L’AMORE E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA 2017/Pastorale Giovanile... · Se tutti usano maschere vuol...

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TRACCIA TEMATICA PER IL CAMPO SCUOLA GUALDO TADINO 20-27 LUGLIO 2014 L’AMORE E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA Ama il prossimo tuo come te stesso Dio mi ama così come sono! Ma allora come sono… o meglio… io chi sono veramente? È così ovvio rispondere a questa domanda? È giusto porsi questa domanda o è meglio imparare a memoria la frase pronunciata da Gesù senza farsi troppi problemi: ma a cosa servirebbe questo? Cosa c’è in gioco? Cari educatori, quest’anno abbiamo deciso di partire da un’affermazione di Gesù: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Molto spesso ci fermiamo a sottolineare l’importanza di amare il prossimo, di donarci, di dedicarci con assiduità agli altri: ma cosa vuol dire quel “come te stesso” che Gesù dice? Non è certo un invito all’amore autocentrato, all’egoismo e al narcisismo: mi devo amare e far vedere agli altri quanto sono bello/bella e magari… quanto sono migliore, più bello/a degli altri… Certo che dobbiamo voler bene anche a noi stessi ma basta dire solo questo? La traccia che trovate in queste quattro tappe vorrebbe stimolare i ragazzi che parteciperanno al campo scuola a vivere, come fosse una scoperta, l’amore che Dio ha per ognuno di noi , così come siamo: con i nostri doni, con i nostri pregi e lati positivi ma anche con i nostri difetti e limiti. Un amore senza condizioni per il tesoro prezioso (perché unico) che il Signore ha messo nei vasi di creta che siamo, un amore che non cerca motivi speciali per amare: la mia esistenza, il mio essere suo figlio basta a “meritare” il suo amore senza limiti. Di qui l’invito a smascherarci (prima tappa), a guardare i nostri difetti (seconda tappa), a discernere il giudizio che gli altri hanno su di me (terza tappa): questo dovrebbe svelare al ragazzo/a la bellezza unica insita in ognuno di noi per la quale il Signore ci ama così come siamo. Una bellezza che troppo spesso celiamo dietro maschere e difetti, che troppo spesso mortifichiamo per giudizi che ci vengono affibbiati. La quarta tappa diventa il finale non scontato del campo scuola: la complessità di mettere insieme l’amore per il prossimo e l’amore per me stesso inteso così come abbiamo detto fin ora. La rinnovata percezione di me stesso come tesoro unico amato da Dio mi porta ad amare il prossimo con una energia e consapevolezza nuove.

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TRACCIA TEMATICA PER IL CAMPO SCUOLA GUALDO TADINO 20-27 LUGLIO 2014

L’AMORE E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA

Ama il prossimo tuo come te stesso

Dio mi ama così come sono! Ma allora come sono… o meglio… io chi sono veramente?

È così ovvio rispondere a questa domanda? È giusto porsi questa domanda o è meglio imparare a memoria la

frase pronunciata da Gesù senza farsi troppi problemi: ma a cosa servirebbe questo?

Cosa c’è in gioco?

Cari educatori,

quest’anno abbiamo deciso di partire da un’affermazione di Gesù: “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Molto spesso ci fermiamo a sottolineare l’importanza di amare il prossimo, di donarci, di dedicarci con

assiduità agli altri: ma cosa vuol dire quel “come te stesso” che Gesù dice?

Non è certo un invito all’amore autocentrato, all’egoismo e al narcisismo: mi devo amare e far vedere agli

altri quanto sono bello/bella e magari… quanto sono migliore, più bello/a degli altri…

Certo che dobbiamo voler bene anche a noi stessi ma basta dire solo questo?

La traccia che trovate in queste quattro tappe vorrebbe stimolare i ragazzi che parteciperanno al campo

scuola a vivere, come fosse una scoperta, l’amore che Dio ha per ognuno di noi, così come siamo: con i

nostri doni, con i nostri pregi e lati positivi ma anche con i nostri difetti e limiti. Un amore senza condizioni

per il tesoro prezioso (perché unico) che il Signore ha messo nei vasi di creta che siamo, un amore che non

cerca motivi speciali per amare: la mia esistenza, il mio essere suo figlio basta a “meritare” il suo amore

senza limiti.

Di qui l’invito a smascherarci (prima tappa), a guardare i nostri difetti (seconda tappa), a discernere il giudizio

che gli altri hanno su di me (terza tappa): questo dovrebbe svelare al ragazzo/a la bellezza unica insita in

ognuno di noi per la quale il Signore ci ama così come siamo. Una bellezza che troppo spesso celiamo dietro

maschere e difetti, che troppo spesso mortifichiamo per giudizi che ci vengono affibbiati.

La quarta tappa diventa il finale non scontato del campo scuola: la complessità di mettere insieme l’amore

per il prossimo e l’amore per me stesso inteso così come abbiamo detto fin ora.

La rinnovata percezione di me stesso come tesoro unico amato da Dio mi porta ad amare il prossimo con

una energia e consapevolezza nuove.

