L’OPERA CRISTOLOGICA DI GIANNI ARDE€¦ · ARTE E SPIRITUALITÀ 36 Eco dei Barnabiti 2/2014 P...

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ARTE E SPIRITUALITÀ Eco dei Barnabiti 2/2014 36 P rima di entrare nel vivo del nostro tema, L’opera cri- stologica di Gianni Arde, mi sia consentita una serie di ri- chiami che ci dispongono a coglie- re il linguaggio dell’arte, soprattutto di un’arte che si considera sacra. C’è chi ritiene che essa esprima «l’essenza durevole delle cose» e che sia «sempre una confessione» (Umberto Saba), una manifestazio- ne dell’anima di chi ne è artefice. Per Gibran «è un passo nella cono- scenza verso l’ignoto; un passo che dalla natura va verso l’Infinito». Se- condo Albert Einstein «la cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero e questa è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza». Prima di lui Friedrich Schelling rite- neva «l’arte rappresentazione del- l’infinito nel finito, dell’universale nel particolare, oggettivazione del- l’assoluto nel fenomeno». E infatti «meta suprema dell’arte è di coglie- re l’essenza dell’apparenza» (Ales- sandro Morandotti). Ne segue che l’arte è stata via via considerata «manifestazione della di- vinità immanente» (V. Sgarbi), «par- tecipazione all’opera creatrice di Dio», «ricerca della verità», «profe- zia» e cioè disvelamento e annuncio di realtà profonde, «finestra aperta sul mistero». Per il Vaticano II l’arte sacra «ha relazione con l’infinita bel- lezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo» (Sacrosanctum conci- lium, 122/223). Nel Messaggio agli artisti letto a conclusione del Conci- lio (8 dicembre 1965), i Padri parla- vano degli artisti come degli «inna- morati della bellezza; guardiani della bellezza nel mondo». Benedetto XVI ha definito l’arte «epifania della bel- lezza di Dio». Attraverso l’arte il mondo corporeo si spiritualizza e il mondo spirituale prende corpo. L’arte è come un pon- te tra immanente e trascendente. Il suo linguaggio è fondamentalmente “religioso”, nel senso appunto di re- ligàre, di unire insieme; ma anche nel senso di re-lègere, di rileggere, di consentire una rilettura di realtà e di eventi sottratti alla loro datità imme- diata e spesso opaca. E di più, appro- fondendone ulteriormente il carattere religioso, l’arte favorisce quell’attitu- dine rèligens che è il contrario di nè- gligens. Per i latini, infatti, rèligens esprime la dimensione cultuale e quindi richiama la devozione, il ri- sveglio interiore; mentre nègligens indica all’opposto insensibilità e tra- scuratezza. Quest’insieme di suggestioni avva- lora la definizione dantesca dell’arte come «a Dio quasi nepote». (Inferno XI,105), anche se il sommo Poeta non si riferisce all’arte pittorica o scultoria, ma, come era intesa a suo L’OPERA CRISTOLOGICA DI GIANNI ARDE Alla Galleria San Fedele di Milano si è tenuto un incontro sulla “Cristologia di Gianni Arde” (22 maggio). Giovanni Ardemagni (1937-2007) progettò le stazioni della Via Lucis nel parco della Casa di ritiri di Eupilio. Riportiamo l’intervento di padre Antonio Gentili. Gianni Arde con il santo papa Giovanni Paolo II

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ARTE E SPIRITUALITÀ

Eco dei Barnabiti 2/201436

Prima di entrare nel vivo delnostro tema, L’opera cri-stologica di Gianni Arde,

mi sia consentita una serie di ri-chiami che ci dispongono a coglie-re il linguaggio dell’arte, soprattuttodi un’arte che si considera sacra.C’è chi ritiene che essa esprima«l’essenza durevole delle cose» eche sia «sempre una confessione»(Umberto Saba), una manifestazio-ne dell’anima di chi ne è artefice.

