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neutrali. Quando però arrivarono i Tedeschi, basandosi prevalente- mente a Cattaro, le cose cambiarono in peggio per gli Alleati. L’entrata in guerra dell’Italia in pratica coincise con quella in ser- vizio dei sommergibili tedeschi a grande raggio; e fu un massa- cro, tanto più ampio in quanto venne scorrettamente esteso alle navi italiane, a dispetto della mancanza d’uno stato di guerra fra Italia e Germania, poiché la dichiarazione di guerra di Roma a Berlino sarebbe arrivata solo nell’estate del 1916. La situazione generale italiana era particolarmente pericolosa. Non solo mancavano le materie prime, tutte le materie prime, ma, se per raggiungere i porti inglesi c’era a disposizione la va- stità dell’Atlantico, se per quelli francesi i rischi esistevano so- lo vicino al sorgitore di destinazione, le linee di rifornimento ma- rittimo per l’Italia erano sfortunatamente assai poche e dunque facili da intercettare: da Gibilterra e da Suez; e basta. Il nemico poteva quindi operare con buone prospettive di successo; e co- sì fu. Alla fine del conflitto la marina mercantile italiana avreb- be registrato perdite per 872.341 tonnellate, collocandosi al ter- zo posto fra quelle alleate, di poco dietro alla francese, e al quarto in assoluto, visto che la neutrale Norvegia avrebbe avu- to 1.180.316 tonnellate affondate dai Tedeschi: comunque quasi uno scherzo rispetto ai 7.759.090 dell’Impero britannico. In gran parte questo disastro si doveva alle inefficaci, per non di- re quasi inesistenti, misure di protezione prese dagli Alleati, spe- cialmente britannici. Il sistema delle zone palesemente non funzionava. Nella confe- renza di Parigi dal 26 novembre al 4 dicembre 1915, il Mediterra- neo era stato diviso in 18 zone di sorveglianza, in cui, in pratica, con qualche minima eccezione qui e là – che per l’Italia era il Do- decaneso, ricadente nella zona 12, francese – ognuno era re- sponsabile delle sue acque metropolitane e coloniali. Quattro zone erano affidate all’Italia e cioè la 3, la 6, la 7 e la 18. La Zona 3 “Mare Tirreno” comprendeva le acque tra la costa ita- liana fino a Ventimiglia, Capo Corso, la costa orientale della Cor- sica, le bocche di Bonifacio, la Sardegna e la linea da Capo Spar- tivento a Trapani. La 6, “Est Sicilia-Otranto”, proteggeva le coste siciliana e continentale da Capo Passero ad Otranto, avendo co- me limiti le linee Otranto-Linguetta e Passero-Kephali, a nord di Merlera. La 7 “Mare Adriatico” era l’Adriatico a nord della linea Otranto-Linguetta. Infine la 18 “Tripolitania”, copriva la costa libi- ca dall’Egitto alla Tunisia. Come in Atlantico, anche in Mediterraneo i risultati non furono granché. Era ovvio che occorreva chiudere Otranto per ingabbia- re i sommergibili austro-tedeschi in Adriatico, ma prima di riusci- re a cambiare la strategia marittima italiana da offensiva, come propugnato dal Duca degli Abruzzi, a difensiva, come sostenuto da Thaon di Revel, occorsero mesi e ci si arrivò solo col cambio al vertice fra il Duca e l’Ammiraglio nel febbraio del 1917. Poi ci furo- no le obiezioni e la resistenza passiva degli Inglesi al progetto ita- lo-francese di chiusura del Canale d’Otranto e, nel frattempo, al- tre obiezioni erano state mosse su altri argomenti. Una era la dotazione di radio da parte dei mercantili. Che fossero utili comunque, nessuno lo discuteva; caso mai i problemi erano nel loro costo, nella difficoltà di trovarne in fretta nella quantità voluta e, infine, nel reperimento, o addestramento, dei radiotele- grafisti necessari. Il punto più difficile però era l’armamento dei mercantili. Special- mente gli Inglesi e i Francesi al principio lo rifiutavano, perché, di- cevano, rendendo i mercantili di fatto navi militari, avrebbe lega- lizzato gli attacchi tedeschi, fino a quel momento stigmatizzati co- me illecito internazionale e violazione di tutte le convenzioni, scrit- te e no. Le obiezioni, forti pure fra gli armatori, erano state supe- rate nell’ottobre del 1915, ma, di fronte ai nuovi sommergibili tede- schi armati coi pezzi da 102, i mercantili alleati erano rimasti a lun- go inermi perché mancavano i cannoni con cui armarli. La dota- zione dei mercantili di radio e di cannoni era stata stabilita nella conferenza di Parigi dell’autunno del ’15, sede in cui si era decisa un’altra misura difensiva che, alla lunga, si sarebbe rivelata vali- da: l’adozione dei convogli. In realtà il concetto era ancora embrionale. La ragione principale, spesso dimenticata ma nota fin dall’Antichità, era che il Mediter- raneo d’inverno non è un mare tranquillo. Come si era visto nell’in- vernata 1914-15, il maltempo ostacolava o impediva la navigazio- ne alle unità militari leggere, fino a quel momento addette ognuna alla protezione d’un mercantile. Di conseguenza, non avendone abbastanza da