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411 L’ARCHEOLOGIA DEI CASTELLI NORMANNI IN BASILICATA PRIME ACQUISIZIONI E PROBLEMATICA DI INDAGINI di PIERFRANCESCO RESCIO * * Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli. Lo studio sulle tecniche costruttive dei castelli normanni della Basilicata è scaturito da una serie di indagini compa- rate che hanno avuto, come fulcro, il fortuito scavo strati- grafico del castello di Trani (RESCIO 1997). In occasione di queste indagini ci si era accorti che un principio ispiratore nasce dal presupposto che i castelli possono essere consi- derati dei «bacini di deposito intatti» e stratificati che, ana- lizzati in contesti urbani, sono significativi dei livelli di cre- scita e dei suoli d’uso (RESCIO 1999). Per questo motivo in una regione dalla variegata morfologia era possibile effet- tuare una ricerca comparata e sistematica di numerose for- tificazioni, anche se ritenuta, a torto, priva degli antichi nuclei normanni (SANTORO 1994). In effetti, ciò sarebbe vero se finalmente in Basilicata si procedesse con ricerche com- parate (CHIESA 1998), che troviamo compiutamente negli unici scavi del Castello di Lagopesole, condotti dall’équipe diretta dal Prof. Paolo Peduto, del centro di Archeologia Medievale “N. Cilento” dell’Università di Salerno (DI MURO et al. 1998). In Basilicata, lo sviluppo di diversi tipi di occupazione del suolo e la concentrazione della popolazione in piccole estensioni di terra (siano esse abitate dall’antichità o fonda- te senza continuità), fece registrare un fenomeno ben più vasto della semplice costruzione dei castelli, ma che trova in essi la massima ed evidente espressione, concludendosi nella formazione delle identità cittadine (per quanto riguar- da l’Italia settentrionale si vedano MANNONI, POLEGGI 1977; SETTIA 1984), che venivano anche fortificandosi una volta costituita una certa estensione di terra (WICKHAM 1985; FELLER 1985; FELLER 1989; NATELLA, PEDUTO 1994; sullo sviluppo di tale fenomeno in Italia centrale ora MARAZZI et al. 2002) ed una certa validità giuridica (GUILLOU 1978; GUILLOU 1980). L’arrivo dei Normanni, nel corso dell’XI secolo, mise in rilievo la concezione del potere territoriale distribuito fra i vari comites, i quali avevano occupato numerose città. Essi fondarono in Campania il loro primo Stato e, guidati dal longobardo Arduino, invasero la Puglia e nel 1043 presero Matera dove elessero a capo della signoria Guglielmo Brac- cio di Ferro. Il valore più importante delle conquiste nor- manne risiede nel peso che già avevano le città meridiona- li; soprattutto in Puglia (MUSCA 1993), ma dal momento in cui Roberto il Guiscardo inizierà a concedere in servitium case e terre agli uomini a lui fedeli, saranno presenti le pri- me fortificazioni. Per individuare, all’interno di un territo- rio o di un insediamento, una residenza fortificata o, in ge- nerale, una specifica fortificazione, è necessario ricercare gli insediamenti che conservano, in qualche modo, struttu- re antiche evidenti e non solo storiche. Ciò serve a com- prendere che uno studio combinato tra più roccaforti non può prescindere dagli stessi insediamenti, dalla loro strut- tura urbanistica, ove sia ravvisabile, dalla loro evoluzione tecnica ed architettonica. La più antica fortificazione di età normanna è caratte- rizzata da un baluardo artificiale di terra con elementi strut- turali in legno, circondato da un fossato. Gli scavi archeo- logici lo hanno documentato a Scribla (Spezzano Albane- se, prov. di Cosenza) e a S. Marco Argentano (probabil- mente solo la base, come anche a Paola), nella Calabria set- tentrionale, a Vaccarizza (Troia, in Capitanata) (MARTIN, NOYÉ 1986; BOUGARD, NOYÉ, HESSE 1988) e anche a Gaudiano presso Lavello (RESCIO 1999, pp. 78-79). In quei luoghi i Normanni edificarono non solo dei presidi difensi- vi, ma anche veri e propri castelli, spesso influenzati dal punto di vista strategico-militare dalle spedizioni crociate (MARINO 1997; COPPOLA 2002). Numerosi abitati possede- vano alte torri su base quadrata che si sono conservate so- prattutto in luoghi dove la conformazione geologica dei siti non permette una semplice sovrapposizione di “strati” ar- cheologici e murature. Seguendo tale metodologia di ricer- ca possiamo affermare che è possibile individuare gli aspetti architettonici convergenti, cioè simili – sebbene in contesti diversi –, delle architetture. Mentre sappiamo che in Inghilterra, Francia e Germania, diversi castelli furono costruiti in legno (HIGHAM, BAR- KER 1995), in Basilicata (così come in Italia meridionale) non abbiamo notizie sulla tecnologia e sulle strutture lignee (COP- POLA 1999). Se volessimo definire una cronologia sommaria delle fortezze, possiamo dire che una prima fase delle torri in pietra (probabilmente quelle che sorsero su motte preesistenti o addirittura su forti romani di pietra o mattoni), abbiamo il torrione isolato o donjon, che trova stringenti affinità con le residenze carolinge del Nord Europa (DECAËNS 1997), e che in Basilicata sembra essere documentato nel torrione del castello di Monteserico (MASINI 1995; PELLETTIERI, MASINI 1996) e nel “primo periodo” (XII secolo) del castello di Monticchio, riferibile appunto all’insediamento normanno vero e pro- prio. A partire dal 1140 circa i Crociati iniziano a costruire numerosi castelli sulle coste del Mediterraneo orientale uti- lizzando il modello di un recinto rettangolare con torri qua- drangolari ai vertici (COPPOLA 2002): lo schema ricalca quel- lo dell’accampamento bizantino o castrum, che successi- vamente avrà diverse forme planimetriche dovute all’oro- grafia del luogo e alle successive manomissioni (FOSS, WINFIELD 1986). Le fortificazioni, di solito intese come un unico evento costruttivo, denotano anche complessi di murature che ren- dono meno agevole l’organizzazione spaziale, poiché nu- merose sono inserite in un ambito urbano. Il modello di castello più complesso, quello del Krak dei Cavalieri (nato come fortezza musulmana e poi conquistato nel XII secolo dai crociati francesi che lo ricostruirono), presentava due linee concentriche di mura ed una stretta entrata protetta da parapetti merlati e feritoie; vi troviamo inoltre le “torri-ca- valiere” (COPPOLA, MARINO 1997), cioè delle torri circolari inserite nei muri a scarpa per impedire che gli eventuali assedianti scavassero dalle fondamenta per farle crollare. Nello stesso periodo, tra il 1196 e il 1198, Riccardo Cuor di Leone costruisce in Francia Chateau-Gaillard, uno dei più potenti dell’epoca che avviò l’uso simultaneo delle difese interne ed esterne (COUTIL 1928); infine, al termine del XII secolo appare in Europa la torre circolare. Solo intorno al 1270 le caditoie rimpiazzano le bertesche in legno. Si tratta di accorgimenti che troviamo tutti, in fasi però più o meno tarde –ma solo di qualche decennio– nei torrioni di Satriano, Brindisi di Montagna, Craco e Grottole (torri quadrangola- ri), Tricarico e S. Mauro Forte (torri circolari con beccatel- li, che non sono di epoca normanna). All’indomani della dominazione bizantina diversi abi- tati fortificati subirono diverse trasformazioni già nell’età sveva. Le ripercussioni di tale importanza sono ravvisabili nel castello antico di San Fele, nella prima fase del castello di Monticchio e nella torre inglobata nel Monastero di S. Ippolito nella stessa Monticchio. Il settore nord del castello antico di San Fele sembra dimostrare il crollo di una parte della montagna con la sua cinta muraria; il castello di Monticchio, che documenta la presenza di strutture abitati- ve, fu restaurato più volte sino al XIV secolo, quando vio- lenti crolli ne occlusero il passaggio anche ai visitatori oc- casionali. Anche ad Uggiano di Ferrandina molte abitazio- ni, realizzate con fondazioni in pietra, sono ricoperte oggi

