L'altra Repubblica n°7

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l’altra Repubblica DA PARADISO FISCALE A PARADISO CIVILE POLITICA • SOCIETÀ • LAVORO • AMBIENTE • CULTURA • CIVILTÀ • GIUSTIZIA periodico di informazione edito da RICAPITALIZZAZIONE CARISP: COSA RISCHIANO I SAMMARINESI • INTERVISTA AL SEGRETARIO CDLS, MARCO TURA • ANTONIO FABBRI SUL DENARO SPORCO A SAN MARINO • RAGIONANDO SULLA RETE• SOCIAL BUSINESS: CHE COS’È? Questo giornale è stampato su carta prodotta esclusivamente con fibre riciclate al 100%. Il processo produttivo è a basso impatto ambientale, la sbiancatura è realizzata senza utilizzo di cloro e il trasporto segue una politica eco-responsabile. Tassa pagata - Stampa periodica per l’interno - Aut. n. 359 del 19/06/2006 della Dir. Gen PP.TT direttore editoriale: MICHELE ZACCHI - direttore responsabile: LUCA LAZZARI grafica di luca lazzari n. 7 maggio 2012 Anche San Marino è entrata nella lunga vo- lata elettorale e i segnali sia dall’Europa che dall’interno vanno tutti nella stessa direzio- ne: cresce la sfiducia nelle istituzioni e nei partiti. La crisi della classe dirigente di San Marino è resa ancora più acuta dalle inchieste che la magistratura (di solito quella italiana) sta svolgendo e che ha portato in galera illustri personaggi. E come stanno reagendo le forze politiche? Nonostante sia chiaro a tutti che così non si può andare avanti, ci si balocca con metodi antichi, fatti di cene, incontri, ammiccamenti e comportamenti da teatrino. C’è un governo che non riesce nemmeno a dire ai suoi cittadini qual è la vera situazione economica, e c’è un’opposizione che non si oppone perché troppo compromessa con le vecchie gestioni di potere. Poco importa che la società dia continua- mente segnali di stanchezza, e in tanti si impegnino per trovare una via d’uscita; per i partiti si tratta solo di aspettare che il vento dell’antipolitica si plachi per tornare ai val- zer del bel tempo antico. Come uscire, allora, da questa prigione? Questo giornale è convinto che nella realtà del nostro paese ci siano le idee e le persone per costruire davvero un’altra Repubblica. Manca solo un luogo fisico per confrontar- si e cominciare ad indicare soluzioni a due grandi problemi: quale progetto per restare a testa alta in Europa (e non diventare la cas- saforte delle mafie) e come ripensare la de- mocrazia per rendere i processi decisionali partecipati e condivisi da tutti i cittadini. Bisogna partire subito, perché ci vorrà del tempo per trasformare il confronto fra le cento idee che sono già nate in una coerente strategia. I governati non sono più una plebe ottocen- tesca, sono composti da persone che hanno capacità, conoscenze, contatti; persone in- somma che, nella migliore tradizione sam- marinese, sanno davvero autogovernarsi. Sarà un passaggio difficile e importante allo stesso tempo. Ma bisogna cominciare e si parte giovedì 31 maggio dall’anfiteatro del Castello di Chie- sanuova, con l’assemblea pubblica organiz- zata da questa giornale e da tutti coloro che vorranno aderirvi. Vi aspettiamo, perché San Marino ha bisogno di tutti voi. che 100 fiori sboccino che 100 idee si contendano incontriamoci il 31 maggio IN QUESTO NUMERO anfiteatro del Castello di Chiesanuova ore 18.00 / inizio lavori ore 19.30 / aperitivo a chilometro zero ore 20.30 / ripresa lavori diretta streaming su www.libertas.sm

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l’altra RepubblicaD A P A R A D I S O F I S C A L E A P A R A D I S O C I V I L E

POLITICA • SOCIETÀ • LAVORO • AMBIENTE • CULTURA • CIVILTÀ • GIUSTIZIA

periodico di informazione edito da

RICAPITALIZZAZIONE CARISP: COSA RISCHIANO I SAMMARINESI • INTERVISTA AL SEGRETARIO CDLS,

MARCO TURA • ANTONIO FABBRI SUL DENARO SPORCO A SAN MARINO • RAGIONANDO SULLA

RETE• SOCIAL BUSINESS: CHE COS’È?

Questo giornale è stampato su carta prodotta esclusivamente con fibre riciclate al 100%. Il processo produttivo è a basso impatto ambientale, la sbiancatura è realizzata senza utilizzo di cloro e il trasporto segue una politica eco-responsabile.

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direttore editoriale: MICHELE ZACCHI - direttore responsabile: LUCA LAZZARI

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n. 7 maggio 2012

Anche San Marino è entrata nella lunga vo-lata elettorale e i segnali sia dall’Europa che dall’interno vanno tutti nella stessa direzio-ne: cresce la sfiducia nelle istituzioni e nei partiti.La crisi della classe dirigente di San Marino è resa ancora più acuta dalle inchieste che la magistratura (di solito quella italiana) sta svolgendo e che ha portato in galera illustri personaggi. E come stanno reagendo le forze politiche? Nonostante sia chiaro a tutti che così non si può andare avanti, ci si balocca con metodi antichi, fatti di cene, incontri, ammiccamenti e comportamenti da teatrino.C’è un governo che non riesce nemmeno a dire ai suoi cittadini qual è la vera situazione economica, e c’è un’opposizione che non si oppone perché troppo compromessa con le vecchie gestioni di potere.Poco importa che la società dia continua-mente segnali di stanchezza, e in tanti si impegnino per trovare una via d’uscita; per i partiti si tratta solo di aspettare che il vento dell’antipolitica si plachi per tornare ai val-zer del bel tempo antico.Come uscire, allora, da questa prigione?Questo giornale è convinto che nella realtà del nostro paese ci siano le idee e le persone per costruire davvero un’altra Repubblica.Manca solo un luogo fisico per confrontar-si e cominciare ad indicare soluzioni a due grandi problemi: quale progetto per restare a testa alta in Europa (e non diventare la cas-saforte delle mafie) e come ripensare la de-mocrazia per rendere i processi decisionali partecipati e condivisi da tutti i cittadini.Bisogna partire subito, perché ci vorrà del tempo per trasformare il confronto fra le cento idee che sono già nate in una coerente strategia.I governati non sono più una plebe ottocen-tesca, sono composti da persone che hanno capacità, conoscenze, contatti; persone in-somma che, nella migliore tradizione sam-marinese, sanno davvero autogovernarsi.Sarà un passaggio difficile e importante allo stesso tempo.Ma bisogna cominciare e si parte giovedì 31 maggio dall’anfiteatro del Castello di Chie-sanuova, con l’assemblea pubblica organiz-zata da questa giornale e da tutti coloro che vorranno aderirvi.Vi aspettiamo, perché San Marino ha bisogno di tutti voi.