valersene in ragione di una a uno durante l’inverno o non si scortavano i mercantili o li si concentravano in convoglio, da soli e armati, o sotto la scorta d’una sola unità media perché 19 Marinai d’Italia Dicembre 2016 18 Marinai d’Italia Dicembre 2016 con risultati via via migliori. I mercantili dovevano essere silurati, ma ben presto i Tedeschi si accorsero che per la maggior parte erano poco o per niente armati e cominciarono a colarli a picco a cannonate. Si risparmiavano i costosi siluri ed erano maggiori la precisione e la celerità di tiro. Come fu la reazione alleata? Disomogenea e inefficace; ma era lo- gico. A parte il fatto che nessuno si aspettava un tale e così rapi- do sviluppo dell’arma subacquea, era difficile trovare una soluzio- ne a una tale nuova minaccia. Il 18 febbraio 1915 la Germania pubblicò il primo dei suoi tre Me- morandum di blocco, che prevedeva una guerra sottomarina tut- to sommato limitata. In quel momento da parte alleata non si sapeva ancora che fare e ci si limitava a radunare difese di ogni genere nella Manica e nel Mare del Nord. Si consigliavano ai mercantili delle rotte ritenute sicure – sistema già fallito sei mesi prima di fronte ai corsari tede- schi in Oceano Indiano – e si sprecavano risorse seguendo due sistemi diversi. I Francesi scortavano i loro mercantili. Gli Inglesi pattugliavano le acque. L’insussistenza dei risultati fu evidente. Nel periodo del primo me- morandum, cioè fino ad aprile del ’16, i sommergibili tedeschi co- larono a picco agli Alleati anglo-franco-russi una corazzata, la Formidable, sette incrociatori, una cannoniera e un sottomarino in pochi mesi. Quanto ai mercantili, ne affondarono per circa 100.000 tonnellate al mese, cifra che però poteva essere ripianata dai cantieri alleati senza troppe difficoltà. Gli Anglo-Francesi allora abbandonarono i sistemi difensivi inizia- li e adottarono il pattugliamento delle rotte. Lo eseguivano pe- scherecci di vario tipo, dotati di reti e radio. Con le prime doveva- no letteralmente “pescare” i sommergibili, con la seconda segna- larli. Erano sostenuti da cacciatorpediniere e, in teoria, tutto dove- va funzionare bene, perché le diverse unità erano abbastanza vi- cine da potersi aiutare a vicenda. Le acque atlantiche – Mare del Nord, Manica, coste francesi – fu- rono divise in zone, alcune delle quali ripartite in sottozone. Ogni zona dipendeva da un capo-zona e i capi zona sottostavano a un contrammiraglio. Lo stesso sistema sarebbe stato adottato in Mediterraneo, dove però la situazione era lievemente diversa, sia perché fino al 1915 i sommergibili austriaci, che operavano da soli, attaccavano esclusi- vamente il naviglio militare, sia per la gran quantità di coste e porti L’Italia e il quadro generale del traffico mediterraneo nella Grande Guerra Ciro Paoletti - Storico L a Marina nella Grande Guerra ebbe sostanzialmente due compiti: garantire il rifornimento del Paese – e di se stessa – e coadiuvare l’Esercito nelle operazioni terrestri. Il rifornimento era la chiave di tutto. Le Regie Navi furono impie- gate a morte, in 55 casi nel senso letterale del termine, ché tante furono le navi militari di ogni genere affondate durante la guerra, a contrastare il nemico e a proteggere le rotte e i convogli da cui dipendeva la vita del Paese e delle sue Forze Armate. Carbone, olii combustibili, materie prime, bestiame e vettovaglie viaggiavano per mare, dovevano arrivare ed essere smistati. Senza di essi non potevano agire innanzitutto le navi, poi i cantieri necessari alla flotta e all’Esercito, i treni e l’Esercito stesso; infine, non potevano sopravvivere i militari al fronte e i civili nel Paese. La situazione italiana non differiva molto da quella degli altri Allea- ti. Britannici e Francesi dipendevano dai rifornimenti marittimi e, all’inizio della Grande Guerra, le loro marine si erano trovate da- vanti a due minacce: la guerra di corsa e i sommergibili. La prima, tradizionale ed attesa, era cominciata subito e finita presto. Nono- stante i notevoli danni inferti al traffico alleato, ad esempio dal fa- mosissimo incrociatore leggero tedesco Emden, la reazione bri- tannica e imperiale era stata così rapida e forte da distruggere la minaccia entro il Natale del ’14. Ma poiché i Tedeschi erano più avanti degli Alleati in parecchi settori, proprio mentre perdevano la guerra di corsa iniziavano con successo quella sottomarina. La inaugurarono il 20 ottobre del 1914 coll’affondamento del mer- cantile inglese Glitra al largo della Norvegia e la proseguirono 1915 - Partenza dei richiamati italiani da Alessandria d’Egitto a fine giugno 1916 - Il sommergibile tedesco U 35 fotografato nel porto neutrale di Cartagena 1915 - Valona - Movimento di materiali sbarcati dalle navi italiane 1915 - Truppe britanniche ad Alessandria d’Egitto pronte a imbarcarsi per Salonicco Grande Guerra

