche il duca d’Atene volle vederla e se ne innamorò. Il principe però, non disposto a lasciare al duca la ragazza, si accordò con un certo Cuiriaci per uccidere il principe e rapire Alatiel. Soltanto due giorni dopo la fuga del duca e della ragazza ad Atene, fu ritrovato il corpo del principe insieme a quello di Cuiriaci. Fu così che il fratello del principe organizzò un piccolo esercito e dichiarò guerra al duca. Allora quest’ultimo chiese aiuto all’Imperatore di Costantinopoli, che inviò oltre al suo esercito i suoi figli: Costanzio e Manovello. Anche Costanzio si innamorò di Alatiel e, lasciato il campo di battaglia, fuggì con la ragazza su una piccola nave a Chios dove rimasero fintantoché la ragazza si innamorò di Costanzio. Ma Osbech, re dei Turchi, rapì Alatiel per sposarla. Saputo questo, l’Imperatore di Costantinopoli chiese aiuto al re della Cappadocia che uccise Osbech in battaglia. Alora Antioco, essendo stato raccomandato dall’amico Osbech, di proteggere Alatiel, fuggì con questa e un suo amico a Rodi. Lì però Antioco si ammalò e in punto di morte chiese al giovane di proteggere la sua donna. Trasferitisi a Cipro, Alatiel riconobbe Antigono di Famagosta, servo del sultano di Babilonia suo padre. Si accordò con questo per tornare in patria da suo padre al quale disse che dopo il naufragio in Provenza, era stata soccorsa da quattro cavalieri che l’avevano portata in un monastero di benedettine dove era rimasta per molto tempo fingendo di esser figlia di un mercante di Cipro per paura di essere cacciata a causa della sua religione. Alla fine però era riuscita ad aggregarsi ad un gruppo di pellegrini diretti a Gerusalemme e avendo fatto scalo a Baffa aveva incontrato Antigono e con lui era ritornata a Babilonia. Il sultano, udite queste parole, accolse felicemente la figlia e la fece sposare con il principe del Garbo come d’accordo inizialmente; la prima notte di nozze , Alatiel gli fece credere di essere ancora vergine.

OTTAVA NOVELLA (ELISSA)Durante la guerra tra Germani e Francesi, il re di Francia lasciò il comando a Gualtieri conte d’Anversa. Col tempo la regina s’innamorò molto del Conte e un giorno, si dichiarò. Ma, essendo il conte molto fedele al re, rifiutò la donna, che, per vendicarsi, si stracciò i vestiti e gridò fingendo che il conte stesse abusando di lei. Il conte fu allora costretto a fuggire insieme ai figli Luigi e Violante in Inghilterra. Lì, una nobile signora moglie di un maresciallo del re d’Inghilterra notò la piccola Violante, che, per paura della taglia che il re aveva posto su loro, era stata chiamata Giannetta, e chiese al conte di poterla portare in casa sua per crescerla e averla come damigella. Il padre anche se a malincuore acconsentì e si separò dalla figlia, mentre con Perroto, così era stato rinominato il figlio, andò elemosinando in Galles. Lì, presso un maresciallo del re, assistevano agli allenamenti d’equitazione dei ragazzi. Un giorno il maresciallo, propose al conte di prender con sé Perotto e farlo crescere come suo erede. Allora il conte si trasferì in Irlanda presso un cavaliere e lì visse molto tempo servendolo come garzone. Nel frattempo Giacchetto, il figlio dei signori presso cui Giannetta lavorava, si innamorò perdutamente della fanciulla. Ma quando Giannetta raggiunse l’età giusta per sposarsi, la madre del ragazzo, non conoscendo i sentimenti del figlio, cominciò a darsi da fare per trovare un buon marito alla ragazza, al ché il figlio si ammalò. Nessun medico

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riusciva a capire ciò che causasse il malore del ragazzo, ma un giorno, mentre un medico tastava il polso dell’ammalato, Giannetta entrò nella stanza e subito i battiti del ragazzo aumentarono. Il medico intuì ciò di cui soffriva il ragazzo e lo raccontò alla madre, che, acconsentì alle nozze dei due ragazzi. Il che avvenne dopo poco tempo. In Galles, invece si abbatté una pestilenza e fortunatamente Perotto riuscì a salvarsi insieme con una contadina, ma il maresciallo e il resto della famiglia morì lasciando a lui tutti i possedimenti. Allora Perotto, innamoratosi della contadina la sposò e ottenne dal re il titolo di maresciallo. Passati 18 anni da quando si era trasferito in Irlanda, il conte decise di andare a vedere come stavano i figli. Andò prima in Galles dove, senza farsi riconoscere, scoprì la felice situazione del figlio Luigi poi, si recò a Londra dalla figlia, anche lì non facendosi riconoscere,dove scoprì che Violante aveva avuto dei bei bambini. Un giorno elemosinando davanti la loro casa fu accolto dentro per riscaldarsi e subito i figli di Giannetta lo abbracciarono e lo coccolarono pur non sapendo chi fosse veramente. Con la morte del vecchio re di Francia e l’ascesa del nuovo, la guerra tra le due potenze si inasprì a tal punto che il monarca francese dovette chiedere aiuto al re d’Inghilterra, il quale inviò in guerra i suoi marescialli. Dunque Perotto, Giacchetto e il conte che serviva il genero in qualità di scudiero furono costretti a partire. Mentre la guerra infuriava, la regina di Francia si ammalò e in punto di morte chiamò il vescovo per l’ultima confessione, al quale rivelò il crudele gesto che aveva compiuto contro il conte d’Anversa. Questa notizia giunse rapidamente al nuovo re che proclamò una grida nella quale si diceva che chiunque avesse riportato al cospetto del re il conte e i suoi figli, avrebbe avuto come ricompensa una grande somma di denaro. Saputo ciò il conte subito rivelò a Giannetto e Perotto la sua identità e disse a Giacchetto di portarlo dal re perché ricevesse la ricompensa come dote per la figlia. E così fu: Giacchetto ricevette il denaro e al conte furono restituite le proprie terre insieme ad altri doni.

NONA NOVELLA (FILOMENA)A Parigi in una locanda vi erano molti mercanti italiani che discorrevano sui loro affari e sul fatto che, se avessero avuto l’occasione, non avrebbero esitato a tradire le proprie mogli con una “scappatella”, poiché essi ritenevano che anch’esse lo facessero. Soltanto uno, di nome Bernabò Lomellin da Genova non concordava su ciò: infatti, si fidava ciecamente ed era così innamorato di sua moglie Ginevra (Zinevra nel testo) che non l’avrebbe mai tradita e che lei avrebbe fatto altrettanto. Udendo questo, un altro mercante, Ambruogiuolo da Piacenza, volle dimostrare che, come tutte le donne, anche Ginevra era volubile, scommettendo con Bernabò che l’avrebbe sedotta in tre mesi e che gli avrebbe portato le prove di ciò che aveva fatto; la posta era 5000 fiorini d’oro se avrebbe vinto, altrimenti ne avrebbe dati 1000 a Bernabò. Fatto ciò, subito partì per Genova e trovò la casa della donna. Accordatosi con una domestica, si nascose in un baule e si fece portare nella stanza da letto di Ginevra. La notte, usciva dal baule, memorizzava la stanza, rubava alcuni anelli e vestiti della donna. Una sera, uscito come suo solito dal baule, scoprì Ginevra e notò che sotto la mammella sinistra aveva un neo un po’ grande con dei peli biondi intorno; essendo questo sufficiente per vincere la scommessa, la mattina seguente uscì dal baule e ritornò di corsa a Parigi, dove, raccontato ciò che aveva visto e mostrato a Bernabò ciò che aveva rubato, non gli rimase che intascare la posta. A quel punto al povero Bernabò non rimase che ritornare a Genova e, gonfio d’ira, stando da alcuni suoi parenti incaricare un suo amico di uccidere Ginevra per punirla così dell’adulterio che non aveva commesso. Secondo gli ordini di Bernabò, quello condusse Ginevra in un luogo isolato e stava per ucciderla ma sotto le preghiere della donna, gli raccontò l’accaduto e non la uccise; si fece però dare i suoi vestiti per portarli a Bernabò in modo da fargli credere che l’aveva uccisa. Ginevra subito fuggì da Genova, si travestì da maschio tagliandosi i capelli e schiacciando il seno e si imbarcò sulla nave del catalano En Cararh come marinaio, facendosi chiamare Sicuran de Finale. Ben presto riuscì ad accattivarsi il capitano ed ad avere incarichi più importanti. Un giorno la sua nave approdò ad Alessandria per consegnare un suo carico al sultano, al quale, piacendogli molto le capacità di Silurano, convinse En Cararh a lasciarglielo ai suoi ordini. Dopo poco tempo, a Silurano fu affidato il compito di vigilare durante i mercati tra cristiani e arabi in Acri; mentre perlustrava i mercati, notò che un mercante (Ambruogiuolo da Piacenza) aveva dei

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vestiti che le appartenevano, subito gli chiese come faceva ad averli; Ambruogiuolo rise e gli raccontò ciò che aveva già raccontato a Bernabò. Allora Silurano, fingendo di apprezzare quella storia, portò Ambruogiuolo affinché la raccontasse al sultano e fece anche convocare Bernabò, anch’egli lì per affari. Allora smascherò l’inganno del mercante facendolo minacciare dal sultano e rivelando la sua vera identità al marito e agli altri. Il sultano allora obbligò Ambruogiuolo a risarcire Bernabò e inoltre regalò alla coppia ritrovata ori, gioielli e molti 10000 denari: la coppia poté così ritornare a Genova. Ambruogiuolo fu invece cosparso di miele, legato ad un palo e lasciato nel deserto alla mercé degli insetti.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Un giudice pisano di nome Ricciardo di Chinzica, era uomo fisicamente gracile. Piuttosto ricco di famiglia, volle sposarsi una donna molto giovane e bella di nome Bartolomea Gualandi. La festa nuziale fu fastosa, ma già dall'inizio questo marito mostrò scarsa propensione a frequentare la moglie. Il giudice, allora, sentendosi a disagio, cominciò a spiegare alla moglie come certi giorni del calendario vietassero le intimità coniugali; ad essi aggiungeva i giorni di digiuno, le vigilie di apostoli e altri santi; i venerdì, i sabati e la domenica, tutta quanta la quaresima e persino i giorni in cui la luna occupava determinate posizioni. Tutto questo rattristava la sposa, che era anche attentamente sorvegliata dal marito, il quale temeva che qualche altro uomo le insegnasse un calendario senza tutte quelle feste. Ora, un giorno estivo di grande calura, il giudice Ricciardo organizzò una bella gita di pesca; su una barca salirono Ricciardo e i pescatori, mentre sopra un'altra si sistemarono alcune donne assieme alla giovane Bartolomea. Nell'entusiasmo per la pesca si allontanarono un po' troppo dalla riva e furono sorpresi dalla nave corsara di Paganino da Mare che, bloccata la barca dove erano le donne, e, notata la bella Bartolomea, la sequestrò sotto gli occhi di messer Ricciardo che non poté far nulla per evitare la cattura della moglie. Tornato a Pisa il giudice si diede molto da fare per avere notizie della moglie scomparsa, ma nulla. Costei, nel frattempo, era stata portata afflitta e piangente fino a Monaco, sulla Costa Azzurra, che era appunto la sede dei pirati. Paganino, intanto, cercava di consolarla e tanto bene vi riuscì che la sera stessa Bartolomea dimenticò il giudice e le sue leggi e cominciò a vivere lietamente con Paganino il pirata. Dopo qualche tempo messer Ricciardo venne finalmente a sapere dove si trovava la moglie e, imbarcatosi, raggiunse Monaco nella ferma speranza di poter riavere la moglie, pagando anche un costosissimo riscatto. Incontratosi con Paganino, messer Ricciardo venne presto al dunque e Paganino disse che, se veramente la donna che lui aveva sequestrato nel mare di Pisa era sua moglie, pagando il riscatto da lui deciso, messer Ricciardo, poteva riprendersela liberamente. Ricciardo accettò, sicuro che la moglie, rivedendolo, gli avrebbe certo gettato le braccia al collo; invece, giunti in casa di Paganino, Bartolomea guardò il marito facendo finta di non riconoscerlo. Lo stupefatto Ricciardo, colpito da quell'indifferenza, insistette con la donna affinché riconoscesse in lui il suo legittimo marito, ma lei rispose che sarebbe stato poco conveniente guardare troppo un uomo sconosciuto, ma che, per quanto guardasse, non riconosceva nessun marito. Ricciardo allora pensò che la donna facesse così perché temeva Paganino che era lì presente e perciò pregò il padrone di casa di farlo parlare con la moglie a quattrocchi. Paganino acconsentì e i due andarono nella camera della donna dove Ricciardo, con tono appassionato e affettuoso, insistette perché la moglie lo riconoscesse. Bartolomea inizialmente rise in seguito gli rivelò di averlo riconosciuto da subito, ma gli rimproverò anche sfrontatamente il fatto che lui, con la storia delle vigilie, della quaresima e delle altre festività, l'aveva costantemente ignorata, gli ricordò, inoltre, che, se avesse imposto tante festività a coloro che lavoravano le sue terre, non avrebbe raccolto neanche un chicco di grano. E gli disse anche che si era imbattuta in un uomo gagliardo che non conosceva festività di sorta, che era sempre presente con la sua donna e che lei era ben lieta di vivere così; i digiuni e le festività religiose le avrebbe rispettate quando fosse stata vecchia. Messer Ricciardo, scandalizzato da tanta franchezza, provò a insistere ancora, ricordandole i doveri di moglie e le promise che, se fosse tornata a Pisa con lui, avrebbe trovato un marito del tutto diverso, capace di farla contenta. Bartolomea rispose che il suo onore era affar suo e si chiese anche come avrebbe potuto mai cambiare suo marito, visto che era un uomo freddo, indifferente alla sua sposa e che, per quanto si

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fosse ingegnato, sarebbe stato sempre un disastro. Lei se ne sarebbe stata col suo Paganino e, se poi fosse stata abbandonata, a Pisa non sarebbe tornata di sicuro, perché, tanto, qualunque soluzione sarebbe stata sempre più vantaggiosa di quella di un ritorno al talamo maritale; di conseguenza lo invitava a ripartirsene per Pisa da dove era venuto. Ricciardo se ne tornò così a Pisa dove gli venne una specie di fissazione e, quando incontrava qualche conoscente, si lamentava con lui, che una giovane donna non vuole mai rispettare le solennità religiose; questo stato d'animo lo fece ammalare di un male che lo portò presto a morte. Paganino, saputa la cosa, fu così lieto di sposare regolarmente la vedova e i due, finché poterono, non rispettarono mai le festività religiose.

3° Giornata Decamerone - Riassunto

Chi con abilità acquista una cosa desiderata o recupera quella perduta.

PRIMA NOVELLA (FILOSTRATO)In una città vi era un monastero con otto donne tutte giovanissime e in questo monastero prestava servizio come ortolano un signore che si licenziò perché scontento del salario; sentito l'accaduto un giovane di bell'aspetto di nome Masetto studiò come farsi assumere ma temeva di non essere accolto perché troppo giovane e appariscente, allora si finse muto. Così fu assunto e dopo pochi giorni alcune monache dicevano di aver sentito che il piacere che potesse procurare l'unione con un uomo era insuperabile, perciò decisero di sperimentare la cosa sul giovane ortolano e soddisfatte del rapporto lo ripeterono altre volte. Un giorno la badessa scoprì per caso il fatto e decise di non denunciare il fatto ma di divertirsi anche lei in questo modo ma egli non potendo soddisfare tutte le donne svelò di non essere muto e minacciò di fare uno scandalo se non lo avessero promosso castaldo e dopo molti anni tornò a casa ricco. Seconda novella (Pampinea): Un palafraniere del re Agilulfo, umile di aspetto ma bello nella persona, si innamorò perdutamente di Teodolinda e avendo perso ogni speranza pensò di ricorrere all'astuzia. Spiò il re per molte notti e vide che andava dalla regina con un mantello nero e una torcia sempre alla stessa ora così una notte si vestì come il re, andò dalla regina un po’ prima del solito ed ebbe un rapporto con lei. Quando si presentò il re, la regina chiese perché era ritornato ed egli capì il tradimento, perciò pensò che al colpevole avrebbe dovuto battere ancora il cuore per l'emozione e recatosi nel dormitorio di tutti i servi, visto colui al quale batteva il cuore più forte tagliò una ciocca di capelli per riconoscerlo il giorno dopo però, una volta andato via, il servo tagliò i capelli a tutti i servi, allo stesso modo con cui il re li aveva tagliati a lui, e così non fu mai scoperto.

SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)Un palafreniere del re Agilulfo, umile di condizione ma bello nella persona, si innamorò perdutamente di Teodolinda e non avendo speranza, per conquistarla pensò di ricorrere all'astuzia. Spiò il re per molte notti e vide che andava dalla regina con un mantello nero e una torcia sempre alla stessa ora, così una notte si vestì come il re, andò dalla regina un po’ prima del solito ed ebbe un rapporto con lei. Quando si presentò il re, la regina chiese perché fosse ritornato ed egli capì il tradimento, perciò pensò che al colpevole avrebbe dovuto battere ancora il cuore per l'emozione. Recatosi nel dormitorio di tutti i servi, individuato colui al quale batteva il cuore più forte tagliò una ciocca di capelli per riconoscerlo il giorno dopo. Una volta andato via, il servo tagliò i capelli a tutti i suoi compagni, allo stesso modo con cui il re li aveva tagliati a lui, e così non fu mai scoperto.

TERZA NOVELLA (FILOMENA)Una donna si era innamorata di un giovane che -aveva notato- era in buoni rapporti con un frate. Il

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giorno dopo questa andò dal frate a confessarsi e disse che questo suo amico la importunava anche se lei era sposata; quando il frate rivide l'uomo, lo redarguì per il gesto ma egli si meravigliò perché non aveva mai fatto una cosa di simile e così andò sotto casa della donna a chiedere spiegazioni e quella si scusò e mostrò a lui tutto il suo interesse e provò a sedurlo; una volta tornato a casa, la donna riandò dal frate e le disse che quel suo amico le aveva fatto delle proposte indecenti. Questi chiamò il giovane e lo sgridò di nuovo, allorchè egli capì subito che la donna si serviva del frate per invitarlo; andò quella notte stessa da lei che lo aspettava nella sua camera e si sollazzarono insieme con l'impegno di ritrovarsi altre volte senza più ricorrere al frate.

QUARTA NOVELLA (PANFILO)Un uomo chiamato Puccio di Rinieri era molto devoto al Signore e dal momento che non poteva avere figli volle farsi terziario dell’ordine francescano. Conobbe un monaco di nome Don Felice che iniziò a frequentare la casa di Puccio e si invaghì della moglie Isabetta. Allora disse a Puccio che poteva indicargli una penitenza che facevano anche il papa e i prelati per raggiungere il Paradiso più velocemente e cioè stare in preghiera tutta la notte in una stessa stanza della casa da dove si vedesse il cielo, sdraiato per terra e con le mani a guisa di crocifisso. Egli accettò e tutte le sere successive Don Felice lo invitò a eseguire la penitenza e nel frattempo in un’altra stanza egli poteva tranquillamente giacere con sua moglie per tutta la notte.

QUINTA NOVELLA (ELISSA)Francesco Vergellesi era un cavaliere ricco ma molto avaro e aveva bisogno di un cavallo per partire alla volta di Milano, così andò da un giovane ricco che ne possedeva uno e che era follemente innamorato di sua moglie. Quest’ultimo acconsentì a donarglielo in cambio di una chiacchierata con la moglie, e il cavaliere stupito che non gli avesse chiesto soldi accettò senza battere ciglio. Il giovane manifestò alla donna tutto il suo amore per lei e le disse che comprendeva la sua situazione però se avesse voluto, in assenza del marito, avrebbe potuto stendere due asciugamani alla finestra e lui vedendoli sarebbe accorso subito. Così durante l’assenza del marito lei cadde in tentazione e facendogli il segno stabilito lo fece venire e si abbracciarono e baciarono tutta la notte.

SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)Un giovane ricco di nome Ricciardo a Napoli si innamorò di Catella che dicevano essere la più bella di Napoli, però essendo questa sposata non faceva caso al corteggiamento di quest’ultimo, il quale decise di ricorrere all’astuzia; sapendo che era molto gelosa, la chiamò e le disse che il marito se la intendeva con sua moglie e che avrebbero avuto appuntamento in un bagno il giorno dopo e disinteressatamente le consigliò di presentarsi lei al posto di sua moglie, che era già stata avvisata, così avrebbe potuto smascherarlo. Il giorno seguente Ricciardo andò lui nel bagno prestabilito ed essendo una camera oscurissima si mise a letto e quando venne Catella goderono molto insieme; dopo il rapporto Ricciardo spiegò che era tutta una messinscena e Catella comprendendo che aveva fatto tutto per amore suo, lo amò e si divertirono altre notti insieme.

SETTIMA NOVELLA (EMILIA)C’era a Firenze un giovane di nome Tedaldo che amava Monna Ermellina, moglie di Aldobrandino Palermini, la quale ricambiava questo amore però un giorno non ne volle più sapere di lui. Tedaldo non capendo il perché, se ne rattristò molto e fuggì ad Ancona al servizio di un signore, però sentendo cantare una canzone che lui una volta aveva dedicato alla sua amata, gli tornarono in mente i bei ricordi e tornò a Firenze. Nel frattempo si era sparsa la voce della sua morte e lui capì che si trattava di Faziuolo al quale somigliava molto, allora si travestì da pellegrino per non essere riconosciuto e introdottosi in casa di lei si fece credere religioso e la costrinse a confessare perché

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aveva costretto all’esilio Tedaldo. Quando questa gli disse che era colpa di un frate che le aveva detto di on tradire il marito, questi gli rispose con abile discorso che era molto più grave mandare in esilio una persona che tradire, e vedendola pentita si tolse il mantello e si manifestò a lei e dopo le spiegazioni dovute si riconciliarono e ritornarono amanti come una volta.

OTTAVA NOVELLA (LAURETTA)In un monastero vi era un abate a cui piaceva molto la moglie di un certo Ferondo, che però era molto geloso. Allora riuscì a parlare con la donna che era stanca di questa gelosia e finse di dirle un segreto: che il marito per guarire doveva morire, purificarsi in Purgatorio e dopo con determinate preghiere sarebbe ritornato in vita, però in cambio del segreto lei doveva donare all’abate il suo amore. La donna fiduciosa nelle sue parole accettò e passò molte notti con lui che nel frattempo teneva il marito sotto l’effetto di droga in una cella sotterranea. Ogni tanto andava dietro la cella e camuffando la voce gli fece credere di essere in Purgatorio e che era stato punito per la gelosia, e che in pochi giorni sarebbe tornato in vita. Nel frattempo la donna rimase incinta, cosicché l’abate disse al giovane che sarebbe tornato in vita e che Dio gli avrebbe regalato un figlio. Egli ne fu molto contento, ritornò con la moglie e non smisero mai di ringraziare il frate.

NONA NOVELLA (NEIFILE)Vicino Parigi vi era una donna, Giletta, figlia di un medico, che si era innamorata del conte di Rossiglione e sapendo che egli era alla corte del Re e che il re stava in fin di vita, preparò una pozione insegnatale dal padre e disse al re che in cambio della guarigione le doveva dare in sposo quel suo cortigiano. Così fu e sebbene controvoglia si sposarono però il conte si recò a Firenze e disse alla moglie che non la amava e che voleva che la sua futura moglie si presentasse a lui con il suo anello magico al dito e con un suo figlio in braccio. In seguito la donna scoprì la donna che amava e le disse se poteva chiedere al re farsi inviare in segno del suo amore l’anello e se un giorno si sarebbe potuta sostituire a lei in cambio di una forte somma. Questa che era povera accettò, e così nove mesi dopo si presentò con l’anello e il figlio piccolo e il re riconosciutola e apprezzata la sua tenacia la risposò.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Nella città di Capsa un signore ricco aveva una figlia quattordicenne bella e avvenente che non essendo cristiana e avendo visto i suoi concittadini che erano felici poiché servivano Dio, si ritirò nel deserto e andò da un eremita, chiedendogli quale fosse il servigio più gradito da Dio; egli si invaghì di questa, cedette alle tentazioni e le disse che il modo più indicato per servire Dio era rimettere il diavolo nell’inferno e questo voleva dire che dovevano avere un rapporto. Alla ragazza questo modo piacque molto e lo volle fare molte altre volte e fu talmente contenta che raccontò ai suoi concittadini che questo era un servigio molto gradito a Dio e tutti si sollazzarono convinti di rendere omaggio al Signore.

4° Giornata Decamerone - Riassunto

PRIMA NOVELLA (FIAMMETTA)Il principe di Salerno Tancredi aveva una figlia, Ghismunda, che era ormai in età da marito, ma suo padre non si adoperava per trovarle un marito né lei osava chiederlo. Un giorno si innamorò ricambiata di uno dei tanti uomini della corte del padre, un giovane di umilissime origini di nome Guiscardo. I due iniziarono a frequentarsi. Tramite un passaggio in una grotta, i due giovane tutte le notti si incontravano nella camera della fanciulla. Tancredi però aveva l’abitudine di andare dopo

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mangiato nella camera della figlia per discorre con lei. Un giorno vi entrò e non trovando la figlia, si addormentò sul suo letto sotto le lenzuola. Fu svegliato dall’incontro dei due amanti. Voleva reagire d’impulso, ma gli venne in mente una vendetta più raffinata. Il giorno seguente catturò il giovane e poi andò dalla figlia per dirle che aveva scoperto la sua tresca amorosa e che Guiscardo era suo prigioniero. La fanciulla disse che si sarebbe suicidata se il suo amato fosse morto. Guiscardo fu ucciso dopo il colloquio. Il padre le inviò in una coppa d’oro il cuore dell’amante che la fanciulla baciò più volte. La fanciulla bevendo una pozione velenosa si suicidò e fu sepolta dal padre nel sepolcro di Guiscardo.

SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)Un certo Berto protagonista di cattive azioni, ad un certo punto, preso dal rimorso e divenuto cattolico si fece frate con il nome di Alberto. In principio era morigerato nei costumi ma pian piano ripristinò gli antichi vizi. Un giorno confessò una donna che vanagloriava la sua bellezza. Il frate si accorse della stupidità della donna e le disse che non era così bella come diceva di essere. Qualche giorno dopo si presentò a casa della donna chiedendole perdono per le parole dette. Infatti durante la notte era stato picchiato dall’angelo Gabriele che gli aveva anche detto di essere innamorato della donna. La donna fu molto contenta e allora il frate le disse che la notte seguente si sarebbe presentato l’angelo sottoforma l’aspetto di frate Alberto. I due passarono numerose notti insieme. Un giorno discorrendo con un’amica la donna le rivelò l’accaduto e presto tutti lo seppero e anche frate Alberto. Una sera quest’ultimo andò dalla donna per rimproverarla ma i parenti della donna che si erano appostati per sorprenderlo lo videro ed egli, nudo si gettò dalla finestra che dava sul Canal Grande; nuotò e si rifugiò nella casa di un signore. Questi aveva capito che l’uomo era il misterioso angelo e lo portò ad una festa mascherata dove il signore rivelò l’identità di frate Alberto che fu imprigionato.

TERZA NOVELLA (LAURETTA)La novella parla di tre sorelle di nome Ninetta,Magdalena e Bertella. Ninetta si innamorò di un giovane di umili origini; Magdalena e Bertella si innamorarono di due giovani di nome Folco e Ughetto che a causa della morte dei genitori erano molto ricchi. Restagnone dopo aver stretto amicizia con Folco e Ughetto chiese loro di prestargli qualche soldo e propose loro di partire insieme alle tre sorelle. Le tre coppie partirono verso Creta ove costruirono numerosi palazzi signorili. Restagnone non amava più Ninetta come prima e si innamorò di una giovane fanciulla di corte. Ninetta accortasi di ciò, accecata dalla gelosia avvelenò il suo compagno che morì. La giovane confessò il delitto al duca di Creta al quale si concesse Magdalena per far scampare la sorella dalla morte. Allora durante la notte quando Folco e Ughetto uscirono il duca rimandò a casa Ninetta e passò la notte con Magdalena. Folco ,la mattina seguente , non si spiegava come Ninetta potesse essere in casa e allora iniziò a sospettare della relazione tra Magdalena e il duca. Quindi Folco la uccise scappò con Ninetta. Le guardie incolparono dell’omicidio Ughetto e Bertella che le corruppero e scapparono a Rodi ove vissero in miseria.

QUARTA NOVELLA (ELISSA)Questa novella parla dell’amore tra Gerbino e la figlia del re di Tunisi. Guglielmo II, re di Sicilia, ebbe due figli:Ruggero e Costanza. Ruggero ebbe un figlio di nome Gerbino, che cresciuto dal nonno divenne molto bello e famoso per la sua cortesia e bravura.questa fama giunse presso la figlia del re di Tunisi che si innamorò di lui. Anche Gerbino si innamorò della fanciulla che era molto bella. Ma il re di Tunisi aveva promesso in sposa sua figlia al figlio del re di Granata perciò Gerbino non poteva sposare la fanciulla. Guglielmo, senza sapere dell’amore di suo nipote promise fedeltà e sicurezza al re di Tunisi e gli inviò un guanto segno di impegno assoluto. La nave su cui viaggiava

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la fanciulla per andare a Granata venne raggiunta e assaltata dalle due navi di Gerbino; ma la fanciulla fu uccisa e gettata in mare dai marinai della sua stessa nave. Ciò provocò l’ira di Gerbino che, salito sulla nave avversaria uccise molti uomini. Il re di Tunisi venuto a conoscenza dell’episodio,fece decapitare Gerbino in presenza di suo nonno Guglielmo come simbolo della fedeltà che egli gli aveva promesso.

QUINTA NOVELLA (FILOMENA)Nella città di Messina vi abitavano tre fratelli, ricchi mercanti, con la sorella minore Elisabetta, fanciulla molto bella che loro non avevano ancora maritato. Questa si innamorò di un giovane di nome Lorenzo che lavorava presso il fondaco dei tre fratelli. Anche Lorenzo si innamorò di Elisabetta e i due incominciarono frequentarsi segretamente. Il fratello maggiore accortosi della relazione ne parlò agli altri due fratelli e tutti e tre , dopo aver portato Lorenzo in luogo solitario lo uccisero e lo seppellirono. Una notte comparve in sogno a Elisabetta Lorenzo che le diceva di essere stato ucciso dai suoi fratelli e le rivelò dove era seppellito. Le fanciulla vi si recò, scavò e taglio la testa dal corpo che dopo averla fasciata mise in un vaso e ricoprì di terra e vi piantò delle piante. Spesso la fanciulla riversava lacrime sul vaso e i fratelli avvertiti dai vicini, le tolsero il vaso e scoperta la testa la sotterrarono. Dopo i tre fratelli partirono per Napoli affinché non si sapesse la storia e la sorella continuando a versare amare lacrime morì.

SESTA NOVELLA (PANFILO)Messer Negro da Pontecarraro aveva una figlia di nome Andreuola, giovane e molto bella, la quale era innamorata di Gabriotto, un uomo di bassa condizione. I due, scoprendosi innamorati, si sposarono segretamente. Una notte, Andreuola sognò la morte di Gabriotto. Così il giorno dopo, lei cercò di convincerlo a rinunciare al loro incontro segreto, ma lui non l’ascoltò. Una volta insieme, Andreuola gli disse del sogno, ma lui la confortò, dicendole che non doveva porre fede nei sogni e raccontò il suo anche lui, spiegandole che se avesse dovuto credere ai sogni quella notte non avrebbero proprio dovuto incontrarsi. Andreuola, spaventata, lo abbracciò e lo baciò e lui improvvisamente morì tra le sue braccia. Disperata e piangendo, la ragazza chiamò la sua fante, che le consigliò di portare il corpo davanti alla porta della casa di Gabriotto, per consegnarlo ai parenti. E così fecero. Ma mentre camminavano, incontrarono il podestà per strada, che trovatele con un morto, le portò davanti alla signoria. Qui, esaminato il corpo, si pensò che la ragazza lo avesse affogato e fu ritenuta colpevole, ma il podestà le disse che l‘avrebbe lasciata andare, se avesse acconsentito di diventare sua moglie, e lei rifiutò. Messer Negro, saputa la cosa, corse a liberare la figlia. Tornati a casa, messer Negro ordinò che fossero preparati i funerali per Gabriotto. Passati alcuni giorni, il podestà continuò ad insistere sulla proposta fatta alla figlia, ma lei, insieme alla sua fante, decise di farsi monaca.

SETTIMA NOVELLA (EMILIA)Una giovane e bella ragazza, chiamata Simona viveva a Firenze ed era innamorata di un ragazzo di nome Pasquino. I due si conoscevano perché lui vendeva la lana e lei la filava per il suo maestro. I ragazzi, anche se molto timidi, riuscirono a fissare un incontro in un giardino per poter stare insieme. Così lei, accompagnata dalla sua amica Lagina, e lui ,accompagnato dal suo amico Puccino, si incontrarono e nacque un nuovo amore anche tra i due amici. Pasquino e Simona, dopo aver mangiato, andarono a sedersi vicino ad un cesto pieno di salvia, perchè Pasquino voleva strofinarsene un po’ sui denti per renderli più puliti, e così fatto, il ragazzo all’improvviso morì. Sentendo le urla, Lagina e Puccino corsero a vedere cosa fosse successo e visto Pasquino a terra e senza vita, il ragazzo cominciò ad accusare Simona di averlo avvelenato e fu portata dal podestà. Ma questo volle vedere il corpo e il luogo in cui era avvenuto il fatto. Così Simona cominciò a raccontare e quando fece vedere cosa aveva fatto Pasquino con la salvia(strofinandosela sui denti)

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cadde a terra senza vita anche lei. Il podestà, stupefatto, prese la salvia e capì che era stata avvelenata. I due furono seppelliti insieme nella chiesa di San Paolo.

OTTAVA NOVELLA (NEIFILE)Girolamo abitava a Firenze ed era il figlio di un grandissimo mercante. Crescendo insieme a Salvestra, la figlia di un sarto, questo a poco a poco si innamorò di lei. La madre di Girolamo si accorse di questo amore e subito non fu d’accordo così decise di far allontanare il figlio da quella ragazza, dicendo ai tutori di convincere il ragazzo a partire per Parigi…e insistettero così tanto che alla fine il ragazzo acconsentì. Lo fecero stare a Parigi molti anni e alla fine, ritornato più innamorato di prima, trovò Salvestra già sposata. Girolamo decise di parlarle, ed entrato di notte in casa di nascosto, dopo essersi assicurato che il marito dormisse, andò da lei. Spaventata, la donna stava per gridare ma non appena si accorse che era Girolamo, lo pregò di andarsene ma lui non volle e cominciò a dormire vicino a lei. Ma l’uomo, quella notte, morì per il gran dolore. La donna, accortasi dopo poco tempo che il giovane era morto, andò dal marito e gli confessò tutto. Preso dal panico, l’uomo pensò che sarebbe stato meglio riportare il corpo a casa e così fecero. Il giorno del funerale, i due decisero di andarci, coperti in modo che nessuno li avrebbe riconosciuti, per capire se qualcuno sospettava di loro. Ma la donna non appena vide il corpo morto, a viso scoperto si gettò su di lui per piangere e morì di crepa cuore. Le donne che andarono a prenderla per consolarla, la riconobbero e la trovarono morta. La notizia arrivò anche al marito di Salvestra che pianse molto e raccontò la verità, così tutti capirono il motivo della morte dei due ragazzi e furono seppelliti insieme.

NONA NOVELLA (FILOSTRATO)Messer Guiglielmo Rossiglione e messer Guiglielmo Guardastagno erano due nobili cavalieri di Provenza. A entrambi piacevano le armi e amavano molto sfidarsi in gare o tornei. Nonostante abitassero molto distanti l’uno dall’altro, Guardastagno si innamorò della moglie di Rossiglione e dopo diversi incontri fece in modo che questa se ne accorgesse. Lei, conoscendolo, cominciò ad innamorarsene, e quando il marito se ne accorse, pensò ad una maniera per vendicarsi e uccidere il rivale. L’occasione si presentò con un torneo in Francia. Rossiglione invitò Guardastagno ad andarci insieme. Mentre Guardastagno si stava avvicinando al castello, disarmato ma accompagnato da due servitori, l’altro cavaliere sbucò all’improvviso da un cespuglio, lo uccise e gli strappò il cuore. La sera, lo dette al cuoco affinché lo cucinasse e una volta pronto la moglie lo mangiò di gran gusto. A quel punto il marito confessò alla moglie che quello che aveva appena mangiato era il cuore del suo amato Guardastagno. La donna, in preda al disgusto e alla disperazione, si gettò dalla finestra e morì. Il giorno dopo la cosa si seppe per tutto il paese e i due furono seppelliti insieme nel castello di Rossiglione.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Un chirurgo, Mazzeo della Montagna, che viveva a Salerno, aveva finalmente deciso di sposarsi. Si sposò con una affascinante ragazza. Essa però sentendosi trascurata dal marito, ebbe molti amanti finchè si innamorò di uno di loro, Ruggeri d’Aieroli, uomo mal visto in città. Un giorno fu affidato al medico un paziente al quale doveva essere operata la gamba e avendo deciso di operarlo la sera, preparò l’acqua con una soluzione che lo addormentasse e la posò nella sua stanza. Poi partì per Amalfi. La donna, approfittando dell’assenza del marito, invitò Ruggeri a passare la notte con lei. Quella sera, la donna ebbe ospiti e così rinchiuse il suo amante nella sua stanza. Essendo assetato, l’uomo bevve l’acqua lasciata la sera prima dal marito, e cadde in un sonno talmente profondo che quando la donna rientrò, pensò che quello fosse morto e chiamando la sua fante, insieme decisero di portarlo in un arca di un legnaiuolo là vicino. Quando Ruggeri si svegliò, muovendosi rumorosamente fu scambiato per un ladro e portato dal rettore, dove decisero di impiccarlo.

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Finalmente il medico rientrò dal suo viaggio ma corse subito dalla moglie a lamentarsi che l’acqua per far addormentare il suo pazienta non c’era più…la donna capì tutto.Inoltre la fante le disse che aveva saputo che avrebbero impiccato Ruggeri. Così la donna mandò la fante a visitare il prigioniero, e arrivata là, fu dimostrata allo stradicò (giudice criminale napoletano) l’innocenza di Ruggeri. L’uomo così fu liberato.

5° Giornata Decamerone - Riassunto INTRODUZIONESotto il reggimento di Fiammetta, si ragiona di ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse.

PRIMA NOVELLA (PANFILO)Cimone, figlio molto bello ma putroppo rozzo di Aristippo, ama Efigenia, promessa sposa a Pasimunda, giovane ricco di Rodi, e per lei diventa un uomo nuovo, ben vestito, abile lavoratore nonché filosofo. Così la rapisce ma naufraga a Rodi a causa di una terribile tempesta e immediatamente viene imprigionato da Lisimaco, somma magistratura di Rodi, e condannato assieme ai suoi compagni alla prigione perpetua. Anche Lisimaco è però follemente innamorato di una donna, la sorella di Efigenia, Cassandrea, promessa sposa a Ormisda; ed è proprio per questo motivo che decide di accordarsi con il prigioniero. Il piano è molto semplice: rapiscono insieme le due amate poco prima del loro matrimonio e fuggono a Creti, dove sono al sicuro grazie ad alcuni amici. La situazione dopo un periodo di tempo non precisato torna normale e così entrambe le coppie possono tornare ai loro paesi originari, Cimone e Efigenia a Cipri, mentre Lisimaco e Cassandrea a

SECONDA NOVELLA (EMILIA)Nell’isola di Lipari Martuccio Comito, giovane povero, s’innamora di Gostanza, donna molto bella e ricca. Lui, non potendola sposare a causa di un secco rifiuto da parte del padre di lei, si fa corsaro. Dopo un po’ di tempo, Martuccio viene rapito assieme ai suoi uomini dai Saraceni e viene imprigionato in Barberia. Lei, per farla finita dato che a Lipari era giunta la notizia della morte del suo amato, si butta in mare su un barca e si lascia trasportare dal vento; anch’essa però giunge in Barberia, precisamente a Susa, dove comincia a lavorare la lana in casa di un’anziana ma molto caritatevole signora, che la ricondurrà assieme a Carapresa, donna che aiutava i pescatori cristiani, dal suo innamorato. Martuccio, intanto, con uno stratagemma fa vincere la guerra al re di Tunisi, Meriabdela, il quale per riconoscenza lo libera e lo ricopre di ricchezze. Libero e ricco il giovane tornerà in Italia con Gostanza, dove si sposeranno e vivranno felicemente.

TERZA NOVELLA (ELISSA)Pietro Boccamazza, uomo nobile, ama Agnolella, che ricambia il sentimento ma che purtroppo è povera. I due giovani, avendo i genitori di lui impedito il matrimonio, decidono di fuggire verso la cittadina di Anagni; Pietro non sa bene la strada, così si perdono e vengono assaliti da dodici fanti. Fortunatamente però riescono a sfuggire ai ladroni e successivamente lui si perde in una selva, all’interno della quale alcuni lupi gli mangeranno il cavallo. Lei intanto trova ricovero da due

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vecchietti nel bosco, sfugge a una razzia di briganti e viene portata in un castello, che si scoprirà essere di alcuni suoi amici; i due si ritrovano e tornano a Roma dove si sposeranno.

QUARTA NOVELLA (FILOSTRATO)Lizio da Valbona ebbe una sola figlia, Caterina, che ben presto ricambiò l’amore di un certo Ricciardo Manardi, frequentatore della casa del padre; l’unico problema era il luogo dove potersi incontrare e la soluzione venne in mente al giovane innamorato…. I due si videro per la prima volta sul balcone della casa di lei e, dopo molti baci, passarono la notte assieme. Sfortunatamente però si addormentarono nudi e, quando si fece giorno, Lizio li scoprì; questo, uomo molto costumato, non fece alcuna scenata, anzi acconsentì il loro amore purché si fossero sposati. E così avvenne.

QUINTA NOVELLA (NEIFILE)Nella città di Fano l’ormai attempato Guidotto da Cremona, sul punto di morire, affida la giovane Agnesa al suo coetaneo Giacomin da Pavia, affinché la crescesse e la educasse ; ben presto questa divenne la più bella della città così che due concittadini, Giannole e Manghino, se ne innamorarono. Giannole decise di introdursi, grazie al fante Crivello, nella casa della fanciulla per rapirla ma, due informatori, riferirono la cosa a Minghino che, grazie ad un servitore, si introdusse anch’egli nella casa di Agnesa. Non riuscendo i due innamorati a porre fine alla discussione, la lite sfociò in una rissa. La fanciulla fu messa in salvo in casa mentre i contendenti furono arrestati. Crivello e Giacomino decisero di maritare la fanciulla con Giannole; quando i parenti dei due sposi chiesero a Giacomino cosa voleva per ricompensa, egli spiegò tutta la storia e si venne a conoscenza del fatto che la fanciulla era figlia di Barnabuccio e quindi sorella di Giannole. Tutti fecero pace e la fanciulla si sposò con Minghino.

SESTA NOVELLA (PAMPINEA)Nell’Isola di Ischia viveva marin Bulgaro con la sua bellissima figlia Restituta. Gianni, abitante di procida si innamorò perdutamente della bella Restituta e andava tutti i giorni a Ischia persino a nuoto pur di vederla. Un giorno però ella venne rapita da un gruppo di ragazzi che la portarono al re Federigo d’Aragona che la chiuse nel palazzo arabo-normanno che ha nome Cuba. Sulle tracce della donna amata, Gianni arrivò a Palermo e intravide Restituta dietro una finestra del palazzo. Durante la notte Federigo scoprì i due amanti addormentati e ordinò che fossero legati ed esposti nudi sulla pubblica piazza, prima di essere arsi vivi. Grazie alla testimonianza dell’ammiraglio Ruggeri di Lauria, i due giovani furono perdonati, perché identificati come il nipote di Gian di Procida, un partigiano degli Aragonesi e uno dei capi della rivolta dei Vespri (1282), e come la figlia del famoso MarinBòlgaro.

SETTIMA NOVELLA (LAURETTA)Teodoro, battezzato come Pietro da messer Amerigo che l’aveva comprato dai pirati mentre era ancora fanciullo, una volta cresciuto si innamora di Violante figlia dello stesso messer Amerigo e in una occasione la mette incinta. Saputo l’accaduto, Pietro viene condannato a morte finchè non si presenta nella storia il suo vero padre, ambasciatore dell’Armenia che lo riconosce e risolve la situazione parlando con messer Amerigo. Infine Violante e Pietro si sposano e vivono felici con un figlio.

OTTAVA NOVELLA (FILOMENA)

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Un nobile ravennate, Nastagio degli Onesti, nonostante fosse ancora molto giovane, si ritrovò ricchissimo in seguito alla morte del padre e dello zio; presto s'innamorò di una ragazza di un'ancora più nobile famiglia, quella dei Traversa, e per attirare la sua attenzione, cominciò a spendere smisuratamente in banchetti e feste. La giovane però non si mostrò mai interessata all'amore del ragazzo, e per questo lui più volte si propose di suicidarsi, di odiarla o di lasciarla stare, ma mai riuscì nei suoi propositi. Vedendo che, seguendo questo suo sogno, Nastagio si stava consumando nella persona e nel patrimonio, i suoi amici e parenti gli consigliarono allora di andarsene da Ravenna, in modo che riuscisse poi a dimenticare il suo amore inappagato; il ragazzo, non potendo continuare ad ignorare questo consiglio, si trasferì a Classe, poco lontano dalla sua città. Un venerdì all'inizio di Maggio, Nastagio, addentratosi nella pineta, vide una ragazza correre nuda e in lacrime, inseguita da due cani che la mordevano e da un cavaliere nero che la minacciava di morte: lui si schierò a difesa della fanciulla ma l'uomo a cavallo, dopo essersi presentato come Guido degli Anastagi, disse a Nastagio di lasciarlo fare in quanto, essendo in realtà già morto per essersi suicidato, stava solo scontando la propria pena infernale, accanendosi su colei che disprezzando il suo amore lo aveva portato a togliersi la vita. Rassegnatosi al volere divino, assisté allo strazio del corpo della giovane da parte del cavaliere, al termine del quale i due furono costretti a ricominciare da capo il loro inseguimento, fino a fuggire dalla vista di Nastagio. Il ragazzo decise allora di approfittare di questa situazione, e perciò invitò i propri parenti e la sua amata con i suoi genitori a banchettare in quel luogo il venerdì seguente. Come Nastagio aveva previsto, alla fine del pranzo si ripeté la scena straziante alla quale lui aveva assistito una settimana prima, e questa ebbe l'effetto sperato, infatti, la giovane Traversa, ricordandosi di come aveva sempre calpestato l'amore che il padrone di casa provava nei suoi confronti, per paura di subire la stessa condanna acconsentì immediatamente a sposare Nastagio, tramutando il proprio odio in amore.

NONA NOVELLA (FIAMMETTA)Federico degli Alberighi, un ricchissimo nobile di Firenze si innamorò di monna Giovanna, una delle donne più belle della Toscana. Per sedurla organizzò feste in suo onore e le fece doni fino a sperperare tutti i suoi averi e senza suscitare in lei nessuna attrazione. Si ridusse così a possedere solo un piccolo podere ed un falcone, uno dei migliori del mondo che gli permettevano di sopravvivere. Avvenne però che il marito di monna Giovanna morì e questa andò a trascorrere l'estate con il figlio in una tenuta vicino a quella di Federico. Questo e il ragazzo fecero presto la conoscenza, grazie al grande interesse del giovane per il falcone. Il figlio di Giovanna si ammalò e quando gli chiese cosa lui desiderasse, quello rispose che se avesse avuto l'uccello di Federico sarebbe sicuramente guarito. Il giorno dopo la madre si recò da Federico con una altra donna, non senza vergogna di andare a chiedere a lui che a causa sua si era ridotto in miseria una cosa così preziosa. L'accoglienza fu calda, le donne dissero che si sarebbero fermate per la colazione, ma l'uomo non trovando niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Il pasto trascorre piacevolmente, fino a quando monna Giovanna, raccolto il coraggio, chiede il falcone per il figlio moribondo. Federico scoppia a piangere davanti a lei e le spiega che glielo avrebbe donato volentieri se non lo avesse usato come vivanda per la colazione uccidendolo proprio perché non aveva niente altro di adatto ad una donna come lei. Giovanna torna a casa commossa per il gesto dell'uomo ma sconsolata e nel giro di pochi giorni il suo unico figlio muore, forse per la malattia, forse per il mancato desiderio dell'uccello. Essendo però ancora giovane viene spinta dai fratelli a rimaritarsi per dare un erede ai beni acquisiti dal defunto marito. La donna non vorrebbe altre bozze, ma essendo obbligata sceglie come sposo Federico per la sua generosità, facendolo finalmente ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Pietro di Vinciolo è omosessuale, ma per nasconderlo, si sposa. Sua moglie non è soddisfatta della loro vita matrimoniale, ma capisce che l'unico modo per ricevere soddisfazioni è tradire il marito.La

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moglie chiede consiglio ad una donna ritenuta santa che le dà ragione e che la aiuta a trovarsi gli amanti.Una sera Pietro va a cena da un suo amico, Ercolano, e la moglie fa venire a casa sua uno degli amanti, ma, quando stanno per cominciare la cena, Pietro torna a casa e la donna nasconde l'amante nella stalla. Pietro racconta alla moglie di essere tornato così presto perché, prima di mettersi a tavola, Ercolano ha trovato l'amante della moglie nascosto in un ripostiglio e la cena è andata a monte.La moglie di Pietro biasima il comportamento della moglie di Ercolano, ma proprio in quel momento un asino calpesta le dita del suo amante che lancia un grido di dolore. Pietro va nella stalla e trova l'amante della moglie che era un garzone che piaceva anche a lui e alla richiesta di spiegazioni del marito, la donna dice chiaramente i motivi del suo comportamento e lui non trova nulla da obiettare perché sa che la moglie ha pienamente ragione. Pietro decide di non interferire più nella “vita sentimentale” della moglie, fa servire la cena per il garzone, la moglie e lui e poi i tre passano la notte insieme.

6° Giornata Decamerone - Riassunto Queste novelle narrano di come, con una pronta ed arguta risposta, un uomo o una donna siano riusciti a togliersi d’impaccio o da una pericolosa situazione

INTRODUZIONERientrata in casa, la compagnia si prepara a mangiare quando Licisca, serva di Filomena, e Tindare, servo di Filostrato cominciano a litigare poiché lei afferma che le donne non arrivano mai vergini al matrimonio. Allora Elissa, eletta regina per quel giorno, chiama Dioneo, affinché giudichi il fatto. Dioneo dà ragione a Licisca. Finita la discussione, Elissa invita Filomena ad iniziare.

PRIMA NOVELLA (FILOMENA)Filomena intende dimostrare quanto le donne siano capaci di motti arguti, e come essi si addicano alla donna stessa, e a tal fine porta l’esempio di come una donna zittì un cavaliere incapace. Madonna Oretta era rispettata e conosciuta, e un giorno, viaggiando insieme con delle persone, ricevette da un cavaliere la proposta di salire sul suo cavallo ed essere da lui intrattenuta. Oretta salì allora sul cavallo, ma il cavaliere era incapace di raccontar le storie, e così, esasperata alla fine gli disse che il cavallo aveva un andamento troppo duro per lei e che quindi avrebbe preferito continuare a piedi.

SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)Un giorno giunsero a Firenze degli ambasciatori inviati lì da papa Bonifacio. Essi erano ospiti di Geri Spina, marito di Oretta. Il gruppo, ogni giorno passava davanti al negozio del fornaio Cisti, il quale, pur facendo un lavoro umile, aveva potuto arricchirsi. Quest’ultimo aveva una riserva di vini bianchi, la migliore di Firenze, ed era desideroso di offrirne un po’ anche alla brigata che ogni giorno passava di lì. Tuttavia, a causa della sua umile posizione, non poteva invitarli, e così decise di tentarli, mettendosi per due mattine di seguito a gustare il suo vino davanti al locale. Il secondo giorno, Geri, chiese al fornaio di poter assaggiare un po’ del suo vino. Questo piacque talmente tanto agli ambasciatori, che tutte le mattine passarono da lui per berne. Un giorno, Geri decise di

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organizzare un banchetto in onore degli ambasciatori che stavano per ripartire, e per questo mandò un suo servo dal fornaio a prendere un po’ di quel vino. Il servo si presentò allora da Cisti con un recipiente talmente grande che quando il fornaio lo vide, ridendo, disse al ragazzo che certo il suo padrone non lo aveva mandato da lui. Riferito questo, Geri disse al servo di tornare dal fornaio e chiedergli a chi dunque lo aveva mandato, e Cisti rispose che sicuramente lo aveva mandato a prendere acqua nell’Arno. Geri comprese dunque che era a causa della grandezza eccessiva del fiasco e così, dopo aver rimproverato il servo lo inviò di nuovo dal fornaio, stavolta con un fiasco adeguato. Cisti allora glielo riempì senza problemi e il giorno stesso si recò da Geri per spiegare il suo comportamento.

TERZA NOVELLA (LAURETTA)Viveva a Firenze il vescovo Antonio d’Orso, il quale aveva un fratello. Quest’ultimo aveva una nipote sposata ad un uomo cattivo ed avaro. Accadde che un giorno, venne a Firenze un maniscalco giovane e bello, che pagando al marito 500 fiorini falsi, potè giacere con la nipote del fratello del vescovo, il quale, venuto a conoscenza di ciò, finse di non saperne nulla. Il prelato un giorno, cavalcando col maniscalco, incontrò Madonna de’Pulci alla quale domandò se avesse voluto trascorrere la notte con quel bel giovine accanto a lui; a questa domanda essa rispose che molto volentieri l’avrebbe fatto se fosse poi stata sicura di venir ricompensata con monete vere.

QUARTA NOVELLA (NEIFILE)Viveva a Firenze Currado Gianfigliazzi, un gran signore, ricco e amante della caccia. Avendo un giorno catturato una bella gru, la diede al suo cuoco, Chichibio. Mentre la gru coceva sullo spiedo si spanse tutt’intorno un profumo di arrosto che attirò una servetta del rione di cui Chichibio era invaghito. Questa allora chiese a Chichibio una coscia del volatile ma Chichibio le rispose che non poteva regalargliela. Quella allora lo minacciò sul piano affettivo e al cuoco non rimase che accontentarla. Quella sera si tenne una bella cena con degli ospiti, e Currado, vedendo che alla gru mancava una coscia, chiese spiegazioni, al che il cuoco per difendersi disse che le gru avevano una sola gamba, non due. Allora Currado decise di sfidare il cuoco a dimostrargli, all’alba del giorno seguente, la veridicità delle sue parole. Così al mattino si recarono al lago dove le gru riposavano poggiate su una sola zampa. Proprio mentre Chichibio cominciava a credersi salvo Currado lanciò un forte grido a causa del quale tutte le gru presero il volo mostrando così entrambe le zampe. Al che il cuoco rispose al suo padrone che, se avesse lanciato un urlo simile la sera prima, anche quella gru avrebbe mostrato entrambe le zampe. Currado sorpreso e divertito di quella battuta decise allora di perdonare il cuoco.

QUINTA NOVELLA (PANFILO)A Firenze avevano vissuto due uomini, capacissimi nella loro arte, ma di aspetto quasi turpe: Giotto, e Forese da Rabatta: il primo il più grande dei pittori, il secondo grande conoscitore della giurisprudenza. Accadde un giorno che di ritorno dal Suggello si ritrovassero a fare la strada insieme, ma ben presto un grande acquazzone li colpì e furono costretti a rifugiarsi presso dei conoscenti. Quando la pioggia si fu placata, allora insieme ripresero il cammino, discutendo amichevolmente. Mentre ancora parlavano, Forese disse che chi non avesse conosciuto Giotto di persona e le sue opere, avrebbe con difficoltà creduto che fosse il più grande dei pittori. A ciò Giotto, a sua volta, rispose che chiunque non avesse conosciuto di persona Forese avrebbe di certo dubitato che fosse così dotto.

SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)Viveva tempo fa a Firenze un certo Michele Scalza, un giovane molto spiritoso che un giorno si

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trovò con un'allegra brigata sulla collinetta di Montughi. Tra i giovani nacque una discussione su quale fosse la famiglia più antica di Firenze. Allora lo Scalza, affermò che secondo lui gli uomini più antichi del mondo erano quelli del casato dei Baronci. Come risposta vi fu una risata generale, ma lo Scalza insistette e disse che si sarebbe rimesso ad un giudice, e che se avesse perso, avrebbe pagato la cena a tutti. Un certo Neri Mannini accettò la sfida e, scelse come arbitro il padrone di casa Piero di Fiorentino. Il giudice ascoltò prima le ragioni del Neri e poi dette la parola allo Scalza. Lo Scalza difese la sua posizione affermando che Dio, quando ancora non aveva imparato a disegnare bene, aveva creato i Baronci, solo in seguito, quando aveva preso pratica con la matita, aveva creato tutti gli altri uomini, e ciò si poteva constatare osservando bene tutti i difetti estetici che i Baronci avevano. A questa conclusione tutti sentenziarono che lo Scalza aveva vinto la cena.

SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)A Prato accadde che una donna di nome Filippa, fu sorpresa dal marito fra le braccia di Lazzarino dei Guazzagliotri, un nobile giovane di quella città. Il marito, Rinaldo, denunciò allora la moglie e la trascinò in tribunale. Qui, Filippa confessò con franchezza di essere stata sorpresa dal marito tra le braccia del suo amante. Aggiunse però che quando era stata approvata la legge che condannava a morte le adultere, le donne non erano state chiamate a dire la loro e che quindi si trattava di una legge radicalmente ingiusta. Inoltre chiese al marito se mai aveva mancato ai suoi doveri di moglie. Rinaldo rispose allora che mai gli si era rifiutata. La donna quindi affermò che se il marito aveva sempre ricevuto da lei ciò di cui aveva avuto bisogno, cosa avrebbe dovuto fare lei di ciò che lui le aveva lasciato, “avrebbe dovuto gittarlo a’ cani”? In seguito a ciò, dopo una grande risata fu deciso di condannare al rogo le donne che avessero commesso adulterio per denaro.

OTTAVA NOVELLA (EMILIA)Un certo Fresco da Celatico aveva una nipote chiamata Cesca, una donna altera e sussiegosa, che aveva la cattiva abitudine di criticare malevolmente tutto e tutti, senza mai guardare se stessa. Un giorno Cesca se ne andò a casa di Fresco e gli si sedette accanto, sbuffando e sospirando. Lo zio le chiese come mai, in un giorno di festa, se ne fosse tornata a casa molto prima del tempo. Cesca rispose che era tornata a casa perché, in quella città, tutti gli abitanti, uomini e donne, erano talmente fastidiosi e antipatici, che passando per la strada aveva la sensazione di incontrarsi con la sventura fatta persona. Fresco le disse allora duramente: « Figliola, se le persone antipatiche e spiacevoli ti danno tanto fastidio, segui il mio consiglio: non ti specchiare mai ». Ma la ragazza, convinta di essere saggia, ma in realtà molto stupida, non capì la frase di Fresco e affermò, che avrebbe continuato a specchiarsi come tutte le donne.

NONA NOVELLA (ELISSA)Un'usanza dell’aristocrazia di Firenze era quella di formare liete brigate di gentiluomini, cui partecipavano anche gentiluomini forestieri. Una di queste brigate di giovani cavalieri era capeggiata da Betto Brunelleschi, un giovane coraggioso, il quale desiderava che nel gruppo entrasse il celebre poeta e filosofo Guido Cavalcanti: per dare prestigio alla brigata. Un giorno, Cavalcanti si trovava dalle parti di San Giovanni, dove a quel tempo c'era il camposanto con grandi sarcofagi di pietra. Passava di lì la brigata di Betto Brunelleschi che pensò di andare a punzecchiare il poeta. Tutti gli si avvicinarono stringendolo con i cavalli contro i sarcofagi di pietra e si misero quindi a scherzare e a prenderlo in giro. Allora il poeta disse: «Egregi signori, a casa vostra voi potete dire tutto quello che vi piace» e se ne andò. I giovani non capirono, ma Betto Brunelleschi, che era il più sveglio di tutti, spiegò: «Guido ci ha offeso con eleganza infatti ci ha detto che siamo come dei morti perché siamo ignoranti e di conseguenza noi qui al camposanto siamo come a casa

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nostra». Da quel giorno nessuno della brigata osò più infastidire il poeta.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Tutte le estati veniva a Certaldo un tale fra’ Cipolla. Costui rivolgendosi ai credenti dopo la messa, li pregò di tornare la sera stessa sul sagrato della chiesa, poiché avrebbe mostrato loro un’antica reliquia: una penna dell’Arcangelo Gabriele che egli perse quando andò da Maria per annunciarle la divina nascita. Due giovinetti, Bragonieri e Pizzini, architettarono allora uno scherzo ai danni del frate. Sapendo che sarebbe andato a pranzo da un suo amico nobile, corsero all'albergo dove il frate teneva le sue bisacce, per derubargli la santa reliquia e per mettere alla prova l'inventiva di costui, quando si fosse trovato privo di questa davanti alla folla dei credenti. Il servo di fra' Cipolla, Guccio Imbratta era rimasto nell'albergo per custodire le cose del frate; ma, essendo innamorato una servetta che lavorava nell’albergo, abbandonò tutto per precipitarsi dalla sua amata. I due burloni, ne approfittarono: andarono nella stanza del frate e, vista la cassetta con la penna, la sostituirono con dei pezzetti di carbone trovati nel caminetto della stanza e se la squagliarono. La sera, Guccio portò al frate le sue bisacce. Costui, presa la cassetta con la penna dell'Arcangelo Gabriele, la aprì, ma vedendo come stavano le cose, la richiuse precipitosamente, maledicendo in silenzio Guccio. Quindi, senza battere ciglio, cominciò a raccontare alla folla che, quando era ancora giovane, era stato inviato dai suoi superiori in Terrasanta, dove aveva conosciuto il venerabile padre Nonmiscocciate Seavoipiace, il quale, gli aveva fatto vedere tutte le sante reliquie che custodiva con venerazione e gliene aveva regalata qualcuna tra cui un dente della santa Croce, una piccola ampolla con il suono delle campane del tempio di Salomone, la penna dell'Arcangelo Gabriele e i carboni del fuoco che aveva bruciato san Lorenzo. Visto però che sia la penna dell'angelo sia i carboni di San Lorenzo erano custoditi in due scatole identiche a volte egli si sbagliava, proprio come in quell’occasione in cui infatti, invece della penna, aveva preso i carboni e, visto che tra due giorni sarebbe stata proprio la festa di quel santo, pregò i fedeli di togliersi i berretti ed avvicinarsi a lui per essere segnati con quei carboni che tanto non si consumavano mai, assicurandoli che chi fosse stato segnato con essi, per un anno intero non sarebbe stato bruciato dal fuoco senza che non se ne fosse accorto. In tal modo il furbo frate raccolse un bel po' di offerte.

7° Giornata Decamerone - Riassunto

PRIMA NOVELLA (EMILIA)A Firenze vi era un cardatore della lana di nome Gianni Lotteringhi, il quale era molto religioso e recitava tutti giorni delle lodi alla Madonna e spesso era molto preso dal lavoro che trascurava un poco la moglie, Monna Tessa. Quest’ultima era innamorata di un certo Federigo e dal momento che lei viveva in una villa un po’ fuori città e il marito soltanto qualche volta se ne veniva a casa a cenare e a dormire, molto spesso si incontravano di nascosto e lei gli diceva che quando voleva venire doveva fare attenzione perché nella vigna c’era un teschio d’asino su un palo e quando il muso era rivolto verso Firenze voleva dire che il marito non era in villa, altrimenti significava che c’era. Si incontrarono molte altre volte e una volta capitò che un contadino che passava per caso spostò il muso e non sapendo Federigo che Monna Tessa era a letto con il marito bussò tre volte come al solito e destatosi subito il marito, Monna Tessa gli disse che erano i fantasmi e che conosceva una lode per scacciarli e nel frattempo fece cenno a Federigo di andarsene, così il marito credulone prestò fede alle parole della donna e credette di aver scacciato i fantasmi.

SECONDA NOVELLA (FILOSTRATO)Un muratore che viveva a Napoli era sposato con una bella donna di nome Peronella, la quale era innamorata di un giovane che si chiamava Giannello. Tutte le mattine il marito andava a lavorare e

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la moglie incontrava Giannello nella sua casa, ma un giorno inaspettatamente tornò a casa prima e una volta bussato all’uscio, Peronella fece nascondere Giannello dentro un tino. Lei si finse sorpresa del suo arrivo e chiedendo spiegazioni seppe che aveva concluso un affare vendendo un tino per cinque gigliati, così lei, per non farsi credere meno furba disse che anche lei aveva venduto un tino però a sette gigliati a un uomo che aveva voluto entrarci dentro per vedere se era sano. In quel momento uscì Giannello fingendosi il compratore e disse che gli sembrava un po’ sporco, perciò la donna fece entrare il marito per pulirlo e nel frattempo se la spassò con il giovane, poichè per l’arrivo improvviso del marito non aveva potuto farlo la mattina e quando finì, Gianello pagò i sette gigliati e se ne andò via felice.

TERZA NOVELLA (ELISSA)C’era a Siena un giovane bello e di nobile famiglia, il quale si innamorò di una sua vicina, moglie di un ricco uomo; con il tempo, essendo la donna incinta, la andava a visitare parecchie volte e divenne presto amico dei due coniugi, tanto che fu scelto da loro come futuro padrino del nascituro. Una volta nato, il giovane si fece frate ma non per questo perse il suo desiderio nei confronti della donna e così un giorno si incontrarono in camera di lei mentre il marito era assente e convinse la donna a soddisfare i propri piaceri, però all’improvviso tornò il marito e la donna, non perdendosi d’animo aprì e disse che dovevano ringraziare Dio che era venuto il loro amico frate perché il piccolo aveva dei vermicelli che in poco tempo sarebbero giunti al cuore, provocandone la morte però egli conosceva alcune orazioni per liberarlo e lo aveva prontamente guarito. In seguito il marito, molto felice di aver scelto il frate come padrino organizzò una festa in suo onore.

QUARTA NOVELLA (LAURETTA)Ad Arezzo vi era un bel giovane di nome Tofano che era molto geloso della moglie la quale mal sopportava la sua gelosia e decise di andare con un altro uomo e tutte le sere, puntualmente lo faceva ubriacare e lo metteva a dormire così se la poteva intendere con il suo amante talvolta in casa sua, talvolta in casa di lei. Un giorno il marito, capendo qualcosa, finse di ubriacarsi e quando la donna andò a casa del suo amante, la chiuse fuori e al suo ritorno non la faceva entrare. Cosicché la donna minacciò di buttarsi dentro al pozzo così la gente avrebbe creduto che l’avesse buttata lui mentre era ubriaco e direttasi verso il pozzo buttò una grande pietra, provocando un tonfo enorme. Lui credendo che si fosse buttata, uscì di corsa per salvarla, però lei, che si era nascosta dietro la porta, entrò in casa e a sua volta lo chiuse fuori, giustificando la sua azione come una punizione per la sua gelosia, così si riconciliarono e lui le promise che non sarebbe più stato geloso.

QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)A Rimini c’era un mercante molto ricco che era geloso oltre ogni misura della moglie e non la faceva uscire di casa, né affacciarsi alla finestra. Ella, poiché sapeva che accanto a loro viveva un giovane, per vendicarsi, quando il marito usciva ispezionava tutta la casa finchè riuscì a trovare una fessura dalla quale parlare al giovane. Avvicinandosi il Natale, la donna disse al marito che si doveva confessare ed egli indicatole un confessore, si travestì lui stesso da prete. Però la donna, capito l’inganno raccontò in confessione che tutte le notti se la intendeva con un prete che ella amava e che con orazioni particolari, faceva addormentare il marito ed entrava dalla porta. Il marito, avendo udito tutto ciò fu molto indignato e si mise di guardia tutte le notti fuori dal cancello, e nel frattempo lei chiamava il giovane dalla fessura e si giaceva con lui tutte le notti. Dopo molto tempo che non era riuscito a scorgere nessuno, interrogò la donna, la quale le disse che aveva capito il travestimento e per punire la sua gelosia si era inventata la storia del prete, e dal quel giorno in avanti il marito non fu più geloso e le concesse di uscire quando ne avesse avuto voglia.

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SESTA NOVELLA (PAMPINEA)Una giovane donna, moglie di un cavaliere assai valoroso, amava un giovane di nome Leonetto e quando il marito non c’era si incontrava con lui nella sua villa di campagna; però un giorno si innamorò di lei un altro cavaliere di nome Messer Lambertuccio, il quale minacciò di disonorarla se non avesse corrisposto al suo amore. Così un giorno che il marito era fuori città, ella se ne andò in campagna a giacersi con Leonetto, però informato dell’assenza del marito si presentò anche il cavaliere e lei fece nascondere il giovane sotto il letto. Dopo poco tempo sopraggiunse il marito e la donna disse al cavaliere di prendere un coltello e di urlare per le scale; così fece e il marito chiese spiegazioni alla donna, la quale ripose che mai aveva avuto una paura simile perché c’era questo cavaliere che inseguiva un giovane indifeso e lo minacciava con il coltello, perciò lei, impaurita lo nascose sotto al loro letto e, non trovandolo, se ne andò urlando. Allora uscì Leonetto e il marito, credendo al racconto della donna, la lodò molto per il suo coraggio, e in realtà solo la donna sapeva ciò che era realmente accaduto in quel castello.

SETTIMA NOVELLA (FILOMENA)A Parigi, il figlio di un mercante, avendo sentito dire da degli amici che erano andati al Santo Sepolcro che a Bologna vi era la donna più bella che avessero mai visto e che però era sposata con un certo Egano, si recò in quel luogo e si fece assumere come servitore. Dopo molto tempo acquistò la fiducia di Egano e divenne il suo miglior servitore e un giorno che andò a caccia manifestò a questa donna tutto il suo amore e lei dopo avergli dato ogni sorta di piacere, gli disse di presentarsi in camera sua a mezzanotte. Puntuale si presentò e si nascose dietro al letto, allora la donna disse al marito che il loro miglior servo le aveva chiesto di incontrarlo sotto un pino per giacersi con lei, e mandò il marito a controllare, vestito con una gonna delle sue. Uscito il giovane si baciarono appassionatamente e la donna gli disse di andare dal marito e di prenderlo a bastonate dicendo che era una cattiva moglie perché lui aveva voluto tentarla e lei non si doveva presentare se fosse stata fedele. Il giovane fece come gli era stato raccomandato e quando Egano ritornò in camera sua disse che era l’uomo più contento del mondo perché aveva la più leale donna e il più fedele servo.

OTTAVA NOVELLA (NEIFILE)Un ricchissimo mercante di nome Arriguccio si assentò per un mese dalla città dove viveva e la moglie si innamorò di un giovane operaio di bell’aspetto; quando ritornò il marito, sapendo che egli aveva il sonno pesante, lei si legò al dito del piede una corda che arrivava fin fuori dalla finestra cosicché quando il giovane avesse tirato la corda, la donna gli sarebbe corsa incontro. Però un giorno Arriguccio vide la corda e sospettando qualcosa se la legò al suo piede; quando sentì tirare prese le armi e scese di corsa ma nel frattempo il giovane iniziò una fuga e si rincorsero a lungo. Intanto la donna pagò una serva per mettersi a letto al posto suo e quando il marito tornò, percosse violentemente la serva e le tagliò i capelli. In seguito si recò dai fratelli della donna e raccontò loro l’accaduto, però una volta recatisi da quest’ultima la videro seduta a una sedia che cuciva e senza nessun segno in faccia e di fronte allo stupore generale la donna disse che era da un po’ di sere che il marito tornava a casa ubriaco e non ricordava niente; così il povero marito fu ingiuriato e non fu più creduto e la donna se la potè spassare con il giovane ogniqualvolta lo avesse desiderato.

NONA NOVELLA (PANFILO)Ad Argo, nell’antica Grecia, vi era Nicostrato che aveva una moglie di molti anni più giovane di lui, la quale si innamorò di un servo di nome Pirro; nei giorni successivi mandò diverse serve da Pirro per manifestargli il suo amore ma egli non voleva recare un offesa al re e in secondo luogo non prestò fede alle parole della donna e così gli chiese tre prove: ella doveva uccidere lo sparviero del marito, doveva inviargli una ciocca della barba e un suo dente. Allora lei non perdendosi d’animo uccise prima lo sparviero e tra le risa generali disse che era stufa del fatto che preferiva andare a

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caccia con quello piuttosto che una notte d’amore con lei; poi gli strappò una ciocca della barba e infine dicendogli che gli puzzava la bocca e che secondo lei la causa era di un determinato dente, glielo estirpò e lo spedì al suo amato. Così egli convinto dell’amore di lei fu disposto a giacersi con lei tutte le volte che il re si fosse assentato.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Nella città di Siena c’erano due giovani che erano molto amici e si chiamavano Tingoccio e Meuccio. Poiché ogni volta che prendevano parte alla messa sentivano parlare della gloria e della miseria che spetta alle anime nell’altro mondo secondo i loro meriti, si erano molto incuriositi e si promisero che colui che sarebbe morto per primo sarebbe tornato in vita per raccontare all’altro come vengono di fatto giudicate le anime.Un giorno divennero padrini di battesimo del figlio di una giovane donna, il cui nome era monna Mita e se ne invaghirono entrambi però solo Tingoccio con i suoi corteggiamenti la conquistò e potè essere soddisfatto da lei. Meuccio se ne accorse ma non disse nulla e arrivò il giorno che Tingoccio morì; poco tempo dopo ritornò come promesso e Meuccio gli domandò se era stato dannato per avere avuto un rapporto con la sua comare di battesimo ed egli rispose negativamente dicendo che non conta il rapporto di parentela e detto questo Meuccio si rammaricò molto perché in vita sua si era sempre fatto di questi problemi prima di andare con una donna.

8° Giornata Decamerone - Riassunto INTRODUZIONEQuando sorse il sole dieci giovani passeggiarono lungo il prato per poi andare alla messa. Ritornati a casa, dopo aver mangiato, si abbandonarono al canto e alla danza, quindi la regina decise di far riposare la compagnia. Passato mezzogiorno, si sedettero in cortile e la regina ordinò a Neifile di raccontare.

PRIMA NOVELLA (NEIFILE)La novella è ambientata a Milano ed ha come protagonista Gulfardo, un giovane molto leale nel restituire i soldi, che si innamorò di madonna Ambrogia, moglie di un suo amico mercante, Guasparruolo Cagastraccio. La donna, per far ciò che a Gulfardo piaceva, pose due condizioni: che non si fosse riferito il fatto ad alcuno e che le donasse duecento fiorini d’oro. Egli, sdegnato dalla sua avarizia, mutò in odio il suo amore e pensò di beffarla, così finse di accettare la proposta. Allora andò dal marito e gli chiese in prestito duecento fiorini, che egli ricevette. Quando Guasparruolo partì, Gulfardo si recò a casa di lei con un compagno e in presenza di questo le diede i duecento fiorini dicendole di consegnarli al marito. Ambrogia rimase un po’ perplessa ma pensò che lui aveva detto ciò solo perché davanti all’amico. Così i due andarono in camera di lei e si sollazzarono. Dopo che Guasparruolo tornò, il giovane, accompagnato dall’amico, andò in casa sua dove era pure la donna e disse al mercante che aveva già restituito alla moglie i soldi che gli furono prestati. Questa, vedendo il testimone, si vide costretta a dare i soldi al marito cosicché lei rimase scornata e il furbo amante ne poté godere senza costo.

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SECONDA NOVELLA (PANFILO)La novella è ambientata a Varlungo e il protagonista è un prete che seppur leggesse poco riusciva a ricreare i parrocchiani, in particolare le donne. Tra queste ce ne era una che gli piaceva maggiormente: monna Belcolore, moglie di un contadino. Per entrare in amicizia con lei il prete le mandò dei doni, ma questa li ignorava fino a quando un giorno il prete la andò a trovare. Il prete cercò di farle alcune proposte ma lei non cedeva finché ella disse che le servivano cinque lire; allora il prete le promise che gliel’avrebbe date la domenica successiva ma lei non si fidava cosicché fu costretto a lasciarle in pegno un mantello che valeva molto più di cinque lire. Fatto ciò i due andarono in una capanna dove si sollazzarono. Tornato in chiesa però si pentì di averle dato quel mantello così pensò a come riprenderlo. Il giorno dopo mandò un ragazzo da Belcolore per chiederle in prestito un mortaio e la donna accettò. In seguito disse a un chierico di andare dalla donna per ridarle il mortaio e riprendere il mantello che il giovane lasciò come pegno. Il chierico, consegnato il mortaio, riferì ciò che gli aveva detto il prete al marito il quale si adirò con lei per aver chiesto un pegno da un prete; così il chierico poté prendere il mantello e riconsegnarlo. La donna rimase scornata e non parlò al prete per molto tempo fino a quando questo la minacciò di mandarla all’Inferno; allora si riparlarono e si sollazzarono altre volte.

TERZA NOVELLA (ELISSA)La novella è ambientata a Firenze e il protagonista è il pittore Calandrino, vittima di una burla di Maso del Saggio e suoi amici. I buontemponi gli raccontarono che vicino Firenze c’era un fiume dove si trovavano pietre nere e di diversa grandezza che davano l’invisibilità. Saputo ciò Calandrino decise di cercarle con suoi due amici, Bruno e Buffalmacco, che appresa questa notizia, capiscono subito che si tratta di una burla, finsero meraviglia e decisero di andare con lui. Una mattina andarono vicino questo fiume in cerca delle pietre; dopo un po’ di ore i due amici, come stabilito, vedendo Calandrino carico di pietre, finsero di non vederlo più, così pensò di essere invisibile. Allora i due se ne andarono e Calandrino li precedeva, pensando di non essere visto; ma i due amici, come era stato preparato, si dissero che se avessero visto Calandrino gli avrebbero tirato le pietre per essersi preso gioco di loro: così iniziarono a tirare pietre davanti a loro prendendo sempre Calandrino il quale però soffriva in silenzio il dolore per non farsi scoprire. Prima di tornare a casa alcuna persona fermò o rivolse la parola al pittore: infatti tutti erano stati avvisati da Bruno e Buffalmacco. Però la moglie, non essendo stata avvertita, vide Calandrino e gli parlò: allora egli, pensando che la moglie gli avesse tolto l’invisibilità, la menò. Quindi i due amici lo andarono a trovare a casa e videro la moglie picchiata e lui affannato così vollero delle spiegazioni; Calandrino narrò loro tutti i fatti infuriato con la moglie. I due con una gran voglia di ridere riuscirono a riappacificare marito e moglie con grande fatica e se ne andarono ridendo.