che 100 fiori sboccinoche 100 idee si contendano

incontriamoci

il 31 maggio

IN QUESTO NUMERO

anfiteatro del Castello di Chiesanuovaore 18.00 / inizio lavori

ore 19.30 / aperitivo a chilometro zeroore 20.30 / ripresa lavori

diretta streaming su www.libertas.sm

l’altra Repubblica / n. 7 maggio 2012 32 l’altra Repubblica / n. 7 maggio 2012

Il congresso della Cdls ha contribuito a chia-rire ulteriormente la situazione del paese. Dal mondo del lavo-ro arrivano messaggi chiari e tutti nella stes-sa direzione: il paese ha bisogno di una svolta profonda perché il pan-tano favorisce soltanto la criminalità, da quel-la fiscale alla grandi storie di mafie.Con Marco Tura cer-chiamo di fare una sin-tesi dei lavori.Partiamo da un dato certo: l’analisi sulla realtà sammarinese. È forte, e lo avete confer-mato, la preoccupazio-ne per quel che emerge dalle inchieste giudi-ziarie, in particolare la presenza mafiosa.Ci vuole avete detto, un accordo con l’Italia e ci vogliono i contratti.

In molti la pensano come voi e quindi la prima domanda è semplice: che tipo di situazione si sta deli-neando?

Se l’analisi è corretta, una parte del lavoro è fatto. Vuol dire prende-re coscienza di una dato di fatto che fino a qual-che tempo era guardato con una certa leggerez-za. E c’è una ragione storica: il benessere de-gli ultimi 20 anni, ave-va anestetizzato le pos-sibili reazioni sociali. Prendiamo il caso delle infiltrazioni malavitose, che abbiamo denuncia-to in maniera chiara, nascondono il fatto che

la repubblica non era preparata ad affrontare questa emergenza.Parliamoci chiaro: la mafia e la criminali-tà organizzata non è sammarinese, ma l’ab-biamo importata e può essere devastante per lo sviluppo economico di san marino.Abbiamo visto dei casi in cui la magistratura ha inseguito..e dico in-seguito perché noi ab-biamo agito in seconda battuta, dopo le indagi-ne dei giudici italiani.Cosa contestiamo: la reticenza di San Mari-no verso la rinuncia ad antichi privilegi fiscali ci ha portato a tradire la fiducia di chi può aiu-tarci meglio a risolvere questa drammatica si-tuazione.Abbiamo cercato di sal-vaguardare il benessere del passato e nei fatti abbiamo messo in dif-ficoltà gli investigatori italiani che vedevano la crescita delle mafie nel-la nostra Repubblica.Quando abbiamo co-minciato ad intervenire il male era già radicato.Io credo che sia anco-ra abbastanza semplice estirpare questa mala pianta perché siamo an-che aiutati dalle nostre dimensioni, ma è chia-ro che ci vuole l’impe-gno di tutti.

E quindi il discorso arriva direttamente al problema dei rap-porti con l’Italia…

Noi ci siamo facilmente dimenticati delle nostre origini di paese ospita-le.Negli ultimi anni ci sono state fughe in

avanti e il rapporto con il nostro vicino è diven-tato ostile. ho sempre guardato con dubbio all’accusa fatta verso Tremonti, e so per cer-to che lui faceva il suo lavoro e noi non faceva-mo il nostro.Se i rapporti fossero stati chiari e trasparenti non saremmo in que-sta situazione; abbia-mo preferito seguire lo slogan “guadagnare di più e in maniera facile” senza tener conto dei ri-schi di quella scelta.

Durante il congresso si è parlato molto dei contratti che non si firmano. Perché si è arrivati a questo pun-to?

Io un’idea ce l’avrei. La crisi mondiale ha mes-so in ginocchio tutti. A San Marino la crisi è diventata strutturale perché non eravamo preparati, la Repubbli-ca non era attrezzata, ad affrontare un evento di questo tipo.C’è poi da dire che le imprese sammarinesi hanno presto capito che non potevano cercare una soluzione con le loro forze e hanno spe-rato che potesse arri-vare il cavaliere bianco che metteva tutto a po-sto. Chi poteva essere il salvatore? A mio avviso lo vedevano nello Stato italiano e si sono con-centrate nella soluzione delle relazioni con l’Ita-lia (soprattutto l’uscita dalla black list) con un ragionamento a questo punto ovvio: cerchiamo di essere pronti ad una maggiore competitivi-tà rispetto alle aziende

italiane non appena la ripresa decolla.Solo così posso spiegare l’ostinazione del “no” ai contratti, contratti che si potevano firma-re già nel 2009, quan-do invece l’Anis decise di rinviare la pratica a data da destinarsi.Aggiungo anche una nota che, lo ammetto, contiene un po’ di ma-lizia.L’Anis, lo sappiamo, vede nelle sue fila i più importanti imprendi-tore sammarinesi, e a quest’ultimi non inte-ressava avere concor-renti in casa, e quindi vedere la nascita di aziende a capitale ita-liano o quant’altro.Chi vuole investire qui vuole certezze. Il dif-ferenziale fiscale è già sufficiente, nella ge-neralità dei casi, per garantire un buon gua-dagno, servono quindi certezze e regole chiare (ivi compresi i contratti di lavoro).Ma i contratti sono stati tirati per le lunghe, con tante motivazioni.Credo poi che i grandi imprenditori volessero dei contratti molto ta-gliati sulle (poche) prin-cipali realtà: ma come si può chiedere una cosa di questo genere? Una tale assurdità?Forse i nostri grandi manager sono solo i fi-gli di coloro che hanno fatto grandi le industrie e stanno dimostrando di non essere all’altezza del loro nome e della situazione che il paese vive.Ed infine occupiamoci di questa proposta che ha già suscitato molto dibattito: un referen-dum per reintrodurre la scala mobile. Una sorta di compensazione per i

mancati contratti.

Siete anche consa-

pevoli che in questo caso non si può arri-vare ad un compro-messo: o si vince o si perde…

Lo sappiamo benissimo e si intrecciano fin trop-pe interpretazioni.Da anni contratti non se ne vedono, e circa 18.000 lavoratori non hanno oggi un nuovo accordo (e di questi 13.000 sono sammari-nesi). Non voglio dire

che i numeri siano a nostro favore, ma conosciamo bene l’u-more di chi è in fabbri-ca ed in ufficio (un con-gresso si prepara con decine di assemblee) e pensiamo di poter arri-vare, se lavoriamo ben e con il giusto passo, ad un risultato positivo.Siamo anche perfetta-mente consapevoli che l’arma del referendum rappresenta un po’ un passo indietro rispetto alla normale dialettica sindacale; se siamo ar-rivati a questo punto è perché gli imprenditori non ne vogliono sapere di firmare degli accordi che, per forza di cose, daranno ai lavoratori qualcosa in più (ma loro puntano solo a toglierci

quel che abbiamo).Ma l’Anis ci fa proposte che ci portano indietro di trenta anni. Ebbene, trenta anni fa c’era la scala mobile e quindi

va reintrodotta, anche perché la reale capacità di spesa dei lavoratori è in calo.Sappiamo benissimo che la partita è rischio-sa. Sappiamo che se dovesse andare male la mia testa sarà la pri-ma a saltare, ma non è un problema: intanto abbiamo sbloccato un immobilismo che finiva per danneggiare solo i lavoratori.

