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CHI HA UCCISO DON SERAFINO?
ANNO 2007
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Chi ha ucciso don Serafino?
Giallo scritto da don Stefano
01. Il paese di Grattamis
02. Losteria
03. La canonica
04. Voci nella notte
05. Il benvenuto
06. Il toro
07. I duchi di Pratofiorito
08. Il giorno del Signore
09. Le paure dellavaro
10. Occhi nella notte
11. Ricordi dolorosi
12. Il mercatino del venerd
13. La sfida
14. La casa sul fiume
15. Una lettera da Napoli
16. Il duca di Pratofiorito
17. Il castello
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18. Un pranzo cordiale
19. La cappella del castello
20. Lavvertimento
21. La verit uccide
22. Unidea
23. Lo scopone scientifico
24. La rivincita
25. La sagra dei morti
26. La cattura
27. Sussurri e grida
28. La quiete dopo la tempesta
29. Un figlio ci stato donato
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Capitolo 01
Il paese di Grattamis
Grattamis un paese piccolo sulla sommit di un monte, direi quasi come in una antica canzone, sul cocuzzolo della montagna, incastrato tra le rocce. Le case addossate le une alle altre, quasi artistico presepe, fanno corona allunica chiesa del paese che domina sovrana sulla piazza, luogo di ritrovo per la domenica pomeriggio. Un bar con qualche tavolino allesterno e delle sedie di paglia, segno che il tempo passato anche l e poi fuggito via.
Un campo di bocce alla periferia della grande piazza, quasi nascosto, vede gli uomini gareggiare per un bicchiere di vino e bestemmiare quando il colpo non va a segno.
I pochi giovani rimasti nel paese, seduti sulla sommit dellan-tica scalinata che dal sagrato conduce alla piazza, chiacchie-rano di calcio, di lavoro e di ragazze e di un futuro che l pi incerto che altrove. Un sentiero di pochi chilometri consente la discesa nella valle dove tra campi scorre un fiume quasi sempre in secca e un ponte ultracentenario e a stento affida-bile ti consente di giungere allaltra riva. E il ponte del Dia-volo, perch nel passato un uomo si era l impiccato.
Una strada solitaria, tra filari di alberi secolari ti porta alla vi-cina stazione ferroviaria. Una sala con quattro sedie e una cas-sapanca, la casa cantoniera, il passaggio a livello quasi sempre incustodito, tre vacche che pascolano in lontananza. Ed l che ferma per pochi minuti il treno sgangherato su cui ho viaggiato.
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E limbrunire. Uno spettacolo meraviglioso e strano per chi ha sempre vissuto in una grande citt numerosa e caotica. Un senso di tristezza e forse di paura mi assale. Giorni nuovi e sereni mi aspettano. Poi una domanda bruciante: ed ora?
Il casellante un uomo maturo, quasi completamente calvo, un naso pi grosso del solito, particolarmente magro. Mi av-vicino sperando che capisca il mio parlare. Chiedo se il paese molto lontano e se c qualche mezzo, un auto per esempio, che mi possa portare lass. Sono don Stefano, il nuovo par-roco. Mi guarda sorpreso. Non capisco se perplesso per labito borghese che porto oppure per la mia corporatura massiccia e la bocca quasi sdentata.
- Lieto di conoscerla, signor Curato, se vuole io e mio fratello le daremo un passaggio fin su la piazza. Portiamo un carro di fieno per i cavalli di don Giuseppe, per gli amici Pizzicasem-pre.
Un pensiero mi fulmina: donne o leccornie? Quasi avesse letto nel pensiero continua: -Lo chiamano cos perch litiga sempre e sempre le prende.
Lidea di fare un viaggio su un carro di fieno non mi sorride ma non ho alternative. E allora lo seguo. Il carro pronto per la partenza. A cassetta c Remo il fratello del casellante, qual-che anno in meno e qualche capello in pi. Cicciotello e pa-cioccone. Due buoi pezzati tirano il carro. Sar davvero unav-ventura salire sul fieno. Sono in preda al panico. Con queste gambe sar impossibile. Eppure ora sono sul fieno. Hanno abbassato lo sportello posteriore e mi hanno tirato su. Dimen-
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ticavo, cera anche una sedia traballante su cui son dovuto sa-lire. E mentre mi tiravano prendendomi per i fondelli, non ci giurerei, ma ho sentito una bestemmia. Forse mi sono sba-gliato. In lontananza due donne apparse allimprovviso dai campi vicini ridevano di me a crepapelle.
Come inizio non male! E camminando, pi volte, si son fer-mate a guardare e a ridere, ridere, ridere!
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Capitolo 02
Nellosteria
Lentamente il carro si muove. Remo fischietta. Seduto su una balla di fieno mi guardo intorno. Alberi secolari rendono il sentiero abbastanza stretto. Ed il dondolio del carro cos dolce che devo farmi violenza per non addormentarmi. Si sta facendo buio. E nella mia immaginazione gli alberi si animano e minacciosi agitano i loro rami. Un fruscio di foglie mosse da un vento forte che a tratti si riposa, sembra dirmi: Non era meglio a Napoli?
In lontananza c il ponte del Diavolo. Per un attimo mi sembrato di vedere in alto, volteggiare su di esso, un essere alato dalla lunghissima coda. Ma solo unallucinazione, nata dalle mie paure. Labbaiare di un cane si fa sempre pi vicino e gli occhi che ormai si abituano al buio hanno intravisto, al termine del ponte, una baita di lamiere contorte, cartoni e pa-glia, una squallida abitazione per una giovane donna, incinta, e il suo giovane uomo. Ci guardano, si avvicinano e chiedono. Sono Rom. Zingari! Anche qui? La donna carina e cosa ab-bastanza strana ha un incedere regale.
Al nostro rifiuto luomo abbraccia la donna come a proteg-gerla e ritornano lentamente a quella miserabile abitazione se-guiti dal cane che continua ad abbaiare. E mentre i due fratelli imprecano contro i forestieri perch ladri e sfaticati, il carro incomincia a salire per il sentiero che ci porter al paese, in alto.
Finalmente, ormai buio, quasi notte, sulla piazza fiocamente
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illuminata scendo. Anche questa volta sono stato aiutato. La sedia della vicina cantina, le mani callose di Remo e del fratello e due grossi giovanottoni un po alticci mi hanno consentito di mettere piede sulla terra ferma.
- Mi sa indicare dove la canonica?
Sono stanco e ho voglia di dormire. Non c vita allintorno. Poche finestre illuminate parlano di famiglie ancora deste. Forse cenano? E la domanda risveglia in me un dolorino allo stomaco. E fame. Trover qualcosa nellosteria? La signora che si attarda tra stoviglie da lavare e rimasugli di cibo da por-tare ai porci gentile, soprattutto quando sente che sono il nuovo curato.
Una tovaglia fresca di bucato stesa con prontezza su un ta-volo. Pane paesano da tagliare a grosse fette. Unampolla di vino rosso, generoso e sul piatto salumi e formaggi locali. Ho mangiato con avidit e ho bevuto cos velocemente che parte del vino mi colato sul mento. Ottimo, dico. Davvero ge-nuino! E cos nasce unamicizia.
- Sigi! strilla la donna, quando ho finito di cenare e dal retro-bottega entra Sigismondo, uno dei suoi otto figli, il pi pic-colo, ventenne, occhi intelligenti e vivaci.
- Accompagna il signor Curato alla canonica, le chiavi le chiedi ad Eufemia.
E quando Sigi mi mostra dov la canonica impallidisco. Len-tamente mi segno e appoggiandomi a lui incomincio a sa-lireuno, due, tre, quattrocinquanta, cinquantuno. E ve-ramente la via crucis.
Respiro a stento. Dovrebbe mettersi a dieta, padre! Lo guardo
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e lo odio! Anche tu?
E mentre gli occhi scoccano dardi infuocati che se fossero veri avrebbero fulminato allistante lincauto, un pensiero mi gela il sangue nelle vene: I bagagli, mio Dio, i bagagli! E mi appaiono accanto alla vecchia cassapanca, nella sala di attesa della stazione! Li trover mai?
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Capitolo 03
La canonica
Seduto su un piccolo muretto tra due grosse piante, vicino al portale seicentesco della chiesa, nel buio appena squarciato da un pallido raggio di luna, con la testa appoggiata al muro penso a quanto accaduto nella giornata e mi d del buono a nulla.
Sono senza forze e stressato, preoccupato per questa nuova vita che ho voluto, respiro affannosamente, desidero un letto per dormire, le vene delle tempie pulsano selvaggiamente, i bagagli sono stati dimenticati altrove. Perch dunque son ve-nuto solo? Se mi fossi fatto accompagnare come mi era stato proposto da buoni amici, tutto questo non sarebbe accaduto. Ora assaggerei il candore delle lenzuola e dormirei serena-mente.
E mentre mi d dellinetto, ritorna Sigi con la chiave della ca-nonica e dei ceri. Stupore nel vedere la chiave. E quella che tranquillamente si pu custodire nella tasca dei pantaloni, trenta centimetri di lunghezza e mezzo chilo di peso. E nel guardare i ceri domando a che serviranno.
- Nella canonica non c elettricit! La fornitura stata sospesa pochi giorni dopo la morte dellultimo parroco circa tre anni fa.
- E chi vi ha spezzato il pane della parola di Dio, in questo tempo?
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- Don Luigi Gambacorta il parroco del paese vicino Gratta-migi! Non lo amiamo molto, non perch sia balbuziente ma perch ha le mani lunghe. In giro lo chiamano lAfferratutto!
Incuriosito incalzo con le domande mentre la chiave scende nella toppa e sono accesi i due grossi ceri. Il pesante portone della casa canonica si apre lentamente. Lingresso piccolo con un attaccapanni. Sento lodor di chiuso che certo non piacevole e un grosso disagio interiore.
E voce doltretomba, inattesa, rompe il silenzio:
- Le camere sono a destra, a sinistra lo studio dellultimo curato. E qui che stato strangolato. Un caso insoluto. Non hanno rubato niente. Lo abbiamo trovato seduto alla scrivania con la testa riversa allindietro.
E continua Sigi, a parlare, ma io non ascolto. Incapace di sen-tire, incapace di capire. Qualcosa mi soffoca. Sarei caduto se le braccia pronte del mio accompagnatore non mi avessero prontamente sostenuto e non mi avessero accompagnato allinterno aiutandomi a distendermi sul letto e mentre ho perso i sensi, la porta stata chiusa, i passi si sono allontanati e ora sono solo in questa casa che forse cela diversi misteri. La notte a met del suo corso.
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Capitolo 04
Voci nella notte
Il sonno pesante ed pieno di incubi. Il ponte dellimpiccato e il diavolo che sogghigna, odioso burattinaio che muove i fili di molti poveracci, il prete strangolato che si alza dalla scriva-nia e sedendosi sul mio letto, ridendo, gira la testa al contrario. Remo e il fratello che entrano nella stanza portando una cassa da morto e guardandomi esclamano-
- Neanche una notte lo hanno gi ammazzato. E poi rintoc-chi nella notte, lenti e solenni, funebri e un urlo, un grido, una risata, un pianto. Qualcosa di indecifrabile.
Mi sveglio sudato e impaurito. Il bagno, dove il bagno? Ecco, la cucina! Si, questo il bagno! Oh no! La porta d sul giardino. Luci deboli e fioche a terra, un po ovunque! Mio Dio il cimitero del paese. Le ombre nere si ergono lenta-mente dai sepolcri, si alzano nellaria, si avvicinano, si allonta-nano, si avvicinano ed una danza vorticosa intorno a me il grido strano risuona nuovamente nellaria. E la civetta che canta, mi diranno domani.