Per Gibran «è un passo nella cono-scenza verso l’ignoto; un passo chedalla natura va verso l’Infinito». Se-condo Albert Einstein «la cosa piùbella che possiamo sperimentare èil mistero e questa è la fonte di ognivera arte e di ogni vera scienza».Prima di lui Friedrich Schelling rite-neva «l’arte rappresentazione del-l’infinito nel finito, dell’universalenel particolare, oggettivazione del -l’assoluto nel fenomeno». E infatti

«meta suprema dell’arte è di coglie-re l’essenza dell’apparenza» (Ales-sandro Morandotti).Ne segue che l’arte è stata via via

considerata «manifestazione della di-vinità immanente» (V. Sgarbi), «par-tecipazione all’opera creatrice diDio», «ricerca della verità», «profe-zia» e cioè disvelamento e annunciodi realtà profonde, «finestra apertasul mistero». Per il Vaticano II l’artesacra «ha relazione con l’infinita bel-lezza divina, che deve essere inqualche modo espressa dalle operedel l’uo mo» (Sacrosanctum conci-lium, 122/223). Nel Messaggio agliartisti letto a conclusione del Conci-lio (8 dicembre 1965), i Padri parla-vano degli artisti come degli «inna-morati della bellezza; guardiani dellabellezza nel mondo». Benedetto XVIha definito l’arte «epifania della bel-lezza di Dio».Attraverso l’arte il mondo corporeo

si spiritualizza e il mondo spiritualeprende corpo. L’arte è come un pon-te tra immanente e trascendente. Ilsuo linguaggio è fondamentalmente“religioso”, nel senso appunto di re-ligàre, di unire insieme; ma anchenel senso di re-lègere, di rileggere, diconsentire una rilettura di realtà e dieventi sottratti alla loro datità imme-diata e spesso opaca. E di più, appro-fondendone ulteriormente il caratterereligioso, l’arte favorisce quell’attitu-dine rèligens che è il contrario di nè-gligens. Per i latini, infatti, rèligensesprime la dimensione cultuale equindi richiama la devozione, il ri-sveglio interiore; mentre nègligensindica all’opposto insensibilità e tra-scuratezza.Quest’insieme di suggestioni avva-

lora la definizione dantesca dell’artecome «a Dio quasi nepote». (InfernoXI,105), anche se il sommo Poetanon si riferisce all’arte pittorica oscultoria, ma, come era intesa a suo

L’OPERA CRISTOLOGICADI GIANNI ARDE

Alla Galleria San Fedele di Milano si è tenuto un incontro sulla “Cristologia di Gianni Arde”(22 maggio). Giovanni Ardemagni (1937-2007) progettò le stazioni della Via Lucis nel parcodella Casa di ritiri di Eupilio. Riportiamo l’intervento di padre Antonio Gentili.

Gianni Arde con il santo papa Giovanni Paolo II

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tempo, all’arte in quanto professionelavorativa (le arti minori e maggiori).In altri termini, se la natura è figlia diDio e l’arte figlia della natura, ne de-riva che l’arte può dirsi in certo mo-do (quasi) nipote di Dio, con ciò sot-tolineando la “parentela” che legal’arte al grande Artefice.Diremo infine che il linguaggio del -

l’arte è simbolico e anche que-st’aspetto ne sottolinea la valenza in-trinsecamente religiosa. Infatti l’espe-rienza religiosa è di sua naturasimbolica, dove “simbolo” indica“presenza nell’assenza”, inquanto ci sollecita a coglieredentro una data realtà, unarealtà più profonda. Soffermia-moci un istante nel considera-re il rilievo che riveste nel-l’esperienza umana il simbolo.Nell’apocrifo Vangelo di Filip-po si legge: «La Verità non èvenuta nuda in questo mon-do, ma in simboli e immagini.Non la si può afferrare in altromodo» (n. 67). E Alano di Lillane riprende l’affermazione conquesto testo: «Omnis mundicreatura / quasi liber et pictura /nobis est in speculum / no-strae vitae; Tutte le creaturedel mondo sono come un libro e un dipinto e costitui-scono uno specchio della no-stra vita».“Simbolo” può essere consi-