■ INTERVISTA A MARCO TURA ■ SEGRETARIO CDLS ■“E adesso il gioco si fa duro”

Con la ricapitalizza-zione della Cassa di Risparmio, prevista dall’ordine del giorno approvato nell’ultima seduta consiliare (si parla di 60 milioni di euro da parte dello Sta-to) continua la politica dei salvataggi bancari a spese dei contribuen-ti. Va però detto che l’ordine del giorno in questione pone anche una serie di condizioni che, almeno sulla carta, offrono ai futuri finan-ziatori alcune garanzie. Delle considerazioni vanno comunque fatte. Partiamo dall’assetto societario. La Cassa di Risparmio dal 2001 è una SpA, e la totalità del pacchetto aziona-rio è in mano alla Fon-dazione San Marino, i cui soci vengono eletti esclusivamente per co-optazione. L’assemblea dei soci elegge i mem-bri del CdA, mentre il Presidente è nomina-to, a norma di legge, dal Consiglio Grande Generale, cinque Con-siglieri di Amministra-zione sono eletti dalla Assemblea e tre, tra i quali il Vice-Presidente, sono nominati diretta-

mente dalla S.U.M.S.Allora: chi controlla la Cassa di Risparmio? La semplice biografia dei suoi amministrato-ri ci porta a dire che si tratta prevalentemente di una riserva di cac-cia di un grande partito politico, che da sempre ne condiziona le scel-te. Ora, che il bilancio della Cassa presenta grandi passività, i suoi amministratori e il go-verno hanno deciso che i debiti toccano a tutti, vale a dire allo Stato e ai contribuenti.Se serve ricapitalizza-re, così come avvenuto per la Cassa di Rispar-mio di Rimini, bisogna che siano gli azionisti a mettere mano al porta-foglio, perché sono loro che quando le cose an-davano bene hanno ge-stito gli utili.Sarebbe ora che in questo paese gli am-ministratori di socie-tà e di patrimoni (fra l’altro ben retribuiti), fossero chiamati alle

loro responsabilità e rispondessero in prima persona per le scelte sbagliate. Come sarebbe ora di chiarire, e di interveni-re adeguatamente, sul conflitto d’interessi, come per esempio quel-lo del Presidente della Fondazione San Mari-no. Infatti, lui stesso ha dichiarato di detenere importanti pacchetti azionari della ex Banca Agricola e della Banca di San Marino. E il suo caso non è certamente l’unico: per avere una trasparenza effettiva servirebbe una riforma fiscale seria che elimi-ni quei “nascondigli” come le fiduciarie, e le altre forme societarie spurie.C’è un altro aspetto da approfondire su questa vicenda. Prima di af-frontare una qualsiasi decisione, deve essere chiarito a quanto am-montano i prestiti già erogati dallo Stato (sia liquidi che in fidejus-

sioni), se e quanti altri istituti bancari samma-rinesi hanno concessi prestiti alla Cassa, quali sono le sue reali condi-zioni economiche, e so-prattutto quanto ancora sia esposta nella vicen-da Delta nel rapporto tra crediti e debiti.Non si può più transi-gere sul metodo e sul-la trasparenza. Con il pretesto che se non si salva il settore ban-cario salta il Paese, si stanno affondando l’u-no e l’altro, e si stanno indebitando le future generazioni per decine di anni.Tra l’altro è lo stesso FMI, del quale noi non siamo certamente esti-matori, a sostenere che l’intervento dello Stato è possibile solo dopo un adeguato chiarimento sullo stato patrimonia-le dell’Istituto, dopo un intervento diretto degli azionisti e dopo la pre-sentazione di un serio progetto di rilancio.Si possono poi solleva-

re altri dubbi sull’intera operazione: il carico della ricapitalizzazione, stando ad alcune indi-screzioni, dovrebbe es-sere suddiviso fra Stato, SUMS e una cordata di imprenditori. Ma se non c’è un quadro della situazione economica ed una stima del valore della Banca, come si fa a definire la ripartizio-ne? Il rischio è quello della solita furbata fra affari e politica, dove a rimetterci è la collettivi-tà (alla quale si addos-sano le perdite), mentre qualcuno con pochi spiccioli si compra un posto al sole.A questi labirinti fi-nanziari e affaristici io rispondo con una pro-posta semplice: perché non pensare ad una banca pubblica che ge-stisce i fondi pensione, salvaguarda il rispar-mio, sostiene il credi-to all’economia reale, finanzia opere e infra-strutture pubbliche?

■ RICAPITALIZZAZIONE CARISP ■ COSA RISCHIANO I SAMMARINESI ■Contro la complessità della crisi meglio le idee semplici

di AUGUSTO GASPERONI

Dopo la fase delle fatture false e delle evasioni/elusioni fi-scali, le banche sono nel mirino (insieme alle finanziarie) per qualcosa di molto peggio, vale a dire la collusione col cri-mine organizzato: Cosa si è appurato e dove stanno andan-do le indagini?

Direi intanto che non c’è un prima e un dopo. Le maglie larghe verso il “nero” delle false fat-turazioni e dell’evasio-ne fiscale sono le stesse che hanno consentito l’ingresso del denaro della malavita. Che il sistema bancario sammarinese facesse da lavatrice del denaro delle mafie, lo si poteva chiaramente intuire. In diversi, inascoltati e a volte pure querelati, lo hanno anche detto per tempo. A conclamarlo, però sono state le in-chieste giudiziarie. Per capire che il sistema era malato bastava vede-re la pubblicità che su internet si faceva, e in certi casi si fa ancora, della piazza finanzia-ria sammarinese. Negli anni, poi, ci sono stati episodi evidenti come la fuga del pluripregiu-

dicato ‘ndranghetista Lentini nascostosi pro-prio sul Titano, gli spari nella porta alla Impresit 2000, i nomi di banche e finanziarie sammari-nesi che di quando in quando emergevano in inchieste sulla malavi-ta come terminale dei denari. Un sistema che funzionava talmente bene che ha fatto diven-tare stanziali le mafie, le ha fatte cominciare a fare affari direttamente in territorio. Addirittura Vallefuoco incontrava politici e loro galoppini prima delle elezioni per cercare di assicurarsi re-ferenti.In particolare nell’in-chiesta denominata Staffa gli inquirenti contestano che attra-verso Fincapital ed il suo stretto raccordo con le banche con cui lavorava, praticamente tutte, venivano ricicla-ti denari di camorra, ‘ndrangheta e mafia siciliana. Di indagini aperte, poi, c’è Decollo Money, che ha portato alla liquidazione del Credito sammarinese. Criminal Minds con la vicenda Fingestus, ma anche tutto quanto è saltato fuori dalle cas-sette di sicurezza. Tutte inchieste in divenire. Di