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neutrali. Quando però arrivarono i Tedeschi, basandosi prevalente-mente a Cattaro, le cose cambiarono in peggio per gli Alleati. L’entrata in guerra dell’Italia in pratica coincise con quella in ser-vizio dei sommergibili tedeschi a grande raggio; e fu un massa-cro, tanto più ampio in quanto venne scorrettamente esteso allenavi italiane, a dispetto della mancanza d’uno stato di guerra fraItalia e Germania, poiché la dichiarazione di guerra di Roma aBerlino sarebbe arrivata solo nell’estate del 1916. La situazione generale italiana era particolarmente pericolosa.Non solo mancavano le materie prime, tutte le materie prime,ma, se per raggiungere i porti inglesi c’era a disposizione la va-stità dell’Atlantico, se per quelli francesi i rischi esistevano so-lo vicino al sorgitore di destinazione, le linee di rifornimento ma-rittimo per l’Italia erano sfortunatamente assai poche e dunquefacili da intercettare: da Gibilterra e da Suez; e basta. Il nemico

poteva quindi operare con buone prospettive di successo; e co-sì fu. Alla fine del conflitto la marina mercantile italiana avreb-be registrato perdite per 872.341 tonnellate, collocandosi al ter-zo posto fra quelle alleate, di poco dietro alla francese, e alquarto in assoluto, visto che la neutrale Norvegia avrebbe avu-to 1.180.316 tonnellate affondate dai Tedeschi: comunque quasiuno scherzo rispetto ai 7.759.090 dell’Impero britannico. In gran parte questo disastro si doveva alle inefficaci, per non di-re quasi inesistenti, misure di protezione prese dagli Alleati, spe-cialmente britannici. Il sistema delle zone palesemente non funzionava. Nella confe-renza di Parigi dal 26 novembre al 4 dicembre 1915, il Mediterra-neo era stato diviso in 18 zone di sorveglianza, in cui, in pratica,con qualche minima eccezione qui e là – che per l’Italia era il Do-decaneso, ricadente nella zona 12, francese – ognuno era re-sponsabile delle sue acque metropolitane e coloniali. Quattro zone erano affidate all’Italia e cioè la 3, la 6, la 7 e la 18. La Zona 3 “Mare Tirreno” comprendeva le acque tra la costa ita-liana fino a Ventimiglia, Capo Corso, la costa orientale della Cor-sica, le bocche di Bonifacio, la Sardegna e la linea da Capo Spar-tivento a Trapani. La 6, “Est Sicilia-Otranto”, proteggeva le costesiciliana e continentale da Capo Passero ad Otranto, avendo co-me limiti le linee Otranto-Linguetta e Passero-Kephali, a nord diMerlera. La 7 “Mare Adriatico” era l’Adriatico a nord della linea