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L’ARCHEOLOGIADEI CASTELLI NORMANNI IN BASILICATA

PRIME ACQUISIZIONIE PROBLEMATICA DI INDAGINI

diPIERFRANCESCO RESCIO *

* Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli.

Lo studio sulle tecniche costruttive dei castelli normannidella Basilicata è scaturito da una serie di indagini compa-rate che hanno avuto, come fulcro, il fortuito scavo strati-grafico del castello di Trani (RESCIO 1997). In occasione diqueste indagini ci si era accorti che un principio ispiratorenasce dal presupposto che i castelli possono essere consi-derati dei «bacini di deposito intatti» e stratificati che, ana-lizzati in contesti urbani, sono significativi dei livelli di cre-scita e dei suoli d’uso (RESCIO 1999). Per questo motivo inuna regione dalla variegata morfologia era possibile effet-tuare una ricerca comparata e sistematica di numerose for-tificazioni, anche se ritenuta, a torto, priva degli antichinuclei normanni (SANTORO 1994). In effetti, ciò sarebbe verose finalmente in Basilicata si procedesse con ricerche com-parate (CHIESA 1998), che troviamo compiutamente negliunici scavi del Castello di Lagopesole, condotti dall’équipediretta dal Prof. Paolo Peduto, del centro di ArcheologiaMedievale “N. Cilento” dell’Università di Salerno (DI MUROet al. 1998).

In Basilicata, lo sviluppo di diversi tipi di occupazionedel suolo e la concentrazione della popolazione in piccoleestensioni di terra (siano esse abitate dall’antichità o fonda-te senza continuità), fece registrare un fenomeno ben piùvasto della semplice costruzione dei castelli, ma che trovain essi la massima ed evidente espressione, concludendosinella formazione delle identità cittadine (per quanto riguar-da l’Italia settentrionale si vedano MANNONI, POLEGGI 1977;SETTIA 1984), che venivano anche fortificandosi una voltacostituita una certa estensione di terra (WICKHAM 1985;FELLER 1985; FELLER 1989; NATELLA, PEDUTO 1994; sullosviluppo di tale fenomeno in Italia centrale ora MARAZZI etal. 2002) ed una certa validità giuridica (GUILLOU 1978;GUILLOU 1980).