certo da queste indagi-ni è emerso che i soldi della malavita c’erano e le cosche utilizzavano San Marino come ban-comat. A questo punto toccherà alle procure, sulla base delle leggi, delle prove raccolte e degli elementi emersi, rinviare o meno a giu-dizio i soggetti indagati e giungere ad una verità processuale che costi-tuirà poi l’epilogo del-la vicenda giudiziaria. Quello che è certo, leg-gendo le intercettazioni che fanno parte degli atti di queste indagini, è che San Marino si è ar-ricchito per troppo tem-po sull’illegalità altrui, fosse evasione fiscale, false fatture o denaro della criminalità. Pe-raltro l’evasione fiscale non è un compartimen-to stagno rispetto al de-naro riciclato della ma-lavita. Si è sentito dire spesso “pensavamo ci fosse solo il nero e al-lora poteva pure andare bene. Ma i soldi della malavita non avrem-mo mai pensato!”. Se si pensa che la Guar-dia di finanza definisce l’evasione fiscale una attività “paramafiosa” si comprende come sia superficiale e sen-za troppo fondamento cercare di giustificarsi dicendo che il “nero” non c’entra con la cri-minalità.

Dopo Livio Baccioc-chi, Bianchini: un grande nome finito nei guai e che ha permesso di aprire un vero vaso di Pan-dora: quali sono, a tuo avviso, i peggiori elementi emersi?

Dall’inchiesta Criminal

minds è emerso un po’ di tutto. Legami masso-nici, veri o presunti tali, ma in ogni caso ritenuti reali dal protagonista della storia. Corruzio-ne, estorsione, giochi di potere per appalti com-merciali, sette, lettere al “padre”, giri di ingenti somme di denaro, eva-sione fiscale, esterove-stizione, legami con la criminalità organizza-ta… Insomma, una va-sta gamma di contesta-zioni che gli inquirenti stanno scandagliando. In questo intreccio in-garbugliato credo che

le cose da fare emergere e sulle quali è urgen-te fare chiarezza siano tanto semplici da dire per quanto sono gravi da considerare. La pri-ma è l’aver portato in territorio personaggi che avevano collega-menti con la camorra, che circolavano indi-sturbati in Repubblica e qui facevano minacce, estorsioni, intimidazio-ni e intrattenevano rap-porti anche con le forze dell’ordine. Il secondo elemento di gravità è l’elenco, che emerge dalle carte, di 68 sogget-ti tra giudici, finanzieri, politici che, tra Italia e a San Marino, risultano a libro paga di questa fantomatica organizza-zione guidata da questo “padre” al quale con de-ferenza Bianchini, stan-do alle lettere che sono agli atti dell’inchiesta, si rivolgeva e versava quattrini. Il terzo ele-mento di gravità è che buona parte del sistema economico-finanziario era al corrente di deter-minati modi di operare ed ha taciuto quando, addirittura, non ha na-scosto.

Che dire del ruolo di Banca centrale?

Nella vicenda di Bian-chini-Fingestus il ruo-lo di Banca centrale sembra fare da cornice all’intero caso. Nella prima fase, infatti, tra le motivazioni che hanno indotto i vecchi vertici Bossone-Papi-Caringi ad andarsene ci sono anche le pressioni che hanno lamentato di

aver subito da membri di governo quando era iniziata una ispezione verso Fingestus, finan-ziaria di Bianchini poi messa in liquidazione volontaria. Consulen-ti di Fingestus erano il professor Renato Clari-zia, oggi presidente di Bcsm, e i soggetti che attorno al suo studio legale ruotavano, come lo studio Gemma. Gli stessi, poi, sono stati nominati dalla mag-gioranza al vertice di Banca Centrale e negli organismi di vigilanza. Nel frattempo Finge-stus è stata liquidata, ma l’inchiesta Criminal minds ne ha messo in luce le magagne fino a fare emergere persino il deposito di denaro da parte di un siriano sospettato di finanzia-re il terrorismo islami-co. Di fronte a questo quadro, di dietrologie se ne potrebbero fare tante e ne sono state fatte nell’ambito del di-battito politico che si è agitato a San Marino in questo periodo. Ma più delle dietrologie, a chia-rire come rapportarsi a determinate situazioni, dovrebbero essere i dati di fatto: se un rappor-to di consulenza legale non deve essere preso a pretesto per condanna-re chicchessia e posto che le persone di cui si parla hanno curricula professionali di tutto rispetto, quanto acca-duto dovrebbe però es-sere sufficiente perché il vertice di un organismo controllante non venis-se guidato da chi ha ap-poggiato uno degli or-ganismi controllati, che ha intrecciato rapporti con il sistema che si è chiamati a vigilare. Lo richiedono soprattutto

ragioni di opportunità politica, creanza etica e di tanto sbandierata tra-sparenza.

Infine la politica: tut-to quel che avviene sembra scivolare sul corpo inerte dei partiti. Ma i partiti ci sono ancora o si tratta di lobby più o meno potenti?

Credo che i partiti, nel senso proprio del termi-ne, non ci siano più da un pezzo. Mi spiego. Se per partiti si intende associazioni di persone votate al bene comune e tenute insieme da una base ideale elevata che persegue programmi condivisi, con lo scopo di migliorare le condi-zioni di vita della col-lettività, la solidarietà e la giustizia sociale… Ecco, se per partiti si intende questo, mi rin-cresce dirlo, ma penso che non ci siano più. Diverso è se guardia-mo alla funzione dei partiti come comitati elettorali, votati ad ave-re il maggior controllo possibile del consenso, a radicarsi in tutte le espressioni del vive-re civile, economico e finanziario e, forse in ultima istanza, ad am-ministrare il paese. In questo i partiti samma-rinesi, ma pure quelli italiani, sono stati mol-to attivi. La lottizzazio-ne delle attività è tanto più evidente quanto più il paese è piccolo. E a San Marino si nota bene chi è stato inserito in un posto, da chi o da quale corrente politica e perché. I partiti han-no referenti nel sistema bancario e finanziario, nel sistema imprendito-riale, finanziamenti più