Otranto-Linguetta. Infine la 18 “Tripolitania”, copriva la costa libi-ca dall’Egitto alla Tunisia. Come in Atlantico, anche in Mediterraneo i risultati non furonogranché. Era ovvio che occorreva chiudere Otranto per ingabbia-re i sommergibili austro-tedeschi in Adriatico, ma prima di riusci-re a cambiare la strategia marittima italiana da offensiva, comepropugnato dal Duca degli Abruzzi, a difensiva, come sostenutoda Thaon di Revel, occorsero mesi e ci si arrivò solo col cambio alvertice fra il Duca e l’Ammiraglio nel febbraio del 1917. Poi ci furo-no le obiezioni e la resistenza passiva degli Inglesi al progetto ita-lo-francese di chiusura del Canale d’Otranto e, nel frattempo, al-tre obiezioni erano state mosse su altri argomenti. Una era la dotazione di radio da parte dei mercantili. Che fosseroutili comunque, nessuno lo discuteva; caso mai i problemi eranonel loro costo, nella difficoltà di trovarne in fretta nella quantità

voluta e, infine, nel reperimento, o addestramento, dei radiotele-grafisti necessari. Il punto più difficile però era l’armamento dei mercantili. Special-mente gli Inglesi e i Francesi al principio lo rifiutavano, perché, di-cevano, rendendo i mercantili di fatto navi militari, avrebbe lega-lizzato gli attacchi tedeschi, fino a quel momento stigmatizzati co-me illecito internazionale e violazione di tutte le convenzioni, scrit-te e no. Le obiezioni, forti pure fra gli armatori, erano state supe-rate nell’ottobre del 1915, ma, di fronte ai nuovi sommergibili tede-schi armati coi pezzi da 102, i mercantili alleati erano rimasti a lun-go inermi perché mancavano i cannoni con cui armarli. La dota-zione dei mercantili di radio e di cannoni era stata stabilita nellaconferenza di Parigi dell’autunno del ’15, sede in cui si era decisaun’altra misura difensiva che, alla lunga, si sarebbe rivelata vali-da: l’adozione dei convogli. In realtà il concetto era ancora embrionale. La ragione principale,spesso dimenticata ma nota fin dall’Antichità, era che il Mediter-raneo d’inverno non è un mare tranquillo. Come si era visto nell’in-vernata 1914-15, il maltempo ostacolava o impediva la navigazio-ne alle unità militari leggere, fino a quel momento addette ognunaalla protezione d’un mercantile. Di conseguenza, non avendoneabbastanza da valersene in ragione di una a uno durante l’invernoo non si scortavano i mercantili o li si concentravano in convoglio,da soli e armati, o sotto la scorta d’una sola unità media perché

