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dentro l’imbrunire Il valore del denaro, della relazione, della cooperazione nell’ora della crisi finanziaria 5 dicembre 2008

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Il valore del denaro, della relazione, della cooperazione nell’ora della crisi finanziaria

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Il valore del denaro, della relazione, della cooperazione nell’oradella crisi finanziaria

5 dicembre 2008

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A cura diPAOLO GIUSEPPE GRIGNASCHI Direttore Generale Federazione Banchedi Credito Cooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna

GIANLUCA PUCCINELLI Amministratore Delegato RES Group

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Premessa 1

Prefazione 2

Introduzione 3

RADICI E CONTESTO 5

DALLA PRIMA ALBA OLTRE UN SECOLO DI COOPERAZIONE DI CREDITO 7

UNA NUOVA ALBA NELLO SCENARIO ATTUALE 9

L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE 11

Atti del convegno 13

SOMMARIO

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Il 5 Dicembre 2008 presso il Complesso Monu-mentale dell’Ara Pacis di Roma si è tenuto il se-condo Convegno Annuale della Federazione diLazio, Umbria e Sardegna. Tema del convegno èstato la posizione della Federazione e delle Ban-che di Credito Cooperativo in generale, rispetto al-la crisi che sta attraversando la finanza prima el’economia poi, e che sembra essere di una porta-ta mai vista in precedenza.Il titolo “L’alba dentro l’imbrunire” suggerisce l’at-teggiamento delle Banche di Credito Cooperativoin questo frangente ed è altresì, ispiratore di questapubblicazione che ha avuto uno scopo ben preci-so, quello di seguire la loro storia rintracciando ilbagliore continuo e costante che le ha accompa-gnate per oltre un secolo di storia e che le ha rese,per molti uomini, faro e punto di riferimento anchee specie nei periodi più bui che la società ha dovu-to affrontare.Il proposito delle BCC è reagire al momento criticoche stiamo vivendo, in modo positivo con gli stru-menti in loro possesso e con il loro modo di opera-re, riaffermando con maggior vigore il proprio ruo-lo a supporto degli investimenti anziché della spe-culazione, stimolando la crescita dell’economiareale piuttosto che della finanza, e valorizzando ilterritorio e la relazione con il mercato basandosisull’etica e non sul solo profitto.Al convegno, che è stato aperto dal Presidente

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PREMESSAPaolo G. GrignaschiGianluca Pucccinelli

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della Federlus, dott. Francesco Liberati, hannopreso parte il Prof. Salvatore Rizza, Ordinario diPolitica Sociale della Facoltà di Scienze della For-mazione presso l’Università degli studi Roma Tre,che ha parlato della funzione economica, socialeed etica che le Banche di Credito Cooperativo; ilProf. Renato Mannheimer Ordinario di Analisi del-l’opinione pubblica della Facoltà di Sociologiapresso l’Università degli studi Bicocca di Milanoche ha presentato uno studio sull’atteggiamentodelle famiglie verso il risparmio, verso il denaro everso le banche con specifico riferimento alleBCC; e il Dott. Marco Liera Direttore de “Il sole 24ore Plus”, che ha tracciato una possibile linea dicomportamento per supportare le esigenze di svi-luppo in questa delicata fase.Nella pubblicazione riportiamo gli interventi di tuttii partecipanti per intero. Grazie ad essi è venuta acrearsi una stupenda pagina di storia tutta da rac-contare ed è per questo che abbiamo deciso, pri-ma di arrivare agli atti del convegno, di riportare levicissitudini e gli avvenimenti che per oltre un se-colo hanno coinvolto le banche di Credito Coopera-tivo, narrandoli seguendo uno stile più intimistico,più personale e abbiamo voluto inserire gli inter-venti dei relatori in un discorso organico, in un dia-logo in absentia che tenesse conto prima di tuttodelle persone, perché sono le persone che fannola storia con i loro valori e le loro decisioni. E quel-la che si è svolta il 5 Dicembre all’Ara Pacis è sen-z’altro una storia che lascerà nell’animo riflessioni,pensieri, propositi e uno spirito di ottimismo sem-plice e realista che è proprio del nostro DNA.

PREMESSA

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PREFAZIONEA cura di

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PREFAZIONE

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INTRODUZIONEA cura diAlessandro Azzi Presidente Federazione Nazione Banche di Credito Cooperativo

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INTRODUZIONE

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RADICI E CONTESTOGIANLUCA PUCCINELLI

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“In necessitate sunt omnia communia”S. PAOLO

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La nascita del credito cooperativo affonda le sue ra-dici in un punto molto profondo di quel vasto estratificato terreno che è la società. Se provassimoa rintracciare la storia di questa meravigliosa pian-ta seguendo il suo robusto stelo, ci accorgeremmoche la sua evoluzione è stata lenta, meditata, ma ine-luttabile. Le vicissitudini della storia degli uomini edella società, i rovesci della fortuna, le opere dell’uo-mo, hanno portato inevitabilmente alla creazione delsistema che noi vediamo oggi, con le sue peculia-rità e con ancora tanti germogli che aspettano di cre-scere e svilupparsi.Credo che per comprendere appieno la ragiond’essere e le motivazioni vere che hanno portato al-la sua nascita, si debba partire dal punto in cui il pri-mo seme è stato gettato, vale a dire da quel perio-do di grandi cambiamenti, scoperte, sconvolgi-menti e speranze che è stato l’ottocento.Molti si chiederanno perché per spiegare una cosatanto attuale si debba partire da così lontano. E la ri-sposta è che la prima alba di questo fenomeno si tro-va in un’epoca che per alcuni versi è molto simile aquella che stiamo vivendo ora.

L’ottocento è stato il secolo della grande rivoluzioneindustriale, del capitalismo, del primato dellascienza sul pensiero dell’uomo e della migrazioneverso le Americhe.Il lavoro e il capitale venivano posti al centro di tut-

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te le questioni e dei dibattiti del tempo. Il lavoroche nobilita l’uomo e il lavoro che lo umilia. Il lavo-ro che rende ricco l’individuo e quello che invece do-vrebbe arricchire la società.Il liberismo era il pensiero politico dominante. Se-guendo esso il mercato si era arrogato il diritto e ilpotere di auto-regolarsi secondo le leggi della do-manda-offerta. Ciò aveva portato l’economia capi-talistica ad un continuo susseguirsi di alti e bassi, es-sendo in balia di un meccanismo perverso che ve-deva l’avvicendarsi di una richiesta eccessiva rispet-to alla capacità di produzione, e, viceversa, di unaproduzione enorme sproporzionata alla domanda.Ne sarebbe conseguito un pericoloso calo deiprezzi, soprattutto per i prodotti agricoli. Cosa cheavrebbe dato un considerevole contributo alla gra-ve crisi economica e agraria che si stava profilandoall’orizzonte.I benefici della crescita economica, intanto, andava-no soltanto a una parte della società, mentre lecondizioni di vita dei contadini peggioravano, giun-gendo al limite della sopportazione.A metà ottocento, infatti, molti uomini abbandonaro-no le campagne, salutarono gli ulivi e i frutteti,svuotarono le frugali abitazioni e vendettero i pode-ri, per andare a lavorare nelle fabbriche, o partire al-la volta delle Americhe, con fili di sogni e speranzeattaccate come spago alle valige.I nuclei urbani assunsero le forme, i rumori, e i co-lori delle vere città. Le industrie facevano di tutto perdiventare miele agli occhi degli uomini. Questoperché se il secolo precedente aveva avuto come ful-cro economico il principio dello scambio, l’ottocen-to riteneva la “produzione” il vero elemento cataliz-zatore, l’unico motore propulsore di una societàche vedeva crescere a dismisura la popolazione ele sue esigenze.La popolazione, quindi, era diventa sinonimo diforza lavoro e come tale doveva essere invogliata con

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tutti i mezzi ad abbandonare le occupazioni tradizio-nali e la vita nelle campagne, per convertirsi alle nuo-ve realtà economiche, ai nuovi ritmi di un mondo cheiniziava a correre veloce, a non guardarsi mai indie-tro, a fare i conti con il lavoro salariato, con uno sti-le di vita scandita dai tempi della fabbrica e non piùda quelli dei campi, delle raccolte, della potatura edella terra.Ma gli operai, come i contadini, i braccianti, i picco-li commercianti, non riuscivano a raccogliere null’al-tro che fame, povertà e miseria.

La crisi agraria a metà del secolo e quella economi-ca agli inizi del ‘900, dunque, diventarono una verae propria piaga sociale poiché si portarono dietro unaserie di conseguenze dalla portata devastante.Gli uomini rimasti a lavorare la terra si rendevanoconto della necessità di avviare un processo dimodernizzazione delle tecniche e dei macchinariagricoli. La mezzadria e la dimensione medio-picco-la dei poderi era una vera e propria condanna a mor-te per la sussistenza, ma la mancanza di denaro pergli indispensabili investimenti, negava loro questapossibilità costringendoli ad un circolo vizioso ed iro-nico, vale a dire o ad abbandonare qualsiasi tipo disperanza, lasciandosi andare ad una povertà sen-za rimedio se non quello della carità e dell’elemosi-na, oppure a chiedere prestiti con tassi d’interessevertiginosi, aumentando, così, il fenomeno e la po-tenza degli usurai.Gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori siritrovarono nella medesima situazione di coloroche sino ad allora avevano guardato dall’alto inbasso. La formazione del mercato nazionale e l’in-troduzione del già accennato orientamento liberisti-co nei rapporti commerciali con gli altri paesi avevaesposto la media e piccola imprenditoria ad una con-correnza al di sopra delle proprie capacità.Essi, dun-que, si sentivano stritolati da concorrenti che non po-

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tevano né vedere, né toccare, ma di cui comunquepercepivano tutto il peso del fiato sul collo. Nonriuscivano più a far fronte ai prezzi vertiginosi deri-vati dalla speculazione. Chiedere aiuto alle ban-che era impensabile dal momento che gli Istituti pri-vati, persino quelli rurali, preferivano convogliare ilproprio denaro verso il settore metalmeccanico e af-fini, lasciando il popolo minuto alle prese con la pro-pria indigenza.Gli operai, nonostante le belle promesse, malgradogli sforzi e la fatica, a dispetto di quella fiaccola disperanza che li aveva indotti a cambiare vita per in-seguire un sogno labile ed illusorio, andavano ine-vitabilmente ad ingrossare le fila di quella moltitudi-ne di poveri, di disoccupati, che invadeva le stradedella città e che la carità pubblica e privata non eraassolutamente in grado di sostenere, né sotto ilprofilo economico, né tanto meno sotto quello sani-tario.E cosa poteva esserci di più nero di un vicolo ciecoe oscuro come quello in cui si era ritrovata tutta que-sta gente che fino ad allora aveva vissuto una vitafrugale e sostanzialmente tranquilla, e non aveva lapiù pallida idea di cosa fosse la competizione, la con-correnza, l’inflazione? Pensate a gente che non aveva mai immaginato di-stese di grano più estese e dorate di quelle che sistagliavano davanti ai propri occhi sul far del tramon-to, fin quando qualcuno non aveva accennato ai me-ravigliosi granai del mondo situati aldilà dell’oceano:un eldorado di cereali che avrebbe soddisfatto tut-ta la popolazione da un giorno all’altro senza più bi-sogno di appezzamenti, di attrezzature ridicole edarretrate e di poche mani modeste e callose.Pensate a gente che provava per la prima volta il sa-pore amaro dell’alienazione, l’odore malsano dei fu-mi delle fabbriche, l’aria insalubre di quartieri sen-za fognature, gli orari massacranti di un lavoro gri-gio e ripetitivo, l’insufficienza, l’umiliazione del

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classismo, l’offesa della propria dignità.No, non poteva esserci nulla di più cupo, desolato eminaccioso della situazione in cui versava la mag-gioranza del popolo a metà ottocento. Era una not-te che sembrava non finire mai. Una notte avvilen-te che pendeva sulle loro teste come un’ascia affi-lata.Tutto il mondo, sembrava avvolto da una spessa cor-tina di scoramento.La povertà era ovunque. La si poteva toccare ed an-nusare. I sogni degli uomini si sgretolavano a tal pun-to che sembrava non fossero mai esistiti.La maggior parte delle persone lavorava soffrendoe viveva ai margini del mondo economico e politico,lontana dai giochi di supremazia, potere e specula-zione, ma immersa in essi fino al collo per tutte leconseguenze che a causa loro stava subendo e an-cora avrebbe subito.In un siffatto stato di cose il popolo non avrebbe po-tuto andare avanti per molto. Doveva uscire daquel nero. Doveva portarsi in qualche modo alla lu-ce, diventare protagonista di quel mondo ad untratto così mutato, così moderno, così bramoso di ric-chezza e “benessere”.Ma in che modo avrebbe potuto farlo? In qualemaniera avrebbe potuto migliorare la propria si-tuazione economica e culturale senza cadere nel-la trappola della corruzione, dell’avidità e della cu-pidigia?La risposta, quegli uomini, la trovarono proprionelle parole di San Paolo. Il santo di Tarso predica-va: In necessitate sunt omnia communia - «nella ne-cessità tutto è comune» - ed essi seguirono, in piùparti d’Europa, in modalità simile e pressoché paral-lelamente, i suoi dettami.

Nel Vecchio Continente, i lavoratori e i ceti produt-tivi, infatti, compresero che per migliorare le propriecondizioni economiche e del territorio in cui viveva-

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no, per assumere un ruolo attivo nella società, do-vevano dar vita ad imprese economiche in forma as-sociativa. Dovevano cooperare, lavorare insiemeed aiutarsi reciprocamente. Era necessario chereagissero in maniera proattiva e propositiva allebrutture del capitalismo e al decadimento morale chela sfrenata corsa all’arricchimento aveva generato.Certo sarebbe stata una piccola goccia. Ma era uninizio. Un inizio che partiva dagli uomini comuni, dal-le loro volontà.Il primo episodio di cooperativismo, in questo sen-so, viene fatto risalire al 1844. Nella cittadina ingle-se di Rochdale, una località a nord di Manchester,dei tessitori ridotti all’indigenza diedero vita al primo“spaccio cooperativo”. I protagonisti dell’iniziativa,che vennero definiti “Probi Pionieri” progettarono di-verse attività atte a sostituire tutte quelle forme di im-presa statale o privata che si basavano sul lucro.Ta-li attività, infatti, si fondavano sul lavoro, la solidarie-tà e la fidelizzazione dei soci attraverso il semplicemeccanismo della ripartizione degli utili in proporzio-ne al numero delle operazioni d’acquisto effettuatecon la società.Il loro appellativo e la peculiarità dell’associazionederivavano dal merito di aver introdotto tutta una se-rie di principi etici, facendoli diventare vere e proprieindiscutibili condizioni per le attività di approvvigio-namento e produzione.Tali principi erano:– L’adesione volontaria dei soci– Il controllo democratico, ovvero la possibilità da

parte di tutti i soci di eleggere sia gli organi diret-tivi che quelli amministrativi della società

– La già accennata distribuzione degli utili ai soci inproporzione alle transazioni effettuate con lacooperativa

– Un interesse limitato alle quote sociali– La vendita attraverso i contanti– La neutralità politica e religiosa

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– L’attenzione continua all’educazione cooperativaPensate che alcuni di questi dettami sono ancora og-gi alla base delle società cooperative in Europa.La tipologia dell’associazionismo inglese venivadetta “di consumo”. In parole semplici, la società per-metteva di acquistare materie prime e prodotti ali-mentari non più a prezzo di mercato, ma a prezzo dicosto.Attorno a questo tipo di cooperazione, negli stessianni si svilupparono altri settori quali la cooperazio-ne del credito e quella di produzione e lavoro.Quest’ultima prese piede in Francia nel 1848,quando vennero create le “officine nazionali”, fabbri-che pubbliche nate con il principale scopo di garan-tire il lavoro ai ceti più disagiati. Nelle cooperative diproduzione i soci dell’impresa così strutturata siauto-organizzavano e cosa più importante, aveva-no il diritto di appropriarsi del sovrappiù, vale a di-re della differenza tra ricavi e costi.Grazie a questo genere di cooperative i lavoratori di-ventarono per la prima volta “imprenditori di sestessi”, protagonisti e soprattutto fruitori del lorostesso impiego.Avevano uno scopo per andare avanti, un motivo perrendere al massimo, per sacrificarsi, perché sape-vano che i loro sforzi sarebbero tornati indietro co-me piacevoli ricompense sia materiali che spiri-tuali, soprattutto dal momento che l’impegno diognuno sarebbe andato a vantaggio di tutti coniugan-do in questo modo solidarietà e profitto.Keynes, infatti, definiva la “cooperativa di produzio-ne” un’impresa in cui “i fattori della produzione so-no remunerati dividendo in proporzioni concordateil prodotto del loro sforzo cooperativo”, per cui il com-portamento logico di chi lavorava in essa era quel-lo di cercare di massimizzare il reddito complessi-vo di tutta l’impresa dato che in questo modo mas-simizzava, non solo il reddito dei suoi soci, ma an-che il proprio.

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Negli stessi anni, in Germania, si diffuse la coope-razione del credito. Accadde che nel 1840, FriedrichWilhem Raiffeisen, mosso da una buona logica e daforti principi di solidarietà cristiana, fondò la primaCassa Rurale.Raiffeisen fu borgomastro di alcune cittadine rena-ne come Weyerbusch, Flammersfeld e Hedde-sdorf, paesi che dovevano la propria sussistenzaesclusivamente all’agricoltura, peraltro in formearretrate e modeste.Nella prima cittadina, servendosi della collaborazio-ne gratuita dei suoi abitanti, costruì dapprima unascuola elementare, poi un forno comunale e infinefondò un’Associazione per il pane. Nella seconda,per combattere il diffuso fenomeno dell’usura cau-sata dagli acquisti sul bestiame, fondò in data1849 la Società di soccorso agli agricoltori indi-genti di Flammersfeld che assisteva i contadinisprovvisti di mezzi e che sarebbe divenuta di fattola prima Cassa di Prestiti al mondo. Nel 1852 si tra-sferì a Heddesdorf nella valle del Reno e creò l’As-sociazione caritatevole di Heddersdorf” che benpresto diventò l’Associazione Cassa Rurale diHeddersdorf.Uomo di buon senso e di grande intelligenza, egli av-viò una lucida analisi delle condizioni e delle prospet-tive che si abbattevano inesorabilmente sui comu-ni agricoli da lui amministrati e, come abbiamo ac-cennato prima, sulla popolazione rurale in genera-le. In un suo saggio del 1866 scrisse:

“Se si procede ad un esame delle carenze agrico-le del terreno e delle altre risorse, che potrebbero es-sere fonte di un felice benessere, non ci si meravi-glia che il raccolto sia spesso incerto e non forniscaaffatto i proventi che dovrebbe fornire. […] I prati […]sono spesso impantanati o in pari e non irrigabili, inentrambi i casi poco produttivi. […] Le attività secon-darie, come la frutticoltura, l’apicoltura, la coltivazio-

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ne dei pascoli ecc, che in alcune zone potrebbero for-nire proventi eccezionali, si trovano quasi ovunquein cattive condizioni.Se si richiama l’attenzione su tutto ciò, si obbietta ge-neralmente che mancano i mezzi finanziari per fa-re i necessari acquisti e per le indispensabili miglio-rie […].Ora mentre da un lato le risorse e i redditi che ne de-rivano sono scarsi e lo diventano sempre più, dal-l’altro le spese crescono continuamente, sia perl’aumento dei tributi che delle necessità, di cui la po-polazione prima non aveva idea. Non soltanto nel-le città si incrementa il lusso con inutili suppellettilie fronzoli, ma persino le zone montagnose piùsperdute ne sono contagiate e si spende sia per que-sto motivo che per divertimenti pubblici, anche semancano i mezzi per comprare il pane quotidiano.A ciò si aggiunga la cosa peggiore tra tutte: l’usura.Come l’avido rapace si abbatte sulla nobile sel-vaggina braccata e spossata, così, gli avidi strozzi-ni senza coscienza si precipitano sui contadini biso-gnosi d’aiuto e indifesi, sfruttando la loro inesperien-za e le loro necessità, per appropriarsi man mano ditutte le loro sostanze. Una famiglia dopo l’altra va inrovina. Mentre da una parte ci si riduce in miseria edaumentano a dismisura le difficoltà, dall’altra si ac-cresce il potere e con esso aumenta l’avidità dei fi-nanziatori usurai, che operano insieme unendo le for-ze nel modo più sfacciato e spudorato”1.

Oltre alla vividezza delle immagini e alla capacità ditrasportare il lettore in una realtà palpabile e reali-sticamente angosciante, i suoi scritti sorprendonoancora oggi per la validità dei consigli e per le ideesemplici, ma aventi in nuce la possibilità di cambia-

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25 1 RAIFFEISEN F. W. Le casse sociali di credito, Roma, Ecra, 1975,pp. 21-27.

