Lavoro costituzione 4 n

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LE GARANZIE COSTITUZIONALI Partendo dallo studio e dalle riflessioni su quel convulso periodo storico che ha visto l’affermarsi della rivoluzione francese, ci è venuto spontaneo chiederci: una volta riconosciuto che la sovranità appartiene al popolo e una volta compreso che per governarsi il popolo deve pattuire un corpo di regole da rispettare cioè deve darsi una Costituzione, cosa succede se la maggioranza del popolo, abusando del proprio potere, approva una legge non conforme o contraria al patto costituzionale? C’è un organo adibito a custode della Costituzione, oppure la maggioranza o i suoi rappresentanti detengono un potere assoluto? Già l’abate Seyes durante il regime del Termidoro e dopo la parentesi terribile della dittatura giacobina aveva avuto modo di sottolineare che “una Costituzione è un corpo di leggi obbligatorie, oppure non è niente. Se è un corpo di leggi, ci si domanda dove sarà il guardiano, dove sarà la magistratura di questo codice”. Su tale base, si prospettava l’istituzione di un jury constitutionaire, volto a vigilare sul rispetto della Costituzione. Tuttavia l’invito di Seyes resterà lettera morta. Per cercare il vero momento fondativo del sindacato di costituzionalità abbiamo rivolto la nostra attenzione a quanto, più o meno nello stesso periodo, stava avvenendo nei neo-nati Sati Uniti d’America dove dalle pagine del Federalist Alexander Hamilton si faceva promotore di una battaglia per riconoscere la Costituzione come legge fondamentale dello Stato e quindi tale da non poter essere modificata con delle semplici leggi

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LE GARANZIE COSTITUZIONALIPartendo dallo studio e dalle riflessioni su quel convulso periodo storico che ha visto l’affermarsi della rivoluzione francese, ci è venuto spontaneo chiederci: una volta riconosciuto che la sovranità appartiene al popolo e una volta compreso che per governarsi il popolo deve pattuire un corpo di regole da rispettare cioè deve darsi una Costituzione, cosa succede se la maggioranza del popolo, abusando del proprio potere, approva una legge non conforme o contraria al patto costituzionale? C’è un organo adibito a custode della Costituzione, oppure la maggioranza o i suoi rappresentanti detengono un potere assoluto?Già l’abate Seyes durante il regime del Termidoro e dopo la parentesi terribile della dittatura giacobina aveva avuto modo di sottolineare che “una Costituzione è un corpo di leggi obbligatorie, oppure non è niente. Se è un corpo di leggi, ci si domanda dove sarà il guardiano, dove sarà la magistratura di questo codice”. Su tale base, si prospettava l’istituzione di un jury constitutionaire, volto a vigilare sul rispetto della Costituzione. Tuttavia l’invito di Seyes resterà lettera morta.Per cercare il vero momento fondativo del sindacato di costituzionalità abbiamo rivolto la nostra attenzione a quanto, più o meno nello stesso periodo, stava avvenendo nei neo-nati Sati Uniti d’America dove dalle pagine del Federalist Alexander Hamilton si faceva promotore di una battaglia per riconoscere la Costituzione come legge fondamentale dello Stato e quindi tale da non poter essere modificata con delle semplici leggi ordinarie, battaglia che coglierà i suoi frutti concretizzandosi in una sentenza epocale durante il caso Marbury vs Madison del 1803.Mentre in Europea bisognerà aspettare il contributo dato dal giurista Hans Kelsen all’inizio del ‘900, che sottolineerà con forza l’importanza e la necessità che siano previsti organi di garanzia costituzionale. Dopo aver ripercorso queste tappe decisive ci siamo rivolti ad analizzare in dettaglio lo strumento di garanzia della nostra Costituzione: la Corte costituzionale.

