L’ufficio CAMBIA - WordPress.com · rebbe guadagnare alle nostre aziende 27 miliardi in più (la...

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Foto di Nicole England DCASA NOVEMBRE 2013 49 NUOVI HABITAT L’UFFICIO CAMBIA Un ufficio-casa fa stare meglio chi ci lavora e fa guadagnare di più le aziende. Ma per averlo in Italia, dobbiamo aspettare una nuova generazione di manager di Laura Traldi

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DCASA NOVEMBRE 2013 49

NUOVI HABITAT

L’ufficio CAMBIA

Un ufficio-casa fa stare meglio

chi ci lavora e fa guadagnare

di più le aziende. Ma per averlo in Italia, dobbiamo

aspettare una nuova

generazione di manager

di Laura Traldi

50 DCASA NOVEMBRE 2013

Nella storia degli interior per uffici esiste un prima e un dopo Google. Prima, per credere di lavorare in un posto fantastico bastavano

un open space, un Mac e l’illusione del flexi time. Dopo, senza un tavolo da ping pong, uno scivolo, o almeno un palo da pompiere, si pensava immediatamente di aver sbagliato qualcosa nella vita: si-curamente, il datore di lavoro.Sembrano immagini di un tempo lonta-no, quando il lavoro abbondava e ci si poteva permettere di scegliere. La verità, però, è che uno spazio lavorativo ben progettato (soprattutto se non crea solo parchi-gioco ma ambienti davvero ac-coglienti) è ancora più fondamentale in un momento di crisi. Lo dice una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: ripensare gli uffici italiani fa-rebbe guadagnare alle nostre aziende 27 miliardi in più (la produttività media aumenterebbe infatti del 5,5%); e por-terebbe un risparmio di 10 miliardi se si accompagnasse a una politica di flessi-bilità di orario, teleworking e video-con-ferencing. «Si pensava che la filosofia del lavoro=gioco sarebbe finita con l’ar-rivo della crisi. Invece non è stato così», dice Richard Kauntze, capo del British Council for Offices. Dopo le grandi cor-poration che hanno seguito Google (alla Lego di Billund si fanno riunioni seduti per terra, mentre si gioca con i matton-cini; al Crédit Suisse a Zurigo partite di snooker, da Facebook a Palo Alto gare di Ripstick, il nuovo skate a due ruote), «oggi sono le piccole medie imprese, spesso quelle agli albori, guidate da giovanissimi, a investire in uffici meno convenzionali». La ragione? «Anzitutto conviene economicamente: i costi di un’azienda sono per l’85% il personale e per il 15% gli ambienti. E siccome il turnover è un salasso, meglio tenersi le persone strette», dice Kauntze. Ma è an-che una questione di mentalità: «I nativi digitali non identificano il lavoro con un luogo ma con un’attività che possono svolgere ovunque». Se vi chiedete come mai il posto in cui lavorate sembra lonta-no anni luce da questo tipo di pensiero, sappiate che la risposta sta proprio in questa ultima affermazione di Kauntze, cui fa eco una di Mariano Corso dell’Os-servatorio Smart Working del Politecni-co di Milano: «In Italia (al 25esimo posto in Europa su 27 paesi in tema di flessibi-lità sul luogo di lavoro) c’è una normativa

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“Si PENSAVA cHE LA fiLoSofiA DEL WoRK=PLAY SAREBBE fiNiTA coN LA cRiSi. iNVEcE Si è SoLo EVoLuTA iN WoRK=HoME”

L’innovation Park di Horsens, in Danimarca, progetto di C. F. Møller Architects. Sotto, la sala riunioni di Bloomberg a Londra (progetto di Lazerian). Pagina precedente: gli uffici di Clemenger BBDO a Sydney, progetto di Hassell (vincitore del World Architecture Award ’13).

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pesante e restrittiva, una visione miope nelle relazioni industriali e una cultura pesantemente gerarchica. I modelli di lavoro, nelle imprese medio-piccole, sono ancora molto tradizionali». Da noi, insomma, non sono i nativi digitali a fare gli imprenditori ma i loro nonni. È necessario quindi dotarsi di un parco-giochi per far lavorare tutti meglio e per far guadagnare di più la propria azienda? «No», dice Matthre Kobylar, Workplace Strategist del gigante degli interior ame-ricano Gensler. «Direi che il modello del futuro sarà piuttosto quello dell’ufficio-casa: spazi raccolti, silenziosi e perso-nalizzabili dove concentrarsi o parlare in piccoli gruppi in un’atmosfera rilassata. E spazi comuni ma con adeguato isola-mento acustico». Secondo Kobylar, che ha appena terminato uno studio sulla produttività dei lavoratori statunitensi, il più grande mito da sfatare è infatti quello che l’open space favorisca lo scambio: «In America il dilagare di questo genere di uffici ha portato a un crollo della pro-duttività del 6%. Non collaboriamo di più con i colleghi perché ce li abbiamo davanti tutto il giorno. Anzi, è un motivo di stress costante». Jean Nouvel è d’ac-

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cordo. «Viviamo in un mondo troppo grigio», ha detto l’archistar alla presen-tazione del suo concept per l’ufficio del futuro, all’ultimo Salone del Mobile. «Le soluzioni generiche non vanno bene a nessuno, in un ufficio si lavora meglio se parla di noi, come una casa». Gli am-bienti che l’archistar francese ha realiz-zato per mostrare la sua visione, erano accoglienti come un appartamento pa-rigino, come un loft newyorkese o una dimora in riva al mare. «Il migliore brie-fing per un ufficio me l’ha dato Philippe Michel di CLMBBDO», ha detto Nouvel (che per il pubblicitario francese ha di-segnato un edificio con un tetto apribile:

«Quando c’è bel tempo, si lavora fuori»). «Non voleva un edificio del passato né uno del futuro ma un’architettura del presente, piena di tutto quello che può rendere uno spazio piacevole. Non è ne-cessario abbandonare i grattacieli e rifu-giarsi al mare per stare bene, basta in-ventarsi spazi impregnati di generosità, che siano ricettacoli degli universi di chi li abita». A volte basta poco. Un divanet-to dove riposarsi in pace (ce l’ha l’agen-zia di comunicazione BBDO di Sydney), pannelli o lampade fono-assorbenti (come quelli di Caimi Brevetti e Luce-plan, che creano oasi di pace negli open space). Da Innocent Drinks a Londra ci sono giardini interni con panchine, da Tetrapak a Modena c’è una biblioteca (dove vige l’obbligo del silenzio). Mentre Francesca Ballini Richards, dello studio di Pr milanese FBR, ha il suo ufficio in una casa-gioiello in un edificio del 1920. Sarà per questo che, quando i ragazzi del web host Rackspace hanno visto che nel progetto per il loro nuovo uffi-cio di Londra c’era uno scivolo, hanno detto: no, grazie. «Tutto quello che vole-vano era una macchina che facesse del buon caffè e dei sofà dove sorseggiarlo in pace», dicono gli architetti dello stu-dio Megan Lovell. E discutere del futuro della rete, sentendosi a casa.

“iNVENTiAMoci SPAZi iMPREGNATi

Di GENERoSiTà cHE PARLiNo

Di cHi Li ABiTA”

La Lego a Billund in Danimarca (progetto di Rosan Bosch & Rune Fjord). Sopra, spazio co-working di i29 per Combiwerk a Delft.