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Lavoro di maturità Macchie solari e polarimetria Lisa Imperatori 2013/2014 Fisica Professor Stefano Sposetti

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Immagine di copertina tratta da:

http://www.notiziedalcosmo.storiepoesie.it/1-6-il-sole/macchie-solari-e-brillamenti-il-sole-parte-6,

12 settembre 2013

Prefazione

Fin da sempre la fisica è stata una mia grande passione; probabilmente non sapevo neanche bene

cosa fosse esattamente questa particolare scienza, quando da bambina ho cominciato a

interessarmene, ma, forse per il mio carattere particolarmente curioso o per la mia voglia di

sperimentare sempre qualcosa di nuovo, ho trovato spesso le risposte che cercavo nelle leggi che

questa scienza ha scoperto e continua a scoprire.

Alla base della fisica c’è però l’astronomia: dagli antichi greci al giorno d’oggi il cielo continua a

regalarci fantastiche scoperte pur non rivelandosi mai appieno e conservando l’alone di mistero

che avvolge tutto ciò che l’essere umano non riesce a capire. Di anno in anno astronomi di tutto il

mondo scoprono una nuova piccola stella, un piccolo punto luminoso in più, che però non ci

permette neanche minimamente di poter affermare di conoscere davvero tutto il cielo. È un passo

avanti, ma ci vorranno milioni e milioni di anni prima che l’uomo possa forse affermare di essere

davvero padrone dell’universo, riuscendo a superare l’attualmente insormontabile barriera della

velocità della luce, e se questo succederà sarà grazie a tutti quegli uomini e quelle donne che da

centinaia di anni osservano giornalmente il cielo, di giorno o di notte, per capire quello che esso

può comunicare.

Il fascino che l’astronomia trasmette ha coinvolto anche me. Visto che secondo me il lavoro di

maturità deve riguardare un tema di interesse personale ho deciso di dedicare il mio a questa

scienza antica analizzando in particolar modo qualcosa che ci sta vicino e ci concerne più di ogni

altro corpo celeste: il Sole.

La suddivisione del mio lavoro di maturità mi permette di esplorare al meglio un particolare

aspetto dell’attività solare: le macchie solari. Esso comprende infatti, in primis, una parte legata

alla storia e all’aspetto descrizione di questo fenomeno per poi; per poi arrivare alle misurazioni e

alle osservazioni vere e proprie. Tutto ciò è possibile grazie alla tecnica della luce polarizzata,

tecnica approfondita in seguito, che permette di individuare l’intensità e la direzione dei forti

campi magnetici che caratterizzano tali macchie.

Lisa Imperatori

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Sommario

1 Il Sole ............................................................................................................................................. 3

1.1 Introduzione .......................................................................................................................... 3

1.2 Struttura e composizione ...................................................................................................... 3

2 Le macchie solari........................................................................................................................... 6

2.1 Introduzione .......................................................................................................................... 6

2.2 Campi magnetici e proprietà fisiche ..................................................................................... 8

2.3 Periodicità e correlazioni ambientali..................................................................................... 8

2.3.1 Ciclo undecennale e cicli più lunghi ............................................................................... 8

2.3.2 Cicli e polarità ................................................................................................................. 9

2.3.3 Fattori determinanti la ciclicità .................................................................................... 10

2.3.4 Correlazioni climatiche ................................................................................................. 11

3 Storia delle macchie solari .......................................................................................................... 15

3.1 Theophrastus ....................................................................................................................... 15

3.2 Popolazioni asiatiche ........................................................................................................... 15

3.3 Il primo disegno ................................................................................................................... 15

3.4 Il ‘600: epoca di primati contesi .......................................................................................... 17

3.5 Dal 1800 agli studi più moderni .......................................................................................... 21

4 Tecniche di polarizzazione e misura dei campi magnetici .......................................................... 22

4.1 Premessa ............................................................................................................................. 22

4.2 Polarimetria ......................................................................................................................... 22

4.2.1 I parametri di Stokes .................................................................................................... 23

4.2.2 Rotazione degli assi ...................................................................................................... 24

4.3 L’effetto Zeeman ................................................................................................................. 25

4.4 Unione tra polarizzazione ed effetto Zeeman .................................................................... 28

5 Esperienza personale .................................................................................................................. 31

5.1 Obiettivo .............................................................................................................................. 31

5.2 Ipotesi iniziale ...................................................................................................................... 31

5.3 Osservazioni all’IRSOL ......................................................................................................... 31

Lisa Imperatori

2

5.3.1 Breve storia dell’IRSOL ................................................................................................. 32

5.3.2 La strumentazione ....................................................................................................... 33

5.3.3 Raccolta personale dei dati .......................................................................................... 36

5.4 Analisi dei dati ..................................................................................................................... 37

5.4.1 Spettro.......................................................................................................................... 37

5.4.2 Parametri di Stokes ...................................................................................................... 38

5.5 Risultati ottenuti .................................................................................................................. 50

5.5.1 Discussione ................................................................................................................... 50

5.6 Conclusione pratica ............................................................................................................. 51

6 Conclusione ................................................................................................................................. 52

7 Ringraziamenti ............................................................................................................................ 53

8 Indice delle figure ....................................................................................................................... 54

9 Bibliografia .................................................................................................................................. 56

Lisa Imperatori

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1 Il Sole

1.1 Introduzione

In mezzo a tutti sta il Sole. Chi infatti, in tale bellissimo tempio, metterebbe codesta lampada

in un luogo diverso o migliore di quello, donde possa tutto insieme illuminare? Perciò non a torto

alcuni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri reggitore. Trismegisto lo chiama Dio

visibile, Elettra, nella tragedia di Sofocle, colui che tutto vede. Così, per certo, come assiso su un

trono regale, il Sole governa la famiglia degli astri che gli fa da corona.

Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, 1543

Le parole di Niccolò Copernico mostrano quanto il Sole sia da sempre al centro delle nostre vite,

delle nostre azioni, testimone silenzioso della nostra storia. È la nostra stella.

Essendo il Sole la stella con maggiore influenza sulla Terra e soprattutto l’unica stella che l’uomo

può studiare nei minimi dettagli, fin dall’antichità ha subito particolari attenzioni da parte di molti

astronomi. Le loro attente osservazioni hanno permesso di stabilire un modello solare standard

che è stato in seguito possibile applicare a tutte le altre stelle più lontane, piccole o grandi che

fossero.

Risulta ovviamente impossibile osservare l’interno del Sole a causa degli insormontabili problemi

pratici che si verrebbero a creare, dunque per realizzare questo modello della struttura completa

del Sole, è stato necessario associare all’osservazione della superficie solare e dell’irradiazione

anche delle teoretiche equazioni della fisica e della chimica di base, come ad esempio quelle

concernenti gli equilibri, l’energia generata e il trasporto di quest’ultima. Chiaramente l’uomo non

ha ancora la certezza che questo sia un buon modello per illustrare e descrivere determinate

problematiche, infatti è stato più volte messo in discussione a causa di nuove scoperte che

rischiavano di scombussolare l’intera fisica stellare come ad esempio la problematica che

affliggeva i fisici alcuni anni fa concernente i neutrini. Fino ad oggi si è però sempre riusciti a far

coincidere le nuove scoperte con gli studi che stanno alla base di questo modello standard

portandoci quindi a ritenere che quest’ultimo risulti complessivamente valido.

1.2 Struttura e composizione

Il Sole è un’enorme palla gassosa composta da diversi strati concentrici con diversi spessori e caratteristiche proprie.

Lisa Imperatori

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Ha una composizione chimica che vede essenzialmente la presenza di idrogeno e di elio. Il primo caratterizza circa il 92,1% del suo volume, mentre l’elio è presente decisamente in minor percentuale e rappresenta circa il 7,8% del volume, lasciando la bassa percentuale rimanente a altri elementi più pesanti come ossigeno, carbonio, ferro ( cfr. Figura 1 )

La temperatura solare varia dai circa 15 milioni di Kelvin del nucleo fino ai circa 5780 Kelvin della

superficie.

Ma è interessante osservare zona per zona le varie caratteristiche e attività particolari all’interno

del Sole.

Lo strato più interno, detto nucleo (cfr. Figura 2: modello struttura solare, punto 5), è quello con

una maggiore temperatura e anche una maggior densità data dalla forte compressione dei gas in

esso presenti. È solamente in questa zona più interna, grazie all’elevata temperatura, che si

svolgono le reazioni nucleari che caratterizzano l’attività solare. Il nucleo del Sole funziona

similmente ad un’enorme bomba ad idrogeno. Al suo interno atomi di idrogeno vengono

trasformati in elio atttraverso una fusione termonucleare. Un’enorme quantità di energia viene

quindi liberata attraverso raggi X e raggi ϒ che si fanno strada verso la superficie. Queste

radiazioni, passando da zone più calde verso zone sempre più fredde, variano proporzionalmente

alla loro lungezza d’onda, arrivando ad uscire dal Sole anche sottoforma di luce visibile.

Lo strato adiacente al nucleo si estende per 0.5 raggi solari e viene chiamato zona radiativa (cfr.

Figura 2: modello struttura solare, punto 3). Questa zona è ancora caratterizzata da un’alta

temperatura che permette il trasferimento dell’energia assorbita dal nucleo agli strati superiori

esclusivamente per irraggiamento. L’energia non necessita dunque di un mezzo per propagarsi ma

lo fa esclusivamente con delle onde elettromagnetiche. Da notare però che il trasferimento

avviene molto lentamento visto che gli ioni di idrogeno e elio emettono fotoni che viaggiano per

un certo tratto per poi essere riassorbiti e riemessi da altri ioni. Si calcola circa che la luce solare

che vediamo attualmente sia stata generata 170 mila anni fa, ossia prima ancora che sulla Terra

apparisse l’uomo di Neanderthal.

Esternamente abbiamo poi la zona di transizione, che si presuppone giochi un ruolo fondamentale

nella creazione del potente campo magnetico solare di forma toroidale, e la zona convettiva (cfr.

Figura 1: composizione della fotosfera solare

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Figura 2: modello struttura solare, punto 4), la quale è ormai distante dal nucleo e risulta essere

troppo fredda per permettere il passaggio delle radiazioni. Gli ioni a bassa temperatura, infatti,

assorbono troppe radiazioni senza riemetterle facendo sì che in questa zona l’energia si blocchi. L’

energia viene quindi trasmessa grazie a dei moti convettivi che fanno risalire la materia più calda

verso l’alto in enormi colonne di decine di migliaia di gradi. Tali colonne cedono calore alla

fotosfera per poi raffreddarsi e ridiscendere verso il basso per riacquistare energia dalla zona

radiativa formando delle celle di convezione . Nella zona convettiva questi cicli tengono in

continuo movimento la materia in essa presente.

Lo strato esterno della stella viene chiamato fotosfera (cfr. Figura 2: modello struttura solare,

punto 3), ed è l’unico strato visibile, quello dal quale scaturisce l’energia che si propaga nello

spazio. Sulla sua superficie si formano diversi fenomeni, quali: le macchie solari, oggetto del mio

studio, (cfr. Figura 2: modello struttura solare, punto 11), i brillamenti e altri interessanti

fenomeni.

L’atmosfera solare è poi caratterizzata,

internamente dalla cromosfera (cfr. Figura 2: modello struttura solare, punto 1) e più

esteriormente dalla corona (cfr. Figura 2: modello struttura solare, punto 6). La prima

rappresenta il sottile strato di gas rarefatto caratterizzato dal colore rossastro emesso

dagli atomi di idrogeno a bassa temperatura. Qui vengono generati fenomeni come le

spicule (cfr. Figura 2: modello struttura solare, punto 2) e le protuberanze a arco (cfr.

Figura 2: modello struttura solare, punto 12).