o meno occulti da par-te di quattro o cinque soggetti che da sempre influenzano il consen-so. Ora, che funzioni dappertutto così, non è una giustificazione all’indifferenza verso determinati compor-tamenti, ma ne è una spiegazione. Infatti, a fronte di episodi gravi che dovrebbero ingene-rare una riprovevolezza sociale e politica note-vole, si è costretti a fare finta di nulla o quasi, perché da quel sistema che oggi è sotto pro-cesso, le forze politiche hanno attinto a piene mani. Avere il denaro, anche quello sporco, nelle cas-se delle banche e delle finanziarie, faceva co-modo a tutti. Faceva comodo allo stato che incassava sotto forma di tasse, faceva comodo alle banche stesse e ai loro dividendi. Faceva comodo all’economia che in un certo modo, seppure distorto, gira-va. Faceva comodo ai dipendenti pubblici che non avevano alcun pro-blema a chiedere e otte-nere un salto di livello, perché i soldi per pagar-li c’erano. Senza voler colpevolizzare nessuno bisognerebbe, però, in-cominciare a rendere consci i sammarinesi, del fatto che una parte dei soldi che hanno con-sentito il “bengodi” è sporca del sangue delle vittime della malavita. Allora, forse, acquisen-do questa rude ed estre-ma consapevolezza, un moto di indignazione potrebbe scuotere le co-scienze addormentate e votate troppo spesso all’unico obiettivo del fine settimana a Sharm.

■ UNA CHIACCHERATA CON ANTONIO FABBRI ■“Il denaro, anche sporco, faceva comodo a tutti”

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Antonio Fabbri

“Credo che i partiti, nel senso proprio del termine, non ci siano più da un pezzo. Mi spiego. Se per partiti si intende associazioni di persone votate al bene comune e tenute insieme da una base ideale elevata che persegue programmi condivisi, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita della collettività, la solidarietà e la giustizia sociale… Ecco, se per partiti si intende questo, mi rincresce dirlo, ma penso che non ci siano più”

Alla vigilia della Giornata della Memoria in ricordo delle vittime di mafia organizzata da Libera e Avviso Pubblico, la Commissione Europea, per voce della Commissaria agli affari interni Cecilia Malmstrom, ha proposto una direttiva per allargare a livello europeo lo strumento della confisca dei patrimoni criminali. La confisca andrebbe a colpire quelle organizzazioni che, solo in Italia, sono responsabili di un fatturato di 150 miliardi di euro nel solo 2011. A livello globale, invece, le Nazioni Unite stimano i profitti criminali in 2.100 miliardi di dollari (circa il 3,6% del PIL mondiale). Fa da capofila il traffico di droga, con un flusso di denaro intorno ai 321 miliardi, a cui seguono i 42,6 miliardi generati dal traffico di esseri umani. Una mole di denaro spaventosa che inquina quotidianamente l’economia globale, altera gli equilibri finanziari, falsa il libero mercato e colpisce le fasce più deboli della popolazione.La direttiva giunge dopo anni di sforzi da parte di ONG, quali Libera e FLARE Network, e di parlamentari europei che della lotta alla criminalità a livello europeo hanno fatto il loro cavallo di battaglia. Sono molte le novità introdotte dalla direttiva della Malmstrom, tra cui non solo l’esperienza portata dalla legislazione olandese oltre che quella italiana, ma anche la possibilità di attaccare i proventi di attività legate al cybercrime e corruzione. Significativa è, inoltre, la proposta di utilizzare

la confisca “preventiva”, norma esclusiva della legislazione italiana a livello mondiale. Le principali normative della direttiva sono: estendere le regole per le confische dei beni, non limitandole solo a quelli legati ad uno specifico reato, ma all’intero patrimonio di origine criminale; rafforzare le norme per colpire i beni ceduti a prestanome; permettere i sequestri anche quando non è possibile arrivare ad una condanna del criminale perché morto, infermo o latitante; facilitare il congelamento precauzionale dei beni in attesa di una sentenza di conferma del sequestro. Inoltre si introdurrà il concetto di ‘effettiva esecuzione’, nuovo anche per la legislazione italiana: permettere che la situazione patrimoniale dei condannati sia tenuta sotto controllo per anni, impedendo che il ‘bottino’ improvvisamente riappaia ed il criminale se lo possa godereLa direttiva fa seguito a cinque decisioni quadro emanate dalla Commissione dal 2001 che si sono dimostrate, per stessa ammissione della Malmstrom, “inadeguate” nella lotta alla criminalità e “implementate in maniera incoerente” dagli Stati Membri. Quest’ultima iniziativa della Commissione Europea sulla carta ha tutte le potenzialità per colmare un vuoto legislativo di cui hanno approfittato per anni le organizzazioni criminali di tutta Europa. La palla passa ora al Parlamento Europeo.

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World Wide Web. Grande rete mondiale.Il nome a fatica ne de-scrive l’incredibile va-stità, riempita in soli 21 anni dalla sua nascita da miliardi e miliardi di pagine web messe in rete, appunto, da milio-ni di utenti di tutto il mondo.Internet è questo, ed è sempre stato questo fin da quando Tim Berners Lee l’ha concepito in quel digitalmente lon-tano 6 agosto 1991: la vastità per eccellenza, il luogo non luogo in cui non esistono confi-ni e in cui chiunque si può ritagliare il proprio spazio espressivo, senza dover rendere conto a nessuno se non alla co-munità digitale, che re-agirà inviando feedback positivi o negativi.La cosa che manca davanti a WWW, for-se, è una parola che ne descriva appunto la libertà. Una libertà pressoché totale, oltre le classiche “regole del gioco” che governano i rapporti umani all’in-terno delle varie comu-nità “reali” e che sta resistendo tenacemen-te ad ogni tentativo di bavaglio progettato dai poteri forti che gover-nano i vari paesi in cui il World Wide Web al-lunga i suoi tentacoli di libertà espressiva.Poteri forti che spesso, fino ad oggi e soprat-tutto in una certa par-te del mondo, hanno rappresentato governi autoritari che si sono dovuti tutto ad un trat-

to scontrare con una realtà nuova, sfuggente, difficilmente imbriglia-bile, terreno fertile per tutti quei movimenti di controinformazione e protesta che non trova-no spazio in una socie-tà immobilizzata dalla paura e dalla violenza di Stato.Questi poteri forti con-centrano da sempre la loro attenzione sul mondo dei blog e dei forum ma da qualche anno anche su quello dei social network nati sulla scia di Facebook (Il ruolo di Twitter nel-le rivolte della cosiddet-ta Primavera Araba è stato ben riconoscibile da tutti).Stiamo parlando di Cina, Arabia Saudita, Iran, Corea del Nord, Siria, paesi retti da go-verni autoritari che hanno messo in piedi strategie di censura nei confronti della rete e dei contenuti ritenuti come antigovernativi, censure rigorosamen-te aggirate da comuni cittadini diventati per necessità hacker auto-didatti.Stiamo parlando anche dell’europea Russia di Putin che avrebbe ap-prontato un sistema di controllo generalizzato sui contenuti di social network e blog che già ha suscitato le preoc-cupazioni dell’Euro-pean Digital Rights e che obbligherebbe ogni sito considerato offensi-vo, in base a parametri stabiliti dal Roskom-nadzor (l’agenzia fe-derale di supervisione per le comunicazioni e