L’arrivo dei Normanni, nel corso dell’XI secolo, misein rilievo la concezione del potere territoriale distribuito frai vari comites, i quali avevano occupato numerose città. Essifondarono in Campania il loro primo Stato e, guidati dallongobardo Arduino, invasero la Puglia e nel 1043 preseroMatera dove elessero a capo della signoria Guglielmo Brac-cio di Ferro. Il valore più importante delle conquiste nor-manne risiede nel peso che già avevano le città meridiona-li; soprattutto in Puglia (MUSCA 1993), ma dal momento incui Roberto il Guiscardo inizierà a concedere in servitiumcase e terre agli uomini a lui fedeli, saranno presenti le pri-me fortificazioni. Per individuare, all’interno di un territo-rio o di un insediamento, una residenza fortificata o, in ge-nerale, una specifica fortificazione, è necessario ricercaregli insediamenti che conservano, in qualche modo, struttu-re antiche evidenti e non solo storiche. Ciò serve a com-prendere che uno studio combinato tra più roccaforti nonpuò prescindere dagli stessi insediamenti, dalla loro strut-tura urbanistica, ove sia ravvisabile, dalla loro evoluzionetecnica ed architettonica.

La più antica fortificazione di età normanna è caratte-rizzata da un baluardo artificiale di terra con elementi strut-turali in legno, circondato da un fossato. Gli scavi archeo-logici lo hanno documentato a Scribla (Spezzano Albane-se, prov. di Cosenza) e a S. Marco Argentano (probabil-mente solo la base, come anche a Paola), nella Calabria set-

tentrionale, a Vaccarizza (Troia, in Capitanata) (MARTIN,NOYÉ 1986; BOUGARD, NOYÉ, HESSE 1988) e anche aGaudiano presso Lavello (RESCIO 1999, pp. 78-79). In queiluoghi i Normanni edificarono non solo dei presidi difensi-vi, ma anche veri e propri castelli, spesso influenzati dalpunto di vista strategico-militare dalle spedizioni crociate(MARINO 1997; COPPOLA 2002). Numerosi abitati possede-vano alte torri su base quadrata che si sono conservate so-prattutto in luoghi dove la conformazione geologica dei sitinon permette una semplice sovrapposizione di “strati” ar-cheologici e murature. Seguendo tale metodologia di ricer-ca possiamo affermare che è possibile individuare gli aspettiarchitettonici convergenti, cioè simili – sebbene in contestidiversi –, delle architetture.

Mentre sappiamo che in Inghilterra, Francia e Germania,diversi castelli furono costruiti in legno (HIGHAM, BAR-KER 1995), in Basilicata (così come in Italia meridionale) nonabbiamo notizie sulla tecnologia e sulle strutture lignee (COP-POLA 1999). Se volessimo definire una cronologia sommariadelle fortezze, possiamo dire che una prima fase delle torri inpietra (probabilmente quelle che sorsero su motte preesistentio addirittura su forti romani di pietra o mattoni), abbiamo iltorrione isolato o donjon, che trova stringenti affinità con leresidenze carolinge del Nord Europa (DECAËNS 1997), e che inBasilicata sembra essere documentato nel torrione del castellodi Monteserico (MASINI 1995; PELLETTIERI, MASINI 1996) e nel“primo periodo” (XII secolo) del castello di Monticchio,riferibile appunto all’insediamento normanno vero e pro-prio. A partire dal 1140 circa i Crociati iniziano a costruirenumerosi castelli sulle coste del Mediterraneo orientale uti-lizzando il modello di un recinto rettangolare con torri qua-drangolari ai vertici (COPPOLA 2002): lo schema ricalca quel-lo dell’accampamento bizantino o castrum, che successi-vamente avrà diverse forme planimetriche dovute all’oro-grafia del luogo e alle successive manomissioni (FOSS,WINFIELD 1986).

Le fortificazioni, di solito intese come un unico eventocostruttivo, denotano anche complessi di murature che ren-dono meno agevole l’organizzazione spaziale, poiché nu-merose sono inserite in un ambito urbano. Il modello dicastello più complesso, quello del Krak dei Cavalieri (natocome fortezza musulmana e poi conquistato nel XII secolodai crociati francesi che lo ricostruirono), presentava duelinee concentriche di mura ed una stretta entrata protetta daparapetti merlati e feritoie; vi troviamo inoltre le “torri-ca-valiere” (COPPOLA, MARINO 1997), cioè delle torri circolariinserite nei muri a scarpa per impedire che gli eventualiassedianti scavassero dalle fondamenta per farle crollare.Nello stesso periodo, tra il 1196 e il 1198, Riccardo Cuor diLeone costruisce in Francia Chateau-Gaillard, uno dei piùpotenti dell’epoca che avviò l’uso simultaneo delle difeseinterne ed esterne (COUTIL 1928); infine, al termine del XIIsecolo appare in Europa la torre circolare. Solo intorno al1270 le caditoie rimpiazzano le bertesche in legno. Si trattadi accorgimenti che troviamo tutti, in fasi però più o menotarde –ma solo di qualche decennio– nei torrioni di Satriano,Brindisi di Montagna, Craco e Grottole (torri quadrangola-ri), Tricarico e S. Mauro Forte (torri circolari con beccatel-li, che non sono di epoca normanna).