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Il nostro lavoro ci ha condotto a queste considerazioni conclusive. Le moderne costituzioni nascono e vengono scritte per fissare limiti al potere di chi comanda, per definire i modi e le condizioni in cui l’autorità deve essere esercitata e per fissare i diritti dei soggetti nei confronti dell’autorità, che non può violarli.Esemplare a tal proposito l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789: “Un popolo, che non riconosce i diritti dell’uomo e non attua la divisione dei poteri, non ha Costituzione”.L’idea di base è sempre quella del potere limitato, e dunque non più assoluto: ossia di un potere che venga esercitato entro dei limiti previsti dalla Costituzione e pertanto detti di costituzionalità.Nelle monarchie, le costituzioni sorgono proprio per porre limiti al potere sovrano, che resta detentore di un potere di vertice, anche se non più assoluto. Ma anche dove si afferma pienamente il principio democratico, e dunque la sovranità è attribuita per intero al popolo, la Costituzione ha il compito di regolare e dunque limitare il potere sovrano, distribuendolo fra le diverse autorità e stabilendo le condizioni e i limiti del suo legittimo esercizio. Così si esprime ad es. l’art. 1, comma 2, della nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”: nelle forme, cioè con le procedure stabilite, ma anche nei limiti.Ma, si potrebbe dire, se la sovranità appartiene al popolo, il popolo può anche cambiare la Costituzione, e ha diritto di cambiarla. In effetti le Costituzioni prevedono di solito anche il modo in cui possono essere modificate. Però è normale che le procedure attraverso cui ciò può avvenire siano più complesse e difficili da realizzare di quanto non siano le normali procedure legislative.

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Siamo dunque, sembrerebbe, di fronte ad un paradosso. La Costituzione, frutto della volontà del popolo sovrano, pretende di limitare il potere dello stesso popolo di modificarla in via legale.In realtà una tale contraddizione sussisterebbe e avrebbe ragion d’essere solo se si parte dal presupposto che la sovranità del popolo è assoluta. Ma il costituzionalismo è qualcosa di più e di diverso dell’assolutismo democratico. La Costituzione nasce sì per regolare le forme di esercizio del potere attribuito al popolo, ma anche, o ancor prima, per fissare i confini di questo potere, dunque per limitarlo. Anche il popolo sovrano non può e non deve essere un sovrano assoluto. Nessun sovrano, dunque neanche il popolo. Si potrebbe dire: se c’è un sovrano assoluto, sia pure esso il popolo, non c’è Costituzione.La Costituzione contiene le regole attraverso cui la maggioranza può decidere, ma anche i principi da cui la stessa maggioranza non può discostarsi, a tutela di valori e interessi che non sono appannaggio della sola maggioranza. Ebbene, la nascita di organi di garanzia quali sono le corti costituzionali ha segnato la fine del mito della sovranità parlamentare assoluta che aveva dominato, dall’epoca della Rivoluzione francese, nei regimi rappresentativi. Il controllo di costituzionalità fa sì che nessun organo dello Stato, nemmeno il Parlamento, disponga di un potere illimitato; che anche il potere politico più elevato sia assoggettato a regole. 

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Con la rivoluzione viene attribuito alla nazione il carattere di sovranità, che prima apparteneva al re. Prima il monarca assoluto era tale per diritto divino e non rispondeva delle sue azioni davanti ai sudditi ma direttamente davanti a Dio.

La sovranità nazionale rivendica la propria autonomia dall’autorità religiosa e trova il proprio fondamento negli uomini (secolarizzazione della politica).

Vengono così attribuiti al nuovo “sovrano” i caratteri del vecchio concentrando ogni potere politico nell’assemblea legislativa che rappresentava la nazione.

In fondo si trattò del compimento del progetto assolutistico, con una fondamentale differenza, la concentrazione del potere andò a vantaggio non del re ma di un’assemblea nazionale.

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Il Terzo stato era interessato alla propria promozione politica e alla propria espansione economica, pur essendo già rappresentato agli Stati Generali ambiva a cariche politiche più influenti.

La rivoluzione francese fu il mezzo per distruggere la società chiusa dell’antico regime, infatti la prima fondamentale affermazione della rivoluzione era che la società non era l’insieme dei ceti ma l’insieme degli individui i quali vivono sotto una legge uguale per tutti.

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Democrazia e rappresentanza sono diverse fra loro. La democrazia, come potere del popolo, richiede identità tra governanti e governati; la rappresentanza si basa invece su un dualismo tra gli uni e gli altri. Il rappresentante è colui che parla in nome di un altro e con i suoi atti può obbligarlo; la democrazia è invece decisione del popolo. Essa può essere di due tipi : diretta o indiretta. Si ha democrazia diretta quando è il popolo stesso che delibera le leggi ( ad es. Il referendum ), si ha invece democrazia indiretta quando a deliberare le leggi sono i portavoce, eletti dal popolo, che si riuniscono in delle assemblee nelle quali sono obbligati ad esprimere la volontà del popolo. Al contrario il regime rappresentativo presuppone il fatto che il popolo sia incapace di gestire i propri interessi e quindi se ne occupi qualcun’altro da lui eletto.

