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La poesia di Eugenio Montale
Vincenzina Guglielmino
“Codesto solo oggi possiamo dir0: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Le raccolte poetiche Anno di pubblicazione
Titolo della raccolta
1925 Ossi di seppia
1929 Le Occasioni
1956 La Bufera e altro
1971 Satura
1973 Diario del ’71 e del ‘72
1980 Altri versi
1986 Diario postumo
Fino al 1971, anno della pubblicazione di Satura, per sua stessa ammissione Montale ci presenta il recto della sua poesia. Da Satura in poi, cambiando lo sCle e l’idea stessa che quesC aveva della sua poesia e del potere salvifico della parola poeCca, si farà sempre più senCre un tono ironico e autoironico. È quello che Montale definì il verso della sua produzione.
Ossi di seppia Montale esordisce con Ossi di Seppia nel 1925, mostrando una formazione in cui confluiscono spinte opposte e cioè: • la prosasCcità e lo sperimentalismo dei crepuscolari (Gozzano, Govoni, Palazzeschi) e
dei vociani (Sbarbaro, Rebora, Boine); • la tendenza al classicismo della “Ronda”. È un libro composito in cui confluisco tendenze di poeCca diverse: 1. quelle dell'avanguardia primonovecentesca crepuscolare ed espressionista; 2. quelle simboliste desunte sia dalla poesia francese sia da quella italiana (da Pascoli e
sopra[u[o da d'Annunzio); 3. quelle della restaurazione anC-‐avanguardista promossa dalla rivista gobe^na “Il
Bare^”, ma anche dal classicismo della “Ronda”. Il 1925 è un periodo di svolta poliCca e culturale: sta morendo la stagione delle avanguardie e si sta affermando, in ogni campo, un ritorno all'ordine. È naturale che si regga su un baricentro precario, so[oposto a spinte contrastanC. Il Ctolo rinvia all'immagine marine degli “ossi di seppia”, già presente nell'Alcyone di d'Annunzio. Essi posso galleggiare felicemente nel mare (simbolo della felicità naturale) oppure essere sba[uC sulla spiaggia come inuCli reli^. La prima possibilità, vagheggiata in Riviere e in alcune poesie più giovanili, risulta sempre più difficile da a[uarsi. Tende ad imporsi, invece, la seconda situazione: come l'osso di seppia ge6ato sulla terra, il poeta è esiliato dal mare, escluso dalla natura e dalla felicità.
Come si vede, i due simboli dominanC sono: 1. Il mare, luogo dell'indifferenziato, di una beaCtudine panica e naturale; 2. la terra, sede della privazione e dell'esilio, ma anche del rapporto sociale, del
sacrificio, del momento eCco. È anche una sorta di “romanzo di formazione”, in cui, al distacco dal mare corrisponde l'acce6azione stoica della terra e della scelta morale. Se la terra è il luogo-‐emblema dei limiC della condizione umana, tu[avia anche su di essa sembrerebbe possibile, di tanto in tanto, una sorta di “miracolo” laico che può concreCzzarsi in incontri rivelatori, in epifanie, in smemoramenC. Ossi di Seppia delinea un percorso: al momento felice dell'incanto – coincidente con l'infanzia e con una adesione panica alla natura – è seguito il disincanto della maturità. All'uomo non resta che acce[are la vita su una terra desolata e su un universo disgregato e franante; ma deve acce[arla “senza viltà”. La poesia degli Ossi di Seppia è una poesia anC-‐eloquente e in negaCvo: • non ha nessuna verità o certezza da rivelare, • si limita a registrare la profonda angoscia del poeta, la sua “disarmonia” con il
mondo, il suo “male di vivere”, appunto, che trova espressione in celebri metafore. Talvolta si intravede una possibilità di salvezza, una fuga dal dolore e dall'insensatezza della vita, ma è una possibilità suggerita, vaga, dai contorni molto sfumaC. Gli ogge^ poeCci più insistenC sono presi da un paesaggio marino assolato, arido, scabro, in cui non è difficile riconoscere la Liguria delle Cinque Terre.