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re un intero stato di cose, possibilità che era diven-tata ben presto realtà. Nella stessa opera, incentra-ta sulla costituzione e gli scopi precipui delle cassesociali di credito, spiega poi, come le sue iniziativepermisero di uscire da tale situazione, per intrave-dere finalmente il rassicurante riverbero che ac-compagna tutte le soluzioni.Spiegò infatti:

“In qualità di cooperative di credito, le casse socialihanno anzitutto lo scopo di soddisfare il fabbisognodi denaro dei propri soci. Come è stato sottolineatofin dall’inizio, e non sarà mai ripetuto abbastanza, ildenaro è tuttavia per loro, non un fine, ma un mez-zo per raggiungere il fine. Il vero e proprio compito del-le casse consiste nel migliorare la condizione dei lo-ro soci in senso morale e materiale, prendendo le ini-ziative a ciò necessarie, in particolare procurando imezzi finanziari occorrenti per i prestiti ai soci con ga-ranzia comune, oltre a dare la possibilità di investi-re in modo redditizio il denaro giacente. […].Poiché, come è stato già detto, dal benessere del-la popolazione rurale e soprattutto agricola dipendequello dell’intera società ed in particolare dellostato, il problema di determinare il tipo d’aiuto per ilraggiungimento di questo scopo, è diventato una del-le questioni di attualità più scottanti e, senz’altro,l’aspetto più importante dei problemi sociali.In modo apprezzabilissimo viene rivolta sempremaggiore attenzione a questo problema sia daparte dei governi degli stati, che da filantropi appar-tenenti alle più svariate categorie professionali.Laddove sembrava che la popolazione non avessepiù le energie necessarie per aiutarsi da sola, fu con-cesso da parte dello stato un aiuto indiretto, ese-guendo lavori pubblici e operando in vestimenti dipubblica utilità nell’interesse generale, come peresempio, regolazione del corso dei fiumi, costruzio-ne di ferrovie e vie di comunicazione ecc.

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L’aiuto diretto, senza contropartita da parte della po-polazione, si è dimostrato invece dappertuttosvantaggioso. […]. La cosa peggiore è che non si ap-profitta mai delle annate buone per risparmiare,poiché in caso di necessità si ricorre continua-mente a sussidi. […].Dall’altro lato, l’ottenimento di prestiti è soventedifficoltoso e soprattutto richiede tempo. […]. Aquesto punto va considerato soprattutto il fabbiso-gno di credito, perché si devono trovare in primo luo-go i mezzi finanziari necessari allo svolgimentodell’attività economica. Il credito viene concesso inmisura più che sufficiente agli abitanti di un comu-ne se costoro si uniscono per la realizzazione di unfine, […]ma le poche assemblee, l’azione sporadi-ca degli istruttori viaggianti, e la formazione relati-vamente molto scarsa degli allievi delle scuoleagricole, non riescono da sole a influire sui singoliagricoltori, come sarebbe assolutamente neces-sario per migliorare le condizioni generali.Presso le casse sociali di credito, la cosa si presen-ta in maniera ben diversa. Senza un particolareapparato commerciale, le assemblee creano con-temporaneamente piccole società agricole locali, lequali posseggono […] anche i mezzi necessari perl’introduzione delle migliorie e per il finanziamentodegli acquisti indicati nelle proposte”2.

La particolarità di Raiffeisein dunque, è stata quel-la di aver compreso che le associazioni erano cosabuona e giusta, che i fondi e gli aiuti dalle istituzio-ni pubbliche potevano essere un reale sostegno pertutta la popolazione. Ma senza fornire ad essa i mez-zi necessari per costruire, migliorare, andareavanti con le proprie forze, gli uomini avrebbero vi-

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27 2 RAIFFEISEN F. W. Le casse sociali di credito, Roma, Ecra, 1975,pp. 21-27, Sop. cit.

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sto quella luce sempre e solo da lontano. Avrebbe-ro assistito impotenti, immersi nella notte, davanti adun’alba nascosta per sempre dietro le montagne,percependone, forse, soltanto l’alone, unicamentela bruma rossa di un desiderio mai appagato.Il cooperativismo, il mutualismo, e l’accesso al cre-dito si rivelò, dunque, il giusto e in alcuni casi,l’unico mix possibile capace di risollevare almeno inparte il ceto contadino dalla miseria che lo attana-gliava.Sicuramente tale movimento non avrebbe cam-biato il mondo, non capovolse la storia, né toccò lapopolazione tutta, ma nei luoghi in cui prese piede,produsse benessere e diffuse forza ed energia.Giuseppe Toniolo, sociologo ed economista cattoli-co di fama internazionale, fondatore del concetto di“democrazia cristiana” , definì il modello cattolico-te-desco di Raffeisein “un vero associazionismo eco-nomico”, in quanto coniugava “credito, consumo eproduzione” e non solo.Raiffeisen, infatti, era anche consapevole dell’impor-tanza del benessere spirituale ed era convinto cheesso non si potesse separare da quello materiale.«Se si vuole guarire un male – affermava – è neces-sario per prima cosa conoscere le cause. […]. Lecause di questa malattia sociale sono molto piùprofonde, […] esse sono riconducibili soprattutto al-la scristianizzazione del nostro tempo. […].Povertà e decadenza materiale sono senz’altro al-l’origine di delitti e di vizi di ogni genere, ma soprat-tutto particolarmente gravose per chi le subisce. Sesi risveglia nei bisognosi il desiderio di elevarsi e lot-tare per conseguire una migliore posizione sociale,si suscita in loro, contemporaneamente, l’aspirazio-ne a sviluppare al massimo le proprie risorse mora-li e fisiche».Le stesse risorse, allo stesso modo, e seguendoidentici principi morali, furono tirate fuori con forzaanche dalla popolazione italiana, la quale seguì a

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ruota i dettami tedeschi, da principio prendendonea prestito valori e iniziative dal momento che essaversava in una situazione molto simile a quella deicomuni di Raiffeisen, e in seguito facendoli propri,sempre attraverso figure di uomini onesti e carisma-tici, ed in molti casi, con un approccio spiritualeche trova proprio nel nostro paese la sua espressio-ne più potente e vigorosa.In Italia, più che in Germania, infatti, lo sviluppo in-dustriale era rimasto pressoché limitato e i commer-ci erano spesso danneggiati dalle barriere dogana-li. Il paese, pertanto, era ancora prettamente agrico-lo con tutto ciò che questa condizione comportava.Anche qui indigenza, fame e povertà erano le uni-che parole che i contadini conoscevano e l’usura erauna piaga con cui avevano a che fare continuamen-te, come un incubo che bussava sovente alle loroporte pretendendo qualcosa che essi non avrebbe-ro mai avuto.Bisognava studiare delle soluzioni che portassero lapopolazione a risollevarsi. Sarebbe bastata un’altraannata sfavorevole, un ulteriore leggero aumento deiprezzi del frumento, una successiva inondazione, pertrascinarli definitivamente a fondo.Ma fu proprio l’esempio di Raffeisein a fornire la scin-tilla giusta che nel 1883, in un paesino del Veneto,diede vita al primo focolaio di solidarietà, coopera-zione, mutualismo consentendo alla sua popolazio-ne di riprendere le fila della propria vita, semplice-mente attraverso un accesso più facilitato al credi-to, svincolandolo dalle impossibili condizioni che aquel tempo gli istituti bancari applicavano, e ancordi più dallo strozzinaggio senza scrupoli praticato da-gli usurai.Il fautore di questa iniziativa fu l’economista e giu-rista Leone Wollemborg.Discendente di una famiglia ebraica originaria diFrancoforte, trasferitasi a Padova sin dalla secondametà del settecento, egli avvertiva un profondo di-

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sagio per le pratiche usuraie del padre.Vivendo ognigiorno a contatto con le popolazioni contadine di Lo-reggia, si era reso conto delle difficili condizioni in cuivivevano queste persone e non poteva accettarlo.Ve-deva le campagne sfiorire di mese in mese e assi-steva amareggiato ai mutamenti della sua terrache tra calamità naturali, politiche fiscali sbagliate earretratezza, aveva assunto il volto desolato econsunto della miseria e della disperazione.Capì che avrebbe dovuto trovare un modo per con-sentire alla sua terra e ai suoi abitanti, una degna ri-nascita.Fu così che approfondì il pensiero del fonda-tore delle casse rurali cattoliche tedesche ed ebbel’idea di ricollegare quell’esperienza con una rivisita-zione in chiave moderna del piccolo credito agrarioche era nato in Italia nel seicento con la funzione dianticipare ai contadini bisognosi il costo delle semen-ti, e che dopo l’unità d’Italia era scomparso.Da questa idea, il 20 giugno 1883, nel piccolo co-mune padovano di Loreggia, nacque la primaCassa Rurale Italiana che lo stesso Wollemborg de-scrisse così:

“La Cassa Cooperativa di Prestiti di Loreggia, socie-tà cooperativa a responsabilità limitata, è la prima dital natura nel paese nostro e riproduce nel suostatuto, con poche modifiche richieste dalla differen-za di condizioni, di costumi, e di leggi, il tipo e i prin-cipi della benefica associazione di credito rurale dif-fusa dapprima nella provincia renana per operadel benemerito F. G. Raffeisein. […].La società non conosce azioni né dividendi; non siestende oltre ai confini di Loreggia; tutti gli uffici vi so-no gratuiti; nessuna operazione si compie fuorchéil ricever depositi dai soci e da persone estranee al-la società, e far prestiti ai soci. […]”3.

RADICI E CONTESTO

30 3 WOLLEMBORG L., L’ordinamento delle Casse di prestiti, pp. 251–258.

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I benefici che le persone trassero dalla sua iniziati-va furono pressoché gli stessi riscontrati in Germa-nia e, ancora una volta, possiamo constatarlo dal-le parole del possidente padovano:

“Dall’istituzione della Cassa molti si sono liberati dal-le gravissime usure annidate in tali prestazioni, e so-no sulla via di avere bestie proprie. […] Dei 73 pre-stiti ottenuti dai soci, moltissimi, i più piccoli inispecie, rappresentano altrettante liberazioni dacontratti celanti, sotto le vesti della prestazione in na-tura, una usura oscillante fra 30 e 100 per cento![…] Gli effetti conseguiti nell’ordine morale ed eco-nomico dal novello istituto e quelli in via di consegui-mento si epilogano nei seguenti fatti:la partecipazione attiva all’azienda speciale deisoci, i quali comprendono il vincolo della solidarie-tà illimitata non come qualche cosa di indetermina-tamente spaventoso, ma come un benefico legameche a tutti severamente impone assidua cura pelbuon andamento della istituzione e pel comunebenessere.La sollecitudine dei soci accreditati a versare accon-ti e a saldare i loro debiti, anticipando le scadenzestabilite; onde moltissimi, i quali soffrivano per la de-ficienza di capitali d’esercizio o non avevano pei bi-sogni delle minute loro industrie altro aiuto chequello di una sordissima usura, si mostrano in effet-to degni del credito liberamente fornito. […].Il risveglio del sentimento morale e della fiducia insé stessi negli abitanti, i quali sanno che ognuno, pur-ché onesto e capace di un utile lavoro, può senz’al-tro aspirare all’ingresso nel sodalizio e al beneficiodel credito”4.

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31 4 Ibidem

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La Cassa di prestiti di Loreggia, fu dunque, sotto tut-ti i punti di vista, un successo, tanto che nel Vene-to, già in data 1887 si contavano ormai 27 casse. Co-me le Casse di Raiffeisen anche l’istituto di Wollem-borg riuscì nel difficilissimo compito di attenuare unapiaga sociale come l’usura che ancora oggi ha la suaattualità.Punto fondamentale su cui si soffermò il fondatoredelle casse rurali italiane, fu proprio “il territorio”. Percomprendere le esigenze, i bisogni delle persone,bisogna conoscere le loro radici, ogni granello di ter-ra che lavorano e su cui vivono. Le Casse Rurali,quindi, dovevano essere intimamente legate al ter-ritorio ed egli introdusse il principio secondo ilquale i soci dovevano appartenere allo stesso am-bito territoriale, allo stesso villaggio dell’istituto di cuidiventavano membri.Wollemborg aveva capito che è proprio nei luoghi di-menticati, nell’entroterra spogliato dal tempo edalle carestie, nei luoghi lontani dal turbinio della mo-dernità, nelle “periferie del mondo”, che si ha più bi-sogno di ricostruire, di rifondere energia, vita, desi-deri e aspirazioni poiché in esse, come lo ha dimo-strato la storia, e come lo dimostra il presente, esi-stono ancora radici di purezza, di genuinità e la ca-pacità di ripagare solidarietà con solidarietà, fiduciacon fiducia.

RADICI E CONTESTO

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“Questa istituzione si addice in tuttoalle reali circostanze dellapopolazione rurale, e sa veramenteconseguire i fini che si propone:pareggiare nel credito ai grandi gliimprenditori più minuti, recandoquell’aiuto potente ai piccoli epiccolissimi proprietari coltivatori, aipiccoli e piccolissimi affittavoli eredimendoli dall’usura;diffondere la moralità, insegnandopraticamente alla popolazione ilvalore economicodell’onestà;stimolare le energiemorali assopite, ridestando neglianni avviliti la speranza, richiamandoforze latenti alla vita”.LEONE WOLLEMBORG

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E fu così che, nel buio di ciò che sembrava sgreto-larsi, crollare sotto il peso degli sbagli, di cambiamen-ti, gesti, evoluzioni impossibili da controllare, di-menticanze ed abbandoni, nell’oscurità di un iniziodi novecento che aveva per compagnia l’eredità diquell’idolo vecchio e ciarlatano che era stato l’otto-cento, con le sue manie di falsa grandezza, con lafiducia spropositata nel progresso, nelle macchine,nel libero mercato da un lato, o in una utopica socie-tà marxista, tutta uguale, oserei dire monocolore dal-l’altro, l’iniziativa di alcuni uomini appassionati comeRaiffeisein e Wollemborg rappresentò, seppur nel lo-ro piccolo, un nuovo giorno, un inaspettato raggio disole, un treno luminoso che come una ferita avevaattraversato la notte ed era uscito imponente alloscoperto per essere ammirato e preso al volo.Ma accanto a queste figure emblematiche, ve ne fuuna, di grandissima risonanza, che contribuì inmaniera indiretta, ma esemplare e vigorosa, aquesta splendida rinascita.Facendo un sunto si può affermare che alla fine del-l’ottocento, era chiaro come il controllo fosse sfug-gito a chi doveva detenerlo, o forse semplicementenon si sapeva chi realmente fosse il soggetto cuispettava tale onere. Il popolo, perso tra le onde diquel mare di eventi che non poteva capire a pieno;i fautori del pensiero politico, divisi dalle proprieideologie, fermi nelle proprie convinzioni; lo stato pri-vo di leggi atte a modificare la situazione contingen-

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te, non erano capaci di garantire alla popolazione,specie alla classe operaia e contadina, una socie-tà migliore, un futuro degno di essere chiamato ta-le.Voce profetica in siffatto marasma, fu Papa LeoneXIII.Nel 1891, infatti, egli emanò l’enciclica Rerum No-varum con la quale diede il via alla “dottrina socia-le della Chiesa”. Con questa espressione s’intendea tutt’oggi l’insieme dei principi e delle direttiveemanate dal magistero cattolico in riferimento ai pro-blemi di natura sociale ed economica.Il Pontefice sentiva la necessità di rispondere, diprendere posizione come rappresentante di tutta laChiesa, di fronte a quello che stava accadendonella società, di fronte ai disordini politici, all’ingeren-za dello stato, alla violazione della proprietà priva-ta, al crescente odio dei poveri per i ricchi, all’offe-sa della dignità umana.Con la sua enciclica esortò i cattolici ad intrapren-dere iniziative concrete in campo economico per sti-molare la ripresa delle popolazioni rurali e del pro-letariato urbano e questo appello fu raccolto senzaalcuna esitazione da molti.Tra questi, vi furono an-che coloro che giudicavano il credito cooperativo unaimportante strada da percorrere, non solo dal pun-to di vista materiale, ma anche spirituale, poiché, co-me Raiffeisen e Wollemborg avevano affermato,tali istituzioni donavano agli uomini che decidevanodi farne parte, una nuova linfa di moralità, di cristia-nità, di integrità e rettitudine attraverso i principidella solidarietà, della mutualità e della cooperazio-ne stessa.Negli stessi anni dell’enciclica, infatti, assistiamo aduna diffusione capillare delle Casse in tutte le regio-ni italiane, e se quelle promosse da Wollemborg era-no di natura laica, benché l’aiuto del parroco fossefondamentale soprattutto per una questione di fidu-cia, ad esse bisogna ricordare che si affiancò un nuo-

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vo modello di casse cattoliche, sorte grazie al-l’opera di un sacerdote, Don Luigi Cerutti, il quale at-traverso di esse si proponeva sia di migliorare le con-dizioni materiali del ceto contadino, sia di impedireche la povertà e la sofferenza, che questa parte dipopolazione subiva, favorissero l’insorgere diideologie anarco-socialiste e di una concezionedella vita scristianizzata.Nelle sue Casse Rurali, come la prima di Gambara-re o quella fondata nel 1896 a Santa Maria di Car-ceri, i soci, per aderire, dovevano offrire garanzie dionestà e moralità, essere dei buoni cattolici, non op-porsi in nessuna maniera al governo costituito e nonfar parte di altre società a responsabilità limitata.Pensate che l’anno successivo della fondazione aCarceri, quindi dopo soltanto quindici anni dallanascita della prima banca a Loreggia, sul territorioitaliano erano già presenti 904 casse rurali e diqueste, ben 779 erano di ispirazione cattolica.Ormai era chiaro che la formula cooperativa funzio-nava perché reggeva su principi veri, scevri da fal-so moralismo o da una corsa senza scrupoli al gigan-tismo che già coinvolgeva molti degli istituti banca-ri del tempo.La storia di ognuna delle casse era simile a quelladi tutte le altre perché il contesto in cui esse eranoimmerse rispecchiava appieno la realtà di una inte-ra Italia che stava cambiando volto, di piccoli paesiche sembravano cadere sempre di più nell’oblio e diuomini che per la prima volta sperimentavanoquella particolare sensazione simile all’abbandonoche si stava facendo largo tra la società e che lascia-va gli uomini soli con la propria povertà, senzanessun aiuto oltre a sussidi statali che avevano lastessa forma dell’elemosina, con nessuna pro-spettiva per il futuro non avendo la possibilità di ri-sparmio né di credito.

E così, il solo fatto di consentire alle popolazioni lo-

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cali un accesso al credito facile, diretto e trasparen-te, aveva portato in pochi anni le piccole comunitàrurali che potevano usufruirne, ad una relativa au-tonomia rispetto ai grandi centri che da semprerappresentavano i punti nevralgici dell’economia egli epicentri preposti al benessere.In virtù di questa loro funzione e della crescente dif-fusione sul territorio, le Casse Rurali intuirono la ne-cessità di fare sistema, di creare un consorzio chele coordinasse in un’unica rappresentanza affin-ché gli ideali, gli obbiettivi e i valori che propugna-va la prima cassa fossero condivisi e perseguitiappieno e nelle stesse modalità da tutte le altre.A tal fine, nel 1905, venne fondata la Federazionedelle Casse Rurali, che a sua volta promosse la co-stituzione di numerose Federazioni locali. Essanacque con lo scopo di promuovere la diffusione del-le banche cooperative attraverso una propagandaattiva nei piccoli centri, di stimolare il loro sviluppo,e di curarne gli interessi.A queste funzioni, nel 1914, se ne aggiunsero benaltre come lo sviluppo dei rapporti di fratellanzamorale ed economica fra le casse federate, tanto chetuttora le Casse vengono chiamate “consorelle”; lacostituzione di ulteriori Federazioni locali; il coordi-namento e l’indirizzo del servizio di ispezione edei corsi di istruzione amministrativa; la preparazio-ne di riforme legislative; la compilazione delle stati-stiche generali; l’incremento dello spirito di associa-zione e pubblicazione, per esempio attraversopubblicazioni.Le Federazioni regionali nello specifico, invece,dovevano aiutare le casse a crescere e a risolveresvariati problemi, come quello della difformità con-tabile.La costituzione delle Federazioni ha dato negli an-ni un aiuto notevole al sistema cooperativo nel suocostante processo di crescita, riuscendo ad armo-nizzare, ad accordare le peculiarità proprie di ogni

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singola cassa con quella delle altre, dando in que-sto modo un’immagine compatta, riflesso di una so-stanza altrettanto compatta, ma non solo. Il sistemaa rete costituito dalle Federazioni ha consentitouna crescita in linea orizzontale, ossia un’espansio-ne capillare del sistema cooperativo non per aggre-gazione degli azionisti attraverso fusioni di variogenere, ma per strette relazioni di piccole banche inpiccoli centri, restando dunque, sempre e in ogni luo-go espressioni del territorio e di solide radici.Grazie alle Federazioni, quelle che oggi chiamiamoBanche di Credito Cooperativo, hanno saputo rinno-varsi e migliorarsi in maniera sempre organica e conun occhio attento, costantemente rivolto ai valori delpassato. Questi rinnovamenti si sono tradotti innumerosi provvedimenti che ne hanno potenziato viavia il modus operandi.Nel 1936, per esempio, la Federazione si fece affian-care dall’Ente Nazionale delle Casse Rurali Agrarieed Enti Ausiliari. E anche se nel 1944 la Federazio-ne fu sciolta, l’anno successivo venne varato il Te-sto Unico sulle Casse Rurali e Artigiane in cuiqueste venivano definite come società cooperativecon la funzione principale “dell’esercizio del credi-to a favore degli agricoltori e del credito a favore de-gli artigiani, congiuntamente e disgiuntamente”, e nel1947, quando venne promulgata la Costituzione, sot-to la parte riguardante i rapporti economici e l’orga-nizzazione del lavoro, all’articolo 45, si riconobbe lafunzione sociale delle cooperative definendole acarattere di mutualità e senza fini di speculazione pri-vata. La stessa legge, inoltre, era tesa a promuove-re e favorire il suo incremento con i mezzi più idoneie ne assicurava, con gli opportuni controlli, il carat-tere e le finalità. Provvedeva, infine, allo sviluppo del-l’artigianato.Ciò comportò un rilancio della Cooperazione diCredito e nel 1950 venne costituita la FederazioneItaliana delle Casse Rurali e Artigiane, vale a dire Fe-