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Il funzionamento del regime rappresentativo richiede che vi sia un gruppo di persone che si occupi costantemente di politica e che di questa ne faccia una professione. Sieyes diceva che la politica è un mestiere. Inoltre era un sostenitore della rappresentanza e non, come Rousseau, della democrazia.

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Sieyes sosteneva che la concezione democratica, che presuppone un popolo politicamente competente e disposto a dedicare tutto il suo impegno alla politica, era una visione idealistica e pericolosa. Inoltre riteneva che il regime rappresentativo fosse superiore al regime democratico. Il problema non era tanto quello di tenere unito il popolo nei grandi stati, quanto l’incapacità politica della massa degli uomini a gestire la cosa pubblica. Negli stati moderni la gente non ha più la possibilità di dedicarsi alla gestione della “res pubblica”, secondo l’antico ideale della democrazia ateniese. Allora la democrazia era possibile grazie agli schiavi che si occupavano delle faccende di prima necessità, lasciando così del tempo libero ai loro padroni che si sarebbero potuti occupare di politica, oggi non è più possibile.

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Rousseau, al contrario di Sieyes, sosteneva la superiorità del regime democratico. Il filosofo proponeva, se non la democrazia diretta, applicabile in piccoli stati, assemblee di deputati sottoposti al continuo controllo del popolo, avvicendamenti ravvicinati nel tempo, a intervalli di non di più di due anni, affinchè non si creasse una sorta di “casta” dei politici. Inoltre ci doveva essere una ratifica popolare delle loro decisioni e la possibilità di revoca in ogni momento.

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L’assemblea dei rappresentanti agiva in nome della nazione. La volontà dell’assemblea si esprimeva attraverso la legge, quindi la legge fu definita “espressione della volontà generale della nazione”. Dalla rivoluzione francese in poi, la legge non è più l’accordo tra il principe e certi suoi sudditi. E’ invece un comando assoluto, che proviene da una volontà generale e non ha di fronte a sè contraenti, ma sottoposti, obbligati a osservarla senza nulla pretendere in cambio. Nella legge si esprima la concentrazione illimitata del potere politico. Disponendo di così alto potere,il legislatore rivoluzionario ( Napoleone ) poté portare a compimento ciò che nessun re aveva appena sfiorato,cioè l’unificazione giuridica dello stato.

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La legge è generale perchè tratta tutti i cittadini allo stesso modo, senza distinzione di condizioni sociali. Nessun privilegio è più ammesso. Ciò significa che la legge generale coincide con l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: la legge è uguale per tutti.

Il grande principio dell’uguaglianza giuridica inoltre è ambivalente. Infatti esso può tradursi in uguaglianza nella pari libertà, cioè in una società aperta, in cui si presuppone anche l’esistenza di un potere autoritario ed incontrastato, il quale non subisca pressioni da altri poteri o da richieste particolari.

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Derivano dalla natura stessa dell’uomo; non sono

creati dallo

Fondato a partire dai cittadini e dai loro

diritti, e non viceversa

Deve provvedere alla difesa stessa dei diritti

contro possibili attentati

attraverso la

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È lo strumento per “limitare” lo Stato e “liberare” la società

assicurandone i diritti

Criterio per giudicare la correttezza dei

governanti

(Art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789)

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assegnati a organi distinti permette la creazione di un “governo temperato”

e quindila salvaguardia dei

diritti naturali dell’uomo (vita,

libertà, proprietà)

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Separazione dei poteriSeparazione dei poteri Principio di legalitàPrincipio di legalità : : preminenza della legge sugli preminenza della legge sugli atti esecutivi e giurisdizionali atti esecutivi e giurisdizionali > controllo della legalità> controllo della legalità Scopo della rivoluzione Scopo della rivoluzione francesefrancese : rovesciare l’assetto : rovesciare l’assetto politico dell’Antico regime > politico dell’Antico regime > onnipotenza legislatore onnipotenza legislatore (paradosso)(paradosso)

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Alexander Hamilton (Nevis, 11 gennaio1757 – New York, 12 luglio 1804) fu un politico, militare ed economista statunitense. Ritenuto uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione americana. Ritratto sul biglietto da dieci dollari, è l'unico, assieme a Benjamin Franklin, ad avere il privilegio di apparire su una banconota comune, pur non essendo stato Presidente degli Stati Uniti.

