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È STATO IL CLAN NUVOLETTA DI MARANO: IL BOSS E I SUOI KILLER CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA Ma la verità emersa dai processi è tutt’altra NAPOLI. Per dovere di cronaca è opportuno precisare che il racconto di Giacomo Cavalcanti pubblicato in questa pagina, che lui dice di aver appreso in carcere dal presunto killer di Giancarlo Siani, contrasta con la verità giudiziaria consacrata in una sentenza definitiva di condanna per mandanti ed esecutori dell’omicidio del giornalista del “Mattino”, avvenuto in piazza Leonardo la sera del 23 settembre del 1985. In verità, la Procura di Napoli inizialmente batte la pista delle cooperative di ex detenuti controllate dal clan Giuliano, e arresta Ciro Giuliano, Giorgio Rubolino e Giuseppe Calcavecchia. I tre vengono però prosciolti e scarcerati, e la pista abbandonata. Dopo anni, grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti, si arriva al processo che porterà alla condanna all’ergastolo per Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante (come mandanti), Ciro Cappuccio e Armando Del Core (come esecutori materiali), e a 28 anni per Ferdinando Cataldo e Gabriele Donnarumma (in qualità di complici nella preparazione dell’omicidio). Secondo le motivazioni della condanna, il boss di Marano ordinò l’omicidio perché il giornalista aveva scritto in un articolo (pubblicato il 10 giugno 1985) che Angelo Nuvoletta si era “venduto” il boss di Torre Annunziata Valentino Gionta, suo alleato, facendolo arrestare mentre si nascondeva nel suo territorio. E questo per cementare una nuova allenza con i Bardellino, rivali dei Gionta. Secondo i pentiti, Nuvoletta decise di eseguire la condanna a morte per non passare per “infame”, anche se lo stesso Gionta si oppose all’omicidio del giornalista e si disse sicuro della fedeltà del suo alleato. IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO DI GIACOMO CAVALCANTI CHE RIVELA UNA VERSIONE DIVERSA DEI FATTI «Da quando ho ucciso Giancarlo...» L’ANTEPRIMA «Da quando ho ucciso Giancarlo non fumo più le Merit!». «Come hai detto?». «Da quando ho ucciso Giancarlo non fumo più le Merit!». «E chi è Giancarlo?». «Giancarlo... il giornalista del “Mattino”». «E tu avresti ucciso Giancarlo, il giornalista del “Mattino”?». «Sì». «E che c'entrano le Merit?». «C'entrano». «Perché c'entrano?». «C'entrano perché su quelle sigarette, sui mozziconi di quelle sigarette, c'è il no- stro Dna!». «Aspetta un attimo, ma ti senti bene? Sei lucido? Mi fai capire che cazzo dici? All'improvviso ti metti a sparare una cazzata simile e pretendi che uno ti capi- sca, ti segua? Sii più chiaro, e se hai voglia di parlare, di confidarti [era chia- ro], fallo! Ma con ordine così magari riesco a seguirti e se è il caso a consigliarti» [ma lui non cercava consigli]. Ero nella prigione di Avellino (Bellizzi Irpino), nel passeggio della prigione, un rettangolo di circa duecento mq, dove per diverse ore al giorno si va avanti e indietro come dei coglioni, e questo per mesi, anni, decine di anni. Ma è anche il luogo dove si passa il tempo chiacchierando, scherzando, fantasticando, con- frontandosi, è il luogo dove si litiga, ci si scanna, si fa sport, si piange e si ride, si odia, si progetta- no vendette, crimini, si pensa ai propri figli, alla propria moglie, alla madre, al padre, alle sorel- le, ai morti ammazzati, a quelli ancora da am- mazzare, al giudice buono, a quello cattivo, al- l'avvocato, alla figa che hai avuto, a quella che vor- resti, a quella che non avrai mai. È un un luogo dove si pensa e dove si impazzisce e dove ci si sfoga quando l'aria nei polmoni fa fatica ad en- trare, perché dentro c'è qualcosa che deve ne- cessariamente uscire, per fare spazio all'aria, l'aria che ti serve per vivere, per andare avanti. «Allora spiegati, parla chiaro e fammi capire, comincia dal principio». «lo e Paoletto, il mio compagno inseparabile, stavamo coi forcellani [dal nome del quartiere Forcella], avevamo aderito al loro sistema, ci occupavamo un po' di tutto. Un giorno il Montone ci chiamò e ci disse che con il Barone, suo cugi- no, dovevamo vedere una persona al Vomero, un infame, un giornalista che sta- va ficcando troppo il naso negli affari della famiglia, per colpa di un altro in- fame, 'o Sllone, questa volta nostro parente ma fuori dal nostro sistema. Così, assieme al Barone andammo al Vomero, facemmo alcuni giri e poi ci fermam- mo in un punto che si prestava bene a quello che dovevamo fare, e iniziò l'at- tesa. Io e Paoletto non facemmo domande né chiedemmo chiarimenti, nean- che quando il Barone fece una strana telefonata; strana perché non voleva far- ci capire con chi parlava né voleva farci capire di non essere tanto sicuro di aver capito il posto a lui indicato da chi stava all'altro capo del filo (a quell'epoca non esistevano i cellulari). Il dialogo si svolse più o meno in questo modo: ...neh Rubol, ma sei sicuro? Il vico quello là... [pausa] ok, ok... francese... [pausa] ...sì, sì... [pausa] ...ok, scoperta, ok, ok... [pausa] ...ciao“. L'attesa durò poco. Vedemmo arrivare un tipo dall'aria semplice, con una mac- china ridicola. Aveva un aspetto da studente, portava una borsa. Capimmo su- bito che era lui ed io e Paoletto ci staccammo dal Barone e lo andammo a guar- dare da vicino, per poterlo memorizzare, anche se con un tipo come quello, che girava con quella macchina, era proprio difficile confondersi. Dopo un paio di giorni venimmo di nuovo convocati dal Montone; c'era pure il Barone. Nel recarci da loro vedemmo uscire dal palazzo un tipo distinto, uno della “Napoli bene“, un “tiratore scelto“ (e non perché sparasse bene, ma so- lo perché dal suo naso erano passati fiumiciattoli di coca). La coca, la “Napoli bene“, le serate eleganti, il giro buono lo avevano fatto entrare nelle grazie del Barone, che aspirava ad allontanarsi dal suo quartiere ed entrare nel giro cosiddetto perbene. Il Barone era un uomo fine, elegante nel vestire e nei mo- di, ma non era stato questo a spianargli la strada, bensì la cocaina. Nelle sue serate con Rubol (il “tiratore scelto“), il Barone poteva dimenticare il portafo- gli o le mutande ma mai il suo “etto di coca“ della migliore qualità. Tutti sape- vano, Barone compreso, che era accettato per il solo fatto che offriva la “roba“ a tutti, la roba che dava gioia, che metteva tutti d'accordo, che dava sballo, e tutto rigorosamente gratis, il che rendeva le serate eccellenti. Era il prezzo che il Barone pagava per uscire dal ghetto di Forcella, illudendo- si, così, di essere un'altra persona. Si sbagliava, ma non lo sapeva o fingeva di non saperlo, per lui andava bene così. L'incontro avvenne in una delle tante case messe a disposizione dal sistema. Sedetevi“, disse il Montone, “vi ho fatto venire perché ci siamo. Dobbiamo dare una lezione al giornalista. Non possiamo farne a meno“. Per noi va bene“, risposi io per entrambi. “Cosa dobbiamo fare e quando?“. Potete farlo anche stasera“. Cosa, con precisione?“. Farlo!“. Ma ci state dicendo di ucciderlo?“. “. Fino a quel momento non avevamo immaginato di dover uccidere. Pensavamo di dovergli dare una lezione, tipo rompergli la testa, sparargli ad una gamba, ma non una cosa del genere; così in alto non si era mai osato nella nostra cit- tà. Non potevamo opporci. Non decidemmo di opporci. Ci sentimmo lusingati. Un incarico importante. Ci esaltammo. Saremmo cresciuti nel sistema. Più soldi. Più rispetto. Più potere. Forse era l'oc- casione che aspettavamo! Avemmo paura. Poi ci passò. Andammo e uccidem- mo. Fuggimmo. Ci nascondemmo e poi ci sentimmo diversi, cresciuti». «E le Merit? Che cazzo c'entrano le Merit in tutto questo ancora devi dirmelo!». «Già, le Merit! Ora ti spiego. È più semplice di quan- to possa sembrare. Mentre aspettavamo che il gior- nalista rincasasse, per nervosismo e per inganna- re l'attesa facemmo la cosa più ovvia: fumammo. Eravamo in due e in più di un'ora fumammo cir- ca quindici sigarette, la maggior parte tutte nello stesso posto. Dopo il botto [la morte del giornali- sta], la gente si ricordò di noi, per quanto avessi- mo cercato di non dare nell'occhio, e gli inquiren- ti raccolsero le cicche su cui c'era il nostro Dna». «E voi come avete saputo che i mozziconi erano nelle mani degli inquircnti?». «Tu non ci crederai, ma non conoscevamo il nome del giornalista fino a che non leggemmo i giornali il giorno dopo; non sapevamo per quale giornale lavoras- se né che cazzo aveva fatto per meritarsi la morte». Era chiaro che per il mio compagno di passeggio ero diventato il suo confessore, mi aveva scelto per sfo- garsi, ma perché? Oramai era un fiume in piena e non c'era più bisogno di fare domande, lui raccontava. «I giorni passavano», continuò, «ma per me e per Paoletto le cose non cambiavano, voglio dire che i soldi erano sempre gli stessi, pochi, mentre loro fa- cevano la bella vita, cambiando e cambiando auto di lusso e moto. Dopo un paio di mesi fummo di nuovo convocati dai due cugini (il Montone e il Barone) e questa volta l'ordine fu di uccidere il loro parente, 'o Sllone. Bi- sognava farlo sotto casa sua, sempre al Vomero, piaz- zetta Immacolata, poco distante dalla casa del gior- nalista, la nostra prima vittima. Ci dissero di uccider- lo, così sarebbe stata eliminata la spia di famiglia. Anche stavolta non ci opponemmo. Ma non ci esaltammo. Non ci illudemmo ed avemmo paura. Ma non lo facemmo capire. Andammo e uccidemmo. Fuggim- mo. Ci nascondemmo e poi ci sentimmo diversi. Ci sentimmo di merda, mano- vrati, uomini a cui si danno ordini e nessuna spiegazione. E allora capimmo di non contare poi tanto, forse addirittura niente. Passarono due settimane e la nostra vita non cambiò. I nostri soldi rimasero gli stessi e rimanemmo gli stessi scagnozzi di prima. così, incazzati neri e consa- pevoli che per noi nulla sabbe cambiato, decidemmo di parlare con il Barone, perché, a differenza del Montone, scorbutico, presuntuoso e violento, con lui si poteva parlare. Senti, Barò, tu lo sai che siamo fedeli, il fegato non ci manca, ma ci sentiamo trattati male, poco considerati, non ci sentiamo stimati e a dire la verità non sap- piamo neppure perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, forse non vi fidate di noi? Per questo non meritiamo spiegazioni?“. No, questo no, non dovete neanche pensarlo. Se la famiglia non si fidasse di UN GIALLO NAPOLETANO. IL RACCONTO-CONFESSIONE: DUE ASSASSI- NI DI CHIAIA, DUE MANDANTI DI FORCELLA, DUE INTERMEDIARI DEI QUARTIERI ALTI voi non vi avrebbe mai affidato un compito così delicato. Le cose non stanno bene, ma appena si aggiusteranno voi sarete i primi a beneficiarne“. Era una grande cazzata, ma in quel momento dovevamo credere in qualcosa, anche perché volevamo uscire da quella situazione che noi stessi avevamo crea- to. Se le cose stanno così, spiegaci almeno il perché“. Va bene, è giusto, questo ve lo devo. Circa un anno fa 'o Sllone entrò in con- tatto con gente del Comune, affaristi che gestivano soldi da destinare a ex de- tenuti per il loro reinserimento sociale. Occorrevano liste di ex detenuti orga- nizzati in gruppi, con un progetto lavorativo, a cui elargire i soldi. Soldi che sta- vano nelle mani di questi signori e aspettavano solo di essere spesi. Le liste oc- correvano, ma le somme da distribuire sarebbero state controllate. Vi spiego: gli ex detenuti chiamati a riempire le liste avrebbero dovuto firmare per aver ricevuto, diciamo, un milione; in realtà a loro sarebbe andato solo il quaranta per cento, mentre il sessanta per cento sarebbe stato diviso tra i signori del Co- mune e il sistema, che aveva il controllo delle liste. Inoltre tutti quelli che en- travano a far parte delle liste dovevano versare il cinque per cento dell'intero importo al sistema. Alla fine tutti ci guadagnarono e almeno in quel momento furono soddisfatti. Gli ex detenuti, ragazzi in difficoltà con vari precedenti penali, ricevettero dal Comune un aiuto economico, ma per questo ringraziarono il sistema, che ac- crebbe il suo potere. I signori del Comune si mise- ro in tasca una tangente milionaria, calcolando che su ogni ex incassarono circa trecentomila lire. Noi ci leccammo le dita: per la prima volta senza col- po ferire e senza rischi avevamo incassato una somma notevole“. A questo punto del racconto il Barone cominciò a mentire, noi lo capimmo perché fino a quel mo- mento, pur avendo fatto parte di quelle liste, non ne avevamo saputo niente. I soldi guadagnati per il bene di tutti“, continuò il Barone, “li abbiamo investiti in un traffico di dro- ga. Ma le cose sono andate male, alcuni viaggi si sono persi [corrieri arresta- ti] e il guadagno che doveva esserci non c'è stato. Siamo stati sfortunati, e tra le persone rimaste male c'era 'o Sllone, il quale, per essere stato colui che ave- va reso materialmente possibile l'affare mettendo in contatto i signori del Co- mune con il sistema di Forella, pretendeva il cin- quanta per cento della quota spettante alla famiglia. Pretesa assurda, impraticabile, poiché lui era uno e la famiglia rappresentava il sistema“. Siccome l'operazione ex detenuti era filata liscia si pensò di ripeterla, stavolta a Torre Annunziata. Così tutti si misero al lavoro, ognuno con il proprio com- pito. Il sistema si sentiva di nuovo baciato dalla for- tuna perché si era assicurato le liste alle stesse con- dizioni nonostante il territorio non fosse controllato da loro. I boss di Forcella si sarebbero recati sul posto a proporre l'affare alle famiglie di Torre Annunziata e, siccome un buon guadagno non si rifiuta mai, tutto sarebbe andato bene e per il sistema sarebbero usci- ti soldi, soldi facili, senza minacce e violenze. Quando gli amici politici avevano avuto l'idea di ri- petere l'perazione ex detenuti, avevano escluso 'o Sllone, e si erano rivolti direttamente al Barone. Ma 'o Sllone, che aveva occhi e orecchie dappertutto, aveva capito che qualcosa bolliva in pentola. Era in- cazzato nero con i parenti che si erano messi in tasca centinaia di milioni la- sciando a lui solo pochi spiccioli. Giurò vendetta e inizio a tramare. La prima mossa fu quella di rintracciare il suo vecchio amico di infanzia, Giancarlo il giornalista, sempre in cerca di una gran- de notizia. Gli parlò e lesse nei suoi occhi l'entusiasmo. Così, insieme, cominciarono a preparare un dossier sullo scandalo avvenuto, ricco di nomi, date, particola- ri. Ma 'o Sllone aveva commesso due errori, uno peggiore dell'altro. Il primo fu quello di credere che il giovane giornalista fosse facilmente mano- vrabile, che potesse controllarlo. Giancarlo non avrebbe mai rinunciato al suo scoop. Ormai aveva quasi terminato le verifiche e lo scandalo sarebbe scop- piato presto. Il secondo errore fu quello di usare il dossier per ricattare i suoi famigliari che lo avevano umiliato. Per cui si presentò dal Montone e dal Barone e commise la madre di tutte le cazzate. Le cose andarono più o meno così: Quello che state organizzando a Torre Annunziata e quello che è stato già fat- to a Napoli è tutto in un dossier di un giornalista. L'ho saputo per caso e per vo- stra fortuna è persona mia. Posso accomodare tutto. Se volete il mio aiuto, pe- rò, dobbiamo rifare i vecchi conti e mi dovete dare quello che mi spetta, poi ci dobbiamo accordare sul nuovo lavoro che senza di me non sarebbe mai nato“. Così facendo decretò la sua morte e quella di Giancarlo, che, ignaro, viveva la sua semplice vita di giovane appassionato. Ma lui 'o Sllone non lo capì e, quan- do se ne accorse, fu troppo tardi. Il sistema, i suoi parenti, tutti accettarono incondizionatamente le sue richieste, anzi andarono oltre, si scusarono. Rifecero tutti i conti e stabilirono quanto gli dovevano e quanto gli avrebbero dato se la seconda operazione fosse andata in porto. Poi avrebbero tirato in ballo la stessa bugia detta ai killer e cioè, che avevano investito la maggior parte dei soldi nel traffico di droga per salire di livello e guadagnare di più ma c'erano state enormi perdite. A garanzia della loro buona fede versarono un piccolo acconto e un bel po' di assegni, carta straccia, che nessuno avrebbe mai incassato. Poi, come l'incantatore fa col suo serpente, riconciliandosi con il parente ribelle, si fecero dire il nome del giornalista. Lo riempirono di belle parole, un brindisi, quattro risate, e sicuramente non fu- marono il calumet della pace, ma qualche tiro di coca lo fecero. Una volta co- nosciuta l'identità di Giancarlo, trovarlo non fu difficile. Il compito fu affidato al “tiratore scel- to“, bene inserito nella “Napoli bene“. A pace fatta il Barone e il Montone si aspettava- no che il dossier fosse bloccato, ma le cose non an- darono così. 'O Sllone cercò di fermare Giancar- lo, ma lui non ne volle sapere, era giovane, sì, ma era un giornalista serio, il suo lavoro non era barattabile. 'O Sllone, disperato, confessò tutto ai suoi parenti. La sua fu una resa mortificante, si umiliò, pianse e si disse pronto a tutto e ricon- segnò pure gli assegni e il misero anticipo. Ma questa eventualità era stata già calcolata dal sistema che, giocando d'anticipo, aveva già rintracciato il giornalista. Bisognava però agire in fretta se non vole- vano far scoppiare lo scandalo. Fu per questo che da Forcella partirono i killer per uccidere il giovane Giancarlo. L'omicidio fece molto scalpore, mai si era osato tanto. Ci furono gravi riper- cussioni. Gli inquirenti arrivarono molto vicino alla soluzione del caso, poi al- l'improvviso si allontanarono dalla verità. Per sempre. Una sera di pochi mesi dopo, ma davvero pochi, 'o Sllone capì che stava per mo- rire per mano dei suoi parenti per tutto quello che aveva creduto di fare, e mo- rì deluso di se stesso, un attimo prima che lo uccidessero i colpi di pistola». Rimasi sgomento e feci fatica a riprendere la parola, ero stato troppo tempo in silenzio, attento ad ascoltare senza perdermi nulla, neppure un accento, di quel- l’interminabile storia di fatti criminali inediti, raccontatami per puro caso da un giovane killer deluso prima di tutto da se stesso e poi da quel sistema in cui aveva militato, credendo di diventare chissà chi, mentre era rimasto un illustre signor nessuno, con difficoltà economiche, un amico (Paoletto) ucciso per ven- detta trasversale dai nemici del sistema a cui non si sentiva più legato, e una fidanzata che ogni settimana andava a trovarlo per amore, ma che puntualmente ogni settimana gli rimproverava, per amore, che l’unica sovvenzione di cui go- deva era la pensione della povera madre, mentre le donne degli altri avevano maggiori possibilità, come era facile capire dagli abiti che indossavano, dalle auto che guidavano e dai pacchi viveri che portavano. Questo lo faceva star male, lo faceva sentire un fallito, gli faceva mancare l’aria tanto da cercare in me una valvola di sfogo. Ora che si era sfogato stava me- glio e mi guardò con un’espressione che non riuscii a capire e che non mi sfor- zai di capire: ormai l’ora d’aria era terminata e dovevamo rientrare. Dopo quella mattina mai più ritornammo sull'argomento. Rimanemmo amici ma il racconto-sfogo non fu mai più ripreso, come se lo avesse rimosso, condizione necessaria per continuare vivere. Passò il tempo e non pensai più al giovane Gian- carlo morto troppo presto, senza un vero perché, anzi un perché c'era... c'era che un figlio di puttana lo aveva messo in mezzo perché i suoi conti non qua- dravano e un gruppo di bastardi lo aveva fatto smettere di campare perché era più semplice ammazzarIo che rinunciare a un buon affare. I soldi, i soldi prima di tutto e tutti... e poi il resto. (pagina a cura di Roberto Paolo) Giancarlo Siani, il giornalista napoletano ucciso a soli 26 anni dalla camorra Il cadavere di Siani, nella sua auto sotto casa in piazza Leonardo al Vomero: era la sera del 23 settembre 1985 Il volume “Viaggio nel silen- zio imperfetto”, edito da Pi- ronti, uscirà la prossima setti- mana. Tra gli altri misteri di cui si narra, c’è quello della morte del giovane giornalista del “Mattino”: uno dei sicari svela al compagno di cella come e perché fu ammazzato La chiave di volta della storia è un faccendiere imparentato con i Giuliano che conosceva il cronista e lo aiutò a raccoglie- re un dossier sugli affari loschi del clan e dei politici del Co- mune di Napoli per mettere le mani sui soldi destinati alle cooperative di ex detenuti Pubblichiamo in anteprima esclusiva il capitolo sulla morte di Giancarlo Siani contenuto nel libro di Giacomo Cavalcanti “Viaggio nel silenzio im- perfetto” (Tullio Pironti editore, presentazione di Samuele Ciambriello, pagg.109, euro 10), in usci- ta la prossima settimana. Nel libro si raccontano delle “verità alternative” anche su altri due mi- steri italiani: l’assassinio del fratello del magi- strato Ferdinando Imposimato e lo stupro e l’omi- cidio di due bambine a Ponticelli. Cavalcanti rac- conta quanto ha appreso dai suoi compagni di cella nei 14 anni di detenzione. In altri capitoli Cavalcanti racconta della sua propria vicenda carceraria e delle sue proposte per rivoluzionare il sistema detentivo delle carceri italiane. Da 20 anni Cavalcanti è un uomo libero, avendo paga- to il suo debito con la giustizia. Vive e lavora a Verona, lontano dagli ambienti della malavita. Di- pinge e scrive poesie e racconti per l’infanzia. Giacomo Cavalcanti, ex detenuto e scrittore PRIMO PIANO 25 lunedì 11 ottobre 2010

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È STATO IL CLAN NUVOLETTA DI MARANO: IL BOSS E I SUOI KILLER CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA

Ma la verità emersa dai processi è tutt’altraNAPOLI. Per dovere di cronaca è opportuno precisare che il raccontodi Giacomo Cavalcanti pubblicato in questa pagina, che lui dice di averappreso in carcere dal presunto killer di Giancarlo Siani, contrastacon la verità giudiziaria consacrata in una sentenza definitiva dicondanna per mandanti ed esecutori dell’omicidio del giornalista del“Mattino”, avvenuto in piazza Leonardo la sera del 23 settembre del1985. In verità, la Procura di Napoli inizialmente batte la pista dellecooperative di ex detenuti controllate dal clan Giuliano, e arresta CiroGiuliano, Giorgio Rubolino e Giuseppe Calcavecchia. I tre vengonoperò prosciolti e scarcerati, e la pista abbandonata. Dopo anni, graziealle dichiarazioni di alcuni pentiti, si arriva al processo che porteràalla condanna all’ergastolo per Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante

(come mandanti), Ciro Cappuccio e Armando Del Core (come esecutorimateriali), e a 28 anni per Ferdinando Cataldo e GabrieleDonnarumma (in qualità di complici nella preparazione dell’omicidio).Secondo le motivazioni della condanna, il boss di Marano ordinòl’omicidio perché il giornalista aveva scritto in un articolo (pubblicatoil 10 giugno 1985) che Angelo Nuvoletta si era “venduto” il boss diTorre Annunziata Valentino Gionta, suo alleato, facendolo arrestarementre si nascondeva nel suo territorio. E questo per cementare unanuova allenza con i Bardellino, rivali dei Gionta. Secondo i pentiti,Nuvoletta decise di eseguire la condanna a morte per non passare per“infame”, anche se lo stesso Gionta si oppose all’omicidio delgiornalista e si disse sicuro della fedeltà del suo alleato.

IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO DI GIACOMO CAVALCANTI CHE RIVELA UNA VERSIONE DIVERSA DEI FATTI

«Da quando ho ucciso Giancarlo...»L’ANTEPRIMA

«Da quando ho ucciso Giancarlo non fumo più le Merit!».«Come hai detto?». «Da quando ho ucciso Giancarlo non fumo più le Merit!».«E chi è Giancarlo?». «Giancarlo... il giornalista del “Mattino”».«E tu avresti ucciso Giancarlo, il giornalista del “Mattino”?».«Sì».«E che c'entrano le Merit?». «C'entrano». «Perché c'entrano?». «C'entrano perché su quelle sigarette, sui mozziconi di quelle sigarette, c'è il no-stro Dna!». «Aspetta un attimo, ma ti senti bene? Sei lucido? Mi fai capire che cazzo dici?All'improvviso ti metti a sparare una cazzata simile e pretendi che uno ti capi-sca, ti segua? Sii più chiaro, e se hai voglia di parlare, di confidarti [era chia-ro], fallo! Ma con ordine così magari riesco a seguirti e se è il caso a consigliarti»[ma lui non cercava consigli]. Ero nella prigione di Avellino (Bellizzi Irpino), nel passeggio della prigione, unrettangolo di circa duecento mq, dove per diverse ore al giorno si va avanti eindietro come dei coglioni, e questo per mesi, anni, decine di anni. Ma è ancheil luogo dove si passa il tempo chiacchierando, scherzando, fantasticando, con-frontandosi, è il luogo dove si litiga, ci si scanna,si fa sport, si piange e si ride, si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa ai propri figli, allapropria moglie, alla madre, al padre, alle sorel-le, ai morti ammazzati, a quelli ancora da am-mazzare, al giudice buono, a quello cattivo, al-l'avvocato, alla figa che hai avuto, a quella che vor-resti, a quella che non avrai mai. È un un luogodove si pensa e dove si impazzisce e dove ci sisfoga quando l'aria nei polmoni fa fatica ad en-trare, perché dentro c'è qualcosa che deve ne-cessariamente uscire, per fare spazio all'aria, l'ariache ti serve per vivere, per andare avanti.

«Allora spiegati, parla chiaro e fammi capire, comincia dal principio». «lo e Paoletto, il mio compagno inseparabile, stavamo coi forcellani [dal nomedel quartiere Forcella], avevamo aderito al loro sistema, ci occupavamo un po'di tutto. Un giorno il Montone ci chiamò e ci disse che con il Barone, suo cugi-no, dovevamo vedere una persona al Vomero, un infame, un giornalista che sta-va ficcando troppo il naso negli affari della famiglia, per colpa di un altro in-fame, 'o Sllone, questa volta nostro parente ma fuori dal nostro sistema. Così,assieme al Barone andammo al Vomero, facemmo alcuni giri e poi ci fermam-mo in un punto che si prestava bene a quello che dovevamo fare, e iniziò l'at-tesa. Io e Paoletto non facemmo domande né chiedemmo chiarimenti, nean-che quando il Barone fece una strana telefonata; strana perché non voleva far-ci capire con chi parlava né voleva farci capire di non essere tanto sicuro di avercapito il posto a lui indicato da chi stava all'altro capo del filo (a quell'epoca nonesistevano i cellulari). Il dialogo si svolse più o meno in questo modo: “...neh Rubol, ma sei sicuro? Il vico quello là... [pausa] ok, ok... francese...[pausa] ...sì, sì... [pausa] ...ok, scoperta, ok, ok... [pausa] ...ciao“. L'attesa durò poco. Vedemmo arrivare un tipo dall'aria semplice, con una mac-china ridicola. Aveva un aspetto da studente, portava una borsa. Capimmo su-bito che era lui ed io e Paoletto ci staccammo dal Barone e lo andammo a guar-dare da vicino, per poterlo memorizzare, anche se con un tipo come quello, chegirava con quella macchina, era proprio difficile confondersi. Dopo un paio di giorni venimmo di nuovo convocati dal Montone; c'era pure ilBarone. Nel recarci da loro vedemmo uscire dal palazzo un tipo distinto, unodella “Napoli bene“, un “tiratore scelto“ (e non perché sparasse bene, ma so-lo perché dal suo naso erano passati fiumiciattoli di coca). La coca, la “Napolibene“, le serate eleganti, il giro buono lo avevano fatto entrare nelle graziedel Barone, che aspirava ad allontanarsi dal suo quartiere ed entrare nel girocosiddetto perbene. Il Barone era un uomo fine, elegante nel vestire e nei mo-di, ma non era stato questo a spianargli la strada, bensì la cocaina. Nelle sueserate con Rubol (il “tiratore scelto“), il Barone poteva dimenticare il portafo-gli o le mutande ma mai il suo “etto di coca“ della migliore qualità. Tutti sape-vano, Barone compreso, che era accettato per il solo fatto che offriva la “roba“a tutti, la roba che dava gioia, che metteva tutti d'accordo, che dava sballo, etutto rigorosamente gratis, il che rendeva le serate eccellenti.

Era il prezzo che il Barone pagava per uscire dal ghetto di Forcella, illudendo-si, così, di essere un'altra persona. Si sbagliava, ma non lo sapeva o fingeva dinon saperlo, per lui andava bene così.L'incontro avvenne in una delle tante case messe a disposizione dal sistema. “Sedetevi“, disse il Montone, “vi ho fatto venire perché ci siamo. Dobbiamodare una lezione al giornalista. Non possiamo farne a meno“. “Per noi va bene“, risposi io per entrambi. “Cosa dobbiamo fare e quando?“. “Potete farlo anche stasera“. “Cosa, con precisione?“. “Farlo!“. “Ma ci state dicendo di ucciderlo?“. “Sì“. Fino a quel momento non avevamo immaginato di dover uccidere. Pensavamodi dovergli dare una lezione, tipo rompergli la testa, sparargli ad una gamba,ma non una cosa del genere; così in alto non si era mai osato nella nostra cit-tà. Non potevamo opporci. Non decidemmo di opporci. Ci sentimmo lusingati. Unincarico importante. Ci esaltammo. Saremmo cresciuti nel sistema. Più soldi. Più rispetto. Più potere. Forse era l'oc-casione che aspettavamo! Avemmo paura. Poi ci passò. Andammo e uccidem-mo. Fuggimmo. Ci nascondemmo e poi ci sentimmo diversi, cresciuti».

«E le Merit? Che cazzo c'entrano le Merit in tuttoquesto ancora devi dirmelo!». «Già, le Merit! Ora ti spiego. È più semplice di quan-to possa sembrare. Mentre aspettavamo che il gior-nalista rincasasse, per nervosismo e per inganna-re l'attesa facemmo la cosa più ovvia: fumammo.Eravamo in due e in più di un'ora fumammo cir-ca quindici sigarette, la maggior parte tutte nellostesso posto. Dopo il botto [la morte del giornali-sta], la gente si ricordò di noi, per quanto avessi-mo cercato di non dare nell'occhio, e gli inquiren-ti raccolsero le cicche su cui c'era il nostro Dna».

«E voi come avete saputo che i mozziconi erano nelle mani degli inquircnti?». «Tu non ci crederai, ma non conoscevamo il nome del giornalista fino a che nonleggemmo i giornali il giorno dopo; non sapevamo per quale giornale lavoras-se né che cazzo aveva fatto per meritarsi la morte». Era chiaro che per il mio compagno di passeggio erodiventato il suo confessore, mi aveva scelto per sfo-garsi, ma perché? Oramai era un fiume in piena enon c'era più bisogno di fare domande, lui raccontava.

«I giorni passavano», continuò, «ma per me e perPaoletto le cose non cambiavano, voglio dire che isoldi erano sempre gli stessi, pochi, mentre loro fa-cevano la bella vita, cambiando e cambiando auto dilusso e moto. Dopo un paio di mesi fummo di nuovo convocati daidue cugini (il Montone e il Barone) e questa voltal'ordine fu di uccidere il loro parente, 'o Sllone. Bi-sognava farlo sotto casa sua, sempre al Vomero, piaz-zetta Immacolata, poco distante dalla casa del gior-nalista, la nostra prima vittima. Ci dissero di uccider-lo, così sarebbe stata eliminata la spia di famiglia. Anche stavolta non ci opponemmo. Ma non ci esaltammo. Non ci illudemmo edavemmo paura. Ma non lo facemmo capire. Andammo e uccidemmo. Fuggim-mo. Ci nascondemmo e poi ci sentimmo diversi. Ci sentimmo di merda, mano-vrati, uomini a cui si danno ordini e nessuna spiegazione. E allora capimmo dinon contare poi tanto, forse addirittura niente. Passarono due settimane e la nostra vita non cambiò. I nostri soldi rimasero glistessi e rimanemmo gli stessi scagnozzi di prima. così, incazzati neri e consa-pevoli che per noi nulla sabbe cambiato, decidemmo di parlare con il Barone,perché, a differenza del Montone, scorbutico, presuntuoso e violento, con lui sipoteva parlare.“Senti, Barò, tu lo sai che siamo fedeli, il fegato non ci manca, ma ci sentiamotrattati male, poco considerati, non ci sentiamo stimati e a dire la verità non sap-piamo neppure perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, forse non vifidate di noi? Per questo non meritiamo spiegazioni?“. “No, questo no, non dovete neanche pensarlo. Se la famiglia non si fidasse di

UN GIALLO NAPOLETANO.IL RACCONTO-CONFESSIONE: DUE ASSASSI-NI DI CHIAIA, DUE MANDANTI DI FORCELLA,DUE INTERMEDIARI DEI QUARTIERI ALTI

voi non vi avrebbe mai affidato un compito così delicato. Le cose non stannobene, ma appena si aggiusteranno voi sarete i primi a beneficiarne“. Era una grande cazzata, ma in quel momento dovevamo credere in qualcosa,anche perché volevamo uscire da quella situazione che noi stessi avevamo crea-to. “Se le cose stanno così, spiegaci almeno il perché“. “Va bene, è giusto, questo ve lo devo. Circa un anno fa 'o Sllone entrò in con-tatto con gente del Comune, affaristi che gestivano soldi da destinare a ex de-tenuti per il loro reinserimento sociale. Occorrevano liste di ex detenuti orga-nizzati in gruppi, con un progetto lavorativo, a cui elargire i soldi. Soldi che sta-vano nelle mani di questi signori e aspettavano solo di essere spesi. Le liste oc-correvano, ma le somme da distribuire sarebbero state controllate. Vi spiego:gli ex detenuti chiamati a riempire le liste avrebbero dovuto firmare per averricevuto, diciamo, un milione; in realtà a loro sarebbe andato solo il quarantaper cento, mentre il sessanta per cento sarebbe stato diviso tra i signori del Co-mune e il sistema, che aveva il controllo delle liste. Inoltre tutti quelli che en-travano a far parte delle liste dovevano versare il cinque per cento dell'interoimporto al sistema. Alla fine tutti ci guadagnarono e almeno in quel momento furono soddisfatti.Gli ex detenuti, ragazzi in difficoltà con vari precedenti penali, ricevettero dalComune un aiuto economico, ma per questo ringraziarono il sistema, che ac-crebbe il suo potere. I signori del Comune si mise-ro in tasca una tangente milionaria, calcolando chesu ogni ex incassarono circa trecentomila lire. Noici leccammo le dita: per la prima volta senza col-po ferire e senza rischi avevamo incassato unasomma notevole“. A questo punto del racconto il Barone cominciò amentire, noi lo capimmo perché fino a quel mo-mento, pur avendo fatto parte di quelle liste, nonne avevamo saputo niente. “I soldi guadagnati per il bene di tutti“, continuò ilBarone, “li abbiamo investiti in un traffico di dro-ga. Ma le cose sono andate male, alcuni viaggi si sono persi [corrieri arresta-ti] e il guadagno che doveva esserci non c'è stato. Siamo stati sfortunati, e trale persone rimaste male c'era 'o Sllone, il quale, per essere stato colui che ave-va reso materialmente possibile l'affare mettendo in contatto i signori del Co-

mune con il sistema di Forella, pretendeva il cin-quanta per cento della quota spettante alla famiglia.Pretesa assurda, impraticabile, poiché lui era uno ela famiglia rappresentava il sistema“. Siccome l'operazione ex detenuti era filata liscia sipensò di ripeterla, stavolta a Torre Annunziata. Cosìtutti si misero al lavoro, ognuno con il proprio com-pito. Il sistema si sentiva di nuovo baciato dalla for-tuna perché si era assicurato le liste alle stesse con-dizioni nonostante il territorio non fosse controllato daloro. I boss di Forcella si sarebbero recati sul posto aproporre l'affare alle famiglie di Torre Annunziata e,siccome un buon guadagno non si rifiuta mai, tuttosarebbe andato bene e per il sistema sarebbero usci-ti soldi, soldi facili, senza minacce e violenze. Quando gli amici politici avevano avuto l'idea di ri-petere l'perazione ex detenuti, avevano escluso 'o

Sllone, e si erano rivolti direttamente al Barone. Ma 'o Sllone, che aveva occhie orecchie dappertutto, aveva capito che qualcosa bolliva in pentola. Era in-cazzato nero con i parenti che si erano messi in tasca centinaia di milioni la-sciando a lui solo pochi spiccioli. Giurò vendetta e inizio a tramare. La prima mossa fu quella di rintracciare il suovecchio amico di infanzia, Giancarlo il giornalista, sempre in cerca di una gran-de notizia. Gli parlò e lesse nei suoi occhi l'entusiasmo. Così, insieme, cominciaronoa preparare un dossier sullo scandalo avvenuto, ricco di nomi, date, particola-ri. Ma 'o Sllone aveva commesso due errori, uno peggiore dell'altro. Il primo fu quello di credere che il giovane giornalista fosse facilmente mano-vrabile, che potesse controllarlo. Giancarlo non avrebbe mai rinunciato al suoscoop. Ormai aveva quasi terminato le verifiche e lo scandalo sarebbe scop-piato presto.Il secondo errore fu quello di usare il dossier per ricattare i suoi famigliari che

lo avevano umiliato. Per cui si presentò dal Montone e dal Barone e commisela madre di tutte le cazzate. Le cose andarono più o meno così: “Quello che state organizzando a Torre Annunziata e quello che è stato già fat-to a Napoli è tutto in un dossier di un giornalista. L'ho saputo per caso e per vo-stra fortuna è persona mia. Posso accomodare tutto. Se volete il mio aiuto, pe-rò, dobbiamo rifare i vecchi conti e mi dovete dare quello che mi spetta, poi cidobbiamo accordare sul nuovo lavoro che senza di me non sarebbe mai nato“. Così facendo decretò la sua morte e quella di Giancarlo, che, ignaro, viveva lasua semplice vita di giovane appassionato. Ma lui 'o Sllone non lo capì e, quan-do se ne accorse, fu troppo tardi. Il sistema, i suoi parenti, tutti accettarono incondizionatamente le sue richieste,anzi andarono oltre, si scusarono. Rifecero tutti i conti e stabilirono quanto glidovevano e quanto gli avrebbero dato se la seconda operazione fosse andatain porto. Poi avrebbero tirato in ballo la stessa bugia detta ai killer e cioè, cheavevano investito la maggior parte dei soldi nel traffico di droga per salire dilivello e guadagnare di più ma c'erano state enormi perdite. A garanzia dellaloro buona fede versarono un piccolo acconto e un bel po' di assegni, cartastraccia, che nessuno avrebbe mai incassato. Poi, come l'incantatore fa col suoserpente, riconciliandosi con il parente ribelle, si fecero dire il nome del giornalista.Lo riempirono di belle parole, un brindisi, quattro risate, e sicuramente non fu-marono il calumet della pace, ma qualche tiro di coca lo fecero. Una volta co-

nosciuta l'identità di Giancarlo, trovarlo non fudifficile. Il compito fu affidato al “tiratore scel-to“, bene inserito nella “Napoli bene“. A pace fatta il Barone e il Montone si aspettava-no che il dossier fosse bloccato, ma le cose non an-darono così. 'O Sllone cercò di fermare Giancar-lo, ma lui non ne volle sapere, era giovane, sì,ma era un giornalista serio, il suo lavoro non erabarattabile. 'O Sllone, disperato, confessò tuttoai suoi parenti. La sua fu una resa mortificante,si umiliò, pianse e si disse pronto a tutto e ricon-segnò pure gli assegni e il misero anticipo. Ma

questa eventualità era stata già calcolata dal sistema che, giocando d'anticipo,aveva già rintracciato il giornalista. Bisognava però agire in fretta se non vole-vano far scoppiare lo scandalo. Fu per questo che da Forcella partirono i killerper uccidere il giovane Giancarlo. L'omicidio fece molto scalpore, mai si era osato tanto. Ci furono gravi riper-cussioni. Gli inquirenti arrivarono molto vicino alla soluzione del caso, poi al-l'improvviso si allontanarono dalla verità. Per sempre. Una sera di pochi mesi dopo, ma davvero pochi, 'o Sllone capì che stava per mo-rire per mano dei suoi parenti per tutto quello che aveva creduto di fare, e mo-rì deluso di se stesso, un attimo prima che lo uccidessero i colpi di pistola».

Rimasi sgomento e feci fatica a riprendere la parola, ero stato troppo tempo insilenzio, attento ad ascoltare senza perdermi nulla, neppure un accento, di quel-l’interminabile storia di fatti criminali inediti, raccontatami per puro caso da ungiovane killer deluso prima di tutto da se stesso e poi da quel sistema in cuiaveva militato, credendo di diventare chissà chi, mentre era rimasto un illustresignor nessuno, con difficoltà economiche, un amico (Paoletto) ucciso per ven-detta trasversale dai nemici del sistema a cui non si sentiva più legato, e unafidanzata che ogni settimana andava a trovarlo per amore, ma che puntualmenteogni settimana gli rimproverava, per amore, che l’unica sovvenzione di cui go-deva era la pensione della povera madre, mentre le donne degli altri avevanomaggiori possibilità, come era facile capire dagli abiti che indossavano, dalleauto che guidavano e dai pacchi viveri che portavano.Questo lo faceva star male, lo faceva sentire un fallito, gli faceva mancare l’ariatanto da cercare in me una valvola di sfogo. Ora che si era sfogato stava me-glio e mi guardò con un’espressione che non riuscii a capire e che non mi sfor-zai di capire: ormai l’ora d’aria era terminata e dovevamo rientrare.Dopo quella mattina mai più ritornammo sull'argomento. Rimanemmo amici mail racconto-sfogo non fu mai più ripreso, come se lo avesse rimosso, condizionenecessaria per continuare vivere. Passò il tempo e non pensai più al giovane Gian-carlo morto troppo presto, senza un vero perché, anzi un perché c'era... c'erache un figlio di puttana lo aveva messo in mezzo perché i suoi conti non qua-dravano e un gruppo di bastardi lo aveva fatto smettere di campare perché erapiù semplice ammazzarIo che rinunciare a un buon affare. I soldi, i soldi primadi tutto e tutti... e poi il resto.

(pagina a cura di Roberto Paolo)

Giancarlo Siani, il giornalista napoletano ucciso a soli 26 anni dalla camorra Il cadavere di Siani, nella sua auto sotto casa in piazza Leonardo al Vomero: era la sera del 23 settembre 1985

Il volume “Viaggio nel silen-zio imperfetto”, edito da Pi-ronti, uscirà la prossima setti-mana. Tra gli altri misteri dicui si narra, c’è quello dellamorte del giovane giornalistadel “Mattino”: uno dei sicarisvela al compagno di cellacome e perché fu ammazzato

La chiave di volta della storiaè un faccendiere imparentatocon i Giuliano che conosceva ilcronista e lo aiutò a raccoglie-re un dossier sugli affari loschidel clan e dei politici del Co-mune di Napoli per mettere lemani sui soldi destinati allecooperative di ex detenuti

Pubblichiamo in anteprima esclusiva il capitolosulla morte di Giancarlo Siani contenuto nel librodi Giacomo Cavalcanti “Viaggio nel silenzio im-perfetto” (Tullio Pironti editore, presentazione diSamuele Ciambriello, pagg.109, euro 10), in usci-ta la prossima settimana. Nel libro si raccontanodelle “verità alternative” anche su altri due mi-steri italiani: l’assassinio del fratello del magi-strato Ferdinando Imposimato e lo stupro e l’omi-cidio di due bambine a Ponticelli. Cavalcanti rac-conta quanto ha appreso dai suoi compagni dicella nei 14 anni di detenzione. In altri capitoliCavalcanti racconta della sua propria vicendacarceraria e delle sue proposte per rivoluzionareil sistema detentivo delle carceri italiane. Da 20anni Cavalcanti è un uomo libero, avendo paga-to il suo debito con la giustizia. Vive e lavora aVerona, lontano dagli ambienti della malavita. Di-pinge e scrive poesie e racconti per l’infanzia.