19Marinai d’Italia Dicembre 201618 Marinai d’Italia Dicembre 2016

con risultati via via migliori. I mercantili dovevano essere silurati,ma ben presto i Tedeschi si accorsero che per la maggior parteerano poco o per niente armati e cominciarono a colarli a picco acannonate. Si risparmiavano i costosi siluri ed erano maggiori laprecisione e la celerità di tiro. Come fu la reazione alleata? Disomogenea e inefficace; ma era lo-gico. A parte il fatto che nessuno si aspettava un tale e così rapi-do sviluppo dell’arma subacquea, era difficile trovare una soluzio-ne a una tale nuova minaccia. Il 18 febbraio 1915 la Germania pubblicò il primo dei suoi tre Me-morandum di blocco, che prevedeva una guerra sottomarina tut-to sommato limitata. In quel momento da parte alleata non si sapeva ancora che fare eci si limitava a radunare difese di ogni genere nella Manica e nelMare del Nord. Si consigliavano ai mercantili delle rotte ritenutesicure – sistema già fallito sei mesi prima di fronte ai corsari tede-schi in Oceano Indiano – e si sprecavano risorse seguendo duesistemi diversi. I Francesi scortavano i loro mercantili. Gli Inglesipattugliavano le acque. L’insussistenza dei risultati fu evidente. Nel periodo del primo me-morandum, cioè fino ad aprile del ’16, i sommergibili tedeschi co-larono a picco agli Alleati anglo-franco-russi una corazzata, laFormidable, sette incrociatori, una cannoniera e un sottomarino inpochi mesi. Quanto ai mercantili, ne affondarono per circa 100.000tonnellate al mese, cifra che però poteva essere ripianata daicantieri alleati senza troppe difficoltà. Gli Anglo-Francesi allora abbandonarono i sistemi difensivi inizia-li e adottarono il pattugliamento delle rotte. Lo eseguivano pe-scherecci di vario tipo, dotati di reti e radio. Con le prime doveva-no letteralmente “pescare” i sommergibili, con la seconda segna-larli. Erano sostenuti da cacciatorpediniere e, in teoria, tutto dove-va funzionare bene, perché le diverse unità erano abbastanza vi-cine da potersi aiutare a vicenda. Le acque atlantiche – Mare del Nord, Manica, coste francesi – fu-rono divise in zone, alcune delle quali ripartite in sottozone. Ognizona dipendeva da un capo-zona e i capi zona sottostavano a uncontrammiraglio. Lo stesso sistema sarebbe stato adottato in Mediterraneo, doveperò la situazione era lievemente diversa, sia perché fino al 1915 isommergibili austriaci, che operavano da soli, attaccavano esclusi-vamente il naviglio militare, sia per la gran quantità di coste e porti

L’Italiae il quadro generaledel trafficomediterraneonella Grande GuerraCiro Paoletti - Storico

La Marina nella Grande Guerra ebbe sostanzialmente duecompiti: garantire il rifornimento del Paese – e di se stessa– e coadiuvare l’Esercito nelle operazioni terrestri.

