L’ANTEPRIMA Metti una sera a cena, con 90 figli a · PDF fileÈ in libreria...

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Page 1: L’ANTEPRIMA Metti una sera a cena, con 90 figli a · PDF fileÈ in libreria «Vita morte miracoli. Dialoghi sui temi ultimi» di Stefano Lorenzetto, inviato de «Il Giornale» (Marsilio,

È in libreria «Vita morte miracoli. Dialoghisui temi ultimi» di Stefano Lorenzetto, inviatode «Il Giornale» (Marsilio, 272 pag., 16 euro).Per gentile concessione pubblichiamo unestratto da «Una casa per 32 figli, anzi 82», sul-l’esperienza dei comaschi Erasmo e Innocen-te Figini. Nel libro anche una conversazionecon Carla Porta Musa, 105 anni, scrittrice co-masca.

■ Venne dicembre. La stella cometa pun-tava dritta verso Betlemme, come faceva da1992 anni. Non c’era motivo che cambias-se traiettoria. Invece all’improvviso ebbeun guizzo e andò a posarsi sopra La Brusa-da. Nessuno aveva mai visto prima d’allo-ra sulla collina che sovrasta Como un fuo-co così, più divorante di quello che giusti-ficava il nome della corte seicentesca semi-distrutta in tempi remoti da un incendio.Sarà dunque in questa casa che da 15 annivive la Sacra Famiglia del terzo millennio?Di sicuro è l’unica abitata solo da laici do-ve il vescovo diocesano abbia deciso, am-mirato da tanto mistero, di lasciare persempre in custodia il Santissimo Sacra-mento. Sarà dunque in questi quattro edifi-ci comunicanti fra loro, oggi completamen-te restaurati e arredati con gusto inglese,dove nessuno è padrone di niente e ognu-

no è padrone di tutto, chesi sperimenta un nuovomodello di convivenza de-stinato a salvare il mondo?

In località Madruzza c’èLa Cometa, un labirintoformato da 68 stanze cheprofumano di pulito e dinuovo, dove abitano duefratelli, Erasmo e Innocen-te Figini, 59 e 57 anni. Percarattere non sembranonemmeno parenti. Erasmoil sanguigno, stilista d’in-terni e di tessuti, sposatocon Serena Palomba, un la-

voro part-time nel ramo della seta,ha due figli naturali e sei in affido. Inno-cente il compassato, primario di chirurgiaoftalmica all’ospedale Valduce di Como,sposato con Marina Peschiera, anche leimedico oculista, ha sette figli naturali e seiin affido. In totale fanno 25 persone, per cuichiamarla famiglia allargata sarebbe già ri-duttivo. Per di più, guidati dalla buona stel-la, hanno chiesto di venire ad abitare sottoquesto tetto - un’abitazione privata, bada-te bene, non un istituto - anche Paolo Bin-da, educatore professionale, con la moglieMarilena, due figli naturali e quattro in af-fido, e Lorenzo Livraghi, chirurgo all’ospe-dale di Circolo a Varese, con la moglie Mi-rella, tre figli naturali e due in affido. Altre15 persone. La sera si trovano in 40 a tavo-la tutti insieme nella stessa sala da pranzo.

Il più piccolo dei 32 figli è una bimba:quand’è arrivata aveva appena un mese; ilpiù grande ha 21 anni ed è qui dal ’97. Maagli otto genitori ancora non bastavano. Sene sono presi in affido diurno altri 50, cheogni giorno, finita la scuola, vengono a stu-diare e a fare i compiti assistiti da inse-gnanti e la sera tornano a dormire nelle lo-ro case. Tutti ragazzi alle prese con diffi-coltà a scuola e in famiglia. E siamo a 90persone (...).

Venticinque anni fa Erasmo Figini li de-testava, i figli. Non ne aveva e non volevaaverne. «Io e mia moglie, benché ci fossimosposati davanti al prete per non dare un di-spiacere ai nostri genitori, c’eravamo giura-ti di non farne. L’ho scoperto solo dopo cheun matrimonio celebrato con questa riser-va mentale non è neppure valido per laChiesa. Ma non me ne fregava nulla. A meinteressava solo Serena, lei come donna, lasua bellezza. Viaggi, soldi, dolce vita. Spi-ritualità zero».

E poi che cosa le è successo?

Mio padre Battista è finito in rianimazio-ne per un aneurisma del ventricolo. Primadell’intervento chirurgico ha voluto vede-re uno alla volta i suoi figli: io, Innocentedetto Cente e Maria Grazia. Alla più picco-la ha chiesto se un ragazzo che girava percasa fosse suo moroso o no. Dopodiché hapreso il Vangelo dal comodino e le ha sus-surrato: «Alla fine non ti lascerò nient’altroche la mia fede. Ai tuoi fratelli non direniente, ma vedrai: si convertiranno ancheloro». A me invece ha detto: «Ti affido lamamma, tua sorella e soprattutto il Cente»,sapeva che era scapestrato quanto me,«perché io muoio. Vi lascio la mia fede. Vi-vete in comunione». Sono state le sue ul-time parole. È uscito dalla sala operatoriain coma. Confrontando i racconti dopo ilfunerale, abbiamo scoperto che a tutti ave-va detto la stessa cosa: «Vivete in comunio-ne». Un’espressione priva di senso, per meche ho sempre preso la religione come uninsieme di regole impossibili da rispettare.