Il bagno, dove il bagno? Finalmente. Mi asciugo il sudore e ritorno a dormire. Non ho pi forze e io che volevo giorni sereni. Ora il ponte dellimpiccato solennemente addobbato a festa con mille bancarelle colorate sui due lati. E tu cammini e guardi, sospiri e desderi. Seduto dietro una bancarella un omone grasso e grosso con una lunga barba rossiccia e occhi fosforescenti grida ai passanti:
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- Cornetti, cornetti ballerini, comprate, comprate.
E i cornetti si alzano in piedi, una lunga fila che balla il can-can cantando all unisono: siam belli, siam gustosi, di crema appetitosi. E tu allunghi la mano per prenderli ed essi ti sfug-gono ridendo, saltando, ridendo, cantando: siam belli, siam bellissimi, gustosi, gustosissimi. E un fiume di panna scorre sereno sotto il ponte mentre il cielo minaccia una pioggia ab-bondante di struffoli. Mi giro e rigiro, il canto del gallo mi dice che lalba. E ora di alzarsi!
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Capitolo 05
Il benvenuto
Per qualche giorno non celebrer. Desidero prima ambien-tarmi, conoscere il paese e la sua gente, mettere ordine in que-sta che la mia nuova e forse ultima casa della mia vita, siste-mare diversamente lo studio poich cos com mi ricorder spesso del curato strangolato e nel pensare a lui istintivamente la mia mano tocca la mia gola.
Nel pomeriggio entrer in chiesa per vedere se c tutto loc-corrente per una celebrazione dignitosa dei sacramenti. Poi mi assale il pensiero dei bagagli lasciati nella stazione. Li tro-ver?
Immerso in tali pensieri mi dirigo verso il giardino che questa notte mi ha alquanto terrorizzato. E una vasta distesa di terra con mura perimetrali. Tombe ornate di fiori e di ceri ma anche alberi e piante stupende. Ma non ho intenzione di guardare altro. Sento solo laria del mattino, dolce e pura e i ricordi mi assalgono. Sono le stesse sensazioni che provavo a venti anni quando con un prete cieco e un amico di seminario scendevo da Opi, un paesello come questo, a Val Fondillo. Una lunga strada, sotto un sole che solo a tarda mattinata sarebbe diven-tato cocente, ridendo e scherzando di amici e superiori, strada che gradualmente ti immetteva in una terra solcata da un fiu-miciattolo dacqua corrente, fredda, quasi gelata, ma pura e sassi taglienti. Un prato sulle due rive con moltissimi campeg-giatori provenienti anche dallestero. E ti sentivi parte viva di un universo stupendo. Si, questa mattina laria la stessa ma
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io non ho pi ventanni! Solo una gran voglia di caff, una buona e bollente tazza di caff.
Qualcuno bussa? Qualcuno entra, la porta questa notte non era stata chiusa. E Eufemia, la donna che aiutava anche don Serafino, lultimo parroco. E corta, magra, con una grossa coda di cavallo nera, e una gobba abbastanza pronunciata.
Reca un vassoio, e meraviglia, un caff generoso, un bricco col latte e una fetta di panettone casalingo, quello duro che ho mangiato in giovent e che mai pi ho poi gustato. Dietro bela una capra o un capro! Dovr imparare!
Fortuna inaspettata. Desiderio prontamente esaudito.
- Grazie, cara.
Insieme a lei esco sul sagrato. Ora dallalto il paese rivela tutta la sua bellezza. Una piazza quasi circolare e dei vicoli che por-tano altrove: un bar, c anche un jukebox, una farmacia, un caseificio, losteria col pergolato e i tavolini, due contadini che bevono un bicchiere di vino campagnolo e il comando dei carabinieri. Chieder loro se possono portarmi i bagagli.
Scendo lentamente badando a non cadere. Non vorrei pro-prio.
- Buongiorno, signor Curato!
Sono i due Rom, Josip e la moglie incinta. Il cane poco lon-tano.
- Noi, senza lavoro. Noi, bisogno. Noi aiutare in chiesa!
- Ora non possibile!
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- Dare tu moneta?
E come sempre nella mia vita, la moneta passa dalle mie mani nelle sue.
Tre uomini in divisa escono dal Comando. Sono meridionali. Dallaccento, uno, il maresciallo, mi dir che napoletano, anzi del borgo, confessando di aver da piccolo giocato a pal-lone sul sagrato di s. Antonio abate e di aver anche suscitato pi volte la mia ira. Ma io non ricordo.
- La vita, qui, monotona, concordano i tre. Lultimo delitto tre anni fa, ma noi non ceravamo. E da poco che ci hanno trasferito. La giornata insopportabile e le ragazze non ci guardano neanche, e scattando sullattenti mi lasciano con:
- Reverendo se ha bisogno di noi, ci chiami. A sua disposi-zione.
In lontananza un carro col fieno e sempre canticchiando Remo, solo questa volta. Sul carro insieme al fieno le mie va-lige. Gioia profonda. Un abbraccio quasi ci conoscessimo da sempre e poi
- Gliele porto sopra io.
Infine nel bar a offrirgli un caff. Era doveroso.
- Mi chiami se ha bisogno di me!
La trattoria, a mezzogiorno, quasi piena di avventori. Sono operai stagionali dei campi vicini. Molti motorini ma senza catene.
Entro anchio. Il sorriso amichevole della proprietaria, Betta, locchiolino di un altro figlio, Ottavio, che per il settimo,
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un cenno con la testa di uno sconosciuto, mi accolgono.
- Buongiorno, padre. E Sigi che porta del buon vino a un tavolo dove si ride a squarciagola.
- Desidera? La voce mi colpisce. Alzo gli occhi e guardo. Stu-pore immenso davanti a tanta bellezza. La ragazza non ha niente da invidiare alle attrici pi belle del cinema odierno. Bionda, occhi luminosi con riflessi dorati, lineamenti gentili e ogni altra cosa debitamente proporzionata. Non si direbbe proprio che Bella, il suo nome sia anchessa figlia dellostessa.
Bella bella e corteggiata, sapr in seguito dalle linguacciute zitelle del posto.
Tagliatelle al sugo con piselli e funghi porcini, arrosto di vi-tello e patatine fritte. Un vinello gustoso. Mi sento un re.
- Cosa devo? Domando.
- Nulla. E il nostro benvenuto.
Bella! ma quanto sei bella!
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Capitolo 06
Il toro
Dallalto del sagrato si domina il paese. La piazza deserta. Lauto dei carabinieri parcheggiata davanti al Comando. Lentamente scendo, non tanto spinto dal desiderio vespertino del solito caff quanto dal desiderio di incontrare qualcuno per fare quattro chiacchiere.
Quando finalmente sono al bar vedo dal Comando uscire e il maresciallo e i suoi due accoliti. Salutano e chiamano.
- Padre, nella fattoria di Basta Gambacorta, il fratello di Af-ferratutto, mi scusi, non avrei dovuto, di don Luigi c stato un incidente mortale. Un toro ha ucciso sua moglie. Fanny, la francesina.
- Chi di corna ferisce, di corna perisce, aggiunge a mezza voce uno dei carabinieri, mordace come tutti quelli di S. M. Capuavetere, e laltro aggiunge: povero o chinu e corne.
Ammutolisco!
Vuol venire, Padre, son cose che qui accadono molto rara-mente, e cos, su un auto veloce, a sirene urlanti, passando per il campo di bocce giungiamo ad una amena pianura, attraver-sando prima un sentiero acciottolato e poi una strada asfaltata non molto larga. A sinistra c la fattoria del Pizzicasempre, a destra, la fattoria d o chine e corne.
Il cancello spalancato. Un uomo cerca di contenere i curiosi che vorrebbero vedere, un altro ci invita a recarci sul luogo
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dellincidente, ma il maresciallo vuol prima parlare con don Basta.
- Perch tanta fretta? La signore morta e il toro stato am-mazzato.
Nello studio del fattore un uomo elegante nel vestito, anche se abbastanza sgualcito per laccaduto, istruito nel parlare, sconvolto siede con il volto tra le mani. Singhiozza tanto da intenerire i cuori, anche i pi duri. Quanto dolore, penso!
- Ci racconti, come successo, sig Basta.
A stento, quasi balbettando, racconta:
- Non riesco ancora a crederci. Il toro stato sempre man-sueto. Oggi siamo entrati nel recinto, come al solito. A un certo punto ha assalito Fanny. Non so cosa gli sia preso. Sem-brava impazzito. Lho abbattuto a picconate. Ma per lei non cera pi nulla da fare. Ladoravo, la mia Fanny. Come potr vivere senza di lei. Ormai la mia vita non ha senso. Sono solo. E gi lacrime, tante.
- Ragazzi, andiamo a vedere.
La donna a terra in un lago di sangue, la schiena squarciata. Il toro pi in l, abbattuto.
Alcune lettere sono poste accanto al cadavere e foto sono scattate nel silenzio quasi irreale. Solo un giovane uomo lon-tano piange amaramente ed io, nella mia cattiveria penso. Sar lultimo?
Ci che vedo per non mi convince.
- Maresciallo, venga.
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- Dica.
E sottovoce, molto sottovoce, indicando la donna e il toro faccio notare una incongruenza. Se il toro si fosse accanito sul corpo di Fanny fino a farne scempio avrebbe dovuto avere tutto il muso e parte del corpo ricoperto di abbondante san-gue. Invece, guardi, sullanimale c ben poco. Poco sangue fuoriuscito dalla fronte per la picconata e poche gocce sulle corna. Basta ha mentito. Non un incidente ma un delitto.
Mi guarda meravigliato e sorpreso il maresciallo:
- Ha ragione.
Uno dei suoi uomini viene lasciato sul luogo del delitto per vigilare e con laltro ritorna nellufficio di don Basta.
- Signor Basta, basta con le commedie. Lha ammazzato lei e ammanettatolo lo conducono via.
Sono certo che nellintimo il maresciallo gongola e star can-tando: Un delitto! Un delitto meglio di un incidente.
Non mi consentito usare la macchina per il ritorno.
- Madonna del Soccorso, invoco, mandami un pronto soc-corso. Poi preciso. Ho detto un pronto soccorso non al pronto soccorso. E mentre preciso, dalla fattoria di fronte, quella per capirci del Pizzicasempre, una voce chiama: Salga, Reverendo, la riporto a casa. Questa volta sono a cassetta e mentre cammino mi sento nel selvaggio West, la diligenza corre, i cavalli son frustrati duramente perch corrano ancora di pi, Remo guida insultandoli ed io col fucile Winchester 95 sparo. Un colpo dopo laltro e nessuno pi ci insegue. Poveri Sioux.
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Dopo due ore eravamo nella piazza ed ora di cenare. I pochi avventori dellosteria sanno gi tutto. Ormai sono famoso. Sul tavolo una bottiglia di vino bianco e Sigi fa locchiolino: Com-plimenti, ispettore. E tutti ridono a crepapelle.
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Capitolo 07
I duchi di Pratofiorito
Domani domenica e non posso non celebrare. E pertanto importante che io visiti lintera chiesa per assicurarmi che ci sia tutto per una celebrazione dignitosa dellEucarestia. Verr certamente tanta gente.
Dalla canonica alla sacrestia il percorso breve: tre gradini da salire e sei in chiesa.
La sacrestia ampia con mobili antichissimi che farebbero la gioia di un antiquario.
Sulla parete principale, trovo difficolt nellesprimermi, lar-madio per i paramenti contiene quanto serve per i sacramenti, roba antica e vecchia di nessun valore, ma le porte sono intar-siate, la moltiplicazione dei pani e la guarigione di un sordo-muto. Guardo tutto ammirando larte di questo sconosciuto ebanista del passato. E ricordo il pap di mio padre. Anchegli grande scultore di legno e i mobili che le mie zie vendettero per pochi centesimi: la grande tavola tonda su unaquila con le ali spiegate. Stupide veramente.