QUARTA NOVELLA (EMILIA)La novella è ambientata a Fiesole e il protagonista è un parroco che amava la vedova Piccarda, che viveva con due fratelli in un casale, e voleva che anch’essa gli volesse bene. Questo era anziano ma ancora baldanzoso e presuntuoso e perciò non piaceva alla donna; ma il parroco era molto insistente e le mandava di continuo doni e lettere finché la vedova decise di levarselo di torno definitivamente e si accordò con i fratelli. Così andò dal parroco e gli disse che era disposta ad essere sua ma se si fossero visti nella sua stanza dovevano stare muti e al buio per non farsi scoprire. Il parroco accettò l’invito per la stessa notte. Nel frattempo Piccarda si era messa d’accordo con la sua cameriera Ciutazza, di una bruttezza unica: in cambio di una camicia nuova Ciutazza doveva stare al buio e in silenzio con un uomo. E questa accettò subito. La sera, il parroco andò a casa della vedova e credendo di trovare lei nel letto iniziò a sollazzarsi e a baciare Ciutazza. Allora i due fratelli chiamarono il vescovo per mostrargli una cosa nella loro casa. Il parroco, visto il vescovo, cercò di nascondere il capo sotto le coperte ma quegli glielo tirò fuori e gli fece vedere per lo più con chi era andato a letto. Così il parroco dovette pagare il peccato per quaranta giorni e venne preso in giro da

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tutti per essere andato a letto con la Ciutazza.

QUINTA NOVELLA (FILOSTRATO)La storia si svolge a Firenze. Niccola è un Giudice e il suo modo di vestire è piuttosto trasandato. Un giorno mentre Maso va da un suo amico, si accorse che Niccola vestiva malamente. Il particolare che lo colpì furono le braghe che arrivavano a metà della gamba. Subito andò a cercare i suoi amici Ribi e Matteuzzo e li portò a vedere le braghe del Giudice. I tre a vedere quello spettacolo si misero a ridere. A Maso venne l’idea di tirargliele giù: i tre si misero d’accordo sul da farsi. La mattina seguente tornarono dal Giudice che stava seduto sulla panca del tribunale, Maso si accostò ad un lato del Giudice, mentre Ribi si mise dall’altra parte. Matteuzzo si mise sotto al banco dove il Giudice teneva i piedi. Maso e Ribi fecero finta di litigare per un furto. Intanto, mentre il Giudice era intento a seguire la discussione, Matteuzzo da sotto il banco gli calò furtivamente le braghe e scappò senza farsi notare. Il Giudice non capì come era potuto accadere e i complici della burla guardarono il Giudice con scandalo disapprovando tale comportamento e se ne andarono sdegnati.

SESTA NOVELLA (FILOMENA)Il racconto è ambientato vicino Firenze. Di solito Calandrino andava in una Villa per ammazzare un maiale. Bruno e Buffalmacco, erano due piccoli truffatori di Firenze che venuti a conoscenza della partenza di Calandrino andarono da un loro amico prete, che viveva nei pressi della villa di Calandrino. Calandrino dopo aver ucciso il maiale li invitò a vederlo. Essi videro che il maiale era bellissimo e proposero a Calandrino di venderlo e con il ricavato andare a divertirsi. Calandrino rifiutò l’offerta poiché sapeva che la moglie non gli avrebbe creduto. I tre mentre stavano tornando a casa escogitarono un piano per rubare il maiale. La sera il prete invitò Calandrino e gli offrì da bere secondo i piani e Calandrino si abbandonò al bere. Tornato a casa un po’ ebbro non si curò della chiusura della porta. Bruno e Buffalmacco approfittarono dell’occasione ed entrarono furtivamente nella casa, portandosi via il maiale. La mattina seguente Calandrino accortosi della scomparsa del maiale uscì di casa sconvolto. Bruno e Buffalmacco andarono a vedere la situazione e Calandrino gli raccontò ciò che era successo. Alla fine i due gli proposero di cercare il ladro tra i suoi vicini. I due compari raccontarono a Calandrino di conoscere un metodo che consiste nel preparare delle gallette di zenzero, colui che le avesse sputate sarebbe stato il ladro. Prepararono queste gallette e alcune le ricoprirono di zucchero dividendole da altre. Il primo che assaggiò le gallette fu lo stesso Calandrino, al quale i due gli diedero quelle amare. Calandrino appena mangiò la prima galletta la risputò immediatamente. Mentre gli altri, avendo avuto le gallette zuccherate, le mangiarono tranquillamente. I due compari lo accusarono di essere stato lui l’autore del furto e per non far parola alla moglie dell’accaduto si fecero regalare due paia di capponi.

SETTIMA NOVELLA (PAMPINEA)Un giovane studente, chiamato Rinieri, s’ innamorò di una donna, di nome Elena, che, rimasta vedova, fece finta di ricambiare il sentimento. Una sera Elena per burlarsi del ragazzo lo fece rimanere fuori di casa tutta la notte. Il giovine per vendicarsi ingannò la vedova dicendole che lui era un esperto di negromanzia e che se lei voleva rivedere il suo vero amante lui poteva dirle le “parole magiche” per far accadere ciò. La donna si fidò e andò al luogo prestabilito. Per svolgere perfettamente il rituale si spogliò e si mise su una torretta ad aspettare l’amante. Rinieri osservò la scena e appena la vedova salì lui le tolse la scala. Passò tutta la notte quando la donna si accorse che era stata ingannata e rimase lì fino a dopo pranzo tentando di convincere il ragazzo a farla scendere. Due suoi domestici nell’intento di cercarla la trovarono nuda sulla torretta e completamente scottata dal sole. Nel salvarla la sua fantesca si ruppe una gamba. Tornati in città Rinieri si sentì soddisfatto della sua vendetta poiché anche quell’ ancella aveva contribuito allo scherzo fattogli dalla vedova.

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OTTAVA NOVELLA (FIAMMETTA)Di solito Spinelloccio andava a casa di Zeppa e quando non c’era andava a letto con la moglie. Questo intrigo andò avanti per lungo tempo finchè un giorno la moglie di Zeppa fece salire Spinelloccio convinta dell’assenza del marito. Zeppa scoprì il tradimento. Appena la moglie fu sola Zeppa gli rivelò che era a conoscenza della sua tresca con l’ amico. Zeppa chiese alla moglie, se vuolova essere perdonata, di aiutarlo nel suo piano di vendetta. Le ordinò di dare appuntamento all’amico la mattina seguente e di rinchiuderlo dentro una cassa. La moglie per paura acconsentì al piano.Il giorno seguente Spinelloccio e Zeppa si incontrarono e Spinelloccio disse a Zeppa che doveva andare a mangiare da un suo amico, in realtà doveva vedersi con la moglie. Quando Zeppa ritornò a casa, la moglie per non far scoprire Spinelloccio, secondo il piano, lo rinchiuse in una cassa. Zeppa le chiese di invitare la moglie di Spinelloccio a pranzo in quanto il marito stava fuori con un suo amico. Dopo pranzo Zeppa si chiuse in camera con la moglie di Spinelloccio e per possederla gli raccontò dell’intrigo del marito con sua moglie, e adagiandola, proprio sopra la cassa dove era rinchiuso Spinelloccio, riuscì nel suo intento. Successivamente, in presenza della moglie di Spinelloccio, Zeppa fece entrare sua moglie e le ordinò di aprire la cassa, Spinelloccio uscì fuori e vergognandosi di quello che aveva fatto propose di restaurare l’amicizia tra di loro e di condividere le mogli. Zeppa accettò.

NONA NOVELLA (LAURETTA)Simone è un maestro che ha studiato a Bologna e tornato a Firenze va a vivere vicino a due pittori Bruno e Buffalmacco. Simone è subito attratto dallo stile di vita libero che conducono i due pittori. Così, incuriosito, li conosce meglio invitandoli a cena. Una sera Bruno gli fa credere che il loro stile di vita è dovuto al fatto che frequentano un gruppo di persone le quali si davano al piacere e al divertimento. Il maestro rapito dalla fantasia di questi racconti decide di entrare a far parte del gruppo. I due gli tirano uno scherzo e lo fanno cadere in una fossa. Il povero maestro se ne tornò a casa sconsolato e fu accusato dai di non essere riuscito a far parte del gruppo rovinando la loro reputazione.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)La novella è ambientata a Palermo dove una giovane truffatrice inganna un mercante venuto da Firenze. Il ragazzo si chiamava Salabaetto e accortosi dell’attenzione della donna perde la testa per lei. La signora che si chiamava Biancofiore tese la sua tela e il giovine ci cascò dentro. Dopo varie volte che si furono incontrati la donna, venendo a sapere dell’ingente cifra di cui disponeva il giovane, gli preparò una messa in scena. Una sera Salabaetto andò a trovare Biancofiore in lacrime poiché aveva ricevuto una lettera dal fratello in cui le venivano chiesti otto fiorini. Salabaetto si offrì di darglieli ma nei mesi a venire non ricevette i suoi soldi. Dunque resosi conto della truffa andò da un suo amico a Napoli. Qui viveva Pietro dello Canigiano che disse al giovane come fare a riavere i suoi soldi. Tornato a Palermo la donna restituì i soldi e gliene prestò altri mille per fa arrivare la sua abbondante merce. Salabaetto non tornò più e la ragazza rimase con la merce di poco valore.

CONCLUSIONELauretta, finita l’ultima novella, si alzò e diede la corona ad Emilia che impose per il giorno dopo un tema vario. I ragazzi dopo aver mangiato e svagato se ne vanno a dormire.

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9° Giornata Decamerone - Riassunto PRIMA NOVELLA (FILOMENA)Rinuccio Palermini e Alessandro Chiarmontesi erano due esiliati da Firenze che dimoravano a Pistoia. Entrambi erano innamorati della stessa donna, madonna Francesca che però non ricambiava il loro amore, anzi, disturbata dal loro corteggiamento, se ne voleva liberare. Per questo, il giorno della morte di un uomo di nome Scannadio, conosciuto ovunque per le sue malefatte, gli venne in mente un modo per liberarsi dei suoi spasimanti. Inviò la sua servetta dai due uomini in momenti diversi, con l’ordine di affidare a loro un compito e nel caso lo avessero eseguito , lei avrebbe accettato il loro amore. ad Alessandro, fa dire di andare quella stessa notte dal defunto, disseppellirlo, mettersi i suoi vestiti, mettersi nella bara e aspettare senza dire mai una parola. Nonostante molta titubanza Alessandro fa come richiesto. A Rinuccio fa dire di andare sempre quel giorno a mezzanotte a prendere il cadavere del defunto e portarglielo a casa. Anche lui fa come ordinato e una volta arrivato a casa di madonna Francesca con Alessandro in spalla, trovò la famiglia di una signoria appostata per la cattura di un bandito. Vedendoli arrivare li attaccarono e Rinuccio si scrollò da dosso Alessandro e scappò. Mentre scappava, non si accorse che anche Alessandro, da lui creduto morto, fuggiva. Tornando indietro per terminare il compito assegnato, non trovò Alessandro. Entrambi, inconsapevoli l’uno dell’altro, rientrarono a casa. La mattina seguente spiegarono alla donna quanto accaduto chiedendo il suo perdono, ma la donna rifiutò liberandosene.

SECONDA NOVELLA (ELISSA)In un convento lombardo vive Isabetta, bella e giovane suora, che un giorno conosce un giovane di cui si innamora,un amore che viene ricambiato dall’uomo. Cosi tra loro nasce una relazione, il giovane infatti spesso, tramite un passaggio nascosto, si introduce nel convento fino alla camera di Isabetta. Uno sfortunato giorno però la giovane suora viene vista dalle altre suore, che però non si fanno notare, esse decidono di chiamare la badessa e di cogliere Isabetta in fallo. Bussano alla porta della badessa che,”ospitando” anche lei nella camera un prete, si veste in fretta e per sbaglio si mette le brache da prete al posto del velo, esce ma le altre suore prese dalla foga non notano l’errore, dopo aver colto Isabetta la vogliono punire ma essa fa notare alla badessa del suo sbagliato copricapo e lei messa alle corde non solo non la punisce ma rende possibili le visite notturne nell’invidia delle altre suore che non avevano nessuno da invitare.

TERZA NOVELLA (FILOSTRATO)In questa novella si parla di Calandrino, il quale eredita da una sua zia defunta una piccola somma di denaro che vuole spendere per acquistare un podere, nonostante gli amici, Bruno e Buffalmacco, vedendo la esigua somma, gli suggeriscono di spenderla festeggiando con loro ma Calandrino rifiuta. Per punire la sua avarizia, con l’aiuto di un altro amico Nello e di un dottore Simone di star male o meglio di essere gravido, Calandrino si dispera ma il dottore gli propone un rimedio, un infuso, che lo farà guarire ma che gli costerà molto, non curante di ciò Calandrino accetta. Per tre giorni beve la bevanda e si sente cosi guarito e uscendo comincia a lodare tutti. Intanto gli autori dello scherzo sono soddisfatti di averlo schernito.

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QUARTA NOVELLA (NEIFILE)Due uomini maturi, entrambi di nome Cecco, il primo della famiglia Angiolieri e il secondo della famiglia Fortarrigo, diventarono amici uniti dall’odio verso i loro padri. Un giorno Angiolieri decise di andare per sei mesi da un suo amico cardinale e chiese a suo padre il denaro necessario. Saputo ciò, Fortarrigo gli propose di accompagnarlo come aiutante. Nonostante un iniziale rifiuto, Angiolieri accettò. Partirono e, arrivati alla prima località di sosta, Angiolieri andò a riposare in una locanda. Invece Fortarrigo durante la notte si ubriacò e perse al gioco denaro e vestiti. Volendo riguadagnarlo, Fortarrigo prelevò furtivamente il denaro di Angiolieri, ma perse al gioco anche quello. La mattina seguente, Angiolieri scoprì di essere stato derubato da Fortarrigo. andò su tutte le furie e decise di ripartire da solo. Vedendo ciò, Fortarrigo decise di inseguirlo. Arrivati ad un campo dove stavano lavorando dei contadini, Fortarrigo fece credere loro di essere stato derubato da Angiolieri. Inteso il fatto, i contadini si scagliarono contro l’accusato e lo catturarono. Per estrema beffa, Fortarrigo privò Angiolieri dei suoi vestiti e lo abbandonò là.

QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)Niccolò Cornacchini era un uomo ricco, proprietario di un bel possedimento. Suo figlio Filippo, giovane e scapolo, aveva l’abitudine di portare in tale possedimento le donne per suo divertimento. Un giorno Niccolosa, una di tali donne di piacere, mentre prendeva l’acqua dal pozzo incontrò Calandrino e più per curiosità che per altro lo guardò. Calandrino, ricambiando lo sguardo, se ne innamorò. Tornato a casa raccontò il fatto al suo amico Bruno, che poi a sua volta di nascosto lo raccontò ad altri due amici Nello e Buffalmacco. I tre uomini decisero di prendersi gioco di Calandrino e dopo essersi accordati con la stessa Niccolosa e con Filippo, fecero suonare a Calandrino delle serenate mentre Niccolosa gli inviava lettere d’amore. Dopo ciò, Bruno promise a Calandrino che ella avrebbe fatto tutto ciò che voleva se le avesse toccato il cuore con una pozione preparata da Bruno stesso. Gli ingredienti della pozione erano assai strani: carta, pipistrelli,incenso,ecc. e Calandrino fece molta fatica per trovarli. Intanto Nello andò da Tessa, moglie di Calandrino, per raccontare quanto stava accadendo. La donna infuriata andò a cercare Calandrino. Contemporaneamente Filippo si nascose non lontano, facendo credere a Calandrino di andare via. Quest’ultimo, credendolo partito, andò incontro a Niccolosa e la toccò con la pozione. Fece per andarsene, ma Niccolosa lo seguì dicendogli parole amorose. Anche Bruno e Buffalmacco si erano appostati con Filippo per seguire la scena. Calandrino cercò di baciare Niccolosa, ma nel mentre sopraggiunse la moglie Tessa che lo insulta e lo malmena infuriata. Calandrino rimase impietrito ed iniziò a supplicare la moglie, mentre tutti gli altri ridevano alle sue spalle. Quando la moglie si acquietò, tutti consigliarono a Calandrino di andarsene e non tornare più.

SESTA NOVELLA (PANFILO)In questa novella si racconta di una singolare storia avvenuta nella piana del Mugnone. Lì possedeva una casa un buon uomo che aveva anche una bellissima moglie e due figli: una ragazza e un bambino ancora in fasce . Egli non era povero, ma in caso di necessità ospitava viandanti in cambio di denaro. Pinuccio, un giovane del paese, già da molto tempo si era innamorato della figlia del brav’uomo e volendo giacere con lei per una notte, uscì da Firenze con dei ronzini presi in affitto e, insieme al suo amico Adriano, si diresse verso la casa della sua amata. Facendo finta di non poter tornare a casa essi furono ospitati da quest’uomo. Dopo aver cenato si divisero nei tre letti a disposizione. Adriano si coricò con Pinuccio, l’oste con la moglie e la fanciulla da sola. Trascorso un po’ di tempo, Pinuccio andò dalla ragazza. Improvvisamente però una gatta svegliò la moglie dell’oste che, spostata la culla accanto al suo letto, cercò ciò che pensava fosse caduto. Nel frattempo Adriano, che ancora non dormiva, trascinò la culla vicino al suo letto. Così la donna scambiò il letto del marito con quello del suo ospite. Accadde però che Pinuccio, ritornando nel suo letto, non trovò la culla e si mise per errore a dormire con l’oste, al quale raccontò le sue peripezie.

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L’uomo si infuriò e iniziò a rincorrere Pinuccio. Nel frattempo la moglie si accorse del suo sbaglio e, per rimediare al suo errore, convinse il marito che Pinuccio stava farneticando nel sogno e che lei aveva dormito con la figlia. Pinuccio stette al gioco e finse di svegliarsi. In questo modo non accadde alcuno scandalo.

SETTIMA NOVELLA (PAMPINEA)La settima novella dimostra come a volte i sogni possono diventare realtà. Protagonista di questa storia è Talamo d’Imolese, che da giovane aveva sposato Margherita, una giovane molto bella ma sgarbata e scontrosa. Una notte Talamo sognò che la moglie il giorno seguente passeggiando per il bosco sarebbe stata aggredita da un lupo. Il mattino dopo Talamo, dopo aver raccontato il sogno alla moglie, la pregò di non andare nel bosco, ma lei non si preoccupò del triste presagio. Pensava anzi che quella fosse solo una scusa per incontrare nel bosco un’altra donna indisturbato. Così, entrata nel bosco per spiare il marito, venne sorpresa da un lupo che la attaccò e le sfigurò il viso. Fortunatamente dei pastori che si trovavano nelle vicinanze la riconobbero e la salvarono. Purtroppo però la sua bellezza andò perduta e non osò mai più farsi vedere in giro.

OTTAVA NOVELLA (LAURETTA)Ciacco un uomo molto ghiotto, non potendo sostenere le spese della sua ingordigia si mise a fare il cortigiano per mangiare a spese degli altri. Un giorno incontrò al mercato del pesce Biondello che come lui si industriava per mangiare. Incuriosito dalle due lamprede che stava comprando, Ciacco gli chiese per chi fossero ed egli rispose che quel pesce era per la cena che Corso Donati avrebbe offerto quella stessa sera ad alcuni suoi nobili amici. Così Ciacco si diresse verso la casa di quest’ultimo e incontrandolo prima del desinare si autoinvitò a cena. Si accorse però della beffa di Biondello dal momento che il pesce non era di ottima qualità come lui aveva pensato. Decise allora di fargliela pagare e chiese quindi ad un vagabondo di recarsi da messer Filippo Argenti, uomo scontroso e irascibile, con un fiasco vuoto. Gli raccomanda inoltre di chiedere del buon vino rosso per rallegrare la compagnia di Biondello. Filippo Donati sentendosi preso in giro lo cacciò via. Il giorno seguente Ciacco incontrò Biondello e gli dice che Filippo Argenti lo stava cercando. Accadde poi che Biondello salutasse Filippo il quale però ricordatosi della beffa del giorno precedente lo picchiò in malo modo. Biondello intuì la vendetta di Ciacco e decise che mai più si sarebbe beffato di lui.

NONA NOVELLA (EMILIA)La novella racconta delle grandissime doti di Salomone al quale molta gente chiedeva consiglio per risolvere i propri problemi. Così un giorno sulla strada per Gerusalemme si incontrarono Giosefo e Melisso; il primo non sapeva come comportarsi con la moglie mentre il secondo non riusciva a farsi amare. Una volta al cospetto di Salomone a Giosefo venne detto di andare al ponte dell’Oca, mentre a Melisso viene detto di amare. Al momento i due non capirono il senso di ciò che Salomone aveva detto loro. Sulla strada del ritorno i due si imbatterono con una carovana di muli che doveva attraversare un ponte. Mentre attendevano il passaggio di questi avvenne che una delle bestie si fermasse sul ponte e non intendeva proseguire. Allorché il pastore per spronare il mulo lo incominciò a prendere a bastonate. I due amici però lo ammonirono, ma il pastore per tutta risposta gli disse di pensare ai loro cavalli e riuscì così facendo a spostare il mulo dal ponte. Giosefo e Melisso gli chiesero quindi di quale ponte si trattasse e il pastore rispose loro che si trattava del ponte dell’Oca. I due infine giunsero a casa di Giosefo in Antiocia il quale ordinò alla moglie di preparare la cena e , al rifiuto di costei, la bastonò come il pastore aveva fatto con il mulo. La donna alloro eseguì i suoi ordini. Melisso quindi dopo alcuni giorni torna a casa sua e confidandosi con un uomo savio su ciò che Salomone gli aveva detto capì che tutto ciò che aveva fatto per essere amato

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era in realtà un atto di vanagloria e l’unico modo per essere amato era che lui stesso amasse gli altri.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)La decima novella narra delle imprese di Donno Gianni di Barolo un prete di Barletta che viaggiava per la Puglia vendendo la sua mercanzia per racimolare qualche soldo. Durante uno dei suoi viaggi incontra Pietro da Tresanti con il quale diventa amico.Volendo questi ripagare l’ospitalità di Donno Gianni lo invita nella propria casa ma non avendo posto per dormire decide di mandare la moglie da una sua vicina. Donno Gianni però all’offerta risponde che preferisce rimanere a dormire nella stalla con la sua cavalla dicendo che la può trasformare in una bella zitella. La moglie meravigliata per questo fatto chiede al marito di far si che donno Gianni trasformi anche lei in una cavalla per guadagnare così più soldi. Donno Gianni accetta la proposta e ordina ai due sposi di fare tutto ciò che lui avrebbe ordinato. Raccomanda inoltre a Pietro di non pronunciare parola durante il rito altrimenti sarebbe andato tutto a monte. Durante però la messa in scena, nel momento in cui Donno Gianni “attacca la coda”, Pietro si lamenta di non volere una cavalla con la coda; così sia la moglie sia Donno Gianni si arrabbiano con Pietro accusandolo di aver mandato tutto all’aria. Tuttavia il giorno seguente riprendono a viaggiare in cerca di nuove fiere.

10° Giornata Decamerone - Riassunto

INTRODUZIONESotto il reggimento di Panfilo, si ragiona di chi liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a’ fatti d’amore o d’altra cosa.

PRIMA NOVELLA (NEIFILE)Ruggieri de’ Figiovanni, uomo ricco e di grande animo, decide di partire dalla Toscana, dove egli viveva, per recarsi alla corte del re Alfonso d’Ispagna, uomo molto conosciuto per il suo valore, e dimostrare lì le sue virtù. Sebbene già da molto tempo Ruggieri fosse vissuto a corte, mostrando in ogni occasione le sue doti, il re sembra non riconoscerle, ostinandosi a premiare, con poderi e ricchezze, chi non era meritevole. Per questo motivo Ruggieri decide di congedarsi dal re e tornare in patria. Il re lo licenzia, donandogli una mula per il lungo viaggio, e ordina ad un suo famigliare di seguirlo in incognito, ascoltando ogni giudizio che questi avrebbe detto su di lui e di riferirgli dopo una giornata di cammino che il re lo desiderava di nuovo a corte. Sebbene Ruggieri avesse mantenuto un comportamento lodevole nei confronti del re, durante il viaggio accade un episodio nel quale, per la prima volta, ne parla male. Infatti, essendosi fermati, lui e il famigliare del re per riposare, la mula, invece di abbeverarsi, essendo vicino ad un fiume, stallò, mentre quando giungono presso una stalla, luogo in cui era solito per le bestie stallare, la mula non lo fa, avendolo già fatto. Allora Ruggieri paragona la mula al re perché, come questi aveva donato ricchezze a persone non meritevoli, negandolo a persone che lo erano, la mula aveva stallato in luogo insolito, non facendolo nella stalla dove era solito per le bestie. A questo punto, il famigliare riferisce a Ruggiero che il re lo desiderava a corte e i due ripartono alla volta della Spagna. Il re, una volta giunti, interroga il famigliare e, saputo dell’episodio della mula, convoca Ruggiero. Preparati due forzieri chiusi, uno contenente terra, l’altro oro, il re lo esorta a scergliene uno come suo dono, e questi sceglie il forziere con la terra. Il re spiega, quindi, a Ruggieri che non aveva ricevuto doni a causa della sua stessa fortuna avversa. Ma il re, riconosciuto comunque il suo valore, decide di donargli il forziere con l’oro, proprio ciò che la sua stessa fortuna gli aveva negato. E Ruggiero, ringraziato il re per tanta magnificenza, se ne torna lieto in Toscana.