All’indomani della dominazione bizantina diversi abi-tati fortificati subirono diverse trasformazioni già nell’etàsveva. Le ripercussioni di tale importanza sono ravvisabilinel castello antico di San Fele, nella prima fase del castellodi Monticchio e nella torre inglobata nel Monastero di S.Ippolito nella stessa Monticchio. Il settore nord del castelloantico di San Fele sembra dimostrare il crollo di una partedella montagna con la sua cinta muraria; il castello diMonticchio, che documenta la presenza di strutture abitati-ve, fu restaurato più volte sino al XIV secolo, quando vio-lenti crolli ne occlusero il passaggio anche ai visitatori oc-casionali. Anche ad Uggiano di Ferrandina molte abitazio-ni, realizzate con fondazioni in pietra, sono ricoperte oggi

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da terra argillosa e si trovano su un pendio che certamenteera meno ripido (RESCIO 1999, pp. 64-69).

Il sistema castellare non era limitato ad un singolo edi-ficio in rappresentanza di un singolo abitato, ma faceva partedi un sistema difensivo a scala territoriale, così da creareuna rete che copriva tutto il territorio. In esso, diviso perzone altimetriche, è possibile ricostruire quali erano alcunidei collegamenti visivi tra edifici fortificati. La fascia cen-trale di territorio lucano compresa tra la Valle del FiumeAgri e quella del Fiume Basento era collegata visivamenteda Brindisi di Montagna e Pietrapertosa, che erano a con-trollo sia dei paesi del versante opposto del fiume Basento(come Vaglio ed Albano), e sia con quelli appartenenti alsuo stesso versante, come Anzi, che a sua volta comunicavacon Castelmezzano e Pietrapertosa attraverso dei tratturi.La Basilicata settentrionale, attraverso l’Ofanto, collegavaMelfi alla regione del Vulture e di qui all’Irpinia ed allapiana di Foggia, in Puglia. La vallata del Sinni e dell’Agri,a partire dallo Jonio, era in collegamento con il versantetirrenico che conduceva sia in Campania e sulle alture dellaCalabria, dove sono riscontrate forti presenze normanne.

I diversi sviluppi della storia della cultura materiale han-no comportato una serie di deduzioni stimolate dal rinveni-mento fortuito dei reperti e dall’intensificarsi di restauri dichiese e castelli. Descrivere, quindi, i dati generali fornen-do un quadro alquanto completo dei castelli scavati ed in-dagati richiede una profonda riflessione e non pone che unavisione problematica del monumento (COMBA, SETTIA 1984).

Una tale classificazione consente una visione generaledell’impiego del materiale da costruzione nella regione. Perquel che riguarda le cave di estrazione, tutti i giacimentimostrano un utilizzo plurisecolare per la presenza, in zona,delle numerose costruzioni a secco del XVII-XVIII secolo.Dall’analisi diretta sul territorio regionale si è riscontrata ladiversità di materiali che caratterizzavano le varie zone, dacollinari a montane a marine; infatti, passando dalla costaJonica si nota la prevalenza dell’uso del mattone, a diffe-renza dell’entroterra regionale, in cui vi è la prevalenza dimateriale lapideo. Mentre in Normandia è stata avanzatal’ipotesi che i Normanni reperivano il loro materiale da cavea cielo aperto e in galleria (COPPOLA 1999), nell’area lucanapare non siano state utilizzate cave di tipo diverso da quellea cielo aperto, cioè in Italia Meridionale non si arrivò maiad utilizzare cave di tipo ipogeo, soprattutto perché le mae-stranze non disponevano della tecnica adatta per adottareuna simile procedura estrattiva. Infatti molto spesso succe-deva che la stessa superficie rocciosa, su cui si costruival’edificio, servisse da cava o da assise di fondazione. Il casodi Satriano dimostra che il materiale lapideo della torre ri-sulta essere estratto da una cava di pietra situata alla basedella costruzione, sul lato dell’ingresso: l’estrazione delmateriale ha determinato un fossato su medesimo lato. Nel-l’area di Melfi sono state riscontrate cave di pietra in pros-simità del castello, costituite da depositi fluvio-lacustri elacustri, finemente stratificati costituiti da tufiti (come nel-la località Torre degli Embrici a Rionero) con intercalazio-ni di tufi subaerei di materiali sabbioso-conglomeratici, adelementi vulcanici e sedimentari. A Rapolla, Ginestra e Ruotivi sono cave di pietra del complesso degli argilloscistivaricolori, mentre a sud, nell’area di Stigliano e Craco, tro-viamo giacimenti e cave di arenarie quarzose, di colore gri-giastro e giallo-rossastro, quarzoareniti molto dure. Sul Vul-ture, fra Ripacandida e Rionero, sussistono cave di tufi scuri