Su unaltra parete un crocifisso grande di nessun valore arti-stico, un inginocchiatoio per le confessioni, un tavolino per scrivere qualche nota, e in fondo uno sgabuzzino. C un ba-gno molto mal ridotto, ripostiglio di vasi per gli addobbi ma-trimoniali e una robusta fune per suonare le campane. Il cam-panile? Gi, il campanile! Dovr pur visitarlo qualche giorno.
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E ora che ricordo, in questi giorni non ho mai sentito le cam-pane e nessuno si ancora lamentato.
La chiesa a croce greca. Dallaltare guardo e ammiro in alto il cassettonato del seicento, direi quasi in ottimo stato, con la gloria di san Pantaleone, il protettore della parrocchia. Statue di santi a me sconosciuti e due cappelle. Guardiamole. Quella a sinistra una cappella funeraria perch ci sono le tombe. Ed qui incuriosito che mi fermo a guardare con particolare attenzione: sono sepolti i notabili del paese.
Sulla parete di fondo c la tomba dei duchi di Pratofiorito, i signorotti di una volta. Un urna di marmo rossiccio sormon-tata da un angelo seduto con una spada sguainata. Un angelo vestito da crociato? In alto uno stemma gigantesco, memoria di glorie passate. Una banda trasversale azzurra in campo-bianco, con in alto una quercia con leone rampante e in basso tre anfore, Ai quattro lati del sarcofago quattro angioletti in marmo bianco scolpiti in pose varie con delle chiavi in mano. Una chiave nel primo, seduto con le ali chiuse, due chiavi nel secondo inginocchiato con le ali aperte, tre nel terzo sdraiato con ali appena accennate, quattro chiavi accanto allultimo in piedi.
A destra una gigantesca lapide racconta in latino che sepolto il fondatore del ducato, duca Alberto di Prato fiorito 1624 1668 e parla dei suoi discendenti. Tutti sepolti in questa cap-pella. E guardo e leggo. Saranno stati nobili ma anchessi dor-mono, dormono come tutti i mortali come dormir anchio un giorno.
Del sarcofago mi ha colpito la bellezza del marmo rossiccio, veramente puro e soprattutto la larghezza. Chi stato sepolto
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in quel loculo doveva essere abbastanza grande di corpora-tura, soprattutto le spalle mi sembrano esagerate.
- Buongiorno, signor curato. E Eufemia e la sua capra. Il vas-soio tra le mani.
- E bella la nostra chiesa, vero? E antica. Qui giacciono gli antenati dei signori di Pratofiorito. Lultimo duca vive in un castello a tre chilometri dal paese, gli faccia visita qualche volta. Ha due figli, Rossana e Alberto, il secondo. Sono pro-prietari di una cava di marmo e di un grosso negozio di cera-miche nel vicino paese di Collefiorito. Rossana dolcissima, ma Alberto irrequieto. Ora allestero.
E mentre Eufemia racconta quasi contenta di sparlare rien-triamo in casa, in cucina. Il vassoio appoggiato sul tavolo, ma la fetta di torta gi sparita. Del caff non c pi traccia. Ingordo.
- Permesso? Posso?
E il sindaco di Grattamis.
- Che onore, la visita del primo cittadino.
- Son venuto a salutarla e mi scuso per non essere venuto prima. Sa, gli impegni, il lavoro. C tanto da fare anche al Comune.
- Si segga. Eufemia, cortesemente, porta un caff al Sindaco.
Ed Eufemia si allontana e per la prima volta mi accorgo che zoppica anche. OH!
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Capitolo 08
Il giorno del Signore
Giorno di riposo e di santit! Ricordo un canto catecumenale che cos descrive la bellezza della domenica. Sul sagrato c gi gente in attesa della celebrazione, lunica.
Qualcuno fuma, le donne chiacchierano. Tutti vestiti a festa. Filiberto e Fiodoro, i due quattordicenni figli del farmacista, il dottor Stillaveleni, due gemelli dai capelli biondi e occhi az-zurro mare, vivacissimi e intelligenti, nello sgabuzzino, attac-cati alla corda fanno volare le campane. Quasi volteggiano e i loro rintocchi cantano la vittoria di Cristo sulla morte.
Quando in chiesa, prima della celebrazione il dottor Stillave-leni e la moglie si presenteranno a salutare, non potr fare a meno di pormi una maliziosa domanda. Avr la risposta pi tardi quando contemplando lassemblea mi accorgo che la si-gnora farmacista, donna di classe, guardi pi volte e timido il sorriso, un uomo della sua stessa et che risponde a sua volta con un sorriso complice. Eufemia mi confermer nei giorni successivi che i due hanno una tresca e i gemelli sono la dol-cissima conseguenza. Daltra parte tutto il paese ne a cono-scenza. Credo anche lui, lo Stillaveleni, lo sappia.
- E poi se non ci fossero queste cose la vita sarebbe insoppor-tabile. Sapienza paesana!
Preceduto da Filiberto e Fiodoro entro. Il canto. Una ragazza in jeans, una chitarra e un bel gruppo di cantori. E la chiesa, non me lo aspettavo, gremita. Certamente venuti tutti pi per
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la curiosit di vedermi che per altro. In un angolo lostessa Betta con la figlia Bella, sorridono! In prima fila il sindaco, grasso e panciuto pi di me, con i suoi occhiali spessi e quel ridicolo codino alla moda, con la moglie, dallo sguardo as-sente, il farmacista con la moglie che guarda i figli con com-piacimento, il maresciallo con gli accoliti, abbastanza occupati a sbirciare le ragazze del coro, Eufemia con la sorella e la ca-pra, e poi Remo e molti altri che non conosco.
Il canto si innalza. Incomincio a parlare. Un applauso sottoli-nea i miei ringraziamenti, lelogio del mio predecessore, don Serafino, linvito a collaborare e poi fuori tutti sul sagrato in attesa del pranzo. I ragazzi sciamano lontano. Molti saluti e poi solo, con Eufemia e la capra.
I rintocchi di un orologio piccolo sulla facciata esterna e il mio appetito mi dicono che ora di pranzo.
Sotto il pergolato dellosteria sono stati preparati almeno venti tavoli e sono quasi tutti occupati. Le molte macchine parcheg-giate dicono che la trattoria nota anche nelle vicinanze.
Mi seggo anchio accolto da un Buongiorno, padre, che bella predica, oggi
E Bella che porge la sedia. Al tavolo acanto seggono una cop-pia con due bambini capricciosi e piagnucolosi. A un altro do-dici persone festeggiano un compleanno.
Si aggirano tra i tavoli anche Josip e la moglie. Il cane li segue ma non solo. E una cagna ed in calore. Un cliente visibil-mente infastidito incomincia a blaterare a voce alta contro gli stranieri, gli slavi, il governo, le tasse e il lavoro e si infervora tanto che se non fossero intervenuti Sigi e Ottavio certamente
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avrebbe malmenato il malcapitato mendicante.
Oggi ai tavoli servono Gianluca e Marianna, il terzo figlio di Betta e la moglie. Sul lungo marciapiede due bambini, uno di sette anni e laltro direi di tre corrono su due biciclette. Quella del pi piccolo ha tre ruote. Sullingresso, Bella, quasi urla:
- Non vi allontanate troppo, ragazzi, e tu Leoluca, rivolgen-dosi al pi piccolo attento a non cadere, e avvicinatasi al mio tavolo mi chiede.
- Che desidera, padre?
- Il mio vino di sempre, ed un bicchiere solo, mi raccomando.
E poi, con aria complice, sussurro:
- Che bei bambini ha tuo fratello.
E Bella sorridendo precisa:
- Il piccolo, Leoluca, mio! Ha quasi tre anni Ed tutta la mia vita.
Sono sorpreso e lo ha capito.
- Non sono sposata, e sul volto cala un velo di tristezza. Con difficolt accenna:
- Mi hanno violentata in tre e non so neanche chi il padre. Tre sconosciuti. E si allontana con le lacrime agli occhi nel ricordo di un avvenimento che sar indimenticabile.
Sono ammutolito ma, onestamente, lappetito non andato via.
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Eufemia conferma tutto raccontando con cattiveria altri par-ticolari, poi non capisco perch aggiunge in maniera sibillina: un mese dopo don Serafino viene strangolato.
Perch questa precisazione?
Mentre rimugino il tutto mi sdraio sul letto per riposare!
- Perch stato strangolato don Serafino? Cosa ha visto? Cosa ha fatto?
Un balzo e sono in piedi (non ridete, vi prego) e pi veloce del fulmine (beh, fatelo pure) sono nello studio a rovistare nei cassetti.
- Cosa cerco?
La scrivania ha visto giorni migliori. E malandata quanto me ma certamente non soffre alle gambe come soffro io. I cassetti sono accessibili. Non ci sono chiavi. Apro e chiudo: libri vec-chi e sgualciti, fogli intestati, penne che non scrivono, i timbri della parrocchia, agende vecchie. Apro lultima, pagina per pa-gina. Niente, nessuna nota di rilievo. Gli impegni soliti di un parroco.
E la volta della libreria. Non cito il titolo dei libri perch non interessa, ma in uno di uno scrittore inglese, lo stupro e la vergogna, c una busta ed in essa, impallidisco, una foto. E Bella ripresa su un prato verdeggiante, con una dedica: A te, che amo moltissimo. Nessun nome e tanti pensieri: don Sera-fino era lamante di Bella? Strangolato, forse da uno spasi-mante rifiutato? E perch a suo tempo non stata fatta unac-curata perquisizione dello studio?
Continuo a cercare ulteriori indizi. In questi libri ci sar forse
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la soluzione del mistero.
Gi, nellultimo cassetto della libreria, in uno dei tantissimi libri, ma quanto leggeva questuomo? un biglietto. Sar di don Serafino?
Tre nomi e due con linterrogativo.
La vecchiaia deve avermi reso vile.
- Non voglio fare la fine di don Serafino. Chiudo la porta che immette nella sacrestia, quella che d sul giardino. Le finestre e lingresso sono sbarrate.
Per questa notte dormir tranquillo.
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Capitolo 9
Le paure dellavaro
A Napoli ho sempre avuto un sonno leggero ma sereno. In questi giorni ho degli incubi, cos veritieri da svegliarmi inzup-pato di sudore. Sono spesso mani che mi strangolano e il mio assassino don Serafino che ride ed urla: La verit uccide.
Tornatene a Napoli, urlano nel sonno voci mefistofeliche. E poi un correre per castelli tenebrosi, attraverso segreti pas-saggi e sotterranei bui e il demonio che ti corre dietro e mille colori assordanti: la fine del mondo.
Ma grazie a Dio c lalba. Il gallo canta e fuga le paure. Il giorno nuovo. Sar sereno.
Un bussare discreto ma deciso interrompe il mio pregare. Apro la finestra: il maresciallo, Tommaso.
-Parroco, mi aiuti!
-Volentieri, che posso fare? Venga in cucina, poi passando al tu, dai, entra, mentre racconti, ti preparo il caff.
-In piazza accanto alla farmacia vive da sempre Giuseppe Semprevivo, in un appartamento abbastanza grande nel quale non si pu entrare per la sporcizia. Immagini, padre, che le domestiche dopo due giorni, tutte, si licenziano. Non pos-sibile lavare i panni intimi e poi con lacqua sporca lavare i pavimenti.