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SECONDA NOVELLA (ELISSA)Ghino di Tacco, uomo famoso per le sue ruberie, ribellatosi ai conti di Santafiore e alla Chiesa di Roma, allontanato dalla città, si rifugia a Radicofani, derubando chiunque si trovi nei territori circostanti al suo castello. Non risparmia neanche gli ecclesiastici e cattura, insieme alla suo seguito, un certo abate di Clignì, che passava per quei luoghi diretto ai bagni di Siena per guarire dal suo mal di stomaco. Una volta alloggiati l’abate e il suo seguito, Ghino si rivolge al suo prigioniero per essere informato dei motivi che l’avevano spinto in quei luoghi e, saputo della malattia, mosso a compassione, decide di curarlo lui stesso. Dopo vari giorni di cura, l’abate guarisce dalla sua malattia e Ghino decide che è il momento per l’abate e il suo seguito di lasciare il castello. Ghino, congedandolo, mostra all’abate la sua vera personalità, un uomo costretto a vivere in quel modo poco onesto per malvagità d’altri e non per sua scelta; si dimostra molto gentile nei suoi confronti e lo assicura che non avrebbe confiscato i beni che trasportava durante il viaggio, ma gli chiede di donargli liberamente ciò che ritiene giusto come pegno dell’ospitalità ricevuta. L’abate, sentite le sincere parole di Ghino, riconosce la sua onestà e abbandona lo sdegno avuto verso di lui. Decide di donargli tutto ciò che possedeva in quel momento salvo lo stretto necessario per tornare a Roma. Qui, incontrato il papa e raccontati i fatti accaduti, prega il Santo Padre di rendere grazia a Ghino di Tacco, che si era dimostrato uomo tanto valente. Il papa, udendo la richiesta dell’abate, chiama a corte Ghino, lo insignisce dell’ordine di cavaliere dello Spedale, nonché amico e servitore dell’abate di Clignì e della Santa Chiesa.

TERZA NOVELLA (FILOSTRATO)Viveva in Oriente un uomo nobile e ricco di nome Natan che, desideroso di essere conosciuto per le sue opere, aveva edificato uno sfarzoso palazzo dove ricevere e ospitare coloro che per viaggio passavano nei luoghi vicini. Grazie a quest’immensa opera, la fama di Natan si sparse in tutto Oriente, suscitando l’invidia di un certo Mitridanes, un uomo altrettanto ricco. Questi sebbene avesse costruito un palazzo simile a quello di Natan, diventando anche lui molto famoso, comprende l’impossibilità di superarlo e intuisce che l’unico modo possibile era ucciderlo. Così, deciso di assassinare Natan, dirigendosi verso il suo palazzo, lo incontra casualmente sul cammino. Ignorando chi realmente fosse, gli chiede informazioni e Natan, saputa la destinazione del forestiero, nascondendo la sua identità, finge di essere un servo di lui stesso e si offre di accompagnarlo a palazzo. Qui, interrogato Mitridanes, conosce lo scopo cui lui ambiva e, senza dimostrarsi spaventato né tanto meno rivelando chi fosse, decide addirittura di aiutarlo nell’impresa, rivelandogli che Natan era solito, ogni mattina, passeggiare da solo in un bosco vicino. La mattina seguente, Natan, segnato ormai il suo destino, si dirige nel bosco e aspetta che Mitridanes lo trovi e lo uccida. Questi non tarda ad arrivare, ma quando vede Natan e capisce che colui che la notte prima lo aveva ospitato, servito e aiutato era proprio quello che stava per uccidere, il rimorso e la vergogna lo fermano dall’impresa. Natan si dimostra comunque deciso e esorta Mitridanes a ucciderlo, perché infondo lui era ormai vecchio e poco gli rimaneva da vivere, ed era onorato che la sua morte potesse rendere migliore qualcun altro. Mitridanes, commosso dalle parole di Natan, decide di non ucciderlo e, riconosciuta la sua magnanimità, ritorna a palazzo insieme a lui, si congeda e ritorna alla propria dimora.

QUARTA NOVELLA (LAURETTA)Nella nobilissima Bologna, viveva un certo Gentil de’ Carisendi, il quale era innamorato di donna Catalina, moglie di Niccoluccio Caccianimico, e non era ricambiato. La donna, a quel tempo gravida, fu colpita da una grave malattia, e in breve tempo in lei scomparse ogni segno di vita e, poiché il bambino che portava in grembo era stato concepito da poco, i parenti decisero di seppellirla. Gentile, saputa questa notizia, come segno estremo del suo amore, decide di profanare la tomba di Catalina per porgerle un bacio, non avendo potuto farlo mentre lei era in vita. Facendo ciò, si accorge miracolosamente che Catalina, sebbene molto debole, era ancora in vita e decide di

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trasportarla a casa sua per curarla. Qui Catalina e il bambino nel suo grembo guariscono completamente e la fanciulla partorisce un bel figlio maschio. Gentile decide allora di invitare a pranzo alcuni amici per mostrare loro Catalina, la cosa più cara che aveva, perché aveva saputo che questa fosse un’usanza dei Persi per onorare gli amici cari. Prima di chiamare Catalina, Gentile chiede un parere agli amici, domanda loro se fosse giusto che un uomo richiedesse indietro un suo servo, che aveva abbandonato perché malato, all’uomo che l’aveva trovato e curato. Un uomo risponde per tutti che non era legittimo perché, abbandonando il suo servo, il primo uomo non aveva più nessun diritto su di lui. L’uomo che aveva risposto era proprio Niccoluccio Caccianimico, il marito di Catalina e quando questa viene mostrata agli invitati e avendo Gentile sottolineato che il servo della domanda precedente rappresentava la fanciulla, capisce che rispondendo aveva perso tutti i diritti sulla moglie e sul figlio. Ma Gentile, notando il dispiacere e le lacrime sul viso di Niccoluccio, decide di rinunciare a Catalina, porgendola al marito, guadagnandosi l’amicizia della coppia e dei loro parenti.

QUINTA NOVELLA (EMILIA)Nella città di Udine viveva insieme al marito Gilberto, donna Dianora, la quale era desiderata ardentemente da messer Ansaldo Gradense. La donna, stanca delle incessanti proposte e regali fatti da Ansaldo, decide di porre fine a questo tormento: riferisce ad Ansaldo che, se fosse riuscito, nel mese di gennaio in cui erano, a far fiorire il suo giardino come nel mese di maggio, lei lo avrebbe amato, mentre se non riusciva nell’intento, avrebbe dovuto per sempre dimenticarla. Il povero innamorato, dopo infinite ricerche, riesce a trovare un negromante capace di tale magia e così vedendo il giardino in fiore, Dianora si rassegna e racconta la promessa al marito. Gilberto, sebbene avesse reagito con l’ira, capisce che Dianora aveva fatto la promessa innocentemente e, conoscendo la purezza dell’animo della moglie, la invita a recarsi da Ansaldo per scogliere la promessa, ma se questo non fosse accaduto, l’avrebbe lasciata andare via con lui. Recatasi Dianora da Ansaldo e riferitegli le parole del marito, questi comprendendo la magnanimità di Gilberto e non volendo privare la sua amata dell’amore del marito, scoglie la promessa e la lascia andare. L’episodio sembra coinvolgere anche il negromante lì presente che, di fronte a tanta liberalità, segue l’esempio e rifiuta la ricompensa pattuita per far fiorire il giardino.

SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)Questa novella parla di una vicenda capitata a messer Neri degli Uberti con il re Carlo 1° D’ Angiò. Messer Neri decise di ritirarsi in un luogo solitario per finire nella calma i suoi giorni, così comprò un appezzamento di terra dove costruirvi una casa e un bellissimo giardino con un laghetto con dei pesci nel mezzo. Le voci sulla bellezza di questo giardino arrivarono al re che, incuriosito, decise di andarlo a vedere. Messer Neri ospitò umilmente il re e i suoi quattro compagni con una tavola ricca di bevande apparecchiata nel giardino. Ad un certo punto due giovani e belle fanciulle uscirono dalla casa e con delle reti entrarono nel laghetto e ne uscirono poco dopo con dell’ottimo pesce da mettere sul fuoco. Uscirono dall’acqua con i loro bianchi vestiti così bagnati da lasciar intravedere quanto di più bello avevano, e il re, osservandole, ne rimase colpito. Durante il viaggio verso casa e nei giorni seguenti il re non riuscì a pensare ad altro che a Ginevra la bella e ad Isotta la bionda (questi i nomi delle fanciulle), innamorandosi perdutamente della prima. Facendosi sempre più strada l’ idea di sposare la fanciulla, uno dei suoi consiglieri, capendo la gravità di questa vicenda se fosse avvenuta, disse al re che maritare le figlie di messer Neri sarebbe stato un grave errore, e che doveva vincere la “guerra” contro se stesso e le sue passioni; così, alla fine il re fece sposare le due con grandi baroni a cui donò anche delle province.

SETTIMA NOVELLA (PAMPINEA)

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Questa novella narra di una giovane fanciulla che nel giorno in cui il vittorioso re Pietro dà una festa in paese, affacciandosi dalla finestra della sua casa, vede e si innamora pazzamente del re, non sapendo che quello fosse tale. Venutolo a sapere cade in malattia peggiorando periodicamente. Quando la sua situazione si sta facendo critica, pensa che non vuol morire senza aver prima fatto sapere al re del suo amore, e così chiede di vedere un cantore che possa riferire a corte quanto detto: così va a trovarla Minuccio e dopo appena tre giorni che era andato dalla fanciulla, aveva creato una canzone da presentare al re. Così la canta al re che, colpito dalla volontà della fanciulla, chiede di vederla e dopo averci parlato, preso dalla compassione, si impegna a farla sposare con un giovane barone così da farla felice.

OTTAVA NOVELLA (FILOMENA)Questa è la storia di due amici molto cari, Gisippo e Tito,cresciuti insieme e molto legati. A Gisippo viene promessa in sposa la bella Sofronia. I due un giorno vanno a trovare la ragazza mai vista, e avviene che Tito si innamora della futura sposa dell’ amico, ma non lo dice a Gisippo. Dopo alcuni giorni in cui Gisippo vede che Tito è in condizioni pessime decide di parlarci e scopre che Tito è molto innamorato, e decide di cedergli la donna, ma non può farla sposare a lui altrimenti i genitori di lei e i suoi si sarebbero opposti. Comunque Tito parla con i genitori di Sofronia e la porta con sé a Roma. Intanto Gisippo diventa molto povero e ritorna anche lui a Roma dove viene riconosciuto dal vecchio amico Tito che lo accoglie calorosamente salvandolo da una condanna a morte autoaccusandosi. Viene però assolto anche lui da Ottaviano e accoglie Gisippo dandogli poi in moglie la sorella e condividendo i suoi beni con lui.

NONA NOVELLA (PANFILO)La novella parla della storia di messer Torello che ospita il Saladino facendolo passare per mercante a Pavia, per saperne di più sui preparativi delle crociate; al momento di partire per le Crociate da un termine ultimo alla moglie per risposarsi. Durante la Crociata viene fatto prigioniero, ma viene riconosciuto dal Saladino che lo libera. A questo punto Torello deve tornare a casa per impedire alla moglie di risposarsi, e così si affida ad un negromante del Saladino che con la magia lo trasferisce in un attimo a Pavia, e Torello riesce ad arrivare al matrimonio della moglie che lo riconosce e così tornano insieme a casa. Ha impedito che si risposasse.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)Nell'ultima novella viene raccontata la storia del marchese di Saluzzo che sposa Griselda malvolentieri seguendo le preghiere dei suoi uomini. Griselda, figlia di un villano, viene sottoposta dal marchese a struggenti prove di fedeltà: il marchese finge di avergli ucciso i figli, finge di non essere più innamorato di lei e le porta dentro casa una donna facendola passare per la sua amante e finge addirittura di risposarsi. Dopo addirittura dodici anni, con i figli ormai grandi e maritati, svela tutto a Griselda e con lei trascorre la vecchiaia.

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Capitolo 5 Ludovico AriostoSintesi Orlando Furioso Ludovico Ariosto

Canti 1-4

Il poema si apre, dopo il tradizionale “proemio” (Orlando furioso, I, ottave 1-4) con un breve riassunto delle vicende dell’Orlando innamorato. Orlando e Rinaldo si ritrovano con l’esercito cristiano alle porte di Parigi per la battaglia finale con i Mori. Re Carlo promette la bellissima Angelica a chi dei due si dimostrerà più valoroso in battaglia, e poi l’affida all’anziano Namo di Baviera. I cristiani vengono però sconfitti e Angelica fugge, subito inseguita dai diversi cavalieri, sia cristiani (Orlando, Rinaldo) sia saraceni (Ferraù, Sacripante), che si scontrano tra loro (canto 1). Mentre l’esercito di Carlo è assediato a Parigi, Rinaldo, dopo essersi scontrato con Sacripante, va in Inghilterra a chiedere rinforzi. Angelica si rifugia da un eremita, non avendo alcuna intenzione di cedere alle offerte di nessun cavaliere. Bradamante, valorosa guerriera cristiana, si getta alla ricerca di Ruggiero, guerriero musulmano di cui è innamorata e che è stato catturato dal mago Atlante. Bradamante è poi ingannata, per motivi di casata, dal guerriero Pinabello, che la getta in una caverna priva di sensi (canto 2). Bradamante è salvata dalla maga Melissa che, tramite il mago Merlino, le svela la profezia per cui da lei e Ruggiero discenderà la nobile famiglia degli Estensi. Per liberare il futuro sposo, Bradamante deve impossessarsi di un anello fatato che dona l’invisibilità, in mano al guerriero saraceno Brunello (canto 3). Bradamante, venuta in possesso dell’anello, sconfigge il mago Atlante e il suo scudo che acceca i nemici; scopre che l’uomo ha rapito Ruggiero per salvarlo dalla profezia per cui sarebbe morto per tradimento se avesse sposato Bradamante aderendo al Cristianesimo. Bradamante libera Ruggiero ma questi, salito in groppa all’ippogrifo di Atlante che, senza controllo, fugge via con lui. Nel frattempo, Rinaldo è giunto in Scozia (canto 4).

Canti 5-8

Rinaldo, desideroso di compiere imprese cavalleresche, con l’aiuto di Ariodante difende Ginevra, figlia del re, dall’ingiusta accusa di adulterio (canto 5). Ruggiero sull’ippogrifo varca le colonne d’Ercole e atterra sull’isola della maga malvagia Alcina, dove conosce Astolfo, che svela come la donna seduca i suoi amanti con il ricorso all’inganno (canto 6). Ruggiero tuttavia cade nell’incantesimo di Alcina, e scorda completamente l’amata Bradamante, che nel frattempo lo cerca ovunque. La maga Melissa lo libera con l’anello magico di Bradamante, e Ruggiero può rendersi conto pure che Alcina è in realta una vecchia disgustosa (canto 7). Rinaldo parte con il re di Scozia in aiuto di Carlo mentre Angelica, fuggita dall’anziano eremita che la insidia, è condotta da un cavallo indemoniato su una spiaggia deserta; lì viene rapita dagli abitanti e offerta in sacrificio ad un mostro marino. Orlando, tornato al campo cristiano, parte una seconda volta travestito da saraceno, perché ossessionato dal ricordo di Angelica (canto 8).

Canti 9-12

Orlando uccide il vigliacco Cimosco, e liberando Olimpia e Bireno (canto 9). Ruggiero, giunto da Logistilla (la sorella buona di Alcina), impara a cavalcare l’ippogrifo e con lui compie il giro del mondo, arrivando dopo molti mesi in Inghilterra, dove libera Angelica dal mostro (canto 10). Angelica si impossessa dell’anello magico di Ruggiero e fugge ancora; Orlando uccide il mostro

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(un’orca gigante) che stava per divorare Olimpia (canto 11). Orlando e Ruggiero (che insegue un gigante che ha rapito Bradamante) vengono imprigionati nel castello magico di Atlante, dove credono di vedere in ogni luogo le donne da loro amate. Angelica scatena il duello tra Orlando e Ferraù, che rocambolescamente entra in possesso dell’elmo del paladino cristiano, che poi fa strage di nemici con la sua spada Durindana (canto 12).

Canti 13-16

Orlando libera la saracena Isabella, mentre la maga Melissa indirizza Bradamante al castello per liberare Ruggiero (canto 13). Cristiani e saraceni riorganizzano gli eserciti: Dio, attraverso l’arcangelo Michele, favorisce l’arrivo dei rinforzi di Rinaldo, mentre il saraceno Rodomonte spezza la resistenza della città di Parigi e ne conquista le mura (canto 14). Astolfo, sul velocissimo cavallo Rabicano, attraversa l’India, l’Africa e la Terra Santa, compiendo imprese eroiche (canto 15). Rodomonte e Rinaldo si scontrano alle porte di Parigi con i rispettivi eserciti, e la battaglia imperversa. Carlo dirige le truppe contro Rodomonte (canto 16).

Canti 17-22

In oriente, Grifone partecipa ad una giostra indetta da re Norandino (canto 17). Mentre a Parigi l’esercito cristiano ha la meglio (anche per l’intervento dell’arcangelo Michele che spinge la Discordia ad aggirarsi tra le schiere dei nemici). Dopo un’ulteriore giostra, i guerrieri cristiani in oriente si recano in Europa, dove Carlo ha ribaltato le sorti del conflitto. Cloridano e Medoro, per vendicare la morte di Dardinello ucciso da Rinaldo, si recano nell’accampamento cristiano (canto 18). Mentre il primo è ucciso, il secondo si trascina, gravemente ferito, in un bosco, dove Angelica, colpita da una freccia di Amore, si innamora perdutamente di lui: i due partono per il Catai. La nave di Astolfo e di altri guerrieri approda in una città di donne assassine, che li sottopongono ad una serie di prove per aver salva la vita (canto 19). Con l’aiuto di Guidon Selvaggio, i cavalieri fuggono in nave, mentre Astolfo suona il suo corno magico, che mette in fuga tutti i nemici (canto 20). Zerbino ed Ermonide si scontrano a duello, e quest’ultimo racconta la sua storia (canto 21). Astolfo entra nel castello di Atlante e ne spezza l’incantesimo: Bradamante e Ruggiero possono così riunirsi. I due poi si scontrano con il malvagio Pinabello, e nella battaglia i due si separano di nuovo (canto 22).

Canti 23-26

Mentre Bradamante torna verso la natia Vallombrosa, Orlando salva Zerbino dalla morte e poi si scontra con Mandricardo. Inseguendolo, scopre in un bosco delle incisioni che celebrano l’amore di Angelica e Medoro. Avuto conferma da un pastore di ciò che è avvenuto, Orlando impazzisce d’amore (canto 23). Zerbino giunge nei luoghi devastati dalla rabbia folle di Orlando e, dopo uno scontro con Mandricardo (che si è impossessato della spada del paladino), muore tra le braccia dell’amata Isabella. La donna vorrebbe suicidarsi, ma un eremita la convince a ritirarsi in un monastero. Mandricardo e Rodoonte si scontrano per il possesso di Doralice (canto 24). Ruggiero, che vuole battezzarsi e sposare Bradamante, salva dalla morte Ricciardetto, fratello di lei e di Rinaldo (canto 25). Ruggiero, Rodomonte e gli altri guerrieri pagani tornano a Parigi, dove fanno indietreggiare l’esercito di Carlo ma, per l’azione di Superbia e Discordia, sorgono subito conflitti tra Mandricardo, Ruggiero, Rodomonte e Marfisa, guerriera pagana (canto 26).

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Canti 27-30

Proseguono i duelli tra i quattro campioni saraceni per capire chi sia il più valoroso, e Doralice alla fine sceglie Mandricardo quale proprio amante, scatenando l’ira di Rodomonte (canto 27). Rodomonte si ferma da un oste, che lo intrattiene su un apologo sulla scarsa fedeltà femminile. Il mattino successivo, Rodomonte incontra Isabella e il monaco che l’ha accolta dopo la morte di Zerbino (canto 28). Il guerriero saraceno, ubriacatosi, causa la morte di Isabella, che aveva fatto voto di castità; il pagano costruisce così un sepolcro in suo onore e lo difende da tutti i cavalieri che passano di lì, sottraendo loro le armi. Al sopraggiungere di Orlando, lo scontro è tremendo, ed entrambi cadono nel fiume. Orlando raggiunge la Spagna, da dove Angelica e Medoro stanno per partire per l’oriente. La donna può sfuggire alla follia di Orlando solo indossando l’anello fatato. Il paladino, del tutto impazzito, parla con la cavalla di lei come se fosse una persona reale (canto 29). Orlando devasta Malaga, raggiunge Gibilterra e da lì l’Africa a nuoto. Nel campo pagano, si scontrano Ruggiero e Mandricardo per il possesso di Durindana e dell’insegna con l’aquila bianca: il primo resta gravemente ferito, il secondo viene ucciso (canto 30).

Canti 31-34

Rinaldo, con un gruppo di guerrieri cristiani, attacca i saraceni e compie una strage (canto 31). A Bradamante sono riportate le dicerie secondo cui, durante la convalescenza, Ruggiero e Marfisa si sono innamorati; la donna parte così per riunirsi all’esercito di Carlo (canto 32). Gradasso e Rinaldo si scontrano per il possesso di Durindana e del cavallo Baiardo. Astolfo, in Etiopia, combatte con l’ippogrifo contro le arpie (canto 33). Astolfo, inseguendo le arpie, giunge sulla Luna, dove ammira la bellezza del paradiso terrestre e incontra san Giovanni, che gli racconta della follia di Orlando e lo manda a recuperare l’ampolla con il suo senno (canto 34).

Canti 35-38

Bradamante incontra Fiordiligi. donna di Brandimarte tenuto prigioniero da Rodomonte; in un duello con lui lo sconfigge grazie ad una lancia magica, che disarciona qualsiasi nemico. La donna, gelosa dei presunti amori di Ruggiero, lo sfida a duello, sconfiggendo altri cavalieri saraceni (canto 35). Dopo Marfisa, Bradamante si scaglia contro Ruggiero, ma la guerriera pagana si rigetta anch’essa nella mischia. La voce del mago Atlante, morto per il senso di colpa per non aver protetto a dovere Ruggiero dalla profezia sul suo destino, rivela che la guerriera e Ruggiero sono fratelli e discendenti della stirpe troiana. Essende re Agramante l’assassino di loro padre, Ruggiero promette che abbandonerà i saraceni e si convertirà alla fede cristiana (canto 36). Ruggiero, Marfisa e Bradamante vendicano le crudeltà inflitte alla popolazione da re Manganorre (canto 37). Astolfo attraversa l’Etiopia e, secondo le indicazioni dell’apostolo Giovanni, trasforma dei sassi in soldati semplicemente lanciandoli dalla cima di un colle: il nuovo esercito mette in crisi i pagani, che propongono così di risolvere la guerra in un duello tra Ruggiero e Rinaldo (canto 38).

Canti 39-42

Per interrompere la contesa (che in ogni caso sarebbe motivo di lutto per Bradamante), la maga Melissa, trasformatasi in Rodomonte, chiede a re Agramante di porre fine al duello e di attaccare i cristiani col suo esercito. Sopraggiunge Astolfo dall’Etiopia e pure i cavalieri prima imprigionati da

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Rodomonte e liberati da Bradamante. Orlando ritrova il senno perduto, annusando l’ampolla di Astolfo, e torna a combattere per re Carlo. Agramante si ritira in Spagna (canto 39). I cristiani conquistano anche la città di Biserta e Agramante, prima di arrendersi, sfida a duello Orlando, che vuole recuperare la spada Durindana e il suo cavallo Brigliadoro (canto 40). Ruggiero, diretto in Africa, naufraga e si salva su un’isola, dove un eremita lo accoglie e lo battezza. Orlando recupera la spada Balisarda e con Oliviero e Brandimarte si prepara al duello contro i pagani Agramante, Gradasso e Sobrino, da tenersi a Lampedusa. Brandimarte muore in combattimento (canto 41) ma Orlando uccide Agramante e Gradasso, togliendo ai pagani ogni speranza residua di vincere la guerra. Rinaldo, saputo della fuga di Angelica con Medoro, la insegue e, nella Selva Nera, combatte con un serpente personificazione della Gelosia. Dopo aver bevuto ad una fonte magica, Rinaldo cancella il proprio amore per Angelica (canto 42).

Canti 43-46

Mentre Rinaldo attraversa l’Italia, Orlando e gli altri paladini celebrano i funerali di Brandimarte; Fiordiligi, sua sposa decide di rinchiudersi nel suo sepolcro per morire con lui. Ruggiero è accolto con grandi onori nel campo cristiano (canto 43). Tutti i cavalieri tornano a Parigi. L’ultimo ostacolo è rappresentato dal fatto che, tempo prima, Bradamante è stata promessa in sposa a Leone, figlio dell’imperatore Costantino, cui Ruggiero muove quindi guerra (canto 44). Con un bando, Carlo stabilisce che nessun guerriero inferiore in combattimento a Bradamante potrà sposarla. Nel frattempo, Ruggiero è imprigionato da Costantino, e Bradamante si reca a Costantinopoli per sconfiggere Leone e non doverlo sposare. Leone si fa sostituire da Ruggiero che, non riconosciuto, combatte contro la donna amata e la sconfigge senza ferirla (imponendole di fatto il matrimonio combinato e disperandosi per questo, fino a meditare il suicidio). Anche Bradamante pensa alla morte, mentre alla corte di Carlo, dopo l’intercessione di Marfisa, si dibatte se l’amore sincero per Ruggiero possa sciogliere la promessa di matrimonio (canto 45). La maga Melissa e Leone si recano da Ruggiero, che si sta facendo morire di fame: il figlio dell’imperatore rinuncia a Bradamante e Ruggiero si reca da re Carlo sotto mentite spoglie per il matrimonio, celebrato con gran sfarzo per celebrare la stirpe degli Estensi. Rodomonte giunge a turbare le nozze e Ruggiero lo uccide in un ultimo duello.