derato sinonimo di “mistero”,inteso come un dato esteriorecarico di significati interiori,insondabili e inesprimibili. Èquesto il senso del terminegreco muo o mueo da cui mi-stero. E sappiamo che l’equi-valente latino (e italiano) deltermine greco mistero è sacra-mento. Comprendiamo poicome il “mistero” si disveli achi è “mistico”! Ed è indubbio chel’artista lo sia, quando la sua operane risulta segnata.

«venerabili e sante immagini»

Nella storia millenaria dell’artesacra si è verificato un evento chene ha in qualche modo rivoluziona-to lo statuto, oggi si direbbe il para-digma. Si tratta dell’Incarnazionedel Verbo, per cui la rappresenta-zione del divino non è più un attoidolatrico (si pensi al “Vitello d’oro”

di biblica memoria!), ma il ricono-scimento di un processo che hacondotto la Divinità a impastarsicon l’Umanità, lo Spirito a permea-re la Materia.Se la tradizione ebraica e quella

islamica che ne dipende rifiutanotuttora, in funzione antidolatrica,qualsivoglia rappresentazione deldivino, la tradizione cristiana ne ri-vendica la piena legittimità, a parti-re dalla lotta contro l’iconoclastia.Lo ha riconosciuto l’VIII concilioecumenico, il IV di Costantinopoli

(869-870) nel Canone III, mettendoa paragone parola e immagine, en-trambe rivelate: «Come tutti otte-niamo salvezza dalle parole deiVangeli, allo stesso modo tutti rice-vono beneficio dall’energia iconicadei colori, poiché ciò che la parolaannuncia e rende presente con isuoni, lo stesso disegno annuncia erende presente con i colori». Vaprecisato che il precedente conci-lio ecumenico, il Niceno II del 787aveva legittimato l’uso delle «vene-rabili e sante immagini» a partire

dalla «figura della preziosa e vivifi-ca croce». Alla stessa stregua dellaparola rivelata, l’immagine sacraha una valenza “sacramentale”. In-fatti se l’esistenza dell’icona, ossiadell’immagine sacra, si fonda sul-l’Incarnazione della seconda perso-na della santa Trinità, anche l’In-carnazione a sua volta è affermatae provata dall’immagine. In altreparole, l’icona è una garanzia dellarealtà non illusoria dell’Incarnazio-ne divina. Ecco perché la Chiesasostiene che la negazione dell’ico-

na di Cristo equivale alla ne-gazione della sua incarna-zione, cioè di tutta l’econo-mia della nostra salvezza.Difendendo le immagini sa-cre, la Chiesa non ne difen-de soltanto la funzione di-dattica o il valore estetico; sitratta del fondamento stessodella fede cristiana.

* * *

tra divinizzare l’umanoe umanizzare il divino

Sempre in quest’ottica, main un contesto culturale chesegna un vero salto di qua -lità evolutivo nella conce -zione e nella esplicazionedell’arte sacra, si pongonodue eventi a noi contempo-ranei. Anzitutto la cosiddettasvolta antropologica – peral-tro già annunciata da Picodella Mirandola – per cui ildivino va ricercato nell’uma-no, che ne costituisce loscrigno e la manifestazione.In secondo luogo, la dimen-sione cosmica del Verbo di-vino, peraltro già presente in

Giovanni e in Paolo, là dove ci par-lano del Verbo quale archetipo uni-versale (cf Gv 1,3 e Col 1,16-17). Asimile dimensione accennava, po-tremo dire profeticamente, il bar-nabita Giovanni Semeria (1867-1931), quando scriveva, nelle sueMemorie inedite: «La funzione co-smica del Logos-Gesù non è piùconsiderata nella nostra pietà po-polare; spicca invece la sua fun -zione morale». Così si esprimeva il Giovedì santo del 1906 e non è