subaerei, di colore variabile dal grigio al bruno scuro condepositi a carattere pozzolanico; a Castelmezzano,Pietrapertosa e Campomaggiore vi sono cave di calcare conargille varicolori arenarie quarzoso-feldspatiche general-mente gradate in banchi e strati; a Grottole, Garaguso e S.Mauro Forte sono state individuate cave di sabbioni calca-rei, in genere scarsamente coerenti, e ciottoli calcarei e cal-careo-marnosi, insieme al cosiddetto “conglomerato diIrsina” (DEL PRETE 1988).

Il tutto veniva accuratamente realizzato con una seriedi rapporti dimensionali che trovano una “convergenza cro-nologica” delle strutture, sia per altezza che spessore dellemurature (Tab. 1).

Medesimo rapporto si potrebbe verificare sulle altre eseriori strutture, una volta che saranno acquisiti tutti i datiche ad esse si riferiscono.

Il castello di Brindisi di Montagna, posto come centrostrategico nel controllo della viabilità sino a Potenza e, ver-so l’interno, con la foresta della Grancìa, era inserito nellaComestabulia di Ruggero di Tricarico.

La fortezza di Brindisi è denominata “di Montagna” giànel 1240, quando risulta appartenere nel 1266 all’angioinoGuidone de Forest insieme alla fortezza di Anzi. L’insedia-mento è accessibile solo da una sentiero ripido sul versantenord-est, nell’ultimo tratto si presenta scavato nella roccia.Di qui si arriva ad un complesso rupestre e, di fronte, allafortezza, a 877 m s.l.m.

La struttura è costituita da tre corpi di fabbrica princi-pali cui si aggiunge un’area rupestre. Il primo costituisce ilmastio centrale vero e proprio, databile alla fine del XII se-colo. Ad esso si aggiunge la struttura palaziale che circondalo stesso mastio composta da una serie di ambienti a piantaquadrilatera e rettangolare che si uniscono alla parte sommi-tale tramite una scala. Essa, in parte ricavata nella roccia are-naria, funge da servizio per accedere ad una torretta-belve-dere o colombaia. Il terzo e forse originario complesso del-l’antica Brindisi di Montagna si trova al di fuori del castelloed è composto da una serie di ambienti rupestri, che avvici-nano l’insediamento a quelli vicini di Castelmezzano ePietrapertosa. Il mastio, che copre circa 96 mq ed ha di-mensioni 18,22×16,5 m, è realizzato in pietra locale.

All’interno, sono evidenti scavi nella roccia utilizzatiper scale di collegamento fra i piani interni ed esterni, ci-sterne ed ambienti rupestri, oltre ad una torre-colombaia,mentre l’ingresso attuale è inesistente, ma è fortificato da-gli spalti rocciosi (MASINI 1994). La fortezza di Castelmez-zano è situata nel suggestivo Parco Regionale di GallipoliCognato e delle Piccole Dolomiti Lucane, a 760 m s.l.m..In epoca normanna risulta essere in possesso di un certoTommaso (JAMISON 1972, § 113 e CUOZZO 1984, passim).

Dopo aver superato un accesso non facile, ci si immettein un vasto ambiente trapezoidale, la cui base maggiore con-serva i tratti murari più cospicui, alti dai 0,60 ai 0,90 metrisul piano attuale. Essi contengono un bacino di depositovalutabile in diverse decine di metri cubi. Nei tratti murarivisibili i conci di pietra sono disposti su letti di posa quasiorizzontali, alternati ad uno strato di malta biancastra, sen-za laterizi, come per Pietrapertosa; essi rivelano un moduloche si avvicina sui 0,60-0,70 metri, simile a quello dellatorre di Pietrapertosa e a quella della “Rabatana” di Tricarico.I campioni sono stati analizzati macroscopicamente e pro-vengono dal muro settentrionale del castello di Pietrapertosa,dove sono presenti fori per travicelli ed arcate del XIV-XV

Tab. 1

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sec., e dalla parte interna del grande muro posto all’ingres-so della fortezza. Il primo campione si riferisce alla crono-logia conosciuta grosso modo in base ai riferimenti archi-tettonici. Esso presenta un colore giallo-beige con inclusisabbiosi e particelle calcaree subarrotondate ed angolari inun impasto grossolano ma compatto; il secondo campioneha una grana fine ed ottimamente setacciata, ma l’impastoè il medesimo poiché si tratta della stessa formazione geo-logica che troviamo a Pietrapertosa. Resta, dunque, diffici-le proporre una datazione se non si provvede ad un’analisipiù dettagliata con esami microscopici ed archeologici.