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dercasse, che nel 1967 aderì a Confcooperative.Qualche anno dopo Federcasse, nel 1963, fu fonda-to l’Iccrea, l’Istituto Centrale di Credito delle CasseRurali e Artigiane, cui venne affidato il compito diagevolare, coordinare e incrementare l’operatodelle Casse attraverso funzioni creditizie, di interme-diazione bancaria e assistenza finanziaria.Fu negli anni ’60 del secolo scorso che nacquero lamaggior parte delle Federazioni locali, fra le quali,nel 1967, la Federazione delle Casse Rurali e Arti-giane del Lazio e Umbria – Società Cooperativa aResponsabilità Limitata, che nel settembre 1989 di-venne la Federazione delle Casse Rurali e Artigia-ne del Lazio, Umbria e Sardegna - Società Coope-rativa a Responsabilità Limitata e nel settembre1995 divenne Federazione delle Banche di CreditoCooperativo del Lazio, Umbria, Sardegna.Nel 1978, invece, fu creato il Fondo Centrale diGaranzia, primo esempio in Italia di un organismodi autotutela delle banche e, di riflesso, degli interes-si dei depositanti. Nel marzo 1997 tale fondo èconfluito nel Fondo di Garanzia dei Depositanti delCredito Cooperativo.Tutte le iniziative finora elencate erano, e sono tut-tora, espressione di una concezione di banca che gliIstituti di Credito Cooperativo hanno sempre volutoperseguire. Nati, come si può constatare dal breveexcursus storico, in una situazione economica e so-ciale difficile, nati proprio in virtù di essa e per forni-re al popolo una via d’uscita, una mano tesa nellaquale avere la massima fiducia, il loro scopo prima-rio è sempre stato quello di reiterare tale fiducia e af-fidabilità.È grazie a questo percorso, a questo cammino for-temente voluto e propugnato negli anni, che possia-mo dire che le Banche di Credito Cooperativo sonobanche sicure e affidabili. Si devono fare ancora tan-ti passi, ci saranno ancora mille valichi da supera-re, ma la storia ha dimostrato che la sicurezza e la

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fiducia è la strada giusta e che sarà ancora la nostradirezione. A dimostrazione di ciò, oltre al Fondo diGaranzia dei Depositanti, dal 2004 le BCC garanti-scono i propri obbligazionisti attraverso un ulteriore,apposito fondo (Fondo di Garanzia degli Obbligazio-nisti) che copre il rischio di default per le Obbligazio-ni emesse dal Credito Cooperativo. E, dulcis infundo, il 25 Luglio 2008, prima che scoppiasse lagrande crisi finanziaria internazionale, è stato costi-tuito il Fondo di Garanzia Istituzionale. L’obiettivo diquesto ultimo fondo è quello di tutelare la clienteladelle Banche di Credito Cooperativo, delle CasseRurali e delle Casse Raiffeisen altoatesine salva-guardando la “liquidità e la solvibilità” delle bancheaderenti attraverso azioni correttive ed interventidi sostegno e prevenzione delle crisi. Il FGI offre, inquesto modo, una tutela “globale” per i risparmiato-ri clienti delle BCC in relazione a tutti i crediti che que-sti vantano nei confronti della propria banca. Tute-la aggiuntiva a quella, obbligatoria per legge per tut-te le banche, che limita la tutela dei depositanti al-la somma di 103 mila euro.Altra data cruciale nella storia del Credito Coopera-tivo è stata il 1993, anno in cui è stato emanato ilnuovo Testo Unico Bancario che sancisce, in corri-spondenza di un cambiamento nella denomina-zione - da Casse Rurali a Banche di Credito Coope-rativo - il venir meno di alcuni limiti di operatività: leBCC possono offrire tutti i servizi e i prodotti delle al-tre banche e possono estendere la compagine so-ciale a tutti coloro che operano o risiedono nel ter-ritorio di operatività, indipendentemente dalla profes-sione che svolgono.Ciò però non ha comportato in nessun modo il ve-nire meno del mutualismo. Le Banche di CreditoCooperativo sono e saranno banche mutualisti-che, con la politica di erogare il credito principalmen-te ai soci e di non perseguire scopi di lucro, ma sem-pre obiettivi di utilità sociale, così come si può leg-

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gere all’art. 2 dello statuto tipo, adottato pressochéda tutte le BCC nel 20055.Il 1995 ha segnato un’altra tappa importante per lavocazione a fare sistema: è diventata operativa Ic-crea Holding, capogruppo del gruppo bancario Ic-crea (insieme di società che forniscono prodotti eservizi alle BCC), con la missione di supportare a tut-to campo le Banche di Credito Cooperativo cheoggi sono 440 e operano su tutto il territorio nazio-nale con oltre 4000 sportelli, aiutandole a potenzia-re il loro posizionamento competitivo sul mercato lo-cale e a massimizzare il valore aggiunto di banca alservizio dello sviluppo economico locale.Tutto ciò è stato il frutto di una evoluzione gradua-le, naturale. Ciò che è stato creato e deciso, è deri-vato da una crescita ontologica, connaturata adun modo di essere che per forza di cose, nonavrebbe potuto restare sempre uguale a se stesso,perché nella vita bisogna sempre migliorare, anda-re avanti. Senza, però, nello stesso tempo, snaturar-si. Bisogna avere sempre uno sguardo indietro perriportare alla mente ogni singolo passo che ci ha fat-to crescere e tenerselo stretto in vita come unacintura di sicurezza e in molti casi di salvataggio. For-se è per questo che il Credito Cooperativo è sem-pre riuscito a coniugare l’agilità della piccola impre-sa con la capacità del grande gruppo. È certo chenon cambierà mai la sua ricetta di mutualismo,cooperazione, localismo e solidarietà, perché nono-

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5 Art. 2: “la Società ha lo scopo di favorire i soci e gli appartenenti al-le comunità locali nelle operazioni e nei servizi di banca, perseguen-do il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economichedegli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione, l’educa-zione al risparmio e alla previdenza, nonché la coesione sociale e lacrescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. Lasocietà si distingue per il proprio orientamento sociale e per la scel-ta di costruire il bene comune. E’ altresì impegnata ad agire in coe-renza con la Carta dei valori del credito cooperativo e a rendere ef-fettivi forme adeguate di democrazia economico-finanziaria e loscambio mutualistico fra i soci”.

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stante siano passati 125 anni, questa si è rivelata an-cora profondamente attuale, ancora capace di offri-re una alternativa positiva e valida, nel traballante pa-norama economico e finanziario, che ancora una vol-ta si è impossessato della scena del mondo stravol-gendo le vite e il futuro di molti.

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UNA NUOVA ALBANELLO SCENARIOATTUALEPAOLO GIUSEPPE GRIGNASCHI

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“Per arrivare all’albanon c’è altra via che la notte”

KAHLIL GIBRAN

Poeta cristiano maronita Bsharri,Libano 1883 – New York 1931

Riflessioni sullo spunto degli interventi (in ordine di citazione) di:GIANLUCA PUCCINELLISALVATORE RIZZARENATO MANNHEIMERFRANCESCO LIBERATIMARCO LIERAMARCELLO COLAMAURIZIO MANFRINFRANCO CALEFFI

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Probabilmente, molti tra coloro che da tempo han-no a che fare con le Banche di Credito Cooperativo,con gli ideali e i propositi che mettono in pratica at-traverso il loro operato, che siano essi soci, dipen-denti, addetti del mestiere, avranno sentito svaria-te volte questa storia, la loro storia. Esse, tuttavia,non si stancheranno mai di ripeterla perché le ripor-ta sempre a ciò che sono, le fa diventare ogni voltaquello che sono come uno specchio in cui riesconoa riconoscere la propria immagine, come memen-to a supporto della visione futura che sempre devo-no avere.In tutti questi decenni, anche se è cambiata la de-nominazione, da Casse rurali a Banche di CreditoCooperativo, i principi cui esse si ispirano non sonomutati. Tutte le Banche di Credito Cooperativohanno mantenuto inalterati gli antichi valori di cen-tralità della persona attraverso la mutualità, la soli-darietà ed il localismo.Valori che si esplicano nellaCarta dei Valori e nella Carta della Coesione.La Carta dei Valori è il suggello del Patto tra il Cre-dito Cooperativo e le Comunità locali, e attraversoesse con il Paese. Essa è costituita da undici chia-ri punti:“1. Primato e centralità della personaIl Credito Cooperativo ispira la propria attività all’at-tenzione e alla promozione della persona. Il Credi-to Cooperativo è un sistema di banche costituite dapersone che lavorano per le persone. Il Credito

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Cooperativo investe sul capitale umano – costituitodai soci, dai clienti e dai collaboratori – per valoriz-zarlo stabilmente.2. L’impegnoL’impegno del Credito Cooperativo si concentra, inparticolare, nel soddisfare i bisogni finanziari dei so-ci e dei clienti, ricercando il miglioramento continuodella qualità e della convenienza dei prodotti e deiservizi offerti.Obiettivo del Credito Cooperativo è produrre utilitàe vantaggi, è creare valore economico, sociale e cul-turale a beneficio dei soci e della comunità locale e“fabbricare” fiducia. Lo stile di servizio, la buonaconoscenza del territorio, l’eccellenza nella rela-zione con i soci e clienti, l’approccio solidale, lacura della professionalità costituiscono lo stimolo co-stante per chi amministra le aziende del Credito Coo-perativo e per chi vi presta la propria attività profes-sionale.3. AutonomiaL’autonomia è uno dei princìpi fondamentali delCredito Cooperativo. Tale principio è vitale e fe-condo solo se coordinato, collegato e integrato nel“sistema” del Credito Cooperativo.4. Promozione della partecipazioneIl Credito Cooperativo promuove la partecipazioneal proprio interno e in particolare quella dei soci al-la vita della cooperativa. Il Credito Cooperativo favo-risce la partecipazione degli operatori locali alla vi-ta economica, privilegiando le famiglie e le piccoleimprese; promuove l’accesso al credito, contribuiscealla parificazione delle opportunità.5. CooperazioneLo stile cooperativo è il segreto del successo.L’unione delle forze, il lavoro di gruppo, la condivisio-ne leale degli obiettivi sono il futuro della coopera-zione di credito. La cooperazione tra le banchecooperative attraverso le strutture locali, regionali,nazionali e internazionali è condizione per conser-

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varne l’autonomia e migliorarne il servizio a soci eclienti.6. Utilità, servizio e beneficiIl Credito Cooperativo non ha scopo di lucro. Ilconseguimento di un equo risultato, e non la distri-buzione del profitto, è la meta che guida la gestio-ne del Credito Cooperativo. Il risultato utile della ge-stione è strumento per perpetuare la promozione delbenessere dei soci e del territorio di riferimento, alservizio dei quali si pone il Credito Cooperativo. Es-so è altresì testimonianza di capacità imprenditoria-le e misura dell’efficienza organizzativa, nonchécondizione indispensabile per l’autofinanziamentoe lo sviluppo della singola banca cooperativa. IlCredito Cooperativo continuerà a destinare taleutile al rafforzamento delle riserve – in misura alme-no pari a quella indicata dalla legge – e ad altre at-tività di utilità sociale condivise dai soci. Il patrimo-nio accumulato è un bene prezioso da preservare eda difendere nel rispetto dei fondatori e nell’interes-se delle generazioni future. I soci del Credito Coo-perativo possono, con le modalità più opportune, ot-tenere benefici in proporzione all’attività finanziariasingolarmente svolta con la propria banca coopera-tiva.7. Promozione dello sviluppo localeIl Credito Cooperativo è legato alla comunità loca-le che lo esprime da un’alleanza durevole per lo svi-luppo. Attraverso la propria attività creditizia e me-diante la destinazione annuale di una parte degli uti-li della gestione promuove il benessere della comu-nità locale, il suo sviluppo economico, sociale eculturale. Il Credito Cooperativo esplica un’attività im-prenditoriale “a responsabilità sociale”, non sol-tanto finanziaria, ed al servizio dell’economia civile.8. Formazione permanenteIl Credito Cooperativo si impegna a favorire la cre-scita delle competenze e della professionalità degliamministratori, dirigenti, collaboratori e la crescita

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e la diffusione della cultura economica, sociale, ci-vile nei soci e nelle comunità locali.9. SociI soci del Credito Cooperativo si impegnano sulproprio onore a contribuire allo sviluppo della ban-ca lavorando intensamente con essa, promuoven-done lo spirito e l’adesione presso la comunità loca-le e dando chiaro esempio di controllo democratico,eguaglianza di diritti, equità e solidarietà tra i com-ponenti la base sociale. Fedeli allo spirito dei fonda-tori, i soci credono ed aderiscono ad un codice eti-co fondato sull’onestà, la trasparenza, la responsa-bilità sociale, l’altruismo.10. AmministratoriGli amministratori del Credito Cooperativo si impe-gnano sul proprio onore a partecipare alle decisio-ni in coscienza ed autonomia, a creare valore eco-nomico e sociale per i soci e la comunità, a dedica-re il tempo necessario a tale incarico, a curarepersonalmente la propria qualificazione professio-nale e formazione permanente.11. DipendentiI dipendenti del Credito Cooperativo si impegnanosul proprio onore a coltivare la propria capacità di re-lazione orientata al riconoscimento della singolari-tà della persona e a dedicare intelligenza, impegnoqualificato, tempo alla formazione permanente e spi-rito cooperativo al raggiungimento degli obiettivieconomici e sociali della banca per la quale lavora-no.”

Le BCC sono banche del territorio e nel territorio.So-no piccole banche con una grande anima. Sono na-te così e questa è sempre stata lo loro forza.Come abbiamo potuto constatare guardando la lo-ro storia, esse sono sorte in concomitanza con la de-generazione del capitalismo che aveva perso ilsuo volto umano e aveva reso inconciliabile mora-le ed economia.

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Nell’introduzione al convegno Gianluca Puccinelli hatracciato un quadro suggestivo della situazione di al-lora, confrontandola con quella odierna.“Manie di onnipotenza – ha detto - avevano finito conl’impoverire una terra sia materialmente, che dal pun-to di vista sociale e spirituale e gli individui si eranotrovati soli, alcuni con la propria inutile e sproposi-tata ricchezza, altri, operai e contadini, con unapovertà infinita ai margini di una società che gliignorava o li rifiutava. Le casse rurali sono nate at-tingendo linfa da quella dottrina che conferiva primadi ogni altra cosa all’uomo, non povertà infinita,bensì infinita dignità. Che vedeva l’uomo comepossessore di diritti inalienabili e abitante alla radi-ce, al centro e al vertice di ogni forma di socialità.La crisi finanziaria che ha travolto questa nuova era,il decadimento morale che ha cavalcato come unesperto surfista l’onda delle speculazioni, dellospreco di denaro, la venerazione e la religione delprofitto, ci ha riportato di nuovo indietro, confer-mando la ciclicità della storia e facendoci ricaderein una nuova notte, cupa e paurosa”.Questa visione drammatica deriva da una escalationdi eventi che si sono abbattuti sul panorama mon-diale e che hanno determinato, uno dopo l’altro, l’at-tuale stato di crisi.La globalizzazione delle imprese ha richiesto capi-tali sempre maggiori per raggiungere dimensioniconsone all’ampliamento dei mercati. Il sistema fi-nanziario ha creato nuovi strumenti o ampliato a di-smisura i vecchi per far fronte a questa nuova richie-sta, snaturando così, sia gli strumenti finanziari,sia il loro utilizzo e la loro quantità. Ne è risultata unafinanza non più “ancella dell’industria” – come sole-va affermare Adriano Olivetti - bensì autonoma e do-tata di vita propria, per cui si è verificato che prodot-ti finanziari come i derivati, nati per garantire il rischio-prezzo di determinate merci consegnate in epocasuccessiva, o il rischio-cambio di partite trattate in

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valute diverse, hanno puri fini speculativi completa-mente staccati dall’andamento economico del benecui facevano riferimento.Un esempio può essere il caso del petrolio, dove laspeculazione sulla materia prima fa oscillare signi-ficativamente il prezzo del prodotto.Questo processo ha generato enormi profitti senzanecessità di investimenti strutturati, impianti, mae-stranze. Enormi profitti hanno a loro volta originatosmodato potere ed eccessiva sicurezza.Architetti e protagonisti di tale sistema, le banched’affari americane hanno operato svincolate perlegge dal controllo delle autorità di vigilanza, e so-stenute, di fatto, dal comportamento delle agenziedi rating, che con i loro giudizi positivi, non hanno maievidenziato i reali rischi insiti in molti degli stru-menti finanziari da loro valutati.In questo clima di successi, guadagni, ed eccessi,gli strumenti finanziari si sono moltiplicati a dismisu-ra, accavallandosi e costruendosi uno sull’altro,con una sempre più alta interdipendenza di unmercato da un altro, di un prodotto da un altro e co-sì via, legati in un’unica grande, debole catena.È stato l’anello più debole, l’andamento negativo deimutui “subprime” americani (mutui ad alto rischio,poiché con scarse garanzie di rimborso), basatiunicamente sull’aumento dei prezzi del mercatoimmobiliare, a far crollare i bond costruiti sulle car-tolarizzazioni di questi mutui sui quali erano a lorovolta costruiti i derivati che entravano a far parte diportafogli finanziari che venivano posti a garanzia diulteriori finanziamenti.La catena si è spezzata e l’effetto domino è stato ine-vitabile.Ancora una volta, a detta del professor Salvatore Riz-za, Ordinario di Politica Sociale alla terza Universi-tà di Roma, è il liberismo, uno dei principali fautoridella caduta di un intero sistema, novello Icaro,sotto il calore devastante del dio denaro.

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“Il liberismo – afferma Rizza – si è rivelata unascelta fallace, dal momento che ogni comporta-mento umano è portato per natura a perseguire l’in-teresse del singolo individuo. Ma non solo, le origi-ni remote e prossime di questa crisi sono moltepli-ci e non di facile individuazione: la globalizzazionecon il suo individualismo predicato e praticato per cui,per dirla con Bauman, “il cittadino globale è afflittoda una solitudine” triste e irreversibile; la idiosincra-sia per ogni forma di regola e di vincolo sociale; laperdita di autorità dello Stato considerato “problemae non soluzione di problemi”, senza essere taleautorità controbilanciata da una presenza e da unprotagonismo della società (civile) che dia spazio al-le diverse e differenti soggettività.Lo scenario cui stiamo assistendo, dunque, è il risul-tato di politiche lassiste e di una deregolamentazio-ne sistematica e pervicacemente perseguita. Laglobalizzazione dei mercati senza vincoli regolativiha consentito non solo la velocità degli sposta-menti di capitali, ma anche l’assenza di controlli”.La mancanza di regole di cui parla Rizza, l’assen-za di figure di riferimento affidabili, stabili, degne dicredibilità, hanno sempre riportato l’uomo a quello“stato di natura” ipotizzato dal filosofo Hobbes nel Le-viatano, in cui ognuno ha diritto a ogni cosa e, a cau-sa della scarsità dei beni disponibili, gli uomini ingag-giano una guerra di tutti contro tutti. Bellum omniacontra omnes. Il liberismo, allo stesso modo, hadecretato una libera contrattazione tra soggettiche sono convinti di poter fare tutto quello che vo-gliono, a patto che lo abbiano contrattato tra loro. Maalla fine questo si rivela un contratto fasullo perchéauto-imposto e dunque facilmente eludibile, facilmen-te sottraibile ad un’etica già di per sé svuotata di sen-so.Diceva Shiller: “Perché dovrebbe riuscir bene all’uo-mo ciò che lo accomuna alla formica se quello chelo rende simile agli dei fallisce?” e “aveva perfetta-

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mente ragione – ha affermato Puccinelli - perché unuomo a briglie sciolte, per sua natura si sente un dio,ma del dio non prende né la magnanimità né l’onni-scienza, soltanto la sensazione inebriante e terribil-mente perniciosa dell’onnipotenza”.“In questo arco di tempo - ha continuato l’Ammini-stratore Delegato di Res – si è assistito ad un alter-narsi di boom economici e periodi di crisi, ma spe-cie negli ultimi anni il pavimento delle BCC è statolastricato di tentazioni. Abbiamo visto diversi istitui-ti bancari alzare vertiginosamente il livello dei pro-pri obbiettivi, ingrandirsi spropositatamente, concor-rere in una gara al gigantismo, diventare mamme ge-nerose elargendo denaro ai propri clienti senzachiedere le garanzie necessarie.Ora però che ci ritroviamo nel punto più basso del-la parabola, ora che i “ricchi premi e i cotillon” elar-giti a profusione e spesso anche ostentati, sono di-ventati un ricordo lontano ancorché doloroso, è fa-cile rendersi conto di come il badare sempre alle pic-cole cose concrete della vita, i piedi ben piantati perterra, nel territorio cui sono fortemente legate, ha sal-vato le BCC e anzi, le ha rese più forti”.I principi che esse perseguono hanno permesso lo-ro di mettere ancora una volta in pratica quel mec-canismo mutualistico e di solidarietà che tantaparte ha avuto nella ripresa economica dopo lacrisi del 1907, e dopo quella del ’29, ed è cosa cer-ta che anche questa volta la formula funzionerà econsentirà ai soci delle Banche di Credito Coopera-tivo di andare avanti, uscire dalla crisi e prosperare.Affermando ciò non si vuole contestare il fatto inne-gabile che - come ha dichiarato anche Francesco Li-berati - la crisi finanziaria e conseguentementeeconomica che ci ha travolto sia la più forte da ottan-t’anni a questa parte. «Sappiamo – afferma il Pre-sidente della Federazione - di non essere di frontead un rovescio qualunque, ma alla più grave crisi da-gli anni trenta e conosciamo l’impatto che essa ha

