L’internazionalizzazione delle imprese...
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L’internazionalizzazione delle imprese italiane
Ancona – 19 maggio 2011
Dati di sintesi, strategie organizzative e modelli di management
L’internazionalizzazione produttiva delle imprese italiane
� Fenomeno complesso e differenziato sia per natura che per rilevanza economica
Ancona – 19 maggio 2011
� Include varietà di forme intermedie tra le esportazioni e gli investimenti diretti esteri.
� Da accordi commerciali o tecnico-produttivi, a jointventure, fino a investimenti greenfield che prevedono la nascita di nuove imprese all’estero ad opera di imprenditori italiani.
L’effetto della crisi
2007 - 2008Incremento %
2003 -2007Incremento % (media)
Numero filiali 2,3 3,6
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Addetti 2,5 3,0
Fatturato 4,2 9,7
Fonte: Rapporto ICE 2009-2010. L’Italia nell’economia internazionale.
La presenza in Europa
� L’Europa è l’area in cui si concentrano sia le scelte di internazionalizzazione produttiva. Nel 2008 il fatturato delle partecipate italiane in Europa è stato il 69,4% ( 71,4% nel 2003).
� Oltre la metà (53,6%) delle partecipate italiane all’estero ha
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� Oltre la metà (53,6%) delle partecipate italiane all’estero ha sede nell’Unione Europea ma il loro volume d’affari si è ridotto passando dal 65,2% del 2003 al 62,9 del 2008.
� Si è osservato uno spostamento verso i Paesi Europei esterni all’UE, principalmente Europa centro orient ale, che rappresentano, nel loro insieme, la seconda area più rilevante per gli investimenti italiani all’estero dal punto di vista degli addetti (13%).
Fonte: Rapporto ICE 2009-2010. L’Italia nell’economia internazionale.
La presenza nel resto del mondo� Gli incrementi di fatturato più sostenuti sono stati registrati dalle affiliate
in Africa settentrionale (dall’1,7% nel 2003 al 4% nel 2008), a fronte di una stabilità del numero di iniziative e addetti.
� L’America centro-meridionale è la seconda area più importante per volume di affari, con una quota di fatturato pari al 9,9% del totale (era
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volume di affari, con una quota di fatturato pari al 9,9% del totale (era l’8,3% nel 2003).
� Il deprezzamento del dollaro può aver influito sulla flessione della quota di fatturato delle succursali localizzate in America settentrionale , passata dal 9,7% del 2003 al 7,5% del 2008
� L’Asia (centrale e orientale) ha registrato significativi tassi di crescita in tutti e tre gli indicatori
Fonte: Rapporto ICE 2009-2010. L’Italia nell’economia internazionale.
Internazionalizzazione e dimensioni d’impresa
� La gran parte delle imprese investitrici sono grandi ; (75,5% degli addetti e 86,9% del fatturato delle partecipate all’estero).
� Particolarmente in Africa settentrionale, hanno una quota di fatturato superiore alla quota di addetti. Sempre più importante l’Industria
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superiore alla quota di addetti. Sempre più importante l’Industria estrattiva (settori capital intensive).
� Le imprese medie , (“quarto capitalismo”) tra 50 e 249 addetti, hanno importanti tassi di crescita. Nel 2008 complessivamente impiegano il 17,8 degli addetti all’estero e producono il 9,4 di fatturato (settori labour intensive).
� Le piccole imprese hanno un ruolo marginale
Fonte: Rapporto ICE 2009-2010. L’Italia nell’economia internazionale.
Cosa viene internazionalizzato
� Oltre l’80% delle imprese ha spostato all’estero attività precedentemente svolte al proprio interno .
� Circa il 40% delle imprese ha trasferito attività prima svolte per loro conto da sub-fornitori , mentre il 16% ha trasferito attività svolte da altre imprese del gruppo .
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altre imprese del gruppo .
� Il trasferimento all’estero interessa più le attività produttive (5,9% delle imprese) che le funzioni aziendali (4,4%).
� Le funzioni aziendali più frequentemente trasferite sono: il marketing, le vendite e i servizi post-vendita, la distribuzione e la logistica e i servizi amministrativi, contabili e gestionali.
Le motivazioni verso l’internazionalizzazione
Motivazioni principali sono la riduzione del costo del lavoro (65,4%) e gli altri costi d’impresa (60,1%), ma anche la volontà di accedere a nuovi
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mercati (59,4%).
In generale, si conferma la minore propensione all’internazionalizzazione dei servizi (2,2%) rispetto all’industria (8,6%) .