Il poeta, che soffre di questa “disarmonia vitale”, rivolge però uno sguardo parCcolarmente a[ento a ciò che lo circonda: se la realtà osservata si rivela frantumata e sfuggente, il linguaggio poe;co chiamato a rappresentarla deve e può essere, al contrario, preciso ed esa6o. Ogni ogge6o poe;co è designato dalla parola con assoluta precisione, legato ad un solo significato: l'individuazione ne[a conferisce forte evidenza a persone, cose, staC d'animo, creando l'impressione di una poesia ricca di oggeA, i quali, nella memoria del le[ore non si confondono tra loro ma si fissano individualmente con contorni niCdi. Essenziale e non ridondante è il lessico rifuggente dalle genericità. La cara[erisCca preminente della lingua degli Ossi di Seppia è la ricchezza lessicale e tale rimarrà fino a Satura. La sintassi è complessa, ricca di subordinate, di incisi: parCcolarmente frequenC le ipoteCche, che vanno intese come traduzione linguisCca della crisi della coscienza. Le voci rare, ele6e provengono in gran parte dall'immenso serbatoio linguis;co dannunziano in senso sempre an;-‐eroico, an;-‐sublime e con radicale lontananza ideologica. Montale accosta i mo;vi panici a toni poe;ci più dimessi, di origine gozzaniana e crepuscolare, oppure li proie6a su un piano retrospeAvo, elegiaco, trasferendoli nel passato. Montale si pone agli an;podi del vitalismo superomis;co, dell'esteCsmo e del gusto oratorio ed enfaCco Cpici di d'Annunzio, ma capisce anche di dover a[raversare d'Annunzio, la cui esperienza poeCca ha avuto una portata innovaCva straordinaria, sopra[u[o a livello formale.
Il rapporto con d’Annunzio La stagione del disincanto e della maturità implica anche una scelta di poeCca che comporta l’a[raversamento e il superamento della prospe^va simbolisCca e dannunziana. In Ossi di seppia, e sopra[u[o nella sezione inCtolata «Mediterraneo», si svolge un lungo confronto non solo linguisCco e sClisCco, ma anche esistenziale e morale con d’Annunzio. Anche l’Alcyone come Ossi di seppia è un libro marino ma, “l’a[raversamento di d’Annunzio” di cui parla lo stesso Montale a proposito della sua prima raccolta, si conclude con un addio risoluto alle soluzioni umane e ar;s;che del poeta abruzzese. Di qui, a livello di poeCca, la scelta anCdannunziana di «torcere il collo» all’eloquenza, a[raverso la scelta di uno sCle basso e arido che vorrebbe aderire alla realtà delle cose al di là dell’inganno delle convenzioni ideologiche e linguisCche. «D’Annunzio, nella recente tradizione italiana, è un poco come Hugo nella sua posterità francese, da Baudelaire in giù: è presente in tuJ perché ha sperimentato e sfiorato tuMe le possibilità linguis0che e prosodiche del nostro tempo. In questo senso, non aver appreso nulla da lui sarebbe un pessimo segno».
Montale, 1956
I Limoni Ascoltami, i poeC laureaC si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usaC: bossi ligustri o acanC. lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e me[ono negli orC, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghio^te dall'azzurro: più chiaro si ascolta il sussurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in pe[o una dolcezza inquieta. Qui delle diverCte passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni.
Vedi, in quesC silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ulCmo segreto, talora ci si aspe[a di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non Cene, il filo da disbrogliare che finalmente ci me[a nel mezzo di una verità. Lo sguardo fruga d'intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità. Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle ci[à rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case, la luce si fa avara -‐ amara l'anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo dei cuore si sfa, e in pe[o ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.