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avuto ed avrà su di noi e sui nostri clienti. Ma siamoanche consci che questo crollo altro non è chel’esito di gravissime patologie di tutto un modello difinanza che noi abbiamo sempre cercato di condan-nare o per lo meno di evitare e che ci tocca nellostesso modo in cui ha toccato tutte le altre famiglie».Ci tocca quando andiamo a fare la spesa, quandoportiamo i figli in vacanza, quando vogliamo compra-re una casa per assicurare loro un futuro che invo-lontariamente, a causa di questa crisi, gli abbiamotolto.Ma come si è arrivati fino a questo punto? Come sipossono rintracciare in concreto, le radici di questomale che si diffonde e penetra nella società e che co-me due secoli fa, ha decretato in tutto il mondouna povertà non solo materiale, ma anche spiritua-le?Se verso la fine dell’ottocento l’emergere della cri-si si ha con il fallimento della banca Cooke di NewYork - simbolo dell’eccessiva ricchezza che produ-ce miseria, e primo dei dissesti bancari che arrive-ranno a travolgere la Banca Generale e, guarda ca-so, il Credito Mobiliare - da dove parte, invece, pa-rafrasando Papa Benedetto XVI, questo nuovo“fiume sporco, che avvelena la geografia della sto-ria umana?”.Ancora una volta, sorprendentemente, esso ha lastessa sorgente e la stessa foce, con l’unica diffe-renza che tutto è più amplificato seguendo la poten-za e la forza dei secoli trascorsi, degli errori stratifi-cati, dei mille nuovi modi, dei mille nuovi crimini perfar fruttare il denaro e per sfruttarlo sino al suo limi-te estremo.Il giornalista del Sole24ore Plus, Marco Liera, nel suoilluminante intervento, afferma che la fonte di que-sto torbido rio si può rintracciare, per diversi motivi,negli anni novanta del secolo scorso.All’inizio di tale decennio l’epoca si prospettavabrillante, generosa, fiorente e rigogliosa. Ancora

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una volta erano gli Stati Uniti a portare per primi labandiera dell’ottimismo e ancora una volta è da lì chesi è innescato il meccanismo che ha travolto ilmondo, tassello per tassello, come una gigantepartita a domino.La crisi, come ricorda Francesco Liberati, «ha natu-ra globale e trasversale e gli attori in tutta questa vi-cenda sono molti: non solo le banche e le istituzio-ni finanziarie che hanno originato i crediti e li han-no trasformati, cartolarizzandoli, in titoli che oggichiamiamo tossici, ma anche le agenzie di rating chehanno valutato le obbligazioni derivate dai crediti ori-ginari e poi, non dimentichiamocelo, i “regolatori pub-blici” con una vigilanza poco attenta in tutti i paesi do-ve il fenomeno si è sviluppato».Dall’America, infatti, alla velocità del pensiero, la cri-si si è espansa a macchia d’olio in tutto il mondo eprincipalmente in Europa, compresa l’Italia.Liera, quindi, ci ha narrato a mò di racconto, comequesto enorme covone di paglia abbia iniziato a bru-ciare anche i fili dell’economia reale, travolgendo lefamiglie da un capo all’altro del mondo. La sua, aguardar bene, è una storia che per certi versi non sidistacca dall’archetipo alessandrino, padre di tutti iromanzi. La formula è sempre la stessa: tranquillasituazione iniziale, apoteosi d’amore e d’armonia, ini-zio delle traversie, capovolgimento in negativo del-la situazione. Unica incertezza per quanto riguardail finale. Nei romanzi di peripezie l’atto conclusivo èsempre positivo, la situazione iniziale viene ristabi-lita se non migliorata.Nella grande opera teatrale cheè la realtà, messa in piedi da una società sapienteburattinaia, del finale non è dato sapere. Non sipossono avanzare né ipotesi, né previsioni e i col-pi di scena sono all’ordine del giorno come quelli diuna infinita telenovela.Il giornalista ci ha mostrato la storia di due famiglietipo: una americana, i Johnson, ed una italiana, iRossi.

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“Queste due famiglie – racconta Liera – non sonomai state dipendenti l’una dall’altra, tranne magari,durante la II Guerra mondiale. Il vissuto delle due fa-miglie ritornerà vicino in occasione della crisi fi-nanziaria.Ma partiamo dal principio: sono gli anni ’90, la famiglia Johnson si è rivolta ad una bancaamericana per un mutuo. In America c’è estrema li-bertà e il mutuo viene concesso loro con un finan-ziamento del 120% rispetto al valore della casa. Èdavvero un periodo generoso ed espansivo per lebanche americane e contemporaneamente anchele banche italiane stanno facendo la stessa cosa, manon in maniera così esagerata e spettacolare.Questo aspetto, come vedremo, si rivelerà provvi-denziale per il nostro bel paese.Succede che la banca americana ha cartolarizzatoi mutui. La famiglia Rossi possiede dei titoli. L’impre-sa italiana dove lavora un componente della famigliaRossi ha un cliente americano che di conseguenzasi serve di una banca americana.L’impresa italiana ha clienti in tutto il mondo finanzia-ti da banche americane. L’impresa italiana è finan-ziata da banche italiane.La famiglia Rossi, ad un cer-to punto, a causa della crisi che l’impresa dove la-vora il dott. Rossi sta attraversando, non può più farfronte al mutuo. Accade che abbiamo avuto il Cre-dit Crunch: le banche non hanno più finanziato ilcliente americano il quale non può più finanziare, daparte sua, l’impresa italiana. La banca italiana,dunque, deve andare incontro alle imprese italiane”.Come afferma Liera, il contagio all’economia fi-nanziaria europea si è materializzato ed aggravatorepentinamente proprio agli inizi dello scorso settem-bre, a seguito di importanti decisioni prese dalle Au-torità Monetarie e dal Governo statunitense, neltentativo di arginare una crisi che stava degeneran-do.Al convegno, il Presidente Liberati, racconta con pre-cisione la cronistoria degli accadimenti:

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“Nel primo week-end di settembre, il Tesoro Usa hanazionalizzato i 2 maggiori erogatori di mutui delPaese; quello successivo, Fed e Governo, hanno de-ciso di non salvare Lehman Brothers che ha dichia-rato la più grande bancarotta della storia america-na e modiale, con 613 miliardi di dollari di debiti. Pen-sate che l’esposizione di Lehman Brothers nel set-tore dei mutui residenziali, ammontava alla fine diAgosto a 13 miliardi di dollari, mentre quella sui mu-tui commerciali a ben 33 miliardi di dollari.La decisione di lasciar fallire Lehman Brothers si èmostrata grave nelle conseguenze: abbiamo assisti-to al definitivo prosciugamento del mercato interban-cario americano e a un clima di panico che hacoinvolto gli operatori finanziari su entrambe lesponde dell’Atlantico.L’ulteriore peggioramento della situazione sui mer-cati finanziari ha reso subito dopo inevitabile il sal-vataggio, da parte della Fed, del colosso assicura-tivo AIG con un prestito di 85 miliardi di dollari.A breve distanza, le grandi banche d’affari america-ne o sono state assorbite da banche commerciali op-pure hanno chiesto ed ottenuto l’autorizzazione a di-ventare banche capogruppo e, quindi, ad essere sot-toposte alla vigilanza della FED.Dopo tanti interventi improvvisati era divenutaquindi palese la necessità di un progetto capace diaffrontare il problema alla radice.A tal fine, il Ministro del Tesoro americano, il 19 set-tembre, ha proposto un piano di salvataggio, appro-vato dal Congresso poche settimane dopo, per unammontare pari a 700 miliardi di dollari (circa il 5%del Pil Usa).Il 29 settembre l’epicentro della crisi si è, dunque,spostato in Europa. Dopo due giorni di forti ribassidei valori azionari, i governi di Belgio, Olanda eLussemburgo hanno salvato il gruppo Fortis, men-tre il Governo inglese ha nazionalizzato il secondogruppo finanziario nazionale specializzato nei mu-

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tui.In ultimo il Governo americano il 23 novembre haconcesso garanzie al gigante Citigroup per 300miliardi di dollari”.Come ha affermato Liera, «a differenza di ciò che ac-cadde durante la crisi del ’29, questa volta i gover-ni si sono mossi con tempestività e determinazione»,purtroppo però, nella nostra Italia, essendo il debi-to pubblico molto elevato, non possono e non potran-no esserci grandi margini d’aiuto da parte dellostato.Fortunatamente, il modello di business che haportato alla situazione attuale è tendenzialmenteestraneo alle banche italiane. Il loro coinvolgimen-to nella crisi è sostanzialmente indiretto, ossiaprevalentemente per titoli detenuti in portafoglio,ed è derivante dalla partecipazione a mercati, comequelli della liquidità, che sono globali. Inoltre, comeci fa notare il giornalista del Sole24ore, se noi con-frontiamo i dati in percentuale del PIL, valutando ildebito aggregato di debito pubblico e privato, pos-siamo sorprendentemente renderci conto chel’Italia è il paese meno indebitato. Ha un debitopubblico molto alto, questo è vero, ma il suo debitoprivato è significativamente più basso rispetto agliUsa e al Regno Unito.«Nassim Taleb – ci racconta Liera – scrittore che haraggiunto un grande successo editoriale con Studidell’importanza del caso, ha affermato che secon-do lui in Italia la situazione è migliore rispetto che ne-gli Usa, perché in America hanno la tendenza ad an-dare tutti da una stessa parte, nel nostro paese, in-vece, non è così. In Italia abbiamo un sistema, an-che sociale, che ci invita alla differenziazione deicomportamenti. Quindi siamo meno esposti a crisisistemiche».Noi italiani, dunque, siamo stati salvati dal nostro par-ticolare modo di essere. Siamo gente prudente,attaccata con forza alle nostre radici perché sappia-

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mo che soltanto in questo modo possiamo sempresapere dove andiamo e cosa vogliamo. Da piccoli cihanno insegnato che non bisogna mai fare il passopiù lungo della gamba.Non abbiamo previsto niente, perché niente di tut-to ciò poteva essere previsto, ma il nostro ritardo èstato salvifico.Tuttavia questo possiamo dirlo solo inparte, perché ora la crisi “nei sistemi interdipenden-ti, si propaga in un attimo”.E quello che più crediamo sia arrivato alle nostre por-te è l’umor nero, il senso di paura, il disorienta-mento, la sfiducia nel sistema, nei sistemi, la diffiden-za verso tutto ciò che non si può vedere in faccia, tut-to ciò che cela il proprio volto reale ed umano.Renato Manheimer, è riuscito a trasmetterci questasensazione che pervade gli italiani tutti, attraversodei dati raccolti da interviste effettuate ad hoc. La fi-ducia nella propria banca è fondamentale perché ilrapporto con essa è importantissimo. Il docente diAnalisi dell’opinione pubblica ha assicurato ironica-mente, che in alcuni casi il rapporto dura anche piùdel matrimonio.Questa affermazione fa sorridere, mabisogna assolutamente riflettere su quanto sia ve-ra. Mannheimer dice: «La relazione che si instauratra gli italiani e le proprie banche è emotivamente for-te perché il denaro provoca sentimenti di angosciae di ansia» e poi continua: «la banca è qualcosa dicui tutti hanno bisogno, è sempre presente, è una re-lazione continua. E se non si ha fiducia in essa al-lora è un bel problema. Ciò che si può notare dalleinterviste è che c’è la tendenza ad avere poca fidu-cia nel sistema bancario, ma ancora molta fiducianella propria banca. Questo perché molti vedono ilsistema bancario come una entità astratta di cui siparla sui giornali e che spesso sale alla ribaltaperché fallisce. Molti ritengono la propria banca“differente” perché l’istituto di credito in cui ognunosi reca ha un posto, una entità fisica, un volto.La gen-te, nella banca, cerca una relazione. Il potere della

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differenza è straordinario e lo slogan delle Banchedi Credito Cooperativo in questo senso, è azzecca-tissimo perché dire “La mia banca è differente” è co-me dire che voi avete una migliore relazione con uncliente che è prima di tutto una persona. È propriodalla relazione che dipende la fidelizzazione».Mannheimer ha citato simpaticamente il nostroslogan e siamo contenti perché il senso che voleva-mo dare è stato percepito. Tuttavia è d’uopo preci-sare che non si tratta tanto di slogan, quanto di “mar-chio di fabbrica”. Dietro quella frase ormai notagrazie a tutti i tipi di media, c’è una sostanza, un cuo-re, ci sono valori che le BCC si portano dietro daquando è nato il loro modo di fare banca.Tutta la sto-ria che abbiamo ripercorso nei capitoli precedenti,fino ai giorni nostri, è un cammino, un percorso di vi-ta, che non si può cambiare, non si può riprodurre.Significativo, a questo proposito, è stato il concettoespresso al convegno da Marcello Cola, il presiden-te della Banca di Credito Cooperativo di Palestrina,quando dice: «Con un certo orgoglio ritengo che ilnostro sistema sia l’alba dentro l’intero sistemabancario italiano perché è fatto di una serie di pas-saggi, di relazioni, di radicamento sul territorio chenon ha eguali. Altri cercano di imitarci, ma non ci rie-scono. Si può imitare un comportamento, ma non sipuò diventare come un’altra persona».Ormai sempre più spesso e da più parti sentiamo ri-petere che il Credito Cooperativo, con il suo rappor-to diretto con il territorio, con la vicinanza ai soci eai clienti, con il tradizionale mestiere di raccolta e im-piego locale delle risorse, costituisce un modello vin-cente da cui prendere esempio. Questo rendeestremamente orgogliosi tutti coloro che vi operano,ma l’esempio deve venire per prima cosa dai fatticoncreti e dalla sostanza.Anche il governatore della Banca d’Italia, durante ilsuo intervento all’assemblea dell’ABI del 2008, hadedicato una specifica attenzione alla realtà delle

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BCC. Ha evidenziato la crescita del Credito Coope-rativo e l’ampliamento degli spazi operativi soprat-tutto nei confronti delle imprese, come sistemache fa leva su un modello di intermediazione incen-trato sulla continuità delle relazioni di clientela.Relazioni, dunque.È proprio questo il perno intorno al quale girano lenostre banche.E la relazione, come ha detto Mannheimer, è com-pagna e ancella della fiducia.Ma la fiducia, ormai, è un miraggio quasi ovunque.Una volta persa è difficilissima da riacquistare.«Essa – come afferma il Prof. Rizza – è un atteggia-mento verso altri e verso se stessi, che risulta da unavalutazione positiva di fatti, eventi, o persone. Par-te, quindi, da un senso di sicurezza».Dopo il disastroso bailamme finanziario, viene da séche non ci possa essere nessuna valutazione posi-tiva, ma soltanto un’estrema incertezza «che con-diziona e finisce con il rendere imprevedibile ilmeccanismo degli scambi», perché nessuno sapiù come muoversi. Così, se come asserisce Salva-tore Rizza «la fiducia non è altro che l’anticipazioneche orienta l’agire e l’esperire del presente», ora as-sistiamo amareggiati a persone non sanno se anda-re avanti o tornare indietro, e così, a causa deglieventi, i loro sogni, i loro progetti, sono stati ferma-ti da una vera e propria paralisi fisica e mentale.È stato emblematico il fatto che il professor Rizza,proprio nel momento in cui, all’interno del suo inter-vento, parlava del problema della fiducia, abbia riba-dito il titolo che abbiamo scelto per il nostro conve-gno: “L’alba dentro l’imbrunire”, associandolo adun meraviglioso passo del profeta Isaia in cui vi è ladomanda: «Sentinella, che ora della notte?» e la sen-tinella risponde:«Viene il mattino».L’annuncio del mattino è un annuncio di speranza,lo stesso annuncio che le BCC si impegnano ad of-frire ai propri soci, ai clienti, a tutti coloro che in es-

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se hanno riposto sogni, aspettative, risparmi diuna vita intera. È – come spiega Rizza – «l’impegnoa voler costruire e rafforzare esperienze concrete,volte a ripristinare le basi della fiducia compro-messe dalle vicende che stiamo vivendo».Il docente di Politica Sociale ha dichiarato che in que-sto senso, il sistema delle Banche di Credito Coo-perativo, pur con limiti oggettivi derivanti dalle dimen-sioni che le caratterizzano, costituiscono unesempio di stabilità, di trasparenza, di credibilità edi fiducia custodita e rafforzata. «Sono – dice – lasentinella che annuncia il mattino e l’alba dopol’imbrunire».Ma cos’è che, in questo particolare frangente, ci ren-de ancora una volta alba, bagliore di speranza in ta-le buio pesto? Cos’è che ci rende detentori di un be-ne così prezioso quale la fiducia dei nostri soci, deinostri clienti, ma prima di tutto del nostro prossimo?Se le BCC hanno avuto un riconoscimento cosìimportante è perché il loro operato continuo e co-stante è sempre stato supportato dalle verità in cuiesse credono, verità concrete che si traducono indue aspetti – individuati anche dal tredicesimorapporto della fondazione Rosselli - sempre propu-gnati e mai abbandonati: il radicamento nel territo-rio come incentivo a promuovere lo sviluppo locale,e la forma cooperativa che rende le banche menosoggette alla possibilità di delocalizzazione o acambi di strategie commerciali che possono nuoce-re alla clientela locale.Il radicamento nel territorio, in questa fase di gran-di ed inedite difficoltà, si esplica senz’altro in quel-la missione di vicinanza alle famiglie e alle piccoleimprese, che le ha sempre viste in prima linea.La loro opera di sostegno creditizio è più che mai ne-cessaria a tutti coloro che possono contribuire allosviluppo di un territorio, e metteranno a disposizio-ne tutte le risorse possibili perché questo avvenga.Contiamo, infatti - come ha già anticipato Francesco

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Liberati - per il prossimo anno, di espandere gli im-pieghi per almeno il 10% in più rispetto all’anno incorso che pure, devo dire, si sta chiudendo per noicome un anno di significativa crescita dei finanzia-menti creditizi. Una cifra che significa oltre seicen-to milioni di euro di sostegno a consumi, gestionedelle imprese e investimenti nelle tre regioni che fan-no parte della nostra Federazione: Lazio, Umbria,Sardegna. Seicento milioni di euro che, come da no-stra prassi operativa, impiegheremo in modo frazio-nato con riferimento ad un’ampia platea di fruitori,minimizzando di conseguenza il rischio.Come afferma Marcello Cola: «queste non sarannocifre da poco perché andranno a realizzare attivitànei confronti di piccole e piccolissime aziende italia-ne, delle famiglie e degli artigiani che [proprio comeaccadeva nell’ ‘800] non vengono assistiti dallegrandi banche».D’altra parte il nostro sistema, negli ultimi anni, hamostrato una crescita continua in tutte le direzioni:aumento dei volumi intermediati, ampliamentodella clientela, crescita della quota di mercato. Libe-rati ha fatto notare che le ventisette Banche diCredito Cooperativo associate alla FederazioneLazio, Umbria, Sardegna, a giugno di quest’anno,avevano impieghi per 5,7 miliardi di euro, in cresci-ta del 9,8% rispetto a giugno 2007. La raccolta diret-ta era di 8,4 miliardi, in aumento del 10,6%, mentrele risorse amministrate erano in crescita del13,4%.Negli ultimi 5 anni la nostra raccolta è aumen-tata del 59% e gli impieghi del 43%, mentre i soci so-no più che raddoppiati.Ora, nonostante sappiamo che lo scenario operati-vo che si prospetta non sarà di facile gestione, noiabbiamo intenzione di proseguire il nostro tradi-zionale percorso di crescita e servizio, perché è sol-tanto così che potremo realmente dare il ben venu-to al nuovo giorno che bussa alle nostre porte. L’ at-teggiamento delle BCC - che al di là dei temi finan-

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ziari, al di là della gestione del denaro, è prima di tut-to un atteggiamento di apertura alla vita e al futuro– è indirizzato a rappresentare con il massimo im-pegno come in un’era che potremmo definire dipost-finanza, vi sia la certezza di una ripartenza, fa-cendo leva su valori che esse non hanno mai per-so. Valori come quelli della relazione, della coope-razione, del mutualismo sono la forza del nostro si-stema, ne sono parte costitutiva e si integrano nelterritorio, profondamente ed indissolubilmente.Perché, come ha detto il dottor Liberati, «scom-parse le casse di risparmio e le piccole popolari, sia-mo rimasti i soli al servizio autentico del territorio. So-lo noi continuiamo a combattere il processo di lace-razione del tessuto territoriale al servizio delle fami-glie e delle piccole e medie imprese, ovvero quellache riteniamo sia la struttura fondante dell’economiadel nostro paese».Nel mio intervento, ho ricordato come solo un annoprima fosse il periodo delle “mega-fusioni”: «Sem-bravano – ha raccontato – a detta di tutti, la pana-cea di tutti i mali. La soluzione ottimale per i proble-mi dei consumatori e del sistema produttivo. E inuovi grandi gruppi bancari si proponevano comebanche del territorio. Essi affermavano di essere ter-ritoriali perché soltanto andando sui mercati interna-zionali si poteva portare il valore creato lì, sui singo-li territori».Quello che più ci ha fatto male è stato il fatto che, inquel periodo di finanza supercreativa, ornata dapaillettes e fatui lustrini, molti considerassero leBCC condannate a soccombere alle grandi leggi delmercato; leggi che ora sappiamo, non esistono.Perché come la storia ci ha insegnato a più riprese,la logica darwiniana, a lungo andare non paga, e ilgigantismo è l’eccedenza che ad un certo punto ar-riva a staccarsi così tanto dalla realtà, ad astrarsi co-sì tanto, da perdere anche l’ultimo briciolo di sensoe di identità.