i media), a chiudere en-tro tre giorni.Stiamo parlando tutta-via anche di paesi del cosiddetto occidente “libero”, che si stanno lasciando coinvolge-re da questa spirale in nome di interessi ben più economici. In que-sto caso agli interessi di “sicurezza naziona-le” si vanno infatti ad aggiungere gli interessi delle major, sia cinema-tografiche che musica-li, che fanno da tempo opera di lobbying nei confronti di governi come quello statuniten-se.Da questo è nata l’idea dei tanti criticati SOPA (Stop Online Piracy Act), PIPA (Protect IP Act) e il più attuale CI-SPA (Cyber Intelligence Sharing and Protection Act) che se approvati dal Senato americano avrebbero aumenta-to (o aumenterebbero nel caso del CISPA, in discussione in questi giorni) a dismisura il potere nelle mani dei titolari di copyright per bloccare l’accesso ai siti che si occupano di file sharing e per richiedere una censura preventiva da parte di portali come YouTube.Nel Vecchio Continen-te è l’Inghilterra, uno degli Stati più digita-lizzati d’Europa, ad aver compiuto il primo passo concreto in que-sto senso, seguito im-mediatamente da Irlan-da e Spagna, con una legge anti-pirateria che obbliga i vari provider a rallentare la banda, fino a bloccarla definiti-

vamente, dei siti segna-lati come violatori da parte degli stessi titolari di copyright. Come se questo non bastasse è in discussione proprio in questi giorni di prima-vera un provvedimento che concederebbe al go-verno, tramite i servizi segreti digitali inglesi (Gchq), di accedere su semplice richiesta al provider a tutte le attivi-tà compiuta da un’uten-te in rete.L’antipirateria stri-sciante è poi sfocia-ta sul continente con l’adesione di 22 paesi dell’Unione all’ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), trat-tato firmato a Tokio il 26 gennaio di quest’an-no che segue le solite linee guida: segnala-zione della vittima di violazione - indagine dell’autorità - obbligo del provider di blocco parziale o totale del traffico al violatore.A San Marino non esi-ste una legislazione ad hoc che regolamenti questi settori ma questo non sempre è un bene per la libertà d’espres-sione, soprattutto in un paese in cui il terzo po-tere dello Stato, quello legislativo, ha dimostra-to più volte nel corso degli anni di non essere del tutto indipendente da influenze da parte dei tristemente noti po-teri forti.La reazione della rete a questi tentativi di ba-vaglio non si è mai fat-ta attendere. Dal “Web Goes On Strike” contro il SOPA alle raccolte firme contro l’ACTA

incentivate da tutti i più grandi operatori del web come Google e Wikipedia alla conti-nua protesta dei piccoli blog, internet non ci sta a farsi mettere il bava-glio.Che la violazione dei copyright su internet sia un problema, nes-suno lo può negare. Ma risolverlo con atti che puntano ad innalzare delle barriere preven-tive coinvolgendo gli stessi provider che lavo-rano sul web, rendendo più debole il monopolio dell’uso della sanzione da parte dell’autorità e trasferendone parte agli stessi proprietari di di-ritti non è certamente la strada giusta.D’altronde, come dice lo stesso Tim Berners-Lee ne “L’architettura del nuovo web” (1999):“Se il World Wide Web vuole rappresentare e sostenere la ragnatela della vita, deve permet-terci di agire in modo diverso con gruppi dif-ferenti di differenti di-mensioni e fini in diffe-renti posti, ogni giorno, nelle nostre case, uffici, scuole, chiese, città, sta-ti, paesi e culture”.Perché internet continui quindi a rappresentare quel luogo in cui ogni idea fuori dagli scher-mi possa trovare il suo spazio e farsi sentire per cercare di affermarsi, è necessario evitare ogni condizionamento che provochi una censura preventiva. Sia questo in nome di un’idea po-litica, di una legge o di semplici interessi eco-nomici.

Piazza Tahrir in aprile assomiglia a un sepol-cro. Uno di quei luoghi capaci di fissare nelle pietre la memoria sto-rica dei fatti. Sembra quasi di sentirne anco-ra l’eco. Il rumore as-sordante della folla in protesta, la guerriglia urbana e l’urlo distante di 20 milioni di persone che chiedono Libertà. Democrazia. Giustizia sociale.La primavera araba, l’ultimo grande evento storico dell’area medi-terranea, ha dimostrato al mondo che per svi-luppare un movimento rivoluzionario capace di spodestare tirannie decennali e gruppi di potere consolidati, non bastano né diplomazia internazionale, né in-terventi militari di un qualche paese “salvato-re”. Serve la volontà del po-polo. Unito. Creare coesione signifi-ca avere i mezzi per co-municare e trasmettere idee. Indignazione. Un mezzo capace di coor-dinare migliaia di voci. Durante la primavera araba, il mezzo è stato il web. Quello che in passato fu la stampa, oggi è la rete.Ma il punto non è il mezzo. Il punto è il messaggio. Quando questo è condiviso dai cuori più che dai media di comunicazione, ecco che la natura contagio-sa del desiderio di liber-tà si esprime in tutta la

sua dirompenza. È al-lora, che 200 mila per-sone sono in grado di radunarsi in una piazza coordinandosi grazie ad un social network come Twitter, o che mi-lioni di persone cercano di coinvolgere amici e parenti per rovesciare un regime. È la spinta virale del desiderio di giustizia. Inarrestabile.Piazza Tahrir sem-bra distante. Immersa nell’afosa atmosfera egiziana. Ma non lo è. Sul monte Titano infat-ti, dove non sorge una Repubblica come tante, abbiamo un simbolo ancora prima che uno Stato. Un sinonimo storico di democrazia, libertà e diritti dell’uo-mo. Almeno fino a

qualche decennio fa.In queste poche righe però, non ripeteremo quello che al più dei let-tori sembrerà un ritor-nello fin troppo sentito negli ultimi mesi. Storie di mafia e di corruzio-ne, di abusi e compra-vendita di un popolo. No. In queste poche righe, voglio aprirvi gli occhi su un altro fatto. Sconvolgente nella sua semplicità. Questo paese si sta sve-gliando.Durante la primavera araba, durante le prote-ste di massa in Tunisia, Egitto, Libia e Siria, solo il 5% della popo-lazione aveva accesso alla rete. Eppure, quel-la piccola minoranza, organizzandosi, è stata

capace di rovesciare alcuni dei più tirannici regimi della storia mo-derna.Nella Repubblica di San Marino, il 95% della popolazione ha acces-so al web, e ben 8.000 cittadini su 32.000 sono presenti sui social net-work. Uno su quattro.Si stanno svegliando proprio loro. Ottomila persone comuni. Citta-dini che ogni giorno si collegano in rete per se-guire le vicende del loro paese dalle pagine di un sito web o di un social network. Che commen-tano, condividono e si organizzano sulla rete. Si svegliano, i cittadini che urlano la loro rab-bia e la loro indigna-zione su blog e social

network.Si sveglia, chi completa la sua informazione in rete, chi condivide la propria opinione, chi contribuisce con la sua esperienza alle discus-sioni on line. Chi ascol-ta le voci della rete.L’indignazione sta sa-lendo e oggi, come mai prima d’ora, la popola-zione si trova ad avere in mano uno strumen-to di aggregazione e comunicazione senza precedenti. Siamo un popolo connesso come mai prima d’ora.È stato un inverno lun-go e faticoso e oggi, ci stiamo svegliando da un lungo letargo. La primavera finalmen-te, sta arrivando anche sul Titano.