Vi è una peculiarità che avvicina Castelmezzano aPietrapertosa, e cioè la diversificazione degli ambienti el’uso di impalcati lignei. Sappiamo che lungo gli affiora-menti di roccia si trovano decine di fori, molti di essi alline-ati e tutti disposti ad una certa altezza che alcuni hanno trop-po frettolosamente, interpretato come relitti di una frequen-tazione dell’età del Ferro, il che non è da escludere vista laricchezza di materiale che continua ad affiorare nell’areadel castello di Pietrapertosa. Tuttavia, lungo il muro di re-

cinzione dell’impianto fortificato si notano alcuni fori, per-fettamente circolari, dello spessore di 7-9 cm; essi fannoparte della costruzione, tramite pali, della medesima mura-tura, il che fa pensare che quei luoghi, nel Medioevo ricchidi boschi, fossero ambienti adatti per ricavarvi materiale dacostruzione. Poiché, infatti, numerosi fori sono allineati lun-go le pareti rocciose del castello di Castelmezzano, si puòipotizzare un intero livello superiore (ottenuto con scale epiccoli impalcati) costruito in legno, altrimenti non si spie-gano le ardite scalinate sospese ed irraggiungibili comple-tamente realizzate in rupe. Medesima situazione si riscon-tra in Pietrapertosa, dove i fori di palificazione ricavati nel-la roccia fungono da servizio alla struttura fortificata e nonsono preesistenti, ma anzi posseggono lo stesso diametro diquelli di Castelmezzano.

A ridosso del fiume Cavone, grande corso d’acqua dellaBasilicata centromeridionale, a 391 m s.l.m., si trova l’inse-diamento di Craco, anzi Craco Vecchia, per distinguere ilnuovissimo agglomerato che si estende sulla strada provin-ciale per Pisticci. La nascita di un nuovo insediamento –in

Fig. 1 – Pianta della Basilicata. Gli insediamenti sottolineati conservano donjon normanni.

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mento di Cracum viene documentato per la prima volta nel1060, quando si trova inserito tra quei possedimenti dell’ar-civescovo Arnaldo di Tricarico, ma dovremo attendere il 1154-1168 per conoscere il primo feudatario, un certo Erberto.Ancora, nel 1176-1179 Craco è in mano di Roberto diPietrapertosa, giustiziere regio, che possiede con il collegaFulco di Miglionico una corte con l’assistenza di due giudicidi Montepeloso e del camerario domine florentie (Forenza)egregie comitisse. A questo periodo risale la torre quadran-golare che si erge sull’abitato. Essa, in origine servita da sca-le di legno, all’interno doveva essere organizzata in una seriedi stanze e soppalchi, le cui tracce sono ancora visibili dallepareti esterne. I fori per travicelli (COPPOLA 1996), sono tra ipochi elementi superstiti, insieme con le finestre ad arco acu-to. Queste ultime, in realtà datano la struttura, almeno nellasua “fase” riconoscibile in quanto ad autenticità, alla fine delXII secolo. La torre, di base quadrilatera, ma non riconosci-bile in pianta per superfetazioni, era originariamente cava alpiano terra, ora è di circa due piani fuoriterra (RESCIO 1998)ed è tra le più imponenti torri normanne della Basilicata.

La città di Grottole, situata a 481 m s.l.m., rientra traquegli insediamenti fortificati dai Longobardi del Gastaldatodi Salerno e, intorno all’XI secolo, appartenuti alla Signo-ria di Romano da Matera. Conquistata da Guglielmo Brac-cio di Ferro intorno al 1061, alla fine dello stesso secolorisulta in possesso dei Loffredo di Matera. Nel 1133 diven-ne feudo di Adamo Avenello e, tra il 1150 e il 1168, di Car-bone di Belmonte.

In tutto il periodo intercorso fu probabilmente rimaneg-giata la prima dimora storica di Grottole, ovvero il torrionequadrangolare che si collega ad una imponente strutturapalaziale di rilievo, il cosiddetto Palazzo Baronale.

La torre misura 9,60×8,40 m, si sviluppa su tre livelli perun’altezza di 20,50 m. Ad essa si accede dopo aver superatol’intero centro storico vero e proprio ed un “ponte” o passag-gio stretto che indica, forse, che l’abitato era in parte divisodalla fortificazione per mezzo di un fossato (RESCIO 2001).L’impianto centrale è visibile dall’esterno, dove il torrione con-serva la planimetria quadrangolare, con uno spessore che rag-giunge quasi gli 1,90-2,00 metri. Nel castello vi è un passag-gio obbligato ottenuto da un ingresso con architrave che pro-babilmente distrusse l’originaria scala che guadagnava il veroingresso posto al primo piano, in corrispondenza di quelloodierno. La torre centrale, che rientra nella tipologia delle co-struzioni dell’XI-XII sec. insieme a Brindisi di Montagna,Craco, Monteserico e Satriano, è un ennesimo monumento dietà normanna di particolare valore, di cui la Basilicata è riccain modo singolare rispetto al altre regioni vicine.