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Ciò che invece ci ha resi più orgogliosi e fieri, è sta-to riuscire a far ricredere tutti, a dimostrare che in-vece le BCC erano a buona alternativa, erano e so-no la possibilità e la chance di cambiare quelloche di marcio c’è in questo sistema avvolto ed attra-versato dal caos e, oserei dire, dal poco amore.L’abbiamo fatto – riprendo testualmente le mie pa-role - «riaffermando con forza e, direi, con orgoglio,di essere la “vera” banca territoriale, in ragione diquelle che sono le nostre origini, la nostra missione,i nostri comportamenti quotidiani e la nostra reale ca-pacità di ascoltare i bisogni del territorio che non so-no solo traducibili in finanziamenti, cioè in aggrega-ti numerici e finanziari, ma si esprimono anche in ma-niera diversa. Si tratta di qualcosa che ci appartie-ne da sempre, ma per fare sì che continui ad appar-tenerci bisogna lavorare sodo, dotarci di metodi estrumenti adeguati, anche a livello culturale, per in-terpretare il territorio e continuare ad investire sul-le caratteristiche distintive».Quando ci siamo resi conto di quello che stava ac-cadendo nel mondo, dello “tsunami” finanziarioche stava travolgendo tutto e tutti, la prima reazio-ne delle BCC è stata quella di pensare per prima co-sa al proprio territorio, ai clienti, a quello per cui es-se si sono sempre ripromesse di avere cura. Abbia-mo agito con efficienza e coerenza. Ci siamo resiconto di avere delle esposizioni internazionali e al-lora, primi tra tutti, siamo intervenuti e l’abbiamo fat-to facendoci carico di tutti i costi, perché sui nostriclienti non ricadesse nessuna conseguenza.In questo caso ci siamo dimostrati una grandebanca, e non per le dimensioni, né per le aspirazio-ni, ma perché - come ho affermato - «una banca ègrande quando ha dietro di sé tutti i numeri e le ri-sorse necessarie a proteggere e sostenere la pro-pria clientela, e questo per noi è possibile grazie adun sistema di garanzie associative ed istituzionicentrali come Iccrea Banca e Banca Agrileasing, che

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ci hanno permesso di intervenire tempestivamentee in maniera preventiva in situazioni di difficoltà. Lenostre, sono iniziative che tutelano tutti: sia le singo-le BCC che i propri stakeholders, siano essi soci,clienti o anche dipendenti.La miglior garanzia, dunque, è la solidarietà di siste-ma e il fatto di utilizzare l’alto livello di patrimonializ-zazione come una leva di stabilità che deve compor-tare la prudente gestione dei rischi e deve rappre-sentare un volano di sviluppo».Come ha ricordato Liera, invece, molti esperti rite-nevano l’alto livello di patrimonializzazione unafonte potenziale di inefficienza. Ha detto che secon-do il docente di Misurazione e Gestione del Ri-schio di Credito, Mercer Oliver Wyman il modello del-le BCC in Europa è positivo, ma uno dei suoi proble-mi principali è l’elevata patrimonializzazione, men-tre invece bisognerebbe far girare di più il capitale.Queste affermazioni, alla luce di quanto è accadu-to e del modo in cui abbiamo saputo continuare a ge-stire la situazione ed in primis la fiducia delle perso-ne, si commentano da sole, perché come asserisceLiera, è un bene non aver seguito tale consiglio, «da-to che questo [per noi], contro ogni previsione, si èrivelato un punto di forza».E punti di forza sono stati, e saranno ancora, tutti iprincipi che costituiscono la Mission delle BCC.Una mission che dalla creazione delle Casse Rura-li non è mai cambiata neanche di una virgola. Per-ché quando si tratta di valori, capacità concrete, disolide fondamenta che provengono da qualcosa incui davvero si crede, allora possono passare glianni, i secoli, ma il succo, la sostanza, non cambia.E siamo lieti di poter esplicare quanto affermato, uti-lizzando le parole del Professor Rizza. Perché noi ciguardiamo bene dalle autocelebrazioni. Le lodi, sesono davvero meritate, provengono dallo sguardoaltrui che può giudicare ed osservare il nostrooperato.

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Salvatore Rizza dichiara: «la mission per ogni isti-tuzione è uno degli aspetti più importanti. Quella del-le BCC lo è ancora di più perché poi viene posto inessere nella pratica. In essa troviamo gli elementiche la rendono un piccolo baluardo di fronte ai gigan-ti - proprio come la storia di Davide e Golia – nell’at-tuale crisi mondiale. Il gigantismo non è una tenta-zione per le BCC, perché la BCC è una banca del-la comunità locale ed uno dei suoi principi fondamen-tali è il mutualismo.Il mutualismo è l’insieme di pratiche che derivanodalla capacità sociale auto regolativa e auto orga-nizzativa di creare spazi di solidarietà e reciprocità.E la cooperazione è la matrice della mutualità. LaBanca di Credito, attraverso la mutualità, svolgeuna funzione sociale di grande importanza restituen-do alla persona umana una opportunità per ricom-porre i legami sfilacciati della solitudine prodotta dal-la globalizzazione. C’è, poi, anche la mutualità di re-ciprocità. Quest’ultima riguarda le stesse BCC e sifonda sulle relazioni che nascono quando unaBCC supporta una “Consorella” che attraversa situa-zioni di difficoltà. Tale mutualismo di rete è unastrategia tesa a salvaguardare banche locali e as-sume un valore di solidarietà».In questa frase Rizza ha introdotto le 3 parolechiave su cui si fonda tutto il nostro operato: mutua-lismo, cooperazione, solidarietà. Ma solidarietànon è che l’altro nome del mutualismo e – come af-ferma il docente – ne costituisce l’ethos di fondo, ilsostegno su cui poggiano tutte le nostre coscienze,perché come diceva Enzo Badioli, figura di spicco delMovimento Cooperativo nel secondo dopoguerra,che Rizza ha citato egregiamente: «La solidarietà,come intreccio di valori cristiani è nelle nostre co-scienze, prima di essere scritta nel nostro statuto, edè la misura con cui regoliamo la nostra attività».Rizza ha poi continuato dicendo:«Per quanto riguarda l’etica, la BCC ha i “fondamen-

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tali” a posto. Molti principi etici a cui concretamen-te si ispirano le BCC sono presenti nella carta dei va-lori che esse si sono date: la centralità della perso-na, l’impegno, la cooperazione, utilità verso i soci, lapromozione dello sviluppo locale verso il quale es-se destinano una parte degli utili. L’attività impren-ditoriale delle BCC, infatti, si esplica attraverso lostrumento del “Bilancio sociale”, che consente di for-nire elementi di valutazione sull’aspetto socialedell’attività dell’impresa. A tutti i soggetti dellaBCC si impone il compito di curare il collegamentocon il territorio, con i soci e con i clienti, fornendomessaggi di serenità e di fiducia».Bisogna dire che al convegno si è parlato molto dietica, o meglio della mancanza di etica. È unanime-mente condivisa l’idea che se siamo arrivati a que-sto punto, è perché forse oltre alle regole, alla legi-slazione in materia finanziaria, quello che manca èuna legge del cuore, legge quest’ultima, che non sipuò scrivere in un codice da appendere alle pareti,non si può inculcare in qualcuno come se fosse unapoesia da studiare. La si deve avere già dentro, nelproprio Dna.È stato molto apprezzato ciò che ha raccontatoGianluca Puccinelli, coordinatore dei lavori delconvegno, a proposito dell’etica. Egli ha detto: «A mepiace molto cercare l’etimologia delle parole ed hoscoperto che la prima volta che si parla di etica è inOmero. Il poeta greco in un passo scrive: “e i caval-li, stanchi, ritornarono ai pascoli etici”. Etico, inquesta accezione stava a significare casa, stalla, fa-miglia, luogo conosciuto e sicuro dove c’è benesse-re. E forse è proprio questo il senso di etica che sideve recuperare. Il senso di un ritorno. Un luogo eti-co è un luogo familiare dove si vuole ritornare, pro-prio come in un ristorante dove si è mangiato benee si è stati trattati bene, e le BCC in questo senso so-no etiche».Già, le BCC sono etiche nella misura in cui sono fa-

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miliari, sono vicine alle famiglie, al territorio, sono par-te della storia stessa del territorio. Le BCC sono eti-che, perché attraverso il perseguimento continuo, co-stante e fedele della propria Mission non perdonomai la loro strada, neanche nei momenti di difficol-tà. Possono rappresentare semmai un faro per lagente, una via di uscita e un nuovo mattino, propriocome accadde agli albori della loro costituzione.Questa visione si è fatta ancora più chiara quandoMarco Liera ha illustrato le possibili strade dellosviluppo per uscire dalla crisi e prosperare.Meravigliosamente egli ha messo al primo posto ilfatto di «mantenere la coerenza con la Mission» di-cendo che questo significa anche essere anticonfor-mista quando serve. In questo senso noi siamocoerenti da 125 anni e non abbiamo nessuna inten-zione di cambiare, anche a costo di andare controcorrente; d’altra parte l’anticonformismo stessopuò essere, secondo Liera, una strada di crescita esviluppo.Sulla stessa lunghezza d’onda anche il contributo aldibattito di Maurizio Manfrin, direttore generaleCRA dell’Agro Pontino, BCC associata alla Feder-lus. Che ha affermato: «le soluzioni per uscire daquesta crisi, noi BCC, già le abbiamo nel nostroDNA».Liera ha parlato poi di capitalismo sostenibile, comin-ciando, per esempio, dal fatto che i manager pren-dono troppo rispetto agli impiegati; anche su questofronte noi possiamo andare a testa alta.I suoi ultimi due punti riguardavano : il perseguire ladifferenziazione senza ampliare le diseguaglian-ze, e il fare squadra senza aumentare i rischi siste-mici.In queste due strade noi siamo fortissimi, abbiamotutte le carte in regola, abbiamo i “fondamentali” a po-sto.Liera ha spiegato come benché in questo infaustofrangente gli interventi statali siano stati tempestivi,

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le asimmetrie domestiche e internazionali degliaiuti, il ruolo pervasivo e la scarsa attenzione al plu-ralismo, saranno dei punti critici di cui prima o poi sipotranno pagare le conseguenze. Egli ha afferma-to che bisogna favorire una maggiore diversitànell’ambito delle missioni aziendali - per esempio so-stenendo quegli enti che si occupano del microcre-dito che ha un sentiero di crescita positivamente au-tonomo e potrebbe essere un asset class importan-te anche per gli investitori – ed una maggiore diver-sità, come ho accennato prima, dei livelli di patrimo-nializzazione. «C’è, poi – ha detto – la diversitànella relazione con i clienti. Ci si può accontentaredi soglie di redditività più basse, anche a costo [o invirtù] di apparire come quelli che non puntano all’ar-ricchimento e alla crescita dei profitti, e poi, il fattoche le banche non siano tutte uguali porta a risulta-ti interessanti in termini di crescita degli impieghi cheal 30 giugno 2008 per le banche piccole e minori, equindi anche per le BCC, è stata del 47% rispetto aldicembre 2004, mentre per le Banche maggiori èstata del 21%. Stessa cosa per i depositi: crescita del30% per le banche minori e solo del 7% per quellemaggiori».Questa visione di Liera è assolutamente giusta e nona caso si trova perfettamente in linea con una del-le dieci lezioni che derivano dalla crisi, introdotte daAlessandro Azzi, Presidente di Federcasse, proprioall’ultima assemblea annuale di Federcasse. Egli haaffermato che nel mercato c’è bisogno sia di banchedi grandi dimensioni, che perseguono legittima-mente la finalità del profitto, sia di intermediari dif-ferenti, perché la pluralità dei soggetti è una ricchez-za ed è altresì una garanzia di concorrenza e stabi-lità del sistema finanziario. Per questo noi non ab-biamo nessuna intenzione di cambiare il nostrostatus, ci piace, anzi, essere “differenti”.Per quanto riguarda l’ultimo punto individuato dalgiornalista del Sole24ore, il nostro fare squadra

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nasce con la creazione stessa del Credito coopera-tivo, proprio per il nostro sistema mutualistico. Ed èimportante, come ha ricordato Franco Caleffi, diret-tore generale di Federcasse, il fatto di avere svilup-pato sia una mutualità interna che lega indissolubil-mente tutti i soci, sia una mutualità esterna che ci le-ga a doppio filo con il territorio, ed infine una mutua-lità di rete che ci porta a migliorare sempre di più ea rendere sempre più efficiente il meccanismo del-la sussidiarietà.Dopo gli interventi al Convegno, e la partecipazio-ne al dibattito dei rappresentati di alcune BCC chefanno parte della Federazione Lazio, Umbria, Sar-degna, ci si è resi conto del fatto che le BCC hannogià tutte le indicazioni per trovare, o meglio, continua-re a percorrere, la via dello sviluppo, e di questo sia-mo immensamente orgogliosi. Ma siamo ancheconvinti che tutti quegli uomini che con le loro ope-re e i loro sogni hanno popolato la storia del credi-to, tutte quelle figure grandi ed emblematiche comeLeone Wollemborg, Luigi Cerutti, Luigi Sturzo,Giuseppe Toniolo, Enzo Badioli, e tanti altri, sareb-bero fieri del cammino che abbiamo realizzato, sa-rebbero fieri di quello che siamo riusciti a raggiun-gere pur senza mai dimenticare i valori fondanti.Ora più che mai il nostro motto deve essere anco-ra una volta quello di S. Paolo, ancora una volta «Innecessitate sunt omnia Communia». Già perchése negli uomini c’è, e sempre ci sarà, la pulsione al-l’onnipotenza, la tendenza ad avere tutto per sé, c’èin vero, e sempre ci sarà, anche l’anelito alla gran-dezza dell’anima, anelito che può essere soddi-sfatto non nella solitudine, ma nell’unione e nell’as-sociazione degli spiriti, nella creazione di un benecomune che si può fondare soltanto sugli affetti, sul-la fratellanza, su un etica interiore che deve essererecuperata, fortificata, e ritrovata, per dare spazio evita alla costruzione di grandi cose, di un futuro adimmagine e somiglianza di quella parte buona che

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c’è in tutti gli uomini, in tutte le epoche, specie in quel-le più buie, dove c’è più bisogno di luce, di speran-za, di comunione, di solidarietà.

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ATTI DEL CONVEGNOA cura diPAOLO G. GRIGNASCHI EGIANLUCA PUCCINELLI

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Quando abbiamo aperto il convegno, la sala era gre-mita, nello sguardo già si vedeva in tutti i presenti l’or-goglio, il senso di partecipazione, il piacere di esse-re lì riuniti e di condividere per la seconda volta unmomento di riflessione sul nostro operato in unfrangente così delicato come quello che stiamo vi-vendo adesso.Il Presidente dott. Francesco Liberati ha avutol’onere e l’onore di introdurre l’argomento sceltoper l’evento e di spiegare le motivazioni, che cihanno condotto a tale decisione:

“Signori presidenti, amministratori e componentidei Collegi Sindacali, direttori delle BCC associate,illustri ospiti buongiorno a tutti e benvenuti al conve-gno annuale della nostra Federazione.Vi ringrazio per la vostra numerosa partecipazione.Ringrazio e saluto i relatori che porteranno il loro pre-zioso contributo ai lavori di questo convegno.Il prof. Salvatore Rizza ordinario di Politica Socialealla terza Università di Roma;il prof. Renato Mannheimer ordinario di Analisidell’opinione pubblica all’Università Bicocca di Mila-no;il dott. Marco Liera responsabile del Sole 24 Ore“Plus 24”.Ringrazio anche il dott. Puccinelli per il suo contri-buto progettuale e per il coordinamento del dibatti-to che curerà nella seconda parte del convegno.Un convegno che si colloca in una fase di crisi finan-ziaria e, conseguentemente economica, che èsenza dubbio la più forte da 80 anni a questa par-te.Ancora negli ultimi giorni, nonostante i ripetuti inter-venti di governi e autorità monetarie, le borse han-no continuato a mostrare saliscendi fortissimi conuna tendenza di fondo che rimane orientata al se-gno negativo.Basti pensare che l’indice telematico della Borsa di

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Milano ha più che dimezzato il proprio valore in 15mesi.Ormai, sono ormai a tutti chiari i connotati di fondodella crisi finanziaria che stiamo vivendo: non siamodi fronte ad un rovescio qualunque ma alla più gra-ve crisi dagli anni trenta.Questa crisi è l’esito dell’accumulazione di gravissi-me patologie di tutto un modello di finanza.In un ambiente economico caratterizzato da bassitassi di interesse, da una situazione di abbondanteliquidità e dalla diffusa e spasmodica ricerca di at-tività ad elevato rendimento, si sono creati incenti-vi – in particolare negli Stati Uniti - a finanziaresoggetti dal basso merito creditizio.Una tendenza favorita dalla consapevolezza deglioperatori che, tanto, il rischio non sarebbe stato man-tenuto in portafoglio ma frammentato e distribuitoverso una vastissima platea di operatori.La crisi ha natura globale e trasversale, e molti so-no gli attori: non solo banche e istituzioni finanzia-rie che hanno originato i crediti e li hanno trasforma-ti, cartolarizzandoli, in titoli che oggi chiamiamo“tossici”.Ma anche agenzie di rating che hanno valutato le ob-bligazioni derivate dai crediti originari e, poi, “rego-latori pubblici” e una vigilanza poco attenta neipaesi dove il fenomeno si è sviluppato.Il contagio all’economia finanziaria europea si èmaterializzato ed aggravato repentinamente agliinizi dello scorso settembre, a seguito di importan-ti decisioni prese dalle Autorità Monetarie e dalGoverno statunitense, nel tentativo di arginareuna crisi che stava degenerando.Nel primo week-end di settembre, il Tesoro Usa hanazionalizzato i 2 maggiori erogatori di mutui delPaese; quello successivo Fed e Governo hannodeciso di non salvare Lehman Brothers che ha di-chiarato la più grande bancarotta della storia ame-ricana con 613 miliardi di dollari di debiti.

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La decisione di lasciar fallire Lehman Brothers si èmostrata grave nelle conseguenze: abbiamo assisti-to al definitivo prosciugamento del mercato interban-cario americano e a un clima di panico che hacoinvolto gli operatori finanziari su entrambe lesponde dell’Atlantico.L’ulteriore peggioramento della situazione sui mer-cati finanziari ha reso subito dopo inevitabile il sal-vataggio, da parte della Fed, del colosso assicura-tivo AIG con un prestito di 85 miliardi di dollari.A breve distanza, le grandi banche d’affari america-ne o sono state assorbite da banche commerciali op-pure hanno chiesto ed ottenuto l’autorizzazione a di-ventare banche capogruppo e, quindi, ad essere sot-toposte alla vigilanza della FED.Dopo tanti interventi improvvisati è divenuta quindipalese la necessità di un progetto capace di affron-tare il problema alla radice.A tal fine, il Ministro del Tesoro americano, il 19 set-tembre, ha proposto un piano di salvataggio, appro-vato dal Congresso poche settimane dopo, per unammontare pari a 700 miliardi di dollari (circa il 5%del Pil Usa).Il 29 settembre l’epicentro della crisi si è spostato inEuropa.Dopo due giorni di forti ribassi dei valori azio-nari, i governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo han-no salvato il gruppo Fortis, mentre il Governo ingle-se ha nazionalizzato il secondo gruppo finanziarionazionale specializzato nei mutui.Da ultimo voglio ricordare l’intervento del Governoamericano che il 23 novembre ha concesso ga-ranzie al gigante Citigroup per 300 miliardi di dolla-ri.Il modello di business che ha portato alla situazio-ne attuale è tendenzialmente estraneo alle ban-che italiane.Il coinvolgimento delle banche italiane nella crisi èsostanzialmente indiretto (titoli detenuti in portafo-glio) e derivante dalla partecipazione a mercati,

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come quelli della liquidità, che sono globali.Certo è che stiamo assistendo ad un ritorno dimoda delle politiche keynesiane che, ricordo, presup-pongono il ruolo dello Stato come regolatore dell’eco-nomia.Governi che aborrivano ogni intervento statale ineconomia, in pochi giorni si sono convertiti in fauto-ri di una sorta di dirigismo di Stato.Parallelamente, si è aperto il dibattito sui dannieconomici e sociali provocati da un sistema finanzia-rio sostanzialmente senza regole adeguate - e perregole adeguate intendo dire che il mercato finan-ziario ha bisogno non di una maggiore, ma di una mi-gliore regolamentazione - pensando a quello che do-vrà essere il futuro modello. Un nuovo modellofondato su basi di trasparenza e sicurezza per cit-tadini e imprese, che sia al servizio dell’economiareale, con adeguati sistemi di controllo il più possi-bile coordinati a livello internazionale. Un modello incui gli intermediari mettano in gioco più soldi proprie siano più attenti ai rischi, occupandosene co-munque in presa diretta. In questa crisi - e qui venia-mo a noi - sta emergendo sempre più il ruolo posi-tivo del mondo delle banche locali e, soprattutto, delCredito Cooperativo.Il nostro sistema ha mostrato negli ultimi anni unacrescita continua, con l’aumento dei volumi interme-diati, l’ampliamento della clientela, la crescita dellaquota di mercato. La crescita ha riguardato tutto ilgruppo del credito cooperativo, con dati di svilupposignificativamente superiori a quelli del sistemabancario ordinario.Le 27 BCC associate alla Federazione Lazio, Um-bria, Sardegna a giugno di quest’anno avevanoimpieghi per 5,7 miliardi di euro, in crescita rispet-to a giugno 2007 del 9,8%.La raccolta diretta era di 8,4 miliardi, in aumento del10,6%, mentre le risorse amministrate complessiveerano pari a 10,1 miliardi, in crescita del 13,4%.