Di quali regole parla?«Castità, povertà, obbedienza. Col tempo

ho capito che la più dura è la terza». Inno-

cente: «La religione per noi era un qualco-sa che non aveva nulla di affascinante, chenon c’entrava niente con la vita di tutti igiorni». Erasmo: «Dopo otto anni di matri-monio mi capitò una disgrazia familiare,una di quelle per cui ti interroghi se abbiasenso continuare a vivere. Infatti per qual-che mese provai il desiderio di farla finita,di suicidarmi. Un sabato, su consiglio dimia sorella che aveva aderito a Comunionee liberazione, andai al Palatrussardi adascoltare don Luigi Giussani: nelle sue pa-role trovai la risposta alle mie domande.Contemporaneamente mia moglie scoprìd’avere un nodulo al seno. Mi dissi: potreiperdere questa donna e non mi resterebbeniente di lei. E così nell’81 facemmo il pri-mo figlio. Cinque anni dopo nacque una fi-glia. Quando sperimenti la gratuità, senti ildesiderio di contraccambiare. L’occasioneper farlo si presentò una sera dell’87. Mi te-lefonò don Aldo Fortunato, fondatore del-l’Arca, una comunità di recupero per tossi-comani. Cercava una famiglia che potesseoccuparsi di un bimbo sieropositivo di 6anni. Sua madre era morta di Aids e il pa-

dreera a

sua volta affetto dal virus dell’Hiv. Deci-demmo di prendercelo in casa noi, nono-stante abitassimo in un piccolo apparta-mento in città. Non le dico la levata di scu-di dei parenti: "Siete due pazzi"». Innocen-te: «Si sapeva poco o nulla dell’Aids, inquel periodo. Siccome lavoravo nel repar-to malattie infettive dell’ospedale Sacco diMilano, Erasmo mi pregò di dargli una ma-no».

E lei?«Io ero già entrato in crisi l’estate prima

durante una vacanza con la mia fidanzataalle Seychelles. Svegliandomi una mattinami ero chiesto che cosa mi alzassi dal let-to a fare. E la sera, guardando il tramontosull’oceano, avevo giurato che un’altragiornata così vuota non l’avrei passata maipiù. Tornato a casa, venne a farsi visitare dame padre Augusto Colombo, un missiona-rio di Cantù. «Sto diventando cieco, in In-dia ho perso un occhio per un virus» midisse. Invece si trattava di una banale cata-ratta. Lo operai e tornò a vederci. Scopriicosì che 40 milioni di indiani erano nellesue stesse condizioni. Con mia moglie de-

cidemmo di andare in viaggio di nozze lag-giù, a Warangal, nello Stato di Anda Prade-sh. Tornammo altre volte. Portammo giùmolti colleghi. Col tempo riuscimmo amettere in piedi una clinica. Ma per centociechi operati di cataratta, mille aspettava-no alla porta. Un giorno mi fu presentatauna piccola donna, Madre Teresa di Cal-cutta. Le confidai il mio senso d’impoten-za. Lei mi tranquillizzò: "Non conta quan-ti riesci a guarirne. Conta la testimonianza:adesso sanno che c’è qualcuno a occuparsidi loro"».

Madre Teresa ha segnato il punto disvolta.

«Sì, mi ha lasciato dentro una traccia dibene. Ho cominciato a capire il senso dellaraccomandazione di mio padre sul letto dimorte: "State in comunione". Con Erasmonon ci frequentavamo da anni. Ma entram-bi eravamo alla ricerca di una forma di vitache corrispondesse alle esigenze ultime delnostro cuore. Nel 1990 ci fu offerto di com-prare questo rudere che nessuno voleva. Indue anni l’abbiamo restaurato e siamo ve-nuti a viverci. È cominciato subito un viavai di amici. Gente che arrivava da ogni do-ve a chiedere consiglio. Un giorno ha bus-sato una mamma abbandonata dal maritocon tre figli piccoli. Poteva-mo mandarla via?». Era-smo: «Con le nostre mogliabbiamo capito che cosavolevamo fare della Brusa-da e siamo andati a parlar-ne con don Giussani. Lui ciha detto: "L’importante nonè che facciate un’opera dicarità. Di quelle ce ne sonogià tante. L’importante èche facciate un’opera di co-munione". Lo stesso invitoche nostro padre ci avevalasciato per testamento».

Ma i vostri figli legittimierano d’accordo nell’acco-gliere tutti questi fratelli acquisiti?