Non chiederci la parola Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a le[ere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco Perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirC sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirC, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
I Limoni Dichiarazione di poeCca: • rifiuto di una versificazione aulica e sublime, qual è quella ufficiale e tradizionale propria dei «poeC laureaC», fa[a di nobili presenze e di termini selezionaC;
• In favore di una realtà comune, un paesaggio povero e scabro e si esprime in favore di una poesia più concreta, una poesia “delle piccole cose”;
Sulla linea proposta da Pascoli, Montale rifiuta l’uso generico e indeterminato della parola, ma se ne serve per indicare con precisione cose e ogge^ dalla fisionomia ne[amente individuata.
Non chiederci la parola
• La poesia non è in grado di portare ordine nel caos interiore dell’uomo, né di definire ed esprimere con precisione impulsi e senCmenC confusi e contraddi[ori;
• La parola poeCca dovrebbe dare senso, valore, pienezza alla vita, ma il poeta afferma desolatamente che essa non è in grado di svolgere questo compito;
• La parola poeCca non è più, come ritenevano i simbolisC e Ungare^, la formula magica che ci introduce nell’essenza ulCma e segreta della realtà, ma viene rido[a a «qualche storta sillaba e secca come un ramo».
Meriggiare pallido e assorto Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare m entre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia senCre con triste meraviglia com’è tu[a la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bo^glia.
Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina indifferenza: era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Spesso il male di vivere ho incontrato • 2 quarCne di endecasillabi (verso finale 2 se[enari). Rime ABBA CDDA • Perfe[o esempio del “correlaCvo ogge^vo” montaliano, ossia del rapporto che la parola stabilisce con gli ogge^ da essa nominaC: il «male di vivere» non viene evocato a[raverso forme o complemenC di paragone, in senso metaforico o analogico, ma si idenCfica dire[amente con le cose che lo rappresentano.
• In opposizione al «male di vivere» in Montale non può esserci altro bene che un a[eggiamento di distacco e di indifferenza
Meriggiare pallido e assorto Non c’è traccia del panismo dannunziano inteso come immedesimazione e quasi fusione del poeta in una natura miCca. Il quadro pesisCco propone al contrario il moCvo dell’aridità, dominante negli Ossi di seppia, come emblema ogge^vato di una condizione esistenziale desolata. Il paesaggio di Montale non si apre all’uomo, vive in se stesso, nella propria realtà incomunicabile. Ricerca di suoni aspri e stridenC. Enumerazione di una serie di ogge^ che si pongono come “correlaCvi ogge^vu” di una condizione esistenziale ben prima che Montale conoscesse la poesia di Eliot.
Forse un mattino
Forse un ma^no andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco. Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gi[o Alberi case colli per l’inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zi[o Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Le occasioni (1929) Il nuovo libro rifle[e una situazione storica ormai mutata rispe[o a quella delle precedente raccolta. Esso si fa espressione di un'ideologia che oppone alla massificazione dilagan;, i valori elitari di un'aristocrazia dello spirito. Tu[o questo provoca un cambiamento di poe;ca: 1. lo sCle si innalza e si purifica; 2. prevale un monosClismo di matrice petrarchesca anche se con forC infiltrazioni
allegoriche di derivazione dantesca; 3. l'elemento prosasCco e quoCdiano è assai meno presente che negli Ossi. 4. si può parlare di “classicismo modernista”. 5. lo sperimentalismo temaCco e metrico del primo libro viene abbandonato: si
torna ad una metrica più tradizionale (fondata sull'endecasillabo) e all'a[eggiamento consueto del poeta lirico che si rivolge al “tu” della donna amata.
6. si approfondisce il distacco dal simbolismo e diventa più chiara l'opzione a favore di una poesia allegorica.
7. negli Ossi, all'impressionismo figuraCvo, veniva sovrapposto un soprasenso simbolico che lo interpretava. Nelle Occasioni invece, tale dualismo è programmaCcamente abolito. Ora infa^ Montale tende a tacere “l'occasione spinta” – cioè il momento soggeAvo – e limitarsi ad esprimere l'ogge6o.