Mentre la seconda si estende nello spazio per decine di milioni di chilometri.

1. Cromosfera 2. Spicule 3. Zona radiativa 4. Zona convettiva 5. Nucleo 6. Corona 7. Fotosfera 8. Vento solare 9. Buco coronale 10. Alta temperatura coronale 11. Macchia solare 12. Protuberanza a arco

Figura 2: modello struttura solare

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2 Le macchie solari

2.1 Introduzione

Le macchie solari, variabili nel tempo, si presentano come delle regioni più scure della fotosfera

(approfondimento nel capitolo 1.2) e sono il fenomeno più visibile del magnetismo solare, basti

pensare che possono essere scorte anche a occhio nudo a causa della loro colorazione nero-grigia.

Solitamente le macchie hanno una forma di tipo circolare, o quasi, anche se con bordi a tratti

molto irregolari. L’ordine di grandezza di queste macchie può variare di molto ma di solito il loro

diametro è di circa 30'000 km, nonostante se ne possano individuare di molto più piccole fino a

7000 km, nel limite di risoluzione del telescopio, e anche di più grandi fino a oltre 75'000 km1. Da

notare che una macchia solare per essere vista dalla Terra in ottime condizioni visive a occhio

nudo deve essere al minimo di 40'000 km di diametro, grandezza già consistente se paragonata al

diametro del nostro pianeta (ca. 12'745 km).

La loro vita media è anch’essa molto variabile e può dipendere da molti fattori come ad esempio la

grandezza della macchia o la sua tendenza a crescere. In generale le si possono però osservare per

decine di giorni o mesi nel loro lento movimento sulla superficie del Sole.

Le macchie solari oltre che da un forte campo magnetico si distinguono dal resto della fotosfera

perché sono zone depressive della fotosfera. Come si può vedere anche dalla Figura 4 la zona di

penombra che si trova più vicina al centro del Sole e quella che si trova invece verso il suo lembo

hanno grandezza diversa, visto l’effetto Wilson2si può quindi dedurre che ci sia una depressione

della macchia in rapporto al resto della fotosfera. Fenomeno di depressione dato dal fatto che le

macchie solari al loro interno presentano una densità minore rispetto al resto della fotosfera.

Le macchie solari sono caratterizzate da diverse parti che le compongono. Si distingue una zona

chiamata ombra (umbra), che rappresenta la parte più scura della macchia e può ripetersi più

volte, come ad esempio nell’immagine, dove si vedono diverse zone d’ombra. C’è poi quella che

viene definita come penombra (penumbra), che visivamente caratterizza la parte più chiara della

macchia e che contorna l’ombra. A volte si possono inoltre scorgere dei punti brillanti all’interno

dell’ombra e dei ponti di luce tra due penombre.

1 Una macchia solare enorme, con il diametro di undici volte quello della terra, è stata osservata recentemente

nell’estate del 2013 nel corso di quello che si pensa sia stato il picco dell’attuale ciclo.

2 L’effetto Wilson riguardante le macchie solari è stato scoperto da Alexander Wilson nel 1776 quando osservando una

macchia al centro del disco solare si accorse che le zone di penombra erano simmetriche mentre con la rotazione e il conseguente spostamento della macchia verso il bordo del disco una parte della penombra si assottigliava. Per un effetto di prospettiva Wilson ne dedusse quindi che la macchia fosse una depressione della fotosfera.

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La causa della sua colorazione nera è da ricercare nella temperatura registrata all’interno della

macchia. Si ha, infatti, nell’ombra una temperatura dell’ordine di circa 4000 Kelvin, che risulta in

netto contrasto con il resto della fotosfera che ha una temperatura di circa 5800 Kelvin. Sarebbe

comunque errato affermare che le macchie solari siano zone fredde, sono semplicemente zone più

fredde rispetto al resto della fotosfera, cosa che ci permette di vedere la macchia di un colore

diverso.

La penombra però è caratterizzata da una diversa e più complessa conformazione. Come si vede

nella figura essa è composta da filamenti penombrali diretti grossomodo in direzione del centro

della macchia in maniera radiale che rendono così, ad un adeguato ingrandimento, un’idea della

penombra granulata (cfr.Figura 4). Le piccole strutture che compongono i filamenti vengono infatti

chiamate grani e si pensa siano dal punto di vista morfologico una specie di via di mezzo tra i punti

brillanti dell’ombra e la normale struttura della fotosfera.

Le macchie solari si presentano solitamente in gruppi di diverse grandezze con polarità opposta

(cfr. capitolo 2.3.2) e con una morfologia variabile di giorno in giorno. Al loro interno possono

inoltre presentare più di centinaia di punti d’ombra distinti.

Figura 3: macchie solari nella quali si distinguono le varie zone che le caratterizzano

Figura 4: ingrandimento di una macchia solare

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2.2 Campi magnetici e proprietà fisiche

Come già detto in precedenza, le macchie solari sono caratterizzate da una particolare attività

magnetica molto forte. In questi punti avviene una sorta di immagazzinamento dell’energia

elettromagnetica che viene poi rilasciata durante un fenomeno definito brillamento3. La quantità

di energia rilasciata durante questi brillamenti equivale a quella di milioni di bombe a idrogeno che

esplodono contemporaneamente e rilasciano radiazioni in quasi tutto lo spettro elettromagnetico.

La presenza di forti campi magnetici sembrerebbe essere proprio la causa della temperatura più

bassa presentata dalle macchie. È proprio il campo magnetico, infatti, che inibisce la convezione

negli strati più bassi all’interno del Sole, impedendo così un efficacie trasporto di energia fino alla

fotosfera come avviene nelle altre parti della superficie. La teoria è dunque che il plasma solare, in

presenza di macchie e quindi di forti campi magnetici, si comporta come un isolante e inibisce il

trasporto convettivo di energia rendendo la zona più fredda.

La formazione delle macchie solari è ancora argomento di discussione ma sembrerebbe che la

teoria migliore rimandi ai tubi di flusso magnetico presenti nella zona convettiva che vengono

arrotolati su loro stessi dalla rotazione differenziale del Sole. Quando lo stress di questi tubi arriva

al massimo essi forano la superficie solare rimbalzandone fuori. In queste zone dove la fotosfera

viene forata la convezione viene inibita riducendo nettamente l’apporto di energia e di

conseguenza la temperatura.

2.3 Periodicità e correlazioni ambientali

2.3.1 Ciclo undecennale e cicli più lunghi

Nell’ottocento le macchie solari furono al centro di numerose scoperte e forse la più importante è

legata alla scoperta del loro ciclo undecennale. Scoperta riconducibile al tedesco Heinrich Schwabe

(cfr.capitolo3.5). Con grande costanza nelle osservazioni si è infatti scoperto che l’attività solare è

periodica, con momenti caratterizzati da una grande attività - molte macchie, brillamenti, eruzioni

coronali di massa - e altri momenti in cui l’attività è debolissima e a tratti anche assente. Questa

periodicità, nota anche come ciclo di Schwabe, dal nome del suo scopritore, è osservabile molto

bene nella Figura 5 dove si vede come nel corso di undici anni si arrivi ad un picco circa a metà del

periodo, quando si può arrivare anche ad avere lo 0,5% dell’emisfero solare visibile coperto, per

poi avere una lenta ridiscesa e così via nel corso di decenni. Osservabile molto bene dall’immagine

è anche la differenza di intensità dei vari cicli, ad esempio molto forte il picco di attività nel 1958

mentre agli inizi del ‘900 si nota la presenza di picchi molto più bassi e contenuti. Queste

3 Un brillamento è definito come una variazione improvvisa del campo magnetico della Stella, in questo caso il Sole

che causa un improvvisa e rapida variazione di luminosità, da qui il nome brillamento.

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differenze di intensità sono spiegabili dalla presenza di altri cicli più lunghi rispetto a quello

undecennale, come ad esempio il ciclo Gleissberg4 o quello di Suess.

I cicli più lunghi sono difficili da osservare in diagrammi come quelli che illustrano il ciclo di

Schwabe perché questi ultimi si riferiscono a tempi più recenti e non risalgono che a qualche

centinaio di anni fa. Per osservare dunque questi lunghi cicli si sfruttano degli indicatori indiretti

come, ad esempio, il carbonio-14 presente negli anelli di accrescimento delle piante o il berilio-10

ritrovato nei carotaggi effettuati nei ghiacci dei poli terrestri. Questi due elementi sono presenti in

diverse quantità a dipendenza dell’intensità dell’attività solare. Interessanti analisi che hanno

portato alla verifica di questi lunghi cicli sono anche quelle riguardanti il livello del Nilo. Esso infatti

viene monitorato fin dai tempi dei faraoni e permette di risalire molto indietro nel tempo con

l’analisi, fornendo dati riconducibili all’attività solare poiché la presenza di poche macchie

caratterizza infatti una zona di bassa pressione che porta precipitazioni sulla zona del lago Vittoria

e quindi fa crescere il livello del Nilo.

2.3.2 Cicli e polarità

Considerando il fenomeno delle macchie nella sua intera complessità, dovremmo parlare di cicli di

ventidue anni anziché undecennali, e ciò se si integra la polarità magnetica dei gruppi di macchie

solari che seguono le leggi di Hale5. La prima di queste leggi riguarda gruppi di macchie bipolari e

decreta la polarità opposta tra la macchia che precede e quella che segue; ordine poi invertito se si

considerano sistemi di macchie bipolari situati nell’emisfero solare opposto (cfr. Figura 6).

La seconda legge di Hale riguarda ancora più da vicino il ciclo undecennale doppio, infatti enuncia

che questo ordine tra macchie che si susseguono viene invertito ogni ciclo undecennale. Se ad

esempio nel ciclo n-esimo la macchia che precedeva aveva polarità positiva nell’emisfero nord e

negativa in quello sud, nel ciclo (n+1)-esimo sarà esattamente il contrario e avrà dunque polarità

4 Ciclo osservato dal Wolf che ne caratterizzò una durata di 83 anni poi ripreso dal tedesco Wolfang Gleissberg nel

1938 che pubblicò una serie di articoli su una periodicità dell’attività solare della durata compresa tra gli 80 e 90 anni, da allora è stata chiamata ciclo di Gleissberg. Dovremmo per correttezza parlare di ciclo di Wolf-Gleissberg

5 Le leggi di Hale riguardanti nuove scoperte legate al magnetismo solare enunciate agli inizi del 1900

Figura 5: ciclo solare osservabile nel corso degli anni con la misurazione della superficie solare coperta da macchie.

Lisa Imperatori

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positiva nell’emisfero sud e negativa in quello nord. Si conclude dunque che per avere un ciclo

completo anche per quanto riguarda la polarità delle macchie, bisognerebbe considerare ventidue

anni e non semplicemente undici.

Figura 6: Prima legge di Hale rappresentante la polarità inversa nei gruppi di macchie e nei diversi emisferi. La lettera p indica la macchia che precede mentre la lettera f quella che segue

2.3.3 Fattori determinanti la ciclicità

A lungo si è cercata la causa di questi cicli. Una risposta potrebbe essere celata dal meccanismo

della dinamo solare che propone una configurazione del campo magnetico poloidale6e debole,

durante il minimo di attività, e forte e toroidale7, durante i massimi del ciclo. Sembrerebbe che il

ciclo principale - quello di undici o ventidue anni, a dipendenza della considerazione o meno della

polarità - debba quindi la sua esistenza alla combinazione di due fenomeni: il meccanismo

radiativo e convettivo di trasporto di energia dall’interno del Sole e la rotazione differenziale

superficiale.

Come già visto il campo magnetico solare è estremamente complesso e si ritiene venga generato

in profondità dal moto del plasma carico. Come risulta da molti studi la rotazione superficiale del

Sole è differenziale, infatti, ai poli è più lenta mentre risulta molto più veloce all’equatore.