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pastorale per il Giubileo, opera di Gianni Arde

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azzardato ritenere che sullo sfondodi simile affermazione vada collo-cato il mistero eucaristico propriodi quella solennità! Nel pane con-sacrato si consuma la “materializ-zazione” del Verbo!Se l’arte cristiana, vittoriosa sul-

l’iconoclastia, ha inteso divinizzarel’umano – basti pensare all’iconogra-fia e al suo canone trasfigurativo deilineamenti umani –, l’arte cristianacontempo ranea si industria nell’uma-nizzare il divino e nel fissarne l’im-patto, si direbbe l’immedesimazionecon la “materia”.Siamo debitori soprattutto al ge-

suita, paleontologo e mistico, Teil-hard de Chardin (1881-1955), del ri-cupero della dimensione cosmicadel Logos-Gesù o, nel suo linguag-gio, del “Cristo cosmico”. Con l’In-carnazione il Verbo si inabissa, siimmerge nella materia fino a lasciar-sene impregnare, per poi emergerecon il suo corpo risorto, primiziadell’umanità nuova nonché dei nuo-vi cieli e della nuova terra. Cometutto ha origine da lui, così tuttoconverge verso di lui. In questo sen-so è l’Alfa e l’Omega! In lui il pro-cesso creativo raggiunge il suo verti-ce e questo non soltanto in terminisalvifici (con la venuta nel mondo

Cristo riscatta la creazione dalla suacaducità), ma ancor prima e ancorpiù come coronamento di un pro-cesso che va da Dio al creato e dalcreato a Dio. Un processo che Teil-hard chiama di “omegalizzazione”.Fra la materia e Cristo – così il cele-bre gesuita – in virtù dell’Incarna-zione vi è una compenetrazione, alpunto che i contorni non sono più

netti: la materia è trasfi-gurata e tutte le sue bel-lezze tendono a lui. Ilsuo volto, il suo corpo,sono posti in relazionecon la materia di cui so-no fatti e ne assumonomovenze e colori. Ed èquanto possiamo ammi-rare nell’opera cristolo-gica di Gianni Arde.Volendo ancora dare

la parola a padre Teil-hard, ci piace riportarequanto scriveva su “epi-fanìa” e “diafanìa”. «Semi è lecito modificareleggermente una parolasacra, diremo che il gran-de mistero del Cristia-nesimo non è esatta-mente la comparsa mala trasparenza di Dionell’universo… Non latua epifania, Gesù, mala tua diafania… la meravigliosa diafaniache, al mio sguardo, hatutto trasfigurato». In

altri termini, attraverso l’Incarna-zione il Verbo di Dio non si è solomanifestato (epifania) al mondo,egli vi abita e vi diventa trasparen-te, diafano, allo sguardo del misti-co penetrato dalla grazia di Dio. Ilmondo diventa quindi l’ambientedivino, il luogo in cui il divino tra-luce attraverso l’umano: la scenaevangelica di riferimento è la Tra-sfigurazione, dove l’umanità di Cri-sto si rende trasparente alla divinitàche l’abita.Possiamo dire, concludendo, che

se la teologia, e cioè il discorso omeglio la percezione del mondo di-vino si traduce nell’opera d’arte, asua volta l’opera d’arte produce teo-logia, ridisegna l’immagine divina.Gianni Arde lo ha espresso con unapittura sgorgata delle profondità delsuo spirito più che elaborata mental-mente. Antonio Fogazzaro ha potutoscrivere in merito che «le sorgentidell’ispirazione artistica sfuggono al-la coscienza stessa dell’artista. Essesi celano in una regione misteriosadello spirito umano… dove giaccio-no tesori di ricordanze oscurate elampeggiano meravigliose facoltà delconoscere».

Antonio Gentili

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raffigurazione della piramide, ripresanelle stazioni della Via Lucis a Eupilio

il Cristo cosmico

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