Importante sottolineare alcune cose.

Tutto quello che trovate qui sotto va interiorizzato: a partire dai brani di Vangelo vi chiediamo di far

diventare tutto questo materiale oggetto della vostra preghiera personale. Facciamo in modo che il

Signore diventi una persona viva a noi vicina e che quello che diciamo ai ragazzi sia qualcosa di vissuto

anzitutto da noi, qualcosa in cui crediamo. Non accada di trovarci nella situazione imbarazzante di

parlare di Dio per “sentito dire”, non ci capiti di parlare di Dio facendo finta che sia la persona più

importante della nostra vita mentre in realtà si tratta di un perfetto estraneo: i ragazzi se ne

accorgerebbero subito.

Pregate il Signore perché vi possa illuminare e leggete con calma i brani biblici proposti, sottolineate le

parti che più vi colpiscono, domandatevi su ciò che vi colpisce, domandatevi che cosa può voler dire alla

vostra vita… fatevi guidare anche dalla spiegazione presente sotto ogni brano. Il Signore, che si rivela a

voi e che parlerà ai ragazzi attraverso di voi, deve diventare vostro intimo ed è solo in questa

dimensione di intimità che saremo mediatori credibili.

In ogni tappa troverete delle domande ma ne potrete aggiungere altre voi liberamente: tante domande

e non tante risposte.

Questa è una chiave di lettura importante.

L’amore per il prossimo e l’amore incondizionato di Dio, il suo amarmi così come sono devono diventare

la scoperta più bella di un cammino fatto di ricerca, di provocazioni, di domande, di stimoli… non

devono essere affermazioni ripetute più volte perché possano essere imparate a memoria. L’educatore

ha il compito di mettere nella posizione di “cercatore” il ragazzo/a che deve trovare il tesoro nascosto

dentro di lui, un tesoro che Dio ama e che rivela l’unicità e la bellezza di ognuno di noi.

Le domande non devono certo servire a improvvisarci psicologi ma vogliono essere per noi educatori

una traccia per cercare di entrare nella vita interiore dei ragazzi: non ci capiti di parlare di temi che non

abbiamo interiorizzato, che non abbiamo vissuto. Per usare un’immagine è come se dovessimo essere

abili nuotatori dentro una piscina che è la vita interiore di cui parla il percorso che proponiamo.

Tutto questo è importante, tra l’altro, perché ogni educatore deve vivere lo sforzo di immedesimarsi nei

ragazzi che ha di fronte e pensare: questo tema come lo vivono loro? Che domande si fanno quando

pensano a questo tema? Che fatiche vivono? Quali le difficoltà che incontrano per superare certe cose?

Da dove devo partire per coinvolgerli? Quali corde devo “pizzicare” per rendere viva ed efficace la

discussione? Ecc. ecc. ecc.

Le domande all’inizio di ogni tappa aiutino ognuno di noi a vivere anche questo.

giù le maschere! PRIMA TAPPA

Alcune domande per cogliere l’esistenziale dei ragazzi

Hai un buon rapporto con te stesso? Sai dirti la verità? Oppure ti capita di “aggiustarti” le cose in modo da farti

tornare i conti? Riesci a restare anziché a fuggire quando hai paura, quando senti di aver sbagliato, quando le cose

non ti riescono, quando sembra che nessuno ti capisca? Ti capita mai di doverti “travestire” o “mascherare” per

essere accettato, per ottenere visibilità e consenso? Ti capita mai di pensare o sentire di non aver reso giustizia alla

tua vera natura e identità, di aver forzato troppo la mano pur di provare a essere o assomigliare a ciò che non sei?

Chi ti ama veramente ti vorrebbe diverso da come sei? Pensi che ti giudichi, che punti il dito contro di te? Pensi che

stia sempre lì pronto a rimproverarti non appena fai il minimo errore?

Pensi che chi ti ama veramente ti giudichi e ti condanni per quello che pensi, per quello che ti piace veramente? Ti

capita mai di nascondere quello che pensi e di dire opinioni che magari non sono le tue ma quelle che pensi

facciano piacere agli altri? Ti capita mai di comportarti come pensi faccia piacere agli altri magari, facendo cose che

neanche ti piacerebbe fare o che senti non ti appartengano?

Se tutti usano maschere vuol dire che non mi posso fidare di nessuno e che nessuno è se stesso?

Pensi che Dio ti ami così come sei? Pensi che Dio ti giudichi? Pensi che Dio ti vorrebbe diverso da come sei? È più

importante per Gesù darci fiducia o smascherarci, rinforzarci o rimproverarci? Perché credi che Gesù ci abbia

comandato di amare gli altri COME noi stessi: solo per frenare il nostro egoismo?

DAL VANGELO DI LUCA - 22,54-62

PIETRO RINNEGA GESÙ

54Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del

sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Avevano acceso un fuoco in

mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a

loro. 56Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo

attentamente, disse: «Anche questi era con lui». 57Ma egli negò dicendo: «O

donna, non lo conosco!». 58Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno

di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». 59Passata circa un'ora, un

altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». 60Ma Pietro

disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora

parlava, un gallo cantò. 61Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e

Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo

canti, oggi mi rinnegherai tre volte». 62E, uscito fuori, pianse amaramente.