Rotazione differenziale che sembrerebbe però non esistere in profondità secondo il modello

solare standard. Questo cambiamento di rotazione, la cui origine è attualmente ignota, che

avviene a circa 0,7 raggi solari, genera secondo alcune teorie il ciclo periodico. Da ribadire quindi

che la rotazione differenziale attorciglia il campo magnetico inizialmente diretto lungo l’asse di

rotazione del Sole. Esso, emergendo localmente in superficie, inibisce la risalita per convezione di

materia, e quindi di energia, e induce la formazione di macchie.

Ammettiamo ad esempio che il campo magnetico sia uscente nell’emisfero nord e entrante in

quello sud, allora, a causa della rotazione differenziata le linee di campo nel plasma solare

cominciano ad avvolgersi e il campo si trasforma con il tempo da poloidale a toroidale. In questo

processo i tubi di flusso si assottigliano per l’allungamento con conseguente amplificazione del

6 Con orientamento allineato ai meridiani solari

7 Con orientamento allineato ai paralleli solari

Lisa Imperatori

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campo magnetico8. Quando l’effetto è massimo il tubo di flusso risale in superficie per il fenomeno

di galleggiamento magnetico9 ed emerge creando una zona bipolare dove si sviluppano le due

macchie. Essendo l’effetto legato anche alla velocità, risulta che il massimo avvolgimento lo si ha

alla latitudine di 35°, latitudine alla quale appaiono grosso modo le macchie all’inizio del ciclo.

Da considerare inoltre i moti meridiani del plasma che in superficie trasportano la materia e il

campo magnetico equatoriale verso i poli e in profondità nella direzione opposta. La periodicità

dei moti meridiani è di circa venti anni; periodo che sembrerebbe quindi spiegare molto bene le

leggi di Hale10.

Tutte queste rimangono per il momento delle supposizioni siccome, nonostante le molte ricerche

effettuate ed attualmente in corso, su queste tematiche non si è ancora giunti a delle vere e

proprio certezze, non riuscendo soprattutto a trovare delle spiegazioni alle diversità riscontrate

nei diversi cicli.

2.3.4 Correlazioni climatiche

I cambiamenti climatici sono recentemente diventati oggetto di ricerca e grande discussione

perché ci concernono da molto vicino e, visioni pessimistiche, preannunciano il peggio per il nostro

pianeta se la società non comincerà a reagire con una diminuzione dello sfruttamento terrestre.

Oltre all’effetto serra, la tendenza però è quella di cercare altre spiegazioni al riscaldamento

globale che concerne il nostro pianeta. Per questo, sempre più spesso, si sente parlare del Sole e

della sua attività; attività che crea dei cambiamenti climatici sulla terra. A questo riguardo ci sono

ancora moltissime discussioni sulla reale possibilità che la piccola differenza di irraggiamento

causata dal ciclo delle macchie solari possa creare dei cambiamenti registrabili del clima terrestre.

Molti scienziati sostengono che ciò sia possibile ma la comunità scientifica sembrerebbe essere

divisa in due con entrambe le parti a corto di reali e concrete prove a dimostrazione di una o

dell’altra tesi. Attualmente, però, sempre più scienziati sembrerebbero sostenere che esista una

reale correlazione tra la temperatura terrestre e l’attività solare.

2.3.4.1 L’esperimento di Herschel

Già verso la fine del 1700 alcuni astronomi cominciarono a interessarsi alla correlazione tra

macchie solari e clima sulla terra. L’inglese William Herschel, famoso per i suoi fantastici telescopi

artigianali, ritenne interessante ripetere studi che a loro tempo avevano già effettuato gli Egizi sul

livello del Nilo (cfr 2.3.1). Herschel considerò un lasso di tempo, dal 1650 al 1713, nel quale

8 Secondo il teorema di Alfvén per il quale in un fluido conduttore con resistività quasi nulla le linee di campo

magnetico rimangono congelate in un determinato volume del fluido.

9 Un tubo senza isolamento termico in un fluido come il plasma solare che subisce una riduzione della pressione

interna implica necessariamente una riduzione di densità e quindi si crea una spinta di Archimede che agisce sul tubo stesso, contrastando l’aumento di densità che la diminuzione di temperatura provocherebbe, e che lo porta a “galleggiare”.

10 Cfr. capitolo 2.3.2

Lisa Imperatori

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individuò, grazie ad un’attenta analisi di registri e diari di altri astronomi che monitoravano le

macchie solari, cinque periodi con attività solare molto scarsa.

Si poneva dunque il problema di verificare se in questi cinque periodi particolari ci fossero

effettivamente stati dei particolari cambiamenti climatici sulla terra, un risultato positivo avrebbe

decretato ufficialmente la correlazione tra attività solare e clima. Herschel si trovò però davanti a

un grosso problema; infatti, ai suoi tempi, non esistevano registri di temperature, di piogge o di

elementi simili che gli avrebbero permesso un facile studio. Il brillante scienziato individuò dunque

un fenomeno con un’importanza tale da essere registrato e che nel contempo fosse strettamente

legato al clima: le variazioni del prezzo del grano. Secondo le sue teorie infatti in annate con clima

favorevole il raccolto del grano sarebbe stato buono e secondo le leggi della domanda e

dell’offerta il prezzo sarebbe dovuto risultare basso, mentre in annate con tempo meteorologico

difficile il prezzo sarebbe notevolmente salito. Herschel analizzò dunque i registri del prezzo del

grano confrontandoli con le registrazioni delle macchie solari ottenendo un notevole risultato,

anche se da lui totalmente inatteso.

Pensava infatti che le macchie solari, essendo corpi neri, diminuissero l’emissione di luce e di

calore causando così un peggioramento del clima e un conseguente aumento del prezzo del grano.

Ma i risultati ottenuti dicevano esattamente l’opposto. In concomitanza con i minimi dell’attività

solare Herschel rilevò prezzi più alti rispetto alle annate con attività solare intensa. La sua prima

spiegazione fu dunque che le macchie solari non impedivano il rilascio dei raggi di calore da parte

del Sole ma erano anzi il risultato di un’abbondante fuoriuscita di energia con conseguente

riscaldamento del pianeta. Gran parte della comunità scientifica del tempo non fu però convinta di

questo ragionamento e non appoggiò mai le idee di Herschel che venne per anni ritenuto un

ciarlatano.

2.3.4.2 Il minimo di Maunder

Un’altra evidente dimostrazione del rapporto tra macchie e clima è quella che viene chiamata

Minimo di Maunder, dal suo scopritore Edward Maunder che, alla fine dell’Ottocento, studiando

vecchi registri, scoprì quest’anomalia.

Per circa settant’anni infatti, tra il 1645 e il 1715, si registrò la quasi totale assenza di attività

solare, andando contro ogni previsione di cicli undecennali. Questo periodo è interessantissimo

perché corrisponde sulla Terra a un periodo chiamato piccola era glaciale. Periodo nel quale gli

inverni furono molto più rigidi con temperature di molti gradi inferiori rispetto alla media e con

relativa glaciazione ad esempio del Tamigi e della laguna Veneta (soggetti rappresentati in diverse

testimonianze artistiche come quella della Figura 7)

Lisa Imperatori

13

Sembrerebbe quindi che già come aveva provato Herschel una grande quantità di macchie sulla

superficie solare provochi sulla terra un clima mite mentre, nella situazione contraria, come nel

minimo di Maunder, il clima sulla terra sia molto rigido.

2.3.4.3 Possibili cause di correlazione

Recentemente si è studiata la relazione tra i picchi di attività solare e lo schema delle precipitazioni

e della temperatura superficiale delle acque del Pacifico per capire come le macchie solari possano

causare effetti significativi sul clima terrestre. Uno degli studi più recenti effettuato da un gruppo

di ricercatori del National Center for Atmosferic Research sostiene che il clima terrestre subisca

questi forti cambiamenti legati all’attività solare a causa della presenza di due meccanismi che

uniti amplificano il piccolo effetto solare.

Il primo sarebbe un processo “up-down”11, che consisterebbe in una catena di reazioni che parte

dal rilascio dell’energia solare che va a influire sull’ozono stratosferico causando poi un aumento

delle precipitazioni tropicali e quindi una determinata situazione climatica. Mentre il secondo

processo denominato “down-up”12 legherebbe le variazioni di energia solare all’aumento

dell’evaporazione superficiale, delle precipitazioni tropicali, all’intensità dei monsoni e alla

temperatura superficiale delle acque.

Gli scienziati in questione sostengono di aver trovato finalmente la chiave di lettura di questi

fenomeni climatici che si troverebbe nell’unione dei due modelli solitamente, tenuti separati nei

modelli climatologici che si concentrano o su uno o sull’altro fenomeno non riuscendo così a

spiegare la forte relazione tra attività solare e clima. Alcuni modelli infatti tendono a tralasciare la

parte legata alla stratosfera mentre altri, concentrandosi su di essa, tralasciano l’interazione tra

superficie del mare e atmosfera. Il nuovo modello fornirebbe un’analisi dettagliata di tutti i

11

Dall’alto al basso

12 Dal basso all’alto

Figura 7: quadro rappresentante la Laguna di Venezia gelata nell’inverno del 1709

Lisa Imperatori

14

particolari fenomeni e permetterebbe di riprodurre gli andamenti climatici relativi alle

precipitazioni e alle temperature delle acque superficiali del Pacifico in ottima relazione con i cicli

solari undecennali. Importante capire quindi che non sono solamente gli effetti diretti delle

radiazioni solari ma anche, ad esempio, la formazione delle nuvole che da essi viene influenzata a

far cambiare il clima sulla nostra terra.

Questo è però solo uno dei molti esempi che scienziati di tutto il mondo stanno fornendo per

meglio capire l’influenza del Sole sul clima terrestre. Che con una forte attività solare si presenti un

surriscaldamento del pianeta sembrerebbe essere appurato ma non sempre si trova questa

relazione e il Sole sembra essere spesso imprevedibile e inspiegabile.

Lisa Imperatori

15

3 Storia delle macchie solari

3.1 Theophrastus

Già nell’epoca antecedente la nascita di Cristo l’uomo nutriva un considerevole interesse per il

Sole; considerato non a caso una divinità da moltissime popolazioni antiche. Il primo riferimento

esplicito a delle macchie solari risale al 364 a.C. ed è da attribuire a Theophrastus (370-290 a.C.),

nientemeno che il pupillo di Aristotele.

3.2 Popolazioni asiatiche

Il Sole, scandendo le giornate con un moto facilmente osservabile, era già oggetto di studio prima

dell’anno 0 anche presso popolazioni cinesi e coreane, dove l’astronomia, e in particolare lo studio

e le previsioni delle eclissi solari, era sostenuta e promossa dalla corte. Si dice che sotto il regno di

Hoang-Ti sia stato addirittura istituito un tribunale matematico atto a promuovere le scienze

astronomiche che imponeva delle leggi secondo le quali fenomeni celesti non predetti o predetti

erroneamente avrebbero comportato la pena di morte per l’astronomo che aveva o meno

eseguito detta previsione. I loro studi si basavano in particolar modo sull’osservazione solare che,

applicata a calcoli matematici, aveva portato alla previsione di eclissi solari su un arco di tempo di

centinaia di anni. L’astronomo cinese Gan De osservò per la prima volta una macchia solare nel

364 a.C. iscrivendo la sua osservazione nella mappa stellare che stava stilando. I cinesi sono anche

i primi osservatori regolari delle macchie solari, tra il 28 a.C. e il 1600 d.C.sono presenti più di 100

testimonianze scritte riportanti l’osservazione di macchie solari; mentre testimonianze orali,

riportano che astronomi in tutta la Cina e la Corea erano soliti osservare il Sole. Probabilmente

grazie alla polvere sollevata dai deserti asiatici, che offuscando il cielo impediva in parte alla luce

solare di raggiungere la terra, riuscirono a scorgere le macchie solari più grandi a occhio nudo

senza riportare danni alla vista e senza l’aiuto di un telescopio che ovviamente a quei tempi non

esisteva ancora. Nonostante ci sia la certezza che queste osservazioni siano realmente state fatte, i

Cinesi non hanno mai testimoniato la loro scoperta dell’attività solare con dei disegni portando

dunque i loro successori ad attribuirsene il merito. Nel periodo medioevale si hanno inoltre altri

avvistamenti di macchie solari, attribuite però tutte al transito di un corpo celeste davanti al Sole.