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I soci erano oltre 53 mila.Negli ultimi 5 anni la nostra raccolta è aumentata del59% e gli impieghi del 43%. I soci sono più che rad-doppiati.Sulla base di questi andamenti lusinghieri, ora ci pre-pariamo alle nuove sfide, a cogliere le opportunitàdi mercato che si presentano davanti a noi.A livello di sistema le previsioni indicano un rallen-tamento della crescita degli impieghi, a fronte di unincremento della raccolta ancora sostenuto.In base alle previsioni di Prometeia, infatti, alla finedel prossimo anno la crescita della raccolta do-vrebbe mantenersi intensa, attestandosi al 6,4% eal 5,6% rispettivamente nel 2009 e nel 2010.La crescita degli impieghi è prevista attestarsi al4,1%, portandosi al 5,2% alla fine del 2010.Riprenderanno a crescere le sofferenze con un rit-mo di incremento del 6% su base annua.Lo scenario operativo che si prospetta non sarà difacile gestione.Come banche di credito cooperativo, dovremomostrare la capacità di proseguire il nostro tradizio-nale percorso di crescita e servizio, tenendo i rischisotto controllo.Il rischio di credito, in particolare, potrà trovaremotivi di nuovo incremento in relazione al minor red-dito disponibile delle famiglie, all’aumento della di-soccupazione, alle difficoltà di tenuta delle imprese.L’acuirsi della crisi, infatti, ha portato ad una revisio-ne al ribasso delle stime di crescita del nostroPaese, con un Pil che dovrebbe risultare in contra-zione già nel 2008.Nel 2009 la contrazione del Pil dovrebbe essere an-cora maggiore, secondo il Fondo Monetario Interna-zionale, con una diminuzione dello 0,6%.In questa situazione severa, noi non ci tireremo in-dietro e ce la metteremo tutta per continuare a da-re risposte concrete ai nostri soci, ai clienti e a tut-ti coloro che vorranno utilizzare i servizi del credito

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cooperativo.Dobbiamo dare fiducia ai nostri interlocutori, nellaconsapevolezza che vi sono tutte le possibilità peruna ripartenza.Ci aspetta un nuovo giorno, e dobbiamo muoverciper dargli il benvenuto, ecco perché abbiamo evo-cato la figura dell’alba dentro l’imbrunire.Un modo per rappresentare come in un’era chepotremo definire della post-finanza, vi sia la certez-za di una ripartenza facendo leva su valori che noinon abbiamo mai perso.Valori come quelli della relazione, della cooperazio-ne del mutualismo.Abbiamo una visione forte e condivisa di economiasociale che fa perno sull’impegno di un Movimentoche, a livello nazionale, conta su oltre 900.000 so-ci, 5,4 milioni di clienti, 33 mila dipendenti.Contiamo sulla forza della nostra missione, sul lavo-ro di generazioni che hanno costruito il nostroPaese e le nostre aziende dagli anni ’50 del seco-lo scorso in avanti.Le nostre banche oggi sono chiamate a svolgerequel ruolo di riferimento nel territorio che ormainessuno non vuole o non può svolgere.Siamo rimasti i soli – scomparse le casse di ri-sparmio e le piccole popolari – al servizio autenticodel territorio.Solo noi continuiamo a combattere il processo di la-cerazione del tessuto territoriale, al servizio delle fa-miglie e delle piccole e medie imprese ovvero lastruttura fondante dell’economia del nostro Paese.Questo ruolo ci è ormai riconosciuto ufficialmente.Ormai si sente da più parti ripetere che il CreditoCooperativo, con il suo rapporto diretto col territorio,con la vicinanza a soci e clienti, con l’attività imper-niata sul tradizionale mestiere di raccolta e impiegolocale delle risorse, costituisce un modello vincen-te da prendere ad esempio.I riconoscimenti di questo ruolo sono venuti con ar-

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ticoli di stampa, interviste, rapporti: tutti nella direzio-ne di evidenziare la stabilità e la solidità delle ban-che di credito cooperativo. Un modello, il nostro, “vin-cente”.Riconoscimenti che sono giunti anche da inter-venti istituzionali al massimo livello della Bancad’Italia.A luglio, nel suo intervento all’Assemblea dell’ABI,il Governatore, per la prima volta dall’inizio delproprio mandato, ha dedicato una specifica attenzio-ne alla realtà delle Banche di Credito Cooperativo,valorizzandone il ruolo.Draghi ha evidenziato la crescita del Credito Coope-rativo, l’ampliamento degli spazi operativi soprattut-to nei confronti delle imprese, come sistema che faleva su un modello di intermediazione incentrato sul-la continuità delle relazioni di clientela.Anche nel suo recentissimo messaggio all’Assem-blea Federcasse del 24 novembre scorso, il Gover-natore ha sottolineato il ruolo delle Banche di Cre-dito Cooperativo sui mercati locali del credito che og-gi “rivestono una importanza centrale in relazione al-la peculiare struttura produttiva connotata dallaprevalenza di piccole e medie imprese”.È stato anche osservato - come nel recente 13° rap-porto della Fondazione Rosselli - che la forma di ban-ca “relazionale” consente nella maggioranza deicasi una migliore gestione dei rischi, proprio per laprossimità dei centri decisionali al territorio.Nello stesso rapporto, si evidenzia come nei confron-ti delle banche cooperative opererebbe anche un “ef-fetto fiducia” che trova una spiegazione in 2 aspet-ti che, combinati, offrono una sorta di garanzia perla clientela:il radicamento nel territorio come incentivo a promuo-vere lo sviluppo locale;

la forma cooperativa che rende le banche meno sog-gette alla possibilità di delocalizzazione - ad

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esempio per l’acquisizione da parte di gruppiesterni - o a cambi di strategie commerciali che pos-sono nuocere alla clientela locale.In sintesi, la forma proprietaria cooperativa di unabanca locale è segno per la clientela di un impegnoed una disponibilità di lungo periodo al sostegno del-l’economia locale.Un modello che pone la finanza al servizio del-l’economia e non viceversa.Un modello che ha trovato la rinnovata preferenzadel pubblico che ne ha premiato la “prossimità”, lacapacità di servizio, la vicinanza alla gente.Noi, ripeto, non ci sottrarremo a questa missione divicinanza alle famiglie e alle piccole imprese inuna fase di grandi e inedite difficoltà.Continueremo a dare sostanza alla nostra opera disostegno creditizio, mettendo a disposizione nuoverisorse per il prossimo anno.Contiamo, infatti, di espandere gli impieghi per alme-no il 10% in più rispetto all’anno in corso che puresi sta chiudendo per noi come un anno di significa-tiva crescita dei finanziamenti creditizi.Una cifra che significa oltre 600 milioni di euro di so-stegno a consumi, gestione delle imprese e investi-menti nelle tre regioni del Lazio, Umbria, Sardegna.600 milioni di euro che come da nostra prassi ope-rativa impiegheremo in modo frazionato con riferi-mento ad un’ampia platea di fruitori, minimizzandodi conseguenza il rischio.Ancora di più in questa fase contiamo di collabora-re con le Organizzazioni di categoria, sviluppandoe impiegando al meglio gli strumenti esistenti apartire dai consorzi di garanzia fidi.È fondamentale un dialogo continuo con le catego-rie economiche anche per perseguire una politica dipatrimonializzazione efficace da parte delle picco-le e medie imprese, al fine di facilitare anche per que-sta via l’accesso al credito.Il dialogo, il mettersi in gio-co, il fare rete nel territorio sono per noi un’abitudi-

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ne consolidata che deriva dalla nostra storia.Una storia – si ricordava alla recente assemblea Fe-dercasse – scandita in 125 anni di mutualismo, di co-struzione di fiducia e impegno per la realizzazionedel bene comune.Una storia che ha visto l’impegno e l’insegnamen-to di grandi uomini, di personaggi come LeoneWollenborg, Luigi Cerutti, Luigi Sturzo, Giuseppe To-niolo, Primo Mazzolari.Uomini che oggi sarebbero orgogliosi del camminorealizzato dal Credito Cooperativo, di quanto il no-stro movimento sia stato in gradi di raggiungere sen-za dimenticare i valori fondanti.Il loro impegno è oggi il nostro impegno, al serviziodei cittadini, delle famiglie e delle imprese”.

Il Presidente Liberati ha ritenuto, poi, opportuno, ri-ferire il messaggio che l’avvocato AlessandroAzzi, Presidente di Federcasse, ci ha inviato, per po-ter ricavare da questa situazione di crisi delle “lezio-ni” che possano guidare chi ha responsabilità poli-tiche, regolamentari, imprenditoriali, e orientare leprospettive di crescita del Credito Cooperativo:

“Cari presidenti, cari amici, non posso essere pre-sente, ma mi complimento per questo convegno. Lacrisi, i suoi insegnamenti, le prospettive per il futu-ro, sono temi già affrontati recentemente il 24 novem-bre scorso all’assemblea di Federcasse.Noi abbiamo individuato 10 lezioni:1) non è “sostenibile” l’idea che lo sviluppo possa fon-darsi principalmente sull’espansione dei consumi;2) il mercato finanziario ha bisogno non di unamaggiore, ma di una migliore regolamentazione;3) i rischi possono essere allontanati, frazionati o re-distribuiti, non elusi. Deve perciò trovare un limitela possibilità lasciata a un debitore di trasferire i pro-pri rischi al mercato, di disseminarli presso contro-parti spesso non pienamente consapevoli. Si deve

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sapere chi assume il rischio e con quali responsa-bilità;4) i debiti possono essere rinviati, ma non all’infini-to. Va posta grande attenzione alla valutazionerealistica della capacità di restituzione del debitore;5) la creazione di valore per gli azionisti è un obiet-tivo delle banche aventi forma di società di capita-li, ma non può essere l’unico. E, soprattutto, non puòessere l’obiettivo cui sacrificare la sostenibilitàdell’impresa nel tempo;6) le grandi dimensioni, anche nella finanza, non so-no un bene assoluto. E’ stato detto che un’impresatroppo grande è troppo influente. E tale influenza di-venta irresistibile quando un’impresa raggiungeuna dimensione tale da non poter fallire; 7) la con-centrazione sui risultati è doverosa, l’esclusivaconcentrazione sul “breve termine” è nociva;8) i “fondamentali” restano, e devono restare, fonda-mentali. L’effettiva attività di intermediazione, laconcreta relazione di clientela, la solidità dellabanca, l’efficienza gestionale rispetto alla funzioneobiettivo, contano più di altri indicatori; 9) l’ancorag-gio e la relazione con il territorio vanno tenuti saldi,soprattutto in tempi di globalizzazione;10) nel mercato c’è bisogno sia di banche di gran-di dimensioni che perseguono legittimamente la fi-nalità del profitto, sia di intermediari “differenti”. Lapluralità dei soggetti è una ricchezza e una garan-zia di concorrenza e stabilità del sistema finanzia-rio.Noi siamo per una finanza utile, non creativa. Dob-biamo guardare verso un futuro che non si prevede,ma si fa. Dobbiamo puntare ad una sussidiarietàsempre più efficace accogliendo concezioni avan-zate e sempre nuove forme della mutualità e dellarelazione con i territori. Dobbiamo avere una visio-ne e una meta mutualistiche.L’assemblea è stata anche un’occasione per illustra-re il nuovo Fondo di Garanzia Istituzionale, il cui av-

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vio operativo è previsto per i primi mesi del 2009.Unostrumento particolarmente significativo in questa fa-se di crisi dei mercati. L’adesione sarà larghissimae rappresenterà una tappa importante del proces-so di rafforzamento del sistema a rete iniziato con ilFondo di Garanzia dei Depositanti e il Fondo diGaranzia degli Obbligazionisti. È così che si rendemoderno il Credito Cooperativo italiano.Bisogna con-tinuare a valorizzare le proprie caratteristiche. Col-tivare l’alba per far sorgere un nuovo giorno”.

Gianluca Puccinelli, Amministratore Delegato diRes, e coordinatore dei lavori, al termine del primointervento, ha ringraziato Francesco Liberati perl’analisi dettagliata e completa sia del mondo del cre-dito cooperativo, sia a livello globale e per aver an-che fornito indicazioni su come le singole BCCpossono affrontare il mercato. Ha poi passato la pa-rola a Paolo Giuseppe Grignaschi, Direttore Ge-nerale della Federazione, affermando che eglirappresenta l’operatività e la traduzione praticadei concetti del Presidente.Queste le parole di Grignaschi:“Ringrazio tutti. Il fatto di essere in tanti qui ed ora rap-presenta certamente un segno tangibile positivo.Questo è il secondo convegno annuale della Fede-razione, una “buona abitudine” direi che abbiamoinaugurato un anno fa in occasione del quaranten-nale e che vuole rappresentare un momento di rifles-sione comune su temi di attualità per le nostreBCC . Un momento di riflessione, sì, ma con unosguardo rivolto al futuro.L’anno scorso il tema (“Il territorio oltre il confine”) eraquello del rapporto fra la banca e il territorio in un mo-mento in cui il sistema bancario era dominato dal-le “mega-fusioni” che sembravano, a detta di tutti, lapanacea di tutti i mali. La soluzione ottimale per i pro-blemi dei consumatori e del sistema produttivo. E inuovi grandi gruppi bancari si proponevano come

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banche del territorio (ricordiamo che, per esem-pio, Intesa S. Paolo ha creato Banca Proxima). Es-si affermavano: «Noi siamo i veri territoriali, perchésolo andando sui mercati internazionali si può por-tare il valore che si crea lì, sui singoli territori».In quell’occasione, noi abbiamo risposto in duemodi: da una parte, con l’ausilio del prof. Alessan-dro Caretta, dimostrando attraverso analisi circostan-ziate che in realtà le fusioni diminuiscono il livello diconcorrenza e che pertanto non necessariamentegenerano benefici per i consumatori; dall’altra riaf-fermando con forza e, direi, con orgoglio, di essere“vera” banca territoriale, in ragione di quelle che so-no le nostre origini, la nostra missione, i nostricomportamenti quotidiani e la nostra reale capaci-tà di ascoltare i bisogni del territorio che non sonosolo traducibili in finanziamenti, cioè in aggregati nu-merici e finanziari, , ma che si esprimono anche inmaniera diversa. Si tratta di qualcosa che ci appar-tiene da sempre, ma per fare sì che continui ad ap-partenerci bisogna lavorare sodo, dotarci di metodie strumenti adeguati per interpretare il territorio econtinuare ad investire sulle nostre caratteristichedistintive. Per questo abbiamo avviato la Formazio-ne Identitaria, che credo sia una delle maggiorigaranzie per il nostro futuro e che manifesterà isuoi benefici nel lungo termine. Formazione Identi-taria per la quale la nostra Federazione si è distin-ta per il livello di partecipazione degli amministrato-ri, dei presidenti, dei neo amministratori, e anche peri direttori, per i quali siamo stati i primi a conclude-re la sessione di CooperniCo dedicata; la Formazio-ne Identitaria verrà estesa anche a tutto il persona-le neo assunto e si sta pensando anche ai soci del-le banche. E ci siamo anche preparati ad affronta-re quello che veniva definito“tsunami normativo”che stava investendo le nostre BCC: la MiFID, cheè entrata in vigore dal 1° novembre2007; dal 1°gennaio 2008 si è entrati in regime di Basilea 2 e il

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30 settembre 2008 c’era il termine di consegna al-la Banca d’Italia della prima rendicontazione ICAAP;la Compliance, entrata in vigore il 10 luglio2007, conuna moratoria fino al 10 luglio 2008 e con la possi-bilità di essere poi effettivamente operativi a parti-re dal 2009.Tutte cose alle quali abbiamo saputo ri-spondere, rispettando tutte le scadenze lavorandoinsieme.Per la MiFID, per Basilea 2, per la Complian-ce (per la quale le nostre Banche hanno chiesto al-la Federazione una struttura apposita a cui esterna-lizzare l’attività), la Federazione ha agito insieme al-le Banche valorizzando coerentemente la “forzadell’unione”. Ben altro“tsunami” ci ha colto in questiultimi mesi. Oggi c’è grande crisi finanziaria, crolla-no le certezze, le analisi e le previsioni più autore-voli valide fino a poco tempo fa diventano rapidamen-te obsolete. Di tutti i fatti accaduti e che continuanoad acca-dere forse il caso più grave sino ad oggi èstato il fallimento della Lehman Brothers, una delleicone del capitalismo mondiale.Rispetto a questo fal-limento abbiamo dato come sistema una dimo-strazione di efficienza, di efficacia e di coerenza. Sia-mo andati subito a contare le nostre esposizioni;cisiamo resi conto di avere, attraverso alcuni prodot-ti, delle esposizioni nei confronti della clientela,peraltro di importo assolutamente limitato rispetto atutto il resto del sistema e, primi fra tutti, siamo in-tervenuti con decisione unanime e ci siamo fatticarico di questi costi, affinché per la nostra cliente-la non ci fosse alcuna conseguenza. Credo quindiche per noi il problema non sia tanto la crisi finan-ziaria: il nostro modo virtuoso di fare banca ci ha te-nuto sostanzialmente immuni dalla crisi e su quel po-co che ne abbiamo risentito siamo stati pronti a rea-gire; il problema che potremmo avere è la conse-guenza della crisi, cioè la recessione economica cheincombe e sarà diffusa. Noi siamo banche vicine aiterritori e con queste realtà dobbiamo confrontarcipiù che con quello che succede negli Stati Uniti, a

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Wall Street o alla City londinese.Però anche su questi temi, come l’anno scorso, larisposta può essere trovata innanzitutto dentro di noi,cioè valorizzando le nostre caratteristiche distintive,purché sappiamo interpretare correttamente econ la dovuta prudenza, che non è mai troppa, i fe-nomeni provenienti dal mercato. Concludendo, ilsenso di questo incontro vorrebbe essere proprioquesto, riflettere e confrontarci su quanto sta acca-dendo intorno a noi, guardarci dentro per vedere in-sieme il domani per poter continuare a svolgere consempre maggiore forza ed efficacia la nostra origi-naria missione.Non è, dunque, il momento di fare previsioni, poichéoggi chiunque fa previsioni sbaglia, ma è il mo-mento di fare e allora interroghiamoci insieme su co-sa è meglio fare e quali possono essere le nostrepriorità.

Dopo la domanda, Grignaschi ha fornito subitouna risposta, proponendo di condividere la visionedi un video che ha aiutato tutti noi ad interrogarci dav-vero. Le immagini del video hanno rimandato dav-vero ciò che le Banche di Credito Cooperativo rap-presentano per il territorio e per tutti gli stakeholders?Qui possiamo soltanto riportarne le parole:

“Il nostro sistema finanziario è crollato come uncastello di carta. Una finanza senza scrupoli e finea se stessa ha portato una crisi di fiducia che hacoinvolto in eguale misura tutti gli operatori digrandi dimensioni. Vi è stata la necessità di un so-stegno diretto dello stato. Dobbiamo dire, però,che le banche italiane sono quelle che hanno rea-gito meglio di tutti. L’euro, in questa situazione, si èrivelato prezioso.La BCC si è rivelata un modello vincente. La missio-ne delle BCC è operare a servizio dei soci e attra-verso un’educazione all’uso responsabile del dena-

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ro. È favorire investimenti senza spreco di risorse. LeBCC hanno un destino legato a doppio filo a quel-lo del proprio territorio e perseguono uno sviluppoche abbia funzione di lievito per lo sviluppo stessodel territorio.Per le BCC il futuro è crescente. Il Credito Coope-rativo, con la vicinanza ai soci e ai clienti è un mo-dello da prendere ad esempio. La nostra reputazio-ne è crescente. Anche Draghi lo ha citato come mo-dello da seguire”.Grignaschi ha poi detto:“Secondo il Presidente Azzi, abbiamo saputo ciò ac-cade perché abbiamo saputo continuare a gestire lafiducia delle persone. Una banca è grande quandoha dietro di sé tutti i numeri e le risorse necessarie.Questo per noi è possibile grazie ad un sistema digaranzie associate; cosa che ci ha permesso di in-tervenire tempestivamente in situazioni di difficoltà.Questa è un’iniziativa che tutela tutti: sia il deposi-tante che gli addetti ai lavori. La miglior garanzia èla solidarietà di sistema.Il patrimonio deve essere una leva di stabilità, devecomportare la riduzione dei rischi, deve rappre-sentare un volano di sviluppo.Il nostro motto è “Io perseguo il mio interesse insie-me al tuo”. La logica della finanza invece è Hobbe-siana: mors tua, vita mea”.