Il testo integrale de l'Orlando Furioso di Ariosto è al link:

www.letteraturaitaliana.net/ pdf /Volume_4/t325. pdf

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Capitolo 6 MacchiavelliSintesi il Principe di Macchiavelli

- Capitolo 1Traccia una sintesi rapidissima di tutta la trattazione. Distinte le forme di governo in repubbliche e principati, viene brevemente delineata la tipologia dei principati. Possono essere ereditari oppure nuovi, e questi a loro volta possono essere del tutto nuovi oppure misti, cioè formati dall’aggiunta di nuove conquiste a un nucleo preesistente. I nuovi domini vengono a loro volta suddivisi fra quelli già abituati a vivere sotto un principe e quelli abituati ad essere liberi. Infine vengono elencati i mezzi per realizzare la conquista, le armi altrui o quelle proprie, la fortuna o la virtù.

- Capitolo 2Si apre con un riferimento implicito al primo libro dei discorsi dove era stata trattata l’analisi delle repubbliche, per dichiarare che in quest’opera di occuperà solo di principati. Accenna agli stati ereditari, più facilmente conservabili dei nuovi, a meno che non intervenga qualche forza straordinaria. Basta continuare lungo la linea seguita dagli antenati e temporeggiare con le possibili rivolte, e qualora dovesse perdere il governo, lo riacquisterà non appena una disgrazia qualsiasi si abbatta sul nuovo occupatore.

- Capitolo 3Difficoltà del principato nuovo è che gli uomini cambiano volentieri signore credendo di migliorare: l'esperienza li delude. Probabilità maggiori di successo alla seconda conquista. I principati misti sono facili a mantenersi purché si spenga il sangue dell'antico signore e non se ne alterino le istituzioni. I principati lontani e disformi di lingua e costumi per mantenerli occorre fortuna e industria: è necessario che il principe vi risieda; che vi mandi colonie; che si faccia amici meno potenti senza accrescere troppo il loro potere.

- Capitolo 4Perché tutta l’Asia, alla morte di Alessandro, non si ribellò ai suoi successori? I Principati si governano in due modi diversi: 1.Principe e Servi, cioè i Servi aiutano il Governo del regno per concessione del Principe 2.Principe e Baroni, cioè i Baroni aiutano il Governo del regno non per concessione, ma per nobiltà. I Baroni hanno Stati propri e sudditi propri all'interno dei confini del regno del Principe. Lo Stato di tipo 1) è quello che ha il Principe con maggiore autorità perché non c’è nessun altro superiore a lui e tutti obbediscono solo a lui e a nessun altro, se non come Ministri. Si vede bene allora che è più difficile conquistare lo Stato di tipo 1) ma, una volta vinto, si ha grande facilità a mantenerlo. Perché è difficile corrompere i suoi sudditi, essendo questi molto obbligati. Ma una volta vinto ed estinta la sua stirpe, non si deve temere d’altri. Negli Stati di tipo 2) avviene il contrario: si puoi entrare e acquistarvi la amicizia di un Barone, specialmente se c’è del malcontento, e questo ti può spianare la strada alla conquista. Ma una volta vinto (facilmente) è estremamente difficile mantenere il regno: non basta estinguere la stirpe regale, perché ci saranno sempre Baroni che alzeranno la testa. Ognuno ha i suoi desideri, e non potendo accontentarli tutti, si perderà quello Stato. Di che natura era il regno di Dario di Persia? Della specie 1) perciò ad Alessandro occorsero tutte le sue forze d’urto per conquistarlo. I successori di Alessandro lo avrebbero potuto tenere in tutta tranquillità se non fossero nate delle discordie che alla fine lo smembrarono.

- Capitolo 5Ci sono tre modi di governare questo tipo di Principati: 1.Distruggerli 2.Andare ad abitarci 3.Lasciarli vivere secondo le loro leggi, ma tenendoci una oligarchia legata al Signore. Il migliore metodo sarebbe il 1) perché chi diviene padrone di una città abituata ad essere libera, e non la rende totalmente obbligata, prima o poi deve aspettarsi la ribellione. Perché i vecchi ordinamenti, anche se molto vecchi, non si dimenticano. Quando le città sono abituate a vivere sotto una stirpe e questa viene spenta, il nuovo Principe con più facilità può guadagnarsi la loro fedeltà, perché non hanno più l’appoggio del vecchio Principe, non trovano l’accordo per eleggerne uno fra loro e perciò sono più lenti alla ribellione. Nelle repubbliche è maggiore l’odio, la vendetta; e vi è sempre la memoria

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dell’antica libertà: la via più sicura per possederle è ancora il 1). o anche il 2).- Capitolo 6

Illustra la situazione di coloro che al principato pervengono con virtù e armi proprie. Si avvia la discussione sui principati del tutto nuovi, sia per dinastia che per tipo di governo. L’attenzione si sposta dalla classificazione dei principati alla corretta azione politica per conquistare uno stato nuovo. Occorre per questo ispirarsi ai grandissimi esempi di Mosè, di Ciro, Romolo e Teseo che seppero istituire nuovi ordini. Come esempio negativo viene indicato Savonarola che non ricorse all’uso della forza, necessario per istituire nuovi ordinamenti. Infatti il capitolo si caratterizza per l’appello a riconoscere l’importanza della violenza in campo politico.

- Capitolo 7Chi conquisterò lo stato con la fortuna e le armi altrui lo farà facilmente, ma lo manterrà con grandissime difficoltà. Questo tipo di stato è paragonato a un albero cresciuto troppo in fretta, privo delle radici e vulnerabile alla prima tempesta. Esempio di stato acquistato con la fortuna è Cesare Borgia, indicato come modello per chi voglia conquistare e mantenere un principato, ma fondandosi sulla fortuna e le armi altrui, anch’egli ruina. Con l’inganno era riuscito ad eliminare i capi orsini a Senigallia e aveva fatto uccidere il proprio luogotenente, Ramiro de Lorqua, aveva cercato di essere previdente e per fare eleggere un papa non ostile come successore al padre tentò di ingraziarsi l’aristocrazia romana e di controllare il collegio dei cardinali, tentò di conquistare la toscana per realizzare un vasto stato centroitaliano. Ma la morte del padre e la sua malattia si opposero e il suo tentativo fallì. L’unico suo errore fu l’elezione a Papa di Giulio. Perché non potendo creare un Papa a suo modo, poteva almeno sceglierlo e non doveva acconsentire che uno di quei Cardinali che aveva offeso diventasse Pontefice. Chi crede che nuovi benefici facciano dimenticare le offese ricevute, sbaglia.

- Capitolo 8Si prende in considerazione il principato governato esclusivamente con la crudeltà, come nei casi di Agatocle tiranno di Siracusa e di Oliverotto da Fermo: la condanna della gratuita crudeltà viene pronunciata non in base a norme etiche, ma alla diminuzione del consenso che produce. Riflessioni sull'efficacia politica della crudeltà: essa è bene usata se risponde a una reale necessità di sicurezza e non si protrae nel tempo, male usata se praticata come sistema e il principe finisce per diventare un tiranno.

- Capitolo 9Si contrappone al precedente in quanto si analizza il caso in cui un privato diventi principe perché nominato dai concittadini. Si ascende a questo titolo col favore del popolo o col favore dei grandi, perché in ogni città ci sono queste due tendenze diverse, le quali nascono da questa considerazione, che il popolo non desidera né essere comandato, né oppresso dai grandi, mentre i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo. Chi arriva al potere col favore dei grandi lo mantiene con più difficoltà di chi gode del consenso popolare e questo viene ripreso nella confutazione del luogo comune che ‘chi fonda sul popolo fonda sul fango’. È invece il principato assoluto ad essere sconsigliato rispetto a quello civile.

- Capitolo 10Nell’esaminare le qualità dei Principati si distingue il Principe che è indipendente nella milizia da altri (1) e il Principe che invece ha sempre bisogno dell’aiuto di altri (2). I Principi appartenenti al tipo (1) possono radunare un esercito adeguato e sostenere una battaglia campale con chiunque. I Principi appartenenti al tipo (2) non possono sostenere battaglie campali, ma hanno necessità di rifugiarsi dentro le mura e farsi difendere da esse. L'Autore esorta questi Principi a fortificare le loro città e non preoccuparsi del contado circostante.

- Capitolo 11Tratta dei principati ecclesiastici , che fondano la propria forza sulla religione. Si acquistano per virtù o per fortuna e si mantengono senza né l’una né l’altra perché sorretti e convalidati dai dogmi antichi della religione che sono così forti che fanno mantenere al Principe lo Stato in qualsiasi modo Egli lo governi. Questi Principi sono gli unici ad avere Stati e a non difenderli, ad avere sudditi e a non comandarli. Machiavelli ironizza contro lo stato della Chiesa, già denunciato nei discorsi come

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responsabile della disunione d’Italia e dice che questo tipo di stato è posto fuori dal campo di indagine perché retto da ragioni superiori, a cui la mente umana non arriva.Capitoli 12-14 dedicati all’ordinamento militare e volti a contrastare la tesi favorevoli alle truppe mercenarie, in favore delle armi proprie.

- Capitolo 12Gli eserciti possono essere dei seguenti tipi: (A) Proprio (B) Mercenario (C) Ausiliario (D) Misto. I tipi (B) e (C) sono inutili, anzi pericolosi, perché i loro componenti sono spesso disuniti, ambiziosi, senza disciplina, infedeli. Uno Stato non si potrà mai reggere su di essi perché essi non hanno altro amore che quel poco di denaro che ottengono, e ciò non basta perché i soldati vogliano offrire la loro vita per te. Essi vogliono essere tuoi soldati in tempo di pace, ma andarsene in tempo di guerra.

- Capitolo 13Le milizie ausiliarie, anche queste inutili, sono quelle per le quali si chiama un potente vicino in aiuto. Queste milizie possono anche essere sufficienti, ma danneggiano alla fine colui che le ha chiamate perché se, si vince, si resta prigioniero di loro. Queste milizie sono più pericolose delle mercenarie, perché queste sono unite e compatte e ubbidienti a un solo capitano. Un Principe savio si saprà rivolgere alle proprie milizie, perché non giudicherà essere vera vittoria quella acquistata con le milizie altrui. Anche le armi miste, sebbene superiori sia alle mercenarie che alle ausiliarie, sono dannose e di molto inferiori alle proprie. La ragione prima della rovina dell’Impero Romano? L’assunzione di soldati Goti. L'Autore conclude dicendo che chi non ha milizie proprie non ha di norma uno Stato sicuro, perché tutto è nelle mani della sola fortuna e non della virtù che nelle avversità lo possa efficacemente difendere.

- Capitolo 14La ragione prima della perdita di uno Stato è non conoscere l’arte della guerra, e quello che li fa, al contrario, acquistare è esserne pratico. Il Principe deve esercitarsi sempre nella guerra, più in pace che in guerra: ciò lo può fare in due modi: con la mente (1) o con le opere (2). (1) Il Principe deve leggere le storie antiche e meditare le azioni di antichi uomini eccellenti, esaminare i motivi delle vittorie e delle sconfitte per potere imitare le vittorie e sfuggire le sconfitte. Il Principe in pace non deve stare mai ozioso, ma star preparato alle avversità. (2) Tenere sempre ben esercitata la milizia, star sempre a caccia, a simulare azioni di guerra.Capitoli 15-23 trattano le qualità e le accortezze necessarie a un principe per governare.

- Capitolo 15Inizia la riflessione riguardante la prassi politica e termina quella sulle tipologie dei principati e sulle modalità di conquista. Machiavelli si contrappone agli specula principis per il richiamo alla verità effettuale. Il principe deve saper essere buono o non buono a seconda della necessità. In ambito di prassi politica ciò che a volte è qualità può diventare vizio, è da respingere il catalogo delle qualità da perseguire e dei vizi da respingere. Il vizio usato per difendere lo stato è una necessità collettiva e quindi coincide con la sicurezza e il benessere dello stato stesso, la virtù morale usata a sproposito risultano rovina.

- Capitolo 16Apre la rassegna delle doti individuali necessarie al principe per dirigere lo stato. Il primo problema affrontato è se sia più utile essere liberale o parsimonioso. La liberalità è la disponibilità a spendere con noncuranza, ma Machiavelli suggerisce la parsimonia, con la quale si evita di sperperare le ricchezze dello stato e quindi di opprimere fiscalmente i sudditi. La parsimonia finirà per farlo apprezzare da molti, dal popolo, e sarà più efficace della liberalità che soddisfa solo i pochi che possono godere dei benefici. Le azioni del principe sono quindi rapportate al problema del consenso.

- Capitolo 17Il tema affrontato è se sia più utile la crudeltà o la pietà, essere amati o temuti. Si vorrebbe essere entrambi ma, siccome è difficile, è meglio essere temuti perché gli uomini sono di questa natura: mentre gli fai del bene e in tempo di pace sono pronti ad offrire la loro vita per te, quando arrivano le avversità si ribellano. Un Principe deve farsi temere fuggendo però l’odio, e lo farà stando attento alla roba d’altri, perché gli uomini dimenticano presto la morte del padre piuttosto che la perdita del

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loro patrimonio. Il principe savio deve saper utilizzare la crudeltà ed essere temuto, e saper evitare di incorrere nell’odio, che mina il consenso ed è pericoloso per la stabilità dello stato.

- Capitolo 18Parte dal rovesciamento secondo cui la fedeltà e la lealtà sono virtù lodevoli. Ci sono due modi di combattere: con la legge (modo proprio dell’uomo), o con la forza (modo proprio delle bestie). Ma siccome il primo molte volte non basta, occorre ricorrere al secondo. Ad un Principe è necessario sapere usare la bestia e l’uomo. E siccome il Principe deve saper bene usare la parte animale, deve prendere di questo la qualità della volpe e del leone, immagini dell’astuzia e dell’impeto violento, con i quali è possibile evitare i tranelli e vincere la violenza degli avversari. Perciò un Principe savio non deve essere fedele se tale fedeltà gli ritorna contro, perché siccome gli uomini non la porterebbero bene a lui, anche lui non la deve portare a loro. Della natura di volpe è necessario prendere il saper ingannare gli uomini. Ad un Principe non è necessario avere tutte lequalità, pietà, fedeltà, umanità, lealtà, ma sembrare di averle. Anzi, avendole tutte, gli sono dannose, ma parendo di averle, tornano invece utili. Se lo sei non ti puoi mutare col cambiamento della sorte, ma se lo fingi soltanto, puoi temporeggiare e destreggiarti. E in generale gli uomini giudicano più in apparenza che in sostanza perché ognuno sa vedere quello che sembri, ma pochi sentono quello che sei in realtà e quei pochi non osano dire li contrario, mettendosi contro la maggioranza. In questo capitolo la realtà dell’esperienza viene contrapposta all’idealismo e al moralismo dei precedenti trattati. Per far fronte all’imprevedibile varietà delle situazioni storiche il principe deve essere disposto a ricorrere agli strumenti dell’animalità come inganno e astuzia. Fare ciò e violare la morale è una dura necessità della politica per Machiavelli quindi è inutile fingere che non si tratti di male quello che siamo obbligati a compiere per la sicurezza e il benessere dello stato.

- Capitolo 19Riassunto di tutte le caratteristiche che un principe deve avere per farsi ben volere: non deve appropriarsi delle cose del popolo, non deve essere superficiale, ma deve apparire coraggioso, grande e con molta forza di carattere. Qualora non offrisse questa immagine di sé, deve avere due paure: i sudditi e le potenze straniere. Dalle congiure l'unico aiuto può venire dal popolo, in quanto non sempre i congiurati rispecchiano il volere di tutti, invece per sconfiggere un nemico devi possedere un buon esercito. Il Principe deve tenere in poco conto le congiure quando il popolo gli è fedele, ma quando gli è nemico deve temere di qualsiasi persona.

- Capitolo 20Si parla di quanto possa essere utile disarmare i sudditi o alimentare le fazioni popolari o costruire fortezze. Il disarmo dei sudditi si può rivelare positivo quando si è di fronte a un principe nuovo con un nuovo principato, invece quando un principe conquista un provincia è necessario disarmarla, escludendo naturalmente quelli che sono stati dalla tua parte, ma col tempo indebolendo anche quest'ultimi. Passando alle fazioni, per l'autore, le divisioni interne non sono state mai qualcosa di positivo, anzi rendono le città più fragili di fronte al nemico. Continuando con le fortezze dice che chi ha più paura del popolo che dei nemici costruisce fortezze, chi il contrario non le costruisce e ribadisce dicendo che la fortezza più sicura è il non essere odiati dal popolo.

- Capitolo 21Parla ancora di come un principe possa dare una buona immagine di sé. In politica interna deve essere deciso, deve premiare o castigare in maniera esemplare. In politica estera deve farsi ammirare e deve stupire i sudditi con grandi imprese come Ferdinando d'Aragona, ma soprattutto deve sempre schierarsi a favore di qualcuno e mai restar neutrale. Molto importante è anche la scelta dei ministri. Si nota da questa selezione l'intelligenza di un signore. Questi ministri devono essere così devoti al loro signore da pensare prima a lui che a loro stessi e se un principe ha la fortuna di trovarne uno così se lo deve mantenere con doni e elogi.

- Capitolo 22Riguardo a come il principe debba scegliere i collaboratori e come lavorarci. C’è un modo infallibile per conoscere le qualità di un ministro: quando vedi il Ministro pensare più a sé che a te, ricercando in ogni azione l’utile suo, questo non sarà mai un buon Ministro. Ma d’altra parte il Principe, per tenerselo obbligato, deve pur pensare al Ministro onorandolo e facendolo ricco.

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Principe e il Ministro devono avere fiducia l’uno dell’altro; altrimenti sarà sempre dannoso, o per l’uno o per l’altro.

- Capitolo 23Parla degli adulatori. Un principe deve fidarsi solo di poche persone sincere e veritiere che avrà scelto all'interno del suo Stato. Solo queste dovrà ascoltare, e comunque la sua virtù non dovrà essere sostituita da quella di consiglieri e cortigiani e l'ultima decisione spetterà sempre a lui. Infatti i buoni consigli da qualsiasi persona vengano, devono nascere dalla prudenza del Principe, e non la prudenza del Principe dai buoni consigli.

- Capitolo 24Se il principe seguirà tutte le indicazioni suggeritegli farà sembrare antico il suo stato nuovo, conferendogli la stessa stabilità degli stati ereditari. Se si considerano le ragioni per cui in Italia i Principi hanno perso si troverà che, in primo luogo, non hanno saputo amministrare le loro armi, poi che avranno avuto nemici fra il popolo. Perciò questi Principi non accusino la sorte di un brutto tiro, ma la loro stessa ignavia, perché non pensarono mai nei tempi di pace che quelli possano mutare e quando vennero le avversità pensarono a fuggire e non a difendersi, sperando che i popoli, infastiditi dai vincitori, li richiamassero.

- Capitolo 25La fortuna è arbitra di metà delle azioni umane mentre l'altra metà resta nelle mani degli uomini;la fortuna è paragonata ad un fiume rovinoso che allaga le pianure e distrugge gli alberi e le case, quindi sconvolge l’ordine sociale come la peste per Boccaccio: gli uomini previdenti devono disporre per tempo gli argini. L’Italia, contrariamente alle monarchie europee, appare come una pianura priva di ogni difesa e riparo. Tuttavia si possono vedere principi salire al potere o rovinare senza che essi abbiano modificato il proprio comportamento, Machiavelli ricorre alla mutevolezza continua delle circostanze storiche e della fortuna, quindi non ruina colui che riesce a mettersi in sintonia con la qualità dei tempi, con la specificità della storia in cui vive. Se è vero che la fortuna è mutevole mentre la natura umana è immodificabile, quindi gli uomini sono destinati a fallire non appena natura e fortuna discordano, tuttavia l’autore si oppone ad ogni forma di rassegnazione e fatalismo, anche perché la fortuna è donna, perciò si lascia vincere da chi è giovane, deciso e coraggioso.

- Capitolo 26Si accosta allo stile dell’esortazione. Le condizioni attuali sono favorevoli a rendere degno di onore un principe nuovo e l’invocazione è rivolta ai Medici perché si mettano a capo della redenzione dell’Italia. Per imitare gli uomini eccellenti che liberarono i loro paesi occorre prima di tutto dotarsi di armi proprie e cercare di sconfiggere le fanterie svizzere e spagnole, che hanno anche loro un punto debole. È assegnato il compito di chiudere il trattato con speranza profetica ai versi della canzone di Petrarca ‘All’Italia’. Il capitolo si stacca dagli altri per il tono vibrante e appassionato, al contrario della procedura logica e deduttiva.

Il testo integrale del Principe di Macchiavelli è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_4/t324.pdf

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Capitolo 7 Torquato Tasso

Sintesi Gerusalemme Liberata Torquato Tasso

Gerusalemme liberata - RiassuntoTorquato Tasso

Canti I-XX. Il poema in venti canti in ottave è dedicato al duca Alfonso II d'Este e ha per soggetto la prima crociata (1095-99), in particolare gli ultimi mesi dell'assedio di Gerusalemme e la conquista cristiana della città. Canto I - Dio volgendo lo sguardo all'esercito crociato, che già da sèi anni combatte in Oriente, vede i principi impegnati solo a inseguire fini personali e a trascinare senza slancio la guerra, dimentichi del sacro obiettivo, la liberazione del Santo Sepolcro. Manda allora l'arcangelo Gabriele all'unico eroe rimasto puro, Goffredo di Buglione, perché dia nuovo vigore ai cristiani. Su proposta di Pier l'Eremita, Goffredo viene eletto capo supremo e passa in rassegna le forze. A Gerusalemme il re saraceno Aladino minaccia i cristiani che sono in città. Canto II - I crociati muovono verso Gerusalemme e i saraceni si preparano alla difesa. Aladino sottrae al tempio cristiano l'immagine di Maria e la porta nella moschea, da dove però sparisce. Per evitare rappresaglie l'eroina cristiana Sofronia e Olindo si accusano del furto. Condannati al rogo sono salvati dalla guerriera saracena Clorinda che, certa della loro innocenza, li fa esiliare. Alete e Argante, ambasciatori del re d'Egitto, giungono al campo cristiano per dissuadere Goffredo dal-l'impresa. Goffredo non si dichiara disposto a rinunciare. Canto III - Nascono i primi scontri in cui si distinguono fra i cristiani Tancredi e Rinaldo, tra i pagani la vergine Clorinda e il feroce Argante. Dall'alto delle mura la principessa Erminia, figlia del re di Antiochia e prigioniera dei cristiani, mostra ad Aladino i guerrieri crociati. Ella è segretamente innamorata di Tancredi che però la ignora, perché ama non corrisposto Clorinda. Per questo amore Tancredi viene meno anche ai doveri di guerriero e nello scontro con Clorinda è smarrito e tre-mante, ma la salva da un cristiano che stava per ucciderla. Intanto Argante uccide Dudone, uno dei capi crociati. Canto IV - Satana manda in aiuto dei pagani le schiere infernali per seminare discordie nell'esercito cristiano. La bellissima maga Armida, strumento del demonio, giunta al campo crociato, fa innamorare di sé i guerrieri, e fingendosi scacciata dal trono di Damasco e perseguitata, chiede aiuto a Goffredo. Canto V - La presenza di Armida suscita gelosie e contrasti, accesi anche dalle rivalità per la successione a Dudone. Gerlando e Rinaldo ambiscono alla carica e Rinaldo in uno scatto d'ira uccide il compagno, che l'ha calunniato, ed è costretto a fuggire. Molti dei più valorosi guerrieri, contro la volontà di Goffredo, seguono Armida per aiutarla a riconquistare il regno e finiscono pri-gionieri nel suo castello fatato sulle rive del mar Morto. Canto VI - Argante vuole risolvere con un duello le sorti della guerra. Viene scelto per difendere l'onore cristiano Tancredi. Il sanguinoso scontro dura sino al calare della notte, quando gli araldi lo sospendono. Tancredi, incantato e distratto dalla vista di Clorinda, è ferito. Erminia che assiste dall'alto è preoccupata per lui e, indossate le armi di Clorinda, esce da Gerusalemme per recargli soccorso. Sorpresa da una pattuglia di crociati e scambiata per la guerriera saracena è costretta alla fuga. Canto VII - Erminia si rifugia presso i pastori e Tancredi, credendo di inseguire Clorinda, giunge al castello di Armida e diventa suo prigioniero. Così alla ripresa del duello con Argante si presenta il vecchio Raimondo di Tolosa. Colpito a tradimento da una freccia, il duello si trasforma in un combattimento generale in cui i cristiani hanno la peggio anche perché danneggiati da una tempesta scatenata dai demoni. Canto VIII- Giunge al campo cristiano Carlo racconta la fine del re danese Sveno, che doveva portare aiuti ed è stato ucciso in un agguato dal sultano dei Turchi Solimano. La spada del re deve

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essere data a Rinaldo. Si diffonde intanto la notizia del ritrovamento del cadavere di Rinaldo e la furia Aletto sobilla Arginano ad accusare Goffredo della morte dell'eroe. Scoppia un tumulto che Goffredo riesce a domare con l'aiuto di un angelo guerriero. Canto IX - Solimano assale il campo cristiano aiutato da Clorinda e Argante, si scatena una grande battaglia alla quale partecipano le forze infernali, che Goffredo, con l'intervento provvidenziale dell'arcangelo Michele, riesce a scacciare, e con l'arrivo dei cinquanta guerrieri prigionieri di Armida, tra cui Tancredi liberato da Rinaldo erroneamente creduto morto, mette in fuga i saraceni. Canto X - II mago Ismeno conduce su un carro nella reggia di Aladino lo sconfitto Solimano. Nel campo crociato i cinquanta guerrieri raccontano la loro prigionia nel castello di Armida e la liberazione ad opera di Rinaldo. Canto XI - I cristiani per propiziarsi il favore del cielo fanno una processione sul monte Oliveta. Goffredo ordina l'assalto di Gerusalemme, che viene sospeso per il sopraggiungere della notte. Canto XII - Nella notte Clorinda e Argante incendiano la grande torre mobile usata dai cristiani come mezzo d'assalto. Durante l'azione Clorinda viene affrontata e uccisa in duello da Tancredi, che la riconosce dopo averla ferita a morte e ha solo il tempo di darle il battesimo ch'ella chiede. Il vecchio tutore Arsete le aveva infatti rivelato le sue origini cristiane. Canto XIII - Ismeno getta un incantesimo nella selva di Saron, che fornisce ai cristiani il legno per le macchine da guerra. I cavalieri cristiani non riescono a superare i fantasmi che popolano il bosco e le loro forze sembrano insufficienti. Una terribile siccità aggrava la situazione. Goffredo invoca l'aiuto di Dio che manda la pioggia. Canto XIV - Dio manda a Goffredo una visione indicandogli in Rinaldo il guerriero capace di sciogliere gli incantesimi della selva. Carlo e Ubaldo sono mandati in cerca di Rinaldo. Il mago cristiano di Ascalona racconta loro dell'amore di Rinaldo e Armida. Canto XV - Sulla nave della Fortuna essi varcano le colonne d'Èrcole e giungono alle isole Fortunate nel mezzo dell'Oceano, dove Rinaldo e Armida vivono dimentichi di tutto nel castello della maga al cui centro v'è un giardino di eterne delizie. Carlo e Ubaldo guidati dal mago di Ascalona vincono mostri e insidie dei sensi e arrivano nel palazzo di Armida. Canto XVI - Qui trovano Rinaldo schiavo d'amore, al quale mostrano la sua immagine riflessa nello scudo adamantino che ha dato loro il mago di Ascalona. La semplice immagine della sua degradazione e pochi rimproveri bastano a far ravvedere l'eroe che lascia il giardino incantato. Non valgono le preghiere e le seduzioni di Armida, che sola e disperata resta sulla spiaggia dell'isola e poi per vendicarsi raggiunge l'esercito egiziano che a Gaza si prepara all'attacco decisivo contro i cristiani. Canto XVII - Armida giunge a Gaza e chiede aiuto al califfo d'Egitto. Rinaldo riceve dal mago di Ascalona una nuova armatura e da Carlo la spada del re Sveno. Canto XVIII - Tornato al campo, Rinaldo confessa le proprie colpe a Pier l'Eremita che gli impone un rito di purificazione sul monte Olivete. Purificato, Rinaldo è pronto a sciogliere gli incantesimi della selva di Saron. I cristiani possono ora preparare nuove macchine e con esse l'assalto finale a Gerusalemme. Inviano nottetempo nel campo egizio in avanscoperta la spia Vafrino e all'alba sferrano l'attacco che si conclude con l'ingresso dei crociati in città. Canto XIX - Tancredi e Argante si fronteggiano in un duello decisivo; il saraceno muore e il cristiano sviene per le numerose ferite. Lo soccorre amorevolmente e lo salva Erminia. La battaglia infuria dentro le mura della città e Solimano e Aladino trovano riparo nella torre di David. Canto XX - L'esercito egiziano giunge sotto Gerusalemme e all'alba del nuovo giorno Goffredo da inizio alla battaglia finale. Rinaldo fa strage di nemici, uccide anche Solimano uscito dalla torre. Ritrova Armida che vuole ucciderlo, ma poi fugge e tenta il suicidio. L'eroe la dissuade e si riconcilia con lei invitandola a farsi cristiana. Lo scontro è sempre più cruento, anche Tancredi vi partecipa. Raimondo da Tolosa espugna la torre di David e uccide Aladino. Quando Emireno, capo dell'esercito egiziano è ucciso da Goffredo, la battaglia ha termine. Goffredo può porre il simbolo della croce sulla città riconquistata e raccogliersi in preghiera sul Santo Sepolcro.