Nel centro storico di Melfi il castello conserva un nu-cleo più antico normanno, costituito da un poderoso mastio

realtà diviso in due se comprendiamo il Rione Sant’Angelo–è dovuta agli effetti di una frana di scorrimento che ha costret-to gli abitanti ad abbandonare le proprie case; i primi effetti siscatenarono con un terribile terremoto datato al 1688. Il sito,poiché ubicato su uno sperone di conglomerati ben cementati,trovandosi in una zona di controllo nel passaggio tra l’areametapontina e quelle più interne dolomitiche (Tricarico,Garaguso, Monte Croccia-Cognato), fu rioccupato nel corsodel X sec. da coloni Bizantini a seguito di un vasto programmadi conquista di aree abbandonate nel corso dell’età tardoanticariconquistate dal bosco (GUILLOU 1978). In realtà l’insedia-

Fig. 2 – Brindisi di Montagna (Pz). Torrione normanno, interno.

Fig. 3 – Castelmezzano (Pz).L’abitato medievale e, in alto, ilcastello ricavato in rupe.

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a pianta rettangolare suddiviso in due ambienti, corrispon-dente all’attuale Museo Archeologico Nazionale, con unafase successiva, di età sveva, caratterizzata da tre torri qua-drate poste alle estremità dell’ingresso, i cui cantonali siraccordano con aggiunte posteriori. Un’altra torre era forsesituata nell’angolo ovest.

La collina di Monteserico è indicata dai toponimi piùantichi come Mons Solicola o Sericola già a partire dallametà dell’XI secolo. Essa si riferisce alla località posta a542 m s.l.m. all’estremità di un colle difficilmente raggiun-gibile, lungo il tratto stradario che da Gravina di Puglia con-duce e Genzano e Irsina, l’attuale S.S. 96 bis. Situato nellapiena valle del Bradano, guarda intorno le colline della Mur-gia barese, il sito in età bizantina è stato al centro di unaviabilità che conduceva alla Murgia Barese e si immettevanei territori longobardizzati di Acerenza e, successivamente,alla Comestabulia di Ruggero di Fleming. Le fonti non se-gnalano l’elenco dei feudatari del castello di Monteserico,ma sappiamo che esso, avendo funzioni strategiche, fu og-getto di diverse contese fra Normanni e Bizantini. Qui, infat-ti, si svolsero alcune battaglie ricordate dai cronisti: nel 1041i Normanni stabilirono in Monteserico un acquartieramentodi truppe in attesa dell’attacco finale di Montepeloso (Irsina);la vittoria fu tra le prima che affermarono in campo bellico iNormanni contro i Bizantini.

L’accesso è consentito da un ponte in pietra a schienad’asino e l’antico nucleo, con base quadrangolare pertinen-te il mastio di lato 12,90 m ca.; si erge, più basso, il recinto,seriore, con aggiunte successive che partono dal XV sino alXX secolo. Gli apparecchi murari si presentano in conci la-pidei di calcareniti e ciottoli di fiume; all’interno vi sonocondutture in terracotta.

La torre presenta diverse tecniche costruttive, il che in-dica la necessità di mantenerne la funzione peculiare. Alsuo interno, infatti, sono presenti un forno ed una scala achiocciola tra piano terra e secondo livello, nell’aspetto ti-picamente militare.

L’edificio è costellato da una serie di feritoie lungo iquattro lati, che consentivano la completa difesa del villag-gio, che è rintracciabile dagli affioramenti murari e dallefotografie aeree della zona (PELLETTIERI, MASINI 1996).

Pietrapertosa, posta a 1088 m s.l.m., prende il nome dal-l’antica Petraperciata, cioè “forata”, in quanto si sviluppasulle rocce delle Dolomiti Lucane. Il Catalogus Baronumdocumenta un feudatario di Pietrapertosa, Roberto(JAMISON 1972, § 131), e da qui risulta che il feudo, abba-stanza ricco, si fornì presto di una fortificazione che, pro-prio perché arroccata sulle montagne, si è perfettamente con-servata sia nell’architettura che nell’ameno paesaggio.

Il fortilizio conserva un torrione circolare al quale si uni-sce un muro che delimita, all’interno, alcuni ambienti. Il muro

Fig. 5 – Monteserico a Genzano di Lucania (Pz). Il castello con ildonjon.

Fig. 4 – Craco (Mt). L’abitato abbandonato con il torrione nor-manno.

rappresenta, in realtà, una facciata vera e propria realizzatacon corsi di pietra suborizzontali, un tempo probabilmente sti-lati, nella cui malta di allettamento sono presenti alcuni fram-menti ceramici come tegole e coppi; tra le tegole sono ricono-scibili quelle con i margini ricurvi ed incavati, ascrivibili ge-nericamente a partire dal XII sino al pieno XV sec. Non sem-bra, al momento, che tra i componenti della malta vi sianoframmenti ceramici invetriati, fatto che permetterebbe alla strut-tura una datazione ancora più precisa. La caratteristica faccia-ta si presenta come un muro continuo che si unisce da un lato,come si è detto, al torrione circolare, dall’altro alla stessa roc-cia che conduce direttamente al punto più alto dell’insedia-mento. Nel muro sono riconoscibili due finestre rettangolariche ricordano le “batterie” del XV sec., ed ovviamente l’in-gresso, che si attraversa per raggiungere il cortile del castello.Esso fu costruito con grossi blocchi che formano un arco atutto sesto, lievemente ribassato. Appena entrati nella fortezzasi notano degli ambienti che si uniscono direttamente alla fac-ciata. Sono riconoscibili almeno due livelli, anche se forse sene deve aggiungere un altro; a partire dal primo piano, infatti,si può notare, in sezione, due vani voltati a botte, i cui muriportanti sembrano essere stati restaurati specialmente nei rin-forzi delle coperture, che oggi appaiono “a terrazzo”.