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Il “Federalista” è una serie di 85 articoli o saggi favorevoli alla ratifica della Costituzione degli Stati Uniti . Settantasette dei saggi sono stati pubblicati nella serie the “Independent Journal” e “The New York Packet “tra l'ottobre 1787 e l’agosto 1788. Per questo motivo il “Federalista” rimane una fonte primaria per l'interpretazione della Costituzione degli Stati Uniti, in quanto è stato pubblicato per dare un contributo alla creazione di quest’ultima.

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Nel numero 78 del “Federalist”, Hamilton prima esamina la situazione attuale di governo confederato,poi sottolinea l’utilita’ e la necessita’ di un giudice federale. Esordisce dicendo che una buona condotta all’interno della magistratura giudiziaria e’ una barriera

eccellente contro il dispotismo del principe all’interno di una monarchia, e un ostacolo alle usurpazioni dell’ organo di

rappresentanza: ciò permette di garantire un’amministrazione stabile e imparziale delle leggi. Continua poi affermando il bisogno di separazione dei poteri affinche’ vengano garantiti i diritti della

Costituzione, ricollegandosi alla teoria di Montesquieu. Afferma quindi che il potere giudiziario deve essere indipendente

dall’economia,”purse” e dalla legislatura,”sword”, ma deve appoggiarsi all’ esecutivo per l’efficacia dei suoi giudizi. Al contrario dice che se i poteri sono uniti viene messa in pericolo la libertà dei

cittadini ed esprime questo pensiero con una frase significativa:”there is no liberty,if the power of judging be not

separated from the legislative and the executive powers”. La totale indipendenza delle corti di giustizia e’ fondamentale in presenza di una Costituzione rigida e ogni legge emanata non deve essere in

contrasto con quest’ultima.

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Afferma inoltre che i giudici sono stati istituiti per essere un organo intermediario tra il popolo e il legislatore,al fine di

contenerlo dentro i limiti della propria autorità, in quanto la Costituzione deve essere considerata dai giudici la LEGGE

FONDAMENTALE. Infatti in presenza di una legge federale in contrasto con una costituzionale, quella da modificare o

comunque da non seguire risulta quella federale. Un esempio di ciò si riscontrerà in seguito nel caso Marbury contro Madison del 1803. Marbury era stato nominato giudice di pace dal presidente

uscente Adams,ma Madison, segretario di stato del neo presidente Jefferson si rifiutò di notificare la nomina a giudice.

Marbury aveva dalla sua una legge federale, mentre a favore di Madison c’era la Costituzione. Il caso arrivò alla Corte suprema con a capo Marshall, che pur appartenendo allo stesso partito di

Marbury emise un giudizio a favore di Madison in quanto la Costituzione si pone in una posizione gerarchica rispetto alla legge ordinaria e quest’ultima non può contravvenire alla prima. Quindi la Corte suprema si era aggiudicata il potere

di giudicare la costituzionalità delle leggi, dimostrandosi completamente imparziale.

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In presenza quindi di una Costituzione rigida, Hamilton scrive che solo in seguito ad un malcontento generale del popolo può essere modificato un articolo di questa ed un

unico giudice non ha il potere di apportare alcun cambiamento. E’ importante che i magistrati controllino l’imparzialità di tutte le norme, in modo che non vi siano differenze tra le varie classi sociali e quindi che ci siano

leggi particolari che tutelino un ristretto gruppo di persone. Per evitare però che anche i giudici operino in modo

parziale, ci devono essere alcune leggi fondamentali, dette “strict” basate sull’esperienza di casi precedenti in modo da eliminare l’interpretazione arbitraria all’interno della corte.

L’autore conclude dicendo che il giudice deve avere un background culturale molto ricco ed avere un’integrità

morale tale da permettergli di compiere la sua “missione” nel modo più coerente possibile ed inoltre la presenza di un gran numero di leggi fa sì che ci siano pochi magistrati. Alla

fine cita l’esempio della Gran Bretagna come modello istituzionale eccellente.