Einardo, ad esempio, scrive nel suo Vita di Carlo Magno intorno all’anno 807 di alcune macchie

solari, a suo parere causate dal transito di Mercurio davanti alla stella. Come Einardo anche il

filosofo al-Kindǐ nell’840 registra la comparsa di macchie solari causate questa volta dal transito di

Venere. Negli anni a seguire altri riporteranno nelle loro cronache l’avvistamento di macchie solari

ma passeranno centinaia di anni prima che si effettuino dei veri e propri studi al riguardo.

3.3 Il primo disegno

Nel ‘600 una contesa europea coinvolgerà quattro noti astronomi per l’attribuzione della scoperta

delle macchie solari e della loro documentazione scientifica, ma solo agli inizi del secondo

millennio è stato scoperto che, per realmente trovare la prima osservazione con relativo disegno

del fenomeno solare, bisognava tornare indietro nel tempo di circa 500 anni. Già nel 1128, infatti,

Lisa Imperatori

16

John of Worcester disegnò le macchie solari. John, monaco inglese vissuto tra la fine dell’ XI e

l’inizio del XII secolo, divenne relativamente conosciuto grazie alla stesura del Chronicon ex

chronicis considerato dagli storici un valido documento sulla storia anglosassone dal 446 al 1140.

Ed è proprio in queste cronache che troviamo anche, oltre a diverse annotazioni di avvenimenti

astronomici particolari come aurore, passaggi di comete, eclissi lunari e solari, il primo disegno di

macchie solari accompagnato dal commento dello stesso John da Worcester:

Nel terzo anno di Lothar, imperatore dei Romani, nel 28esimo anno di re Enrico di

Inghilterra nell’anno della 470esima olimpiade, nel secondo anno della settima indizione,

venticinquesima luna il sesto sabato delle idi di dicembre [8 dicembre] sono apparse dal mattino

fino alla sera, due sfere nere sul Sole. La prima era sulla parte superiore e larga, la seconda sulla

parte inferiore e piccola e ognuna era direttamente opposta all’altra come mostrato in questa

figura.

Essendo una scoperta postuma, la comunità astronomica attuale si è particolarmente impegnata a

trovare documenti certificanti l’effettiva presenza sul Sole di due grandi macchie l’8 dicembre

1128. La prova della veridicità dell’osservazione di John da Worcester sembrerebbe essere arrivata

ancora una volta dai grandi osservatori celesti asiatici. Un astronomo coreano registrò, infatti,

nelle cronache di Songdo, cittadina vicino a Seul, nella notte del 13 dicembre 1128 un vapore rosso

che saliva e riempiva il cielo da nord a sud, spiegazione facilmente riconducibile al fenomeno

dell’aurora boreale. Questo documento coreano è affiancabile a quello inglese visto che è stato

attestato come un periodo di cinque giorni rappresenti il periodo ideale tra la comparsa di un

Figura 8: Chronicon ex chronicus, disegno di due macchie solari

Lisa Imperatori

17

grande gruppo di macchie solari vicino al centro del Sole e la visione di relative aurore boreali nei

cieli a più basse latitudini. Lasso di tempo perfettamente rispettato dall’osservazione del monaco e

da quella dell’astronomo coreano. Altri documenti che portano ad avvalorare la tesi che quello del

monaco inglese fosse realmente il primo disegno di una macchia solare sono stati ritrovati in Cina.

Registri statali riportano tracce di una grossa macchia nera sul Sole in data 22 marzo 1129, che

l’astronomo cinese ha potuto osservare fino al 14 aprile, data in cui la macchia non rientrava più

nel suo campo visivo. Con dei facili calcoli si può ricondurre questa macchia osservata in Cina a una

di quelle che Worcester osservò dall’altra parte del pianeta centoquattro giorni prima. Tutti questi

studi sono stati fatti solo recentemente quindi John da Worcester morì senza sapere di essere il

primo disegnatore di una macchia solare.

3.4 Il ‘600: epoca di primati contesi

Il ‘600 vide una svolta nelle osservazioni astronomiche con l’invenzione dello strumento più

importante per guardare il cielo: il telescopio. Esso si dice sia stato creato da Galileo Galilei nel

1609 benché in Olanda ci siano già primitivi prototipi risalenti a qualche anno prima, dove però l’

importanza della scoperta non fu colta appieno. Grazie alla diffusione del telescopio le

osservazioni celesti diventarono sempre più precise e facili da eseguire e i dettagli osservati

portarono alla scoperta di moltissime particolarità che, a occhio nudo, per l’osservatore

medioevale erano fisicamente impossibili da scorgere. Astronomi di tutta Europa osservarono con

frequenza la fotosfera e quattro grandissime personalità arrivarono a contendersi ripetutamente il

primato di primo osservatore e scopritore delle macchie solari, inconsapevoli che anni prima erano

stati preceduti da John da Worcester. Thomas Harriot, matematico, astronomo e cartografo (1560-

1621), l’8 dicembre 1610 descriveva nel suo diario, grazie anche a disegni dettagliati, l’attività di

diverse macchie solari (Figura.9). Harriot condivise però i suoi disegni e scritti unicamente con un

ristretto gruppo di corrispondenti, restando quindi sconosciuto ai più.

Figura 9: diario di Thomas Harriot

Lisa Imperatori

18

Negli stessi anni, più precisamente nel mese di marzo del 1611, Johannes Goldsimd chiamato

anche Fabricius, tedesco di nascita e studioso in Olanda, figlio d’arte di un pastore luterano della

cittadina di Osteel nel nordovest della Germania, grande osservatore e scopritore anche della

prima stella variabile, scoprì le macchie solari e pubblicò le sue osservazioni in un saggio intitolato

“De Maculis in Sole observatis, et apparente earum cum Sole conversione Narratio”(Figura 10) nel

quale descriveva le sue osservazioni e quelle effettuate dal padre Tycho Brahe, senza però dare dei

precisi riferimenti di tempo.

Fabricius aveva messo le mani su alcuni telescopi progettati in Olanda e li aveva poi portati con sé

al suo ritorno in Germania. Grazie ad essi, in compagnia del padre, poté osservare il moto delle

macchie solari. Il saggio fu pubblicato in Germania ma l’altro grande astronomo tedesco, Christoph

Scheiner, fece in modo di censurarlo per evitare la concorrenza da parte dei due Fabricius che non

fecero quindi parte, nonostante l’importanza delle loro osservazioni, dei più grandi astronomi

mondiali ma vennero riconosciuti come tali solo molti anni dopo.

Johannes morì a soli 29 anni in circostanze poco chiare mentre il padre venne assassinato l’ anno

dopo da un parrocchiano scontento facendo sì che nessuno dei due conoscesse il meritevole

successo. Anche Christoph Scheiner, matematico tedesco profondamente immerso nella dottrina

gesuita, cominciò a osservare le macchie nel marzo del 1611. Nel gennaio del 1612 inviò “Tres

epistolae de maculis solari bus (Figura 11) al suo amico Marc Welser che vennero poi pubblicate

l’anno seguente con lo pseudonimo di Apelles latens post tabulam con riferimento al pittore greco

Apelle che si nascondeva dietro i suoi quadri per ascoltare le critiche del pubblico, Scheiner pensò

di non esprimersi in prima persona onde evitare un eventuale disagio ai Gesuiti nel caso in cui le

sue scoperte fossero state errate.

Figura 10:Copertina del saggio di Fabricius

Lisa Imperatori

19

Egli, convinto, come i gesuiti, della perfezione del Sole e dei cieli, non si capacitava della possibile

presenza di macchie sulla superficie solare. Decise così di attribuirle all’ombra di satelliti solari,

non considerandole dunque imperfezioni della superficie solare bensì semplici punti causati dal

passaggio di un corpo davanti al Sole.

L’ultimo protagonista della controversia fu dunque Galileo che si dice abbia osservato le macchie

solari già nell’estate del 1610. Si narra che mentre osservava il Sole che tramontava su Parma

notò, grazie alla presenza di nubi e foschia, dei punti neri sulla superficie solare, che in seguito

osservò con il suo telescopio. Galileo però documentò le sue osservazioni e scoperte nel suo

“Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari”(Figura 12) solamente nell’aprile del 1612

rendendo quindi difficile rivendicare il suo primato.

Welser, il corrispondente di Scheiner, chiese a Galileo di controbattere la teoria del tedesco e

Galileo, in una seria di lettere (Figura 13) espresse la sua idea che i punti neri fossero proprio sulla

superficie solare perché più volte erano stati visti nascere e scomparire dal disco solare. Non

poteva essere dunque possibile che fossero corpi orbitanti attorno al Sole. Inoltre il loro moto, era

esattamente come avrebbe dovuto essere quello di un oggetto fisso su una superficie sferica

ruotante. Con la logica conclusione che la perfezione del Sole fosse pura fantasia dei conservatori

e che le macchie fossero nubi oscure che scivolavano nell’atmosfera solare. Il conflitto tra i due

Figura 11: osservazioni di macchie solari di Scheiner,1611

Figura 12: copertina del saggio di Galileo Galilei

Lisa Imperatori

20

continuò a lungo e, a causa delle continue persecuzioni nei confronti di Galileo da parte della

chiesa cattolica, vide vincitore Scheiner.

Quest’ultimo nel 1630 pubblicò Rosa Ursina (Figura 14), per anni il trattato per eccellenza sulle

macchie solari comprendente un trentennio di dati e osservazioni di macchie solari (Errore.

'origine riferimento non è stata trovata.4, Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).

Trattato dal valore scientifico considerevole, vista la censura degli scritti di Galileo e visto che negli

anni seguenti (1645-1710), a causa del minimo di Maunder, fu impossibile osservare le macchie

solari13.

13

Il minimo di Maunder rappresenta un lungo lasso di tempo tra il XVII e il XVIII secolo caratterizzato da una totale assenza di attività solare. Per anni non furono visibili macchie solari con considerevoli conseguenze sul clima terrestre che vide un abbassamento di parecchi gradi della temperatura media causando molti problemi ai contemporanei.

Figura 13: seconda lettera di Galileo a Welser in risposta alle teorie espresse dal Scheiner.