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Montale avvia nelle Occasioni un confronto ravvicinato con Dante, non limitandosi a riprenderne aspe^ linguisCci e formali, ma derivandone invece alcuni temi fondamentali e la stru[ura dell'allegoria: • trasporta su un piano d'astra[ezza metafisica e di universalità, la propria vicenda biografica e storica riproponendo la stessa alternaCva tra salvezza e condanna e la stessa figura di mediazione (la donna-‐angelo) rispe[o alla Divinità o al Valore;
• riuClizza i termini e i conce^ della religione crisCana all'interno di una nuova cultura del tu[o laica di una nuova religione: quella delle le[ere.
Ne le Occasioni la donna-‐Angelo Clizia, assume le funzioni di una salvifica Beatrice dantesca: le sue apparizioni, che si accompagnano a bagliori e a manifestazioni di luminoso splendore, coincidono con momenC di rivelazione del Valore. In assenza di Clizia, il sogge[o appare frustrato e sconfi[o, rido[o a povera ed impotente pedina travolta sulla scacchiera della storia. Ma quando il sogge[o è risca[ato dalla sua presenza, le sue apparizione sembrano poter risca[are non solo lui, ma l'umanità intera. La poesia delle Occasioni è difficile più che oscura. Trascura di fornire al le[ore i daC sogge^vi e le informazioni che possono chiarire alcuni passaggi. Tu[avia non allude a significaC ulCmi e misteriosi: non tende cioè all'oscurità allusiva della lirica simbolica. La differenza con l'ErmeCsmo, che pure si afferma in quegli anni proprio a Firenze, è ne[a e dichiarata più volte dall'autore.
Con Le Occasioni Montale si cimenta in una poesia alta, aristocra;ca, difficile che sembrerebbe avvicinarlo all'ErmeCsmo, da cui tu[avia si disCngue per il rifiuto del simbolismo e l'adesione, invece, a un allegorismo influenzato dal modello dantesco e dall'insegnamento del poeta inglese T.S. Eliot. Rispe[o agli Ossi permane il moCvo fondamentale della disarmonia e del dolore esistenziale, ma cambiano alcuni elemenC: • il paesaggio non è più quello ligure ma quello toscano e, sopra[u[o, passa in secondo piano lasciando prevalente spazio alla dimensione temporale e memoriale;
• se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un tu generico, ora cerca interlocutori reali, concre; (ma per lo più fisicamente assen;).
• Montale sposta l'a[enzione dall'ogge[o simbolico, che nelle poesia degli Ossi veniva accompagnato dalla spiegazione, a un ogge[o che viene ora presentato in sé stesso, lasciato solo, dopo che è stata cancellata “l'occasione-‐spinta”. Fa[a cadere la componente “descri^va” degli Ossi viene qui mantenuta la sola componente asserCva.
Il nome di Clizia deriva dalla mitologia greca e in parCcolare da un mito ripreso dal poeta Ovidio nelle Metamorfosi . Nel mito Clizia resta sempre fedele al sole, ovvero al dio Apollo, dio della cultura. Il suo simbolo è il girasole, che si svolge sempre verso il sole, ovvero verso quel valore supremo della cultura che cara[erizza l'umanesimo fiorenCno degli anni 30 e la stessa ideologia montaliana.
La speranza di pure rivederti La speranza di pure rivederC m’abbandonava; e mi chiesi se questo che mi chiude ogni senso di te, schermo d’immagini, ha i segni della morte o dal passato è in esso, ma distorto e fa[o labile, un tuo barbaglio: (a Modena, tra i porCci, un servo gallonato trascinava due sciacalli al guinzaglio).