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Due sono le ragioni per cui l’importanza della Corte Costituzionale austriaca supera largamente quella dello Stato che è chiamata a garantire la Costituzione:

• è considerata il primo organo di controllo di legittimità costituzionale delle leggi entrato storicamente in funzione sul continente europeo;

• è strettamente connessa con l’opera di uno dei massimi teorici del diritto del novecento, Hans Kelsen.

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• La sua famiglia si trasferisce ben presto a Vienna dove Kelsen compie i suoi studi.

• 1911: consegue l’abilitazione all’insegnamento universitario per il diritto pubblico e la filosofia del diritto→ può pertanto iniziare la sua attività di docente presso l’università di Vienna.

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• 1919: su invito del cancelliere Renner, dà un apporto determinante alla stesura della Legge Costituzionale Federale per la Repubblica austriaca del 1920, lasciando la propria impronta soprattutto nell’istituzione di una Corte Costituzionale con funzione di sindacato costituzionale delle leggi.

• 1921: viene eletto giudice a vita della Corte Costituzionale della Repubblica austriaca.

• 1929: viene sciolta la Corte Costituzionale in seguito alla riforma costituzionale voluta dal partito cristiano-sociale→ lascia l’Austria e accetta l’offerta della cattedra di diritto internazionale nell’università di Colonia (nel 1933 l’avvento del nazismo determina la sua destituzione in quanto ebreo).

• 1940: si trasferisce negli Stati Uniti dove è particolarmente attivo nel campo del diritto internazionale, ma non cessa di rivedere la sua teoria del diritto, spinto dal desiderio di un confronto con l’ambiente giuridico americano.

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Nell'elaborazione di Kelsen, in una costruzione a gradi dell'ordinamento, la Costituzione è al vertice della gerarchia delle fonti.

Per il controllo egli prevede un tribunale ad hoc, esterno al potere giudiziario, indipendente grazie all’inamovibilità dei giudici, ma facente parte del legislativo. A tale tribunale hanno accesso le principali autorità dello Stato (sia quelle federali sia quelle degli Stati federati in un contesto fede-ralista), i tribunali (i quali giudicano sull’incostituzionalità di leggi e regolamenti con un eventuale annullamento pro futuro) ed anche l'opposizione parlamentare.

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Kelsen influisce con queste idee, almeno in parte, sulla Costituzione austriaca del 1920.

• I membri del Tribunale Costituzionale Federale (TCF) dovevano essere eletti per metà dalla Camera bassa (rappresentativa dei cittadini) e per metà dalla Camera alta (rappresentativa degli Stati federati), la quale doveva risolvere i conflitti tra Stato federale e Stati federati.

• Al TCF potevano ricorrere il Governo Federale e i Governi degli Stati federati.

• La Corte medesima poteva sollevare d'ufficio questioni quando esse fossero rilevanti per la sua pronuncia.

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La Corte costituzionale della

Repubblica italiana è un

organo previsto dalla

Costituzione della

Repubblica Italiana del

1948. Le norme del suo

funzionamento sono

contenute nella Costituzione

stessa.

E’ situata nel Palazzo della

Consulta a Roma, in Piazza

del

Quirinale.

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La Corte costituzionale giudica:

sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra Regioni;sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione; sull' ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.

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La Corte costituzionale è una istituzione creata in tempi relativamente recenti, soprattutto sulla base delle elaborazioni teoriche di un grande giurista

democratico austriaco, Hans Kelsen. Alle Corti supreme o alle Corti costituzionali spetta il compito di garantire, in modo indipendente ed imparziale, l’osservanza della Costituzione.Quando l’Assemblea costituente italiana si accinse ad elaborare il testo della Costituzione fece una scelta di fondo: attribuire alla nuova Costituzione una forza “superlegislativa”, così che le leggi “ordinarie” non potessero modificarla né derogare ad essa.

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Nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, che stabilisce chi e come può ricorrere alla Corte. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale, che si insediò nel palazzo della Consulta e si diede la prima necessaria organizzazione, emanando anche le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti: le cosiddette “Norme integrative”. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, finalmente la Corte era in grado di funzionare.Il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica della Corte, presieduta dal suo primo Presidente, Enrico De Nicola.

Busto bronzeo di Enrico De Nicola primo Presidente della Corte Costituzionale già primoPresidente della Repubblica.