Figura 14: copertina del Rosa Ursina Figura 15:: immagine tratta dal Rosa Ursina

Figura 16: immagine tratta dal Rosa Ursina

Lisa Imperatori

21

3.5 Dal 1800 agli studi più moderni

Fin dall’inizio del 1800 rinasce l’interesse per il Sole e per la prima volta il tedesco Heinrich Schwabe e lo svizzero Rudolf Wolf legano le macchie solari all’attività solare e scoprono, registrando con continuità la comparsa e la scomparsa delle macchie, la periodicità e il ciclo dell’attività solare undecennale, con periodi di minima e di massima delle macchie solari. I due ideeranno un accurato sistema per monitorare e controllare le macchie chiamato numero di Wolf. In questi anni si comincia anche a scoprire la giusta natura delle macchie solari e a legare la quantità di energia emessa dai campi magnetici che le generano. Si effettuano inoltre, grazie alla diffusione dell’astrofisica, moderni studi delle macchie solari. Il primo grande osservatore dei campi magnetici è l’americano George Ellery Hale (1868-1938) che costruì il primo spettroeliografo e l’osservatorio Mount Wilson e fece, pure, installare un telescopio con uno specchio dal diametro di 5,1 metri a Palomar, in California, che, grazie alla precisione delle immagini, diede una svolta nelle osservazioni astrofisiche (Figura 17). Hale fu inoltre il primo misurare l’intensità del campo magnetico in una macchia solare. Attualmente l’astrofisica continua a fare passi da gigante, grazie a nuove tecnologie, con nuovi telescopi e anche con moderni satelliti e stazioni spaziali14 inviati nello spazio. Lo studio della macchie solari e dell’attività del Sole risulta molto più completo e dettagliato, si possono facilmente creare dei magnetogrammi, delle mappe infrarosse o osservare da vicino i dettagli della superficie solare così da studiare dettagliatamente l’attività solare: da dove viene, come varia e cosa provoca.

14

Laboratori spaziali come ad esempio Skylab attivo negli anni ’70 e satelliti come SOHO, attualmente ancora in attività, mandano sulla terra una quantità di immagini che dal nostro pianeta non ci è permesso scattare permettendo studi più approfonditi da altri punti di vista.

Figura 17:osservatorio di Mount Wilson, ottico del 17 maggio 1951

Figura 18 Figura 19

Lisa Imperatori

22

4 Tecniche di polarizzazione e misura dei campi magnetici

4.1 Premessa

Tutto il lavoro di ricerca teorica si è dimostrato molto complesso e le mie conoscenze della fisica

sono purtroppo limitate per permettermi di esprimere tutti i concetti nel modo migliore spiegando

ogni singolo fenomeno fisico che li caratterizza. Detto ciò le spiegazioni che possono sembrare a

volte troppo poco dettagliate mi permettono di fornire una visione generale dell’argomento senza

generare troppa confusione.

4.2 Polarimetria

La polarimetria consiste essenzialmente nella misurazione di quattro valori per lo studio delle

diverse componenti di un dato fascio luminoso analizzato.

La rottura di una simmetria, causata ad esempio dalla presenza di un campo magnetico, in una

determinata regione, genera l’emissione di una radiazione polarizzata.

Una radiazione che si propaga nel vuoto, nel caso più preciso che considereremo in seguito

dell’atmosfera solare, può essere considerata come la sovrapposizione statistica di un insieme di

onde elettromagnetiche monocromatiche piane. Ciascuna di tali onde si può descrivere per mezzo

dei vettori campo elettrico .15 Tali vettori sono inoltre diretti nel piano perpendicolare alla

direzione di propagazione, e possono dunque descrivere l’onda senza l’ausilio di altri parametri. Il

vettore campo elettrico può essere scomposto nelle sue due componenti

lungo gli assi

cartesiani , la cui espressione, sempre considerando onde monocromatiche totalmente

polarizzate, è

dove e sono costanti reali.

Se si assegnano dei determinati valori a queste quattro costanti è possibile ottenere un’onda con

caratteristiche di polarizzazione particolari. Ad esempio, assumendo si può

ottenere un’onda polarizzata linearmente il cui piano di oscillazione dipende dalle altre due

costanti, mentre, ammettendo

e le altre due costanti uguali, si ottiene

un’onda polarizzata circolarmente con l’estremo del vettore campo elettrico che ruota16

descrivendo una circonferenza. Nel caso più generale, assumendo diverso dai precedenti

valori, il vettore campo elettrico ruotando descrive un’ellisse (cfr.Figura 20).

15 Definizione tratta da Degl'Innocenti, E. L. (2008). Fisica solare. Milano: Springer.

16 Con senso di rotazione determinato dal segno di

, in senso orario nel caso con segno positivo e in senso antiorario

nel caso con segno negativo.

Lisa Imperatori

23

I quattro parametri che descrivono la suddetta ellisse possono essere messi in relazione nel

seguente modo

4.2.1 I parametri di Stokes

I parametri di Stokes sono stati introdotti da George Gabriel Stokes nel 1852. La sua idea era

quella di trovare dei valori che descrivessero lo stato di polarizzazione di una radiazione

magnetica.

I quattro parametri introdotti sopra vengono definiti come parametri di Stokes, e sono

definiti dalle seguenti equazioni

dove k è una costante dimensionale, che permette il passaggio dall’energia per unità di volume

all’energia per unità di superficie, visto che viene misurato un flusso, usata per i parametri di

Stokes.

Il parametro rappresenta l’intensità totale, che può essere espressa attraverso la somma

dell’intensità misurata con la polarizzazione circolare nei due sensi oppure con la somma

dell’intensità misurata con la polarizzazione lineare, orizzontale e verticale, o a 45° e -45°. Il

parametro rappresenta la misura dell’intensità misurata tramite la polarizzazione circolare

sottraendo quella destra a quella sinistra mentre gli altri due parametri rappresentano le misure

Figura 20 :ellisse descritta dal vettore campo elettrico.

Lisa Imperatori

24

ottenute grazie alla polarizzazione lineare, sottraendo la polarizzazione lineare orizzontale a quella

verticale e quella a. 45° a quella a -45°

17

La polarimetria descrive dunque un fascio luminoso attraverso questi quattro parametri, viene

utilizzata in molti casi per effettuare studi di diverso genere e trova ad esempio spazio nello studio

dei campi magnetici solari se applicata all’effetto Zeeman ( cfr. 4.3 L’effetto Zeeman)

Un’importante proprietà dei parametri di Stokes è inoltre la disuguaglianza che esiste tra di essi.

Ne deduciamo che l’intensità deve risultare sempre maggiore della polarizzazione totale. In alcuni

casi, che però non ci concernono poiché riguardanti onde monocromatiche, la relazione tra

intensità e polarizzazione totale è di uguaglianza e l’onda è polarizzata al 100 %, fatto che

semplifica di molto lo studio di questi fasci di luce.

4.2.2 Rotazione degli assi

Siccome per eseguire diverse analisi risulta più facile effettuare un cambio di base del sistema

cartesiano, è utile sottolineare che i parametri di Stokes dipendono dalla scelta iniziale degli assi

. Quando si vogliono cambiare gli assi di polarizzazione, ruotandoli di un determinato angolo

18, i nuovi parametri di Stokes sono in relazione con quelli ottenuti con la scelta degli assi

precedenti e sono legati dalle seguenti espressioni

17

Frecce che rappresentano la polarizzazione circolare in entrambi i sensi e la polarizzazione lineare con orientamento opposto.

18 Angolo χ nella Figura 20

Lisa Imperatori

25

in relazione alla matrice di rotazione

Si nota subito come gli unici parametri che variano sono e mentre l’intensità e rimangono

invariati.

Questa realazione che vige tra i parametri vecchi e quelli nuovi può risultare molto utile per

semplificare le operazioni di analisi scegliendo un adeguato sistema di riferimento degli assi di

polarizzazione che permetta di annullare o rendere quasi nullo uno dei due parametri variabili.

4.3 L’effetto Zeeman

Scoperto nel 1896 dal fisico olandese Pieter Zeeman, l’effetto Zeeman svolge un ruolo

importantissimo nello studio del magnetismo solare. Il fenomeno consiste nella suddivisione delle

righe dello spettro in gruppi più o meno numerosi, detti multipletti. Zeeman notò l’effetto in

laboratorio. Osservando lo spettro di alcuni elementi sottoposti a campi magnetici con forze

dell’ordine di migliaia di Gauss, notò una separazione delle righe in varie componenti, ma, viste le

scarse conoscenze nell’ambito della fisica quantistica di quei tempi, riuscì ad attribuire una

spiegazione del fenomeno solamente parziale. In seguito fu, il già citato, George Ellery Hale che

utilizzò la scoperta di Zeeman applicandola all’esterno del laboratorio per effettuare le prime

misurazioni dell’intensità di un campo magnetico in una macchia solare.

Più recentemente lo studio del fenomeno ha portato ad una sua descrizione più dettagliata. Tale

suddivisione in componenti aventi una particolare caratteristica di polarizzazione si osserva infatti

quando gli atomi che emettono la radiazione si trovano in presenza di un forte campo

magnetico19. Oltre all’effetto Zeeman semplice esiste anche un effetto Zeeman cosiddetto

anomalo, sul quale però non voglio soffermarmi in quanto nel mio lavoro non ne ho tenuto conto

poiché troppo complesso .

L’effetto Zeeman è spiegato dal fatto che nella maggior parte degli atomi esistono diverse

configurazioni elettroniche che però possiedono la stessa energia e che quindi corrispondono a

una singola riga spettrale. Con la presenza di un forte campo magnetico esterno c’è un’interazione

diversa con gli elettroni, in funzione dei diversi numeri quantici, con una conseguente variazione

19 Definizione tratta da P.Caldirola, G. F. (1996). Nuovo corso di fisica (Vol. 3). Milano: Ghisetti e

Corvi Editori.

Lisa Imperatori

26

minima delle energie. Chiaramente anche una leggera variazione porta all’ottenimento di linee

spettrali diverse, benché molto ravvicinate.

L’effetto Zeeman può essere suddiviso in effetto Zeeman longitudinale e effetto Zeeman

trasversale. Il primo lo si può osservare quando il raggio luminoso che si prende in considerazione

è parallelo al campo magnetico esterno. In questo caso si ottiene un doppietto con una distanza

tra le due righe, denominate σ- e σ+, pari a , e le due componenti risultano polarizzate

circolarmente (oscillatori circolari).

σ- σ+

Mentre il secondo caso lo si ottiene quando il raggio osservato è perpendicolare al campo

magnetico esterno. Si può in questo caso notare che la riga spettrale si è separata in tre

componenti, denominate σ-, σ+ e π, che si trovano a frequenze , e . Tali

componenti risultano polarizzate linearmente (oscillatori lineari), in direzione perpendicolare o

parallela al campo magnetico.

σ- π σ+

Con si intende la frequenza della linea in assenza di campo magnetico e con quella che viene

chiamata frequenza di Larmor, frequenza data dall’equazione

Figura 21: effetto Zeeman su una riga spettrale

Lisa Imperatori

27

,

Essendo l’intensità del campo magnetico che genera l’effetto Zeeman risulta subito evidente

che considerando di un determinata linea si può risalire al campo magnetico. Tale operazione è

svolta normalmente dai fisici per studiare i campi magnetici delle stelle e, in questo caso, del Sole.

Dalla seguente immagine si può meglio capire la differenza tra oscillatori circolari e lineari20:

Osservando l’onda parallelamente al campo l’effetto Zeeman produrrà due oscillatori circolari,

mentre con l’effetto Zeeman trasversale i tre oscillatori saranno lineari

Una prima semplice possibilità per identificare l’intensità di un campo magnetico molto forte si

basa sulla correlazione che si crea tra la distanza fra due sottolivelli Zeeman e il campo magnetico

ivi presente. Resta comunque un metodo molto approssimativo perché risulta molto difficile

misurare la distanza tra i sottolivelli.

La separazione tipica, espressa in lunghezze d’onda, fra due componenti Zeeman, quindi tra le

righe spettrali che vengono a crearsi in presenza di un campo magnetico, è data da

20

Per meglio approfondire l’argomento bisognerebbe aprire un paragrafo collegato allo spin degli elettroni.

Figura 22: modello rappresentante oscillatori circolari e lineari

Lisa Imperatori

28

e graficamente può essere vista nel seguente modo:

σ- π σ+

con pari alla lunghezza d’onda dell’elemento osservato, la frequenza di Larmor e c la velocità

della luce..