Esempio di un’occasione spinta taciuta in poesia. È stato lo stesso poeta a offrirne una spiegazione in un arCcolo desCnato a ge[are luce su un’oscurità lamentata dai criCci cui Montale ricorda che «tra il non capire nulla e il capir troppo c’è una via di mezzo, un juste milieu che i poeC, d’isCnto, rispe[ano più dei loro criCci». L’arCcolo è stato pubblicato sul “Corriere della Sera” del 16 febbraio 1950. La tesCmonianza d’autore ci consente di capire “l’occasione” della poesia (confinata in parentesi)che altrimenC sarebbe rimasta cripCca
«Un pomeriggio d’estate Mirco si trovava a Modena e passeggiava so[o i porCci. Angosciato com’era e sempre assorto nel suo "pensiero dominante" (ecco una "confessione" dell'importanza fondamentale di Leopardi nella poesia di Montale: Il pensiero dominante è un noto canto del recanatese, nota mia), stupiva che la vita gli presentasse come dipinte o rifle[esse su uno schermo tante distrazioni. Era un giorno troppo gaio per un uomo non gaio. Ed ecco apparire a Mirco un vecchio in divisa gallonata che trascinava con una catenella due rilu[anC cuccioli color sciampagna, due cagniuoli che a una prima occhiata non parevano né lupe^, né basso^, né volpini.
Mirco si avvicinò al vecchio e gli chiese: "Che cani sono quesC?" E il vecchio secco e orgoglioso: "Non sono cani, sono sciacalli". (Così pronunciò da buon se[entrionale incolto; e scantonò poi con la sua pariglia). Clizia amava gli animali buffi. Come si sarebbe diverCta a vederli! Pensò Mirco. E da quel giorno non lesse il nome di Modena senza associare quella ci[à all’idea di Clizia e dei due sciacalli. Strana, persistente idea. Che le due besCole fossero inviate da lei, quasi per emanazione? Che fossero un emblema, una citazione occulta, un senhal? O forse erano solo un’allucinazione, i segni premonitori della sua decadenza, della sua fine? Fa^ consimili si ripeterono spesso; non apparvero più sciacalli ma altri strani prodo^ della boîte à surprise (scatola a sorpresa) della vita: cani barboni, scimmie, cive[e sul trespolo, menestrelli, ... E sempre sul vivo della piaga scendeva il lenimento di un balsamo. Una sera Mirco si trovò alcuni versi in testa, prese una maCta e un biglie[o del tranvai (l’unica carta che avesse nel taschino) e scrisse queste righe: "La speranza di pure riveder0 – m’abbandonava; – e mi chiesi se questo che mi chiude – ogni senso di te, schermo d’immagini, – ha i segni della morte o dal passato – è in esso, ma distorto e fa[o labile, – un tuo barbaglio." S’arrestò, cancellò il punto fermo e lo sosCtuì con due punC perché senCva che occorreva un esempio che fosse anche una conclusione. E terminò così: "(a Modena fra i por0ci, – un servo gallonato trascinava – due sciacalli al guinzaglio)". Dove la parentesi voleva isolare l’esempio e suggerire un tono di voce diverso, lo stupore di un ricordi inCmo e lontano. (...) Ho toccato un punto (un punto solo) del problema dell’oscurità o dell’apparente oscurità di certa arte d’oggi: quella che nasce da un’estrema concentrazione e da una confidenza forse eccessiva nella materia tra[ata».
La casa dei doganieri Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’a[ende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al te[o la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resC sola né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende ...) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
TentaCvo fallito di rievocare stabilmente un’immagine ormai inghio^ta dal tempo. Solo il poeta cerca di riafferrare il filo del ricordo mentre la donna è distra[a da altro tempo. Ed è proprio l’assenza della donna il punto di partenza essenziale per il tentaCvo (vano) da parte del poeta di recuperarne in modo saldo il ricordo.