Giacomo Cavalcanti, ex detenuto e scrittore

PRIMO PIANO 25lunedì 11 ottobre 2010

Page 2: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

L’EX ASSESSORE REGIONALE HA SCRITTO LA PRESENTAZIONE AL LIBRO DELL’EX DETENUTO: «UNA LETTURA EDUCATIVA»

Samuele Ciambriello: «Racconto vero, servono approfondimenti»NAPOLI. Il primo a credere senza ombra di dubbio alla verità delracconto di Giacomo Cavalcanti è stato Samuele Ciambriello. Exprete sannita, sospeso a divinis dal cardinale Giordano quando fueletto consigliere regionale con il Partito comunista italiano, poi alungo presidente del Corecom Campania, Ciambriello è da sempreattivissimo nell’associazionismo dedito alla riabilitazione deidetenuti e al miglioramento delle condizioni nelle carceri italiane.A lungo ha seguito da vicino e in prima persona il percorso diCavalcanti, che da vent’anni conduce una vita lontano dal criminedopo aver pagato i suoi debiti con la giustizia (14 anni didetenzione). Per Ciambriello la testimonianza di Cavalcanti è vera

DOPO LE RIVELAZIONI DI GIACOMO CAVALCANTI, NECESSARIO UN SUPPLEMENTO D’INCHIESTA: CHI È IL DETENUTO CHE CONFESSA TUTTO?

Omicidio Siani, ancora troppe ombreIL CASO

di Roberto Paolo

NAPOLI. Le indagini sull’omicidiodel giornalista del “Mattino” Gian-carlo Siani vanno riaperte. Sonopassati 25 anni dall’assassinio delcronista, era il 23 settembre del1985 e Giancarlo aveva 26 anni. Inmolti hanno indagato su quella mor-te, con alterne fortune, molte pistesono state battute e abbandonate.Oltre a quelle seguite dalle autoritàinquirenti, ci sono anche alcune piùfantasiose coltivate da giornalisti,scrittori, avvocati. Una sola però haportato ad una sentenza in primogrado il 15 aprile 1997, ormai dive-nuta definitiva anche se con im-portanti emendamenti in appello ein Cassazione. Tuttavia quella sen-tenza lascia aperti molti, troppi dub-bi mai chiariti nemmeno nel corsodel dibattimento.UN NUOVO TESTIMONEOggi c’è una testimonianza nuova,anche se parziale. È contenuta nellibro di Giacomo Cavalcanti “Viag-gio nel silenzio imperfetto” (editoda Tullio Pironti). Il nostro giornaleha pubblicato ieri integralmente ilcapitolo sull’omicidio Siani. Caval-canti (che ha scontato 14 anni invarie galere per una condanna perassociazione camorristica) dice diaver raccolto in carcere, a BellizziIrpino, la confessione di uno dei kil-ler di Siani. Cavalcanti nel libro nonfa il nome di questa persona, malancia una seri di indizi che, se ap-profonditi, possono condurre conestrema facilità all’identità di en-trambi i killer: sia il narratore dellastoria, ancora oggi in vita, sia il suocompagno di “paranza”, tale Pao-letto, fedelissimo sicario del clanGiuliano, ucciso pochi anni dopo. A FORCELLA SANNOOra la Procura potrebbe convocareGiacomo Cavalcanti come personainformata sui fatti e chiedergli, sot-to giuramento, chi sia il suo miste-

rioso confidente. Oppure potrebbeincrociare i dati delle presenze aBellizi Irpino di Cavalcanti e di uo-mini legati ai Giuliano. Magariavendo sondato un po’ il terreno trai tanti informatori di cui le forze dipolizia si avvalgono nel quartiere diForcella, da dove i killer di Siani par-tirono alla volta del Vomero, se lastoria raccontata da Cavalcanti fos-se vera. e dove i nomi si sanno e cir-colano.UN KILLER E UN MANDANTESONO ANCORA VIVIIl fatto che sia stato chiuso un pro-cesso contro altri imputati, non èun ostacolo a fare un supplementodi indagine su altre persone. E anche il fatto che alcune delle per-sone tirate in ballo da Cavalcanti ericonoscibilissime sotto i loro pse-uonimi, in particolare il boss CiroGiuliano ed il pappone cocainoma-ne Giorgio Rubolino, furono indag-ti e prosciolti dal giudice istruttoreGuglielmo Palmeri, nel 1988, e poisono morti (il primo ammazzato, ilsecondo di un misterioso infarto)

nando Valentino Gionta, il loro capo,che infatti verrà assolto con sen-tenza definitiva. E si potrebbe con-tinuare.LE NOVITÀ DI CAVALCANTIMa lasciamo perdere per ora quelprocesso. Non è in questione inquesto momento una revisione del-le condanne. In questione c’è unaversione dei fatti diversa, raccon-tata da uno che dice di essere te-stimone diretto di una confessione.Questo signore cita luoghi, pseu-donimi, date, circostanze. In buonaparte queste vicende furono ogget-to di indagini, furono discusse nelprocesso e messe da parte. In altreparti del racconto di Cavalcanti cisono però novità inquietanti, spe-cie quando si ricostruiscono le mo-tivazioni dell’omicidio: Giancarlostava per svelare, e quindi blocca-re, un grosso affare sui soldi allecooperative di ex detenuti su cui lu-cravano il clan Giuliano e alcuni po-litici corrotti. E il suo informatoreera vicino al clan, a cui “vendette”Siani per poter entrare nell’affare. IL KILLER È IN LIBERTÀ?Un’altra novità decisiva sono le in-dicazioni che Cavalcanti dà sui kil-ler materiali, gli stessi che compi-rono un altro omicidio pochi mesidopo, a pochi passi da piazza Leo-nardo. Paoletto e il suo fedele com-pagno di “paranza”. Ce ne è abba-stanza per indagare e chiudere ilquadro delineato da Cavalcantimettendo i tasselli al posto giusto.solo alla fine si dirà se il mosaico ècompleto e credibile, oppure no.Se anche ci fosse una sola possibi-lità su mille che l’assassino di Gian-carlo Siani possa essere ancora inlibertà, questa piccola, infinitesi-male possibilità merita di essereesplorata e approfondita. Del resto,cosa avrebbe fatto Giancarlo da-vanti ad un caso simile, se fosse an-cora vivo?

(1/Continua)

Giancarlo Siani nellʼauto in cui fu ucciso (foto dal sito www.gianfrancosiani.it)

«al mille per mille». Sua la presentazione del libro edito da TullioPironti (”Viaggio nel silenzio imperfetto”). Sul caso di Siani,secondo Ciambriello, Cavalcanti svela «retroscena che potrebberofare nuova luce. Qualche approfondimento di indagine io lo farei,perché oggi disponiamo di nuovi strumenti (penso alla prova delDna) che potrebbero con certezza sciogliere dubbi e misteri». MaCiambriello sottolinea anche altri aspetti del libro, doveCavalcanti parla delle condizioni di detenzione accendendo unfaro su un tema atroce «dimenticato e nascosto». Così, scriveCiambriello, la lettura del libro di Cavalcanti «è un’esperienza percerti versi educativa».

UN GIALLO NAPOLETANO.L’AFFARE DEL CLAN CHE RISCHIAVA DISALTARE, L’INFORMATORE CHE LO TRADÌ,GLI INDIZI SUGLI ESECUTORI MATERIALI

non impedisce la riapertura delle in-dagini per fare luce sui killer (unodei due ancora in circolazione) e suimandanti (uno dei due ancora vi-vo).Il problema è chiedersi perché Ca-valcanti avrebbe dovuto mentire: emotivi non se ne vedono, dal suoracconto rischia di avere solo altri

grattacapi con la legge (o col suoconfidente di un tempo) e nessunvantaggio.Ma il problema che quasi tutti sipongono quando si ipotizza unoscenario diverso rispetto a quellocristalliazzato dalle sentenze è unaltro. I pentiti. I TRE PENTITII boss Angelo Nuvoletta e Luigi

Baccante e i killer Ciro Cappuccio eArmando Del Core sono stati con-dannati sulla base delle dichiara-zioni di tre pentiti. Perché i colla-boratori avrebbero dovuto dire il fal-so? Questa affermazione basta amettere a posto le coscienze di qua-si tutti.Bene, il fatto è che, per quanto as-

surdo possasembrare, le ver-sioni dei tre pen-titi non necessa-riamente contra-stano in manierainsanabile conl’ipotesi alterna-tiva, che ad uc-

cidere Siani sia stato il clan Giulia-no. Nessuno dei tre pentiti, infatti,ha partecipato all’omicidio. Il primodi loro, Salvatore Migliorino, non saquasi niente, è soltanto colui cheapre la nuova pista. Da solo nonavrebbe potuto far condannare nes-suno. Gli altri (Ferdinando Cataldoe Gabriele Donnarumma) dicono diaver assistito alla decisione di Nu-

voletta, alle trattative col boss diTorre Annunziata Valentino Giontache non voleva l’omicidio, ai fe-steggiamenti dopo l’omicidio. Mapuò anche darsi che davvero i Nu-voletta volessero uccidere Siani, equindi ci furono trattative e prepa-rativi, però arrivarono prima i killerdei Giuliano. Non si può escluderea priori. Tutti dicono che ci posso-no essere stati molteplici interessidietro la morte del giornalista, equesto giustificherebbe i tanti latioscuri che ancora rimangono die-tro ad ogni ricostruzione univoca.PENTITI CREDIBILIE TESTIMONI NO?E poi c’è da scegliere: sono credi-bili dei pentiti che raccontano co-se per avere in cambio un premio,allora perché non sono invece cre-dibili due persone (il detenuto chesi confessa al compagno di cella, loscrittore che riporta la conversa-zione in uin libro) che in cambio po-tranno avere solo guai? Tanto più che sul racconto dei pen-titi del processo Siani di ombre, in-congruenze e contraddizioni ne so-no emerse a decine nel corso delprocesso. L’auto che avrebbe tra-sportato i killer fu acquistata un an-no dopo l’omicidio. Cataldo disseche non poté partecipare perchéandò a commettere un altro assas-sinio, ma storicamente quell’altroassassinio non avvenne la sera del23 settembre 1985. Il gruppo san-guigno rilevato sui mozziconi di si-garette fumate presumibilmentedai killer (all’epoca la prova del Dnanon esisteva) era del gruppo zero,ed almeno uno dei due imputatinon aveva quel gruppo sanguigno.In più, i tre pentiti erano tutti delclan di Torre Annunziata (Donna-rumma era persino il cognato delcapoclan), due di loro si pentono aprocesso in corso, e tutti (guarda ilcaso) accusano solo gli uomini delclan Nuvoletta di Marano, scagio-

La versione dei tre pentiti del prece-dente processo (che non presero parteall’agguato) non contrasta necessaria-mente con la pista di Forcella: sia i Nu-voletta che i Giuliano potevano volerela morte del giornalista. Il problema èchi arrivò prima a colpire il bersaglio

PRIMO PIANO 3martedì 12 ottobre 2010

Page 3: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

QUATTRO ELEMENTI INEDITI NEL RACCONTO DI CAVALCANTI: I PRIMI DUE RUOTANO ATTORNO AD UN OMICIDIO DELL’86

Siani, i riscontri alla nuova pistaIL CASO

di Roberto Paolo

NAPOLI. Per capire se Giacomo Ca-valcanti abbia davvero riferito unastoria appresa in carcere dalla boccadel vero killer di Giancarlo Siani, e nonabbia invece soltanto rimestato ac-qua stantia, bisogna verificare dueaspetti del suo racconto. In primo luo-go bisogna dare un nome vero ai per-sonaggi della sua storia, una dataesatta alle vicende che lui narra, ve-rificare insomma che le circostanzedel suo racconto (contenuto in un ca-pitolo del libro “Viaggio nel silenzioimperfetto” di Tullio Pironti editore)siano realmente accadute o sianoquanto meno verosimili. In secondoluogo, e fatto an-cora più impor-tante, bisogna ca-pire se Cavalcan-ti dica cose nuo-ve e diverse ri-spetto a quantogià apparso sullastampa in passa-to, se abbia deiparticolari chenon siano giàemersi nelle inda-gini e nei proces-si sull’omicidiodel giornalista del“Mattino”. La maggiore obiezione chemuovono gli scettici (e sono la mag-gior parte di coloro che in passato sisono occupati di questa storia nellevesti più disparate) è infatti la se-guente: Cavalcanti ha costruito unastoria romanzata mettendo assiemele informazioni che già erano state va-gliate dagli inquirenti tra il 1985 ed il1988, quando le attenzioni si appun-tarono su Ciro Giuliano, Giorgio Ru-bolino e Giuseppe Calcavecchia (con-vivente della sorella di Luigino Giu-liano, Antonietta). Tutti e tre sonomorti, e prima di loro era morta la pi-sta che portava ai rapporti tra clan,politici e cooperative di ex detenuti.

QUATTRO ELEMENTI NUOVIIn base alle nostre conoscenze attua-li, e alle informazioni che il “Roma” èriuscito a recuperare, non solo il rac-conto di Cavalcanti ha dei precisi ri-ferimenti a fatti e persone realmenteesistiti, ma ci sono almeno quattroparticolari che non sono mai emersinelle indagini e nei resoconti giorna-listici, quattro elementi che poteva-no essere a conoscenza solo di qual-cuno ben all’interno del clan Giulia-no di Forcella. Ma andiamo con ordi-ne. E cominciamo dalle persone tira-te in ballo. Cavalcanti presenta nellasua storia, sotto pseudonimi o senzaalcun nome, sei personaggi che sa-rebbero protagonisti dell’omicidio

Siani: due man-danti (il “Monto-ne” e il “Barone”),due intermediari(“Rubol” e “o Sllo-ne”), due killer(”Paoletto” el’anonimo com-pagno di carceredi Cavalcanti chegli confessa l’omi-cidio).Lasciamo per unmomento da par-te killer e man-danti, e comin-

ciamo dai due “insospettabili”: Rubole ‘o Sllone, entrambi dei quartieri al-ti della città. Il primo non ha misteri,si tratta del noto Giorgio Rubolino. Fi-glio di un magistrato che, molti anniprima dell’omicidio Siani, era statopretore di Torre Annunziata assiemead Aldo Vessia (il quale da procura-tore generale indagherà proprio suRubolino junior), Giorgio preferisceagli studi giuridici la bella vita: don-ne avvenenti, cocaina, soldi facili. Di-venta amico di Ciro Giuliano, fre-quenta la casa d’appuntamenti di viaPalizzi (dove si vedevano anche dueimportanti magistrati dell’epoca). Nel-la prima indagine che lo vide finire in

detenuti. Il ritratto corrisponde a Vin-cenzo Cautero, ammazzato sotto ca-sa ma non in piazza dell’Immacolata,bensì in via Matteo Renato Imbriani189. Aveva 36 anni, la moglie vide ikiller dal balcone e riferì che eranodue giovanissimi armati di pistola.Era il 24 gennaio 1986, esattamentequattro mesi dopo il delitto Siani.Cautero era il leader di una coopera-tiva di ex detenuti, “la Primavera”,con gli uffici invia Suarez 30, apochi metri dapiazza dell’Imma-colata (e questaapparente confu-sione nel raccon-to di Cavalcanti èforse un altromessaggio: per-ché quegli ufficientreranno pre-potentemente nelcaso Siani). Il pa-dre di Cautero erainvece un pesci-vendolo con negozio in piazza Leo-nardo (da cui il soprannome di fami-glia, ‘o baccalaiuolo). Cautero e Sianisi conoscevano fin da ragazzi. E Cau-tero, riferiscono le cronache dell’epo-ca, era legato a doppio filo al clan Giu-liano.ANTONIO FERRARA,IL SUPERTESTIMONEMa c’è di più. Pochi mesi dopo l’omi-cidio, un consulente finanziario cherispondeva al nome di Antonio Fer-rara, incastrato in un’inchiesta sullecooperative di ex detenuti (di cui Fer-rara era il regista assoluto, fungendoda cassiere dell’enorme business perconto di tutti i clan cittadini), decidedi collaborare con gli inquirenti e con-fessa al capitano dei carabinieri Lui-gi Sementa (oggi comandante dei vi-gili urbani di Napoli) di sapere qual-cosa sul delitto Siani. La testimo-nianza di Ferrara viene anticipata sul-la stampa dal principe dei giornalisti

di cronaca giudiziaria, Salvatore Maf-fei, sul “Giornale di Napoli” del 30maggio 1986. Ferrara racconta del le-game con l’omicidio Cautero, svela leconfidenze di quest’ultimo prima dimorire, affermando che contava divendere delle informazioni avute daSiani ricavandone una grossa som-ma, qualcosa come 30 o 50 milioni dilire. Ferrara sostenne che le carte se-grete su cui stava lavorando Siani era-

no custodite pro-prio da Cautero,negli uffici dellecooperative di exdetenuti in viaSuarez 30. E cheda lì scomparverodopo l’omicidio diCautero. Affermòanche che Caute-ro aveva assistitoall’omicidio Siani,essendo in piazzaLeonardo, davan-ti ad un bar, la se-ra del 23 settem-

bre del 1985. Ma questa circostanzarisultò totalmente smentita dai testi-moni, e contribuì a far crollare la cre-dibilità di Ferrara.CAUTERO SPAVENTATO DALLA MORTE DI SIANITuttavia molti anni dopo, durante ilprocesso contro i clan Nuvoletta eGionta per l’omicidio Siani, il difen-sore del presunto killer Armando DelCore (l’avvocato Bruno La Rosa) ri-spolvera il fascicolo di indagine sul-l’assassinio di Cautero, convinto cheun nesso tra i due fatti ci sia. E trovale dichiarazioni della moglie della vit-tima, Anna Autiero. La quale sostie-ne che la sera della morte di Siani ilmarito tornò a casa pallido in volto etremante. Da quel giorno uscì il me-no possibile e cominciò a colleziona-re tutti gli articoli sulla morte del gior-nalista. Forse sapeva che la sua vitaera legata a quella di Siani. Le inda-gini sull’omicidio di Cautero non han-

no portato ad alcun risultato: i suoiassassini sono ancora liberi. Ora Ca-valcanti dice di averne conosciutouno, che gli ha spiegato come anda-rono le cose, chi ci fosse con lui e chiordinò la missione di morte. Già ci sa-rebbe abbastanza per riaprire anchequesto caso. Sempre che la verità stiaa cuore a qualcuno.DUE PARTICOLARI INEDITIC’è però anche di più. Perché Caval-canti inserisce due particolari scono-sciuti ad investigatori e cronisti, maipubblicati. Uno di questi è il sopran-nome della vittima: ‘o Sllone. Il se-condo è la lontana parentela di Cau-tero con i Giuliano. Nessuno dei dueparticolari è mai emerso. Cercandoverifiche tra i vicoli di Forcella, tra lepersone di una certa età che hannomemoria di fatti di camorra, si scopreche negli ambienti del clan GiulianoVincenzo Cautero era conosciuto co-me ‘o zellone, che in una trasposizio-ne grafica diversa potrebbe anchescriversi “Sllone”. Quanto alla pre-sunta parentela, diventa più difficileda ricostruire, perché si tratterebbe,secondo le fonti del quartiere che ilnostro giornale ha potuto consultare,di un legame di consanguineità traAnna Autiero, vedova di Cautero, esorella di Guglielmo Autiero, moltonoto a Forcella, con i fratelli Giuliano(Luigi, Nunzio, Salvatore eccetera),attraverso una cugina. Si tratta di dueparticolari apparentemente insignifi-canti, che invece assumono una stra-ordinaria rilevanza, se confermati, perdimostrare che il racconto di Caval-canti è non solo originale, ma attingeda fonti dirette, di prima mano.Altri due particolari simili Cavalcan-ti li semina nella parte del raccontoche riguarda mandanti ed esecutorimateriali dell’omicidio Siani. Comepure semina indizi che potrebberopermettere di arrivare alla loro iden-tificazione. Ma qui il discorso si fa piùcomplesso e delicato.

(2/continua)

UN GIALLO NAPOLETANO.VINCENZO CAUTERO FU AMMAZZATOSOTTO CASA. NEL LIBRO SI DICE DA CHI EPERCHÉ: ALTRA INDAGINE DA RIAPRIRE

carcere, era accusato di essere statoin piazza Leonardo la sera dell’omici-dio Siani per indicare al killer il ber-saglio da colpire. Viceversa, pare ac-certato che Rubolino quella sera nonfosse lì. RUBOLINO CAMBIA “RUOLO”Cavalcanti però gli assegna un altroruolo, secondo la versione racconta-tagli dal compagno di detenzione checonfessa l’omicidio. Rubolino sareb-be stato utilizzato da Ciro Giulianoper individuare chi fosse questo gio-vane cronista del “Mattino”, dove abi-tasse e con quale auto andasse in gi-ro. Era insomma uno “specchiettista”che probabilmente ignorava anche levere intenzioni dei Giuliano. Fare lu-ce sul suo vero ruolo è comunque dif-ficile, visto che Rubolino, dopo unaserie di affari sporchi in giro per l’Ita-lia ed il coinvolgimento in altre in-chieste per truffe e raggiri vari, è mor-to in circostanze alquanto oscure,stroncato da un malore improvviso,alla fine di luglio 2003, entro la cintadelle mura vaticane. Seppellito sen-za autopsia, la procura di Roma do-vette ordinare poi la riesumazione delcadavere per degli accertamenti che,tuttavia, non portarono a niente.Lasciamo riposare in pace Rubolinoe concentriamoci invece sull’altra fi-gura, sconosciuta alla stragrandemaggioranza dei lettori. Sconosciutaperché Cavalcanti lo chiama con ilnomignolo di ‘o Sllone. E nessun al-tro nelle cronache giornalistiche o ne-gli atti degl inquirenti usa questo no-mignolo. CHI È ‘O SLLONE?Cavalcanti dice che ‘o Sllone fu ucci-so pochi mesi dopo Siani e poco lon-tano, sotto casa, in piazza dell’Imma-colata, dagli stessi due giovani killer(che le cronache del tempo indicanocome “due facce pulite”). Racconta ilpresunto killer a Cavalcanti che ‘oSllone era un lontano parente dei Giu-liano, non inserito nel clan ma legatoall’affaire delle cooperative degli ex

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

In questi giorni esce un libro dellʼexboss di Fuorigrotta GiacomoCavalcanti (foto): rivela che a faruccidere Siani furono i Giuliano.