Principali barriere all’internazionalizzazione
I principali fattori di ostacolo all’internazionalizzazionesono:
� apparati legali ed amministrativi locali (60%)
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� apparati legali ed amministrativi locali (60%)� instabilità socio-economica del Paese estero prescelto
(54%)� limitata capacità manageriale e inadeguate conoscenze
tecniche dell’impresa (53%)� incertezza sugli standard produttivi internazionali (53%)� valutazione errata dei costi di trasferimento (53%)
Scelte organizzative
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Scelte organizzative tra autonomia e integrazioneAutonomia� Local Responsiveness
� Differenziazione
� Localizzazione
� Scelte manageriali : Assunzione del management della subsidiary; Cambiamenti organizzativi interni; Entrata in nuovi business nel Paese;
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Cambiamenti organizzativi interni; Entrata in nuovi business nel Paese; Investimenti diretti nel Paese; Introduzione di nuovi prodotti
Integrazione� Coopetition
� Globalizzazione
� Scelte manageriali : Meeting interni alla subsidiary; Meeting tra subsidiaries e headquarter; Scambio di conoscenze tra subsidiaries; Assunzione di responsabilità diverse da parte del personale della subsidiary; Meccanismi di coordinamento e controllo
Fonte: Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative -
Scelte organizzative tra autonomia e integrazione
ALTABASSAINTEGRAZIONE
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MULTIDOMESTICA TRANSNAZIONALE
INTERNAZIONALE? GLOBALE
ALT
AB
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Fonte: Harzing, 2000, in Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative
Strategie di internazionalizzazioneStrategia Multidomestica (Porter, 1986)
� L’impresa opera su scala internazionale ma le politiche adottate in ogni paese sono indipendenti
� Forte autonomia delle subsidiaries� Le attività estere sono gestite secondo logiche di gestione finanziaria di portafoglio� L’Headquarter svolge funzioni di allocazione di risorse e di controllo
Strategia globale (Bartlett e Ghoshal, 1989)
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Strategia globale (Bartlett e Ghoshal, 1989)� L’impresa considera il mercato mondiale come un unico mercato
� Forte coordinamento delle attività
� Obiettivi di efficienza e riduzione costi� Elevata standardizzazione per conseguire economia di scala
Strategia transnazionale/multifocale (Doz, 1986)� L’impresa persegue obiettivi di flessibilità ed efficienza
� Superamento dei confini nazionali per sfruttare economie di scala� Mantenimento di capacità di rispondere a interessi e preferenze nazionali
Fonte: Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative
Modelli organizzativi di imprese internazionaliFederazione decentralizzata
�Decentramento di attività e responsabilità alle subsidiaries�Attività estere considerate come portafoglio di imprese indipendenti�I controlli tra HQ e subsidiaries sono di natura finanziaria
Fulcro centralizzato �Forte centralizzazione alle attività�Forte coordinamento delle attività, delle risorse e delle responsabilità
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�Forte coordinamento delle attività, delle risorse e delle responsabilità
Rete integrata�Specializzazione delle subsidiaries:�Trasferimento di funzioni precedentemente affidate a HQ (functional
headquarters)�Il centro si focalizza su coordinamento, ricerca di sinergie, riduzione di
duplicazioni e funzioni di controllo e allocazione delle risorse�Forte interdipendenza attraverso:
• Superamento della struttura gerarchica verticale• Introduzione di meccanismi di coordinamento trasversali e informali
Fonte: Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative
Ruolo delle subsidiaries all’interno di una rete integrata
LEADER STRATEGICOSviluppa la strategia con HQ
CONTRIBUTORHa competenze specifiche che viene sfruttata su altri mercati
ALTO BASSO
ALT
ORILEVANZA DEL CONTESTO LOCALE
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IDIA
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mercati
ESPLORATOREAgisce da sensore in aree strategica ed è la base per creare eventuali “teste di ponte”
ESECUTOREContribuiscono a generare fondi o realizzare economie di scala o di scopo
Centri d’eccellenza
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Fonte: Bartlett e Ghoshal, 1989
La tendenza verso la eterarchia
L’eterarchia è l’assetto verso cui si stanno orienta ndo molte imprese operanti su base internazionale (Hypermodern MNCs)� Ricerca della massima diffusione geografica� Rilevanza dei meccanismi di coordinamento di natura non gerarchica
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Struttura non gerarchica intesa come insieme di cen tri e non come un centro con una vasta periferia
� Ogni unità è allo stesso tempo centro e coordinatore globale per alcune attività e unità di distribuzione periferica per altre.
� Le subsidiaries hanno un ruolo strategico non solo per se stesse ma anche per l’impresa nel suo complesso.
Il vantaggio competitivo non risiede né solo nel P aese /Mercato né in un particolare asset ma proprio nella estensione global e dell’impresa.