■ ANTITERRORISMO E COPYRIGHT ■ UNA SCUSA PER LEGGI LIBERTICIDE ■Internet sotto attacco

■ LE CONNESSIONI DELLA RETE ■ UN ANTIDOTO ALLA CATTIVA POLITICA ■In attesa di una primavera biancoazzurra

di LUCA SANTOLINI

di STIVEN MUCCIOLI

Se oggi si parla con sempre maggiore insi-stenza della crisi e delle crisi, lo si deve anche alla condotta irrespon-sabile di molte impre-se e di larghe parti del mondo degli affari e dell’economia. Al net-to del green washing, male stigmatizzato con sempre maggiore deter-minazione ormai anche da ampie componenti dello stesso mondo del-le imprese, è possibile ridare dignità, nuovi orizzonti e nuova lin-fa al concetto stesso di business? La domanda è aperta e ci sono mar-gini di risposta positi-vi. Alle imprese spetta, in buona parte, l’onere della prova. All’intera società e alla politica spetta invece lo sforzo di chiamare a raccolta, coordinare e valorizza-re tutte le componenti sane e volenterose. Mi-chele Paolini, dirigente aziendale e co - fonda-tore di socialbusines-sworld.org, ispirandosi anche alle teorizzazioni di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace 2006, ci aiuta a far luce su questi aspetti e

ci restituisce l’immagi-ne di un cambiamento dinamico e non neces-sariamente conflittuale, basato sull’incontro tra autoanalisi del mondo imprenditoriale e istan-ze del consumo critico. Paolini sottolinea, dal suo privilegiato osser-vatorio, la necessità di una fuoriuscita dai gio-chi della finanza, a San Marino come altrove. Ne esce un quadro in-teressante, capace di diradare le nebbie di un conflitto sociale sempre più acuto.

Cosa è il social busi-ness? Quali elementi di novità e di rottura apporta nel pano-rama economico e sociale contempora-neo?

Con il termine social business o business so-ciale si indica un nuovo modo di fare impresa teorizzato dal Prof. Muhammad Yunus, economista e premio Nobel per la pace 2006, già noto per aver ideato e portato al successo globale, sia in termini sociali che finanziari ed economici, il microcre-

dito.Nel mondo esistono già diversi esempi di bu-siness sociali, aziende “senza perdite, senza dividendi” create per ri-solvere almeno un pro-blema sociale i cui utili non vengono distribuiti agli azionisti ma rein-vestiti per ampliare o migliorare il proprio business, prodotto o servizio.In sintesi, per poter es-sere definita business sociale, un’impresa deve attenersi ai sette principi a seguire:1. Sconfiggere la po-vertà o un problema sociale, non perseguire la massimizzazione del profitto2. Essere sostenibile economicamente e fi-nanziariamente3. Agli investitori deve essere restituito il solo capitale investito, nes-sun dividendo è distri-buito oltre all’ammon-tare dell’investimento iniziale4. Ad investimento re-stituito i profitti riman-gono in azienda per espansione e/o miglio-ramento5. L’impresa deve avere

coscienza ambientale6. I lavoratori ottengo-no retribuzioni di mer-cato con condizioni di lavoro migliori7. … fare il proprio la-voro con gioia!Sono stati ipotizzati ed individuati due tipi di business sociale:Tipo I - Un’azienda che si concentra sulla riso-luzione di un problema sociale direttamente at-traverso il proprio pro-dotto o servizio;Tipo II - Un’azienda tradizionale, for-profit e di proprietà diretta o indiretta - in questo se-condo caso attraverso un Trust fiduciario con finalità sociali - di pove-ri o svantaggiati.Queste modalità di “fare business” portano secondo me elementi di grande ed interes-santissima novità nel panorama economico contemporaneo poiché a forte caratterizza-zione sociale: l’essere umano assume un ruo-lo centrale e dominante rispetto al denaro, alla “ricchezza” che, come oggi noi tutti possiamo osservare, non è affatto sinonimo di benessere.

In accordo con quan-to affermato dal Prof. Yunus, le persone non sono unidimensionali, votate all’accumulazio-ne di beni come l’at-tuale organizzazione dell’economia e quindi della vita stessa vor-rebbe farci credere ma capaci e certamente de-siderose di soddisfare desideri e bisogni socia-li, cooperativi, solidali. Questo è possibile non solo attraverso atti di generosità pura, dona-zioni ma deve esserlo attraverso la creazione di imprese vere e pro-prie che, sostenendosi in autonomia tramite la propria attività, risol-vano problemi sociali concreti e nel contem-po creino lavoro e vero benessere.

Cosa a tuo parere deve cambiare dav-vero nel modo in cui “il mondo degli affa-ri” vede se stesso e cosa invece è da mo-dificare negli occhi di chi lo guarda dall’e-sterno?

Oggi chi fa impresa si vede come ideatore, inventore, creatore di

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8 l’altra Repubblica / n. 7 maggio 2012

Social business: esercizi di altra economia

Intervista a Michele Paolinia cura di

Stefano Palagiano

prodotti, servizi, sogni che possano soddisfare le necessità, spesso solo materiali ed effimere, degli individui; attra-verso questa capacità persegue quasi sempre l’unico obiettivo dell’ar-ricchimento personale. Ciò che deve necessa-riamente cambiare è la capacità di sentirsi parte di un sistema più complesso e delicato, di capire quali possono es-sere gli impatti ambien-tali e sociali derivanti dalle scelte strategiche ma anche operative, dal fare impresa. Si sente

sempre più spesso par-lare di responsabilità sociale delle aziende ma in molte occasio-ni, purtroppo, la linea di demarcazione tra una sincera presa di coscienza dell’essere parte di una comunità e più cinici obiettivi di marketing non è sem-pre chiara.Questo porta noi tutti, consumatori, a guar-dare ormai con grande scetticismo e disillusio-ne chi si propone come attento alle questioni sociali ed impegnato a cercarne soluzioni at-traverso attività di tipo economico ed impren-ditoriale. Questo però non può più costituire un alibi per facili gene-ralizzazioni e quindi eludere facilmente un possibile impegno so-ciale: viviamo fortuna-tamente in tempi in cui l’informazione è alla portata di tutti e quindi individuare chi davvero cerca di essere utile ed attento alla comunità in cui opera è molto più semplice. Senz’altro è fondamentale che i consumatori imparino a guardare con occhi maturi, con consapevo-lezza, chi e come fa im-presa consci della pro-pria forza, della propria capacità di influenzare in maniera determi-nante i comportamenti

degli attori economici che, in fondo, da esseri umani sono gestiti e per esseri umani produco-

no e lavorano.