Vincenzo Cautero

Sementa e Jouakim davanti al corpo di Siani

PRIMO PIANO 3mercoledì 13 ottobre 2010

Page 4: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

UNA PARANZA DI GIOVANISSIMI DI CHIAIA DALLE FACCE PULITE AGIVA PER CONTO DEI CUGINI CIRO E SALVATORE GIULIANO

Siani, una traccia porta ai killerIL CASO

di Roberto Paolo

NAPOLI. Giacomo Cavalcanti dis-semina il suo racconto sulla morte diGiancarlo Siani di una serie di in-dizi precisi, che possono portare chivuole cercare la verità nella giustadirezione. A patto che, e questa è lapremessa d’obbligo, Cavalcanti di-ca il vero quando spiega nel suo libro(”Viaggio nel silenzio imperfetto”,Tullio Pironti editore) che un de-tenuto nel cortile del carcere di Bel-lizzi Irpino gli ha confidato di averucciso il giornalista del “Mattino”, lasera del 23 set-tembre 1985. Senon diamo alcuncredito a Caval-canti, è inutile ap-profondire oltre ildiscorso. Se inve-ce per un momen-to facciamo un“atto di fede” e ci inoltriamo nel suoracconto come se davvero fosse il ve-ro killer a parlare, allora possiamo ve-rificare almeno due cose. La prima:il racconto è coerente con i fatti sto-ricamente accertati. Ad ognuno deipersonaggi citati con pseudonimi,corrisponde un personaggio real-mente esistito. Ad ognuno dei fattinarrati corrisponde un episodio sto-ricamente verificatosi. La seconda,ancora più importante per valutarel’attendibilità del racconto di Caval-canti: emergono almeno quattro par-ticolari che non comparivano nellecronache giornalistiche delle inda-gini e dei processi. Quindi Caval-canti non può averli copiati dai gior-nali. Li può avere appresi solo daqualcuno che sa molto del clan Giu-liano e forse anche dell’omicidio Sia-ni. Due di questi particolari sonoemersi, nel giornale di ieri, a propo-sito dell’omicidio di Vincenzo Cau-tero, ucciso il 24 gennaio 1986, quat-tro mesi dopo Siani, forse degli stes-si killer. Cavalcanti dice che Caute-ro era soprannominato negli am-bienti malavitosi ‘o Sllone. E cheera imparentato alla lontana con iGiuliano. Persino gli investigatoriche condussero le indagini sui dueomicidi ignorano, ancora oggi, que-sti due particolari. Sul primo però ar-rivano conferme al nostro giornaleda ambienti di Forcella. E così puresulla seconda circostanza. La mogliedi Cautero, Anna Autiero, sareb-be legata da vincoli di consangui-neità con una cugina dei fratelli Giu-liano. Un legame lontano che, però,è risaputo a Forcella, dove il fratellodi Anna, Guglielmo Autiero, èstato in rapporti di affari per la ge-stione di un garage con NunzioGiuliano, fino alla sua morte (il fra-tello di Luigino e Salvatore fu uc-ciso in un agguato in via Tasso la se-ra del 21 marzo 2005). STESSA ARMAPER I DUE OMICIDIIn aggiunta a quanto scritto ieri, va-le forse la pena di ricordare che siaSiani sia Cautero furono uccisi sot-to le rispettive abitazioni da due kil-ler giovanissimi e dall’aspetto per-bene, armati di pistole calibro 7,65.Ma i particolari inquietanti del rac-conto di Cavalcanti non si ferma-no qui. Oltre ai due insospettabili in-termediari tra clan Giuliano e socie-tà civile (Giorgio Rubolino e Vin-cenzo Cautero), Cavalcanti parlaanche di due mandanti e due ese-cutori materiali dell’omicidio di

Giancarlo Siani (e, sostiene, an-che di quello di Vincenzo Cautero‘o Sllone). I committenti sarebberostati i cugini “Montone“ e “Baro-ne“, i killer, invece, i due giovanis-simi amici “Paoletto“ e l‘anonimoche si confessa a Cavalcanti nelcarcere di Bellizzi Irpino.Sull’identità dei presunti mandantici sono pochi dubbi, gli pseudonimiusati da Cavalcanti in questo casosono dei veri e propri nomi, tanto so-no stati famosi i personaggi a cuivengono attribuiti. Ciro Giuliano,cugino dei fratelli Giuliano, i capi-

clan di Forcella,era chiamato ‘obarone per l’im-portanza chedava all’elegan-za e per la suaaspirazione adentrare nel girodella “Napoli be-

ne”. Per questo frequentava, tra glialtri, Giorgio Rubolino, controver-so personaggio piombato dai salot-ti buoni della città alle cloache dellacamorra. UN CONFIDENTE ACCUSÒ SUBITO I GIULIANOIl nome di Ciro Giuliano finì nel-l’inchiesta sull’omicidio Siani fin dal-la sera stessa dell’assassinio, il 23settembre 1985. Uno dei cassieri delclan di Forcella, che faceva quadra-re il bilancio familiare anche graziead un giro di usura, per evitare in-tralci si prestava anche al ruolo diconfidente dei carabinieri. E quellasera disse a un graduato dell’Armache Siani lo avevano fatto ucciderei Giuliano, in particolare Ciro ‘o ba-rone. Ma è solo due anni dopo (19ottobre 1987), a seguito di alterne vi-cende, che il Procuratore generaleAldo Vessia emette un ordine dicattura per Ciro Giuliano e per duesuoi presunti complici (Rubolino eCalcavecchia). Si batte la pista del-le cooperative di ex detenuti e quel-la che passa per una casa d’appun-tamenti in via Palizzi, ma non si ar-

riva a niente. Alla fine del 1988 ven-gono tutti assolti e scarcerati. Dopootto anni, il 14 marzo 2007, CiroGiuliano ‘o barone muore am-mazzato mentre sulla sua moto se neva a passeggio, disarmato e senza“scorta”, in via Sant’Alfonso Mariade’ Liguori, nel territorio del clanMazzarella.L’altro mandante di cui parla Caval-canti è invece il Salvatore Giulia-no ‘o montone, fratello del capo-clan Luigino ‘o rre e cugino di Ci-ro ‘o barone. E questa è una veranovità. SPUNTA IL NOME

DEL “MONTONE”Mai il nome di Salvatore Giulianoè stato accostato all’omicidio Siani,né dagli inquirenti né da indiscre-zioni di stampa. Perché allora Ca-valcanti (o meglio il detenuto chea lui si confessa) improvvisamente,lo tira in ballo? Cavalcanti non ha ap-pigli storici a cui appendere la figu-ra di Salvatore Giuliano in mezzoa quelle del cugino Ciro e del gior-nalista Giancarlo. Però, se davveroil movente del delitto si nascondenegli affari di boss e politici sullespalle delle cooperative di ex dete-nuti, allora il nome di SalvatoreGiuliano ‘o montone, in quanto fi-gura chiave di quello sporco busi-ness che anticipa “tangentopoli” insalsa camorristica, ci torna eccome.A metà degli anni ‘80 Luigino Giu-liano, capo indiscusso della fami-glia criminale, è in galera. A Forcel-la resta sua moglie Carmela Mar-zano, ma restano soprattutto i tan-ti fratelli. Luigino nel business del-le cooperative degli ex detenuti nonentra, non ne aveva neanche l’inte-resse, curando traffici ben più im-portanti. Salvatore Giu-liano è stato in-vece il creatoredel perversomeccanismo. Ilclan organizzavale liste iscrivendosolo chi voleva. Gli affiliati percepi-vano il contributo mensile (dallo Sta-to ma attraverso Comune e Provin-cia) e ne versavano una parte ai boss(che spartivano i proventi con gli am-ministratori pubblici conniventi).Anche il fratello Nunzio Giulianopare fosse nel business. E certa-mente c’era il cugino Ciro ‘o baro-ne. Un nesso che lega le cooperative aCiro e Salvatore, quindi, c’è. A dif-ferenza del cugino Ciro, SalvatoreGiuliano è vivo, è detenuto ma inregime privilegiato, dal momentoche è diventato un collaboratore digiustizia. Delle cooperative però nonha mai parlato, e nemmeno del-l’omicidio di Giancarlo Siani.CHI PUÒ ESSERE IL KILLER?Ma il particolare in assoluto più in-novativo tra quelli contenuti nel rac-

conto riferito da Cavalcanti è il no-me di uno dei due killer. «Io e Pao-letto, il mio compagno inseparabile,stavamo coi Forcellani», scrive Ca-valcanti riferendo le parole del-l’anonimo compagno di detenzione.E dire di stare con i Forcellani indi-ca il fatto preciso che loro due nonerano di Forcella. Stavano con il clanGiuliano ma venivano da un altroquartiere. Più avanti Cavalcanti di-ce che l’amico Paoletto era stato«ucciso dai nemici del sistema», cioèdai nemici dei Giuliano. Per verificare queste informazioni èimportante sapere se è esistito sto-ricamente un giovane di nome Pao-letto che in quel periodo (metà an-ni ‘80) era agli ordini di Ciro Giu-liano, uno che poi è morto ammaz-zato, e in tal caso sapere anche conchi si accompagnava abitualmente. Una persona che risponde astratta-mente a questi requisiti è effettiva-mente esistita, ma va precisato chesi tratta di un personaggio che, puressendo stato più volte incriminato,non è mai stato indagato per fatti disangue. Secondo più fonti confi-

denziali che il no-stro giornale hapotuto interpella-re, negli anni ‘80un certo PaoloCotugno facevaparte di una pa-ranza al servizio

di Ciro Giuliano. E questo PaoloCotugno è morto ammazzato in unagguato alle Rampe Brancaccio nelprimo pomeriggio del 30 dicembre1989, quando aveva da pochi giornicompiuto 25 anni.

Sia chiaro che questo non autorizzanessuno ad affermare che Paolo Co-tugno abbia partecipato agli omi-cidi di Giancarlo Siani e di Vin-cenzo Cautero. Ma impone certa-mente che sul punto si svolgano ul-teriori accertamenti da parte del-l’autorità inquirente.L’ASSASSINIO DI PAOLO COTUGNOSul “Giornale di Napoli” dell’epoca,Titti Beneduce e Carmine Spa-tafora raccontano che Paolo Co-tugno era un pregiudicato coinvol-to nel giro del lotto e del toto nero.Quel giorno era appena uscito di ca-sa in via Filippo Rega e aveva in-contrato un amico, Antonio Asco-lese, anche lui 25enne, pregiudica-to per evasione, rissa, lesioni e de-tenzione illegale di armi. Arrivati invia Betlemme, i due stavano per sa-lire sulla Honda 600 XL di Cotugnoquando due killer aprirono il fuococon pistole calibro 7,65 (ancora unavolta lo stesso calibro usato per Sia-ni e per Cautero). I due, feriti, simettono a correre in direzioni diver-se. I killer inseguono Paolo Cotu-gno, è lui l’obiettivo. Si infila in unpalazzo al civico sette di via Vetrie-ra, sale al primo piano e cade a ter-ra dove muore per le ferite riportate.Il suo amico, invece, si salva. La mo-glie di Cotugno, raccontano le cro-nache giornalistiche, riferì agli in-quirenti che Paoletto da un meseaveva paura, non usciva di casa senon strettamente necessario e soloarmato di pistola. Ma quel giorno lapistola non riuscì ad usarla.A quel tempo, l’omicidio di PaoloCotugno fu ascritto alle frizioni trail clan Giuliano e i Mariano deiQuartieri Spagnoli. Ma in molti a For-cella sospettano che il giovane pos-sa essere stato eliminato dal suostesso clan, probabilmente perchéstava alzando troppo la testa. Il suoassassinio cade giusto un anno do-po la scarcerazione di Ciro Giulia-no, accusato e poi scagionato del-l’omicidio Siani.LA PARANZADELLE FACCE PULITEPaolo Cotugno, raccontano le fon-ti forcellane, faceva parte di una pa-ranza di giovanissimi che da Chiaiasi era messa a disposizione di Ciro

Giuliano per qualsiasi lavoretto cifosse da fare. Svelti e ambiziosi, fac-ce pulite, con pochi precedenti allespalle e capaci di parlare un italianocorretto, erano svegli e stavano fa-cendo carriera nel mondo criminale.In questa paranza erano in quattro ocinque, tutti con le stesse caratteri-stiche, tutti più o meno della zona diChiaia. Tutti sono passati per il car-cere e (tranne Paoletto) potrebbe-ro avere incontrato Cavalcanti aBellizzi Irpino. Compagno fisso diPaolo Cotugno era, secondo i beneinformati sulla criminalità di queltempo, Alessandro Apostolo, det-to Sandruccio. Anche lui è mortoin circostanze misteriose nel marzodel 2004, due giorni dopo essere sta-to scarcerato. Fu investito a bordodella sua moto da un camion dellanettezza urbana in piazza Vittoria, anotte fonda. UN’ALTRA MORTE SOSPETTAIn molti pensarono che dietro il pa-ravento dell’incidente si nascondes-se invece la mano del clan Giulianointenzionato a “ripulirsi” di personeche, per quello che sapevano e perle eventuali ricompense che preten-devano, potevano rivelarsi pericolo-se. Altri soggetti legati a quella pa-ranza sono invece vivi, dopo anni didetenzione sono tornati in libertà e sisono rifatti una vita ai margini tra lalegalità ed il mondo del crimine.Chi è quindi, se esiste davvero, il de-tenuto che confessa a Cavalcantil’omicidio di Siani e di Cautero?Risalire al suo nome non è difficile.Sappiamo più o meno l’età, sappia-mo il clan di affiliazione all’epoca deifatti, sappiamo la zona di prove-nienza e con chi facevano gruppofisso. Sappiamo che è stato detenu-to a Bellizzi Irpino contemporanea-mente a Cavalcanti. Morto o vivoche sia, ci sono sufficienti indizi peridentificare il possibile killer, specieda chi dispone degli strumenti di in-dagine di polizia giudiziaria. Trova-re il suo nome e verificare la fonda-tezza dei fatti narrati da Cavalcantiè, a questo punto, facilmente possi-bile. A CHI IMPORTA LA VERITÀ?A 25 anni di distanza si fa strada unapossibile verità alternativa che faccia

luce completamente sull’omicidio diGiancarlo Siani e su quello di Vin-cenzo Cautero. Ma importa dav-vero a qualcuno? Perché è questo ilproblema maggiore. E se ne com-prendono anche le motivazioni. Cisono tre pentiti che ci hanno conse-gnato, già impacchettati e pronti perle patrie galere, mandanti e killer del-l’omicidio di quel giovane cronista.Si è pronunciata pure la Cassazione.Chi glielo fa fare di rimettere tutto ingioco e ricominciare daccapo? E for-se hanno pure ragione loro. Forse,però. Non certamente.

(3/Continua)

Per la prima volta spun-ta il “Montone”, fratellodi Luigino, negli omicididel giornalista e di Vin-cenzo Cautero, leader diuna coop di ex detenuti

Per tutti gli agguati usatasempre una pistola 7,65.La strana morte di Ales-sandro Apostolo, amicodi Paoletto, due giorni do-po la sua scarcerazione

UN GIALLO NAPOLETANO.DAL RACCONTO DI CAVALCANTI SULLA PI-STA ALTERNATIVA EMERGE IL PROFILO DIPAOLO COTUGNO, UCCISO NEL 1989 A 25 ANNI

Lʼallora capitano dei carabinieri Luigi Sementa e il caporedattore del “Mattino” Mino Jouakim davanti al cadavere di Giancarlo Siani

Paolo Cotugno

Salvatore Giuliano ʻo montone

Ciro Giuliano ʻo barone

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

In questi giorni esce un libro dellʼexboss di Fuorigrotta GiacomoCavalcanti (foto): rivela che a faruccidere Siani furono i Giuliano.

PRIMO PIANO 3giovedì 14 ottobre 2010

Page 5: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

LA NUOVA PISTA AVANZATA DALLA TESTIMONIANZA DI CAVALCANTI RILANCIA I DUBBI SULLA SENTENZA PER L’OMICIDIO

Siani, un processo con troppe ombreIL CASO

di Roberto Paolo

NAPOLI. Forse ha ragione chi di-ce che è inutile seguire altre pisteo inseguire verità alternative sul-l'omicidio di Giancarlo Siani, per-ché c'è un processo che ha con-dannato i colpevoli in via defini-tiva. Forse ha ragione chi dice checi sono tre pentiti che rivelanomovente, mandanti ed esecutoridell'omicidio del giornalista, cheil loro racconto è stato vagliato dagiudici togati e popolari, ed è sta-to ritenuto credibile anche dallaCassazione. For-se, però. Non cer-tamente. Non ol-tre ogni ragione-vole dubbio. Per-ché quel proces-so, per quantodefinitivo, non hachiarito tutto. An-zi. Ha lasciato ir-risolti molti aspet-ti rilevanti, ha da-to risposte con-traddittorie e avolte illogiche anumerosi interro-gativi, così cheun'ombra inquie-tante si allunga ancora, dopo ven-ticinque anni, sul delitto Siani.Non è allora superfluo dare unosguardo veloce ai dubbi irrisolti,agli interrogativi rimasti aperti, al-le risposte incongruenti della sen-tenza sull'omicidio Siani. Perchéil quadro che ne esce potrebbespingerci a riprendere in seriaconsiderazione l'ipotesi alternati-va rilanciata in questi giorni dallibro di Giacomo Cavalcanti, ilquale riferisce di una confessionechoc fattagli in prigione da coluiche potrebbe essere il vero killer diGiancarlo Siani, un giovane cheassieme ad un certo Paoletto (for-se Paolo Cotugno, morto ammaz-

zato il 30 dicembre 1989) facevaparte di una paranza di ragazzidalla faccia pulita che rispondevaagli ordini Salvatore e Ciro Giu-liano.I TRE PENTITILa chiave di volta del processoSiani contro mandanti ed esecu-tori del clan Nuvoletta è rappre-sentata dai pentiti. Tre: SalvatoreMigliorino, Gabriele Donnarum-ma e Ferdinando Cataldo. Tutti etre del clan Gionta. Comincia aparlare Migliorino nel 1993. Indi-ca la pista che porta ai vertici dei

clan Nuvoletta diMarano e Giontadi Torre Annunzia-ta ma non sa nulladegli esecutori.Solo un anno dopoarrivano le dichia-razioni di Donna-rumma, cognatodel boss ValentinoGionta, e poi quel-le di Cataldo, deci-sive per individua-re tutti i parteci-panti all'omicidio.Ebbene, i due ac-cusano i vertici delclan Nuvoletta e

scagionano il proprio capo, cheinfatti verrà definitivamente as-solto. Nessuno dei tre pentiti, poi,ha partecipato direttamente al-l'omicidio, ma solo ai preparativi.Cataldo doveva esserci. Raccontaaddirittura che una mattina unospecchiettista che doveva mo-strare ai killer il bersaglio li ac-compagna sotto al “Mattino” e di-ce: «Guardate, quando esce Sianiio mi avvicino e lo bacio, così sa-prete chi è». Una versione che ri-corda molto il racconto del Van-gelo sull’arresto di Gesù. Machiunque sa che un giornalistanon ha orari fissi, avrebbero po-tuto aspettare un giorno intero

senza vedere uscire Siani dalla re-dazione. Invece, Siani uscì. Inol-tre, racconta Cataldo, uscì in com-pagnia di un collega che assistet-te all’abbaraccio e allo scambio dibattute tra Giancarlo e questo ma-lavitoso di Torre Anunziata. Que-sto giornalista non è mai statoidentificato, e nessun redattoredel “Mattino” ha mai ricordato diaver assistito a questo incontro.Comunque sia, Cataldo alla finenon partecipa al delitto Siani per-ché, dice, quella sera andò a fareun altro omicidio, quello di un ta-le “Lemon”. Ma è poi stato prova-to che la sera del 23 settembrequell'altro omicidio a cui avrebbepartecipato Cataldo non ci fu. So-no credibili questi signori che in-tervengono a scagionare il propriocapo, non parteciparono perso-nalmente all'omicidio, racconta-no particolari approssimativi? Se-condo il verdetto, sì.L’AUTO DEI KILLERCataldo racconta anche che i kil-ler, Armando Del Core e Ciro Cap-puccio, maranesiagli ordini di Lo-renzo Nuvoletta,andarono a com-piere l'omicidio lasera del 23 set-tembre 1985 abordo di una 126di proprietà di DelCore. Però il cer-tificato del Pub-blico registro au-tomobilistico in-dica che quell'au-to fu acquistatada Del Core conscrittura privataautenticata il 25ottobre 1985, un mese dopo l'omi-cidio. A vendergliela fu un perso-na perbene di Firenze, non uncomplice di Del Core che avreb-be avuto l'interesse a postdatare

l'atto per fornirgli un alibi. Ma peril verdetto questo è un particola-re superfluo.Ci sono poi i testimoni oculari deldelitto. Una signora affacciata albalcone in piazza Leonardo. Ungaragista seduto davanti all'in-gresso del locale poco distante, acui uno dei due killer in fuga pun-ta la pistola in faccia per alcunisecondi. Due ragazzi che rinca-sano e rimproverano uno dei killerche, nell'attesa di Giancarlo, staurinando sul muro del palazzo. I TESTIMONI OCULARITutti affermano che i due killeravevano più o meno la stessa al-tezza. Intorno al metro e settanta.Uno qualche centimetro meno,l'altro qualche centimetro in più.Quindi, uno era circa 1,68. L'altrocirca 1,72. Molto simili. Invece, idue condannati come esecutorimateriali dell'omicidio sono CiroCappuccio, altezza 161 centime-tri, e Armando Del Core, altezza184,4 centimetri (senza scarpe).Tra i due c'è una differenza di al-

tezza di 22,4 cen-timetri. Cappuccioè esile, gracile. DelCore è un colossodalle spalle larghee la mascella qua-drata, un armadio.Possibile che i te-stimoni, pur aven-do visto i killer dapochi centimetridi distanza, non ri-feriscano una si-mile, evidentissi-ma, rilevante dif-ferenza di altezzae corporatura tra idue? Riferiscano

invece che i due era alti più o me-no uguale? Non solo. Tutti i testimoni diconoche i killer sembravano facce pu-lite, due ragazzi qualunque, gio-

vanissimi però, che lì in piazzaLeonardo, al Vomero, non sem-bravano fuori posto, non destava-no allarme, non avevano espres-sioni tali da preoccupare un pas-sante. I ragazzi che rimproveraro-no uno dei due killer in attesa ri-feriscono che lui rispose in italia-no e senza alcuna inflessione dia-lettale. Non sembra l'identikit diDel Core e Cappuccio, che parla-no con un evidente, marcato ac-cento napoletano. Ma soprattut-to il primo, un armadio con unafaccia, diciamo così, lombrosiana,non era il tipo da passare inos-servato, tanto meno il tipo da rim-proverare se lo trovi di sera ad uri-nare su un muro.I DUE SICARI DALLA FACCIA PULITATra parentesi, parlando di ragaz-zi dalle facce pulite, che parlanoun buon italiano, giovanissimi,torna alla mente la descrizionedella paranza di Chiaia agli ordinidi Ciro Giuliano di cui abbiamo ri-ferito sul giornale di ieri: PaolettoCotugno, 21 anniancora non com-piuti quandomuore Siani, am-mazzato a suavolta alle RampeBrancaccio il 30dicembre 1989.Alessandro Apo-stolo, morto in cir-costanze miste-riose, due giornidopo essere usci-to dal carcere, in-vestito da un ca-mion della nettez-za urbana sullasua moto in piaz-za Vittoria, una notte di marzo del1994 (e non 2004 come scritto perun lapsus nell'edizione di ieri). Bi-sogna riprendere le foto di Ar-mando Del Core all'epoca del de-

litto Siani: aveva 25 anni ma eragià padre di due figli in età di Co-munione. E ne dimostrava moltidi più, un uomo fatto, grande egrosso. Non uno che dici: è gio-vanissimo e dalla faccia pulita.Il garagista che si imbatte in loronella fuga mette a verbale: «Ave-vano all'incirca 22/23 anni, quelloche mi ha puntato l'arma avevacapelli corti, scuri, 1 metro e 65, 1metro e 68 di altezza, di corpora-tura normale.... Dell'altro posso dir-vi che era della stessa statura delprimo».NESSUN RICONOSCIMENTOQuando, anni dopo, gli metteran-no davanti due imputati (Capuc-cio ed il pentito Cataldo), il gara-gista dirà che non li riconosce,che non sono loro. Gli altri testi-moni non sono mai stati chiama-ti a riconoscere gli imputati. Né lohanno fatto attraverso fotografie.Perché? Scelte processuali? Ca-renze degli inquirenti? Fatto stache non esiste un solo testimoneoculare che riconosca ed accusi i

due esecutori ma-teriali del delitto.Ma Del Core eCappuccio sonostati condannati lostesso all'ergasto-lo. Principalmente,dunque, perché liaccusano i penti-ti.E non finisce qui.Sono ancora moltialtri i punti chenon tornano, dallecicche di Merit algruppo sanguignodei killer che noncorrisponde, il pre-

sunto movente “accertato” dalprocesso e le pressioni che spa-ventarono Giancarlo negli ultimigiorni di vita.