Eppure un uomo ricchissimo, con un solidissimo conto in banca. Unico erede sar un suo nipote alquanto scioperato,
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direi delinquente, che per un po ha vissuto con lui e poi dopo frequenti litigi e minacce si trasferito altrove. Da alcune set-timane mi telefona pi volte al giorno perch ha paura che il nipote lo uccida. Vorrei che lei gli parlasse per rasserenarlo e cos rasserener anche me che non lo sopporto pi.
E mentre racconta stiamo bussando alla porta del vecchio. Landrone decisamente sporco. La porta sulla destra pron-tamente spalancata. Ci aveva intravisto dalla finestra che d sulla piazza. Un tugurio. Sulle pareti vecchi giornali tappez-zano le mura e un disordine cos eccessivo da toglierti la voglia di sederti. E un odore nauseabondo.
- Commissario, entri. E anche lei, parroco. Mi aiutino. Mi vo-gliono ammazzare.
- Racconti. Perch cos sicuro di quanto dice?
- Ogni giorno un uomo giovane ferma sul marciapiede di fronte la sua macchina e poi per parecchio tempo guarda vero di me. Ho paura.
Mentre racconta visibilmente emozionato la porta rimasta socchiusa si spalanca e una ragazza carina entra presentandosi come la domestica, assunta il giorno prima per telefono
- Signorina, vada in cucina e prepari la colazione. Parroco, maresciallo, gradite un caff?
- No, grazie. Il rifiuto immediato e allunisono.
Il maresciallo molto gentilmente ma alquanto infastidito cerca di rasserenarlo e anchio.
- Alla nostra et la fantasia galoppa e vediamo nero dov bianco e ci tormentiamo inutilmente.
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Sul tavolo intanto stato posto il vassoio con la colazione: latte bianco senza caff e frutta a pezzettini.
Nel guardarlo il mio sesto senso mi avverte che qualcosa non quadra. Istintivamente mi fermo, additando il vassoio
- Don Giuseppe, per amor di Dio, non tocchi nulla, e poi ri-volto a Tommaso,
- Tom, con una scusa metti la domestica sotto custodia e manda qualcuno a prendere il vassoio. Deve essere analizzato. Don Giuseppe ha ragione, qualcuno ha tentato di avvelenarlo.
Mi guarda e obbedisce. Deve avere veramente molta stima di me.
In cucina sento unaccesa conversazione, poi Tommaso e la donna, bloccata fermamente dal suo braccio, si recano di fronte al comando mentre anchio esco raccomandando al vecchio di non mangiare nulla perch la colazione avvele-nata.
- Siete un genio. Dir Tommaso, dopo che ha affidato la donna ai colleghi.
- Mi ha insospettito latteggiamento della domestica al suo primo giorno di servizio.
Una qualunque avrebbe chiesto cosa preparare. La donna sa-peva gi cosa piaceva al vecchio. Era chiaro che qualcuno le aveva fornito indicazioni precise sui gusti del vecchio avaro, il nipote chiaro.
E cos era. Il piano sarebbe stato perfetto, se in quel momento non ci fossimo trovati noi. Uomo fortunato! A che serve ac-cumulare tanto se poi la tua vita non dignitosa? - E poi,
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Tom, quelluomo che ha impaurito il vecchio e che continua-tamene guarda nella direzione di don Giuseppe solo un in-namorato che spera si affacci la ragazza del suo cuore.
- Ha ragione, parroco, al primo piano sulla farmacia, abita la prima figlia del farmacista, Shana. Questa veramente sua!
- Maligno, taci!
E una risata, la mia che tutti voi conoscete, corre per la piazza, salza verso il cielo e fugge lontana alla cava di marmo dei du-chi di Pratofiorito provocando una frana. Nessuna vittima per fortuna.
Questa volta ad accogliermi sulluscio dellosteria ci sono tutti e ridendo salutano, inchinandosi: buongiorno, ispettore Cor-dier.
Sul tavolo posta la tovaglia, quella buona, segno di deferenza per unospite gradito.
Chiedo a Bella, se vuole e non laddolora, se vuole raccon-tarmi la sua storia.
Qualche istante e la risposta decisa:
- Appena posso verr a raccontarla. Mi aiuter a smaltire la rabbia che ho dentro. Vorrei poter dimenticare tutto e to-gliermi il peso dal cuore. Il rancore mi rende sospettosa. Sof-fro ancora.
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Capitolo 10
Occhi nella notte
- Maledetta scala, mormoro, salendo e riposandomi pi volte. Respiro a fatica come sempre. Eufemia seduta fuori casa, la capra sempre accanto a lei. Mi fermo e gentilmente le chiedo, sperando che non si accorga del mio interesse, perch quando accenn allo stupro di Bella, termin il racconto con un mese dopo don Serafino fu strangolato.
- Eufemia, dimmi, ma don Serafino era lamante di Bella?
- Parroco, cosa dice? Don Serafino, senza offenderla, era un ottimo prete. E cresciuto in paese sotto gli occhi di tutti. La mamma, poverina, rimasta vedova ha fato sacrifici immensi per questo suo unico figlio. Mille mestieri per poterlo mante-nere agli studi.
Un mese dopo morta stroncata da un dolore senza fine. Un uomo intelligente e di preghiera. Molto attento alla vita del paese e molto amato dai giovani che da lui si sentivano capiti e protetti.
- Ma se uno strangolato, un motivo deve esserci.
- Parroco, nessuna minaccia se non un biglietto trovato nello studio dalla polizia. Diceva: La verit uccide. Scritto con que-gli aggeggi moderni, il computer, a lettere molto grandi. Quella mattina ci siamo impensierite perch essendo molto puntuale, sempre, allora della messa il tempio restava chiuso. Impensierita ho dato lallarme e, per entrare, il fabbro ha do-vuto abbattere le finestre.
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Era in pigiama, gli occhi fuori dalle orbite. Mio Dio che im-pressione. Noi donne, credo, abbiamo pianto molto e forse anche gridato. Ricordo la mamma. Neanche una lacrima. Ma un volto che diceva senza parlare: perch, che ha fatto di male questo mio figlio?
- Eufemia! Certamente doveva conoscere lassassino, se gli ha aperto la porta di notte.
- Padre, no! Ed questo che ha sorpreso tutti e nessuno riesce a spiegarselo.
Come abbia fatto ad entrare ed a uscire? Porte e finestre sprangate dallinterno e cos le hanno trovate. E se pure lo avesse fatto entrare, come avrebbe fatto lassassino ad uscire, chiudere la porta, abbassare il grosso maniglione che dietro, nella stanza!? E stato il diavolo! Il diavolo.
- Eufemia non dire sciocchezze ti prego. Nei giorni prece-denti, tu che gli sei stata sempre molto vicina, non hai notato nulla di strano?
- Una cosa ma la dico solo a lei, a nessun altro lho detta, per-ch ho paura di fare la stessa fine.
- Racconta, sar muto come un pesce. Fidati.
- Una notte, circa dieci giorni dopo lincidente capitato a Bella, sento camminare sul sagrato. Sa, non dormo molto e poi spesso guardo fuori. Non vorrei che rubassero Bianchina, la mia capra. Col suo latte faccio ottimo formaggio. Lei li ha as-saggiati. Come li ha trovati?
- Gustosi, direi!
- Allora sento i passi e il bussare deciso alla porta del curato,
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ma quando ho socchiuso le imposte, fuori non cera nessuno. Era gi entrato. Ho pensato sar qualcuno che il curato cono-sce molto bene. Unora dopo, circa ho sentito dei passi che si allontanavano, ma non mi sono alzata, in fondo non sono fatti miei. Il mattino successivo, don Serafino era pensieroso, poco loquace, anche sgarbato. Era preoccupato. E alla predica ha tuonato contro lo stupro dicendo che era una vergogna non per Bella che laveva subita ma per il paese tutto, che certe cose non le avevamo ancora sentite, che i colpevoli paghe-ranno e termin dicendo e queste parole le abbiamo sentite tutti, oh, se solo potessi parlare.
E cos, pensai, allontanandomi, in cerca del mio adorato letto, per il riposo pomeridiano, uno dei colpevoli si confessato. E nel timore che parlasse lo hanno ucciso
- I tre nomi che sono sul foglio che ho trovato sono quelli dei colpevoli. Uno, quello con lesclamativo colui che ha par-lato. Gli altri due con linterrogativo sono solo supposizione del prete. Colui che ha parlato, ha parlato solo di s e non ha fatto i nomi degli altri due complici.
Mentre mi aggiusto le lenzuola penso che Eufemia quella sera ha visto chi entrato e ha paura.
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Capitolo 11
Ricordi dolorosi
E ottobre inoltrato e son passati quasi due mesi dal giorno in cui ho messo piede in questo paese, pensando di poter tra-scorrere in serenit e tranquillit gli ultimi anni della mia vita e cos godermi quei quattro centesimi che lo stato mi passa quale pensione. Ora le giornate sono autunnali. Si sente che autunno. Il sole riscalda solo per alcune ore al giorno. Ho messo la maglia di lana e le coperte sul letto. A sera neces-sario ricoprirsi con un soffice maglione, anzi due, se non vuoi ammalarti di bronchite. Daltra parte non posso permettermi di ammalarmi. Sono solo. Chi mi curerebbe?
Le serate sono diventate noiose. Anche le giornate, direi. Tommaso, il maresciallo, ha avuto il desiderato trasferimento ed andato via. Lo sostituisce Mirko Bassotto, un veneto che quando usa il dialetto, non lo capisco. E giovane e avvenente, soprattutto in divisa; credo che si sia innamorato di Bella, per-ch il suo tempo libero lo passa nellosteria. Da buon veneto al mattino pi che il caff come noi, sorseggia un buon bic-chiere di vino bianco frizzante e freddo, un Can, che dalle nostre parti, dico a Napoli, non si trova pi. Era buono, ve lo assicuro.
La chiesa nella penombra: E lora del Rosario. Sono solo nella cappella dei duchi di Pratofiorito che per la sua bellezza e larte sempre mi affascina. Sento passi di un bambino e una voce che conosco bene.
- Leoluca, in chiesa non si corre!
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Mi volto! E Bella, elegante come sempre nel suo jeans e quella maglietta rossa che evidenzia le sue grazie nascoste.
Il bambino corre un po dovunque, tocca tutto, sarrampica dove pu, e Bella, parla, parla, parla, rievocando quella sera fatale singhiozzando e le lacrime, credo, sono liberatorie.
- Avevo trascorso quel giorno a casa di mio fratello, il primo. Lavora nella cava dei duchi di Pratofiorito. E un ottimo ope-raio. Ha una casa in campagna come tanti, poco lontana dalla cava. Si festeggiava la prima Comunione del pi piccolo. Era-vamo tutti sereni e pieni di gioia. A sera una telefonata. Al-berto mi diceva che quella sera non poteva incontrarmi. Quanto lho amato, quelluomo! Sussurra.
E continua:
- Pensai allora di rincasare prima perch veramente stanca. Avevo aiutato mia cognata nelle cucine. Sulla strada del ri-torno il buio come voi sapete totale. Non c illuminazione e correre pericoloso. Spesso le vacche che pascolano in li-bert si fermano proprio sulla strada e investirle sarebbe grave. Dopo una curva che chiamata la curva della morte, improvvisamente si presenta ai miei occhi un incidente: un uomo a terra con la faccia sul selciato. Quando mi chino per un aiuto inorridisco. Una calzamaglia nera gli copre la testa. Mi agguanta e mi immobilizza e mentre urlando cerco di di-vincolarmi altri due, anchessi con una calzamaglia nera, sbu-cati improvvisamente da un viottolo, laiutano a zittirmi tap-pandomi la bocca prima con le mani e poi con un grosso ade-sivo.