Dopo la visione interna di Grignaschi, GianlucaPuccinelli ci ha accompagnato “fuori dal sistema” in-troducendo il Professor Salvatore Rizza, e antici-pando che ciò sarebbe avvenuto anche con il Pro-fessor Renato Mannhaimer e con Marco Liera.Così Rizza espone il suo pensiero:

“Questa circostanza meritava un approfondimentodel tema, dato anche lo scenario in cui si colloca laBCC. Uno scenario risultato da politiche lassiste eda una deregolamentazione sistematica. Per dirla

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con Barman, il cittadino globale è avvolto da una so-litudine triste ed irreversibile) Abbiamo assistito aduna perdita di autorità da parte dello stato e ad unasempre maggiore idiosincrasia per le regole. Cisono diverse tipologie di fattori che hanno portato aquesto:IDEOLOGICO. Il mercato si muove in maniera au-tonoma nei confronti dello stato. Il liberismo è statauna scelta fallace perché ogni comportamentoumano è portato per natura a perseguire l’interes-se del singolo individuo.POLITICO. Incapacità di dominare il mondo econo-mico globale, dato che la globalizzazione ha biso-gno di essere imbrigliata e governata.SOCIALE. È quello più sensibile poiché ha un pesosulla vita delle comunità e dei singoli soggetti.ECONOMICO. È l’indicatore più esplicito della cri-si. Ed è anche l’aspetto più inquietante e più caricodi conseguenze.ETICO-CULTURALE. Per un po’di tempo questo fat-tore è stato completamente tralasciato. Ora, invece,sembra già arrivata l’inversione di marcia, c’è lanecessità di riaffermare regole che siano condivise.KEYNES, Secondo Robert Shiller, studioso di Yaleha individuato il problema economico più grande nel-lo sconcertante calo di fiducia degli investitori. Lebanche cercano di correre ai ripari mediante lapromozione di piani di rilancio delle attività e degliinvestimenti per le aziende.Ma la fiducia è difficile da riacquistare. Essa è un at-teggiamento verso altri o verso se stessi che risul-ta da una valutazione positiva di fatti o eventi opersone. Parte, dunque, da un senso di sicurezza.La fiducia è un sentimento indispensabile.La soluzione è una risposta etica. Così si esce dalbuio di questa tempesta. Con il testo del profeta Isa-ia possiamo chiedere: «Sentinella, che ora della not-te?». Dopo le visioni catastrofiche e l’analisi della fi-ducia persa, vorremmo potere rispondere all’inter-

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rogativo con le stesse parole della bibbia: «viene ilmattino». Cosa che conferma il titolo di questoconvegno: L’alba dentro l’imbrunire.In questo senso il sistema delle banche di creditocooperativo, pur con limiti oggettivi, derivanti dalledimensioni che le caratterizzano, costituiscono unesempio di stabilità, di trasparenza, di credibilità, difiducia custodita e rafforzata. Sono la sentinellache annuncia il mattino e che introduce l’alba dopol’imbrunire.La tentazione di lasciarsi guidare dall’enfasi della cir-costanza e dall’affetto per le BCC, è forte. Ma so didover assolvere ad un compito destinato a percor-rere un itinerario di verità, conoscenze oggettive edocumentate.È comunque indubbio che le BCC stiano tentandodi offrire un’alternativa. Diligenza, competenza,sagacia, stabilità, tutto concorre ad attribuire loro cre-dibilità e fiducia. Ma più di tutto c’è una credibilità isti-tuzionale che costituisce il patrimonio ideale e sto-rico delle BCC e che le rende autentiche risorse perla società e per lo sviluppo del paese.Questa credibilità dipende da molteplici fattori,dalle origini storiche ed ideali della banca, alla ca-pacità di rispondere alle esigenze del cliente.Le casse rurali e artigiane nascono dall’esigenza diassicurare il credito a fasce basse di popolazione (ricordiamo il caso di Lo reggia in Germania). Di lì, inpoi, c’è stato un fiorire di istituzioni che hanno coper-to l’intero territorio.La vocazione localistica delle BCC e il loro radica-mento territoriale, elemento distintivo e non occasio-nale, consente alle banche di credito cooperativo dirappresentare per il territorio stesso una risorsaperenne, non solo perché concorrono al suo svilup-po con azioni di sostegno all’attività economicadegli operatori, ma perché svolgono una funzioneculturale, interpretando i bisogni e le esigenze chevia via sono introdotti dai cambiamenti che la socie-

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tà produce. La BCC nasce nel territorio, cresce nelterritorio ed opera per il territorio.La dimensione territoriale delle BCC, estranea ad al-tri istituti di credito ( eccetto le b. popolari e le Cas-se di risparmio), le mette in sicurezza di fronte aglieventi globali come quelli che stiamo vivendo inquesti tempi.La Mission per ogni istituzione è uno degli aspetti piùimportanti. Quelle delle BCC lo è ancora di più,perché poi trova essere nella pratica.In essa trovia-mo gli elementi che la rendono un piccolo baluardodi fronte ai giganti (proprio come la storia di Davidee Golia), nell’attuale crisi mondiale. Il gigantismo nonè una tentazione delle BCC. La BCC è una bancadella comunità locale.Uno dei suoi principi è il mutualismo. Il mutualismoè l’insieme di pratiche che derivano dalla capacitàsociale auto regolativi e auto organizzativa dicreare spazi di solidarietà e reciprocità. La coope-razione è la matrice della mutualità. La Banca di cre-dito, attraverso la mutualità svolge una funzionesociale di grande importanza restituendo alla perso-na umana una opportunità per ricomporre i legamisfilacciati della solitudine prodotta dalla globalizza-zione.Voglio destinare qualche riflessione anche allamutualità di reciprocità. Quest’ultima riguarda lestesse BCC e si fonda sulle relazioni che nasconoquando una Bcc supporta una “Consorella” cheattraversa situazioni di difficoltà.Tale mutualismo direte è una strategia tesa a salvaguardare banche lo-cali e assume un valore di solidarietà.La solidarietà è l’altro nome del mutualismo e ne co-stituisce l’ethos di fondo. Dovrebbe essere coniuga-ta la solidarietà con la democrazia e pervenire ad unaltro accostamento: solidarietà democratica. Questotipo di solidarietà va oltre i gesti compassionevoli.Vorrei ricordare le parole di un paladino dellaBCC, Enzo Badioli: «La solidarietà, come intreccio

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di valori cristiani è nelle nostre coscienze, prima diessere scritta nel nostro statuto, ed è la misuracon cui regoliamo la nostra attività…».Per quanto riguarda l’etica, devo dire che la BCC hai “fondamentali” a posto. Molti principi etici a cuiconcretamente si ispirano le BCC sono presentinella carta dei valori che esse si sono date: la cen-tralità della persona, l’impegno, la cooperazione, uti-lità verso i soci, la promozione dello sviluppo loca-le verso il quale esse destinano una parte degliutili. L’attività imprenditoriale delle BCC infatti, siesplica attraverso lo strumento del “Bilancio socia-le”, che consente di fornire elementi di valutazionesull’aspetto sociale dell’attività dell’impresa. A tuttii soggetti della BCC si impone il compito di curareil collegamento con il territorio, con i soci e con i clien-ti, fornendo messaggi di serenità e di fiducia.In conclusione parliamo delle sfide e delle pro-spettive. In questo senso la peculiarità delle BCC lemette al sicuro, ed è motivo di orgoglio pensare dipoter rimanere fuori dalla tempesta. Ma bisogna co-munque approntare una cassetta degli attrezzi pertutte le evenienze.Dobbiamo porci una domanda: co-me conciliare i tratti della tarda modernità e della glo-balizzazione con i valori perenni a cui si ispira la Ban-ca di Credito Cooperativo?Gli obbiettivi e le finalità delle BCC passano attraver-so la gestione del credito, laddove il credito compor-ta la possibilità di mettere a disposizione di famiglie,persone ed imprese, le risorse necessarie per la vi-ta quotidiana e per consentire lo sviluppo di impre-se e del territorio. Ma comporta anche la raccolta el’incentivazione del denaro e di risorse.Per gli altri istituti di intermediazione bancaria, il cre-dito è ancora qualcosa di meramente commercialee speculativo. La modalità di gestione del credito del-le BCC invece, favorisce il senso di appartenenza ela conoscenza diretta e personale del cliente.Alla sfida che proviene dalla globalizzazione che la-

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scia la persona sola e indifesa, la cultura coopera-tiva della BCC offre la possibilità di una mutualità co-munitaria, e di una solidarietà democratica che faperno sulla partecipazione di tutti e sul concorso al-la costruzione del bene comune. Le relazioni uma-ne improntate alla solidarietà, l’impegno alla parte-cipazione nella cooperativa di credito e nella socie-tà per far crescere la democrazia in una visione disviluppo integrale (economico, culturale e socia-le), l’erogazione del credito e il bilancio sociale so-no gli impegni che oggi come ieri, la Banca di Cre-dito Cooperativo vive e assume.È il contributo che essa dà e può continuare a da-re in questo periodo di crisi per traghettare dall’im-brunire verso l’alba la comunità economica e lasocietà”.

Salvatore Rizza, con le sua riflessioni, ci ha riman-dato un’immagine delle Banche di Credito Coope-rativo, che ci appartiene in toto, e l’idea che una per-sona esterna, un esperto di politica sociale ci ha con-fermato che la strada che abbiamo intrapreso èquella giusta, ci stimola ad andare avanti e a perse-guire sempre con dignità e convinzione la stessa viache era stata battuta dai nostri beneamati Raiffeisen,Wollemborg, Don Cerruti e tutti coloro che hannocontribuito a fare grande – e per grande intendo nelsenso di cuore – la Banca di Credito Cooperativo.Dopo l’intervento di Rizza, Puccinelli ha presenta-to il Professor Renato Mannheimer, anticipandociche avremmo conosciuto i dati indicanti l’atteggia-mento degli italiani in relazione all’argomento delconvegno:

“Prima di tutto vorrei illustrare il rapporto degli italia-ni con il denaro. Dai dati possiamo dedurre che lamaggior parte di essi ha un rapporto conflittuale conil denaro: piace, ma se ne ha paura. Si ha paura digestirlo male.

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Gli italiani, alla domanda come sia l’uso del denarohanno risposto: “attento” per il 43%, “moderato”per il 36%, mentre solo il 21% dice che è “disinvol-to o impulsivo”.Tutti fanno un uso attento del denaro ed è proprio perquesto che la relazione con la banca è così impor-tante, in certi casi, permettetemi la battuta, dura an-che più del matrimonio. La relazione che si instau-ra è emotivamente forte perché il denaro provocasentimenti di angoscia e di ansia. Su questa relazio-ne il 29% degli italiani dicono in genere che rispar-miano tutto quello che possono, oppure che vorreb-bero risparmiare. Il 64% qualche volta risparmia.Se prendiamo i dati sul credito al consumo, ossia leinterviste poste ai commercianti, possiamo notarecome il 73% asserisce che i clienti spendono menoche in passato. Questo è dunque un momento di cri-si in cui la relazione già complicata con il denaro vie-ne ancora più rafforzata e il credito al consumoviene utilizzato come strumento di pianificazione del-le spese. Sono tutti d’accordo nel voler usare al me-glio i propri soldi. Da qui, da questo momento di cri-si, la problematica della relazione con le banche. Labanca è qualcosa di cui tutti “hanno bisogno”, è sem-pre presente, è una relazione continua. E se non siha fiducia in essa allora è un bel problema. Ciòche si può notare, inoltre, dalle interviste è che c’èla tendenza ad avere poca fiducia nel sistemabancario (l’89% degli italiani non ne ha), ma moltafiducia nella propria banca (addirittura il 95%). Il si-stema bancario in sostanza conta una fiducia piùbassa del casinò. Molti la vedono come un’entitàastratta di cui si parla sui giornali e spesso sale al-la ribalta quando fallisce.Molti ritengono la “propria” banca “differente”.Questo perché l’istituto di credito in cui ognuno si re-ca ha un posto, è un’entità fisica, ha un volto. La gen-te, nella banca, cerca una relazione. Il potere delladifferenza è straordinario. Lo slogan delle BCC è az-

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zeccatissimo. È come dire : «Voi avete una miglio-re relazione con noi». Ed è proprio dalla relazioneche dipende la fidelizzazione. La fidelizzazionenon si misura con il numero di persone che se ne va,ma con quanto vogliono restare. Quelli che voglio-no restare nella propria banca perché gli piace so-no ben il 69%. Il 68% degli Italiani, invece, se gli sichiede delle banche in generale, affermano chequeste pensano soltanto a “spillare” soldi, solo il 48%le ritiene importanti per lo sviluppo della società,mente il 38% non le ritiene rilevanti.Con l’affermazione: “per fortuna ci sono le bancheche aiutano le persone nella gestione dei risparmi”è concorde solo il 31% degli intervistati, mentre il59% ritiene che le banche in generale non aiutino lepersone.Nonostante la sfiducia nel sistema, dicevamo, ilgiudizio positivo sulla propria banca è guidato in granparte da fattori relazionali e di immagine più che eco-nomici. Tuttavia le percentuali dei giudizi positivinon sono megagalattiche. Riguardo alla propriabanca, il 50% dice: “il personale è preparato e pro-fessionale”; il 46% la giudica “efficiente”, il 44%“chiara e trasparente con i clienti”, il 42% “modernae innovativa”, il 41% “prestigiosa”. Per il 37% lapropria banca “è importante per lo sviluppo econo-mico del paese”. Solo il 29% dice che è poco cararispetto ai servizi offerti e il per 26% “sostiene inizia-tive culturali”.Per citare un esempio, l’iniziativa culturale e socia-le oggi viene considerata un plus, ma il cliente nonlo trova, forse non perché non ci sia ma perché man-ca una buona comunicazione su questo aspetto.Se gli italiani dovessero cambiare banca in maggio-ranza (38%), si rivolgerebbero ad una banca loca-le, ma anche il bancoposta attrae molto (35%)perché ha un’immagine di servizi essenziali, ma po-co cari. C’è più fiducia nel sistema postale, questoperò vale più per gli individui che per le aziende.

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Inoltre, per la grande maggioranza degli italiani(55%), la banca ideale è quella vicina al cliente. Pen-sate che la richiesta di “affetto”, supera la richiestadi chiarezza (30%).Ora passiamo alle interviste sulla BCC.Devo premet-tere che questi dati sono stati raccolti prima dell’av-vio della campagna pubblicitaria “La mia banca è dif-ferente”. Sarebbe davvero interessante vedere co-me sono cambiate le cose in seguito agli spot. Se-condo queste ricerche infatti il 68% degli Italiani o hasoltanto sentito parlare delle BCC o non le ha maisentite. Solo il 32% le conosce.Vorrei concludere con una panoramica riassuntivadelle riflessioni desunte attraverso i dati raccolti:Gli italiani dichiarano un rapporto prudente e distampo tradizionalista con il denaro; continuano amostrare un’elevata propensione al risparmio; mo-strano un livello di indebitamento ancora inferiore ri-spetto agli altri paesi; non hanno fiducia nel Siste-ma Bancario, ma conservano un’immagine so-stanzialmente positiva della propria banca, e mostra-no reticenza nel cambiarla; dichiarano di essereinsoddisfatti del supporto che la propria banca for-nisce alla società e al territorio, ma tali caratteristi-che non figurano mai nei primi fattori di valutazionedelle “banca ideale”; mostrano appeal nei confron-ti della banca locale, ma conoscono poco le BCC.In conclusione la propensione al risparmio è sem-pre forte e non abbandona le famiglie italiane nep-pure nei momenti di maggiore incertezza e pessimi-smo. La prudenza e la saggezza popolare sembra-no guidare infatti, le scelte in ambito finanziario.Tuttavia, la capacità di giudizio risulta essere mar-catamente influenzata dall’attuale pressione media-tica e da fattori di carattere emotivo: all’alone di sfi-ducia nei confronti del sistema bancario si con-trappone l’effettiva incapacità di selezionare glioperatori e cambiare le proprie scelte seguendo lo-giche di convenienza.

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Professionalità percepita e aspetti relazionali,mantengono la valutazione sulla propria banca al disopra delle pessime aspettative del comparto.La banca ideale è quella che si mostra vicina al clien-te, ma non sulla base di un generico supporto al ter-ritorio, ma dimostrando capacità di risposta allespecifiche istanze emergenti a livello locale.Infine devo dire, che noi italiani, rispetto agli ameri-cani, siamo molto più prudenti. Inoltre nel nostro pae-se singole persone hanno opinioni diverse e lebanche, in futuro verranno pesantemente seleziona-te sulla base del feeling che riescono ad instaurarecon i propri clienti”.

A questo punto Grignaschi ha presentato Marco Lie-ra, responsabile “Plus24” de Il Sole 24ore. «Offrirà– ha detto - uno sguardo a 360° sul mondo finanzia-rio e su come anche gli altri stanno vivendo e affron-tando questo particolare momento».Puccinelli è intervenuto con una battuta secondo cuialcuni ritengono Marco Liera “il Piero Angela dell’in-formazione finanziaria”.Questo l’intervento di Liera:

“Da anni ci stiamo occupando delle BCC, da tempinon sospetti, consapevoli del fatto che all’interno delsettore bancario ci deve essere diversità e plurali-smo.Vorrei fare riferimento alle origini della crisi cherisale agli anni ’90.Se Bush è considerato uno dei peggiori presidenti,Clinton passerà alla storia come uno dei migliori. Ciòprobabilmente è anche dovuto al fatto che ha ope-rato in un epoca brillante e di crescita. Ricordiamonegli anni ’90, il movimento bipartisan democratico-repubblicano e la grande libertà data agli interven-ti finanziari.È interessante vedere in che modo possa essersi dif-fusa la crisi finanziaria partendo semplicementedalla storia di tue famiglie tipo: una americana, i Joh-

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nson, e una italiana, i Rizzo.Queste due famiglie non sono mai state dipenden-ti l’una dall’altra, tranne magari durante la II Guer-ra Mondiale. La storia delle due famiglie ritorna vi-cina in occasione della crisi finanziaria. La famigliaJohnson si è rivolta ad una banca americana per unmutuo. Sono gli anni ’90, in America c’è estrema li-bertà e il mutuo viene concesso loro con un finan-ziamento del 120% rispetto al valore della sua ca-sa. È davvero un periodo generoso ed espansivo perle banche americane. Contemporaneamente anchele banche italiane stavano facendo la stessa cosa,ma non in maniera così esagerata. Ora, la preceden-te prudenza delle banche è quella che ci ha salva-to e noi italiani dobbiamo ringraziare il loro atteggia-mento.Succede che la banca americana ha cartolarizzatoi mutui. La famiglia Rizzo possiede dei titoli. L’impre-sa italiana dove lavora un componente della famigliaRizzo ha un cliente americano che di conseguenzasi serve di una banca americana.L’impresa italiana ha clienti in tutto il mondo finanzia-ti da banche americane. L’impresa italiana è finan-ziata da banche italiane. La famiglia Rizzo nonpuò più far fronte al mutuo. Accade ch’abbiamoavuto il Credit Crunch: le banche non hanno più fi-nanziato il cliente americano il quale non può più fi-nanziare, da parte sua, l’impresa italiana.La bancaitaliana, dunque, deve andare incontro alle impreseitaliane.Nel ’29, i meccanismi di propagazione della crisi era-no molto più lenti. Quello che è successo il 15 set-tembre con le Lehman, non si è riuscito a prevede-re. Si era riusciti a subodorare il pericolo derivantedai derivati, ma non il disastro delle Lehman. Il timo-re è quello di andare verso scenari sconosciuti e pe-ricolosi.Analizziamo ora la leva finanziaria negli USA, valea dire il rapporto di indebitamento di un’impresa. Le

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più patrimonializzate prima della crisi, erano leCredit Unions, cioè le BCC americane, che aveva-no una leva di 8,7; le banche commerciali avevanouna leva di 9,8; le società finanziarie di 10. Brokerse Hedge Funds sono gli elementi più deboli con unaleva vicina a 30, subito dopo ci sono Fannie andFreddies, 2 istituti di credito che vendono mutuiimmobiliari (hanno creato un buco di 5000 miliardidi dollari) con una leva che si attestava a 23,5.Questi sono erogatori di mutui semipubblici. Le rispo-ste della politica a questa situazione di indebitamen-to sono state: Iniezioni di liquidità, acquisto dei tito-li tossici, ricapitalizzazione delle banche attraversoil denaro pubblico, il supporto diretto alle famiglie mu-tuatarie, le garanzie sui prestiti bancari. A differen-za di ciò che accadde durante la crisi del ’29, que-sta volta i governi si sono mossi con tempestività. Cisono, tuttavia, delle asimmetrie. Alcuni settori ven-gono aiutati ed altri no. Per quanto riguarda l’Italia,essendo il debito pubblico molto elevato, non cisono stati e non possono esserci grandi margini diaiuto da parte dello stato.Ad ogni modo, dopo tali accadimenti ci si chiede co-me sarà il ruolo dello stato in futuro. C’è la possibi-lità che diventi pervasivo. In questo modo alcuni ipo-tizzano che potrebbe stroncare la distruzionecreativa nelle crisi. Quelle distruzioni, cioè, chepermettono di ricostruire basi più solide.I punti critici degli interventi statali, dunque, posso-no essere individuati : nelle asimmetrie domestichee internazionali degli aiuti, nel ruolo pervasivo del-lo stato nell’economia e, oltre a ciò anche in altri dueaspetti: sul fatto che oggi non c’è grande attenzioneal tema etico, all’autoregolamentazione dei grandisoggetti economici. Cosa che andrebbe assoluta-mente affrontata, e poi, infine, la scarsa attenzioneal pluralismo; bisognerebbe infatti, favorire unamaggiore diversità nell’ambito delle missioniaziendali ( per esempio, sostenendo quegli enti

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che si occupano del microcredito, che ha un sentie-ro di crescita totalmente autonomo ed è un assetclass importante, anche proprio dal punto di vistadell’investitore), una diversità nei livelli di patrimonia-lizzazione ( essa fino a qualche mese fa non era con-siderata molto positivamente. Molti esperti riteneva-no l’alto livello di patrimonializzazione una fonte dipotenziale inefficienza. In un suo studio, MercerOliver Wyman, Docente di Misurazione e Gestionedel Rischio di Credito AffermaVA: «il modello delleBCC in Europa è positivo, ma uno dei problemi èl’elevata patrimonializzazione. Bisognerebbe fargirare di più il capitale». Io a questo punto, mi sen-to in dovere di dire: Meno male che non l’avete fat-to, perché questo per voi, si è rivelato, al contrariodi ogni previsione, un punto di forza. Un altro è la di-versità nelle relazioni con i clienti ( per esempio, nonin tutte le banche ci deve essere una job rotation etc.,ma ci possono essere anche soglie di redditività bas-se). Un altro risultato del pluralismo lo possiamo ve-dere dalla performance borsistica delle banche.Qui non ci sono dati delle BCC, ma abbiamo dati dibanche minori, quali la Popolare di Sondrio e la Po-polare dell’Emilia Romagna: negli ultimi 10 anni laloro performance borsistica, dividendi inclusi annua-lizzati è stata rispettivamente del 8,3% e del 4%. Uni-credit, invece, -5,6& annualizzato e Intesa SanPaolo -3,6%.I rendimenti annualizzati total return dimostrano co-me Banche popolari e sicuramente a questo puntoanche BCC - anche se non sono quotate - , abbia-no i risultati più alti. La Unicredit e l’Intesa SanPaolo hanno puntato allo Share Value (valore per gliazionisti), al raggiungimento di un obiettivo alto,ma alla fine non si è rivelata una buona scelta, nonha dato i risultati attesi e sperati).Il pluralismo deve essere visto in modo completo.Nelmercato c’è bisogno sia di banche grandi, che per-seguano il profitto, sia di intermediari “differenti”. Az-