(4/Continua)

UN GIALLO NAPOLETANO.LE ALTEZZE DIVERSE, L’AUTO CHE NONESISTEVA, IL MANCATO RICONOSCIMEN-TO, LE INCONGRUENZE DEI PENTITI

Paolo Cotugno

Ciro CappuccioArmando Del Core

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

In questi giorni esce un libro dellʼexboss di Fuorigrotta GiacomoCavalcanti (foto): rivela che a faruccidere Siani furono i Giuliano.

PRIMO PIANO 3venerdì 15 ottobre 2010

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IL LORO GRUPPO NON È UGUALE A QUELLO TROVATO SULLE MERIT FUMATE IN ATTESA DELLA VITTIMA

Siani, il giallo del sangue dei killerIL CASO

di Roberto Paolo

NAPOLI. «Da quando ho uccisoGiancarlo non fumo più le Me-rit!». Comincia così il capitolo dellibro di Giacomo Cavalcanti(“Viaggio nel silenzio imperfetto")dedicato all'omicidio Siani. LeMerit sono infatti un elementoimportante del processo che haportato alle condanne definitiveall'ergastolo per mandanti e kil-ler del clan Nuvoletta. Un pro-cesso che, come anticipato nellapuntata di ieri, lascia troppe om-bre non chiarite e troppi dubbinon risolti. Unodei punti menochiari ruotaproprio attornoalle Merit fu-mate dai killerdel giornalistadel “Mattino"mentre attendono la vittima peroltre un'ora sotto casa in piazzaLeonardo.IL MISTERO DELLE MERITÈ la sera del 23 settembre 1985.Una testimone affacciata al bal-cone del primo piano vede i kil-ler fermi e seduti in un posto pre-ciso, a meno di sei metri di di-stanza, e dice che fumavano si-garette. Così la polizia scientifi-ca, subito dopo l'omicidio di Sia-ni, va in quel posto preciso indi-cato dalla donna e trova diecimozziconi di Merit. Non solo: glistessi pentiti, che hanno un ruo-lo determinante nella sentenza dicondanna, riferiscono delle pre-occupazioni di killer e mandanti,il giorno dopo l'agguato, per il fat-to di aver lasciato sul posto nu-merosi mozziconi di sigaretta. Edinoltre, a conferma che le cicchevengono ritenute quelle fumatedai killer, la polizia scientificasvolge le analisi all'epoca possi-

bili: grazie alle tracce di saliva sitrova il gruppo sanguigno del fu-matore. Si tratta del gruppo zero.Solo nel 1988 si dà incarico ad unperito, il professor Mario De Ro-bertis, di rintracciare su queimozziconi il Dna dei fumatori. Maormai la cosa, spiega il perito, èimpossibile (almeno con le tec-nologie di 22 anni fa) per la pes-sima qualità dei reperti, per iltempo trascorso e per l'utilizza-zione fatta dalla polizia scientifi-ca. IL GRUPPO SANGUIGNOINCOMPATIBILE

Fatto sta chenessuno deidue killer con-dannati all'er-gastolo, CiroCappuccio eArmando DelCore, ha il san-

gue del gruppo zero. Le Merit nonpossono averle fumate loro. Tut-tavia, per la pubblica accusaquelle sigarette non hanno im-portanza perché non è certo chesiano state fumate dagli assassi-ni di Siani. Potrebbero essere sta-te gettate lì da un'automobilistache ha scaricato il proprio posa-cenere, spiega il pm ArmandoD'Alterio al processo. E così lacorte condanna Cappuccio e DelCore. Nonostante i dubbi dellapubblica accusa, sarebbe inte-ressante sapere se le tecnologieattuali consentano oggi di trova-re tracce più importanti su queimozziconi. Sempre che esistanoancora da qualche parte. Un'altra circostanza che non tor-na nei racconti dei pentiti ri-guarda le armi del delitto. Si trat-ta certamente di due pistole, unaBeretta modello 70 e una Berettamodello 81, entrambe calibro7,65, semiautomatiche. Lo dice

la perizia balistica. Esplodono no-ve colpi quasi contemporanea-mente, «in rapidissima sequen-za», specifica il pentito. I SILENZIATORI“SCOMPARSI”Sui proiettili non vengono rinve-nute tracce di abrasione a grat-tugia, di strisciamento o di affu-micatura. Vuol dire, spiega il pe-rito, che è estremamente impro-babile che siano stati utilizzati si-lenziatori. Circostanza conferma-ta anche dai testimoni che riferi-scono di aver sentito 4-5 esplo-sioni. Però il pentito GaetanoDonnarumma nel processo affer-ma che il giorno dopo l'omicidiovide Cappuccio e Del Core con-segnare le armi, due pistole conaltrettanti silenziatori. L'altro pen-tito decisivo, Ferdinando Catal-do, invece, non conferma la pre-senza dei silenziatori. Insomma,c'erano o non c'erano? I pentiti losanno oppure no? Sembra che

anche in questa circostanza la ri-sposta non possa che essere ne-gativa.DI COSA AVEVA PAURAGIANCARLO SIANI?La sentenza di condanna, inoltre,non risponde ad un quesito dav-vero decisivo. Nei giorni prece-denti l'omicidio Giancarlo Sianiha improvvisamente paura diqualcosa. Lo confida innanzitut-to all’amica fidata Chiara Gratto-ni. All'udienza del 28 febbraio1997 la Grattoni racconta: «Luistava ricevendo delle telefonatenelle quali veniva minacciato...Diceva che qualcuno l'avvertivadi stare attento. Di lasciare per-dere, di stare attento. Qualcosadel genere». Secondo la ricostru-zione fatta dalla sentenza di con-danna, però, i Nuvoletta deciserodi uccidere Siani per punirlo diun articolo pubblicato il 10 giu-gno 1985 in cui si lasciava inten-dere che i boss di Marano ave-

vano tradito il boss di Torre An-nunziata Valentino Gionta, loroalleato, facendolo arrestare daicarabinieri mentre si nasconde-va nel loro territorio. Secondo ipentiti e secondo la sentenza,nessuno minacciò Siani primadell'agguato. Andarono e l'ucci-sero. E allora perché qualcuno di-ceva a Siani di “lasciar perdere",di “stare attento"? Lasciar per-dere cosa, se l'articolo in cui ac-cusava Angelo Nuvoletta di es-sere un infame era stato stampa-to tre mesi prima?Nella ricostruzione alternativaavanzata da Giacomo Cavalcan-ti (o meglio, dall'anonimo dete-nuto che gli confessa l'omicidionel carcere di Bellizzi Irpino), in-vece, Vincenzo Cautero, cono-scente di Siani e imparentato conla famiglia Giuliano, leader di unacooperativa di ex detenuti, avreb-be prima fornito a Siani il mate-riale per uno scoop sulle collusio-ni tra clan e politici dietro l'affa-re miliardario delle cooperative.E poi, raggiunto un accordo coni Giuliano per avere una fetta delbusiness, avrebbe cercato di fer-mare Siani, senza riuscirci. E sefossero state proprio queste pres-sioni di Cautero ad essere perce-pite dal giornalista come minac-ce, come inviti a “lasciar perde-re"? Se così fosse, la storia sa-rebbe certo più coerente.LA TELEFONATAA LAMBERTIMa non ci sono solo le parole del-la Grattoni a testimoniare i timo-ri di Siani nelle ore immediata-mente precedenti l'omicidio. Lamattina di quel drammatico 23settembre di venticinque anni fa,Siani telefona al professor Ama-to Lamberti, direttore dell’Osser-vatorio anticamorra, con cui Sia-ni collaborava. Gli dice che deve

parlargli urgentemente di qual-cosa di grave. Lamberti lo ri-manda al giorno dopo. Siani chie-de però che l’appuntamento nonsia nei paraggi della sede del“Mattino”. Cosa voleva comuni-care a Lamberti? Perché avevatanta urgenza? Cosa lo preoccu-pava? Anche qui, la circostanzanon si spiega con la versione for-nita dai pentiti al processo con-tro il clan Nuvoletta. Siani, infat-ti, non poteva sapere che i mara-nesi lo volevano morto.E non finisce qui. Sempre quellamattina, Siani, secondo il rac-conto di un investigatore priva-to, chiede aiuto ad un poliziottodei “Falchi“ che conosceva. LA RICHIESTA DI AIUTOALL’AGENTE DI POLIZIAIl teste si chiama Armando Sil-vestre. Quel giorno era conl’agente di polizia Giovanni Ma-nocchia, detto “Maradona”, chelo aveva incaricato di sorveglia-re la consorte temendone l’infe-deltà. C’era anche un altro agen-te di polizia mai identificato. Invia Chiatamone incontrano Sia-ni. Il giovane cronista si mostrapreoccupato, chiede a Manoc-chia di essere accompagnato acasa quella sera perché teme persé, «ma non vuole fare una ri-chiesta ufficiale». Manocchia, in-terrogato, smentisce Silvestre.Non è vero niente, né l’incontroné la richiesta di scorta da partedi Siani. L’episodio finisce così enessuno compie ulteriori accer-tamenti. Manocchia ha poi avu-to guai con la giustizia. Risultòinfatti essere legato, guarda ca-so, proprio al clan Giuliano. Cir-costanza, anche questa, davveroinquietante. Gira e rigira, attornoall’omicidio Siani spunta sempreil clan di Forcella.

(5/Continua)

La testimonianza dell’ami-ca: «Qualcuno gli avevadetto di stare attento, di la-sciare perdere». Circostan-za incompatibile con il mo-vente proposto dai pentiti

Il cadavere di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso 25 anni fa in piazza Leonardo

UN MISTERO NAPOLETANO.I LATI OSCURI DELLA SENTENZA DI CONDAN-NA: I NUVOLETTA NON MINACCIARONO IL CRO-NISTA, PERCHÉ LUI DISSE DI AVERE PAURA?

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

In questi giorni esce un libro dellʼexboss di Fuorigrotta GiacomoCavalcanti (foto): rivela che a faruccidere Siani furono i Giuliano.

PRIMO PIANO 3sabato 16 ottobre 2010

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ALTRI ARTICOLI INDICARONO I NUVOLETTA COME TRADITORI E CONFIDENTI DEI CARABINIERI, E NESSUNO È MAI MORTO

Il movente non regge: ecco la provaCASO SIANI

di Roberto Paolo

NAPOLI. Il mistero dell’omicidio diGiancarlo Siani resta sospeso tra dueopposti fili. Da un lato il racconto inparte omertoso di Giacomo Caval-canti, che semina indizi e che rivela,alla luce delle verifiche svolte dal no-stro giornale, una forte coerenza. Se-condo questa pista mandanti e killererano del clan Giuliano di Forcella.Dall’altro una sentenza definitiva dicondanna all’ergastolo per vertici esicari del clan Nuvoletta di Marano.Si fonda su tre pentiti, due soli deiquali decisivi. È una sentenza checonvince oltre ogni ragionevole dub-bio? Tanto da doverci indurre a nonprendere in alcuna considerazioneeventuali ipotesi alternative? Non pa-re proprio. Nei giorni scorsisi è già visto chetroppi conti nontornano. I colla-boratori di giusti-zia arrivano adindagini iniziate,accusano gli uo-mini di un altroclan e scagiona-no il proprio boss(Valentino Gion-ta, che sarà infatti assolto). Nessunodi loro ha assistito all’agguato. Il killersarebbe andato a compiere un omi-cidio tanto eclatante a bordo della pro-pria Fiat 126: però risulterà che que-st’auto l’ha acquistata solo un mesedopo l’omicidio. UNA SENTENZA,MILLE DUBBITutti i testimoni oculari dicono che idue sicari avevano la stessa altezza,intorno al metro e settanta, e corpo-ratura regolare. Invece i due condan-nati, Ciro Cappuccio e Armando DelCore, hanno 22,5 centimetri di diffe-renza: il primo è esile e basso (161cm), l’altro è alto e grosso come un ar-

madio (184,5 cm). Un teste parla congli assassini: sono giovanissimi, han-no facce pulite da insospettabili, par-lano italiano. Un identikit che non cor-risponde a Del Core e Cappuccio. Einfatti nessuno dei testimoni oculari liriconosce né in foto né dal vivo. Siauna testimone sia un pentito rivela-no che i due fumarono molte sigaret-te nello stesso posto mentre aspetta-vano Siani. In quel posto, indicato dal-la testimone, furono trovate 10 cicchedi Merit con tracce di saliva di per-sone del gruppo sanguigno zero. Enessuno dei due condannati qualiesecutori materiali ha quel grupposanguigno. Un pentito dice che le pi-stole avevano il silenziatore. La peri-zia e i testimoni lo smentiscono.L’amica di Siani riferisce che il gior-

nalista aveva pau-ra, qualcuno gliaveva detto «distare attento, di la-sciar perdere». Maper i pentiti il mo-vente era la puni-zione per un arti-colo di tre mesiprima, e nessunopreannunciò aSiani l’agguato,nessuno lo minac-

ciò. Basta così? No, c’è anche dell’al-tro.IL MOVENTE NON REGGEL’8 giugno 1985 viene arrestato il su-perlatitante Valentino Gionta, boss diTorre Annunziata: era un sabato e icarabinieri lo bloccano col suo auti-sta personale nella zona di Marano, aPoggio Vallesana, roccaforte del clanNuvoletta. Il blitz è millimetrico:un’auto dei carabinieri sorpassa eblocca la Fiat Uno, una seconda autodell’Arma si piazza subito dietro chiu-dendo ogni via di fuga. Numerosi mi-litari scendono ad armi spianate. San-no cosa stanno facendo. Non è uncontrollo di routine. Due giorni dopo,

lunedì 10 giugno, sul “Mattino” com-pare un pezzo di Giancarlo Siani. Sidice che la cattura di Gionta «potreb-be essere il prezzo pagato dagli stes-si Nuvoletta per mettere fine alla guer-ra con l’altro clan di “Nuova Famiglia”,i Bardellino». E più avanti si aggiun-ge: «Un accordo tra Bardellino e Nu-voletta avrebbe avuto come prezzo dapagare proprio l’eliminazione del bossdi Torre Annunziata». Insomma, i Nu-voletta si sono venduti Gionta ai ca-rabinieri. I pentiti rivelano che Ange-lo Nuvoletta si arrabbiò molto: «Que-sto ci vuole far passare per infami». Edecide che l’affronto va lavato col san-gue del giornalista. Manda un mes-saggio a Gionta in carcere, il quale ri-sponde che non crede a questa ipo-tesi, che si fida di Nuvoletta, che èmeglio non uccidere un giornalista.Nuvoletta insiste: lui quel giornalistalo uccide, l’affronto è troppo grosso:«Chiamare infami i Nuvoletta, così lagente si allontana dai Nuvoletta».ANCHE ALTRI SCRISSERO CHE NUVOLETTA TRADÌÈ un movente credibile? Potrebbe es-sere. Però a quel movente non credequasi nessuno. Non ci crede persinoil pm che condusse le indagini e chie-se ed ottenne le condanne. ArmandoD’Alterio ha sempre ripetuto in varie

interviste che quel movente da solonon giustifica l’omicidio, può forse es-sere stato uno dei motivi, la gocciache fa traboccare un vaso già colmo,non l’unico. Lo stesso pensano moltidegli osservatori e dei partecipanti alprocesso: secondo tutti un giornali-sta non rischia quasi mai per ciò cheha scritto ma per ciò che sta per scri-vere, se minaccia gli interessi econo-mici dei clan. In realtà c’è anche dipiù. Quel movente non regge perchéquello di Siani non è stato l’unico ar-ticolo in cui si sospetta un tradimen-to dei Nuvoletta, una loro collabora-zione con le forze dell’ordine. Già il“Mattino” del giorno prima, domeni-ca 9 giugno, in un articolo sulla cat-tura di Gionta a firma F. R., aveva sug-gerito questa ipotesi: si legge che gliinvestigatori erano «in qualche modovenuti a conoscenza della presenzadi pezzi grossi....», e poi anche che «lastessa dinamica dell’arresto lasciaipotizzare che i militi si fossero resiconto che nella Fiat Uno si trovasseproprio Valentino Gionta». E il giornodopo, quello stesso 10 giugno, un ar-ticolo senza firma del “Giornale di Na-poli” maliziosamente sottolinea il fat-to che l’arresto di Gionta sia avvenu-to «proprio nei pressi della villetta-bunker dei Nuvoletta». Come dire:stava andando ad un summit e i ca-rabinieri lo aspettavano. Non è il soloepisodio. Un altro articolo del “Gior-nale di Napoli” viene trovato e pre-sentato al processo dal difensore diArmando Del Core, l’avvocato BrunoLarosa. Risale al 15 giugno 1986 e por-ta la firma di Roberto Marino. Si par-la dell’omicidio di Ciro Nuvoletta e sispiega che il movente fu «un’accusainfamante per “Don” Lorenzo, quelladi aver contribuito alla cattura propriodi Bardellino, il giorno dei Morti del1983, a Madrid in Spagna». Anche quiMarino dice che Nuvoletta collaboracon i carabinieri per fa arrestare unaltro boss. Ma nessuno dei Nuvolet-

ta si è sognato di vendicarsi di Mari-no. Perché di Siani sì e di Marino no?IL MOVENTE ALTERNATIVOInsomma, in questo processo nem-meno il movente convince fino in fon-do. Il racconto di Cavalcanti, riferito-gli da un compagno di detenzione nelcortile di Bellizzi Irpino, ne fornisceun altro. Vincenzo Cautero, parentedei Giuliano e leader di una lista di ex

detenuti, gestisce con il clan di For-cella il business di tangenti che ruo-ta attorno alle provvidenze pubblicheper le cooperative di ex carcerati. Leliste le compilano i boss, amministra-tori pubblici compiacenti chiudonoun occhio. I destinatari dei sussidiversano il 60% al clan che poi sparti-sce i proventi con funzionari e politi-ci corrotti. Si pensa ad esportare il si-stema a Torre Annunziata, ma il clanGiuliano stavolta vuole fare a meno diCautero. Il quale svela tutto a Siani,proponendogli documentazione ingrado di scatenare un terremoto. Poiricatta i Giuliano: posso stoppare ilgiornalista ma nel business devo en-trare anche io. Quindi prova a ferma-re Siani e lo spaventa («qualcuno glidiceva di stare attento, di lasciar per-dere»). Ma non ci riesce. Così il clanGiuliano ordina a due giovanissimi

killer di uccidere sia il giornalista siaCautero (che muore il 24 gennaio1986). L’ipotesi fu sfiorata dagli in-quirenti. La rivelò un confidente del-l’Arma la sera stessa dell’omicidioSiani («È stato il clan Giuliano»). Ci ri-tornerà con più particolari nel 1986 unpentito, Antonio Ferrara, ragionieredelle cooperative di ex detenuti e ami-co di Cautero. Scattarono anche trearresti (Ciro Giuliano, Giorgio Rubo-lino e Giuseppe Calcavecchia). Ma gliaccertamenti non portarono a proveconcrete. Secondo gli inquirenti nonsi appurò mai che Cautero avesseparlato con Siani né che Siani si fos-se mai interessato alle cooperative diex detenuti. Eppure non è così. Laprova è in un articolo di Giancarlo Sia-ni, pubblicato il 5 aprile 1985, cinquemesi prima di morire. SIANI INDAGÒSULLE COOP DI DETENUTIIn quel pezzo Siani scrive di una in-chiesta avviata dalla magistratura suuna cooperativa di disoccupati di Tor-re Annunziata. Siani scrive che «i di-soccupati torresi chiedevano di esse-re “agganciati” alle liste di ex dete-nuti formatesi a Napoli». E poi: «Sul-lo sfondo delle indagini il pericolo chela camorra potesse inserirsi in questaoperazione e pilotare l’iniziativa». Ilbusiness dei Giuliano a Napoli tra-sferito a Torre Annunziata. Siani di-vinava? Aveva avuto una soffiata?Continuò a lavorare su questa pista,magari proprio grazie a Cautero?Troppe domande sono rimaste anco-ra senza risposta. Troppe certezzepoggiano su basi di cartapesta. E co-sì, a distanza di 25 anni, per l’omici-dio di Giancarlo Siani può tristemen-te ripetersi la frase con cui il giorna-lista dell’Europeo Tommaso Besozzititolò la sua inchiesta sul giallo del-l’assassinio del bandito Salvatore Giu-liano: «Di sicuro c’è solo che è mor-to».