Il rifornimento era la chiave di tutto. Le Regie Navi furono impie-gate a morte, in 55 casi nel senso letterale del termine, ché tantefurono le navi militari di ogni genere affondate durante la guerra,a contrastare il nemico e a proteggere le rotte e i convogli da cuidipendeva la vita del Paese e delle sue Forze Armate. Carbone, oliicombustibili, materie prime, bestiame e vettovaglie viaggiavanoper mare, dovevano arrivare ed essere smistati. Senza di essi nonpotevano agire innanzitutto le navi, poi i cantieri necessari allaflotta e all’Esercito, i treni e l’Esercito stesso; infine, non potevanosopravvivere i militari al fronte e i civili nel Paese.La situazione italiana non differiva molto da quella degli altri Allea-ti. Britannici e Francesi dipendevano dai rifornimenti marittimi e,all’inizio della Grande Guerra, le loro marine si erano trovate da-vanti a due minacce: la guerra di corsa e i sommergibili. La prima,tradizionale ed attesa, era cominciata subito e finita presto. Nono-stante i notevoli danni inferti al traffico alleato, ad esempio dal fa-mosissimo incrociatore leggero tedesco Emden, la reazione bri-tannica e imperiale era stata così rapida e forte da distruggere laminaccia entro il Natale del ’14. Ma poiché i Tedeschi erano piùavanti degli Alleati in parecchi settori, proprio mentre perdevanola guerra di corsa iniziavano con successo quella sottomarina. Lainaugurarono il 20 ottobre del 1914 coll’affondamento del mer-cantile inglese Glitra al largo della Norvegia e la proseguirono

1915 - Partenza dei richiamati italiani da Alessandria d’Egitto a fine giugno

1916 - Il sommergibile tedesco U 35 fotografato nel porto neutrale di Cartagena

1915 - Valona - Movimento di materiali sbarcati dalle navi italiane 1915 - Truppe britanniche ad Alessandria d’Egitto pronte a imbarcarsi per Salonicco

Grande Guerra

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una lista e si stabilì di potenziare le basi di Augusta e Siracusa, al-le quali peraltro gli Italiani stavano già provvedendo. Infine, mentre tutto il traffico diretto dall’Atlantico ad Est di Adenandava spostato dal Mediterraneo alla rotta del Capo, uomini emateriali per l’Esercito d’Oriente, operante nei Balcani, dovevanofar perno su Taranto per poi attraversare il Canale di Corinto ridu-cendo al massimo il tragitto per mare. Vi furono dei miglioramenti, si cercò d’ottenerne di più, ma le dueconferenze seguenti, a Parigi nel luglio 1917 e a Londra in agosto,non portarono a nulla. Su iniziativa americana, se ne convocò un’altra ancora a Londrain settembre. Ne risultò l’adozione anche in Mediterraneo del si-stema dei grandi convogli ormai in uso in Atlantico, identificandonove rotte d’altura su cui avviarli e indicando per ognuna i requi-siti minimi di scorta e di durata. Le rotte erano Gibilterra – Genova, Gibilterra – Porto Said via Bi-serta, Gibilterra – Orano, Marsiglia – Biserta, Marsiglia – Algeri,Napoli – Biserta, Malta – Taranto, Malta – Suda e Porto Said –Suda. L’Italia era quindi collegata mediante tre porti a Gibilterra,Malta e Biserta; ma la navigazione era lenta. Per consentire unapianificazione a lungo termine e al contempo rispettare la regolaper cui la massima velocità d’un convoglio è quella della sua na-ve più lenta, i tempi previsti da Gibilterra a Genova e ritorno (e al-trettanto sia da Napoli a Biserta e ritorno che da Malta a Taranto

e ritorno) erano di 4 giorni. La differenza era che sulla rotta perGenova si avvicendavano sei scorte, mentre una bastava sulle al-tre due per l’Italia.In totale servivano 27 scorte per volta e l’impegno era gravoso.La Conferenza di Londra infatti aveva stabilito che un convogliodi 12 mercantili necessitasse di almeno sei e possibilmente ottounità di scorta, mentre ne servivano da quattro a sei per unocomposto da un minimo di quattro a un massimo di 11 mercanti-li, pur demandando alla Commissione Navale Interalleata di Mal-ta di volta in volta la decisione in merito alla formazione e scor-ta di ogni convoglio.Novembre del 1917 portò due conferenze. La seconda fu a Ro-ma, il 20, quando i preoccupatissimi esponenti delle marine al-leate, venuti a chiedere che stesse succedendo dopo Caporet-to, vennero tranquillizzati dalla resistenza sul Piave e dalla con-servazione del controllo dell’Alto Adriatico appena dimostratacon l’azione di Cortellazzo. La prima conferenza si era svolta il 14 e 15 novembre a Londraed aveva visto un’iniziativa alleata abbastanza scorretta, nata daun dato preoccupante. Si stimava per il periodo dal 1° novembre1917 al 1° marzo del 1918 una perdita di 2.000.000 di tonnellate,