Nella trama della Passione di Gesù secondo Luca, l’evangelista si ferma sul comportamento del “primo”

apostolo. A lui, infatti, fin dall’inizio si è manifestato il misterioso Maestro che aveva guarito la suocera (cfr.

Lc 4,38-39) ed era stato l’artefice di una pesca miracolosa (Lc 5,1-11). Ciò che contraddistingue Pietro è il

coraggio di lasciare tutto per seguire colui che lo chiamava a diventare «pescatore di uomini». Primo del

collegio dei Dodici, egli riconobbe in Gesù, con una risposta azzardata, «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»,

una professione di fede sulla quale tutta la fede della Chiesa troverà un approdo sicuro (cfr. Mt 16,13-20).

Purtroppo, fu anche uomo fragile e impulsivo, facile ad addivenire a conclusioni troppo terrene, solo umane.

Infatti, la prima volta che Gesù parla della necessità di dover soffrire a causa dei potenti, di essere ucciso e poi

risorgere il terzo giorno, Pietro prende l’arbitraria iniziativa di rimproverare Gesù, opponendosi così alla

volontà di Dio sul suo Figlio. Per tanto sarà aspramente ammonito da Gesù.

Sul Tabor è destinatario di una visione meravigliosa: vede il volto di Gesù «brillare come il sole e le sue vesti

diventare candide come la luce» (Mt 17,2). Pietro intravede la natura divina del suo Signore ma non ne

capisce pienamente il senso, ancora non sa chi sia veramente quell’uomo che aveva professato come Cristo a

Cesarea di Filippo. Non basta un insegnamento autorevole e neppure le decine di miracoli per mantenere in

piedi la fede di Pietro ma solo la relazione con colui che lo ha chiamato fin dall’inizio, non per i meriti e le

capacità di un umile pescatore della Galilea ma per la volontà di colui che sceglie.

Nella ultima notte, Gesù capisce di andare da solo incontro al suo destino. Satana cerca i discepoli di Gesù

«per vagliarli come il grano» (Lc 22,31). È vero! Quelli che lo hanno seguito e hanno perseverato con lui nelle

prove sono messi in crisi: devono partecipare alla preannunciata “sconfitta” del loro Maestro o scappare presi

dalla paura di «essere annoverati fra gli empi» (Is 53,12; cfr. Lc 22,37)? Quando Gesù fu catturato, i discepoli

di disperdono; a seguirlo furono la madre e alcune donne, poi il discepolo che Gesù amava e Pietro. Ma

questi, per paura stava in disparte, lontano. La paura di compromettersi, il disagio di metterci la faccia,

l’imbarazzo di sporcarsi le mani per un “Cristo perdente e crocifisso” rappresenta l’abissale distacco tra la

fede di Pietro e il compimento della volontà di Dio. Pietro dice tra sé: «Io credo in Lui, gli voglio bene, ma

non mi sento di uscire fuori a dire che lui è il mio Signore. E poi, ne vale veramente la pena? Se lui è il

Messia, il liberatore che salva e guarisce, perché allora questa brutta fine?» Ecco, per Pietro la morte di Gesù

ha rappresentato la fine di tutto. Perciò nega di essere uno dei suoi, si tira fuori dall’elezione divina; per tre

volte, esaurendo la misura preannunciata da Gesù poche ore prima: «Oggi il gallo non canterà prima che tu,

per tre volte, abbia negato di conoscermi» (Lc 22,34). E il gallo cantò. Pianse amaramente per il dolore della

sua coscienza, per la sua incapacità di decidersi per il suo Signore. Nonostante questo non si butta, ma

sparisce dalla scena per ricomparire al mattino di Pasqua quando corre, all’annuncio delle donne, verso la

tomba vuota. Quando Pietro vedrà il Signore risorto si convertirà e potrà professare spontaneamente il suo

amore per Gesù (cfr. Gv 21) confermando i suoi fratelli e pascendo il gregge a lui affidato fino al momento in

cui avrebbe glorificato Dio con la sua morte.

La scelta dell’icona del rinnegamento di Pietro ci è sembrata opportuna poiché mostra

la piena umanità di questo discepolo che scopre la propria incapacità di venire allo

scoperto, indossa la maschera dell’anonimato, del qualunquismo … non riconosce il

Cristo e quindi non riconosce se stesso

ATTIVITÀ

Si può partire nelle attività di gruppo da una lettera che un adolescente ha scritto al direttore di un giornale e

avviare poi la discussione tenendo in considerazione le domande che sono sopra. L’abilità dell’educatore starà

nell’evitare che parlino sempre gli stessi ragazzi e che il discorso si incanali nella direzione giusta