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zi ha fatto un ragionamento giusto quando ha affer-mato che devono esistere tutti i modelli.Il fatto che le banche non siano tutte uguali porta, in-fatti, risultati interessanti in termini di crescita degliimpieghi che al 30 Giugno 2008 per le banche pic-cole e minori, e quindi anche per le BCC, è stata del47% rispetto al Dicembre 2004, mentre per leBanche maggiori è stata del 21%. Stessa cosa peri depositi: crescita del 3% per le banche minori e so-lo del 7% per quelle maggiori.Ora, se noi andiamo ad confrontare i dati in percen-tuale del pil, valutando il debito aggregato di debi-to pubblico e privato, possiamo renderci conto chel’Italia è il paese meno indebitato. Ha un alto debi-to pubblico (nel 2007 ha superato il 100& del PIL),ma un debito privato molto basso(circa il 30% mu-tui inclusi) rispetto agli Usa e al Regno Unito. Io mipreoccupo in Italia, quando vedo che in molti nego-zi non ci sono più i prezzi, ma le rate mensili. Ad ognimodo, per fortuna, nel nostro paese abbiamo dei ri-tardi e l’economia informale rappresenta per noi uncuscinetto. Nassim Taleb, grande successo editoria-le con Studi dell’importanza del caso, ha affermatoche secondo lui in Italia la situazione è migliore ri-spetto che negli Usa, perché in America hanno latendenza ad andare tutti da una stessa parte, nel no-stro paese invece non è così. In Italia abbiamo un si-stema, anche sociale che ci invita alla differenziazio-ne di un comportamento. Quindi siamo menoesposti a crisi sistemiche. Il problema degli Usa è chel’insolvenza di poche banche ha portato all’insolven-za di molte. Ora la crisi, nei sistemi interdipendenti– e oggi tutto è interdipendente – si propaga in unattimo.Le strade dello sviluppo, quindi, sono queste:Mantenere una coerenza con la Mission aziendale( questo significa anche essere anticonformistaquando serve)Anticonformismo

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Ricerca di un capitalismo sostenibile ( cominciando,per esempio, dal fatto che i manager prendonotroppo rispetto agli impiegati)Perseguire la differenziazione senza ampliare ledisuguaglianzeFare squadra senza aumentare i rischi sistemici. (Èimportante avere un sistema mutualistico, è una stra-da rilevante perché è autonoma, ma ci vuole sem-pre la differenziazione).Stiamo assistendo ad una crisi così grande chechi pagherà alla fine sarà il contribuente, ma ciò nonavverrà per i principi mutualistici.Keynes, ideologo del New Deal che auspicava un in-tervento ragionato dello stato, grande economistaamericano diceva: “Il comune buon senso ci sugge-risce che per la nostra reputazione è meglio fallireseguendo il cammino di altri piuttosto che avere suc-cesso seguendo una strada originale”.

Dopo l’intervento di Liera, Puccinelli ha affermato cheprima di passare alla sintesi gli sarebbe piaciutoascoltare le riflessioni scaturite dagli interventi.Grignaschi ha risposto:

“Mi è piaciuto l’accento posto da Liera sul pluralismo.È una battaglia che non dobbiamo mai stancarci dicombattere”.

Franco Caleffi, Direttore Generale di Federcasse,ha ribattuto con una lunga riflessione:

“Mi spiace non aver potuto intervenuto prima.Vogliodire che il nostro è un sistema autosufficiente per cer-ti versi. Abbiamo reti di sicurezza e non abbiamo maichiesto nulla all’erario.Tutto ciò ci rende orgogliosi.Questa crisi ha confermato come la formula delcredito cooperativo in questi anni ha pagato. Plura-lismo, rete di sicurezza e una nostra identità sono 3dei nostri ingredienti basilari. La lezione fonda-

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mentale è quella che la finanza non può bastare ase stessa e noi abbiamo impostato di fronte a que-sto scenario una linea strategica che poggia si tre fi-loni:Sviluppo della mutualità interna concepita nel mo-do più avanzato, concreto ed innovativo. Questo èun aspetto fondamentale in cui la relazione con i so-ci, il loro coinvolgimento con la vita sociale e l’effet-tività della scambio mutualistico, sono tutti aspettifondamentali;Sviluppo della mutualità esterna con l’elaborazionedi nuove forme e maggiori energie nelle relazioni coni territori in cui si opera, che è anche declinata nel no-stro statuto tipo;Realizzazione di una sussidiarietà sempre più effi-cace attraverso il continuo potenziamento dellamutualità di rete.Riteniamo inoltre che solo lo sviluppo di strutture diII e III livello che forniscano beni e servizi di back of-fice sempre migliori alle nostre banche, possanoconsentire alle BCC di mantenere la loro autonomiaed essere concorrenti sui mercati dove operanoaltri intermediari finanziari.I driver, le azioni, gli strumenti efficaci da utilizzareper realizzare questi nostri obiettivi sono sicura-mente il Fondo di Garanzia Istituzionale che è unaevoluzione della nostra rete di sicurezza.Infine, un altro driver fondamentale è sicuramentequello dello sviluppo della cultura e della prassiper una mutualità competente e coerente: le inizia-tive sono molte, quella più significativa, ma chenon esaurisce il patrimonio dei nostri interventi, è laformazione identitaria. Un punto importante, inquesto senso è investire sulla cultura dei nostriamministratori, dei direttori, delle risorse che opera-no nelle nostre banche, dei neoassunti e anchedei soci che sono il nostro vero patrimonio e sui qua-li, quindi, dobbiamo puntare, facendoli partecipareattivamente alla vita della banca e sollecitano la lo-

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ro partecipazione e soprattutto lo scambio mutuali-stico con le nostre realtà”.

Puccinelli ha poi introdotto Giancarlo Pensa, del-la comunità di S. Egidio - un’associazione interna-zionale e laicale della chiesa cattolica, dedita alservizio dei più poveri dei disagiati e degli emargi-nati – dicendo: «Vogliamo portare la testimonianzadi ciò che fanno perché la Federazione ha in corsodegli accordi per confermare l’impegno mutualisti-co, non solo con i propri soci, ma prima di tutto conil territorio di cui anche noi siamo espressione».Queste le parole di Pensa:

“Io ringrazio davvero tutti. Devo dire che mi sento unpo’ estraneo in questo convegno, perché non parle-rò né di economia, né di politiche sociali. Vorreisemplicemente parlare di una storia – che mi per-metto nel nostro piccolo, di dire di successo.“L’alba dentro l’imbrunire” è un’immagine molto ef-ficace per tutta la nostra società occidentale, una so-cietà anziana. Perché se ci pensiamo bene il voltodell’uomo contemporaneo è in larga parte il volto diun uomo anziano, anzi, sempre più di una donna an-ziana.La nostra storia, è una storia che in un certo sensoandava contro il senso comune. Alla fine degli anni’60, infatti, quando è nata la comunità di S. Egidio,qui a Roma, gli anziani non andavano di moda,erano pochi, erano malati erano l’espressione di unmondo che sapeva di antico. Essi concepivano so-lo la vita di fatica, di risparmio, erano nemici del su-perfluo e fideisti nei rapporti con la vita e con la re-ligione.Negli anni ’70 avevano un’idea austera della vita,mentre attorno a loro tutto cambiava, i veri protago-nisti erano i giovani e c’era il boom economico.Tutto ciò per gli anziani aveva un effetto di grandespaesamento soprattutto per il ruolo che potevano

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ricoprire nella società.Oggi si potrebbe dire che è tutto diverso. Anzi perqualcuno ora gli anziani sono fin troppo protagoni-sti: la pubblicità li riscopre, li blandisce, si offrono pro-dotti e servizi a loro dedicati.Viene da chiedersi senon stiamo per caso costruendo una società divecchi, una sorta di gerontocrazia.Vero è che sulla condizione degli anziani la nostrasocietà sta vivendo un vero paradosso perchéconsidera la vecchiaia una forma di povertà e ne hapaura, mentre dall’altro sa che la vecchiaia è il se-gno più evidente del progresso, del successo, e nondel fallimento della civiltà occidentale.Dentro questa contraddizione si colloca la comuni-tà di S.Egidio.Essa si pone accanto e dalla parte de-gli anziani, cercando da un lato di abbattere la bar-riera della paura che isola i vecchi, e dall’altro cer-cando di dare un senso agli anni che passano facen-do sentire i vecchi utili per la società”.

Ad un certo punto Giancarlo Pensa ha lasciatoche fossero le immagini a parlare più delle parole ecosì ci ha mostrato un video che in maniera moltodelicata spiega ciò che in concreto essi fanno per glianziani. E la prima immagine è proprio quella di unasignora che afferma quando sia importante per lo-ro riuscire a restare a casa propria, tra le proprie co-se, gli oggetti di una vita. Il video spiega poi comel’impegno della comunità qui a Roma, consista,appunto, nell’assistenza a domicilio di circa 4000 an-ziani. Essa diventa un punto di riferimento per tuttiquelli anziani che aiutano a rimanere a casa, sen-za dover andare in centri per gli anziani. Il video con-tinua così:“Buon vicinato, assistenza pubblica, piccoli servizia domicilio, perché la personalizzazione dell’aiuto sipuò fare solo a casa loro. Quando non ce la si fa piùa stare a casa, abbiamo inventato la cosiddetta“casa alloggio” cioè un modello che prevede sempre

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un contesto familiare molto diverso dagli istitutiche spesso sono spersonalizzanti perché lontani danegozi, dai mezzi di trasporto, ossia lontani dalla vi-ta, espulsi dal contesto umano e da quelli urbani do-ve gli anziani vogliono vivere fino al’ultimo giorno”.

Pensa poi prosegue:

“Un’anziana in un istituto ci scrisse che ora più chemai, lei poteva essere un’amica fedele: «Se cerca-te un’amica – scrisse – venite a trovarmi, ho del tem-po e non mi disturberete, mi interessa quello chesuccede nel mondo, mi piacerebbe ascoltare i vostriracconti, parlare con voi ed avere qualcuno concui trascorrere anche solo un’ora». Noi della comu-nità vorremmo che questa diventasse la frase cheaccompagna la vecchiaia di tanti anziani e anche lanostra nel futuro”.

Dopo la testimonianza di Pensa, Gianluca Puccinel-li ha commentato quanto essa sia stata forte, capa-ce di farci riflettere. Questo ci ha fatto riflettere sultempo, su quanto sia prezioso, unico e irripetibile tan-to che bisogna sfruttare al massimo, fare del nostromeglio per spenderlo appieno nel nostro presenteed investirne una buona parte nella creazione del fu-turo migliore che possiamo.Poi, l’Amministratore Delegato Res, con un’abilemossa da scacchista ha ceduto al Presidente dott.Francesco Liberati l’onere di rispondere alle due do-mande più difficili, ma che assolutamente non pote-vano essere evitate alla luce di tutte le cose che so-no state dette. Ha chiesto:

“Domani cosa si fa? Cosa è cambiato? La rispostanon tocca a me, l’incombenza è di Liberati, cheperò avrà bisogno di suggerimenti, di un aiuto da par-te vostra.Vorrei fare un briefing: Liberati ha aperto il convegno;

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Grignaschi ha parlato di strategie, di organismo, digruppo; Rizza invece ha parlato di fiducia, di etica.Afferma che il modo per uscire da questa catastro-fica impasse finanziaria ed economica è l’etica, unmodo etico di operare: ma cos’è l’etica? A me pia-ce molto cercare l’etimologia delle parole ed hoscoperto che la prima volta che si parla di etica è inOmero. Il poeta greco in un passo scrive: «e i caval-li, stanchi, ritornarono ai pascoli etici». Etico, nellasua accezione stava a significare casa, stalla, fami-glia. E forse è proprio questo il senso di etica che sideve recuperare. Il senso di un ritorno. Un luogo eti-co è un luogo familiare dove si vuole ritornare, pro-prio come in un ristorante dove si è mangiato benee si è stati trattati bene, e le BCC in questo senso so-no etiche.Dopo Rizza abbiamo ascoltato Renato Mannheimer,divertentissimo, soprattutto quando ha parlato del-la relazione e del rapporto tra banca e cliente che oradura più del matrimonio. Mi è piaciuto soprattuttoquando ci ha mostrato come la banca ideale èquella vicina al cliente e la BCC da l’idea di questaprossimità con il loro essere vicini ai problemi deiclienti, il conoscere le loro difficoltà e cercare di ri-solverle, si suggerire delle soluzioni.Dopo Mannheimer è stata la volta di Marco Liera ilquale ci ha parlato dei meccanismi che stannodietro la crisi, ci ha parlato di quali possono esserele vie di uscita e le strade dello sviluppo parlando dipluralismo, di differenziazione. E mi è venuto inmente che la differenziazione è quella che ci fauscire dall’adolescenza, è quella che ci indica cheil bambino è cresciuto. Anche io poi, come il giorna-lista, non credo alla coppia Stato-Mercato Keynesia-na, non ci vedo una soluzione e questo è uno stimo-lo che posso darvi. Non si può lasciare la società inmano allo stato. Il benessere è qualcos’altro che vie-ne emesso dalla società civile. L’esempio lampan-te in questo senso è che coloro che volevano diven-

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tare grandi non lo sono diventati.Diceva Pascal: “ci sono nazioni che in silenzio, pia-no piano, fanno una piccola cosa dopo l’altra e poidiventano grandi senza accorgersene. Dell’inter-vento di Caleffi invece, mi hanno colpito le sue pa-role cariche d’orgoglio e il senso di appartenenza.Pensa, come ha ammesso egli stesso, è stato unavoce fuori dal coro, ma sono proprio quelli capaci distimolare più di tutti. Io ho cercato di fare una sinte-si e porvi delle domandi e credo che con il vostrocontributo Liberati potrà darvi delle risposte”.

Con le sue domande, Puccinelli è riuscito a dare vi-ta ad un bel dibattito, bello sia perché spontaneo, siaperché gli interventi sono stati tutti all’insegna di ununico vedere ed un unico sentire, di una coesione diintenti, desideri, emozioni e prospettive.Il primo a prendere la parola è stato Marcello Co-la, Presidente BCC di Palestrina:

“Parlare dopo questa illustre platea è abbastanza dif-ficile, ma voglio portare il mio contributo. Liberati haportato un messaggio di speranza, così come i fil-mati che abbiamo visto. Messaggi di speranza di unmondo migliore.Credo che in questo momento venga offerta alle no-stre banche una grande opportunità. Personal-mente non vedo l’imbrunire, piuttosto il buio pesto.Con un certo orgoglio ritengo però che il nostro si-stema sia l’alba dentro l’intero sistema bancarioitaliano perché è fatto di una serie di passaggi, di re-lazioni, di radicamento sul territorio che non hauguali. Altri cercano di imitarci, ma non ci riescono.Si può imitare un comportamento, ma non si può di-ventare come un’altra persona.Queste opportunità di crescita sicuramente saran-no notevoli. Il presidente Liberati ha ipotizzato per lanostra Federazione una crescita di 600 milioni peril prossimo anno, credo che tutte le BCC italiane pos-

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sono arrivare almeno ad una quindicina di miliardidi euro di incremento sugli impieghi. Queste non sa-ranno cifre da poco perché andranno a realizzare at-tività nei confronti di piccole e piccolissime aziendeitaliane, delle famiglie e degli artigiani che nonvengono assistiti dalle grandi banche; lo vediamo tut-ti i giorni come le richieste alle nostre banche aumen-tano. Certo questa situazione da una parte ci avvan-taggia, ma dall’altra ci crea maggiori rischi. Bisogne-rà, dunque, fare molta attenzione e cercare di coniu-gare la prudenza, come abbiamo fatto finora con l’ef-ficienza delle nostre aziende.Questo porterà ad aumentare le nostre quote di mer-cato che al momento sono ancora basse. Ne è te-stimonianza anche quanto ha detto il prof. Mannhei-mer: le nostre banche sono ancora poco cono-sciute, anche se penso che negli ultimi anni il nostroimpegno nella comunicazione presso il grandepubblico sia efficacissima, specialmente quandoviene esaltata la nostra differenza.Un’altra cosa che facciamo da sempre è l’impegnoper il territorio, perché le BCC fanno tanto per i ter-ritori in cui operano: interventi sul sociale, realizza-zione di case accoglienza, ambulanze, pozzi arte-siani, restauro di opere d’arte, ricoveri per gli anzia-ni e tante altre iniziative. Credo che nei prossimi tem-pi dovremo prepararci ad una concorrenza ancorapiù serrata”.

Dopo Marcello Cola è intervenuto Maurizio Manfrin,Direttore Generale CRA dell’Agro Pontino:

“Gianluca Puccinelli ci ha posto una domanda pro-vocatoria, ma fondamentale. Da domani cosa faccia-mo? Io ritengo che gli elementi emersi in questo con-vegno, come possibili soluzioni per affrontare lacrisi, noi li abbiamo già nel nostro DNA. Per tale ra-gione credo che tutto ciò che dobbiamo fare sia con-tinuare a fare ciò che abbiamo sempre fatto. Penso

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che dobbiamo agire con “preoccupata serenità” e altempo stesso avere la forza di trasmettere serenità.Dobbiamo mantenere il nostro rapporto con il terri-torio, nella speranza che trasmettendo questa sere-nità riusciamo ad ottenere in cambio la fiduciache, abbiamo visto anche dagli interventi dei relato-ri, è un elemento essenziale.Se le nostre banche avranno risorse per affrontarela crisi del territorio, credo senz’altro che queste deb-bano essere destinate ai soci e ai clienti del territo-rio che sono stati quelli che ci hanno fatto cresceree diventare quello che siamo”.

Cola e Manfrin hanno sicuramente saputo realizza-re una brillante sintesi non solo di ciò che è stato di-scusso al convegno, ma più che altro della sensa-zione che le parole di tutto coloro che sono interve-nuti hanno lasciato.Una sensazione, a dispetto di tutta la situazione con-tingente, positiva, di speranza, di voglia di faresempre meglio, di impegnarci sempre di più so-prattutto quando il mondo ci pone di fronte a gran-di sfide.Alla fine Puccinelli ha affermato che dopo quanto erastato detto si poteva provare a dare la soluzione, esorprendentemente ha affermato che la soluzionepoteva essere rappresentata dallo stesso Presi-dente Liberati. Ha detto: «La soluzione potrebbe es-sere Liberati stesso, lui che nei suoi quarantacinqueanni di attività, non si è mai cambiato la giacca e cheè partito dal basso per arrivare ai vertici dell’asso-ciazione. Lui che già dalla prima volta che ci siamoincontrati ho avuto l’impressione di parlare con unvecchio amico».I suoi commenti hanno certamente lusingato ilpresidente Liberati, ma quest’ultimo ha preferito ri-portare l’attenzione su di noi come banche, noiche ci identifichiamo con il lavoro che facciamo edil luogo in cui operiamo. Così è partita la sua conclu-

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sione, con queste parole:

“Noi siamo banche del territorio, noi respiriamo il ter-ritorio. Noi viviamo con le aziende e le facciamo cre-scere, creando anche posti di lavoro.Noi siamo la lin-fa dell’economia e se ne stanno accorgendo.Ringrazio tutti i partecipanti e tutti coloro che hannoportato il proprio contributo di analisi.Si è tanto parlato di crisi. Il nostro paese è il più espo-sto per quanto riguarda il debito complessivo, ma peril privato no, è vero.Tuttavia dobbiamo comunque es-sere più virtuosi, per questo il nostro impegno è an-cora più importante. Su questa strada le nostrebanche sono in prima linea. Al primo posto mettia-mo gli interessi sociali.Vediamo l’utile come uno stru-mento di sviluppo.Noi vogliamo e dobbiamo accrescere la nostra or-ganizzazione ed efficienza mantenendo sempre ilprimato della persona e lo sviluppo rispettoso del-l’ambiente.Noi siamo le banche della gente.Dobbiamo restare coesi, così come lo siamo inquesto momento e dobbiamo continuare a lavora-re sulla fiducia, perché è vero: essa è l’altra facciadella credibilità. La nostra è un risultato acquisito edun incentivo.Più ingenerale, ciò che dobbiamo auspicarci più ditutto, è un mondo a misura d’uomo dove la costru-zione del bene comune torni ad essere il principa-le obiettivo.Vorrei concludere citando le parole del Papa: «Si èsviluppato un fiume sporco che avvelena la geogra-fia della storia umana. Un fiume che ha travoltoanche l’economia e la politica in cui conta solo il pro-prio interesse. In questa fase di grande difficoltà perle famiglie, va portato in luce uno degli obiettivi pri-mari degli istituti bancari e di credito e cioè la soli-darietà – (non a caso fortemente presente nell’arti-colo 2 del nostro statuto) – nei confronti delle fasce

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più deboli e il sostegno alle attività produttive le ban-che». Noi non ci asterremo da questo compito.Ringrazio tutti. Ringrazio i relatori. Ringrazio PaoloGrignaschi e il personale della Federazione chehanno organizzato quest’evento con grande dedizio-ne”.

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