compensata da sole 870.000 tonnellate di naviglio nuovo america-no. Dal 1° marzo 1918 la situazione sarebbe stata risolta dal rag-giungimento del pieno regime industriale americano, con una pro-duzione mensile di 350.000 tonnellate, a cui se ne sarebbero ag-giunte altre 150.000 al mese fatte in Gran Bretagna, con un saldopositivo di 100.000 rispetto alle perdite attese. Il problema era: do-ve trovare le 1.130.000 tonnellate necessarie a compensare subi-to le perdite dell’imminente quadrimestre novembre 1917 – marzo1918? Adoperando il tonnellaggio neutrale, calcolato in un milionee mezzo di tonnellate. Si trattava quindi di obbligare Spagna, Olan-da, Svezia e Danimarca a cedere il proprio naviglio e si pensò per-fino di minacciarle di negare loro i rifornimenti per sopravvivere.Ci sarebbe voluto tempo, perciò si decise di passare brevi manualle requisizioni delle navi già nei porti alleati, con un particolareocchio al ghiotto boccone delle 400.000 tonnellate di naviglio olan-dese fermo nei porti americani e con l’ipocrita scusa che si sareb-be comunque rispettato il principio di lasciare a ogni neutrale iltonnellaggio che gli era strettamente necessario, perché, si disse,quello necessario navigava, perciò quello fermo nei porti era evi-dentemente superfluo! Lo si fece e fu un massacro. I Tedeschi non si fecero scrupolo esilurarono il silurabile, col risultato di mandare a fondo 243.707tonnellate alla Danimarca, 211.969 all’Olanda, 168.391 alla Spagna,201.276 alla Svezia e le già citate 1.180.316 alla neutrale Norvegia,

che da sola perse più di Francia, Belgio e Russia messe insieme,cioè più di tre Stati in guerra fin dal 1914. L’Italia, stando al Ministero della Marina, perse, nell’arco del con-flitto, navi mercantili per 872.341 tonnellate, di cui 630.362 in Medi-terraneo. Nei sette mesi di guerra del 1915, con una lotta sottoma-rina ancora allo stato embrionale, si persero 36.304 tonnellate, conuna media mensile di tonnellaggio affondato di 12.101,3. Nel 1916si salì a 223.504, con una media di 18.625,3 e nel 1917 239.633 allamedia mensile di 19.969,4. Il 1918 vide finalmente una flessione:130.921 tonnellate perse, alla media di 13.092,1 al mese, che co-munque non era poco. Le rimanenti 241.000 tonnellate perse colarono a picco preva-lentemente in Atlantico, comunque “fuori dagli Stretti” di Sueze Gibilterra.Fu un salasso notevole, le cui conseguenze la Regia Marina riu-scì a limitare con un’attenta opera di risparmi, ottimizzazioni e in-tegrazione fra nave e rotaia, contribuendo in modo silenzioso mafondamentale alla vittoria.