Chiaramente l’equazione precedente deve essere associata all’equazione della frequenza di

Larmor per permetterci di sfruttarla a nostro vantaggio allo scopo di conoscere l’intensità del

campo magnetico. Unendo le due equazioni si ottiene dunque

da cui si ricava poi

21

4.4 Unione tra polarizzazione ed effetto Zeeman

Essendo spesso i campi magnetici presenti sulla superficie solare, o più in generale su una

superficie varia, purtroppo troppo deboli per generare un effetto Zeeman direttamente visibile,

ormai da anni i fisici si sono affidati alla tecnica della polarimetria, , unendo così le caratteristiche

spettrali a quelle polarimetriche della radiazione solare analizzata, in modo da ottenere uno studio

più approfondito e con sicuramente molti più sbocchi in svariati campi. Senza l’utilizzo della

polarimetria in ogni caso si potrebbe trovare solo un risultato molto approssimato dell’intensità

del campo magnetico mentre non si conoscerebbe niente della sua direzione, che, invece, può

essere determinata grazie all’utilizzo della polarimetria. Se, quindi, la spettrometria tradizionale è

incentrata sull’intensità in funzione della lunghezza d’onda la spettropolarimetria analizza non

solo l’intensità ma quattro vettori22 in funzione della lunghezza d’onda .

La presenza di un campo magnetico genera quindi dei valori dei parametri di Stokes diversi da

quelli in assenza di campo magnetico. Il campo magnetico viene suddiviso e analizzato

attraverso le sue distinte componenti parallela e verticale.

In assenza di campo magnetico il grafico di risulterebbe infatti:

21

Con in Å, velocità della luce e risultante in Gauss

22 parametri di Stokes (cfr. capitolo 4.2.1 I parametri di Stokes)

Lisa Imperatori

29

Mentre con un campo magnetico , si osserva un effetto Zeeman longitudinale che porta

all’ottenimento di un simile grafico con le due linee σ- e σ+ che rappresentano la polarizzazione

circolare nei due sensi e che caratterizzano il parametro se sottratti e se sommati23:

Con un campo magnetico , per un effetto Zeeman trasversale, si otterrebbe un grafico simile

con la linea centrale che rappresenta π e le due più basse che rappresentano σ- e σ+ descrivibili

con la polarizzazione lineare che caratterizza i parametri :

Questi disegni spiegano molto bene la funzionalità dei parametri di Stokes e il loro rapporto con

l’effetto Zeeman.

23

Vedi capitolo 4.2.1I parametri di Stokes.

Figura 23: grafico di I(λ)

Figura 24: grafico di I(λ)

Figura 25: grafico di I(λ)

Lisa Imperatori

30

Per misurare dunque l’intensità di un campo magnetico partendo dalla misurazione dei parametri

di Stokes si possono creare dei modelli teorici che approssimano i dati sperimentali.

Il primo modello considera l’effetto Zeeman longitudinale e si basa sull’effetto rappresentato dalla

Figura 24. Visto che solitamente un polarizzatore standard misura i parametri di Stokes sempre in

relazione a consideriamo direttamente

per non dover applicare altre moltiplicazioni, con un

risultato seguente:

La seguente uguaglianza è quindi da rapportare alla divisione in due righe, effetto Zeeman

longitudinale, polarizzate circolarmente nei due sensi inversi. L’equazione è dunque solamente

una copia dell’uguaglianza espressa a pagina 24

e indica a destra un valore teorico che moltiplicato per , poiché l’effetto Zeeman

longitudinale rappresenta solamente il vettore ossia la componente parallela del vettore ,

dovrebbe corrispondere al valore misurato.

Mentre il secondo modello, per l’effetto Zeeman trasversale, è una simulazione di

, ammettendo

che la componente in

sia stata eliminata precedentemente con un cambio di base (cfr. capitolo

4.2.2 Rotazione degli assi). Sarebbe meglio dunque parlare di una simulazione di

, espressa nel

seguente modo in riferimento alla Figura 25:

Come la prima uguaglianza anch’essa presenta delle analogie con quanto già visto in precedenza.

Essa è pero da associare all’effetto Zeeman trasversale e alla formazione di tre sottolivelli

L’equazione è dunque solamente una copia dell’uguaglianza espressa a pagina 24

e indica a destra un valore teorico che moltiplicato per , visto che l’effetto Zeeman trasversale

rappresenta solamente il vettore cioè la componente perpendicolare del vettore , dovrebbe

corrispondere al valore misurato.

In entrambi i casi dovremmo quindi ricavare lo stesso valore di e .

Questo metodo, unito poi alle equazioni di pagina 28, permette di misurare l’intensità di un campo

magnetico nonostante l’effetto Zeeman non sia direttamente visibile nella scomposizione delle

righe spettrali perché generato da un campo magnetico troppo debole, e ci permette inoltre di

individuarne la direzione.

Lisa Imperatori

31

5 Esperienza personale

5.1 Obiettivo

L’obiettivo che mi sono posta all’inizio della parte pratica del mio lavoro è stato quello di riuscire a

individuare una macchia solare attraverso l’identificazione della presenza di un campo magnetico

particolarmente forte in una determinata zona della superficie solare.

In secondo luogo mi sono riproposta di risalire all’intensità e all’angolo di direzione che

caratterizzano il campo magnetico nella macchia solare da me individuata.

Chiaramente si tratta di lavori sperimentali e si può già sottolineare che i risultati che mi sono

prefissata di ottenere non saranno certamente da considerarsi perfettamente esatti, anche

perché, per ottenere un risultato molto più preciso, avrei dovuto utilizzare delle tecniche, delle

apparecchiature e dei calcoli che, con le nozioni di base acquisite durante la mia scolarizzazione e

le mie ricerche personali, non sarei stata in grado di capire. Il risultato che ho quindi cercato di

ottenere è da ritenersi indicativo ma mi permette di fare delle considerazioni sui campi magnetici

nelle macchie solari e mi ha permesso di imparare ad utilizzare un metodo alla mia portata per

analizzare fenomeni molto complessi dal punto di vista fisico.

5.2 Ipotesi iniziale

Considerato un punto proprio al centro dell’ombra della macchia ci si aspetterebbe un’ intensità

del campo magnetico nell’ ordine dei kG con un valore compreso tra 2 e 3 kG che quindi generi

un effetto Zeeman molto marcato e facilmente visibile. Per quanto riguarda l’angolo θ di direzione

del campo magnetico non si può formulare nessuna ipotesi in merito.

5.3 Osservazioni all’IRSOL

Il 25 giugno 2013 la parte pratica del mio lavoro di maturità ha cominciato a concretizzarsi. Ho

infatti trascorso una piacevole giornata all’IRSOL in compagnia del professor Renzo Ramelli e di

Michele Bianda che, nel limite del possibile, hanno cercato di spiegarmi le prime rudimentali

conoscenze di polarizzazione e fisica solare.

Lisa Imperatori

32

5.3.1 Breve storia dell’IRSOL

L’IRSOL (Figura 26) Istituto di ricerche solari Locarno fu voluto dall’università di Göttingen, Germania, nel 1960 e costruito a Orselina proprio per l’ottima posizione osservativa con grande vista sul cielo e un clima particolarmente favorevole alle osservazioni solari.

Fino al 1984 sarà proprio l’ateneo tedesco a gestire l’osservatorio ma a partire da quell’anno, appunto, esso trasferirà tutta l’attività osservativa e gran parte della strumentazione a Tenerife, Isole Canarie. Grazie ad un’intesa con la Deutsche Forschungsgemeinschaft, però, l’osservatorio non finisce in disuso poiché viene acquistato dall’associazione privata AIRSOL (Associazione Istituto Ricerche Solari Locarno) che lo cederà poi a sua volta alla fondazione privata FIRSOL (Fondazione Istituto Ricerche Solari Locarno) nel 1987.

Negli anni successivi la strumentazione viene ricostruita e aggiornata con un miglioramento notevole dell’automazione grazie in particolar modo alla collaborazione tecnica che si instaura con la Fachhochschule di Wiesbaden.

Dal 1993 finalmente si possono riprendere le attività di ricerca grazie alla messa in funzione della nuova strumentazione. Negli anni successivi al 1996 si vengono a creare importanti collaborazioni con altri istituti, in particolare con il politecnico federale di Zurigo (ETH). Collaborazione che porta nel 1998 all’istallazione all’IRSOL del polarimetro ZIMPOL, strumento all’avanguardia sviluppato appunto dall’ETH, tuttora utilizzato nell’osservatorio ticinese per lavori di dottorato, ricerche in svariati campi di fisica solare e per altro ancora. Indispensabile la collaborazione con Joan Stenflo, direttore dell’istituto astronomico dell’ETH e uno dei più grandi ricercatori in ambito della fisica solare, che ha sostenuto il progetto IRSOL.24

24

Per maggiori approfondimenti consultare il sito web www.irsol.ch

Figura 26: IRSOL,

Lisa Imperatori

33

5.3.2 La strumentazione

Tutta la strumentazione di cui ho potuto usufruire per le mie misurazioni si trova all’IRSOL. Non

entrerò troppo nei dettagli, vista la sua complessa natura, ma è evidentemente necessario citare

tali strumenti come parte integrante del mio lavoro.

Si può distinguere un telescopio Gregory-Coudé con uno specchio primario dal diametro di 45 cm

e una lunghezza totale focale di 25 m.

Telescopio collegato a sua volta ad uno spettrografo Czerny-Turner con lunghezza focale 10m,

reticolo 180mm x 360 mm, 316 linee al mm e angolo di incisione 63°.

Vi è in seguito un sistema di filtri Fabry-Perot a banda passante regolabile su qualsiasi lungezza

d’onda fra 395 e 660 nm. Il sistema di ottica adattativa è formata da Tip-tilt e specchio

deformabile con 37 attuatori. Una parte molto importante della strumentazione è inoltre legata

all’elettronica, ossia: il polarimetro ZIMPOL con un relativamente semplice sistema a scambio di

fasce, il polarimetro ZIMPOL3 che rappresenta forse il migliore e più preciso polarimetro del

mondo, il CCD ( Charge Coupled Device),Wright Instruments, CCD-DTA-Pisa, FHSW-sistema di

registrazione di eruzioni solari e il Sistema di guida automatica (PIG) (cfr. Figura 28).

In particolare per le mie misure dei parametri di Stokes ho utilizzato il tubo principale, l’ottica di

calibrazione, un analizzatore di polarizzazione, il monocromatore e, in sostituzione del CCD,

ZIMPOL 325

Un fascio di luce che entra nel telescopio viene deviato da una serie di specchi, in seguito due

fessure ne selezzionano una parte e l’immagine viene vista su uno schermo TV, attualmente

sostituito da un CCD, continua poi il percorso attraverso un’ ulteriore serie di specchi giungendo

25

Confronta capitolo 5.3.2.1 Il polarizzatore

Figura 27: telescopio dell’IRSOL

Lisa Imperatori

34

alla zona dello spettrografo dove un reticolo ci permette di visualizzare l’immagine dello spettro

proveniente dalla zona prescelta. L’immagine arriva infine al polarizzatore ZIMPOL 3

Figura 28: cammino di un fascio di luce

Lisa Imperatori

35

5.3.2.1 Il polarizzatore

I parametri di Stokes sono misurati grazie all’aiuto di un polarimetro. Questi strumenti molto

complessi, nonostante possano presentare delle caratteristiche ben diverse fra di loro, si basano

tutti su un costruzione simile: con una lamina ritardante26 e un polarizzatore ideale. Entrambi sono

disposti in modo che i loro assi principali siano inclinati degli angoli e β rispetto alla direzione

dell’asse che definisce i parametri di Stokes.

L’effetto della lamina ritardante è quello di andare a modificare le componenti del vettore campo

elettromagnetico , in particolar modo introducendo uno sfasamento nella componente lenta

dell’onda.