Al secondo livello, che ad all’altezza di circa 1,70 me-tri presenta un arco di scarico, è visibile l’altro ambienteperfettamente collegato all’impianto originario della fac-ciata; a fianco, inoltre, si notano i resti di un canale in mu-ratura, certamente un canale per le acque meteoriche, cheprosegue in basso dove non è presente alcuna muratura, mase ne seguono le tracce nella roccia. Sembra dunque chiaroche la maggior parte degli interventi di scavo nella vivaroccia debba ascriversi al periodo di costruzione della for-tezza, che così si caratterizza con un torrione circolare edun ambiente rettangolare a più vani sovrapposti, ma dallasemplice planimetria.

Proseguendo verso il “cortile interno” del castello, sonovisibili due settori importanti, quello meridionale dove tut-te le opere sono eseguite in roccia, quello settentrionale dovecorre una struttura muraria lunga, che segue grosso modol’andamento della collina quasi alla stessa isoipsa. Potreb-

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struttivo, con blocchetti calcarei perfettamente disposti sucorsi suborizzontali, ricordano la tecnica assunta nella Tor-re di Satriano, anch’essa riconoscibile dalla presenza di unatorre che sovrasta una città medievale. Nella parte termina-le del pianoro la torre, databile intorno alla fine delXII secolo, è composta da un piano terra dove è ricavatauna grande cisterna, un ingresso al primo piano ed un altroambiente privo di copertura. Si tratta di un vero e propriotorrione normanno, di cui sono visibili sia le merlature chele feritoie lungo i lati, la cui base quadrangolare pare rin-forzata in epoca successiva e nei recenti restauri sia allabase che lungo i cantonali. Tuttavia la costruzione dovevapossedere un altro piano superiore ed un terrazzo con unprobabile camminamento di ronda.

La costruzione dell’edificio è stata ottenuta con l’uti-lizzo di cave in loco, con diversi fronti di attacco, ma co-munque non superiori a 6 m. In corrispondenza dell’ingres-so, alla base della stessa, si trova una cava di pietra che sisviluppa in profondità per 2,8 m, permettendo alla torre diessere difesa da una specie di fossato.

Dagli scavi e dai recuperi fortuiti intorno alla torre pro-vengono alcuni reperti ceramici di notevole fattura: un paiodi fondi di ciotole con croce e quattro punti dipinti in azzur-ro-blu, frammenti di pareti in protomaiolica con foglie di-pinte in graticcio ed un altro fondo di ciotola dipinto in blumarginato in bruno formante un albero stilizzato, oltre avari frammenti di brocche, di metalli e fuseruole, databili alXII e al XIV secolo.

La Normandia, l’Inghilterra e Italia meridionale conob-bero tra il XI e XII secolo il fiorire di un’architettura fortifi-cata normanna quasi del tutto irriconoscibile per l’intero Mez-zogiorno. Tuttavia, nella molteplicità delle fortificazioni, laforma castrale dei Normanni in Basilicata è caratterizzata daedifici a vocazione principalmente militare e strategica, conmuri spessi ed ingresso al primo livello.

I donjon della Basilicata hanno misurazioni più vicineal quadrilatero, ad esclusione della fortezza di Melfi, di im-pianto rettangolare, e sono strettamente assimilabili alle torrinormanne della Calabria, di cui si sta stilando una puntualeclassificazione ed esplorazione (RESCIO C.S.).

Fig. 6 – Pietrapertosa (Pz). Planimetria del castello con il nucleonormanno segnato a tratto pieno, scala 1:500 (ril. P. Rescio).

Fig. 7 – Pietrapertosa (Pz). Rilievo della facciata della fortezza con lebatterie quattrocentesche ricavate nel nucleo normanno (ril. P. Rescio).

10,2 9,6

14

10,5510,65

14,13

9,6 8,4

20,5

10,510,3

13,3 13 12,912

0

5

10

15

20

25

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lunghezza larghezza altezza

Fig. 8 – Schema delle misurazioni effettuate sui donjon normanniin Basilicata.

be essere, in realtà, di un medesimo intervento, ma con al-cuni rifacimenti abbastanza visibili (RESCIO 1999).

Nel centro storico di San Chirico Rapàro si erge unacollina sulla quale si trova un muro rettilineo lungo 7 m,che gli abitanti dicono far parte di una torre. Il modulo co-

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