Fonte: Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative
La tendenza verso la eterarchia
I tratti emergenti sono:� Abbandono di tratti gerarchici a favore di logiche di organizzazione di
tipo reticolare� Attenuazione del ruolo del centro e diffusione di architetture
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� Attenuazione del ruolo del centro e diffusione di architetture policentriche
� Affermazione di fenomeni di “internazionalizzazione di secondo grado” ossia promossi dalle subsidiaries
� Attenzione non solo alla rete interna (HQ-subsidiaries) ma anche alle reti esterne (subsidiaries embedded in contesti locali).
� Fondamentale ruolo dell’ICT come strumento di integrazione e controllo
Fonte: Alberto Onetti , L’internazionalizzazione: modelli e strategie organizzative
Quale management per l’internazionalizzazione
“Diventare manager globali” (Istud, 2005)
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� 150 Dirigenti� 68 Aziende multinazionali
Chi ha partecipato
� Dirigenti responsabili di filiali o Business Unit di gruppi multinazionali in Italia
� Dirigenti di medio-grandi imprese coinvolte in processi di globalizzazione
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processi di globalizzazione� Dirigenti responsabili o coordinatori di funzione
operanti in gruppi di lavoro internazionali � Dirigenti con incarichi di coordinamento worldwide
all’interno delle strutture centrali di un gruppo multinazionale
Alcuni risultati
La ricerca ha evidenziato un disorientamento complessivo:
� Modifica dei sistemi di interesse di riferimento, che stanno indebolendo incisività e autorevolezza
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stanno indebolendo incisività e autorevolezza� Esigenza di un rapido ricambio di modelli culturali e
operativi per far fronte ai nuovi scenari geopolitici� Rischio di appiattimento e sudditanza passiva a regole
del gioco esterne
I punti di forza dei manager italiani
� Capacità di innovare , governando diversi schemi di pensiero e fornendo diverse alternative valide e utili alla comprensione di un problema
� Capacità di allargare le prospettive di riferimento
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� Capacità di gestione della complessità
� Capacità di rispondere alle emergenze e gestirle
Fonte: Diventare manager globali, Fondazione ISTUD, 2005
I punti di debolezza dei manager italiani � Scarsa mobilità, bassa disponibilità a muoversi� Difficoltà linguistiche� Alta attenzione al contesto (strategia, politica) rispetto
a bassa attenzione al ‘testo’ (pianificazione, execution, processi organizzativi)
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processi organizzativi) � Deficit di pragmatismo� Ambiguità nella comunicazione� ‘Grandi solisti’, non grande scuola
Fonte: Diventare manager globali, Fondazione ISTUD, 2005
Il panel Aspen conferma i nostri dati
� Aspetti positivi: Flessibilità, adattabilità, capacità di dialogo, capacità a gestire il conflitto
� Aspetti negativi : inaffidabilità, scarsa capacità organizzativa, burocrazia, scarsa trasparenza, scarsa attitudine a
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burocrazia, scarsa trasparenza, scarsa attitudine a riconoscere il merito
� In particolare i caratteri negativi vengono anche attribuiti al sistema politico-economico italiano nel suo complesso, cosa che produce un negativo effetto alone.
Fonte: Aspen Institute Italia, 2010
Le caratteristiche di un manager globale� Integrità
� Capacità di gestire lo stress
� Capacità di visioning (sia sul breve sia sul lungo termine)
� Flessibilità, apertura mentale
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� Flessibilità, apertura mentale
� Ottimismo, approccio positivo
� Consapevolezza del proprio valore
� Consapevolezza di potere/volere cambiare il sistema (attitudine all’innovazione)
� Capacità di accettare la sconfitta
� Coraggio
Fonte: Diventare manager globali, Fondazione ISTUD, 2005
Le capacità di un manager globale
Insieme alle caratteristiche indicate sono necessarie alcunecapacità specifiche
� vivere in un contesto internazionale senza provare sensazionidi inferiorità
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di inferiorità� collaborare con persone di estrazione culturale diversa
riconoscendone il contributo e sapendolo valorizzare� prendere decisioni e controllare� leadership (verso i colleghi e verso i clienti)� negoziare e dialogare con i governi locali e gli stakeholder di
riferimento
Fonte: Diventare manager globali, Fondazione ISTUD, 2005
Le domande aperte
� Esiste un modello organizzativo più congeniale alle imprese italiane che si internazionalizzano?
� Quali competenze sviluppare nei manager italiani
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� Quali competenze sviluppare nei manager italiani per favorire l’internazionalizzazione delle imprese?
� Come sviluppare un approccio multiculturale nei nostri manager?