Il raggio dopo essere passato dalla lamina arriva al polarizzatore, fulcro della strumentazione.

Grazie a questo passaggio il raggio viene notevolmente modificato; dal polarizzatore esce

invariata, infatti, solamente la componente del campo elettrico che si muove lungo la direzione di

trasmissione del polarizzatore stesso.

Il prosieguo del percorso del raggio di radiazione sopravvissuto al polarizzatore viene poi

indirizzato, con ulteriori passaggi tra lenti, reticoli di diffrazione e specchi, ad un rilevatore munito

di camera CCD che risponde con un segnale proporzionale alla quantità di raggi che lo investe. Essa

dipenderà da tre fattori: il ritardo della lamina , il suo orientamento α e l’orientamento del

polarizzatore β

I parametri di Stokes vengono infine ricavati per mezzo di somme, differenze o combinazioni

lineari dei valori misurati. L’espressione che li lega è la seguente

[ ] [ ] [ ]

La polarizzazione lineare viene misurata con una lamina mezz’onda 27, tenendo il polarizzatore

fisso in un angolo nullo e variando poi l’orientamento della lamina28. Si ottengono così i primi tre

parametri di Stokes. Mentre per la polarizzazione circolare, ossia per ottenere l’ultimo parametro

di Stokes , si segue un procedimento simile, tenendo fisso l’angolo del polarimetro si utilizza però

una lamina quarto d’onda29 e si misura il segnale ancora una volta al variare di α, orientamento

della lamina, ma con α diversi da quelli usati per la misura della polarizzazione lineare30. Con

l’inserimento delle variabili α, β e e del segnale ottenuto nell’equazione scritta in precedenza di

si possono ottenere i valori dei parametri di Stokes.

26

Lamina ritardante avente ritardo

27

28 α = 0°; 22.5°; 45°; 67.5°

29

30 α = +45°, -45°

Lisa Imperatori

36

5.3.2.1.1 ZIMPOL 3

L’IRSOL ha la fortuna di poter sfruttare il polarizzatore ZIMPOL 3, uno dei migliori polarizzatori del

mondo.

Esso funziona come il polarizzatore ideale descritto in precedenza. Non presenta però una lamina

ritardante ma un doppio modulatore, con lamine ritardanti in tramezzo, che provoca un ritardo

variabile agendo con una frequenza di 1kHz che risulta essere più rapida di quella provocata dalle

turbolenze atmosferiche che agirebbero sul segnale. Viene cosi catturato un primo segnale di

polarizzazione e c’è una successiva modulazione dell’intensità. La camera ZIMPOL effettua poi la

demodulazione sfruttando uno speciale accorgimento tecnico che consiste in un sensore CCD che

per ogni quattro righe che raggiungono la camera, ne scherma tre. In seguito le cariche che

compongono il segnale, accumulate sul sensore CCD, vengono spostate in maniera sincrona alla

modulazione ottenendo quattro intensità distinte da cui poi si possono ottenere, tramite la

matrice ottenute con la calibrazione, i parametri di Stokes.

5.3.3 Raccolta personale dei dati

Grazie alle condizioni meteorologiche favorevoli, ho avuto anche la possibilità di raccogliere dei

dati.

Concretamente, il primo passaggio eseguito è stato quello della scelta della radiazione da

osservare; scelta piuttosto casuale, caduta per finire sulla riga del Nichel (Ni) con lunghezza d’onda

6767,784Å.

Una volta individuata una macchia solare con il telescopio (si può osservare la posizione e la

grandezza della macchia da me scelta anche nel disegno dell’archivio della specola solare ticinese,

fatto lo stesso giorno - 25 giugno 2013 - da Marco Cagnotti, Figura 29)

Figura 29: disegno di Marco Cagnotti

Lisa Imperatori

37

si è dovuto posizionare tutta la strumentazione. Come si vede dalla Figura 30, la riga nera che

rappresenta la fessura è stata posizionata proprio al centro della macchia, in questo modo i dati

misurati concernono la zona della fotosfera occupata dalla macchia solare. Seguendo poi il

procedimento descritto in precedenza sono stati misurati, con l’ausilio della strumentazione e di

un computer, che esegue i passaggi di calcolo intermedi, tutti i valori dei parametri di Stokes ed è

stato fatto uno spettro.

Sono state eseguite 1240 misurazioni di ogni parametro su un lasso di tempo molto ristretto .

I valori dei parametri di Stokes misurati si trovano come allegati nella versione digitale del mio

lavoro di maturità. Da sottolineare che, come la maggior parte dei polarimetri, anche quello da me

utilizzato all’IRSOL fornisce già i parametri in relazione all’intensità. Non sono dunque

stati misurati direttamente ma negli allegati si trova

, cambiamento che non comporta

nessun problema nell’analisi dei dati stessi.

5.4 Analisi dei dati

5.4.1 Spettro

La prima analisi l’ho incentrata solamente sullo spettro ottenuto, accantonando

temporaneamente i valori dei parametri di Stokes misurati. Come da ipotesi avrei dovuto

dimostrare che vi era effettivamente una macchia solare caratterizzata da un campo magnetico di

grande intensità perché sarebbe dovuto risultare evidente l’effetto Zeeman causato da questo

campo

Nello spettro ricavato (Figura 31) si vede infatti molto bene l’effetto Zeeman all’interno della

macchia che separa le linee dello spettro elettromagnetico. La linea principale viene infatti divisa

nei tre sottolivelli tipici.di tale effetto.

Figura 30: immagine visibile su computer della lente del telescopio

Lisa Imperatori

38

In esso si vedono più di una riga, perché, vista la differenza di lunghezza d’onda molto ridotta e

l’ampiezza del nostro spettrografo, andando a ricercare nella radiazione emessa dalla macchia

solare la lunghezza d’onda corrispondente al Ni 6767,784, a destra otteniamo anche le linee del Co

6770,970 e del Ni 6772,321.

Il primo obiettivo è quindi stato raggiunto perché risulta evidente la presenza di una macchia

solare con un campo magnetico che genera un effetto Zeeman.

Purtroppo risalire all’intensità di suddetto campo produrrebbe un risultato particolarmente

impreciso visto il piccolo valore che si troverebbero per

5.4.2 Parametri di Stokes

Per raggiungere il secondo obiettivo, e perciò risalire all’intensità e alla direzione del campo

magnetico individuato, ho sfruttato quindi i parametri di Stokes misurati.

Il primo passaggio da effettuare consiste nella rappresentazione dell’intensità in funzione della

lunghezza d’onda. Essendo però rappresentata inizialmente in funzione di pixel e non di λ, si

impone un cambiamento di scala, realizzabile grazie alla considerazione della altre linee del Co

6770,970 e del Ni 6772,321. Considerando, infatti, la differenza di lunghezze d’onda che vige fra di

esse, e la distanza in pixel dei diversi segnali a esse corrispondenti, si può facilmente effettuare un

cambio di scala e ottenere un grafico simile:

Figura 31: spettro effettuato tra le lunghezze d’onda di 6762 e 6774Å

Lisa Imperatori

39

Figura 32 :grafico di I(λ)

Lisa Imperatori

40

Si nota da subito come le due righe del Nichel siano molto più forti di quella del Cobalto che si

trova fra esse. Chiaramente un grafico del genere può risultare però poco chiaro perché presenta

tutte le 1240 misure effettuate; meglio quindi ridurre il campo di considerazione ad una

misurazione sola, ottenendo il seguente risultato:

Figura 33: grafico di I(λ)

Lisa Imperatori

41

Lo stesso viene effettuato per i grafici di

in funzione di λ, con il seguente risultato:

Figura 34 : grafico di

(λ)

Lisa Imperatori

42

Figura 35: grafico di

(λ)

Lisa Imperatori

43

Figura 36: grafico di

(λ)

Lisa Imperatori

44

In tutti e quattro i grafici si nota molto bene la perturbazione della linea costante in prossimità

delle tre righe degli elementi. La mia analisi si è concentrata solamente sui valori riguardanti il

Nichel perché risulta più facile osservare l’elemento che presenta dei valori maggiori e più

pronunciati.

Per poter sfruttare le tecniche di analisi31 il secondo punto importante sta nel trovare un sistema

di assi ruotati di un determinato α per il quale il segnale in

risulti praticamente assente32,

perché visibile solamente tutto in

. In questo modo nella successiva analisi bisognerà considerare

solo tre parametri e non quattro. Per eseguire quest’operazione mi sono servita della matrice

rotazionale di pagina 25, andando a operare sul grafico di

con la seguente operazione

Purtroppo nel mio lavoro ho riscontrato una problematica supplementare dovuta agli specchi

interni del telescopio. Problematica che incrementa la percentuale di errore sperimentale.33 Ben

cosciente di ciò ho cercato di eliminare per quanto possibile questo difetto riducendolo al minimo.

Il segnale, come si può vedere, non è annullato perché rimane comunque un picco in

corrispondenza della riga dal Nichel, è però decisamente migliorato rispetto alla situazione iniziale

nella quale erano presenti due picchi caratterizzati da una maggiore intensità. Per ottenere questa

nuova sequenza di dati al grafico iniziale di

è stata applicata una rotazione di α = 187°, quest’

angolo rappresenta anche l’angolo χ, angolo che indica la posizione di un punto rispetto al piano di

riferimento scelto in precedenza. Nel nostro caso l’angolo è riferito al piano di polarizzazione

scelto inizialmente.

31

Presentate nel capitolo 4.4 Unione tra polarizzazione e effetto Zeeman.

32 Riferimento a quanto detto nel capitolo 4.2.2 Rotazione degli assi

33 L’orientamento di 45° degli specchi crea una leggera trasformazione della polarizzazione circolare in lineare. Effetto

solitamente molto ridotto e trascurabile perché annullato all’interno del telescopio stesso, viene amplificato durante i

solstizi, momento in cui sono state effettuate le misurazioni. Questo crea una difficoltà nell’annullare il segnale in

.

Lisa Imperatori

45

Il risultato della rotazione ha prodotto il seguente grafico:

Figura 37: grafico di

(λ)

Lisa Imperatori

46

Trovato l’angolo α si può operare dunque anche sul parametro Q con la seguente operazione:

Di conseguenza il nuovo grafico di

sarà:

Figura 38: grafico di

(λ)

Lisa Imperatori

47

Una volta eseguito questo passaggio si prosegue con la simulazione dei profili dei diversi

parametri.

In relazione a quanto già spiegato nel capitolo 4.4 Unione tra polarizzazione e effetto Zeeman, la

simulazione di due profili ci permette di risalire a e θ sfruttando dei valori teorici. I profili teorici

sono stati, infatti, creati lavorando con l’intensità misurata al di fuori della macchia solare, ossia

dove il campo magnetico era praticamente nullo. In questo modo si può simulare un profilo

dell’intensità in assenza di campo magnetico, si deve però considerare il cambiamento di

temperatura che evidentemente si registra tra l’interno della macchia e l’esterno. Con una

temperatura maggiore si ha un effetto di leggero restringimento del profilo dell’intensità

rendendo impossibile la riuscita di un profilo perfetto. Come però già ribadito si tratta sempre di

un’approssimazione quindi, nonostante l’errore che si potrebbe creare, si può considerare il

modello complessivamente valido.

Dalla simulazione del primo profilo,

,sono emersi dei risultati molto soddisfacenti, con

e un angolo θ=67,9° ( Figura 39). Con questi parametri i valori teorici e quelli misurati

sono risultano essere molto vicini fra loro.