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La Corte si compone di quindici giudici scelti tutti fra ristrette categorie di tecnici del diritto con elevata preparazione: •magistrati, in servizio o a riposo, provenienti dalle “supreme magistrature”, cioè dalla Corte di cassazione, dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti;•professori universitari ordinari di materie giuridiche; •avvocati con una esperienza di almeno vent’anni di esercizio della professione.

Non c’è alcun limite minimo né massimo di età.

Ogni giudice è nominato per un mandato di nove anni e non è rieleggibile né prorogabile: alla scadenza, va a riposo o rientra, se ne ha ancora i requisiti, nella precedente posizione professionale.

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La lunghezza del mandato è superiore a quella di ogni altro mandato elettivo previsto dalla Costituzione: si tende così ad assicurare l’indipendenza dei giudici, anche dagli organi politici che designano una parte di essi.

ELEZIONE•Un terzo dei giudici (cioè cinque) è eletto dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti), a maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti del collegio elettorale) e con eventuale ballottaggio fra i più votati. •Altri cinque sono eletti dal Parlamento in “seduta comune”, cioè dalle due Camere riunite, con un voto a maggioranza di due terzi dei componenti nei primi tre scrutini, e di tre quinti dei componenti (cioè circa 570, sui circa 950 deputati e senatori) dal quarto scrutinio in poi. •Gli ultimi cinque sono scelti dal Presidente della Repubblica di propria iniziativa.

È vietato ai giudici non solo appartenere a un partito ma anche svolgere attività politiche.

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PRESIDENTE

La Corte elegge fra i propri componenti il Presidente, che dura in carica tre anni ed è rieleggibile.E’ eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta, e non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio.

ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

La Corte dispone della propria sede e di un bilancio autonomo alimentato da fondi provenienti dal bilancio dello Stato (52,7 milioni di euro per il 2009).

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La Corte è chiamata a controllare se gli atti legislativi siano stati formati con i procedimenti richiesti dalla Costituzione (cosiddetta costituzionalità formale) e se il loro contenuto sia conforme ai princìpi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale).

Atti legislativi: dunque leggi dello Stato, ma anche decreti legislativi delegati (deliberati dal Governo su delega delle Camere), decreti-legge ed anche leggi delle Regioni e delle province autonome, le quali, nel nostro sistema costituzionale, dispongono di una propria potestà legislativa.

Non sono invece soggetti al controllo della Corte, sotto questo profilo, gli atti normativi subordinati alla legge, come i regolamenti: tali atti sono soggetti al controllo di legittimità (cioè della loro conformità alla legge) svolto dai giudici comuni.

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Quando è sollevata una questione di costituzionalità di una norma di legge, la Corte conclude il suo giudizio, se la questione è ritenuta fondata, con una pronuncia di accoglimento, che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, oppure con una pronuncia di rigetto, che dichiara laquestione non fondata.La questione può essere ritenuta invece non ammissibile, quando mancano i requisiti necessari per sollevarla. Se la sentenza è di accoglimento, cioè dichiara l’illegittimità costituzionale della legge, questa perde automaticamente di efficacia. È molto frequente che la Corte respinga un dubbio di costituzionalità non perché esso, così come formulato dal giudice comune, sia privo di fondamento, ma perché è da respingere l’interpretazione che il giudice ha dato della disposizione impugnata, una disposizione che, se interpretata in altro modo, non presenta il vizio denunciato.

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Le decisioni della Corte costituzionale assumono la forma delle decisioni giurisdizionali tipiche: sentenze (decisioni di merito), ordinanze (decisioni processuali), decreti (decisioni procedurali). Posta la modesta rilevanza esterna dei decreti, si può quindi affermare che le pronunce della Corte si possano distinguere in due categorie: le sentenze di accoglimento e le decisioni di rigetto (siano esse di merito o processuali).

Decisioni di natura processuale

Per quanto riguarda le decisioni processuali, esse si basano su considerazioni che non consentono di passare all'esame del merito della questione di legittimità costituzionale. Nella giurisprudenza della Consulta, si può notare come esse assumano promiscuamente la forma delle sentenze o delle ordinanze, non contando tanto la forma stessa, quanto il motivo che sta alla base della decisione di non passare al merito, e presentano in alcuni casi un carattere sostanzialmente decisorio.

