L’ASSEGNO DIVORZILE PUÒ ESSERE RIDOTTO SE LA EX MOGLIE NON VUOLE LAVORARE

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STUDIO LEGALE CECATIELLO Via Carducci, 12 -20123 Milano T +39 02 72022862 F +39 02 89016054 E-mail [email protected] C.F. CCTRND70S12F205P P.IVA 06067090966 www.cecatiello.it [email protected] L’ASSEGNO DIVORZILE PUÒ ESSERE RIDOTTO SE LA EX MOGLIE NON VUOLE LAVORARE La Corte di Cassazione, con la sentenza del 5 febbraio 2024 (Cass. Civ., Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 2546) conferma il principio in base al quale l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio da parte del giudice si scompone in due fasi: la prima orientata alla verifica dell’esistenza del diritto in astratto, e la seconda fondata sulla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati dalla legge. In quest’ultima, deve comunque escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporanea- mente, i parametri legali di riferimento. In tema di determinazione dell’assegno di divorzio, deve pertanto escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall’art. 5, comma 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, ovvero, deve aggiungersi, di tutti tali parametri nella medesima misura. Inoltre, in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall’art. 5, L. 1 di- cembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10, L. 6 marzo 1987, n. 74, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione alla inadeguatezza dei mezzi o all’im- possibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno.

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La Corte di Cassazione, con la sentenza del 5 febbraio 2014 (Cass. Civ., Sez. I, 5 febbraio 2014,n. 2546) conferma il principio in base al quale l’accertamento del diritto all’assegno di divorzioda parte del giudice si scompone in due fasi: la prima orientata alla verifica dell’esistenza deldiritto in astratto, e la seconda fondata sulla determinazione in concreto dell’assegno in basealla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati dalla legge.

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L’ASSEGNO DIVORZILE PUÒ ESSERE RIDOTTO SE LA EX MOGLIE NON VUOLE LAVORARE

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 5 febbraio 2024 (Cass. Civ., Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 2546) conferma il principio in base al quale l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio da parte del giudice si scompone in due fasi: la prima orientata alla verifica dell’esistenza del diritto in astratto, e la seconda fondata sulla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati dalla legge.

In quest’ultima, deve comunque escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporanea-mente, i parametri legali di riferimento. In tema di determinazione dell’assegno di divorzio, deve pertanto escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall’art. 5, comma 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, ovvero, deve aggiungersi, di tutti tali parametri nella medesima misura.

Inoltre, in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall’art. 5, L. 1 di-cembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10, L. 6 marzo 1987, n. 74, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione alla inadeguatezza dei mezzi o all’im-possibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno.

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Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che quindi agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, e pos-sono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita as-sicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione.

Nella recente sentenza la Cassazione ha ritenuto non censurabile la sentenza impugnata con la quale la corte distrettuale, in parziale riforma della decisione del giudice di primo grado, ave-va rideterminato, riducendolo, l’importo dell’assegno divorzile posto a carico dell’ex marito. Quella che la ricorrente denuncia come motivazione contraddittoria, precisa la sentenza in esa-me, altro non è che appunto la duplice operazione compiuta dalla Corte secondo il richiamato indirizzo giurisprudenziale. Infatti, essa ha dapprima, nell’accertamento dell’an dell’assegno, fatto riferimento alla oggettiva impossibilità, in atto, dell’ex moglie di ricostruire con i suoi propri mezzi il livello di vita pregresso, per le ragioni già indicate; quindi, una volta accertata la sussistenza del diritto in capo alla stessa, il giudice di secondo grado, nella determinazione della misura di tale assegno, ha dato rilievo anche al carattere volontario del mancato reperi-mento da parte dell’ex moglie di una attività lavorativa remunerata sì da consentire al proprio mantenimento: affermazione, quest’ultima, che la Corte ha ritenuto suffragata proprio dal man-cato impegno della donna, nel periodo immediatamente successivo alla separazione -in cui ella aveva un’età che le avrebbe ancora consentito di dedicarsi al lavoro più confacente alle sue possibilità- in alcuna attività retribuita. Resta, dunque, conclude la Cassazione, esclusa ogni contraddittorietà ed insufficienza nella motivazione della sentenza impugnata.In sintesi è rilevante per la quantificazione dell’assegno divorzile la scelta del coniuge di non lavorare.

Armando Cecatiello Avvocato, Milanowww.cecatiello.it