La Bufera e altro (1956) Il registro elevato e il “grande sCle” delle Occasioni sono ancora praCcaC, ma si combinano con esigenze più realis;che e immediate (si avverte, assai remota sullo sfondo, la presenza del Neorealismo). La Bufera e altro raccoglie le poesie scri[e tra il 1940 e il 1954. È il libro più ricco e più maturo ed anche il più drammaCco. Il rapporto criCco e disarmonico con la realtà non viene modificato, ma reso ancora più disperato dall'irrompere di un evento drammaCco: quello della seconda guerra mondiale (di cui si avevano foschi presagi nelle ulCme poesie delle Occasioni). Per la prima volta la Storia entra con tragica violenza nella poesia montaliana e la guerra diventa lo sfondo cupo delle liriche di Finisterre. La guerra non provoca una nuova visione della realtà da parte del poeta, ma semplicemente conferma e accentua il rapporto criCco e disarmonico con essa, concepita come “assurda, irrazionale ed ininterpretabile”. Il tema dei morC, di parziale ascendenza pascoliana, ha grande spazio nella raccolta. L'a[enzione poeCca di Montale rimane dunque legata saldamente alla permanente condizione umana, prima e più che agli evenC storici. Se si ecce[ua la prima sezione inCtolata Finisterre, si segnalano: • l'abbandono del tendenziale monolinguismo della precedente raccolta in favore del plurilinguismo, anche se permane un forte controllo e un rigoroso monosClismo di Cmbro classicisCco;
Il poeta rivela ora una maggiore apertura al realismo e all'immediatezza anche drammaCca delle impressioni. L'allegorismo crisCano, ancora presente nella parte iniziale del libro, entra in crisi nella sezione centrale inCtolata Silvae. I valori eCci e religiosi di Clizia sembrano anacronisCci negli anni della delusione postbellica e dell'affermazione di una società di massa ancora più vasta ed omogenea rispe[a a quella della società fascista. La stessa sopravvivenza della poesia appare in dubbio e Clizia è costre[a ad una fuga, nell'Oltrecielo dei valori, che rievoca quella foscoliana delle Grazie. Al posto delle allegorie umanisCche e crisCane, ormai improponibili, troviamo così allegorie di animali che indicano la strada della salvezza: • non più nella cultura, nell'alto dei valori crisCani della donna Cristofora, • ma in basso, nel mondo degli isCnC e dell'eros, nel fango della vita concreta. Non è pertanto un caso che ad un certo punto la Beatrice lasci il posto ad un anC-‐Beatrice, Volpe, donna assai più concreta e passionale di Clizia. Montale definisce questa figura molto terrestre e immanente, in essa è stata idenCficata la poetessa Maria Luisa Spaziani. Ma alla speranza di una “salvezza per tu^” che questa aveva indicato nel biennio degli entusiasmi poliCci (1945-‐46) segue ora la possibilità di una salvezza soltanto personale o privata. Alla fine, nelle “Conclusioni provvisorie”, prevale la convinzione che la crisi della civiltà occidentale e dei suoi valori sia ormai irreversibile e la stessa poesia appare ormai improponibile. Di qui il silenzio poeCco degli anni 54 e 64 e la scelta del poeta di dedicarsi, in questo decennio, solo alla prosa.
Satura (19571) Dopo il silenzio poeCco durato 10 anni (1954-‐1964), anni in cui aveva ritenuto ormai morta la poesia stessa poiché impossibile in una società in cui dominano il consumismo, la massificazione, l'anonimato, l'informe, lo sCle alto e raffinato viene abbandonato: prevale ora l'aspe6o sa;rico, prosas;co, diaris;co. E' una poesia che ha qualche tra[o di parentela con la poesia provocatoria, ironica e “bassa” dei “Novissimi”, cioè dei poeC della Neoavanguardia (SanguineC e Porta) e, sopra[u[o, dei poeC più giovani che pure si rifacevano al suo insegnamento poeCco, come Sereni. Si passa da: • una poesia sele^va ed esclusiva • a una inclusiva che acce[a ogni Cpo di materiale, anche il più eterogeneo. La poeCca di Satura rappresenta una svolta decisiva, in senso basso, prosasCco, saCrico, “comico”. Nel nuovo libro prevalgono il sarcasmo, l'ironia, la parodia (che assume spesso l'aspe[o di auto parodia), la saCra.