Gentile direttore,

è un pomeriggio buio, uno come tanti. La televisione, questa sconosciuta mattatrice, riproduce l’ennesimo servizio

sulle “baby squillo” dei Parioli, Roma. Sono reduce da un tema scolastico in cui mi si chiedeva di parlare

dell’adolescenza. Vuole sapere come la vedo io, l’adolescenza? Ho 13 anni, direttore. Ne compio 14 ad aprile. E sono

stufa. Stufa di tante cose. L’adolescenza viene vista da tanti come l’età felice, l’età in cui ci si possono mettere i

pantaloncini prima della cellulite, l’età in cui si possono veder sbocciare i primi amori, l’età delle migliori amiche, degli

smartphone, della musica. Non è così. Sa cosa si prova ogni giorno a entrare in una scuola, dove sai che probabilmente

la tua giornata sarà un incubo come quella precedente e devi far finta di nulla, stampare un sorriso e fingere di

dimenticare ogni torto? Sa cosa si prova a essere «quella nuova», «quella di…», «quella scema»? e poi sa cosa si prova

a cercare di nascondere tutto dietro a un viso sorridente e a un atteggiamento positivo, tutto il terremoto di delusioni

e amarezze che ho dentro? Io, come altri milioni di adolescenti, lo so.

Credo che in ognuno di noi sia insito il seme della perfidia, della gelosia. Anche un centimetro di altezza in più può

portare all’invidia. E ogni giorno è una guerra, una guerra che non si voleva iniziare. E te lo chiedi, ci provi pure a

spiegartelo, a riallacciare i rapporti. Ma dopo un po’, l’unica cosa che riallacci sono le scarpe, per andar via. Nessun

adolescente è realmente felice. Ognuno di noi vorrebbe essere più bello, più intelligente, più amato. Ognuno di noi

vorrebbe il ragazzo/la ragazza, ognuno di noi vorrebbe la Louis Vuitton da sfoggiare con le amiche, il Liberty grosso di

cui vantarsi con gli amici. Io le parlo da ragazzina, le parlo da una che, come tante, ha la mente piena di insicurezze e

paure. Per il futuro, di non riuscire a raggiungerlo, di bruciare tutto, di raccogliere macerie, resti, di non essere

abbastanza. E poi… la difficoltà di non poterne parlare con nessuno… per la paura di essere giudicata, di non essere

capita, di essere fraintesa, di essere trattata male. Sì, a volte preferisco parlare con il mio smartphone, mettermi da

parte, nascondermi anche quando tutti possono vedermi ma forse non hanno il coraggio o la voglia o l’interesse di

guardare in fondo ai miei occhi. E sentirsi dire dalla televisione che «i tredicenni di oggi sono tutti malati » non aiuta.

Sa, andando al di fuori dello scandalo delle baby squillo, c’è ancora chi crede nell’amore vero, c’è ancora chi le amiche

le tratta come sorelle, c’è ancora chi a una serata in discoteca fra alcol e balocchi preferisce una pizza con la comitiva,

c’è ancora chi preferisce ascoltare musica e drogarsi di essa piuttosto che drogarsi di diacetilmorfina. La generazione X

non è tutta sesso, droga e rock’n’roll. Magari avete ragione voi, magari ormai siamo in pochi ad avere dei valori. Ma se

lo chieda, il perché… Sarà la nostra paura? Saranno le nostre insicurezze? Saranno i continui modelli sbagliati? Sarà la

fama, il potere, i soldi? Cosa? Ho sbagliato anch’io tante volte, ho mentito anche su cose pesanti, pur di avere

qualcosa. Ma me ne sono pentita, ho chiesto scusa. E me ne pento ancora. Allora, se davvero lei concorda con me, la

pubblichi questa lettera. Lasci che mi critichino, che mi accusino, che mi offendano. Capirei. Capirei una volta per tutte

che il mondo è davvero andato in stand-by. Perché no, non si è spento. È solo andato in stand-by. Grazie di tutto.

Anna Q.

quando sono debole è lì che sono forte!

SECONDA TAPPA

Cosa sono i difetti? Sono sempre qualcosa di negativo?

Che rapporto hai con i tuoi limiti e con i tuoi difetti? Li accetti o diventano un problema? Quando diventano un

problema pensi che si possano superare?

Ti capita di nascondere i tuoi difetti? Come?

I difetti nascondono le nostre virtù e la nostra bellezza? Un difetto non rischia di diventare molto più importante di

quello che è?

E con quelli degli altri? Quali difetti non riesci proprio a sopportare negli altri? Riesci a sopportare negli altri un

difetto che sai di avere anche tu?

Se sai guardare ai difetti degli altri con pazienza e benevolenza, riesci a farlo anche con i tuoi?

DAL LIBRO DELLA GENESI - 32, 23-33

LA LOTTA DI GIACOBBE

23Durante quella notte (Giacobbe) si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i

suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. 24Li prese, fece loro passare il

torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. 25Giacobbe rimase solo e un uomo

lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. 26Vedendo che non riusciva a vincerlo,

lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si

slogò, mentre continuava a lottare con lui.27Quello disse: «Lasciami andare,

perché è spuntata l'aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai

benedetto!». 28Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». 29Riprese:

«Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e

con gli uomini e hai vinto!». 30Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome».

Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. 31Allora Giacobbe

chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero - disse - ho visto Dio faccia a faccia,

eppure la mia vita è rimasta salva». 32Spuntava il sole, quando Giacobbe passò

Penuèl e zoppicava all'anca. 33Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano

il nervo sciatico, che è sopra l'articolazione del femore, perché quell'uomo aveva

colpito l'articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico.

Dopo aver vissuto vent’anni presso il suocero Labano, Giacobbe, sposato con Lea e Rachele e padre di undici

figli, si prepara a fare ritorno nella terra di Canaan. Nonostante sia trascorso molto tempo, egli sa che dovrà

fare i conti con il fratello Esaù, da lui ingannato e spodestato. Temendone la vendetta, invia alcuni messaggeri

di pace avanti a sé; informato da loro che Esaù sta venendogli incontro con quattrocento uomini, suddivide la

carovana in due parti, nella speranza che almeno una possa mettersi in salvo. Poi, in un estremo tentativo di

riconciliazione, affida a un servo alcuni animali scelti da offrire in dono al fratello; «pensava infatti: “lo

placherò con il dono che mi precede e in seguito mi presenterò a lui; forse sopporterà la mia vista”» (Gen

32,21).

È in questo contesto che Giacobbe combatte una lotta notturna davvero unica.

Siamo nella notte, tempo e spazio non governabile, non sicuro; notte che è assenza di luce e, insieme,

necessario passaggio nelle tenebre per giungere alla luce, grembo in cui il sole si prepara a risplendere.

Giacobbe vive una totale solitudine, condizione che è assenza di altri per essere totalmente se stessi; crogiolo

che permette di assumere in pienezza la propria unicità, in modo da poter tessere relazioni veramente

consapevoli.

È in questa situazione che «un uomo lottò con lui» (Gen 32,25), rotolandosi con lui nella polvere: colui che fin

dal seno di sua madre si era reso protagonista di strenue lotte, si imbatte in un altro che lo assale. È un altro

uomo, un tale non definito, sconosciuto a Giacobbe; egli si attendeva l’incontro-scontro con Esaù, e invece è

nuovamente sorpreso, prevenuto da qualcuno che lo atterra. Siamo di fronte alla lotta delle lotte,

all’intrecciarsi di due corpi che si abbracciano e si colpiscono; Giacobbe lotta con un uomo innominato; lotta

con la sua stessa ombra, con un angelo che rappresenta “il proprio io sdoppiato”; lotta con l’angelo custode di

Esaù; lotta con Dio.

In ogni caso egli si rivela lottatore tenace, indomabile, a tal punto che il suo antagonista, «vedendo che non

riusciva a vincerlo, lo colpì alla giuntura della coscia, che si slogò» (Gen 32,36): siamo nel pieno di una lotta

senza esclusione di colpi, nella quale non si evita di ricorrere ai colpi bassi! Solo al termine della notte

Giacobbe si sente dire dal suo rivale: «Lasciami andare perché è spuntata l’aurora» (Gen 32,27), l’ora in cui le

ombre sono fugate e Dio risplende come salvezza! Richiesta non immediatamente accolta, cui fa seguito un

concitato dialogo tra i due contendenti. Giacobbe chiede all’altro la benedizione, ma si sente rispondere con

una domanda: «Qual è il tuo nome?» (Gen 32,28). Ed è così che Giacobbe si arrende al suo avversario, perché

dare il proprio nome significa fare esplicita consegna di se stessi: il nome è la persona, è la realtà più intima di

ogni essere umano, e Giacobbe consegnandolo si affida a quel qualcuno. E mentre fa questo vede cambiato il

proprio nome: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini e hai

vinto» (Gen 32,29). Giacobbe se ne va zoppicando mentre il sole sorge su di lui. Giacobbe è è vincitore che

piange e chiede grazia, è un vincitore ferito, mostra cioè nel suo corpo che in verità Dio ha vinto contro di lui,

in lui: Giacobbe è il vincitore vinto. Zoppo e piangente egli non è più l’uomo di prima, l’ingannatore, ma è

ormai un lottatore che per grazia ha ottenuto la benedizione; è un uomo nuovo con un nome nuovo. In quella

lotta egli ha consegnato a Dio tutta la sua vita, compresi il suo peccato e le sue menzogne.

Lotta sconvolgente quella di Giacobbe, che è metafora di ogni lotta umana con Dio; sì, perché prima o poi gli

uomini giungono a conoscere anche il combattimento con Dio.

il brano non è chiarissimo, lo abbiamo scelto in relazione al suo significato quindi va

ben mediato, Giacobbe è arrivato ad un certo punto della sua vicenda ma deve fare i

conti con chi è … con la sua identità … egli è Giacobbe, letteralmente “lo storto” ,

“l’ingannatore” … non tutto nella vita di Giacobbe è chiaro egli deve quindi riconoscere

e affrontare il proprio limite e combatterlo … non si capisce esattamente chi vinca in

questa lotta, se ne esce fuori zoppi, ammaccati però alla luce e con un nome nuovo …

Israele …

se sapessi chi sei! TERZA TAPPA

Riconosci e ami in te stesso ciò che gli altri amano di te? Ti è mai capitato di stupirti della fiducia che qualcuno ha

riposto in te?