La Repubblica di San Marino non si è mol-to distinta finora per l’attenzione all’eco-nomia reale: anche in base alla tua va-sta esperienza, quali prospettive vedi per ridare credibilità al Paese?

Purtroppo la questione della maggiore atten-zione all’aspetto finan-ziario più che a quello reale, della produzione ambientalmente e so-cialmente sostenibile, efficiente ed efficace di beni e servizi non può essere circoscritta alla sola Repubblica di San Marino ma è stata ed è ancora dominante su scala globale. Credo che l’unica via verso la restituzione di un ruo-lo trainante e determi-nante del mondo delle imprese ma anche e soprattutto della politi-ca passi attraverso una vera presa di coscienza del ruolo sociale che esse necessariamente devono svolgere, met-tendo da parte interessi corporativi e di parte. Puntare sulle risorse del territorio, paesaggisti-che, ambientali, cultu-rali ed umane, piuttosto

che sulla leva o specula-zione finanziaria sareb-be non solo auspicabile e obiettivo raggiungibi-le ma soluzione effica-

ce.

Un social network de-dicato all’argomento del social business è uno strumento inno-vativo e importante: parlacene.

Come accennato, insie-me al mio più grande amico Giovanni Ruta con cui ho fondato so-cialbusinessworld.org , crediamo che l’uti-lizzo di strumenti in-ternet che permettano la condivisione e crea-zione di informazioni in tempo reale e “dal basso” possa incremen-tare esponenzialmente e molto efficacemente la capacità degli indi-vidui di migliorare la propria condizione. Un social network in-teramente dedicato al business sociale è la nostra risposta, il no-stro contributo. Condi-videre conoscenza ed informazioni è acqua in un terreno fertile: tutti possiamo imparare da-gli altri per crescere e migliorare e noi siamo una “learning organiza-tion”.I nostri obiettivi sono informare sui business sociali, promuoverli, metterli in contatto tra loro e con consulen-ti e clienti, creare un mercato online di beni e servizi da questi pro-dotti.Iscriversi naturalmente è gratuito ed una volta entrati nella commu-nity si può scegliere la propria lingua, ascol-tare, leggere imparare, condividere conoscen-ze ed esperienze, cono-scere persone da tutto il mondo che come noi

vogliono impegnarsi a migliorarlo. Tutto ciò è possibile attraverso gli strumenti che la piatta-forma mette a disposi-zione: ogni utente può liberamente ed in au-tonomia creare un suo blog, pagine, creare o unirsi a gruppi, caricare foto, video, file.Socialbusinessworld.org si propone come social business di Tipo I, si sostiene sia attra-verso quote in conto capitale dei soci che con capitale di debito e tra pochi mesi con ser-vizi di consulenza ed intermediazione ad al-tri business sociali e di vendita a clienti finali tramite piattaforma e-

commerce.

Secondo te, che cos’è il benessere?

È innegabile che per la nostra società benessere sia sempre stato e sarà sinonimo di ricchezza ma secondo me è la mi-surazione della sua enti-tà che deve essere ripen-sata e modificata. Oggi corrisponde all’accu-mulazione di proprietà reali e finanziarie ma la definizione e quanti-ficazione del benessere dovrebbe senza dubbio tener conto di elementi meno materiali che gra-tificano ed elevano l’es-sere umano, che troppo spesso dimentichiamo o sottovalutiamo, valo-ri quali la qualità delle scuole, degli ospedali, delle nostre istituzioni politiche, l’onestà delle persone, la bellezza dei paesaggi, delle arti an-che quando non com-mercializzate, valori che rendono l’essere umano così meravi-gliosamente affasci-nante, unico e capace di superare se stesso.

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“I nostri obiettivi sono informare sui business sociali, promuoverli, metterli in contatto tra loro e con consulenti e clienti, creare un mercato online di beni e servizi da questi prodotti”

MUSICAsabato 26.05 - Velvet Club, RiminiNEON INDIAN(chillwave)

sabato 26.05 - Rock Planet, Pinarella di CerviaAVENUE X(punk)

sabato 26.05 - Clandestino, FaenzaHEIKE HAS THE GIGGLE(pop rock)

lunedì 28.05 - Sidro Club, Savignano sul RubiconeGUITAR WOLF(japanese rock)

venerdì 29.05 - Hana Bi, Marina di RavennaGRIMES + DOLDRUMS(indie)

mercoledì 30.05 - Hana Bi, Marina di Ravenna SANDRO PERRI + ERIC CHENAUX

VISIONIsabato 26.05 - Cineteca di RiminiFORMATO RIDOTTO - LIBERE RISCRITTURE DEL CINEMA AMATORIALE. Film collettivo. Per la rassegna “DON’ T YOU LIKE DOC?”

lunedì 28.05 - Cinema Corso, RavennaTHE SHADOW CIRCUS: THE CIA IN TIBET. di Ritu Sarin e Tenzing Sonam. Per la rassegna “RAVENNA FESTIVAL D’ ESSAI”

31.03 / 02.06 - Museo San Francesco, San MarinoMostra di pittura: “PRINCIPESSE E AMBASCIATORI, I VOLTI DELLA DIPLOMAZIA DEL PASSATO”

INCONTRImartedì 29.05 - Rocca di dozza, BolognaIL TERROIR RIMINESE: SANGIOVESE TRA MARE E COLLINA

martedì 29.05 - Piazza delle Culture, Casalecchio di RenoPresentazione del libro: “TEATRO IN VIAGGIO. LUNGO LA ROTTA DEI MIGRANTI”

07.06 - 10.06 - PennabilliARTISTI IN PIAZZA. Buskers festival

27.05 / 03.06 / 10.06 - Scuola di Filosofia Orientale & Comparativadelle Culture, RiminiIL GIOCO DELL’EROE Workshop meditativo

15.06 - 17.06 - RiminiMARE DI LIBRI. Festival dei ragazzi che leggono

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CHE FARE?

c h e 1 0 0 f i o r i s b o c c i n oc h e 1 0 0 i d e e s i c o n t e n d a n o

i n c o n t r i a m o c i i l 31 maggio anfiteatro del Castello di Chiesanuova

ore 18.00 / inizio lavoriore 19.30 / aperitivo a chilometro zero

ore 20.30 / ripresa lavoridiretta streaming su www.libertas.sm