La baracca dove mi conducono lontana un centinaio di me-tri, ben nascosta nella boscaglia ed disabitata.
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A questo punto si ferma e non riesce pi a parlare. Il ricordo ora diventato nuovamente realt e ferisce il cuore. Quasi a chiedere coraggio per la vita, afferra il piccolo Leoluca che nel frattempo si avvicinato vedendola piangere e se lo stringe teneramente al seno, forte, molto forte.
- A turno subisco violenza e, quando si sono appagati, un faz-zoletto con cloroformio mi addormenta. Mi troveranno verso le otto del mattino a quaranta km di distanza oltre Gratta-migi, nella mia macchina, delirante, impaurita, incapace di parlare.
- Scusa, ma a mente fredda non ti mai venuto in mente qual-che particolare che ti possa far risalire ai tuoi violentatori.
- No. Lunica cosa che posso dire perch n sono certa che conoscessero bene il paese e le mie abitudini.
Pensando di consolarla, le dico che certe cose anche se sono spiacevoli possono renderci migliori e che nonostante un fi-glio lavvenire pu ancora essere roseo. Mirko
- Padre, mi corteggia, anche un buon ragazzo molto affet-tuoso ma io non lamo. Come si fa a mettere su casa quando c solo dellaffetto?
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Capitolo 12
Il mercatino del venerd
Il quarto venerd di ogni mese la piazza grande di questo paese arroccato sul monte, si anima. E il mercato. Venditori ambu-lanti che secondo un calendario vecchio di anni girano per i vari paesi della zona non solo per vendere ma anche per com-prare prodotti che venderanno altrove.
Sono bancarelle multicolori e c musica moderna per tutti i gusti, anche a volume alto che una violenza per i miei orec-chi.
La bancarella col torrone e mandorle tostate e caramelle di vario genere attira la mia attenzione. Il camioncino che vende bibite e panini vari. E poi tendaggi, suppellettile per la cucina, scarpe, jeans, maglie, salumi e formaggi dei paesi vicini. Tutto insomma. E allora guardo, seduto ad un tavolo dellosteria, ormai sono di famiglia, guardo interessato la gente.
E un via vai di persone. Si fermano, guardano, domandano e poi oltre. Il prezzo deve essere abbastanza caro per le loro tasche. I bambini corrono senza soste. C perfino una giostra con sei sedili che girano forte allintorno. Insomma, un mo-mento gioioso per tutti. Daltra parte una comodit. Scen-dere a Grattamigi per delle compere chiede molto tempo e una machina a disposizione non sempre possibile soprat-tutto per i vecchi.
A Grattamigi che una piccola citt, quasi 5000 abitanti, vi-vere diverso. C tutto: discoteca, maneggio, una stazione
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per lo sci invernale, un cinema, vari bar e anche giardini molto ampi e trattorie e negozi. Un vero posto di villeggiatura per chi si pu permettere di spendere molto.
Sulla soglia, accanto a me, appoggiata alla porta di ingresso c Bella e linseparabile veneto col bicchiere di vino in mano. E parliamo delle solite cose che spesso non hanno senso perch non interessano nessuno.
Dalla farmacia di fronte esce Francesco, il secondo figlio del dottor Stillaveleni, laureando in farmacologia, che veloce-mente, gettando a terra con disinvoltura il mozzicone acceso, entra nel vicino bar, dal quale quasi subito esce sorseggiando il caff. Ealto, slanciato, veste alla moda, quella che ti fa ap-parire uno straccione, allorecchio sinistro due orecchini, due anellini, uno al lobo inferiore e laltro al lobo superiore. E ride parlando con qualcuno che dentro e che non riesco a intra-vedere.
Improvviso un clacson richiama la nostra attenzione. E una fuoriserie certamente, ma non conosco il marchio. E bella ed rossa, il colore che io preferisco. Al volante un giovane ele-gante, capelli ricci e neri, fisico asciutto. Istintivamente lo sento antipatico.
Parcheggia quasi sotto la scalinata della chiesa, esce e a voce alta, forse perch tutti sentano, guarda verso di noi e chiama: Francesco! E un incontro affettuoso tra due che da tempo non si vedevano. E arriva anche laltro, Gustavo, s, il figlio del sindaco.
Nel guardarli penso: il trio di nuovo insieme, ho paura che canter ancora.
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Mi volto e Bella non c. C solo Mirko che dice:
- Parroco vada da Bella, fuggita piangendo
- Dov?
La trovo, nel retro della cucina dove c un rustico lavello per i panni e pi in l, la stalla con i maiali e le galline ruspanti.
- Perch piangi?
Lo ha rivisto. Ama ancora quel farabutto che dopo due anni di fidanzamenti, osteggiati anche da suo padre, la lasci senza neanche una parola, la settimana dopo quel doloroso avveni-mento.
Ora nuovamente qui e speriamo che non la infastidisca di nuovo.
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Capitolo 13
La sfida
Sono certo che stato Francesco, in quella notte, a parlare col curato. Ha parlato. Certamente non si confessato, altrimenti Serafino non avrebbe mai scritto quei tre nomi sulla carta. Noi preti abbiamo una cura particolare nel non rivelare, neanche per sbadataggine, particolari di una confessione. Siamo stati uccisi per non aver voluto parlare.
E cos pensando affondo voracemente il cucchiaio nel piatto: tortellini in brodo, una squisitezza, preparata dalla buona Eu-femia.
- Eufemia, ma sta capra, lasciala fuori. Sporca.
- Parroco, o me e la capra, o niente. Pensi ai tortellini
Argutamente risponde e posa il bicchiere, lampolla del mezzo litro bianco e dalla credenza una abbondante porzione di for-maggio portata al mattino da unaltra zitella.
- Eufemia, il Curato ti ha mai parlato di una foto trovata una notte sui gradini che portano dalla cucina alla sacrestia?
- Per niente. Era discreto. Non diceva mai tutto. Una sola volta mi ha impressionato quando al mattino mi ha raccontato di aver sentito dei passi in chiesa nel cuore della notte. Deve aver sognato, disse. Ed cos. La parrocchia blindata dallin-terno. Nessuno pu accedervi di notte.
Non stata una allucinazione uditiva, rifletto.
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E la notte in cui fu trovato in cucina il biglietto con la verit uccide. E porgo la domanda.
- No, il biglietto fu trovato successivamente e passi in quella notte non furono sentiti.
- Probabilmente, penso, quella notte il curato stanco doveva dormire cos profondamente da non sentire nulla. Poi, conti-nuando, mi dico: come faranno ad entrare?
- Eufemia, eri in chiesa, questa mattina?
- Perch non mi ha visto?
- Certo, volevo solo sentire se, parlando dellomicidio come opera che grida vendetta al cospetto di Dio, sono stato abba-stanza chiaro nel sottolineare che si pu uccidere anche in maniera diversa, soprattutto quando al prossimo toglie il gu-sto di vivere. Nello stupro, per esempio.
- Parroco, non avrebbe dovuto. In chiesa ho visto molti stu-pti nellascoltare, soprattutto quando ha detto: La verit, prima o poi, viene a galla e chi ha sbagliato pagher. Chi rompe paga e i cocci sono suoi.
- Impari da don Serafino. Impari a tacere. Lei parla troppo. Il silenzio buona cosa per vivere in pace.
E mentre ascolto, ricordo il volto di Gustavo che, solo in chiesa, era enormemente impallidito.
Unidea, ma non la manifesto!
- Hai visto per caso oggi Josip o la moglie?
Certo, si aggirano sempre infastidendo molti. Perch non
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trova un lavoro nella campagna? La gente qui generosa. An-che per dare una maggiore sicurezza al bambino che nascer credo, nei giorni natalizi.
- Se lo vedi, digli che gli voglio parlare.
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Capitolo 14
La casa sul fiume
Ho pregato Mirko di accompagnarmi, in macchina, al fiume. A piedi per me una distanza insormontabile. Ho fretta di parlare con Josip e non posso aspettare.
Mirko da vero gentiluomo non fa domande e quando siamo giunti scende e mi lascia libero, allontanandosi per fumare una sigaretta.
La baracca in lamiera e cartone, proprio sotto il ponte. Larena dopo cento metri diventa un acquitrino di canne e acqua stagnante, abitazione di rane e girini, vera orchestra nella notte. Infine si entra nel fiume che incomincia ad aver un po di acqua in pi rispetto allestate per qualche timida pioggia dei giorni passati. Su una barca Josip pesca e che cosa? Non lo sapr mai. Che cosa potr trovare? Forse trote.
Nella baracca materassi senza reti, una cassapanca in buone condizioni, un televisore collegato abusivamente alla rete co-munale e fuori un cucinino a carbone con pentole da lavare e piatti sporchi della sera prima, un lavello con acqua appanta-nata e il cane, anzi la cagna, prossima a partorire che tocca tutto e che ora mi scodinzola intorno.
Sono nauseato da tanta povert. Ma siamo noi che senza vo-lerlo li riduciamo cos, poveracci!
- Josip, Josip chiamo e la barca si avvicina e luomo anche. Venti minuti di attesa seduto su un grosso scatolone riu-scendo pi volte a rifiutare una tazza di brodo nero che Mar
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vuol far passare come caff.
- Buongiorno, padre.
- Josip ho qualcosa da darti. Ti piacerebbe avere la bicicletta nuova che don Serafino aveva comprato alcune settimane prima della sua morte?
- Certo, piacerebbe.
- Vieni in parrocchia. Te la dar. A me non serve.
In cambio, voglio che tu faccia qualcosa per me. Se accetti avrai anche monete. La parola infiamma il cuore e la mente di Josip.
- Per monete, si, per monete
- Bene, ma nessuno deve sapere. Segui Albero dei duchi di Prato fiorito. Lo conosci?
- Si, lho visto per la prima volta. Al mercato del venerd. Quello che guida lauto rossa. Fortunato lui.
- E Francesco? E Gustavo?
Francesco, mi antipatico. Guarda mia moglie con interesse. Prima o poi lo prender a calci nel sedere.
E visibilmente soddisfatto, augurando alla donna un parto non complicato, chiamo Mirko per essere riaccompagnato in piazza.
- Padre, metta una buona parola con Bella, la prego.
Vorrei fare colazione! Eufemia si star chiedendo che fine ab-bia fatto, ed meglio che non sappia.
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Capitolo 15
Una lettera da Napoli
In questi due giorni Josip cammina su una splendida bici. E orgoglioso di questo suo mezzo di locomozione. E cos in poco tempo, tutto relativo chiaro, percorre il paese in lungo e in largo. Dalla casa dei duchi alla piazza. Curioso di sapere per avere molte monete. E tutto quello che sa dirmi e che il trio a sera si incontra in casa di Alberto. Questa infor-mazione mi costata 50 euro. Tanto per niente.
Che cosa avranno in mente?
Dalla finestra in questo giorno piovigginoso, siamo allinizio di novembre, pini e castagne, occhio di lince, locchio che tutto vede, Eufemia, ha intravisto Peppe, a quaglia che con la sua potentissima e rumorosissima moto consegna la posta. E avvenimento per tutti. Anche per me.
- Eufemia, una lettera per il parroco, da Napoli, grida Peppe.
- Parroco, una lettera da Napoli, ripete Eufemia e corre, te la immagini, per darmela.
La prendo. E possibile, Qualcuno si ricordato di me? Qua-rantanni in quella parrocchia e subito dimenticato! La grati-tudine umana.
Apro, chiedendomi chi sia a scrivere. Per poco non mi moz-zico la lingua. Sbianco! Una sola pagina e nessun mittente. Solo una frase a grossi caratteri: Fatti i c tuoi!