Quanto conta il giudizio degli altri sul giudizio che tu stesso hai su di te? Chiedi mai aiuto agli altri per capire te

stesso? Usi mai gli altri come “specchio” parlante, in grado di rimandarti l’immagine di te che tu stesso non sei in

grado di vedere?

Il giudizio degli altri può aiutarti a conoscere meglio te stesso, aspetti di te dei quali non ti eri accorto prima?

C’è qualcuno che crede veramente in te e scommette su di te? Da cosa ti accorgi che non sta bluffando? Tu credi in

te stesso e scommetti su te stesso

DAL VANGELO DI LUCA - 7,36-50

GESÙ PERDONA UNA PECCATRICE

36Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si

mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si

trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo;38stando dietro, presso i

piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi

capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che

l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di

quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di'

pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento

denari, l'altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a

tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia

colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E,

volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in

casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi

con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei

invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai

unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per

questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.

Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati

sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui

che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha

salvata; va' in pace!».

Gesù lungo il suo cammino dimostra di farsi solidale con i peccatori. Con quali peccatori? Quelli che,

ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto (cfr. Lc 7,29). Quelli, cioè che

riconoscono nell’intimo della coscienza di aver sbagliato per aver amato se stessi al di sopra di tutto, dando

ascolto al proprio istinto e al proprio tornaconto. Chi sa di aver peccato alla luce di un cuore toccato da

Giustizia divina è posto di fronte alla possibilità di cambiare strada. Ed è quel cuore il terreno su cui è

possibile coltivare il seme della fede e dell’amore nel Signore che passa. «Ecco, dinanzi a te mando il mio

messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via» (Ml 3,1). C’è sempre un uomo di Dio che ci annuncia

l’arrivo di Colui che ci offre una possibilità di salvezza, che cancella i peccati, che ama e concede di entrare

nel regno promesso da Dio.

Questa voce è stata sentita da una donna di Nain, riconosciuta pubblicamente come una peccatrice. Il vangelo

non ci dice che peccati abbia fatto. Non racconta il motivo della sua condanna da parte degli abitanti della sua

città. Non mette in chiaro il suo vissuto, la sua storia personale, i suoi errori e i suoi drammi ma mostra il

contrasto profondo con il fariseo Simone, che stava ospitando Gesù. Quella donna, avendo sentito della sua

fama ha il coraggio di irrompere in quella casa, senza temere il giudizio degli altri, avendo soltanto Gesù

dinanzi. Con sé porta un vaso di profumo e le sue lacrime. Ella dimostra il suo pentimento e, allo stesso

tempo, la gioia della redenzione, il gaudio per essere stata amata in modo puro e gratuito.

Con il suo cuore contrito e con l’unguento più prezioso, profonde se stessa in una atto di amore stupefacente

nei confronti di Gesù, come un gesto cultuale. Simone tra sé e sé, vedendo ciò, dubita che Gesù sia un profeta,

che possa conoscere chi fosse veramente quella donna. La risposta di Gesù coglie Simone nel segreto dei suoi

pensieri e facendogli pronunziare la sentenza indirettamente, poi ribadita direttamente mediante l’applicazione

al caso. Gesù è schierato dalla parte della donna e non del fariseo, ma non lo lascia vedere subito. Prima si

preoccupa di farne comprendere le ragioni trasferendo la situazione su altri ipotetici protagonisti.

La donna è la grande debitrice, il debitore minore è Simone. Il suo debito era sì inferiore, ma tale era il suo

amore verso il Signore. Gesù spiega i gesti della donna come segni di stima e amore. Simone è una di quelle

novantanove pecore che non hanno bisogno di penitenza; la peccatrice, al contrario, è la pecorella smarrita.

L’affermazione di Gesù «le sono rimessi i molti peccati perché ha molto amato» è la lettura dei gesti che sta

compiendo sotto gli occhi di tutti. La donna che dimostra con i gesti, più che con le parole, tanto amore,

attesta di aver ricevuto un grande favore. La sua devozione verso il Salvatore tradisce tutta la benevolenza che

il Signore ha da parte sua per lei. L’amore è uno scambio, una contro-risposta, un dialogo, non un monologo.

Una persona che rivela tanto bene deve sentire di essere altrettanto benvoluta. La vita di quella donna è stata

sconvolta radicalmente dall’incontro con Gesù. Ella è rimasta conquistata dalla sua bontà, comprensione,,

compassione rivolta indistintamente a tutti. Perciò anche lei ha scoperto in Cristo, nel suo agire incondizionato

e disinteressato, l’amore del Padre, e si è portata a lui, sfidando tutte le inevitabili incomprensioni per

dichiararglielo pubblicamente e segnalare a tutti la sua scoperta, la sua conversione. La moltitudine di peccati

è stata in lei l’occasione per misurare e comprendere la profondità e grandezza dell’amore di Dio verso di lei:

«là dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).