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Il testo integrale della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso è al link:

www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_5/t329.pdf

Capitolo 8 Carlo Goldoni

L'opera di Carlo Goldoni

L'uomo di mondo

Protagonista della commedia è Momolo, rampollo gioviale e spensierato di una ricca famiglia veneziana. Momolo è innamorato di Smeraldina, una lavandaia corteggiata a sua volta da Lucindo, e cerca di far diventare Smeraldina una ballerina. Momolo si improvvisa cavalier servente di Beatrice, moglie di Salvio, e salva i due sposi dagli intrighi dell'usuraio Ludro. Di Momolo è innamorata Eleonora, figlia del dottor Lombardi, corteggiata a sua volta da Ottavio; quest'ultimo, geloso, manda due bravacci, Beccaferro e Tagliacarne, a bastonare Momolo, ma Momolo riesce a corrompere i due e a convincerli a bastonare Ottavio. Il protagonista, infine, disgustato per gli inganni di Smeraldina, e convinto dell'amore di Eleonora, decide abbandonare la sua vita di gaudente e di sposare quest'ultima.

Il prodigo : non c'è riassunto

La bancarotta o sia il mercante fallito: non c'è riassunto

La donna di garbo

La donna che dà il titolo alla commedia è Rosaura, una giovane di umili origini che si è fatta assumere come cameriera presso un avvocato bolognese, vedovo attempato (il Dottore): il figlio di questo, Florindo, giovane studente, aveva allacciato all'insaputa di tutti una relazione con Rosaura, interrompendola poi bruscamente nonostante avesse promesso di sposarla. Ma la ragazza, che proprio grazie a Florindo ha avuto modo di sviluppare cultura e savoir-faire, riesce a guadagnarsi la simpatia dei parenti del giovane, il quale invece non vorrebbe più saperne di lei, e grande è lo stupore di Florindo quando vede Rosaura per la prima volta in casa del padre. C'è poi una piega imprevista, col Dottore che dichiara a Rosaura di essersi innamorato di lei: questo è veramente troppo per Florindo, che non sa più che pesci prendere. Ma interviene Rosaura, che costringerà il giovane a rivelare ai familiari l'impegno che aveva preso con lei.

Il servitore di due padroniAl centro della commedia troviamo Truffaldino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all'inverosimile, creando solo equivoci e guai.

La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de' Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. I due sono innamorati ed è una fortuna che possano promettersi, dato che Federigo Rasponi, agiato torinese cui Clarice era destinata, è morto in una lite a causa della sorella di lui, Beatrice.

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Alla promessa assistono Smeraldina, giovane serva di Clarice a casa di Pantalone e Brighella, locandiere veneziano che fa da testimone. Inaspettatamente, nella scena irrompe Truffaldino, il giovane servo venuto per annunciare il suo padrone; si tratta proprio di Federigo Rasponi, venuto in Venezia per incontrare la sua futura sposa e per chiarire gli affari sulla dote della ragazza. In realtà, colui che si presenta in casa degli allibiti personaggi è Beatrice Rasponi, sorella del defunto in vesti da uomo, per poter andare in cerca di Florindo Aretusi, suo amante fuggito a Venezia in seguito al colpo mortale inferto di sua mano proprio a Federigo e che lei sta inseguendo.

Brighella riconosce Beatrice ma non svela l'inganno dinanzi ai presenti e, anzi, sta al gioco facendosi da garante per assicurare tutti che lo sconosciuto che si trovavano di fronte fosse proprio Federigo Rasponi. Neanche Truffaldino, incontrato da Beatrice nel Bergamasco, sa nulla della vera identità del suo padrone. Il suo unico obiettivo è riempire la pancia, essendo perennemente tormentato dalla fame e dall'ingordigia. Non soddisfatto del trattamento di Beatrice, che trascura gli orari del pranzo e lo lascia spesso da solo, per uno scherzo del destino si trova a servire un altro padrone, che si rivela essere Florindo Aretusi sotto il falso nome di Orazio Ardenti.

Beatrice e Florindo sono vittime delle bugie, dell'ingordigia e della scaltrezza dell'abile servitore e si ritrovano alloggiati nella locanda di Brighella in cerca l'uno dell'altro. Per svincolarsi da situazioni critiche, Truffaldino non fa altro che creare guai su guai. Per non farsi scoprire, addossa tutte le responsabilità sul fantomatico Pasquale, servo che in realtà non esiste. Anche quando Beatrice e Florindo si rincontreranno, Florindo crederà che il servitore di Beatrice sia Pasquale e viceversa. Truffaldino soffre la fame, mente, corteggia, ama, finge di saper leggere, serve acrobaticamente due padroni in stanze diverse, pasticcia la trama e la risolve, tutto ciò mentre lo pseudo-Federigo Rasponi complica la vita dei due amanti Silvio e Clarice e delle rispettive famiglie.

La finzione di Truffaldino porta al culmine dell'imbarazzo nel momento in cui egli scambia il contenuto di due bauli, uno di Beatrice e l'altro di Florindo. Il servitore deve giustificare a Beatrice come mai sia entrato in possesso di lettere che appartengono a Florindo. A quest'ultimo, viceversa, Truffaldino viene invece obbligato a spiegare perché ha con sé un ritratto di proprietà di Beatrice. La scusa che Truffaldino racconta ad entrambi è quella di avere ereditato questi oggetti da un precedente padrone defunto.

Quando la situazione sembra irrimediabile, e Beatrice e Florindo minacciano di suicidarsi convinti che i rispettivi amanti siano morti, Truffaldino riesce a risolvere ogni cosa. I due padroni innamorati si ritrovano per caso e sono condotti a nozze, Clarice e Silvio con le rispettive famiglie si riappacificano, non appena viene svelato l'inganno di Beatrice, Truffaldino e Smeraldina ottengono il permesso di sposarsi. Il servo scaltro si svela solo per amore della servetta. "Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti si siori me perdonerà" e vissero tutti felici e contenti.

Il frappatore non c'e' riassunto

I due gemelli venezianiZanetto, figlio sciocco di un mercante cresciuto a Bergamo, si reca a Verona per incontrarsi con la sua futura sposa, Rosaura, figlia del dottor Balanzoni. Zanetto ha un fratello gemello, Tonino, che è cresciuto a Venezia e che si distingue da lui perché dotato di grande intelligenza e fascino. Il caso vuole che nello stesso periodo anche Tonino si trovi a Verona, poiché deve incontrarsi con la sua amante Beatrice, affidata alle cure dell'amico Florindo affinché la difenda dalla corte insistente di un certo Lelio. Nel frattempo l'anziano Pancrazio, amico di Balanzoni, ha messo gli occhi su Rosaura e cerca di convincerla a mandare a monte le nozze; allo stesso tempo Colombina, la serva di casa Balanzoni, cerca di farsi dare in sposa al servitore di Zanetto, Arlecchino. Una serie di

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coincidenze ed equivoci dà luogo ad uno scambio fra i due gemelli Zanetto e Tonino, che si ritrovano quindi al centro di varie peripezie.

L'uomo prudente non c'e' riassunto

La vedova scaltraRosaura Lombardi, una giovane e ricca vedova veneziana che vorrebbe risposarsi, ha quattro pretendenti di quattro diverse nazionalità: milord Runebif (inglese), il cavalier Le Bleau (francese), Don Alvaro di Castiglia (spagnolo), e il Conte di Bosco Nero (italiano). Ciascuno dei quattro le fa una corte assidua. L'inglese le fa avere come regalo un diamante, il francese un ritratto, lo spagnolo l'albero genealogico della sua famiglia, mentre l'italiano le invia una lettera d'amore con accenni di gelosia. Per far recapitare i loro messaggi o regali, i pretendenti si servono dei rispettivi servitori oppure di Arlecchino. Rosaura è indecisa: trova l'inglese generoso, il francese galante, lo spagnolo rispettabile, l'italiano appassionato. Decide pertanto di mettere alla prova i loro sentimenti presentandosi a ciascuno di loro mascherata nelle vesti di una connazionale attraente e disposta all'avventura amorosa. L'unico dei quattro che le risulterà fedele sarà il conte italiano, e pertanto il matrimonio avverrà con quest'ultimo. La commedia si conclude con Runebif e Le Bleau che si congratulano col Conte, mentre Don Alvaro se ne va indispettito.

La putta onorata non c'è riassunto

La buona moglieBettina, madre di famiglia, è disperata perché da giorni suo marito, Pasqualino, l’ha abbondonata sola in casa. A nulla sembrano servire gli sforzi e gli aiuti di sua sorella Catte e di suo suocero Pantalone, che cerca di intervenire come può.

Pasqualino, ingenuo e istigato dall’amico Lelio, ha dato uno schiaffo a sua moglie e da allora resta lontano da casa cercando di darsi alla bella vita. Ben presto però viene adescato in casa del Marchese e della Marchesa che, ridotti sul lastrico, gli spillano parecchio denaro barando alle carte oppure ottenendo prestiti da lui.

In seguito Pantalone, sulle tracce di suo figlio Pasqualino, lo trova in osteria mentre si sta dando ai piaceri della vita e quasi riesce a rimetterlo in carreggiata. Tuttavia, all’ultimo momento, Lelio interviene e lo convince con la sua malizia a mandare al diavolo il padre per preferire, ancora una volta, una vita di divertimento e senza impegni.

Dal canto suo, Catte va a raccontare alla sorella che Pasqualino oramai avrebbe sperperato tutti i suoi averi e che la Marchesa sarebbe la sua amante. A giudizio di Catte, a questo punto basterebbe che Barbara andasse a letto con il Marchese, suo vecchio spasimante, per vendicarsi tanto di Pasqualino quanto della Marchesa. Barbara crede alle esagerazioni della sorella, ma rifiuta categoricamente questo tipo di soluzione.

Dopo che Catte ha cercato di intrecciare un rapporto con il Marchese, la situazione precipita: quest'ultimo è arrestato per via dei debiti non pagati, mentre Lelio viene ucciso in una rissa, per cui Pasqualino comincia lentamente ad aprire gli occhi. Disperata e competamente priva di mezzi in seguito all'arresto del marito, la Marchesa viene a chiedere aiuto a Barbara, che accetta generosamente di ospitarla in casa sua nonostante l'opposizione di Catte e i torti subiti dalla Marchesa.

Il ritorno a casa di Pasqualino introduce comunque il lieto fine: squattrinato, Pasqualino chiede perdono al padre e alla indulgente Barbara, che è felicissima per il ritorno a casa del marito e per l'oramai insperato ripristino della vita familiare.

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Il cavaliere e la dama

Dopo l'esilio del marito accusato di omicidio, Donna Eleonora, virtuosa signora dell'aristocrazia napoletana, si trova a fare i conti con l'insistenza dei suoi spasimanti e i pettegolezzi dei maldicenti che scommettono sui suoi cedimenti. Aiutata dal vecchio mercante Anselmo, Donna Eleonora riuscirà a trovare l'amore nel goffo cavaliere Rodrigo.

Tutte gli altri riassunti dell'opera di commedia goldoniana:

• L'avvocato veneziano • Il padre di famiglia • La famiglia dell'antiquario • L'erede fortunata • Il teatro comico • Le femmine puntigliose • La bottega del caffè • Il bugiardo • L'adulatore • Il poeta fanatico • La Pamela • Il cavaliere di buon gusto • Il giuocatore • Il vero amico • La finta ammalata • La dama prudente • L'incognita • L'avventuriere onorato • La donna volubile • I pettegolezzi delle donne • Il Molière • La castalda • L'amante militare • Il tutore • La moglie saggia • Il feudatario • Le donne gelose • La serva amorosa • I puntigli domestici • La figlia obbediente • I mercatanti • La locandiera • Le donne curiose • Il contrattempo o sia Il chiacchierone imprudente • La donna vendicativa • Il geloso avaro • La donna di testa debole • La cameriera brillante • Il filosofo inglese • Il vecchio bizzarro

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• Il festino • L'impostore • La madre amorosa • Terenzio • Torquato Tasso • Il cavaliere giocondo • Le massere • I malcontenti • La buona famiglia • Le donne de casa soa • La villeggiatura • La donna stravagante • Il campiello • L'avaro • L'amante di sé medesimo • Il medico olandese • La donna sola • La pupilla • Il cavaliere di spirito o sia La donna di testa debole • La vedova spiritosa • Il padre per amore • Lo spirito di contraddizione • Il ricco insidiato • Le morbinose • Le donne di buon umore • L'apatista o sia L'indifferente • La donna bizzarra • La sposa sagace • La donna di governo • La donna forte • I morbinosi • La scuola di ballo • Gl'innamorati • Pamela maritata • L'impresario delle Smirne • La guerra • I rusteghi • Un curioso accidente • La donna di maneggio • La casa nova • La buona madre • Trilogia della villeggiatura

• Le smanie per la villeggiatura • Le avventure della villeggiatura • Il ritorno dalla villeggiatura

• La scozzese • Il buon compatriotto • Sior Todero brontolon o sia Il vecchio fastidioso

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• Le baruffe chiozzotte • Una delle ultime sere di carnovale • L'osteria della posta • L'amore paterno o sia La serva riconoscente • Il matrimonio per concorso • Trilogia di Zelinda e Lindoro

• Gli amori di Zelinda e Lindoro • La gelosia di Lindoro • L'inquietudini di Zelinda

• Gli amanti timidi o sia L'imbroglio de' due ritratti • Il ventaglio • La burla retrocessa nel contraccambio • Chi la fa l'aspetti o sia I chiassetti del carneval • Il genio buono e il genio cattivo • Le bourru bienfaisant • Il burbero di buon cuore • L'avare fastueux • L'avaro fastoso • Il buon padre • La cantatrice

Capitolo 9 Beccaria

Il testo dei delitti e delle pene di Beccaria è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_7/t157.pdf

Capitolo 10 Parini

Il testo delle Odi di Parini è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_7/t199.pdf

Il testo del Giorno di Parini è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_7/t365.pdf

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Capitolo 11 Ugo Foscolo

Sintesi Tieste Ugo Foscolo

AntefattoErope, che ama Tieste ed era già stata a lui felicemente promessa in sposa, viene costretta dal padre Cleonte - poi mandato a morte - a sposare suo fratello, il re Atreo. Quando però mancava un giorno alle nozze Tieste ed Erope cedono alla passione, concependo un figlio. Atreo, saputa la cosa e con l'animo pieno di rancore, sottrae il bambino alla madre e lo consegna ai custodi.

Atto ISono passati cinque anni: Erope strappa ai custodi il figlio muovendoli a pietà. Conscia che il figlio è frutto della colpa vorrebbe ucciderlo e sottrarlo così a un destino infame. La madre di Atreo e di Tieste, Ippodamia, la convince però a consegnarle il bambino con la promessa di salvarlo.

Atto IIIntanto Tieste, che era stato mandato in esilio dal fratello, dopo cinque anni ritorna ad Argo spinto dalla falsa notizia che Erope è morta. Giunto ad Argo chiede alla madre di farlo incontrare con Erope. Ippodamia lo nasconde nel tempio mentre sopraggiunge Atreo, che sostiene di voler perdonare Erope e Tieste, nonostante i torti subiti. Ribadisce le sue intenzioni nel confronto con la moglie, la quale tuttavia impetra la morte, unica via d'uscita per lei, tormentata dai sensi di colpa e non disposta a lasciare la sua vita e quella del figlio nelle mani di un uomo aborrito e malvagio.

Atto IIIIppodamia ed Erope convincono Tieste, al quale rivelano la nascita del figlio, a fuggire, ma Atreo sopraggiunge e avendo compreso dal pianto della madre che il fratello è nascosto nella reggia, la fa circondare dai soldati armati.

Atto IVErope e Tieste, durante la notte, s'incontrano nel tempio. Tieste vuole uccidere il fratello ma la donna lo prega ancora una volta di fuggire e di non tentare un gesto sconsiderato che metterebbe in pericolo, oltre all'amato, anche il figlio. Tieste però non si placa; posseduto dalla rabbia e colto da una tremenda visione - un'« ombra gigante » col sangue che le sgorga dalla bocca -, si avventa contro il fratello appena lo vede uscire dalla reggia. Atreo, vigile, lo previene consegnando alle guardie Tieste ed Erope. Ippodamia, saputo quanto successo, accorre ma invano domanda al figlio Atreo qual è la sorte destinata al fratello.

Atto VAtreo, che è deciso a vendicarsi, chiama al suo cospetto Erope e Tieste il quale dichiara di preferire la morte piuttosto di rinunciare ad Erope. Ippodamia intanto prega disperatamente il crudele figlio di risparmiare Tieste e di avere pietà. Atreo allora finge di esaudirla e abbracciato il fratello gli offre una coppa. Tieste l'avvicina alle labbra ma si accorge che essa non contiene vino ma il sangue del figlioletto che Atreo ha ucciso e fatto svenare. Allora, in un impeto di dolore e maledicendo il fratello, si uccide. Erope è invasa da tale dolore che cade a terra tramortita

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Testo A Bonaparte liberatorehttps://it.wikisource.org/wiki/Odi_%28Foscolo%29/A_Bonaparte_liberatore

Sintesi Ultime lettere di Jacopo OrtisJacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana[3], il cui nome è nelle liste di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico, trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre persone buone. Jacopo conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, una delle poche consolazioni, sempre tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice.Un giorno di festa aiuta i contadini a trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice perché non ama Odoardo, al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche, nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia.

Ai primi di dicembre Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire dalla patria.

I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima e unica volta in tutto il romanzo. Egli sente che lontano da lei è come essere in una tomba e invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei "grandi" a Santa Croce. Poi, portando sempre con sé l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più infelice e disperato, viaggia fino a Milano dove incontra Giuseppe Parini. Vorrebbe fare qualcosa per la sua infelice patria, ma Giuseppe Parini in un ardente colloquio lo dissuade da inutili atti d'audacia, affermando che solo in futuro e con il sangue si potrà riscattare la Patria, ma chi lo farà rischierà a sua volta di divenire un tiranno; anche uccidere il tiranno è divenuto però inutile, benché il popolo possa sperare ormai solo in questo.[4]

Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma, arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore. Segue una spiegazione finale di Lorenzo sul destino di Jacopo, come quella iniziale.

Il testo de le Ultime Lettere di Jacopo Ortis è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t167.pdf

Il testo delle Odi di Foscolo sono al link: www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t343.pdf

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Il testo dei Sonetti di Foscolo sono al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t363.pdf

Il testo dei Sepolcri è al link:http://spazioinwind.libero.it/terzotriennio/rom/sepolcri_testo.htm

Il testo delle Grazie è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t169.pdf

Capitolo 12 Alessandro Manzoni

Sintesi Promessi SposiLa sera del 7 novembre 1628 don Abbondio, curato d'un borgo montano sulle rive del lago di Como, rientra dalla passeggiata serale. Due bravi di don Rodrigo, signorotto del luogo, lo fermano e gli comandano di non celebrare il previsto matrimonio tra Lucia Mondella e Renzo Tramaglino. Don Rodrigo s'è invaghito di Lucia e ha scommesso con il cugino conte Attilio che la fanciulla sarebbe stata sua. Don Abbondio, che è un uomo pauroso e servile, si dichiara pronto all'ubbidienza e, quando il mattino seguente Renzo si presenta a lui per le ultime formalità, oppone una serie di impedimenti. Il giovane, interrogata Perpetua serva di don Abbondio, riesce a sapere la verità. Renzo comunica subito il fatto a Lucia e a sua madre Agnese. Quest'ultima consiglia a Renzo di rivolgersi all'avvocato Azzeccagarbugli, che al nome di don Rodrigo allontana il giovane. I due promessi tentano allora un matrimonio a sorpresa, ma il tentativo fallisce per la reazione di don Abbondio che sveglia l'intero paese. Nello stesso momento i bravi di don Rodrigo guidati dal Griso falliscono il rapimento di Lucia. Per salvarsi ai due giovani non resta che la fuga. Con l'aiuto di padre Cristoforo, il frate cappuccino confessore di Lucia, lasciano il paese, Lucia diretta a Monza e Renzo a Milano. Da questo momento trascorreranno due anni prima che possano ritrovarsi. Raggiunto il convento di Monza, Lucia è affidata alle cure di Gertrude. Gertrude che è diventata monaca a forza, costretta dalla volontà paterna, ha da tempo una relazione con Egidio, un nobile legato all'Innominato, potente e malvagio signore. Quest'ultimo con l'aiuto di Egidio e Gertrude rapisce per don Rodrigo Lucia, che viene condotta nel suo castello. Al cospetto di lei, della sua disperazione e dignità, alle sue parole che invocano anche per lui, colpevole di orrendi misfatti, la misericordia di Dio, l'innomminato, già da tempo turbato da un intimo conflitto, vive una notte di crisi profonda. Tutto gli appare insensato e la vita solo una rapida corsa verso la morte. Al mattino, informato dell’arrivo in paese del cardinale Federigo Borromeo, a festeggiare il quale dalle campagne e dai borghi vicini arrivava tanta gente, si reca da lui. Spinto dalle parole affettuose del cardinale l’Innominato piange, lo abbraccia e si sente pronto ad affrontare un radicale cambiamento di vita. L'uomo rinnovato dalla Grazia prevale in lui sull'uomo antico. Decide di aiutare Lucia. L'affida a donna Prassede, moglie del dotto don Ferrante. Renzo, che avrebbe dovuto trovare rifugio in un convento di cappuccini a Milano, giunto in città è rimasto coinvolto nei tumulti di San Martino. Scambiato per uno dei capi della rivolta, mentre veniva condotto in carcere è stato salvato dall'intervento della folla. Sfuggito alla giustizia si è rifugiato a Bergamo dal cugino Bortolo e dietro suo suggerimento ha preso il nome di Antonio Rivolta. La guerra per la successione del ducato di Mantova strazia intanto l'Italia settentrionale coinvolta nella Guerra dei Treni'anni. La carestia e la peste, diffusa dall'esercito dei lanzichenecchi, cominciano a mietere vittime. Renzo,

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informato che Lucia è a Milano da donna Prassede, lascia Bergamo. Arriva in città quando il contagio è al colmo. Scambiato per un untore si salva saltando su un carro di monatti che lo portano al Lazzareto. Qui ritrova padre Cristoforo, che si prodiga per i malati nonostante sia anch'egli vicino alla fine, don Rodrigo morente e finalmente Lucia. L'ultimo ostacolo alla felicità dei due giovani è il voto di castità pronunciato da Lucia nel terrore della prigionia al castello dell'Innominato. Padre Cristoforo scioglie la giovane dalla sua promessa, che per quanto nobile e sincera, era stata fatta in un momento di grande agitazione e senza tener conto che lei s'era già promessa a Renzo. Una pioggia purificatrice segna la fine dell'epidemia. Tornati al paese, Renzo e Lucia sono sposati da don Abbondio. Dopo il matrimonio si trasferiscono altrove. Li attendono le normali difficoltà della vita, che più maturi e consapevoli sapranno affrontare.