Inviperito la sgualcisco e la getto nel cestino, poi mi chino, la
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raccolgo, la sistemo e la conservo. Potr servire. Le impronte? Saranno state cancellate.
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Capitolo 16
Il duca di Prato fiorito
- Eufemia, ascolta! Vorrei inviare a mio fratello, a Napoli, come regalo per il Natale, il tuo formaggio e i salumi del paese che tutto cibo genuino. Se vieni a conoscenza di qualcuno che si dovr recare l, dimmelo che gli chieder il piacere della consegna.
- Parroco, lo chieder a Gustavo. E lunico che pu esserle utile e poi un giovane gentilissimo. Spesso si reca alla Biblio-teca nazionale di Napoli perch ci sono dei documenti antichi, utili per la sua tesi di laurea in lettere antiche.
- Grazie! E dentro di me rido, perch ho saputo quello che volevo sapere. E rido anche a crepapelle quando lo racconto a Mirko.
Mirko conosce il passato di Bella e quanto penso sulla morte di Serafino glielo ho rivelato. Perch la legge, perch un amico di cui ti puoi fidare, perch inoltre intelligente.
- Don Stefano, dobbiamo entrare nel castello!
- In che modo? Non penserai certo come nei films che io mi arrampichi sulla cancellata agilmente, la scavalchi, scenda pre-cipitosamente dallaltra parte, corra verso il salone a piano-terra e rompendo la vetrata entri?
E immaginando la scena ci guardiamo negli occhi ed una ri-sata scuote la stanza, corre per il paese e arriva lontano. Tutti sanno quanto potente il mio ridere. Ti comunica lallegria
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anche se non hai capito perch rido.
Sulluscio lo sgorbio saffaccia: chi ride oggi, domani pian-ger
E Mirko, sottovoce, iettatrice!!
E poi, serio, appena uscita: bisogna essere discreti. Pensa, rifletti, agisci, il mio invito, un comando. E Mirko, metten-dosi sullattenti, scherzando: Main fhurer (non conosco il te-desco), ai suoi ordini. Ridendo va via e so gi dove lo incon-trer. A mezzogiorno nellosteria di Betta.
Lampolla col vino, un quartino, e pasta e fagioli con le coti-che di maiale e cipollina novella che io frettolosamente scarto. Pochi avventori, oggi. Qualche camionista di passaggio e due turisti francesi che riprendono i luoghi. Si saranno smarriti in questo deserto.
- Betta, appena puoi, siediti accanto a me, fammi compagnia.
- Come gentile, signor Curato, ha da sapere qualcosa?
Le contadinotte! Scarpe grosse e cervello fino.
- E vero, ho da parlarti, ma sottovoce.
Betta ha un otosclerosi e tende a parlare naturalmente a voce alta. Sar una fatica per lei accontentarmi.
- Parlami di don Eusebio, il duca di Prato fiorito, il padre di Alberto.
- Don Eusebio un vero gentiluomo, direi gente del passato. Un galantuomo, istruito, religioso, un amministratore prodigo dei suoi beni. Anche sfortunato. Bianca, la prima moglie,
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erede di un grosso patrimonio immobiliare a Grattamigi, mor di parto e anche il bambino. Un dolore enorme per cui si rifiutava di vivere, disinteressandosi anche del lavoro, tutto intento alla lettura e alla collezione di libri antichi, fino a quando non conobbe Nerina, ironia della sorte, che gli ha dato due figli, Rossana e Alberto, poco seguiti dalla madre, assente, amante dei concerti, delle mostre e della moda. E da dieci anni, poverino che immobilizzato su una sedia a ro-telle, in seguito ad una caduta da cavallo. Da allora non lascia pi il castello ed diventato ombroso e irritante.
- Betta, sei un tesoro, grazie!
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Capitolo 17
Il castello
Il clacson suona pi volte per avvertirmi che Mirko pronto ad accompagnarmi
- Un momento, grido.
Esco con il caff nella destra e una busta con due cornetti nella sinistra.
Li mangeremo in auto.
Lauto veloce costeggia il campo di bocce, prende decisa il viottolo scalcinato, imbocca la strada provinciale e poi, pas-sando oltre la fattoria del o chinu e corne, a destra, quella del Pizzica sempre, a sinistra, un tornante a sinistra, uno a destra, di nuovo a sinistra dopo venti minuti circa giungiamo in una conca tra i monti. La strada senza sbocchi. Cos mi sembra. Due enormi cancelli a distanza di circa cento metri luno dallaltro. Parcheggiamo vicino al secondo che aperto. Uo-mini in divisa manovrano una sbarra per consentire il passag-gio delle auto autorizzate. E la cava dei duchi di Prato fiorito. Un muretto cementato di fresco e la curiosit ci spinge ad af-facciarci.
Una cava, mai vista. Dallalto gli uomini sembrano alti quanto i folletti delle fiabe. Mi ricordano i nani di Tolkein, quelli de-scritti nella trilogia di successo, il Signore degli anelli. E tutto ridimensionato visto dallalto. Lo spogliatoio, il piccolo bar, il deposito della dinamite che serve per far sbriciolare la mon-tagna di marmo. Autocarri giganteschi per il trasporto delle
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lastre e i capannoni dove grosse seghe li tagliano.
Incuriosito vorrei scende a vedere ma non si pu. Sono le dieci del mattino.
Decisi ci avviamo verso laltro cancello.
Bussiamo. Una voce ci chiede:
- Desiderate? Guardiamo. Una telecamera ci spia.
- Sono il parroco e vorrei incontrare il duca per una visita di cortesia.
- Domander se pu ricevere.
Poi, dopo un minuto, il cancello elettronicamente si apre e noi che nel frattempo eravamo risaliti in macchina imbocchiamo il viale alberato che ci conduce dopo duecento metri allin-gresso del castello. Prati e siepi ben curate denotano lamore per la natura. Fontane, al centro dei prati, fanno salire lacqua verso lalto. Artistiche e antiche come solo nei films si ve-dono.
Il castello antico e ben tenuto. Devono aver restaurato la facciata di recente.
Due scalinate, una a destra e una a sinistra, semicircolari, si incontrano sulla sommit davanti allingresso del castello
- Maledetti gradini, mormoro, che ti rende il cammino fati-coso. Se ne incontrano dovunque.
Il portone chiuso. Di bronzo. Sei formelle abbastanza grandi raccontano forse, la storia della famiglia. Il ritorno del cro-ciato, forse lantenato che in oriente ha fatto fortuna e qui si
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costruito la masseria che il primo Alberto, il fondatore, avrebbe trasformato successivamente in castello. Una scena di caccia, una coppia che si abbraccia e altre immagini che ora non ricordo parlano di un passato glorioso.
Si apre e un uomo molto distinto ci invita:
-Vengano, il signor duca molto onorato della visita.
Entriamo e almeno io, alquanto stupito, guardo. Non ho mai visto tanta eleganza e ambienti cos sontuosi. Ho abitato sem-pre in due stanze e cucina.
Il salone enorme, ampio, elegante. Lampadari di Murano, ciascuno con quaranta luci, almeno. Deve essere il sole quando sono accesi. A destra tre finestre ampie danno sul giardino. Tende pesanti rosso Bordeaux impediscono, se vuoi, alla luce del giorno di entrare. Uno scalone solenne, a sinistra, porta al primo piano. In fondo al salone, una porta: la cappella di famiglia, mi diranno.
Su una sedia a rotelle sorride un uomo sui settantanni che amabilmente ci invita a sedere. Due uomini tarchiati, alti, con grossi baffi allins, sono gemelli, gli sono vicini, inseparabili. Uno per spingere la carrozzine, laltro per esaudire i desideri.
- Gelsomino, prendi le sedie per gli ospiti.
Pochi secondi e siamo seduti su comode poltrone.
- Gelsomino, Ciclamino, lasciateci soli.
Guardo i due omoni che si sono allontanati abbastanza per non sentire, non tanto per essere pronti ad intervenire qualora occorresse.
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Il duca, uomo chiaramente colto, chiudendo il libro che ha tra le mani, sorridendo dice:
- Gelsomino, Ciclamino, due nomi insoliti per due gorilla cos. Cosa vuole. Sono i nomi dei nonni. E intanto certe tradizioni rovinano la vita dei figli.
E poi si parla del paese, degli abitanti, degli antenati, dei libri antichi, della storia e del casato e si finisce:
- Vuol visitare, padre, la nostra biblioteca? Colleziono libri che sono una rarit. Alla mia morte saranno donati alla biblioteca dellUniversit di. I miei figli non li amano.
Era quello che desideravo.
Gelsomino ci accompagna al primo piano. Il corridoio di de-stra ci immette nella grande biblioteca e pinacoteca. Guar-diamo con molto interesse i quadri. Neanche uno sguardo ai libri. E la storia del casato. Sono i signori di Prato fiorito. E poi a meravigliarci per il loro valore, quadri abbastanza recenti di autori famosi. La signora Nerina compra e don Eusebio paga. Il corridoio di sinistra ci conduce alla sala delle armature. Mirko interessato. Armi del passato chiuse debitamente con lucchetto in vetrine di cristallo. Mirko si ferma e parla con se stesso, cos molte hanno un nome.
Una vetrina conserva fucili da caccia funzionanti e pistole e proiettili. La famiglia ha il porto darmi?
Gelsomino vicino, discreto e non ci perde docchio. Sento che riferir al duca quanto sentir da noi.
Si ritorna gi.
- Uno, due, trequaranta, quarantacinque. Maledetti scalini!
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- Don Eusebio volevamo ringraziarla perch oggi ci ha con-sentito un tuffo nel passato.
- Padre, non tutto. Lei non ha ancora visto due cose: la cap-pella e la cucina di palazzo. Se capisco ancora, e ride, a lei interessa pi la cucina che la cappella.
Malizioso, il duca!
- E allora, consentitemi, in paese siamo abitudinari e in casa mia pi che altrove. E la mezza e lorologio del castello ha mandato il rintocco. Il pranzo pronto. Sarei lieto di averla come ospite. Linvito esteso, si capisce, al simpatico suo ac-compagnatore.
Ci guardiamo in volto, decisi accettiamo. E unoccasione da non perdere.
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Capitolo 18
Un pranzo cordiale
La sala da pranzo non molto ampia. Sul tavolo una tovaglia bianca ricamata. Lungo il bordo piccole margherite gialle e foglioline verdi. Mi commuove, per un istante, il ricordo di mia madre. Era questo il motivo ornamentale che ella aveva ricamato su quella che era la tovaglia buona per i nostri giorni di festa. Posate dargento. Piatti in ceramica
- Parroco, ceramica di Capodimonte. Un regalo per le mie seconde nozze.
Bicchieri di cristallo purissimo. Non ho potuto fare a meno di prenderne uno e pizzicarlo con le dita come faceva mio padre per sentire il suono proprio del cristallo.
- Pap era un artista. Sul cristallo, con la mola, ricamava motivi ornamentali stupendi.
- Cristallo di Boemia.
- Complimenti, un ricordo del mio viaggio di nozze.
- Bene, poi con orgoglio aggiungo: pap lavorava cristallo pu-rissimo.
Gelsomino e Ciclamino solevano lanziano don Eusebio e lo adagiano delicatamente su una sedia e la sospingono verso il tavolo, la signora Nerina entra e saluta con un bacio il marito scusandosi per il ritardo.
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- Rossana, non verr perch andata alla cava. Alberto al te-lefono e sar qui tra poco. Desidera ossequiare il parroco.
E siede accanto a don Eusebio. Anche noi ci sediamo, Mirko accanto a me. Alberto tarda e il duca infastidito risolve:
- Servite pure.