Di conseguenza utilizzando gli stessi valori di e θ anche nella simulazione del secondo profilo

,

ci si dovrebbe aspettare un buon risultato, cosa che però purtroppo non si è però completamente

verificata (Figura 40). Dal grafico si nota, infatti, che i valori teorici approssimano solo in parte

quelli raccolti sperimentalmente: i primi due picchi, positivo e negativo, non sono riprodotti con la

stessa intensità e giungono ad una diversa lunghezza d’onda (si osserva infatti uno sfasamento di

circa 0,1Å), mentre il terzo picco è riprodotto con precisione. Inoltre il profilo calcolato

teoricamente dovrebbe essere simmetrico, cosa che però non risulta, ipotizzo quindi, ammettendo

di aver svolto correttamente i calcoli, che ci sia un problema nei dati raccolti.

Lisa Imperatori

48

Figura 39: grafico di

teorico e sperimentale

Lisa Imperatori

49

Figura 40 : grafico di

teorico e sperimentale

Lisa Imperatori

50

Possono essere diversi i fattori che hanno portato a questo errore: la strumentazione, il mancato

corretto uso di quest’ultima, l’errore umano nell’analisi dei dati, la somma di tanti piccoli effetti

tralasciati siccome troppo piccoli da misurare ecc. Non da ultimo bisogna sempre sottolineare che

questo metodo consiste solamente in un approssimazione grafica molto semplificata e che per

svolgere un’analisi più precisa bisognerebbe tenere conto di molti altri fattori esterni che non sono

stati presi in considerazione nella mia analisi.

I migliori dati ricavabili dalle mie misurazioni sono comunque risultati e θ=67,9°,

considerando pur sempre che non possono ritenersi perfetti.

Con l’ottenimento di questi parametri per trovare l’intensità del campo magnetico non resta che

inserire nella seguente formula vista a pagina 28

34

ottenendo così:

5.5 Risultati ottenuti

Come mi ero riproposta sono riuscita a raggiungere entrambi i miei obbiettivi. Ho individuato una

macchia solare osservando lo spettro e sono riuscita ad ottenere un risultato finale descrivendo il

campo magnetico nella macchia da me osservata: esso ha una direzione di 67,9° e un’intensità di

3,7kG.

Chiaramente i risultati ottenuti sono molto approssimativi. Bisogna, infatti, tener conto dell’errore

sperimentale, della tecnica semplificata da me utilizzata e delle limitazioni grafiche. Il risultato

ottenuto rimane comunque un valore interessante.

5.5.1 Discussione

Il mio risultato, preso da solo, probabilmente mostra poche applicazioni pratiche, ma se si

considerano altri valori, misurati sia all’esterno delle macchie solari che nella penombra di queste

ultime, si può notare che effettivamente ci sono molte differenze tra l’intensità dei campi

magnetici presenti in queste diverse zone.

Teoricamente l’intensità del campo magnetico nell’ombra di una macchia solare di grandi

dimensioni è dell’ordine di 3kG. Il risultato ottenuto dall’analisi pari a 3,7kG è riferito alla zona

d’ombra di una macchia relativamente piccola e quindi, probabilmente, l’intensità del campo

34

Con in Å, velocità della luce e risultante in Gauss

Lisa Imperatori

51

magnetico ivi presente avrebbe dovuto essere inferiore. Tale risultato però, se considerato

approssimativamente, è da ritenersi buono.

Osservazioni precedenti parlano di valori di circa 1,5kG d’intensità dei campi magnetici nella

penombra delle macchie e di circa 10 G nel resto della fotosfera, nonostante sia molto difficile

misurare i campi magnetici su di essa perché presenta delle particelle minuscole con campi

magnetici fortissimi e dunque i risultati sono le medie dell’intensità riscontrata in una zona più

facilmente misurabile. Paragonando questi dati con il mio risultato si può dimostrare che il campo

magnetico all’interno dell’ombra di una macchia solare è nettamente superiore a quello del resto

della fotosfera e, nel mio caso, può arrivare ad avere un rapporto di circa 1:370; rapporto che

rappresenta un fattore particolarmente grande.

Un altro paragone, magari a noi più vicino, può essere fatto con il campo magnetico medio

terrestre. Esso in superficie ha un valore di circa 0,5 G35. Chiaramente un fattore di circa 7000 è

enorme e ci porta facilmente a pensare all’impotenza del nostro pianeta rispetto alla grande stella

dalla quale dipende. Tuttavia gli straordinari e forse preoccupanti effetti che hanno le macchie

solari sulla Terra non sono direttamente generati dal campo magnetico bensì dalla particolare

influenza che esso ha sulle irradiazioni.

Per quanto riguarda l’angolo θ ottenuto non si può dire molto ma, secondo statistiche di

misurazioni, al centro dell’ombra di una macchia solare esso dovrebbe essere di 90°. Considerando

un leggero margine di errore e il fatto che probabilmente la fessura non sia stata posizionata

esattamente al centro della macchia, il risultato da me ottenuto di 67,9° potrebbe essere molto

vicino al reale orientamento del campo magnetico.

5.6 Conclusione pratica

Nel mio lavoro pratico, dopo aver effettuato delle misurazioni all’IRSOL relative ad una macchia

solare, ho osservato l’effetto Zeeman che il campo magnetico, presente in quella determinata

macchia solare, genera sullo spettro. In seguito ho svolto un’ analisi più specifica di questo campo

magnetico. Attraverso l’analisi dei parametri di Stokes sono risalita alla sua intensità e alla sua

direzione ottenendo due risultati accettabili. Facendo ciò ho potuto raggiungere i miei obiettivi e

confermare parzialmente le mie ipotesi di lavoro.

35

5. Tesla pari a 0,5 Gauss

Lisa Imperatori

52

6 Conclusione

La prima parte del mio lavoro, indispensabile per volgere uno sguardo generale sul mondo solare e

in particolare su quello delle macchie solari, mi ha permesso di apprendere molte nozioni

affascinanti che non hanno fatto che accrescere il mio interesse per l’astronomia sia antica che

moderna. Avere inoltre la possibilità di mettere in pratica alcuni aspetti sui quali mi ero soffermata

mi ha aiutata molto a rendere più concreto il mio discorso attribuendo una spendibilità pratica al

tutto. In ogni caso entrambe le parti del mio lavoro mi hanno appassionata. Chiaramente il lavoro

pratico ha sempre il suo fascino e mi piacerebbe continuare ad approfondire la complessa tecnica

della polarizzazione. Non da ultimo ho dovuto anche migliorare le mie capacità informatiche, cosa

tutt’altro che evidente! Nonostante comunque la mia titubanza iniziale nell’affrontare l’argomento

posso ritenermi soddisfatta del risultato finale perché ha sicuramente aumentato il mio bagaglio di

conoscenze nell’ambito della fisica e non solo..

Lisa Imperatori

53

7 Ringraziamenti

Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile la stesura di questo lavoro di maturità.

Ringrazio dunque Michele Bianda per la sua preziosa collaborazione e per la sua accoglienza

calorosa all’IRSOL, Marco Cagnotti, per avermi dedicato del tempo aiutandomi nella ricerca di libri

riguardati le macchie solari che mi permettessero di approfondire il tema, e per la sua completa

disponibilità a rispondere a qualsiasi mia domanda. Ringrazio il professor Stefano Sposetti che ha

cercato di indirizzarmi verso la giusta strada, ringrazio anche mio zio Michele Mossi che in poco

tempo mi ha saputo fornire degli ottimi spunti per migliorare il mio lavoro e ringrazio i miei

genitori che mi hanno sempre sostenuta e hanno contribuito in diversi modi alla concretizzazione

di un elaborato finale, e più di tutti, ringrazio il professor Renzo Ramelli che in qualsiasi momento

si è sempre dimostrato molto gentile, disposto ad aiutarmi e a spiegarmi, anche più volte, il

difficile mondo della polarizzazione che, devo ammettere, non sarei mai riuscita a comprendere

senza il suo volenteroso aiuto.

Lisa Imperatori

54

8 Indice delle figure

Figura 1: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/a/a5/Grafico_composizione_fotosferica.png,

tratto il 22 agosto 2013, tratto il giorno agosto 30, 2013

Figura 2: Lang, K. R. (1997). Sun, earth and sky. Berlin, Heidelberg, New York: Springer.

Figura 3: http://psicosi2012.wordpress.com/2012/06/18/le-macchie-solari-ar1504/, tratto il

giorno agosto 29, 2013

Figura 4: http://www.bo.astro.it/universo/venere/Sole-Pianeti/sun/maculae.htm, tratto il giorno

agosto 29, 2013

Figura 5: http://daltonsminima.altervista.org/?tag=ciclo-solare-24, tratto il giorno agosto 29, 2013

Figura 6: Degl'Innocenti, E. L. (2008). Fisica solare. Milano: Springer.

Figura 7: www.newscientist.com, tratto il giorno agosto 29, 2013

Figura 8: John of Worcester spot on with his 1128 sun diagram. (s.d.). Tratto il giorno agosto 30,

2013 da The Telegraph: http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/1334296/John-of-Worcester-

spot-on-with-his-1128-sun-diagram.html

Figura 9: John of Worcester spot on with his 1128 sun diagram. (s.d.). Tratto il giorno agosto 30,

2013 da The Telegraph: http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/1334296/John-of-Worcester-

spot-on-with-his-1128-sun-diagram.html

Figura10: the Galileo project. (1995). Tratto il giorno settembre 13, 2013 da

http://galileo.rice.edu/abo/copyright.html

Figura 11: the Galileo project. (1995). Tratto il giorno settembre 13, 2013 da

http://galileo.rice.edu/abo/copyright.html

Figura 12: Galileo e le guerre dei telescopi. (s.d.). Tratto il giorno agosto 30, 2013 da Popinga:

http://keespopinga.blogspot.ch/2011/01/galileo-e-le-guerre-dei-telescopi.html

Figura 13: Museo Galileo biblioteca digitale. (2011). Tratto il giorno agosto 30, 2013 da

http://193.206.220.110/Teca/Viewer?an=367710

Figura 14: Galileo e le guerre dei telescopi. (s.d.). Tratto il giorno agosto 30, 2013 da Popinga:

http://keespopinga.blogspot.ch/2011/01/galileo-e-le-guerre-dei-telescopi.html

Figura 15: the Galileo project. (1995). Tratto il giorno settembre 13, 2013 da

http://galileo.rice.edu/abo/copyright.html

Figura 16: the Galileo project. (1995). Tratto il giorno settembre 13, 2013 da

http://galileo.rice.edu/abo/copyright.html

Figura 17: Bourge, P. ( 1989). Il manuale pratico di astronomia. Bologna: Zanichelli.

Lisa Imperatori

55

Figura 18: http://www.unimeteo.net/langolo-della-scienza/1839-monitoriamo-il-ciclo-solare-24-a-

4.html, Tratto il giorno settembre 13

Figura 19: http://www.unimeteo.net/langolo-della-scienza/1839-monitoriamo-il-ciclo-solare-24-a

4.html, Tratto il giorno settembre 13

Figura 20: Degl'Innocenti, E. L. (2008). Fisica solare. Milano: Springer.

Figura 21: http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Zeeman, tratto il giorno ottobre, 15, 2013

Figura 22: Degl'Innocenti, E. L. (2008). Fisica solare. Milano: Springer.

Figura 26: Strumentazione. (s.d.). Tratto il giorno ottobre 10, 2013 da IRSOL: http://www.irsol.ch/i/

Figura 27: Strumentazione. (s.d.). Tratto il giorno ottobre 10, 2013 da IRSOL: http://www.irsol.ch/i/

Figura 28: Strumentazione. (s.d.). Tratto il giorno ottobre 10, 2013 da IRSOL: http://www.irsol.ch/i/

Figura 29: archivio disegni. (s.d.). Tratto il giorno 11 10, 2013 da specola: http://www.specola.ch/

Figura 30: immagine scattata personalmente il 25 giugno 2013

Figura 31: immagine scattata personalmente il 25 giugno 2013

Lisa Imperatori

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