«I miei l’hanno presa bene, perché il piùpiccolo è arrivato quando erano piccoli an-che loro». Innocente: «L’unica obiezionem’è venuta dal più grande, che oggi ha 20anni: "Papà, ma perché dobbiamo fare que-sta vita?" Non aveva tutti i torti: era la formadi vita scelta da noi genitori, non dai nostrifigli. Ma sapevamo ancheche era il modo miglioreper educarli. Se mangicon gli altri e dormi congli altri nella stessa ca-mera, resti ancorato allarealtà più che ai sogni.Un giorno s’aggrava lasituazione familiaredi tre ragazzi in affi-do diurno e si pro-spetta la necessitàdi tenerli alla Co-meta. Raduno imiei sette figliper informarli chedobbiamo decidere in qualenucleo andranno, o insieme o divisi.Dopo due giorni il mio primogenito miprende in disparte: "Devo chiedere ungrosso sacrificio a te e alla mamma. So chemi risponderete di no, però vorrei che tut-ti e tre i nuovi arrivati venissero a stare connoi". Senza saperlo, desiderava esatta-mente ciò che desideravamo sua madre eio».

A quanti ragazzi ha fatto da papà fino aoggi?

«Venticinque».Che cosa prova a vederli andarsene do-

po qualche anno?«Un grande dolore. Ma non è un dolore

disperato, perché alla fine capisci che sonoin affido anche i figli naturali (...)».

(In foto: Innocente e Marina Figini)

Il più piccolo dei

32 figli è una

bimba: quand’è

arrivata aveva un

mese; il più

grande ha 21 anni

ed è qui dal ’97

UNA FAMIGLIA SPECIALE

Altri 50 ragazzi

sono in affido

diurno. Finita la

scuola, vengono a

studiare e la sera

tornano a dormire

nelle loro case

L’ANTEPRIMA

Metti una sera a cena, con 90 "figli" a tavolaLa straordinaria esperienza dei fratelli Innocente ed Erasmo Figini, e delle loro famiglie, è narrata nell’ultimo libro di LorenzettoSulle colline di Como, da un quarto di secolo, le porte sono davvero aperte al prossimo più indifeso: bambini e giovani in difficoltà

di Stefano Lorenzetto

In v

etri

na

La locandina tedesca del film«Il nome della rosa» di Jean-

Jacques Annaud (tratto dal li-bro di Eco), interpretato da

Sean Connery

In mostra i "segreti" del «Nome della rosa»■ Manifesti e fotografie di scena, ma anche piani dilavoro, storyboard, oggetti: appartengono tutti alla la-vorazione del «Nome della rosa», il film del 1986 cheil regista Jean Jacques Annaud ricavò dall’omonimobest seller di Umberto Eco, e sono in mostra fino al 30novembre in spazi consoni alla suggestiva ambienta-zione medioevale della storia, che ha al proprio cen-tro la labirintica biblioteca di un monastero. Li accol-gono due spazi espositivi, il Musèe de l’Eveché e lachiesa dei Gesuiti, a Sion, in Svizzera, nel cuore delCanton Vallese, accessibile via Briga. Si tratta di ma-teriali già appartenenti alla raccolta privata del pro-duttore Gérald Morin, che li ha assegnati alla «Fon-dation Fellini pour le cinéma» con il preciso scopo dirivitalizzare una documentazione che alla distanzamostra di costituire parte integrante, non solo dellastoria di un film, ma degli apporti a quella del cine-ma che recano fogli e disegni. Dalle scelte cromatiche

della fotografia di Tonino Delli Colli alle scenografiedi Dante Ferretti, l’esposizione sviscera il divenire diun film che rappresentò una della maggiori produzio-ni degli anni Ottanta, in un certo senso un kolossal,con Sean Connery, grandioso, tra gli interpreti. La cu-riosità e lo studio sono contemperati in una mostranella quale si sente un’eco dell’epoca in cui il film èambientato: ai materiali del film fanno da controcan-to quelli della collezione di manoscritti medioevalidel Capitolo della Cattedrale di Sion, mai esposti pri-ma al pubblico. L’occasione, nonostante il ridottoorario, pomeridiano, di apertura e la chiusura dome-nicale, è notevole, proprio anche per la sintonia sta-bilita tra documenti di così diverse raccolte. Quellidella Collezione Morin sono in realtà sterminati: nel-l’ordine dei 300 mila pezzi, costituiscono un patri-monio documentale di non comune portata, ancheper il rilievo - a cominciare da Fellini - degli autori ci-

nematografici cui si riferisce. Interessato ad evitarnela dispersione, Morin ha cominciato anni fa a depo-sitare i propri fondi nella «Fondation Fellini pour lecinéma», organismo senza fini di lucro costituito aSion, che oggi dispone di 13 mila pezzi, di cui 9 milariguardanti l’opera felliniana (del regista rimineseMorin è stato assistente dal 1971 al 1977), più volteal centro di passate esposizioni che hanno messo inrilievo, attraverso disegni, autografi, corrispondenze,immagini, il lavoro di Fellini in contesti cinemato-grafici disparati (come Venezia sullo schermo in unamostra, nel 1999, che s’intitolava «Venusia», il nomecon cui la città lagunare viene chiamata, invocata, nel«Casanova»). Fondation Fellini, perché Fellini è si-nonimo di cinema, come attesta la mostra in corso,certificando di raccogliere, e rivitalizzare, materialianche di altri autori, di altri grandi film.

Bernardino Marinoni

Domenica28 ottobre 2007

38 CULTURA