La domestica, abbastanza anziana poggia al centro una zup-piera piena di maccheroni leggermente conditi di sugo. Poi con un mestolo molto piccolo ognuno aggiunge al piatto la quantit di salsa desiderata. Ed ecco Alberto. Per deferenza ci alziamo. Si avvicina, un inchino del capo, una stretta di mano, un Benvenuto, parroco e, voracemente, pi di me, consuma il pasto.
Carne alla brace e contorni vari. Si chiacchiera, si sorride, si beve lottimo vino paesano e per finire una torta al cioccolato buonissima.
- Complimenti, parroco, per le omelie, dice Alberto. Mi hanno detto: semplici ed interessanti.
Le parole, vere o false che siano, solleticano la mia vanit. E quando il discorso, in attesa del rosolio, si ferma sulla salute sento dirmi da Alberto:
- Si riguardi, padre. La canonica umida e linverno pun-gente, potrebbe ammalarsi di bronchite.
- Non temere. Chieder al dottor Tisano di guarirmi. Il dottor Tisano il veterinario del paese. E la battuta piace.
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Capitolo 19
La cappella
- Rosolio casalingo esclamo, portando il bicchierino contro luce per osservare da intenditore il suo colore.
I rintocchi dellorologio ultracentenario scandiscono le ore. Sono le tre del pomeriggio ed io sento la stanchezza. Mi alzo di scatto quasi spinto da una molla:
Don Eusebio, Signora, vorrei andare via perch tardi. Per, vero, che preferisco le cucine alle cappelle, non vorrei an-dare via prima di aver dato una sbirciatina ad unopera darte. Me lo consente?
Laccompagno. E Alberto ci precede alla cappella degli avi: sei panche tarlate, un ambiente molto piccolo. Un altare a parer mio molto ampio, sproporzionato certamente per quellam-biente. Non parlo, guardo, penso.
- E bella.
- Mirko, andiamo?
- Certo.
Alla porta Alberto si congeda. E un vero gentleman. Nel sa-lutarmi mi porge una lettera con i saluti del padre.
- Pap gradirebbe molto che lei accettasse questassegno. E per le opere della parrocchia.
Ringrazio e accetto. Non rifiutare mai quanto ti viene dalla misericordia di Dio. In macchina possiamo comunicarci le
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impressioni, ottima laccoglienza, don Eusebio un galan-tuomo, la moglie una donna vuota e spendacciona, Alberto un vero attore. E poi comunico le mie perplessit.
- Perch un altare cos grande in un ambiente cos angusto? Perch una lastra di marmo cos ampia rispetto alla base? Per-ch larchitetto ha evidenziato nellaltare gli stessi particolari che sono sulla tomba di famiglia nella mia chiesa? Hai visto laltare? Ha quattro angioletti. Stesse dimensioni, stessa fat-tura. Solo posizioni diverse ma tutti con le chiavi in mano. Una al primo, due al secondo, tre al terzo, quattro allultimo. E sono sistemati ai bordi dellaltare come sulla tomba di fa-miglia che in parrocchia.
- E veramente un altare? E se invece fosse una tomba? Nel passato gli assassini per le eredit non erano infrequenti.
- Don Stefano, non tormentatevi oltre. Voi non dovevate fare il prete ma linvestigatore. Siete un malpensante, e sorride.
In piazza, mentre scendo, ricordo la busta che apro e gioisco: duemila euro, una bella sommetta.
- Mi raccomando, mi interrompe Mirko, un occhio a Bella, vado a casa per tre giorni. Mamma non sta bene.
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Capitolo 20
Lavvertimento
La notte sulla montagna sempre gelida. Immagina quanto deve essere duro dormire in una baracca, sotto un ponte, vi-cino ad un fiume quasi in piena.
I due sventurati, Josip e Mar, dormono abbracciati sotto tre coperte, perch si amano ma anche perch c pi calore. E dormono pesantemente, camminare per ottenere dalla mise-ricordia altrui quanto serve a malapena a vivere faticoso.
Improvvisamente un calcio a Josip, negli stinchi, forse due. Un dolore ed la sveglia. E un delirio? E realt? Due uomini, una pila in mano che illumina alquanto la baracca, e una pi-stola nellaltra. Minacciosi, la voce corrotta dalle maschere che hanno sul volto: Topolino e Minnie.
- Non muovetevi e non urlate o vi faccio fuori!
La donna immobilizzata con una corda ed messa in con-dizione di non parlare da un grosso adesivo sulla bocca. Un calcio e si ritrova a terra sul sudicio materasso.
E sono calci e son tanti, ovunque. Josip si abbatte e si con-torce per terra sotto gli occhi sbarrati della moglie le cui urla le muoiono in gola. Pestato a sangue che cola abbondante dal naso, un occhio tumefatto, dolori immensi in tutte le artico-lazioni, Josip giace a terra svenuto, respirando a stento e la-mentandosi tanto. Mar guarda smarrita e piange. Lacrime e molta paura. Josip non si muove, non d segni di vita.
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- Lo hanno ucciso? Non lo permettere o Dio! E il padre di mio figlio. Poi il pensiero del bimbo che nascer: Aiutaci, Signore, non permettere che nasca prematuro.
Il Signore ascolta gli umili e li protegge. Unora dopo lenta-mente Josip riprende conoscenza. Barcollando si alza e ricade, si rialza e a stento resta in piedi. Si tocca delicatamente il naso dal quale gocciola ancora un filo di sangue e si guarda inorri-dito le mani. Quanto sangue! Sul vestito, a terra!
In fretta col suo coltello a serramanico taglia la corda che lega Mar, le toglie ladesivo e si abbracciano forte. Hanno paura, pensano di essere entrati a far parte di un gioco superiore alle loro forze. Sono spaventati, avviliti, impauriti
- Andiamo via, presto, suggerisce Mar.
- A questora, non neanche lalba. E dove, se vogliono po-tranno raggiungerci!
- Ma perch lo hanno fatto?
- Non lo so. Senti, Mar, copriti bene e corri a nasconderti sotto il ponte. Vado in paese con la bicicletta, al comando, per denunciare laggressione. I colpevoli devono essere assicurati alla giustizia perch non facciano altro male.
- Sei coraggioso, Josip, io no, ho paura. E notte e se ti incon-trano nel paese, quelli ti ammazzano.
- Devo, risponde coraggiosamente Josip, uscendo dalla ba-racca in cerca della bici. Il cane in un angolo non si alza e non si mosso neanche durante laggressione.
- E stato avvelenato, mormora addolorato, Josip
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- E la bici, dove lhai messa la bici? Aggiunge Mar
- Era qui, non la trovo.
La bici pi lontana, in un cespuglio, appoggiata per terra, bucate le gomme, anzi stracciate con un coltello.
- Andr a piedi.
E allontanandosi si volta pi volte dicendo ala donna: nascon-diti, ti prego, torner con i carabinieri.
Quando busser alla porta del Comando lalba. Ancora buio, ma lalba. Bussa forte, pi volte e quando apriranno a terra, svenuto di nuovo.
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Capitolo 21
La verit uccide
Il racconto di quanto successo nella notte corre velocemente di casa in casa e intimorisce tutti.
- E stato sempre un paese tranquillo, mormora lo sgorbio, seguita dalla antipaticissima capra, versando nella tazza un profumato caff, e poi, direi con cattiveria:
- Da quando lei ha messo piede in parrocchia non c pi tran-quillit in paese.
- Eufemia, irritato rispondo.
Eufemia capisce di aver detto troppo e di aver detto male.
- Le indagini non hanno approdato a nulla, mi dir Mirko, al suo ritorno, tre giorni dopo. Non ci sono impronte e nella baracca ci sono solo i segni della violenza subita.
A lui posso confidare i miei timori.
- Il pestaggio di Josip un avvertimento per me. La prossima volta toccher a me. Quando?
Non sono mai stato coraggioso e ora mi trovo anchio a ge-stire un gioco che si fatto pericoloso. Sento di essere in pe-ricolo. Il giorno non mi spaventa perch sono sempre in com-pagna di qualcuno, spesso con Mirko che si affezionato a me, ma la notte, nella solitudine della canonica quella s che mi spaventa. E vero, la canonica blindata dallinterno ma i passi nella notte don Serafino li ha avvertiti. Sogno o realt, io
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ho paura. La notte mi spaventa, ma non mi toglie lappetito. In televisione un giallo ambientato in Inghilterra, in una casa signorile con tanto di maggiordomo e 13 invitati a pranzo che uno dopo laltro saranno trovati ammazzati, mi appassiona e fuga le mie paure, ma quando spengo la TV i fantasmi tornano e allora sento lesigenza per la prima volta in vita mia di in-goiare un sonnifero. Voglio dormire. Non voglio trascorrere unaltra notte in piedi perch poi di giorno mi sento cos de-bilitato da non poter neanche camminare. E appoggiato la te-sta sullo schienale del letto, come abitudine, immediata-mente mi addormento. Il bussare insistente alla porta mi dice che il mattino inoltrato, che tardi e c gente in attesa.
-Un momento, grido, ed apro le finestre.
-Eufemia entra!. Nel frattempo mi vesto
Dalla cucina, un urlo!
Spaventato accorro: sul tavolo un biglietto scritto con un pennarello rosso a grossa punta: la verit uccide.
- Svelta, dico, chiama Mirko. Digli che corra!
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Capitolo 22
Unidea
Al Comando siamo in quattro a discutere sugli avvenimenti notturni. Mirko alla scrivania, io su una sedia piuttosto sco-moda, gli altri due in piedi.
- Mirko questa notte abbiamo avuto la conferma che si pu accedere alla canonica. Ci deve essere un sottopassaggio se-greto. Ma dove?
- Bisognerebbe guardare allesterno, forse in qualche grotta nelle vicinanze.
- Non credo. Unidea mi assale e la espongo.
- Hai una cartina geografica della zona?
- Forse, guardo, e scartabbellando negli armadi, in fondo al cassetto di una scrivania, c in effetti una cartina geografica ma non utile perch non c traccia alcuna del paese, daltra parte Grattamis solo una frazione di Grattamigi, arroccata sui monti.
- Questa mappa non mi serve. Vorrei una mappa dettagliata del paese e della zone limitrofe.
- In comune dovrebbe esserci. Antonio corri in comune e vedi se puoi averla per poco tempo.
Dopo mezzora Antonio ritorna agitando nellaria, con aria trionfante, la mappa.
- Eccola, esultiamo.
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In un batter docchio dalla scrivania sparisce ogni oggetto per poterla dispiegare tutta e poi con calma guardiamo.
- Che meraviglia! E abbastanza precisa e dettagliata.
Il mio dito puntato sulla canonica poi cammina piano
- Ecco, qui, abito io, questo il campo di bocce, guarda, la fattoria del Pizzicasempre e poi la cava, il castello.
Ci guardiamo senza parlare, ma forse il pensiero univoco.
Il castello e la chiesa, in linea daria, rompe il silenzio Mirko, il castello e la chiesa sono vicini, al massimo un chilometro.
- Un sotterraneo?
Lappuntamento per questa notte, in chiesa.
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Capitolo 23
Lo scopone scientifico
- Questa sera ho invitato Mirko e gli amici per una partitina a carte.
- Nelle carte, lo dovrebbe saper, balla il diavolo.
- Euf, molto stizzito, anche nella solitudine balla il diavolo. E per trascorre una serata diversa dalle altre. A sera non pi possibile uscire per incontrare qualcuno. C gelo nellaria e qualche volta nevica anche, quando non piove. Il bar de-serto, solo i giovani per quelle slot machine, vere diavolerie.
- E allora? Contrariata interroga la donna, forse gelosa (che faccio io alle donne che si innamorano tutte di me?)
- Vorrei che prima cenassero. Che possiamo preparare?