Il testo dei Promessi Sposi è al link: www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t337.pdf

Le Poesie di Manzoni sono al link:https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CCEQFjAAahUKEwik5Ly8y-_IAhWH0xoKHRSMDvE&url=http%3A%2F%2Fwww.liberliber.it%2Fmediateca%2Flibri%2Fm%2Fmanzoni%2Ftutte_le_poesie%2Fpdf%2Ftutte__p.pdf&usg=AFQjCNFaqbI7JvvwUEqdm0JwxlORphgBCg&

Capitolo 13 Leopardi

Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino beccaio di Leopardi

https://it.wikisource.org/wiki/Versi_del_conte_Giacomo_Leopardi/Sonetti_in_persona_di_ser_Pecora

Lo zibaldone di pensieri di Leopardi è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t226.pdf

I Canti di Leopardi sono al link.www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t346.pdf

Le operette morali di Leopardi sono al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t345.pdf

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Capitolo 14 Verga

Storia di una capinera Verga

La pagina introduttiva spiega il perché della scelta del titolo. La storia narrata, di una giovane costretta dalla famiglia a scegliere la vita monacale, viene paragonata alla vicenda di una povera capinera, rinchiusa in una gabbia, muore di dolore e malinconia per la libertà perduta.La protagonista, Maria, entrata in convento a soli sette anni, in seguito alla morte della madre, è una novizia destinata per volontà della famiglia a una vita monacale.La vicenda comincia a Monte Ilice, dove la famiglia di Maria (suo padre, la matrigna e i fratelli, Giuditta e Gigi, nati dal secondo matrimonio del padre) si è rifugiata per scampare all'epidemia di colera che imperversava su Catania. Anche l’educanda viene allora allontanata dal convento per evitare il contagio e lascia temporaneamente, per la prima volta, il convento, a diciannove anni, per trasferirsi con la famiglia in campagna dove la sua famiglia ha una casetta.

E’ un romanzo epistolare e la vicenda viene narrata attraverso le lettere che Maria scrive alla sua amica Marianna, una consorella che durante il periodo dell’epidemia si trasferisce anch’ella presso la famiglia.Nelle sue prime lettere Maria manifesta una gioia ed una felicità quasi infantile di trovarsi libera di godere a pieno della bellezza della natura nella spensieratezza tipica della gioventù che non aveva mai vissuto in convento.

Ella trascorre le sue giornate correndo e saltando per i verdi prati ed intrattenendosi con la famiglia insieme ai signori Valentini, ed i loro due figli, Annetta e Nino.Al tempo stesso, Maria, dimostra paura e disagio per quella vita mondana nella quale si è trova improvvisamente: ha paura di ballare, trema se solo qualcuno la guarda, arrossisce per ogni parola che i signori Valentini, vicini di casa e amici dei suoi, le rivolgono. Col passare dei giorni tuttavia la vita fuori dal convento le appare così sempre più bella, più degna di essere vissuta: avere una famiglia, crescere dei figli, non sentirsi imbarazzata al cospetto di un uomo.Nello scenario rigoglioso della campagna siciliana, Maria scopre sensazioni ed emozioni mai vissute prima, il piacere di passeggiare nei campi, di giocare, di godere della bellezza della natura ed anche di provare la gioia dell’amore, seppur pudicamente vissuta, per Nino, suo vicino di casa.I sentimenti che lei prova per lui sono ricambiati; Nino si innamora dell’ingenuità e della semplicità di Maria.Fra due nasce l'amore, un amore fatato di sguardi, di sorrisi e parole non dette che, però in qualche modo mette in allarme i suoi famigliari e la famiglia Valentini, perché Maria è destinata, per decisione della famiglia alla vita monacale, per non disperdere un patrimonio destinato ai due fratelli più giovani.Maria, dopo qualche settimana felice, deve confessare a se stessa e a Marianna di essere attratta da Nino ma non trova il coraggio di ribellarsi ai suoi familiari che l'hanno costretta a monacarsi. La felicità di quei giorni, dunque, dura poco. Questa passione e la consapevolezza di essere destinata alla clausura mettono in moto forti sentimenti di colpa, e inutilmente la ragazza tenta di negare a se stessa quello che prova. Tutto ciò le creerà forti tensioni che la porteranno ad ammalarsi e ad isolarsi. Isolamento accentuato dalla matrigna che, resasi conto di quello che sta accadendo, la esclude da feste e giochi e da ogni occasione di incontro con Nino.L’unico sfogo di Maria sono le lettere a Marianna, sempre più impetuose e disperate, divise tra l’accettazione del proprio destino ed il desiderio di amare e di essere amata.I due giovani vengono completamente e definitivamente isolati. Le loro occasioni di incontro vengono accuratamente evitate, e Maria, la cui malattia andrà aggravandosi non potrà più rivedere,

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anche per un solo istante, il suo Nino.Passato il pericolo del colera, la famiglia Valentini torna a Catania. Poco dopo, anche Maria rientra in convento, a Catania, e dopo un mese inizia il noviziato per prendere definitivamente il velo. Il destino della sua amica Marianna sarà ben diverso perché ella resterà presso la famiglia e abbandonerà definitivamente il convento.In un primo tempo Maria crede di essersi riconciliata con Dio, e vede il suo innamoramento come un peccato di cui disfarsi. Ma ben presto si accorge che nulla potrà essere come prima, Maria non riesce a dimenticare il suo amore per Nino e quando le viene comunicato che lui sta per sposarsi con la sorellastra Giuditta, diventa ogni giorno più pazza.Dal momento in cui la giovane affronta la cerimonia in cui pronuncia i voti definitivi, il sentimento puro per Nino si trasforma in passione struggente, la malattia si aggrava sempre di più, acuita dalla vicinanza della casa dei novelli sposi al convento, che Maria può intravedere dalle mura del convento, fino a portarla alla totale pazzia.L'insofferenza per la vita monacale diventa sempre più insopportabile, fino a renderla invidiosa dei suoi e di tutti quelli che vivono nel mondo.Maria è terrorizzata al pensiero di essere rinchiusa nella cella delle pazze insieme a suor Agata che ci sta da molti anni, e quando effettivamente vi verrà rinchiusa, piano piano si consumerà morendo per la disperazione. La pazzia e il dolore, la porteranno alla morte.

Prima di morire Maria, ormai inerme nel suo letto di morte e senza neppure la forza di parlare, chiede con gli occhi a Suor Filomena, che consegnava tutte le lettere alla sua amica Marianna, di consegnare al suo Nino un crocifisso d'argento, le sue ultime lettere e tre petali di rosa; ma la suora, dopo aver superato la censura della madre Badessa con uno stratagemma, consegna tutto all'amica Marianna: Nino non saprà mai che Maria è morta consumata dall'amore per lui.

Il testo è al link: www.classicistranieri.com/liberliber/Verga,%20Giovanni/ storia _p. pdf

Sintesi I malavoglia di VergaCapitolo I: Ad Aci Trezza, un piccolo paesino presso Catania, in Sicilia, vive alla casa del nespolo una famiglia di pescatori, i Toscano, soprannominati da tutti Malavoglia 1. Capo famiglia è padron ‘Ntoni, ci sono poi il figlio Bastianazzo con la moglie Maruzza, soprannominata Longa, e i figli: ‘Ntoni, il maggiore, di vent’anni, Luca, Mena, soprannominata Sant’Agata perché passa tutto il suo tempo al telaio, Alessi e la piccola Lia. Il quadro familiare è quindi variegato: se pardon ‘Ntoni è il capofamiglia, Bastianazzo ne ha ereditato la forza e la dedizione al lavoro; ‘Ntoni è da subito un giovane buono ma sfaticato. I Malavoglia, dal punto di vista sociale, sono dei “possidenti” poiché, oltre alla casa del nespolo, sono i proprietari della “Provvidenza”, una barca da pesca.

L’ordine della famiglia viene turbato quando ‘Ntoni riceve la chiamata di leva 2: quest’evento priva la famiglia di una vitale forza-lavoro. Essendo in un periodo di ristrettezze e pensando di fare un affare, padron ‘Ntoni, con la mediazione di Piedipapera, acquista a credito dal ricco zio Crocifisso, l’usuraio del paese, un carico di lupini e manda Bastianazzo con la Provvidenza, a venderli a Riposto. Con lui parte pure Menico.

Capitolo II: Mentre la Provvidenza salpa, vengono presentati gli altri personaggi di Aci Trezza (il farmacista don Franco, il vicario don Gianmaria, il maestro Silvestro, la Zuppidda). Mentre aspetta notizie del carico di lupini, padron ‘Ntoni discute con altri uomini sui gradini della chiesa dell’impresa dei lupini: se l’affare andasse in porto, Mena avrebbe la dote per sposare Brasi Cipolla, anche se lei è innamorato del povero compare Alfio. Alla casa del nespolo, la Longa e le altre vicine discutono della Mena e fanno pettegolezzi su altri paesani.

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Capitolo III: Di notte si scatena la tempesta. Tutti al villaggio pensano alla barca con il carico di lupini e, pur criticando i Malavoglia nella bettola di suor Mariangela la Santuzza, poco dopo si ritirano in chiesa a pregare. Zio Crocifisso vuole che padron ‘Ntoni, davanti a testimoni, ammetta che i lupini li ha presi a credito. Nel frattempo tutti i Malavoglia - in particolare la Longa,moglie di Bastianazzo - si disperano. Il naufragio della Provvidenza, che preannuncia la rovina economica della famiglia Toscano, viene raccontato in maniera indiretta, attraverso le voci e le reazioni di questo “coro” popolare.

Capitolo IV: Sono passati tre giorni e ormai è chiaro anche ad Aci Trezza che la barca e il suo carico sono affondati e cheBastianazzo è morto affogato. Alla commemorazione per Bastianazzo tutti si interessano alla sventura dei Malavoglia (per compassione o per ineteresse) e ognuno ha qualcosa da dire sulla loro situazione. Infatti i Malavoglia con la morte di Bastianazzo, il carico di lupini da ripagare a zio Crocifisso e la Mena da maritare, per non parlare dell’infelice annata per colpa dell’assenza di pioggia, si trovano in grandi difficoltà economiche. Nel frattempo, in paese si intersecano le trame tra i personaggi per guadagnarsi un matrimonio vantaggioso.

Capitolo V: Alfio Mosca fa sapere a Mena che ha sentito che i Malavoglia, per far fronte ai problemi economici, vogliono farla sposare a Brasi Cipolla, figlio di padron Fortunato, che possiede barche, chiuse e vigne. Viene nel fratempo ritrovata sulla spiaggia la Provvidenza: la barca è distrutta ma si pensa di ripararla. ‘Ntoni riesce ad ottenere la lettera di congedo e a tornare a casa e il fratello Luca decide di partire per la leva al posto suo.

Capitolo VI: ‘Ntoni, tornato ad Aci Trezza per aiutare economicamente la famiglia, scopre che Sara di comare Tudda, la ragazza che egli amava, si è sposata con un vedovo. Tutti Malavoglia, nel frattempo, si mettono a lavorare per ripagare il debito che viene provvisoriamente rimandato e che lo zio Crocifisso, per non inimicarsi tutto il paese, finge di cedere il credito a Tino Piedipapera. Se i Malavoglia (che lavorano assiduamente per riparare le perdite del naufragio) non ripagheranno il debito, zio Crocifisso potrà prendersi la barca e la casa del nespolo; tuttavia, un avvocato di città cui i Malavoglia si sono rivolti assicura che non devono nulla all’usuraio, dato che non ci sono documenti ufficiali e che la casa costituisce la dote della Longa (quindi non può essere espropriata). Tuttavia, padron ‘Ntoni, per un superiore senso dell’onore, vuole rispettare la parola data. La Longa, convinta dall’ipocrita Don Silvestro (che odia ‘Ntoni per faccende sentimentali), alla fine rinuncia alla dote.

Capitolo VII: Luca Malavoglia parte per il servizio militare. Nel frattempo la Provvidenza è finalmente riparata da compare Zuppiddu e può di nuovo prendere il largo: i Malavoglia sperano quindi di far buona pesca e non dover vendere la casa. Pare anche che Mena possa sposarsi con il ricco Brasi Cipolla. ‘Ntoni, scontratosi violentemente con Piedipapera per il debito da estinguere, chiede di sposare Barbara Zuppidda, ma padron ‘Ntoni gli nega il permesso, sia a causa dei problemi economici sia perché prima deve sposarsi Mena. In paese invece si assiste a una ribellione contro la dirigenza (e in particolare contro Don Silvestro) per l’aumento il prezzo del sale della pece.

Capitolo VIII: Mena sa che manca poco al saldo del debito e poi dovrà sposare Brasi Cipolla, mentre lei ama Alfio Mosca, che, prima di partire per lavorare a Bicocca (dove c’è la malaria) le confessa i propri sentimenti. Gli altri pretendenti di Barbara Zuppidda (cioè il brigadiere don Michele e Vanni Pizzuto) decidono di unirsi contro ‘Ntoni, che è un’effettiva minaccia, infatti i due giovani sognano di poter scappare e sposarsi. I Malavoglia organizzano un incontro tra Mena e Brasi Cipolla, il ragazzo è molto interessato, mentre Mena è visibilmente triste.

Capitolo IX: Mena e Brasi Cipolla si stanno per sposare, ma durante la cerimonia della spartizione dei capelli della sposa giunge la notizia che una nave italiana è affondata durante la battaglia di Lissa. Nei giorni successivi il silenzio di Luca rende evidente che è successo qualcosa: i Malavoglia si recano alla capitaneria e scoprono che effettivamente Luca è morto nella battaglia di Lissa. Padron ‘Ntoni cerca di ritardare ancora il pagamento ma Tino Piedipapera rifiuta: i Malavoglia devono così cedere la casa del nespolo e ritirarsi a vivere in affitto nella casupola di un beccaio.

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Padron Cipolla rompe il fidanzamento di Mena col figlio e anche ‘Ntoni perde le simpatie di Barbara.

Capitolo X: Una tempesta coglie padron ‘Ntoni e Alessi mentre sono sulla Provvidenza. Naufragano contro gli scogli e padron ‘Ntoni batte la testa, ma dopo giorni di cure riesce a sopravvivere. I Malavoglia lavorano e si impegnano per ripagare il debito e riscattare la casa del nespolo: da un lato, alcuni affari fortunati fanno tornare la speranza, ma dall’altro ‘Ntoni, che passa sempre più tempo all’osteria, comincia ad estraniarsi dalla vita familiare e della “religione della casa” di suo padre.

Capitolo XI: ‘Ntoni desidera partire da Aci Trezza per cercare fortuna, ma le preghiere della Longa riescono a dissuaderlo. A Catania però scoppia un’epidemia di colera che presto arriva anche ad Aci Trezza; vecchia e stanca, la Longa si ammala e muore rapidamtne. Senza più nessuno che lo trattenga, ‘Ntoni decide di partire. La Lia nel frattempo è cresciuta ed è diventata bella.

Capitolo XII: Padron ‘Ntoni decide di vendere la Provvidenza allo zio Crocifisso; lui e il figlio Alessi lavoreranno sulle barche di padron Cipolla. I Malavoglia sono ancora ridotti allo stato di povertà ma fantasticano su come riscattare la casa del nespolo. ‘Ntoni torna, più povero di prima: passa il suo tempo all’osteria, è stanco di lavorare ed è invidioso di chi ha molti soldi e non deve fare nulla.

Capitolo XIII: ‘Ntoni passa il tempo a bere alla bettola della Santuzza, con cui ha una relazione. Padron ‘Ntoni riesce a farlo ragionare e per una settimana il ragazzo torna a lavorare, ma poi riprende a bere. Don Michele corteggia la Lia e spesso passa da casa dei Malavoglia, e qui un giorno informa Mena che il fratello si è lasciato trascinare in un affare di contrabbando. Inoltre ‘Ntoni finisce in mezzo in una brutta rissa all’osteria con il brigadiere Don Michele, che, essendo il precedente amante di Santuzza, le permetteva di svolgere traffici di contrabbando con Rocco Spatu e Cinghialenta. Zio Crocifisso e la Vespa si sposano, e la donna comincia a dilapidare il suo patrimonio

Capitolo XIV: Qualche notte dopo la rissa del capitolo precedente, ‘Ntoni, sopreso dalle guardie, pugnala al petto Don Michele, pur senza ucciderlo. Viene arrestato e padron ‘Ntoni spende ogni risparmio per assicurargli una difesa al processo. Al processo però l’avvocato difensore per minimizzare l’accaduto sostiene che ‘Ntoni non abbia pugnalato Don Michele per questioni di contrabbando ma per difendere l’onre di Lia, dopo una tresca con Don Michele. Padre ‘Ntoni sviene e si dispera, mentre ‘Ntoni viene condannato a cinque anni di carcere e Lia, non resistendo di fronte al disonore, scappa da Aci Trezza. Si darà alla prostituzione a Catania e non tornerà mai più.

Capitolo XV: Padron ‘Ntoni è ormai vecchio e malato, ma Mena e Alessi non vogliono portarlo in ospedale e farlo morire lontano da casa sua. Comprendendo la situazione padron ‘Ntoni chiede ad Alfio Mosca, che è ritornato in paese, di portarlo in ospedale in un momento in cui i due nipoti sono assenti. Alessi si sposa con la Nunziata, che amava sin da ragazzino e riscatta la casa del nespolo, pur a prezzo di durissimi sacrifici. Padron ‘Ntoni muore prima che possano portarlo a casa. Alfio Mosca chiede la mano di Mena ma la ragazza rifiuta perché ormai ha già ventisei anni e la storia di Lia ha fatto sprofondare la famiglia nel disonore. Così Mena si ritira a curare i figli di Alessi e Nunziata. Una notte si presenta a casa ‘Ntoni, da poco uscito dal carcere, Alessi gli propone di restare ma ‘Ntoni sceglie amaramente di andarsene prima del sorgere del sole.

Il testo è al link: www.letteraturaitaliana.net/ pdf /Volume_9/t350. pdf

Sintesi Mastro don Gesualdo

Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre in medias res, su un "colpo di scena" che ci

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introduce direttamente nel pieno degli eventi: un incendio sta devastando la casa dei Trao (nobili ma decaduti) di Vizzini, tra Catania e Ragusa, e tutto il paese si mobilita per i soccorsi. Nel caos generale, don Diego, esponente di spicco della famiglia, scopre nella camera della sorella Bianca don Ninì Rubiera, suo cugino. Tra i vari personaggi che accorrono alla casa, si distingue un ex muratore arricchitosi grazie alla propria intraprendenza e ad un’indefessa etica del lavoro: appunto, Mastro-don Gesualdo Motta, come viene definito dal "coro" popolare che gestisce la narrazione e il punto di vista sui fatti. La doppia apposizione rimanda dispregiativamente al vecchio lavoro manuale (quello del "mastro"), ma allude pure, con ipocrita deferenza, al nuovo status borghese, che il protagonsita s'è guadagnato con la redditizia costruzione di mulini. Gesualdo, che è intervenuto soprattutto per tutelare dal fuoco la propria proprietà, vicina a quella che sta bruciando, partecipa qualche giorno più tardi ad un ricevimento in casa Sganci, imparentati con i Trao; egli è destinato a sposare Bianca, nonostante questa si sia compromessa con don Ninì e benché gli altri nobili del paese irridano i suoi modi plebei e rozzi. Segue poi il racconto di una “giornata tipo” dell’infaticabile Gesualdo: dall’attenta cura dei suoi affari e delle sue terre ai difficili rapporti familiari con il fratello sfaticato, la sorella che mira solo alle sue ricchezze e il padre, fino ai pochi momenti di pace e serenità con Diodata, una donna che gli ha dato due figli ma che egli non vuole sposare ufficialmente per non compromettere la propria ascesa sociale.

Anche il matrimonio con Bianca segue una logica utilitaristica: Gesualdo, coinvolto nella difficile costruzione di un ponte, spera, all’inizio della seconda parte dell’opera, di trovare l’appoggio dei notabili del paese acquistando ad un’asta comunale le terre del barone Zacco, in cambio di un sussidio del comune. La situazione è però sconvolta dallo scoppio dei moti del 1820, che da Palermo si diffondono a macchia d’olio anche nell’entroterra; Gesualdo partecipa alla riunione dei carbonari solo per tutelare i suoi averi, ma deve rifugiarsi presso Diodata (sposatasi con Nanni l'Orbo, che ricatta Gesualdo sapendo dei suoi sentimenti per la moglie) mentre la moglie Bianca (che disprezza il “mastro”, e lo tratta in maniera distaccata, sia per l'amore che nutre per don Ninì sia per la lontananza sociale e culturale che li separa) dà alla luce Isabella, probabile frutto di una relazione adulterina con don Ninì, scialacquatore e donnaiolo di professione, indebitato con lo stesso Gesualdo.

La parte terza del romanzo si apre con l’ingresso di Isabella in collegio, dove però le coetanee altolocate la escludono in quanto figlia di un manovale; tornata a Vizzini per l’epidemia di colera del 1837, la giovane è a disagio per la mediocrità del mondo contadino. In più, il padre Gesualdo, che mira attraverso di lei a proseguire la propria arrampicata sociale, le impedisce di frequentare Corrado (povero ed orfano), e, dopo la sua fuga d’amore, le impone un matrimonio riparatore col duca di Leyra, che però pretende una cospicua dote dal genitore. La crisi interna al mondo familiare (Bianca è per giunta malata di tisi) si salda, in apertura del quarto capitolo, a quella nel mondo degli affari e della “roba”, sempre gestiti attraverso trame occulte dai potenti del paese, tra cui don Ninì, il barone Zacco, il canonico Lupi e donna Giuseppina Alòsi. L’inizio della fine per il combattivo “mastro” coincide allora con i moti rivoluzionari del 1848: la morte di Bianca, il rifiuto a partecipare all’insurrezione popolare (come invece fanno nobili e borghesi del paese, per salire sul carro del vincitore e goderne i benefici...), l’assalto ai suoi magazzini costringono il protagonista a rifugiarsi prima nei possedimenti in campagna e poi, ormai minato da un cancro incurabile, ad accettare l’ospitalità del duca di Leyra, in un signorile palazzo palermitano. È questa la resa dei conti di un altro “vinto” verghiano: incapace di ricostruire un qualsivoglia rapporto con la figlia Isabella e spettatore passivo del crollo del suo piccolo impero ad opera del genero, Gesualdo muore solo.

Il testo è al link: www.letteraturaitaliana.net/ pdf /Volume_9/t351. pdf

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Novelle Verga https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&sqi=2&ved=0CCAQFjAAahUKEwigrJ_N5PHIAhUFXRQKHYt_Dwk&url=http%3A%2F%2Fwww.liberliber.it%2Fmediateca%2Flibri%2Fv%2Fverga%2Ftutte_le_novelle%2Fpdf%2Ftutte__p.pdf&usg=AFQjCNFHm93ss9y

Capitolo 15 Collodi e De Amicis

Il testo di Pinocchio di Carlo Collodi è al link: Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio.pdf

Il libro Cuore di De Amicis è al link: www.letteraturaitaliana.net/ pdf /Volume_9/t241. pdf

Capitolo 16 CarducciJuvenilia di Carducci è al link: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0CCAQFjAAahUKEwiTmb686fHIAhUF8Q4KHRmrAuk&url=http%3A%2F%2Fwww.aiutamici.com%2Fftp%2FeBook%2Febook%2FGiosue%2520Carducci%2520-%2520Juvenilia.pdf&usg=AFQjCNG0Hudek7WcLkPFXGqyQ

Giambi ed epodi di Carducci è al link:www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t214.pdf

Rime nuove sono al link: www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t342.pdf Odi barbare sono al link: www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t216.pdf Rime e ritmi sono al link: www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t215.pdf

Capitolo 17 D'Annunzio

D'annunzioCanto Novo Intermezzo di Rime D'Annunzio - Versi D'Amore - Liber Liber

Primo Vere www.classicitaliani.it/ D'annunzio /poesia/ primo _ vere _1907.htm Il Piacere www.classicistranieri.com/liberliber/ D'Annunzio ,%20Gabriele/il_pia_p. pdf L'Innocente L'innocente - Liber Liber

Il trionfo della morte Il trionfo della morte - Liber Liber

Le Vergini delle Rocce Le vergini delle rocce - Liber Liber

La città morta Full text of "La cittá morta: tragedia di Gabriele d'Annunzio"

La Gioconda La Gioconda, by Gabriele d'Annunzio

Il Fuoco https://archive.org/stream/ilfuocod00dannuoft#page/n9/mode/2upLaudi Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi - Liber Liber

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Le Novelle Le novelle della Pescara - Liber Liber

La figlia di Jorio La figlia di Iorio - Liber Liber

Forse che si forse che no Forse che sì forse che no - Liber Liber

Notturno Gabriele D′Annunzio Notturno - Lem56

Pioggia del Pineto homes.di.unimi.it/~pasteris/progettoMM/avvisi/temi/ Pioggia _ pineto . pdf

Capitolo 18 Pascoli

Pascoli

Primi Poemetti Testo - Liber Liber

Myricae Myricae - Letteratura Italiana

Canti di Castelvecchio Pascoli - Canti di Castelvecchio - Letteratura Italiana

Poemi conviviali ]Testo - Liber Liber

Odi e inni Giovanni Pascoli - Odi e Inni - Biblioteca dei Classici Italiani

Fogazzaro Piccolo Mondo Antico ]Piccolo mondo antico - Letteratura Italiana

Capitolo 19 Svevo e Pirandello

Svevo Senilità Svevo - Senilità - Liber Liber

La coscienza di Zeno La coscienza di Zeno - Letteratura Italiana

Pirandello Il fu Mattia Pascal Il fu Mattia Pascal - Liber Liber

Maschere Nude Maschere Nude - Forgotten BooksNovelle per anno Novelle per un anno - Liber Liber

Uno nessuno centomila Uno, nessuno e centomila Pirandello - Liber Liber

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Capitolo 20 Gramsci Ungaretti Montale e Quasimodo

Gramsci Lettere dal Carcere Lettere dal carcere - Liber Liber

Ungaretti

L'allegria mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Ungaretti 3. pdf Sentimento del tempo mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Ungaretti 2. pd Il dolore mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Ungaretti . pdf

Saba Il canzoniere mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Saba . pdf

Montale

Ossi di Seppia https://it.scribd.com/doc/8474082/Eugenio-Montale-Ossi-Di-Seppia-ITALe occasioni mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Montale . pdf

Quasimodo Oboe sommerso mcozzapoesie.altervista.org/joomla/ pdf / Quasimodo . pdf