(6/Fine)

UN GIALLO NAPOLETANO.UN LEGAME TRA IL CRONISTA E LE COOPDI EX DETENUTI: AVEVA SCRITTO DEGLIINTERESSI DEI CLAN NEL BUSINESS

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

In questi giorni esce un libro dellʼexboss di Fuorigrotta GiacomoCavalcanti (foto): rivela che a faruccidere Siani furono i Giuliano.

Lʼarticolo di Siani sulle coop

Vincenzo Cautero

Ciro Giuliano

PRIMO PIANO 3domenica 17 ottobre 2010

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NELL’ORDINANZA CAUTELARE DEL ‘95 IL GIP GIÀ CREDEVA AL MOVENTE “ALTERNATIVO” RACCONTATO DA CAVALCANTI

Siani, un patto Gionta-GiulianoL’INCHIESTA

di Roberto Paolo

NAPOLI. Il movente dell'omicidio diGiancarlo Siani resta un mistero, no-nostante una sentenza di condannadefinitiva per mandanti e killer, tut-ti del clan Nuvoletta di Marano. Nonè l’unico dei misteri attorno all’as-sassinio del giornalista del “Matti-no”, come il nostro giornale ha evi-denziato nell’inchiesta a puntatepubblicata nei giorni scorsi. Maspulciando gli atti del processo, sulpresunto movente, come su altri par-ticolari, affiorano nuovi dubbi ed in-congruenze.Del movente, inparticolare, parla-rono all’epoca seipentiti, quasi tuttidel clan Gionta diTorre Annunziata,e quasi tutti dis-sero cose diversetra loro. La veritàgiudiziaria poggia però solo su duedi questi sei collaboratori di giusti-zia. Ma c'è dell'altro. Il movente al-ternativo ricostruito da Giacomo Ca-valcanti nel suo libro “Viaggio nel si-lenzio imperfetto”, che dice esserglistato rivelato da un misterioso com-pagno di prigionia a Bellizzi Irpino,e già oggetto di indagini terminatecon un nulla di fatto negli anni '80,compare a sorpresa anche nella vo-luminosa ordinanza di custodia cau-telare, firmata dal gip GiovannaCeppaluni il 23 ottobre 1995, con laquale furono arrestati, tra gli altri,anche gli imputati del processo Sia-ni.IL MOVENTE ALTERNATIVOCome si ricorderà, secondo Caval-canti, Salvatore Giuliano “'o monto-ne” (fratello del capoclan di ForcellaLuigino “'o rre”), assieme al cuginoCiro Giuliano “'o barone”, a metà de-gli anni '80 era a capo del businessdelle sovvenzioni pubbliche alle coo-perative di ex detenuti. Controlla-vano le liste degli“aventi diritto”,grazie a compli-cità nelle pubbli-che amministra-zioni, ed incassa-no da ognuno de-gli iscritti il 60%dell'assegno ver-sato dallo Stato. Uno dei cardini del-la truffa, l'uomo di collegamento traclan e politica, sarebbe stato taleVincenzo Cautero “'o sellone”. Adun certo punto, i politici proposero aiGiuliano di “esportare” il meccani-smo a Torre Annunziata, territoriodel clan Gionta. Ma stavolta avreb-bero fatto a meno di Cautero. Il qua-le, però, avvicinò Giancarlo Siani for-nendogli notizie e documentazionesul business illecito. Poi cercò di ri-cattare i Giuliano per essere am-messo a condividere i proventi del-l’affare, spaventandoli con la mi-naccia di far uscire tutto sul giorna-le. Così facendo firmò la propria con-danna a morte e quella di Siani.La ricostruzione di Cavalcanti è so-lo frutto di fantasia? Parrebbe pro-prio di no.GLI EX DETENUTI E IL PATTOGIONTA-GIULIANOA pagina 10 dell'ordinanza firmatadal gip Giovanna Ceppaluni, ben 15anni fa, si parla della precedenteistruttoria a carico del clan Giulianosvolta a metà anni ‘80 dall'allora giu-dice istruttore Guglielmo Palmeri. Esi legge: «In quella istruttoria, peral-

tro, si erano posti in luce gli interessidel cronista giudiziario verso setto-ri politico-criminali in Napoli e Tor-re Annunziata: quelli ruotanti intor-no alla gestione e controllo delle coo-perative di ex detenuti e delle rela-tive sovvenzioni statali. Un settorenel quale, guarda caso, apparivamuoversi proprio l'interesse del clanGionta (come conferma, oltre allaprecedente istruttoria, anche la pre-sente indagine, cfr., sul punto, le di-chiarazioni dello stesso Bertone neitre interrogatori registrati e trascrit-ti nel novembre '93)».Non solo. Subito dopo, il gip Cep-

paluni affermaancora: «Comedimostra quel-l'istruttoria, ilclan Giontaoperava all'epo-ca in connubiod'interessi, nelsettore delle

cooperative, con il clan Giuliano, dicui peraltro è comprovata l'alleanza,all'epoca, con il gruppo Nuvolettanella federazione denominata “Nuo-va Famiglia”».Quindi, il movente prospettato daCavalcanti nel suo libro era ed è cre-dibile. Non solo. Per il gip si tratta-va di un movente non inconciliabi-le con la verità giudiziaria sostenu-ta nell'ordinanza di custodia e poiconvalidata con le successive sen-tenze di condanna. IL MOVENTE FU PLURIMOScrive infatti il giudice Ceppaluni:«Si noti che il clan Giuliano, nelle pri-me fasi di quell'istruttoria, prima de-gli inquinamenti ritenuti nella sen-tenza di proscioglimento, apparivaunicamente quale contitolare di unacausale omicidiaria -di tipo ammi-nistrativo- assolutamente non con-trastante con la tipologia di quellaoggi accertata; una causale, quindi,comunque compatibile con le attualiemergenze d'indagine, oltre che con

le acquisizioni intema di controllodel territorio trabande alleate».Dunque un mo-vente «assoluta-mente non con-trastante», maanzi «comunque

compatibile», con quello che fu allabase del processo ai Gionta e Nu-voletta. Come dire, alla luce dei nuo-vi fatti emersi grazie al libro di Gia-como Cavalcanti, che la versione for-nita dall’ex detenuto, per come l’haappresa da un compagno di carce-razione, non è del tutto incompati-bile con la verità giudiziaria riguar-do ad un interessamento “anche”dei clan Gionta e Nuvoletta alla mor-te di Siani.Del resto, la possibilità di un «mo-vente plurimo» appare molto proba-bile nella ricostruzione operata dalgip Ceppaluni nella sua ordinanzadi custodia cautelare per mandantie killer di Giancarlo Siani. comequando scrive che il “famoso” arti-colo del 10 giugno 1985 che irritò ilboss Angelo Nuvoletta «costituiràsoltanto l’ultima goccia». O comequando più diffusamente spiega:«Siani non faceva paura soltanto perciò che aveva scritto, ma anche perquello che avrebbe potuto scrivere,o comunque venire a sapere».RUBOLINO MINACCIÒ SIANIDa questa prospettiva, e seguendoil filo del racconto del “misterioso”

compagno di detenzione di Caval-canti, acquistano una luce davveroinquietante alcune circostanze deirapporti tra Giorgio Rubolino (il fi-glio del pretore di Torre Annunzia-ta, che risultò poi legato al boss diForcella Ciro Giuliano “’o barone”, eassieme a lui fu arrestato ma poiscagionato per l’omicidio Siani), ilclan Gionta di Torre Annunziata e lostesso cronista che poi sarà vittimadell’omicidio. È sempre il gip Cep-paluni a scrivere: «Minacce avreb-be subito Siani anche ad opera del“figlio di un magistrato di Torre An-nunziata” - cioè Rubolino Giorgio -(cfr. dichiarazioni Palmieri Sandro indata 22.10.87, fol.2 e 4, che riferiscedi aver appreso da Siani che tali mi-nacce originavano da scandali in cuierano implicati la camorra ed i poli-tici di Torre Annunziata; tali dichia-razioni furono poi ritrattate in data22.4.88). Rubolino ha assistito alleudienze dei processi a carico di Ber-tone (cfr. informativa squadra mo-bile 200.12.93). Rubolino si è reso ac-quirente di due autovetture, la se-conda nell’ottobre/novembre 85 (cfr.interrogatorio Rubolino in data29.7.88) da Carpentieri Antonio, in-caricato da Gionta Ernesto di ac-certare, nell’interesse del clan, il do-micilio di Siani in Napoli».LE VERITÀ A METÀDI MIGLIORINOE però i pentiti del processo che por-terà alle uniche condanne per l’omi-cidio Siani racconteranno tuttaun’altra storia. E spesso una storiaassai dissimile in ognuna delle di-verse versioni. Per esempio, il primodei pentiti che parlano dell’omici-dio, Salvatore Migliorino, affermache non ci fu nessun avvertimentoo minaccia. A specifica domandadel pm Armando D’Alterio (oggi Pro-curatore capo a Campobasso), Mi-gliorino risponde: «L’avvertimentonon serve a niente nei confronti diuna persona onesta, che va per lasua strada». Eppure noi sappiamoda più testimonianze dirette che ne-gli ultimi giorni della sua vita Gian-carlo Siani era spaventato, qualcunolo aveva minacciato, aveva fattopressioni dicendogli «di lasciar per-dere, di stare attento».Ma Migliorino dice anche un’altracosa a cui nessuno sembra aver da-to alcuna importanza. Dice cheGionta mai avrebbe mandato dei kil-ler dalla provincia a commettere unomicidio al Vomero, nella Napoli-

bene. «Non ha senso che per unomicidio a Napoli andasse qualcu-no di Torre Annunziata. Nessuno dinoi è conoscitore di questa zona».Migliorino, però, come gli altri pen-titi in questa storia, viene ritenutocredibile quando dice certe cose enon viene preso in alcuna conside-razione quando ne dice altre. SEI PENTITI, SEI VERSIONII pentiti in questa storia sono alme-no sei. Cominciano in cinque, e sudi loro si fonda l’ordinanza di custo-dia in carcere del ‘95 firmata dal gipCeppaluni. A loro, una volta arre-stato si aggiungerà Ferdinando Ca-taldo, che diventerà il teste d’accu-sa decisivo per le condanne finali.Ma vediamo cosa dicevano i penti-ti e quanto fossero d’accordo tra lo-ro in merito a killer e movente deldelitto Siani. 1) Salvatore Migliorino (clan Gion-ta) afferma «di aver appreso chel’omicidio Siani era stato compiutoda Ferdinando Cataldo e Ciro Cap-puccio» per «eliminare un giornali-sta che dava fastidio al sindaco e al

pretore locale (di Torre Annunziata,ndr), Bertone Domenico e GargiuloLuigi».2) Gabriele Donnarumma (clan Gion-ta) dice che ad uccidere Siani furo-no Ciro Cappuccio, Armando DelCore e Gaetano Iacolare (del clanNuvoletta), e ilmotivo era l’ar-ticolo di Sianiin cui si accu-sava il bossNuvoletta diaver fatto arre-stare il boss al-leato Valentino Gionta.3) Pasquale Mercurio (clan Gionta)«dice di aver appreso da Gallo Enri-co della responsabilità dello stessoe di Cataldo Ferdinando per il delit-to».4) Antonio Mercurio (clan Gionta)«riferisce di una confidenza in ter-mini allusivi fattagli da Gallo Enricocirca il proprio coinvolgimento neldelitto».5) Antonio Tarallo (clan Limelli-Pa-lumbo) «riferisce di aver appreso da

Limelli Luigi e da Annunziato Sal-vatore, detto Damiano, delle re-sponsabilità, quali esecutori mate-riali, di persone che riconosce in fo-tografia nelle fattezze di Cataldo Fer-dinando e Ciro Cappuccio». Secon-do Tarallo il movente dell’omicidioera determinato dagli «affari con-nessi al recupero del quadrilaterodelle carceri» e «al centro di tossi-codipendenze di Torre Annunziata».TUTTI ACCUSANO CATALDOMA ANCHE LUI SI PENTECome si vede, di questi cinque pen-titi, uno non sa indicare i killer, altritre indicano tra i killer FerdinandoCataldo, il solo Donnarumma (co-gnato del boss Gionta e sodale diCataldo) non fa il nome di Cataldoma quello di due affiliati ai Nuvolet-ta di Marano. Come che sia, è in ba-se a queste deposizioni che Catal-do finisce in carcere per ordine delgip Ceppaluni in quanto sospettatodi essere tra gli esecutori materialidell’omicidio Siani. Ed in tale vesterischia l’ergastolo. Solo che a que-sto punto arriva il colpo di scena. Ca-taldo, guarda caso, davanti alla pro-spettiva dell’ergastolo si pente econferma la versione di Donnarum-ma (versione che lui ben conoscevadagli atti pubblici che lo hanno por-

tato in carcere).L’unico che, ap-punto, non accu-sa Cataldo. Allafine del processodi primo grado,Cataldo non saràperò ritenuto cre-

dibile. La seconda sezione della Cor-te d’assise di Napoli, presidente Pie-tro Lignola, infliggerà anche a luil’ergastolo per l’omicidio Siani. Main appello gli andrà meglio. Sarà cre-duto e otterrà 28 anni di carcere.L’ergastolo, divenuto definitivo,piomberà invece su quelli che lui eDonnarumma hanno indicato qualiesecutori e mandanti.

(7/Continua)Le precedenti puntate sono statepubblicate dall’11 al 17 ottobre

«Gli “avvisi” di Rubolino aSiani a proposito di unoscandalo che avrebbe coin-volto camorra e politici tor-resi». Ma il superteste San-dro Palmeri ritrattò tutto

Il pentito Salvatore Mi-gliorino: «Minacciare Sia-ni? Non sarebbe servito aniente. Killer dalla provin-cia al Vomero? Lo escludo,è una cosa senza senso»

Dai collaboratori le tesi più di-verse: «Ucciso perché dava fa-stidio a sindaco e pretore».«No, per proteggere gli affaridei boss». «Macché, perchéaveva infamato Nuvoletta»

Lʼallora capitano dei carabinieri Luigi Sementa e il giornalista del “Mattino” Mino Jouakim davanti al cadavere di Giancarlo Siani

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio (foto), ArmandoDel Core, il boss Nuvoletta edaltri: condannati allʼergastolo.

Nei giorni scorsi è uscito un librodellʼex boss di Fuorigrotta Giaco-mo Cavalcanti (foto): rivela che afar uccidere Siani furono i Giuliano.

UN GIALLO NAPOLETANO.LA CEPPALUNI: I CLAN DI FORCELLA ETORRE ANNUNZIATA ALLEATI PER L’AFFA-RE DELLE COOPERATIVE DI EX DETENUTI

È necessario intendersi: per unaserie di motivi, anche tecnici, nonsono io che devo recarmi in Pro-cura o altrove! Su questo tema eper questo tema, ho scritto un libroche evidentemente l'ingiuriosomittente non ha neanche letto edel quale ovviamente non inten-do fargli omaggio. Ciò che trovopirandelliano è il fatto che il por-taborse dopo una citazione dotta,in esordio, tenga a precisare d'avercollaborato alla redazione di un li-bro che (come il mio, beninteso)di certo non gli avrà procurato glionori dell'Archivio di Storia Patria.Colgo una differenza tra il mio mo-do di scrivere ed il suo. Lui sem-bra ancora affascinato da stereo-tipi nauseanti che purtroppo du-rante i miei anni di detenzionehanno spesso interrotto il mio si-lenzio imperfetto; faccio riferi-mento alla megalomania, al narci-sismo, alla ostentazione della vol-garità e della prepotenza. Per al-tro verso lo invidio: l'ignoto porta-borse (...forse) a differenza di menon dovrà dissimulare il suo aspet-

to (non solo a carnevale...) per tu-telare la privacy e la dignità dellasua famiglia.Da mancato avvocato di succes-so quale è (conosco, a mie spese,i nomi di bravi avvocati napoleta-ni e non) egli non ha colto il per-sonale (e umile) intento di denun-ciare le storiche storture del siste-ma giustizia, che vedono amplifi-cata oltremodo la voce dei delato-ri.Il cambiamento auspicato per larisoluzione di casi giudiziari tragi-ci e complessi, come ho già avutomodo di chiarire proprio al gior-nale “Roma”, è il ritorno ai sistemid'indagine tecnica e professiona-le, che non fondino solo e soltantosulla “spiata” o sul sentito dire.Spero dunque che il mio libro ab-bia successo e sia compreso cor-rettamente per il messaggio chevuole lanciare, incidendo (perchéno) positivamente sulla mia di-chiarazione dei redditi già giudi-cata dalla magistratura pulita.Per l'ignoto e poco informato por-taborse: la mia assoluzione è pas-sata in giudicato!Distinti saluti

Giacomo Cavalcanti

SEGUE DALLA PRIMA

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PRIMO PIANO4 martedì 26 ottobre 2010

Page 9: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

L’AVVOCATO TRUNFIO PARLÒ CON UNO DEI KILLER: NON È NESSUNO DEI DUE CONDANNATI ALL’ERGASTOLO

Siani, superteste smonta il processoL’INTERVISTA

di Roberto Paolo

NAPOLI. «Giancarlo era come un fra-tello per me. Avevamo la stessa età:lui di settembre, io di ottobre. Io abi-tavo al quinto piano, lui al piano disopra. Siamo cresciuti assieme, suamadre mi ha allattato, facevamo tut-to assieme. Quando l’hanno uccisoè stato come se avessero portato viaun pezzo di me». Nicola Trunfio og-

gi ha 51 anni ed è un affermato av-vocato civilista. La sera del 23 set-tembre 1985 fu l’unico a parlare conuno dei due killer che attendevanoil giornalista del “Mattino” Giancar-lo Siani sotto casa, in una traversaprivata alle spalle di piazza Leonar-do. A distanza di venticinque annilo abbiamo rintracciato per capire sei suoi ricordi possono essere utili aricostruire la verità su quell’omici-dio, ora che una nuova versione deifatti è venuta alla luce grazie al librodi Giacomo Cavalcanti (“Viaggio nelsilenzio imperfetto”) e all’inchiestadel nostro giornale. Una versione di-versa rispetto a quella emersa daiprocessi finiti con diverse condannedefinitive per killer e mandanti delclan Nuvoletta di Marano.Quando chiediamo al telefono di in-contrarlo per parlare dell’omicidioSiani, l’avvocato Nicola Trunfio ac-cetta senza esitare, senza pensarciun secondo.Ci riceve nelsuo studio le-gale, un ap-partamentomolto ampionel cuore del-la città. Alto,magro e atle-tico, solo icapelli ed ilpizzettobianchi tra-discono qual-cosa dellasua età. Ap-pena sedutocomincia araccontare,tormentando con le mani un pac-chetto di sigarette.«Quel giorno ero con mio fratello ge-mello e con un amico, rientravamo acasa in moto, saranno state le sei delpomeriggio, forse più tardi. Passam-mo affianco al nostro palazzo e pren-demmo la discesa a sinistra dell’edi-ficio che porta ad un cortile sul retro,chiuso da un cancello, dove lascia-vamo i nostri mezzi». Per spiegare meglio apre Googlemaps sul computer davanti a lui emostra il vialetto. «Il cancello all’epoca aveva sbarre lar-ghe attraverso le quali si vedeva tut-to. Mentre stavo per chiuderlo, no-tai questo giovane che non cono-scevo. Era come se ci avesse segui-to giù per la discesa per controllarechi eravamo e dove andavamo. Chis-sà, forse voleva vedere se Giancarloera con noi, ma questo allora non po-tevo immaginarlo». Perché quel giovane attrasse lasua attenzione?«Perché il vialetto di cui le parlo era

un vicolo cieco, all’epoca. Oggi han-no fatto un passaggio pedonale cheporta alle scale mobili e alla stazionedella metropolitana di Salvator Rosa.Ma allora uno non poteva andare danessuna parte se non nel nostro cor-tile. Pensai che poteva essere un la-druncolo che aveva adocchiato le no-stre moto. Perciò lo apostrofai in ma-lo modo».Cioè? Cosa gli disse?

«Uscii dal can-cello e lo affron-tai in manieraaggressiva: “Ué,che vai trovandoqui?”. Una cosadel genere. Luirispose: “Niente,stavo cercando

un posto per pisciare”. Io dissi: “Eproprio qui devi pisciare? Vedi di an-dartene da un'altra parte”. Ma in ma-niera dura. Lui invece mi risposemolto pacato (mima il gesto di met-tere le mani col palmo aperto inavanti): “Scusa, scusa, me ne vado”.La cosa mi sorprese molto perché iltono che avevo usato doveva prelu-dere per forza ad un litigio. Inveceniente, se ne andò». Questo avvenne sulla rampa diaccesso al cortile?«Sì».A che distanza eravate?«Qualche metro, però mentre parla-vamo lui indietreggiava verso su, poisi girò e si allontanò. Io lo seguii perqualche passo ancora, finché lui, ar-rivato in cima, svoltò a sinistra nelvialetto principale e uscì dalla miavisuale».Non ebbe paura ad aggredireuno sconosciuto? Poteva nasce-

re una rissa...«No, con me c’erano due persone, ilmio amico era alto un metro e 90. Poisi era ragazzi, si era un po’ spaval-di».Suo fratello e l’amico assistet-tero al dialogo?«No, erano nel cortile, non viderogranché, però non erano lontani, incaso di lite sarebbero intervenuti».La persona che incontrò non era

tale da incutere timore?«No, per niente, aveva una faccia...come dire... da “pescetiello”, uno nonpericoloso insomma. Non era tipo dadestare timore».Lo può descrivere?«Avrà avuto la mia età, su per giù.