nnn

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due o tre mercantili armati potevano sostenersi a vicenda controi sommergibili, che di norma operavano da soli.Per rendere più efficace questa scelta, bisognava anche ridurre ilpiù possibile i mercantili in moto; e le due o tre navi del convoglioandavano caricate al massimo. La minaccia subacquea però non cessava. Per un breve periodosembrò ridursi ma quando si arrivò alla Conferenza di Malta delmarzo 1916 si riconobbe che le forze antisommergibili alleatenon bastavano e che poteva convenire intensificare il pattuglia-mento, mettere in comune le rotte, mantenere, pure coi capitanimercantili, il più stretto segreto in merito ad esse, tenere accesisolo i fari più grandi e spegnere i fanali di via dei piroscafi. Nonservì a nulla, o quasi.Il 1916 fu un anno micidiale. In aprile la Germania pubblicò il suosecondo memorandum sulla guerra sottomarina. In teoria si at-teneva alle norme del diritto di preda, di fatto allentava ancora dipiù le regole del primo memorandum, cioè ampliava lo spettrodei bersagli. Questo secondo memorandum, che rimase in vigore fino al feb-braio del ’17, vide un’impennata degli affondamenti giunti a3.000.000 di tonnellate in dieci soli mesi, con un’inquietante pro-gressione verso le 400.000 mensili, media dell’ultimo trimestre.Una delle ragioni erano le rotte fisse mediterranee: i sommergibi-li sapevano che, appostandovisi, prima o poi qualcosa avrebberoaffondato; e avevano ragione. Nel primo semestre del 1916 il nemico colò a picco in Mediterra-neo 120 mercantili a vela, misti o a vapore, neutrali o alleati, per un

totale di 280.000 tonnellate.Nel secondo semestre, cioènel pieno del secondo me-morandum tedesco, le perdi-te salirono a 289 unità, per untotale di 458.100 tonnellate.Più esattamente, i neutralipersero cinque velieri e 27piroscafi, per un insieme di37.600 tonnellate; gli Alleati80 velieri, pari a 33.900 ton-nellate, e 145 piroscafi, per

349.000 tonnellate, per complessive 257 unità e 420.500 tonnellate.Adesso i cantieri alleati non erano più in grado di ripianare le per-dite e ci si riusciva a malapena acquistando navi presso quellineutrali. Sapendolo, i Tedeschi nell’inverno 1916-17 decisero dipassare alla guerra sottomarina totale, senza restrizioni, affon-dando senza preavviso anche le navi neutrali se in acque dichia-rate bloccate e, per maggior sicurezza, dichiararono bloccato l’in-tero Mediterraneo. Da quel momento, qualsiasi imbarcazione, pu-re un pattino carico di bimbi, poteva essere silurato senza preav-

viso da un sommergibile tedesco. Ovviamente le perdite di navi-glio alleato aumentarono a dismisura dappertutto. A febbraio del1917 colarono a picco 540.000 tonnellate, in marzo 570.000 e inaprile, secondo gli Alleati, 860.000, mentre i Tedeschi ne vantava-no 1.175.625. Le Marine alleate si riunirono ancora una volta in gennaio a Lon-dra, ma non presero provvedimenti, e di nuovo in aprile a Corfù. Vista la mala parata, la Regia Marina aveva fin da gennaio del ’17ordinato la navigazione in convoglio – sempre di non più di tre na-vi – lungo rotte costiere da Gibilterra ai porti dell’Alto Tirreno e in-tensificato il pattugliamento per quanto possibile. I risultati furonogiudicati non cattivi, perciò non fu una sorpresa se, in aprile, laconferenza interalleata di Corfù decise di adottare la navigazioned’altura in convoglio, la navigazione costiera con pattugliamentointensificato delle rotte e di darsi il più possibile alla navigazionenotturna, recependo le disposizioni già prese dalla Regia Marinaed estendendole a tutte le altre marine. Venne pure deciso d’aumentare i porti designati come rifugio, mu-nendoli di reti di sbarramento ed artiglierie costiere; se ne fece

1916 - Mercantili - Vapori tedeschi rifugiatisi nei porti italiani nel 1914 e sequestrati dall’Italia nel 1916

1917L’affondamento

d’un piroscafoinglese siluratoin Mediterraneo

da un sommergibiletedesco

1916Passaggio di truppe alleatedirette al fronte di Saloniccoattraverso il Canale di Corinto

1916 - Trasporti - Sbarco a Genova di quadrupedi provenienti dall’America 1918 - Telfer - Teleferica ferroviaria per il trasporto di carni congelate alla Spezia

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