- Non speri su di me che a sera sono stanca. Comperi for-maggi e salumi, il nostro pane paesano, un fiasco di vino, quello di Bella (citazione innocente?) e la cena sar ottima. La frutta quella di ieri che lei, toppo viziato, non mangia per niente. E matura ed buona. Perch comprarla se poi quasi sempre finisce nellimmondizia? Sprecare soldi peccato e dovrebbe saperlo.
- Che male ho fatto per incontrare il diavolo, mormoro tra me quando uscita sbattendo la porta. Guardami dallira delle donne respinte la mia preghiera ironica.
Scende la sera sulle umane miserie ma non ricordo chi lo ha detto. E scende gelida, tanto che ho chiesto di mettere legna
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nel caminetto. Fuori c nevischio. E un bussare gioioso, i tre delleterno riposo, cos li ho chiamati ma essi non lo sanno, perch hanno unaria sempre funerea. Tristi e si capisce anche il perch: la solitudine e la lontananza sono martellate per il cuore dei giovani lontani da casa. Uno sguardo alle fondine: hanno con s le pistole dordinanza e in un angolo grosse pile furtivamente son deposte.
Si tolgono la giacca e si siedono. La tavola francescana, non c cio la tovaglia, i piatti e i bicchieri di carta, pane tagliato a fette, il vino troneggia accanto a diversi tipi di salumi e for-maggi. E divorano affamati, si parla, si ride, si commenta. Or-mai conosciamo tutti.
- Buonasera, riverisco signor curato e si allontana zoppicando pi che mai, agitando pi che mai quella orribile oda di cavallo di cui fiera. Esce disapprovando. Le carte hanno fatto il loro ingresso e sono sul tavolo. La cena finita e inizia il gioco.
Ora, penser Eufemia, il diavolo incomincia ballare. E balle-remo anche noi perch come sentiamo luscio socchiudersi, in silenzio, sbarriamo porte e finestre, le pistole nelle fondine, le pile che potrebbero servire e tutti in chiesa per una severa perlustrazione.
In chiesa avevo messo nel pomeriggio piccoli martelli con te-sta di legno, Ci sono serviti per picchiare sulle pareti, per sen-tire se al di l di esse ci fosse il vuoto. Alcune cose le ho viste nei films. Delusi e sfiniti ci siamo seduti su una panca per de-cidere se smettere o continuare a cercare.
- Ragazzi, continuiamo, il passaggio segreto c e noi lo trove-remo e poi, deciso, il momento di perlustrare la cappella in cui sono le tombe della famiglia dei duchi di Pratofiorito.
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- Subito, ispettore, aggiunge Mirko, quasi serio.
- Mirko ho la sensazione che quei quattro angioletti siano fon-damentali per la nostra ricerca.
- E allora?
Sono quattro e noi siamo quattro. Disponiamoci in modo che ognuno ne manovri uno e tutti contemporaneamente. Potreb-bero essere la chiave che apre il passaggio.
- E una buona idea.
E quando ognuno di noi ha il suo angioletto tra le mani, il comando:
- Girate a destra tutti a sinistra
- Riproviamo, prima a sinistrapoi a destra
Un consiglio: due a destra due a sinistra e cos oltre.
- Fetecchia! il commento di Antonio che di S. Maria di Capua Vetere. Traduco per gli altri: bersaglio fallito.
- Niente si smuove, niente si muove.
- Muoviamoli uno alla volta, suggerisce il romano che parla sempre poco, secondo lordine delle chiavi.
Sbalorditi tutti nel vedere che gli angioletti, uno alla volta cam-biano posizione e quando il quarto si voltato completamente dallaltra parte un rumore ci travolge ed sinfonia per le no-stre orecchie. Il coperchio della tomba si sposta lentamente e se Mirko non fosse stato lesto lo avrebbe sentito sulla pancia. Ecco il passaggio segreto.
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La tomba vuota, il buio totale ma si intravedono, grazie alle pile, degli scalini che portano lontano. E noi sappiamo dove.
- Chiudete ragazzi, mezzanotte. E tardi.
- Scendiamo, la proposta.
- Unaltra volta, domani, faremo unaltra partita di scopone. Dovete andar via perch Eufemia deve potervi vedere uscire,
- Perch?
- Perch se uscite da questa casa, diciamo verso lalba, tutto il paese sapr che avremo giocato per lintera notte e perder la stima della gente. E quei delinquenti capiranno che siamo vi-cini alla verit e questo non deve accadere.
- Ha ragione.
Ogni cosa al suo posto. Domani nessuno sapr che cosa veramente abbiamo fatto.
Li accompagno alla porte e a voce alta perch senta:
- Domani sera voglio la rivincita!
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Capitolo 24
La rivincita
Il mio volto incollato ai vetri della finestra. E ottobre inol-trato ed sera. Freddo intenso: la legna scoppietta nel camino e sulla brace ho messo le castagne. Speriamo che non brucino. Fuori mi affascina la neve. E una tormenta che tutto im-bianca. Il vento scuote gli alberi cos che le chiome sembrano toccare il terreno. Dallalto non vedo nessuno che cammini. E come potrebbero? Eppure qualcuno esce dal comando. Sono i tre delleterno riposo. Una corsa rapida verso losteria e poi una sosta brevissima. Escono e corrono verso casa mia. Sembrano i tre re magi perch ognuno ha in mano qualcosa. La cena? Se Bella che ha provveduto mangeremo qualcosa di buono: capretto al forno e contorni vari. Ha mandato vino rosso, torta e rosolio.
Ma il desiderio di continuare lesplorazione del sotterraneo ci spinge a consumarla in fretta. Di nuovo in chiesa ma questa volta sappiamo come scendere.
Il coperchio slitta con lo stesso rumore di ieri sera e appare allinterno della tomba una scala angusta nel buio pi com-pleto.
- Attenti, ragazzi, nello scendere. Potremmo ruzzolare.
E uno alla volta si introducono nel budello.
Avrei voluto scendere anchio incuriosito. Ma impossibile alzare la gamba destra per entrarvi. Sono anchilosato.
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- Ragazzi, grido, prima di inoltrarvi ispezionate bene il posto in cui siete. Trovate la leva che mette in moto il meccanismo. E importante!
Dopo dieci minuti circa, il coperchio della tomba ritorna al suo posto, poi nuovamente si muove ed io ho capito che la leva che comanda il meccanismo stata trovata e mi rasse-reno.
Lattesa snervante, sempre, ma ora pi che mai!
Le diecile undicimezzanotteluna. Sono impaziente, sconvolto. Poi voci che si avvicinano sempre pi chiare e uno alla volta gli amici salgono. Rimettiamo al suo posto il coper-chio e di corsa in cucina:
- Siamo infreddoliti e impolverati. Dov cortesemente il ba-gno? Vorremmo lavarci le mani.
- Siamo anche un po stanchi, preparateci qualcosa di caldo!
- Che giornataccia, aggiunge Antonio.
E che passeggiata, fa eco il romano.
Una buona e gigantesca tazza di latte e caff, con una spolve-rata di cacao, come al bar, loro offerta e gustosamente be-vuta.
- Ottimo, grazie!
- Nel sotterraneo si cammina agevolmente, il pavimento non asfaltato ma in buone condizioni. E solo interminabile, quasi un chilometro. La leva per il comando del meccanismo alla parete destra e si muove agevolmente. Deve essere stata oleata pi volte in questi ultimi tempi.
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Quello che ti nausea la mancanza di aria pura per lunghis-simi tratti e il buio. Per il buio abbiamo provveduto con le lampade alogene che avevamo con noi ma per la purezza dellaria non c nulla da fare. In certi momenti ti senti male.
- Per lunghissimi tratti? Domando.
- Lungo il tragitto devono esserci delle crepe che dallesterno non sar mai possibile individuare.
- Continuate, sono curioso di sentire.
- Quando incominciavamo a spazientirci abbiamo intravisto dei gradini che portano in alto e una leva al muro. Come da noi. E abbassatala abbiamo capito anzi sentito che in alto qualcosa si muoveva. Saliamo e sbuchiamo nella cappella del castello. La lastra dellaltare si era mossa. Il meccanismo di apertura come il nostro. Daltra parte, larchitetto lo stesso.
- Ed ora?
- Lo incastreremo aggiunge Mirko.
Lo spinge ad agire non tanto il senso di giustizia proprio di chi milita nellarma, ma anche un sentimento di vendetta.
- E un assassino. Un disgraziato perch allo stupro ha parte-cipato anche lui, ed era la sua ragazza! Forse proprio lui lor-ganizzatore. Un delinquente!
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Capitolo 25
La sagra dei morti
Ogni anno il due novembre c lusanza per i defunti andare al cimitero, cos scrive Tot, in una sua celebre lirica, la livella. E un dovere per molti, unabitudine per altri. E anche qui a Grattamis cos. Due giorni di festa nel paese, gente anche da lontano e il paese si popola, si anima, gioiosamente si anima, nonostante il freddo e un cielo plumbeo.
Ho aperto per loccasione lunica porta del cimitero che sbarrata dallinterno per tutto lanno. Lumini e fiori in quan-tit. La piazza gremita di gente, labito buono, gli occhi lu-cidi, tuttavia non trascurano il pacchetto di torrone da portare casa, regalo per le persone che si amano.
Le campane con i mesti rintocchi invitano a messa. E solenne oggi la liturgia. La chiesa gremita. Non manca nessuno. Dallaltare ho guardato la gente cercando i volti desiderati: Al-berto c, anche Gustavo. Francesco con i genitori seduto di-stante. Mirko, in borghese, e Bella nella terza panca. Leoluca il piccolo fa difficolt a star fermo. Ci sono anche dei lattanti e di tanto in tanto il loro frignare fa sobbalzare. Al vangelo, come abbiamo deciso nellultimo consiglio di guerra, lancio la bomba.
Lomelia davvero una bomba. Il volto severo, la voce ferma:
- Nessuno di noi pu sfuggire al giudizio di Dio. Il male com-messo sar punito e non solo nellaltra vita ma spesso anche
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in questa. Nessun dorma sereno dopo un delitto. Prima o poi la verit uccide, e gridando forte, vero uccide ma uccide il colpevole.
Un brusio, un mormorio, Mirko stringe forte a s Bella, Eu-femia si alza di scatto dicendo ad un amico: testardo. Fiodoro d una gomitata a Filiberto che sottovoce dice: Non capisco! Qualcuno guarda il vicino, Francesco abbassa a testa, Gustavo si alza ed esce. Inutilmente la mamma cerca di trattenerlo prendendolo per un braccio.
- I discorsi politici, dallaltare, non li sopporto.
Alberto ascolta e sorride, poi mentre tolgo i paramenti sacri, si avvicina, saluta cordialmente, porge lossequio del genitore, e si congratula per il discorso che condivide totalmente. Un bacio sulla guancia e un arrivederci a presto.
Speriamo non subito, penso, non siamo preparati ad acco-glierti. E ti giuro, sar unaccoglienza favolosa. La ricorderai finch vivrai. Arrivederci, amico, saluto di nuovo mentre Al-berto si allontana.
Questa sera non dormo in canonica, non desidero una visita inaspettata. Voglio incontrare Mirko e gli amici per varare un piano di accoglienza.
- Eufemia, cortesemente, cerca Mirko e digli se pu accom-pagnarmi alla vicina stazione ferroviaria. Vado a Napoli per un paio di giorni, per deporre anchio un fiore sulla tomba dei miei genitori. In realt ho chiesto alle suore del Sorriso che si interessano della terza et di darmi ospitalit per questa notte ed a Grattamigi che Mirko mi accompagna. In macchina prepariamo laccoglienza per i nostri cari amici. Una sorpresa!
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Capi