Indossava un giubbotto piuttosto pe-sante per quella stagione, e questomi colpì perché faceva caldo, pensiche io ero uscito in moto con unamaglietta a maniche corte. Era me-no alto di me, capelli neri, abbastan-za corti, forse più lunghi dietro mac’era il colletto del giubbotto che miimpediva di vedere bene. Era magro,di corporatura regolare, certo non ro-busto, non faceva paura».Che impressione le fece, ri-guardo alla sua provenienza, co-sa pensò all’epoca?«Mah, mi sembrò un cafoncello, nonuno del Vomero, almeno per comeera il Vomero allora, però non un cri-minale: aveva la faccia ingenua e

parlava senza partico-lari inflessioni dialetta-li, in italiano».Le diede l’impres-sione che venissedalla provincia?«No, non pareva».Poi cosa successe?«Chiusi il cancello e sa-lii a casa dal cortile. Do-po poco tempo, nonsaprei dire quanto, ri-discesi assieme al mioamico di prima. Pren-demmo la mia moto eandammo in piazzaVanvitelli, dove c'era-no altri nostri amici». Non notaste i due

killer? Non rivide il tipo cheaveva incontrato?«No, non notai nessuno».Come seppe dell’omicidio?«Arrivati a piazza Vanvitelli, alcunepersone ci dissero che c'era statauna rissa davanti al Bar Daniele, po-co più giù, in via Scarlatti. Così de-cidemmo di andare a vedere: c'eraancora una vetrina rotta, ma era sta-ta una cosa tra balordi. Niente di par-

ticolare. Tornando in-dietro incontrai Gian-carlo che rincasavasulla sua Mehari. Sifermò e, così, perscherzo, gli dissi cheper pochi minuti siera perso lo scoopdella rissa. Lui mi dis-

se che andava a casa, doveva pre-pararsi per andare mi pare ad unconcerto, o una cosa del genere (ineffetti quella sera Siani disse ai col-leghi che sarebbe andato al concer-to di Vasco Rossi, ndr). Mi chiese sevolevo un passaggio a casa, gli ri-

sposi che avevo lì la mia moto. Gian-carlo se ne andò. Più tardi io e il mioamico tornammo a casa e venimmoa sapere dell'omicidio». E lei ripensò alla persona cheaveva incontrato qualche oraprima...«No. All'inizio non collegai affatto ilgiovane che avevo incontrato e lamorte di Giancarlo. Fu la signora cheabitava al primo piano a fare il colle-gamento. Aveva visto i killer sedutiad aspettare e a fumare davanti alpalazzo di fronte al nostro. Poi ave-va visto me parlare con uno di loro.Poi aveva sentito i colpi, si era affac-ciata e li aveva visti fuggire dopol'omicidio. Così disse alla polizia cheio conoscevo gli assassini. La poliziavenne da me e cominciarono gli in-terrogatori». Avrà fatto una descrizione ac-curata all’epoca, con i ricordifreschi, avranno fatto un iden-tikit.«No. Nessuno mi ha mai chiesto difare un identikit, né mi risulta che siamai stato fatto. Ebbi l’impressioneche le indagini fossero svolte in ma-niera molto superficiale. Quasi tuttele sere mi veniva a prelevare una pat-tuglia della polizia, quando tornavoa casa la trovavo sotto al palazzo. Miportavano in questura dove trovavoanche gli altri testimoni, in partico-lare il garagista a cui i killer fuggen-do puntarono una pistola in faccia.Ci facevano stare lì ad aspettare oreed ore, in mezzo ai criminali, poi cifacevano ve-dere un saccodi foto segna-letiche e ci fa-cevano fare deiconfronti al-l'americana,ma fatti moltomale. Mi por-tavano unapersona, me lamettevano difronte e michiedevano: lariconosci? Co-sì, davanti alui, senza alcu-na protezione.Noi testimonie le nostre famiglie avevamo paura:chi aveva ucciso Giancarlo potevauccidere anche noi, e non mi sem-brò che ci fosse molto riguardo pernoi testimoni da parte degli investi-gatori».

E dalle foto che le mostrarononon riconobbe nessuno?«No. Il garagista a un certo punto ri-conobbe uno, si chiamava mi pareAgnello, fu anche arrestato. Mi mo-strarono le foto ma io non lo rico-nobbi. Del resto, io avevo visto solouno dei due killer e dal racconto delgaragista ebbi l’impressione che nonfosse quello che gli puntò l’arma infaccia. Forse io avevo incontrato unodei due assassini e lui l’altro».Poi Agnello fu scarcerato e unpaio di annidopo arresta-rono alcuniesponenti delclan Giuliano,tra cui GiorgioRubolino. Inquell’occasio-ne le fecero fa-re un ricono-scimento?«Mi fecero vede-re le foto, io perònon riconobbiRubolino come lapersona che ave-vo incontratoquella sera sottocasa».Dopo dieci anni circa arrestaro-no altre persone, che furonoprocessate e condannate. Lachiamarono per riconoscere ipresunti killer? «No, nessuno mi chiese di fare rico-noscimenti. Al processo, poi, sono

stato sentito come teste, ma nonc'erano gli imputati, mi pare, e co-munque non mi chiesero di ricono-scerli».A questo punto mostriamo all’avvo-cato Trunfio le foto segnaletiche di

quattro individui risalenti grosso mo-do all’epoca del delitto Siani. Sonoin bianco e nero stampate su fogli dicarta normale in formato A4. Non glidiciamo di chi si tratta: uno è Ar-mando Del Core, un altro Ciro Cap-puccio, i due maranesi condannatiall’ergastolo come esecutori mate-riali dell’omicidio Siani; gli altri duesono Paolo Cotugno e AlessandroApostolo, ragazzi che all’epoca fa-cevano parte di una paranza agli or-dini dei boss di Forcella Salvatore eCiro Giuliano, i due cugini che se-condo la ricostruzione di GiacomoCavalcanti potrebbero essere stati imandanti dell’omicidio Siani. Chie-diamo all’avvocato Triunfo se rico-nosce qualcuno, avvertendolo chealcune di quelle foto sono state pub-blicate sui giornali in più occasioni. Lui le osserva attentamente, per di-versi minuti, una alla volta e poi mes-se vicino. Si sofferma su una e dice:«Questo qui assomiglia a Rubolino,mica è lui?». Gli rispondiamo di no(in realtà si tratta della foto di CiroCappuccio ma non glielo diciamo).«Così, a prima vista non saprei dire,è passato troppo tempo, la discesadove l'ho incontrato non era partico-larmente illuminata, lui si allontana-va risalendo. Non me la sento diidentificarlo da queste foto».Proviamo con l’altezza. Indichiamo lafoto di Del Core senza specificarel’identità e gli diciamo che è alto unmetro e 85. Lui prende la foto e la met-te da parte: «Allora è impossibile. As-

solutamente, erapiù basso di mecertamente, ed iosono alto 1,79». In-dichiamo la foto diCappuccio: que-sto è alto 1,61.«Non può esserenemmeno lui,troppo basso. Im-possibile», rispon-de Trunfio.Come fa ad es-sere così sicurodell’altezza?«Io sono alto unmetro e 79. Il tipocon cui parlai era

posizionato in salita rispetto a me e,nonostante questo, risultava co-munque più basso di me. Quindi di-rei che era 6 o 7 centimetri meno dime, intorno a 1,72-1,73 di altezza».Gli indichiamo le altre due foto spe-cificando che uno è alto 1,73, l’altroinvece un poco più basso, intorno al

metro e 68. L’avvo-cato Trunfio li osser-va ancora attenta-mente: «L'altezza sitrova, ma non misento di riconoscerlidopo tanto tempo.Sono passati 25 an-ni».A questo punto ri-prendiamo le foto deiprimi due, quelli cheha escluso categori-camente per via del-le altezze, e gli spie-ghiamo di chi si trat-ta: sono proprio ledue persone con-dannate all’ergastolo

in quanto ritenute esecutori mate-riali dell’omicidio Siani. L’avvocatoTrunfio trasale, evidentemente tur-bato, scuote la testa e allarga le brac-cia stupito: «Cosa le devo dire...».

(8/Continua)

Il racconto di quella sera e degli ultimi minu-ti di vita del giornalista ucciso dalla camorrail 23 settembre 1985: «Incontrai Giancarlo inpiazza Vanvitelli, mi chiese se volevo un pas-saggio ma io avevo la mia moto». Così andòda solo incontro agli assassini

Per la prima volta il testimone ocularepuò visionare le foto dei presunti ese-cutori materiali dell’omicidio: «Dopo25 anni è difficile riconoscere un volto,ma con l’altezza non ci siamo assolu-tamente. Impossibile che siano loro»

Giancarlo Siani nella sua Citroen Mehari, lʼauto nella quale fu ucciso da due killer di camorra

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio, Armando Del Core,il boss Angelo Nuvoletta (foto) edaltri: condannati allʼergastolo.

Nei giorni scorsi è uscito un librodellʼex boss di Fuorigrotta Giaco-mo Cavalcanti (foto): rivela che afar uccidere Siani furono i Giuliano.

UN GIALLO NAPOLETANO.NON GLI HANNO MAI CHIESTO DI FARE UNIDENTIKIT, NON LO HANNO MAI CHIAMATOA RICONOSCERE GLI IMPUTATI DEL DELITTO

Armando Del Core e Ciro Cappuccio

Paolo Cotugno e Alessandro Apostolo

Lʼavvocato Nicola Trunfio

PRIMO PIANO2 mercoledì 27 ottobre 2010

Page 10: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

I DUBBI SUI DUE PENTITI SU CUI SI FONDANO LE CONDANNE: UNO NON CREDEVA ALL’ALTRO, POI SI “CONVERTE”

Siani, Cataldo disse: «L’ho ucciso io»L’INCHIESTA

di Roberto Paolo

NAPOLI. L’impianto accusatorio delprocesso per l’omicidio di Giancar-lo Siani regge principalmente (senon esclusivamente) sulle dichiara-zioni di due collaboratori di giusti-zia. È grazie ai pentiti Gabriele Don-narumma e Ferdinando Cataldo chesi arriva alle condanne definitive al-l’ergastolo per mandanti e killer, tut-ti del clan Nuvoletta di Marano. Ma,come è stato sotto più aspetti di-mostrato nell’inchiesta del nostrogiornale, quelle sentenze non con-vincono nemmeno il più ingenuodegli osservatori: troppe ombre nonfurono chiarite, troppe contraddi-zioni non furono approfondite, trop-pe illogicità non hanno trovato spie-gazioni. È un aspetto importante dachiarire, perché se quelle sentenzeavessero delle basi granitiche, se laverità sull’omicidio Siani fosse sta-ta definitivamente ed oggettiva-mente accertata, al di là di ogni ra-gionevole dubbio, allora non avreb-be alcun senso interrogarsi sullapossibile verità alternativa offertadall’ex camorrista (dissociato manon collaboratore) Giacomo Caval-canti, che nel suo libro appena usci-to (“Viaggio nel silenzio imperfet-to”) racconta di aver conosciuto incarcere un giovane che gli ha con-fessato di essere stato uno dei dueassassini del giornalista del “Matti-no”. E gli ha raccontato una storiadel tutto diversa dalla verità “ac-certata” nei processi: diverso il mo-vente, diversi i mandanti. È dunqueimportante rileggersi gli atti del pro-cesso che ha portato alle condannedefinitive, a partire dall’ordinanzadi custodia cautelare firmata dal gipGiovanna Ceppaluni il 23 ottobre1995, per vedere se la verità giudi-ziaria si regge sulle proprie gambe. DONNARUMMAPROTEGGEVA CATALDO?Due pentiti, si diceva. Occorre pre-cisare però che inizialmente si erapentito il solo Donnarumma, co-gnato del boss Valentino Gionta di

Torre Annunziata. Racconta di averpartecipato ai preparativi per l’omi-cidio Siani, nella tenuta dei Nuvo-letta a Poggio Vallesana, e ai suc-cessivi festeggiamenti. Dice di es-sere stato il latore dei messaggi diNuvoletta a Gionta, che era dete-nuto. Spiega che Gionta era con-trario (e per questo il boss sarà poiassolto), i mandanti furono AngeloNuvoletta e Luigi Baccante, men-tre i killer furono Armando Del Co-re, Ciro Cappuccio e Gaetano Iaco-lare. Altri pentiti (Mercurio e Tarallo) in-tanto parlano dell’omicidio e indi-cano in Ferdinando Cataldo uno deikiller. Donnarumma invece no. Danotare che Cataldo era anche lui delclan Gionta ed era molto legato pro-prio a Donnarumma. Fatto sta chegli investigatori vedono questo fat-to con sospetto. Ed il sospetto au-menta quando arriva un altro pen-tito a raccontare una versione di-versa dei fatti. Si chiama GerardoIntagliatore. Questo camorrista diTorre Annunziata era stato compa-gno di cella di Donnarumma. E aimagistrati racconta di aver sentitoDonnarumma parlare con un altrodetenuto del clan Gionta, AlfredoSperandeo, a proposito dell’omici-dio Siani: «I due dicevano cheAgnello non c’entrava e che Ferdi-nando Cataldo era responsabile». Aquesto punto i magistrati voglionovederci chiaro: Cataldo c’entra op-pure no? E così mettono faccia afaccia Intagliatore e Donnarumma.Ma Donnarumma nega: «Ricordo diquesta carcerazione (assieme ad In-tagliatore, ndr). Ricordo di aver par-lato con Sperandeo Alfredo nel car-cere di Poggioreale dell’omicidioSiani e di aver commentato, dicen-do che Agnello non c’entrava nien-te. Non ho detto a Sperandeo dellaresponsabilità di Cataldo, di cui nonsono informato». Ma Intagliatorenon ci sta e ribadisce con fermez-za: «Evidentemente non ti ricordi.Sono assolutamente certo che, nel-le poche battute che vi scambiaste,

fu detto che Cataldo era responsa-bile dell’omicidio Siani. Lo disse unodi voi due». L’impressione, insom-ma, è che Donnarumma protegges-se Cataldo.LE INTERCETTAZIONIIN CARCEREAnche il gip Giovanna Ceppaluninon deve credere troppo a Donna-rumma se ordina l’arresto propriodi Ferdinando Cataldo, quale pre-sunto esecutore dell’omicidio Sia-ni. Del resto, spiega il gip, Cataldoha il sangue di gruppo zero, propriocome i killer che avevano fumato lesigarette Merit sotto casa di Sianidurante l’appostamento prima del-l’omicidio. E Cataldo era solito fu-mare proprio sigarette di marca Me-rit, secondo una nota della poliziagiudiziaria.Per motivare la custodia cautelareil gip riporta anche il contenuto diintercettazioni ambientali effettua-te nella sala colloqui del carcere diBellizzi Irpino tra Cataldo e i suoi fa-miliari. In una di queste conversa-

zioni, la moglie Adele gli riferisceche Donnarumma si è autoaccusa-to di essere stato uno degli orga-nizzatori dell’omicidio Siani. E Ca-taldo risponde: «Lo scemo che è....».Annota il gip che la frase viene det-ta «con la sicurezza e la stizza di chine conosce la marginalità (del Don-narumma nella preparazione del-l’omicidio, ndr)». Quindi Cataldonon crede a Donnarumma. Oppuresa che Donnarumma mente.In un’altra conversazione, semprecon la moglie e sempre a propositodell’omicidio Siani, Cataldo sembraconfessare apertamente l’omici-dio: «Io l’ho ucciso», dice senza sa-pere di essere intercettato. Per il gipè la prova delle prove. Ma in dibat-timento questa frase perderà di pe-so. I difensori di Cataldo chiede-ranno infatti di riascoltare la regi-strazione originale e proveranno chela frase trascritta poteva essere er-rata, dal momento che la registra-zione non era perfettamente chia-ra. Ma ci sono anche altre intercet-

tazioni a carico di Cataldo, in parti-colare quelle in cui fratello e figlio lomettono alle strette affermando o fa-cendo intendere di sapere che è sta-to lui ad uccidere Siani, mentre luinega sempre. Il gip comunque siconvince della «inoppugnabile col-pevolezza di Cataldo» per l’omicidiodi Siani. E lo fa arrestare. UN PENTITONON CREDE ALL’ALTROCon questi presupposti, è chiaroche Cataldo rischiava seriamentel’ergastolo. Ed è a questo punto chearriva il colpo di scena: Cataldo de-cide di pentirsi. E rivela che anchelui partecipò con Donnarumma allapreparazione dell’omicidio, ma poiall’ultimo momento non andò con ikiller perché fu impegnato in un al-tro agguato mortale a Torre Annun-ziata, contro tale “Lemon” (circo-stanza che però sarà smentita nelcorso del processo, quell’omicidionon avvenne la sera del 23 settem-bre 1985). Cataldo confermerà in-vece punto per punto la ricostru-zione di Donnarumma quanto amandanti ed esecutori materiali, lostesso Donnarumma al quale pocotempo prima, nei suoi colloqui incarcere con la moglie, Cataldo noncredeva («lo scemo che è...»). I giu-dici metteranno così da parte le di-chiarazioni degli altri pentiti che ac-cusavano Cataldo e crederanno al-la versione di quest’ultimo e di Don-narumma. Anche se i due si con-traddicono in diversi punti. Peresempio riguardo a come furono in-dividuati Siani e la sua abitazione.Oppure sul mezzo di locomozioneutilizzato dai killer. IL VEICOLO DEI KILLER:TRE DIVERSE VERSIONIIn una precedente puntata della no-stra inchiesta si è visto che Catal-do affermò che il commando di as-sassini arrivò al Vomero da Maranoa bordo della Fiat 126 di proprietàdi Armando Del Core. E deve esse-re proprio un killer assai sprovve-duto se va a commettere l’omicidiodi un giornalista (sapendo il putife-

rio che avrebbe scatenato) con lapropria automobile. Bastava unqualsiasi passante che riferisse latarga per finire all’ergastolo. Tantopiù che Del Core aveva precedentispecifici per il reato di riciclaggio diauto rubate. In un precedente arre-sto fu trovato in possesso di veicolidel calibro di Mercedes, Audi, Vol-kswagen, Volvo, ovviamente non in-testati a lui. Per dire, non aveva chel’imbarazzo della scelta. Inoltre, laFiat 126 di sua proprietà era stataacquistata da un precedente pro-prietario di Firenze in data 25 otto-bre 1985, un mese dopo l’omicidiodi Siani. Quindi molte cose già nontornano. Ma sul mezzo utilizzato dai killersorgono ulteriori dubbi. Perché Don-narumma fornisce una versionemolto diversa da quella di Cataldo.Racconta infatti il pentito: «Disseroche erano andati con una 127. Dis-sero che avevano fatto scomparire lamacchina, facendola tagliare in unoscasso, che non indicarono». Quin-di una Fiat 127 che fu poi distruttao una 126 che rimase di proprietàdi Del Core e che fu poi trovata in-fatti dai carabinieri dieci anni dopol’omicidio, ancora in possesso di DelCore? Forse nessuna delle due. Seinfatti si vanno a leggere gli artico-li scritti dai cronisti del “Mattino”subito dopo l’omicidio Siani, si sco-pre che le cose potrebbero essereandate diversamente, forse nellamaniera più ovvia e naturale. I te-stimoni sentiti dai cronisti raccon-tano infatti che i due killer, usciti apiedi da via Vincenzo Romaniello eraggiunta piazza Leonardo, moltotrafficata a quell’ora, sarebbero sa-liti su una moto per darsi alla fuga.In uno di questi articoli si parla ad-dirittura di una Vespa di colore blu.Ma queste testimonianze al pro-cesso non emergeranno. Del restoa che sarebbero servite? C’erano ipentiti a dire la verità. Fiat 126 o127, che differenza volete che fac-cia?

(9/Continua)

Il cadavere di Giancarlo Siani

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio, Armando Del Core,il boss Angelo Nuvoletta (foto) edaltri: condannati allʼergastolo.

Nei giorni scorsi è uscito un librodellʼex boss di Fuorigrotta Giaco-mo Cavalcanti (foto): rivela che afar uccidere Siani furono i Giuliano.

UN GIALLO NAPOLETANO.TRE DIVERSE VERSIONI PER IL VEICOLOUSATO DAI KILLER: I TESTIMONI DISSE-RO UNA MOTO, I PENTITI UN’AUTO

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A Ischia e Procida in tandem obbligatorio a 1,20 Euro con “il Golfo”

ma di qualità della spesa. Una mag-giore “sobrietà” nel gestire la cosapubblica è condizione necessariasoprattutto in tempi di congiuntureeconomico-finanziarie negative edeve rappresentate la virtù di ogniente che punti all’interesse della col-lettività. Ovviamente “sobrietà” nondeve significare chiusura ad ogniinvestimento, ma scelta seria suprogetti realizzabili e portatori di oc-cupazione. Non c’è dubbio che il futuro delMezzogiorno, dove il lavoro rimanel’emergenza prioritaria, passa at-traverso un piano urgente che sap-pia non solo rilanciare assi strategi-ci come infrastrutture, turismo,agroalimentare, energia, poli indu-striali, centri di ricerca, distretti le-gati all’economia del mare, ma so-prattutto provveda a migliorare lasicurezza, a incentivare l’innova-zione tecnologica e a programmareuna funzionale e moderna forma-zione dei giovani. C’è da evidenziare, inoltre, che perun rinnovato protagonismo del Mez-zogiorno non si può prescindere dal

processo euromediterraneo. L'areadel Mediterraneo ha una funzionefondamentale per lo sviluppo dellaCampania e di tutte le regioni delSud, che devono stringere rapportistretti soprattutto con i paesi rivie-raschi dell'area Med. Condividol'idea, lanciata tempo fa dal mini-stro degli Esteri Frattini, di creareun coordinamento tra le Regionimeridionali per sostenere un pro-getto unico di cooperazione istitu-zionale su grandi temi come le po-litiche di migrazione, il rispetto del-l'ambiente, le risorse culturali el'esportazione di nuovi modelli dicomunicazione e di governance. Lacooperazione è elemento basilareper abbattere le distanze e costrui-re una coesione internazionale, ve-ra opportunità di sviluppo “globale”e, al tempo stesso, “locale”. Le nostre decisioni, le nostre azionidevono necessariamente tenereconto del “glocal” e dei processi mo-derni economici. Oggi, infatti, le sfi-de dello sviluppo non si misuranopiù tra “regioni” ma tra continenti:più i territori sono efficienti e più siestende la loro capacità di compe-tizione, di forza economica. Conquesta consapevolezza, nel segno

di un’economia solidale, le Banchedi Credito Cooperativo (che sonopiù del 50% nel panorama italiano),“vivono” i territori, mettendo al cen-tro di ogni decisione la persona,puntando a una virtuosa e seria si-nergia tra etica e impresa. Il nostrocompito deve essere quello di sta-re vicino alle imprese, stimolandonela crescita, incoraggiandone l’aper-tura internazionale e promuoven-done il valore e la forza delle idee. La rinascita del Sud è possibile se,con buone dosi di forza progettua-le e realismo costruttivo, si lavore-rà per rafforzare l’alleanza tra politi-ca, università, mondo delle impre-se e delle professioni. Un’alleanzacapace di formare una coscienzaautenticamente meridionalista, maiantitaliana, aperta al mondo e pron-ta a credere in se stessa. Mi piace ri-cordare ciò che scrisse proprio DonSturzo in uno dei suoi illuminantisaggi: “Il Mezzogiorno salvi il Mez-zogiorno, con una visione che nondeve essere monopolio di partito,ma coscienza politica”. Il Sud solose crede in se stesso potrà avere unfuturo nuovo.