La peccatrice perdonata è a questo punto una figura chiave, è una che si è tolta le

maschere ed è consapevole del proprio limite, emerge dunque il suo valore ovvero una

grande capacità di amare, capacità che Simone non ha proprio perché non ha fatto un

percorso di verità su se stesso.

ATTIVITÀ

TUTTI INTERVISTANO TUTTI

Viene consegnato un foglio ad ogni ragazzo.

Su ogni foglio sono appuntate delle domande che riguardano un’intervista: le domande le devono scegliere i

ragazzi all’inizio dell’attività.

Si spiega ai ragazzi che le domande dell’intervista devono tirare fuori la bellezza che è in ognuno di noi, il tesoro

(custodito in vasi di creta) che talvolta non è così immediato scoprire. Un tesoro che non è perfezione e

irreprensibilità ma che comunque è oggetto dell’amore incondizionato di Dio.

Ogni ragazzo dovrà scegliere una domanda da fare e, quando sarà scelta la domanda, questa verrà scritta sul

foglio di ogni membro del gruppo.

Su ogni foglio ci saranno così tante domande quanti saranno i ragazzi del gruppo.

A questo punto, divisi in coppie (se ci fosse un ragazzo che rimane fuori un educatore si presti a fare coppia con

lui), si fa l’intervista l’uno verso l’altro e viceversa. I fogli saranno poi consegnati alla fine all’educatore che

appunterà il nome del ragazzo/a intervistato sul suo foglio.

L’educatore leggerà alcune interviste e gli altri dovranno dare un giudizio sulla persona che viene fuori da ogni

questionario: chi si riconosce nelle risposte che ha dato dovrà dare poi alla fine la sua opinione sui giudizi che i

suoi compagni di gruppo hanno espresso. Di quali giudizi mi posso fidare di più? Quali possono essere uno

specchio di quello che sono veramente? Quali giudizi mi hanno aiutato di più? Quali mi sono sembrati troppo

avventati, frettolosi, superficiali? Qualche giudizio ha svelato qualche difetto del quale non mi ero accorto o che

fatico a riconoscere? Qualche giudizio ha mostrato una mia maschera?

amare se stessi per amare gli altri!

QUARTA TAPPA

È facile amare se stessi? Amare se stessi è da egoisti?

Tu come ti ami? Cosa fai per amarti? Puoi dire di amarti?

Puoi amare veramente gli altri se, innanzi tutto, non ami te stesso? Puoi dare agli altri ciò che tu stesso non hai?

Puoi essere veramente buono con gli altri se non stai bene con te stesso e non sei felice? Puoi trasmettere gioia,

fiducia, coraggio, entusiasmo agli altri se tu non hai fiducia in te stesso, se dentro di te non trovi buone ragioni per

vivere?

Puoi coltivare le relazioni con gli altri se non coltivi la relazione con te stesso? Sai ascoltare se non ti ascolti? Sai

guardare se non ti guardi? Sai dare qualità agli altri se non fai continuamente rifornimento di cose buone per te?

DAL VANGELO DI MARCO - 12,28-34

IL PIÙ GRANDE COMANDAMENTO

28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto

come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i

comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è:Ascolta, Israele! Il Signore nostro

Dio è l'unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con

tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è

questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più

grande di questi». 32Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo

verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; 33amarlo con tutto il

cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se

stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Vedendo che egli aveva

risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E

nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Lo scriba che si avvicina a Gesù è presentato come testimone dei dialoghi precedenti. Ciò che ha udito lo ha

impressionato e lo spinge ora a porre una domanda a Gesù, ma non per tentarlo. La domanda riguarda il

comandamento più importante: fra i 613 precetti particolari che costituiscono la Tora i rabbini distinguevano

precetti facili e difficili, ma esigevano che si osservassero tutti. Lo scriba non è curioso di sapere quale sia il

primo comandamento nella legge, ma qual è il primo di tutti i comandamenti. Vorrebbe sapere se si può

identificare la quintessenza di ciò che costituisce la volontà di Dio. Nella sua risposta Gesù cita la professione

di fede d’Israele, va al cuore della relazione con Dio e ripete, con la sua autorità «Ascolta, Israele». L’amore

per Dio è la naturale reazione all’amore che Dio aveva manifestato al suo popolo con la sua guida amorevole,

ugualmente all’amore verso un figlio. Amare l’unico Dio con tutto se stesso, con tutte le proprie forze e le

capacità date all’uomo è la sintesi suprema della volontà di Dio. Ma Gesù aggiunge un secondo

comandamento, l’amore del prossimo. Non si può dire di amare Dio, di conoscerlo e di fare la sua volontà se

non si mette la persona che ci sta accanto in questo rapporto unico, se non la si considera al pari di se stessi.

«Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi»

(1Gv 4,12).

Lo scriba riconosce la grande sapienza del rabbi Gesù e la sua risposta si limita a commentare assegnando

all’amore di Dio e del prossimo un valore più grande di quello degli olocausti e dei sacrifici cruenti. Non c’è

nulla che possiamo fare per ottenere la benevolenza di Dio; quale merito potremmo avere di fronte a Lui?

Solo l’amore ci rende capaci di partecipare della sua vita e della sua grazia, proprio perché promana da Lui,

perché Lui ci ha amati per primo.

Gesù nota l’intelligenza o la ragionevolezza della risposta e tributa grande lode allo scriba. Se egli gli attesta

che non è lontano dal regno di Dio significa che Gesù è caratterizzato come il maestro che possiede che

possiede autorità ed è autorizzato a pronunciare tale giudizio. Perché Gesù non chiama lo scriba a seguirlo?

Perché la preoccupazione del dialogo è quella di verificare l’accordo tra la concezione di Gesù e la fede

giudaica. Gesù non viene ad abrogare la Legge ma a darvi pieno compimento.

Chi ama Dio con tutte le sue forze e il prossimo come se stesso è vicino al regno di Dio, che inizia a

realizzarsi con la realtà di Gesù. Egli non ha bisogno di fare sacrifici per arrivare a Dio, ma deve domandarsi

chi è veramente questo Gesù

Esistono silenzi imbarazzati, dove nessuno sa cosa dire eppure si avverte la necessità di

dire qualcosa; e silenzi, come quello in cui le parole dette sono così forti e pregnanti che

hanno invaso l’orizzonte dell’ascolto e non si può aggiungere altro senza che sembri di

troppo. E’ quello che accade in questo dialogo tra Gesù e il dottore della legge … il passo

per noi è importante, il percorso fino ad ora fatto era per certi versi individuale (togliersi le

maschere, riconoscere i propri difetti, vedere il valore che nascondo) ora deve essere

chiaro che se questo percorso mi porta ad amarmi non è per una deriva narcisistica ma

perché la rinnovata percezione di me mi doni nuove energie per amare il prossimo

ATTIVITÀ

FORUM

L’attività è molto semplice per certi versi ma non bisogna permettere che scada troppo nel talk show, anche se

un po’ di cornice teatrale può essere carina.

Tutti i membri del gruppo, diremo ai ragazzi, sono stati convocati a far parte di una giuria popolare e devono

ascoltare i seguenti casi, tutti tranne due perché a turno due persone del gruppo si trasformano da giurati in

querelato e querelante. All’educatore il ruolo del giudice. Si dibattono i seguenti casi, li ho copiati dal sito di

forum, andrebbero arricchiti di dettagli.

Ovviamente i membri del gruppo quando a turno vengono chiamati ad impersonare i querelati o querelanti

ricevono un cartoncino che spiega il loro caso e devono difendere a spada tratta le loro posizioni, i casi sono

appena richiamati andrebbero modificati e particolareggiati ma tutti attengono a situazioni di conflitto che

ruotano ipoteticamente attorno all’amore di se - amore del prossimo. Sono situazioni che vogliono mettere in

evidenza una criticità: il fatto che non si può vivere un aspetto senza vivere l’altro, non si può amare se stessi

senza amare gli altri e viceversa. Le due cose vanno insieme.

i casi vanno dibattuti, votati dalla giuria… e il giudice in sede di verdetto finale potrebe “citare” non articoli del

codice civile ma passi del vangelo …

Nella prima causa una figlia di 24 anni vuole impedire alla madre, stanca di combattere l'alcolismo del marito e

separata in casa, di trasferirsi in un'altra città per lavoro lasciandola sola con il padre (che non beve da sei mesi)

e con una sorella di 18 anni prossima al diploma.

La figlia ha deciso di rinunciare al suo progetto di convivenza per restare vicino al papà.

Seconda causa. Una donna annulla le nozze perché scopre che il futuro marito, in una precedente relazione,

aveva abbandonato il figlio piccolo quando aveva scoperto la malattia del bambino.

Per la donna tacere questo segreto è gravissimo e per questo chiede un risarcimento delle spese sostenute

Terza causa. Un ragazzo padre (papà a 18 anni con la mamma che si è disinteressata alla bambina) lascia

crescere la figlia dai suoi genitori.

Passano 8 anni, il ragazzo si è trasferito per lavoro in Germania, si ritiene maturo e pronto per portarsi la

bambina con lui che adesso convive con una donna tedesca.

La nonna si oppone all'idea che la bambina lasci l’Italia.

Quarta causa. Una moglie dona il midollo osseo al marito ma dopo dodici anni viene lasciata per un'altra donna.

Adesso chiede un risarcimento perché è distrutta e annullata dall’abbandono.

Quinta causa. Due sorelle alla morte della sorella si ritrovano alle prese con un nipote autistico da gestire.

La sorella tutrice legale vorrebbe appoggiarsi a una struttura residenziale, l'altra, molto impegnata col lavoro, si

oppone.