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Decisioni di merito

Possono essere divise in sentenze di accoglimento, tramite le quali la Corte si pronuncia sia sulla questione che sulla legge, e decisioni di rigetto, le quali invece si pronunciano solo sulla questione, in quanto non spetta alla Corte un generale potere di esternazione della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi, ma solo un potere repressivo dell'incostituzionalità.Decisioni interpretative

Nelle decisioni interpretative la Corte si pronuncia non sulla disposizione di legge nel significato normativo individuato dal giudice a quo, bensì su un diverso significato normativo che essa stessa ritiene contenuto nella disposizione impugnata. Le decisioni interpretative di rigetto si dicono correttive quando la Corte «corregge» l'interpretazione fornita dal giudice a quo la quale si discosta dal diritto vivente; si dicono invece adeguatrici quando la Corte individua nella disposizione impugnata dal giudice a quo un diverso significato, eventualmente anche contrario al diritto vivente, ma conforme al dettato costituzionale.Le sentenze interpretative di accoglimento, invece, le quali sostanzialmente si basano sullo schema di una doppia pronuncia, vengono adottate soprattutto nelle ipotesi in cui si mantenga un diritto vivente difforme a una precedente decisione interpretativa di rigetto.

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Il Presidente seleziona le cause da discutere in ciascuna riunione, sceglie il giudice costituzionale incaricato di riferire su di esse (giudice relatore) e stabilisce il “ruolo” di ogni seduta, cioè l’elenco delle cause da discutere.

Due sono le forme in cui ha luogo la trattazione delle cause:•“udienza pubblica”, cioè una riunione aperta al pubblico. nel corso della quale, dopo che il giudice relatore ha illustrato la questione così come proposta, gli avvocati che rappresentano i soggetti intervenuti nel giudizio espongono le loro tesi davanti alla Corte riunita. Al termine dell’udienza pubblica, la Corte si riunisce di nuovo, ma in “camera di consiglio”, senza pubblicità, per deliberare sulla causa.•direttamente in camera di consiglio, senza previa discussione pubblica e sulla base dei soli atti scritti. Si ricorre a questa procedura semplificata generalmente quando non vi sono parti intervenute davanti alla Corte.

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È in camera di consiglio che si svolge la discussione tra i giudici per la decisione delle questioni.La Corte si riunisce in camera di consiglio, di regola, ogni due settimane, in concomitanza con l’udienza pubblica.Si inizia con l’esposizione del relatore e si continua con la discussione, prima sull’ammissibilità stessa e poi sul merito.Quindi intervengono gli altri giudici e per ultimo il Presidente. Il relatore può intervenire a dare risposte a singoli interventi, oppure intervenire soltanto alla fine traendo il risultato della discussione e formulando le sue proposte finali.La prassi della Corte è di decidere sulla proposta finale del relatore.Tutti i giudici presenti alla discussione debbono votare a favore o contro la proposta messa ai voti: non è consentito astenersi.

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La Corte non è una assemblea politica, ma non è neppure un asettico consesso di tecnici che si pronunciano su questioni che interessano solo gli specialisti. I suoi giudici non vengono chiamati a esercitare il loro compito dal voto degli elettori, ma non sono lontani ed estranei alla vita democratica del paese e ai suoi problemi, molti dei quali si manifestano anche come problemi di costituzionalità. E la Costituzione è lo strumento che, nel mutevole volgersi delle decisioni e degli indirizzi politici, e nel permanente rinnovarsi del confronto sociale, serve a mantenere saldi e stabili i riferimenti comuni a tutti, maggioranze e minoranze, necessari per il paese.L’intervento di garanzia della Corte costituzionale non è espressione dunque di un’arbitraria volontà che si impone a tutti ma vale a garantire il rispetto, da parte di chi forma e applica la legge, dei confini oltre i quali tale saggezza sarebbe perduta. Nel continuo e mutevole confronto nei vari ambiti della giurisprudenza, della politica, della cultura e della società, la giustizia costituzionale rappresenta una espressione fondamentale dello spirito e degli ideali che il nostro Paese si è dato con la Costituzione.

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Realizzazione a cura di:

Basile MartinaBastianon FedericoBincoletto GiorgiaCarozzi FrancescaDal Pozzo Martina

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Mattiuzzo GabrielePezzato Mattia

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Rusalem LucaScinni Alessandra

Vendrame ValentinaVidotto Luca

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Zaniol Giovanni