Amedeo Manzo* presidente Bcc Napoli

SEGUE DALLA PRIMA

Piani “glocal”... Berlusconi...1) Il processo denominato “Telecin-co”, istruito dal famoso giudice spa-gnolo Baltazar Garcon nel 1999, ven-ne sospeso nel 2001 perché l’impu-tato Silvio Berlusconi, ritenuto col-pevole di aver violato le leggi spa-gnole sull’emittenza televisiva, erapresidente del Consiglio e, in tale ve-ste, godeva dell’immunità previstadalle leggi spagnole anche nei ri-guardi di parlamentari stranieri; il pro-cesso venne ripreso nel settembre2006, quando Berlusconi lasciò pa-lazzo Chigi a Romano Prodi, e si con-cluse nell’aprile 2007 con la piena as-soluzione dell’imputato; 2) “Senza au-torizzazione del Parlamento nessundeputato europeo può essere inqui-sito e rinviato a giudizio dai magi-strati del paese di appartenenza”.Tant’è vero che il Parlamento di Stra-sburgo votò contro la richiesta dellaPm Clementina Forleo, che avevachiesto di poter rinviare a giudizio gliex europarlamentari Massimo D’Ale-ma e Piero Fassino “accusati di undisegno criminoso nella scalata del-l’Unipol alla Bnl”. E lo stesso Parla-mento non ha ancora risposto al Tri-

bunale di Napoli che ha chiesto diprocessare l’eurodeputato ClementeMastella. Del resto, nel suo discorsodel 5 settembre scorso a Mirabello ilpresidente della Camera GianfrancoFini ha detto: “Berlusconi ha il dirit-to di governare fino al 2013 perchécosì hanno voluto gli italiani che nel-l’aprile 2008 hanno votato a stra-grande maggioranza le liste del PdLcon Berlusconi presidente, perciò iprocessi che lo riguardano devonoessere sospesi finché egli siede a pa-lazzo Chigi”. Viene perciò da chie-dersi perché mai il presidente Fini,con l’ autorità che gli deriva dall’es-sere “la terza carica dello Stato”, nonsi fa portatore di questa legittima esi-genza presso il Csm, la Procura dellaRepubblica e il Tribunale di Milanopiuttosto che “minacciare crisi di go-verno ove Berlusconi volesse fare ap-provare leggi contro la magistratura”.Solo così si potrebbe fare a meno dellegittimo impedimento, del processobreve e del lodo Alfano. E si torne-rebbe a parlare seriamente di lavo-ro, fisco, competitività, Mezzogiorno,ambiente, Costituzione… E di giu-stizia sociale.

Gerardo [email protected]

PRIMO PIANO2 giovedì 28 ottobre 2010

Page 11: L’ANTEPRIMA IL CAPITOLO SULL’OMICIDIO SIANI DAL LIBRO … so chi ha ucciso Siani.pdf · «Da quando ho ucciso Giancarlo... ... si odia, si progetta-no vendette, crimini, si pensa

DOPO LE RIVELAZIONI DI CAVALCANTI E DEL “ROMA”, FASCICOLO IN PROCURA AFFIDATO AI PM AMATO E NARDUCCI

Omicidio Siani, riaperta l’inchiestaLA SVOLTA

di Roberto Paolo

NAPOLI. La Procura di Napoli ha ria-perto le indagini sull’omicidio diGiancarlo Siani. Venticinque annidopo l’agguato camorristico contro ilgiovane cronista del “Mattino”, ilprocuratore Giovandomenico Lepo-re ed il procuratore aggiunto Ales-sandro Pennasilico, che coordina laDirezione distrettuale antimafia,hanno aperto un fascicolo che, peril momento, è stato iscritto a model-lo 45, ovvero notizie non costituentireato. Un passo dovuto ma ancoramolto prudente, in attesa di primiaccertamenti che consentano di in-quadrare diversamente la vicenda,eventualmente formulando preciseipotesi di reato. Nell’intestazione delfascicolo c’è scritto “articoli di stam-pa in merito all’omicidio di GiancarloSiani”. Dentro alla cartellina di car-tone, al momento, sono racchiusesoltanto le fotocopie delle nove pun-tate dell’inchiesta del nostro giorna-le, partita dalle rivelazioni contenu-te nel libro di Giacomo Cavalcanti“Viaggio nel silenzio imperfetto”, dicui l’11 ottobre scorso il “Roma” hapubblicato in anteprima esclusival’intero capitolo riguardante l’omici-dio del 26enne giornalista napoleta-no. Cavalcanti rivela una verità al-ternativa rispetto aquella emersa dai pro-cessi conclusi con con-danne passate in giu-dicato. Afferma che la“sua” verità gli è stataconfessata in galera dauno dei “veri” killer diSiani. Il nostro giorna-le ha provveduto a ri-costruire e fornire ele-menti di verifica e diintegrazione del rac-conto di Cavalcanti, ar-rivando ad indicare inomi delle persone che si nascon-dono dietro gli pseudonimi e i silen-zi dell’ex detenuto. Persone che sa-rebbero coinvolte anche in un altroomicidio, quello di Vincenzo Caute-ro, ucciso al Vomero 4 mesi dopoSiani, e per il quale mai nessuno èstato iscritto nel registro degli inda-gati. Anche questo fatto di sangueentra di diritto nel fascicolo apertoin procura, perché nell’ipotesi so-stenuta dall’inchiesta del “Roma”mandanti ed esecutori dei due omi-cidi sarebbero gli stessi. INDAGANO I PMAMATO E NARDUCCIMa al momento l’impostazione da-ta dal Procuratore e dal coordinato-re della Dda rivela l’estrema cautelacon cui ci si intende muovere su unamateria così delicata e scottante:non solo per l’omicidio Siani ci sonocondanne definitive all’ergastolo, mala “verità” alternativa proposta daCavalcanti e riscontrata dall’inchie-sta del nostro giornale tira in ballosia persone ormai decedute sia uncollaboratore di giustizia, SalvatoreGiuliano “’o montone”, che non hamai rivelato nulla di quei due delit-ti. È di tutta evidenza quindi come leiniziative giudiziarie, obbligate do-po le notizie pubblicate dal “Roma”,vanno portate avanti a passi felpati.Ma questo non vuol dire che l’ini-ziativa della Procura sia soltanto una“formalità”: al contrario, la determi-nazione con cui si ha intenzione diandare a fondo in questa vicenda ètestimoniata dalla scelta dei due so-stituti procuratori a cui è stato affi-

dato il fascicolo: i pm Sergio Amatoe Giuseppe Narducci. Il primo è at-tualmente il più esperto pm in ser-vizio alla Dda in materia di clan delcentro storico. La scelta di Narduc-ci è però un segnale ancora più im-portante, dal momento che questopm non lavora più nella Direzioneantimafia per raggiunti limiti tem-porali di permanenza, ed è asse-gnato ad altra sezione della Procura.Tuttavia è stato lui ad indagare sulclan Giuliano e a gestire poi il pen-timento di tutti i boss della famigliamalavitosa di Forcella (dove, secon-do Cavalcanti, sarebbe stato decisol’omicidio Siani). Il fatto che Leporee Pennasilico abbiano voluto coas-segnargli il fascicolo sull’omicidioSiani lascia intendere quanta im-portanza danno alla questione e conquanta serietà vogliono affrontarla. LE PRIME INDAGINIDopo 25 anni, dunque, le indaginisulla morte dell’unico giornalista maiucciso dalla camorra ripartono dalprincipio. Una storia, quella delle in-chieste sull’omicidio Siani, che è sta-ta altalenante e tormentata fin dalleprime battute. Sul caso indagaronosia i carabinieri, con l’allora capita-no Luigi Sementa, sia la polizia coni vertici della squadra mobile del-l’epoca, Franco Malvano e Franco

Gratteri. Dopo due an-ni il procuratore gene-rale Aldo Vessia avocòa sé le indagini in po-lemica aperta con i ma-gistrati dell’ufficio in-quirente. Una fratturache peserà gravemen-te sul successivo svol-gimento dell’inchiesta.Nell’ottobre del 1987scattano tre arresti: incella finiscono CiroGiuliano “‘o barone”(cugino del capoclan

Luigino Giuliano “’o rre”, all’epocadetenuto), Giuseppe Calcavecchia(cognato di Luigino Giuliano) e Gior-gio Rubolino. Quest’ultimo era ungiovane della Napoli bene, figlio diun alto magistrato (all’epoca già de-funto) che era stato a capo della Pro-cura di Torre Annunziata e collegadi Vessia. Rubolino era intimo di Ci-ro Giuliano e bazzicava ambienti de-diti alla cocaina e alla prostituzione.L’inchiesta prosegue con colpi discena e clamorose smentite e si con-clude malissimo. Il giudice istrutto-re Mino Palmeri proscioglie e scar-cera i tre indagati. Sulla morte diGiancarlo Siani cala il silenzio.LA SVOLTA ED IL PROCESSONell’autunno del 1993, otto anni do-po il delitto, si pente Salvatore Mi-gliorino, uomo del clan Gionta di Tor-re Annunziata, e rivela che Siani fuucciso su ordine dei Nuvoletta diMarano. L’indagine passa nelle ma-ni del pm Armando D’Alterio. Altripentimenti forniscono nuovi contri-buti. Si pente anche il cognato di Va-lentino Gionta, Gabriele Donnarum-ma: afferma di aver partecipato alletrattative tra Angelo Nuvoletta e Va-lentino Gionta per decidere la mor-te di Siani, reo di aver pubblicato il10 giugno 1985 un articolo sull’arre-sto del boss di Torre Annunziata incui ventilava l’ipotesi che Gionta sa-rebbe stato venduto ai carabinieridall’alleato Nuvoletta. Il 23 ottobredel 1995 scattano una serie di arre-sti, su ordine del gip Giovanna Cep-paluni. Tra gli altri, finisce in galeraanche Ferdinando Cataldo, soldato

dei Gionta, accusato di aver fattoparte del commando che uccise Sia-ni assieme ad Armando Del Core,Ciro Cappuccio e Gaetano Iacolare,tutti del clan Nuvoletta. Ma lo stes-so Cataldo si pente, dipingendo unascena in parte diversa. Lui non sa-rebbe stato tra i killer, a sparare sa-rebbero andati i soli Del Core e Cap-puccio. Gionta non avrebbe mai da-to l’assenso a quell’omicidio eccel-lente, considerandolo inutile e trop-po pericoloso. Si susseguono una se-rie di sentenze con esiti assai diver-si (Cataldo non viene creduto in pri-mo grado, lo è invece in appello;Gionta viene prima condannato al-l’ergastolo e poi assolto dalla Cassa-zione). Nel 2001 il verdetto diventadefinitivo. All’ergastolo finisconoAngelo Nuvoletta e Luigi Baccante,quali mandanti, Armando Del Core eCiro Cappuccio quali esecutori. I duepentiti decisivi, Gabriele Donna-rumma e Gaetano Cataldo, ottengo-no una condanna a 28 anni.LE OMBRE SULLA SENTENZAMa la verità giudiziaria lascia troppipunti in sospeso, ombre e contrad-dizioni che gravano ancora oggi sul-le sentenze di condanna. I pentitiche parlano della vicenda sono sei,ma solo a due viene dato retta. Que-sti due si contraddicono più volte.Per Donnarumma i killer usarono una127 poi rottamata. PerCataldo invece usaro-no la 126 di Del Core. Itestimoni oculari par-larono invece di unamoto. E la 126 fu ac-quistata da Del Coresolo un mese dopol’omicidio Siani. I testi-moni oculari (ben tre)non furono mai messia confronto con i pre-sunti killer. Nessuno haoperato un riconosci-mento dei due. Non so-lo: tutti riferiscono che i killer eranoalti più o meno uguale, tra il metroe 70 ed il metro e 73, di corporaturaregolare, dalla faccia pulita. I duecondannati sono invece un armadiodi 184 centimetri e un’esile figura di161 centimetri. Uno dei testimoni,l’avvocato Nicola Trunfio, intervi-stato per la prima volta dal nostrogiornale, ha escluso categorica-mente che uno dei due killer con cuiebbe un diverbio sotto casa di Sianipossa essere uno dei due attual-

mente detenuti all’ergastolo perquell’omicidio.Testimoni e pentiti riferiscono che ikiller lasciarono sul posto numerosimozziconi di Merit. Le cicche furo-no trovate ed analizzate: le aveva fu-mate qualcuno col gruppo sangui-gno zero. Nessuno dei due killer haquel gruppo sanguigno. È emersoche Siani prima di essere ucciso erastato minacciato e messo sull’avvi-so, aveva paura per qualcosa a cuistava lavorando. La versione deipentiti invece dice il contrario. E sipotrebbe continuare a lungo, ma fer-miamoci qui.LA VERITÀ IN UN LIBROA mettere in dubbio la verità giudi-ziaria arriva, solo un mese fa, il librodi Giacomo Cavalcanti. Detenutoper 14 anni con l'accusa di associa-zione camorristica, da vent'anni Ca-valcanti è libero e si è rifatto una vi-ta lontana da Napoli e dal crimine.Cavalcanti rivela nel suo ultimo libroche un compagno di detenzione gliavrebbe rivelato, nel cortile del car-cere di Bellizzi Irpino, di aver ucci-so il giornalista del “Mattino” assie-me ad un inseparabile compagno dinome Paoletto, poi a sua volta am-mazzato da un altro clan di camor-ra. Entrambi non erano di Forcellama rispondevano agli ordini di Sal-vatore Giuliano “'o montone” e del

cugino Ciro Giuliano“'o barone”. Secondoquesto detenuto, unparente dei Giuliano,tale “'o sllone”, abitan-te al Vomero e coinvol-to con i Giuliano nelbusiness delle coope-rative di ex detenuti,voleva ricattare i bossdi Forcella che aveva-no intenzione diespandere l'affaire an-che a Torre Annunzia-ta: se non mi fate fuori

dal giro io posso fermare un mio ami-co giornalista che è in possesso didocumentazione sul caso ed è inprocinto di pubblicare tutto sul“Mattino”. A quel punto i Giulianofinsero un accordo con “'o sllone” mauccisero prima Siani (rintracciatograzie a Giorgio Rubolino) e poi lostesso “Sllone”.LA RICOSTRUZIONE DEL “ROMA”Secondo quanto il nostro giornale èstato in grado di ricostruire, “o sllo-

ne” del racconto di Cavalcanti sa-rebbe Vincenzo Cautero, ucciso il 24gennaio 1986 in via Matteo RenatoImbriani. Cautero era presidente del-la cooperativa di ex detenuti “La Pri-mavera”, con sede in via Suarez 30,a pochi metri da piazza Leonardo.Cautero era figlio del commercian-te di pesce surgelato in piazza Leo-nardo dove si riforniva anche la fa-miglia Siani. Lui e Giancarlo si co-noscono, almeno di vista, da tutta lavita. Di lui e della connessione tra lasua morte ed il delitto Siani parlò an-che un collaboratore di giustizia, An-tonio Ferrara, un ragioniere divenu-to il contabile dei clan nella gestio-ne del business delle cooperative diex detenuti su cui lucravano camor-ra e politici corrotti. Era il 1986, maall'epoca Ferrara non fu ritenuto cre-dibile, anche se le sue dichiarazioniportarono poi a numerose condan-ne per lo scandalo del-le cooperative del clan.Chi era invece il Pao-letto, di cui parla Ca-valcanti? Secondo leinformazioni in nostropossesso negli anni '80esisteva una paranzadi ragazzi di Chiaia,giovanissimi e dallafaccia pulita, che Ciroe Salvatore Giulianoutilizzavano per gli af-fari più delicati. Uno diquesti si chiamavaPaolo Cotugno e fu ucciso il 30 di-cembre 1989 a 25 anni. Era alto cir-ca un metro e 70, girava armato suuna potente moto: all'epoca del de-litto Siani aveva 21 anni. Di questaparanza faceva parte anche un altroragazzo non di Forcella, AlessandroApostolo, morto in circostanze mi-steriose due giorni dopo essere usci-to dal carcere, il 29 ottobre 1993, a27 anni. Era alto 173 centimetri, cor-poratura regolare, e all'epoca del de-litto Siani aveva 19 anni. Potrebbeessere lui il misterioso compagno didetenzione di Cavalcanti? Oppureun altro dei componenti della pa-ranza agli ordini dei Giuliano, alcu-ni ancora vivi ed attualmente liberi?LE NOVITÀ DI CAVALCANTISono questi alcuni degli aspetti chela Procura ora dovrà chiarire. Par-tendo però da un interrogativo: ècredibile il racconto di Cavalcanti?O è solo un’accozzaglia di informa-zioni rimediate dalle cronache giu-

diziarie dell’epoca e rimesse assie-me alla bene e meglio? Secondoquanto il “Roma” ha potuto appura-re vi sono nel racconto di Cavalcan-ti alcuni particolari del tutto inediti.Il primo è il nome e la descrizione diuno dei due killer, Paoletto. Il secon-do è il nome di uno dei mandanti,mai emerso prima: Salvatore Giulia-no “’o montone”, oggi collaboratoredi giustizia. Altri due elementi nuo-vi si riferiscono a Vincenzo Cautero:Cavalcanti lo indica col soprannomedi “sllone” e afferma trattarsi di unparente dei Giuliano. Circostanzeche i giornali dell’epoca non pubbli-carono e che i protagonisti delle in-dagini dell’epoca non ricordano chesia mai emerso, anche se era risa-puto che Cautero fosse collegato alclan Giuliano. Ebbene, a Forcella, se-condo quanto il “Roma” ha appresoda fonti confidenziali, Cautero eraconosciuto come “Vicienzo ‘o serro-ne”. Ed era imparentato ai Giulianoin quanto sua madre, Fortuna Tolo-melli, era la sorella del padre di RitaTolomelli, moglie di Guglielmo Giu-liano “’o stuorto”. Quindi, la cuginadi Cautero aveva sposato uno deifratelli Giuliano. Come sa Cavalcan-ti tutto questo, se non lo ha appresoda persone legate ai forcellani? I PROSSIMI ACCERTAMENTILe nuove indagini aperte dalla Pro-cura sono alle prime mosse: non èstato nemmeno acquisito il libro diCavalcanti, edito da Tullio Pironti. Idue pm titolari del fascicolo stannovalutando il materiale in loro pos-sesso per decidere i passi da com-piere. Sembra inevitabile però chel’indagine miri da subito a chiarirealcuni punti fondamentali di questastoria. Innanzitutto saranno preve-dibilmente compiute delle verifichesul libro delle matricole del carcere diBellizzi Irpino per appurare se du-rante la detenzione di Cavalcanti sia-no passati di lì anche esponenti del

clan Giuliano o sog-getti che possano ri-spondere all’identikitdisegnato nel suo rac-conto. In secondo luo-go, è possibile che ipm vogliano sentire lostesso Cavalcanti co-me persona informatasui fatti per chiedergli,sotto giuramento, di ri-velare l’identità delcompagno di deten-zione che gli avrebberivelato di aver ucciso

sia Siani sia Cautero. Inoltre, è an-che prevedibile che la polizia giudi-ziaria vada a scambiare quattrochiacchiere con vecchi informatoriaddentro ai fatti di camorra degli an-ni ‘80 ed in particolare agli affari delclan Giuliano. La presenza di Nar-ducci nel pool di inquirenti, poi, sigiustifica anche con l’ipotesi che sivogliano fare un po’ di domande ainumerosi pentiti del clan Giuliano.Coinvolti o meno direttamente, è im-possibile che nessuno di loro abbiamai sentito parlare dell’omicidio Sia-ni, compiuto nel loro territorio, e dicome andarono davvero le cose. Al“Roma” risulta infatti che gli am-bienti malavitosi di Forcella sappia-no da anni e con certezza che in ga-lera per l’omicidio Siani si trovanodegli innocenti. Ma il nostro lavorodi cronisti si ferma qui. Adesso toc-ca ai magistrati far venire alla lucela verità.

(10/Fine)

Lʼomicidio di Giancarlo Siani: lʼallora capitano dei carabinieri Luigi Sementa e il redattore del “Mattino” Mino Jouakim davanti al cadavere del cronista

Alessandro Apostolo

Paolo Cotugno

Il 23 settembre 1985 due giovanikiller uccidono in piazza Leonar-do, al Vomero, Giancarlo Siani,26 anni, cronista del “Mattino”.

LE TAPPE DELLA VICENDA

Il 19 ottobre 1987 vengono arre-stati Giorgio Rubolino (foto), CiroGiuliano e Giuseppe Calcavec-chia. Scarcerati un anno dopo.

Nel 1995 i pentiti fanno arrestareCiro Cappuccio, Armando Del Core,il boss Angelo Nuvoletta (foto) edaltri: condannati allʼergastolo.

Nei giorni scorsi è uscito un librodellʼex boss di Fuorigrotta Giaco-mo Cavalcanti (foto): rivela che afar uccidere Siani furono i Giuliano.

UN GIALLO NAPOLETANO.L’INDAGINE PUNTA SUL CLAN GIULIANO DIFORCELLA: POTREBBE ESSERE INTERROGA-TO L’EX DETENUTO DIVENTATO SCRITTORE

Salvatore Giuliano

PRIMO PIANO 3martedì 9 novembre 2010