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Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci A.D.Ele. Provincia Autonoma di Trento Commissione provinciale Associazione Donne Elettrici Assessorato alle pari opportunità per le pari opportunità tra uomo e donna Atti del ciclo di incontri ottobre-novembre 2004 Provincia Autonoma di Trento Assessorato alle pari opportunità

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Atti del ciclo di incontri ottobre-novembre 2004

Provincia Assessorato

Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci

A.D.Ele.

Provincia Autonoma di Trento Commissione provinciale Associazione Donne Elettrici Assessorato alle pari opportunità per le pari opportunità tra uomo e donna

Autonoma di Trento alle pari opportunità

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Provincia Autonoma di Trento

Assessorato alle pari opportunità

Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci

Atti del ciclo di incontri ottobre-novembre 2004

Trento, 2005

Giunta della Provincia Autonoma di Trento

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I dati parlano chiaro: sono ancora decisamente poche le donne che occupano spazi e ruoli significativi nei luoghi istituzionali e decisionali pubblici.

In Trentino, ad esempio, la presenza femminile negli organi di governo, sia a livello provinciale sia comunale, ha avuto un andamento altalenante senza mai riuscire a raggiungere proporzioni considerevoli: la percentuale di elette nel Consiglio provinciale, ad esempio, è stata massima nelle elezioni del 1998 quando ha raggiunto il 14,3%; nello stesso anno la percentuale di elette nei Consigli comunali è stata del 13,4%.

E’ indubbio che continuino a sussistere difficoltà, da parte delle donne, a trovare forme soddisfacenti di relazione e partecipazione alle attuali espressioni e modalità organizzative della politica istituzionale. Non si può dire quanto la scarsa presenza femminile nel pubblico derivi da pregiudizi sociali e culturali o dipenda piuttosto da un’autoesclusione da parte delle donne stesse, o addirittura, come sostenuto da qualcuno, si possa trattare di una vera e propria critica femminile alla politica istituzionale.

D’altro lato, è altrettanto evidente che esiste un “bisogno” di politica delle donne, un bisogno complesso ma irrinunciabile che si concretizza in una domanda di attiva e piena cittadinanza; del resto è la stessa democrazia che esige una maggiore presenza femminile nei luoghi della rappresentanza.

Partendo dall’esigenza di ricercare azioni e proposte adeguate a sostenere un percorso di avvicinamento delle donne ad una dimensione pubblica, l’Assessorato provinciale alle pari opportunità, la Commissione provinciale pari opportunità e l’Associazione Adele hanno deciso insieme di offrire alcune prime sollecitazioni che possano costituire forza e potere alle donne interessate all’agire nelle istituzioni, indicando possibilità concrete di inserirsi nel circuito politico pubblico.

L’idea è anche quella di facilitare momenti di riflessione comune sul significato e sul valore della politica, sulle modalità di partecipazione e sulle possibili strade da percorrere per essere presenti nel terreno politico non in termini minoritari o come “specie protette”, ma con autorità e capacità di influenza.

l’Assessore provinciale alle pari opportunità, Iva Berasi la presidente della Commissione pari opportunità, Annelise Filz la presidente di Adele, Cristina Bertotti Valer

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Indice Autostima: convincersi di essere capaci……………………………………..7 di Cornelia Dell’Eva L’amministrazione dell’ente pubblico: cos’è……………………………….10 di Livia Ferrario Che “genere” di potere………………………………………………….……...29 di Roberta Osso Approfondimento: Relazione sugli esiti dei questionari di valutazione……………………….39 a cura di Barbara Poggio

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Autostima: convincersi di essere capaci

di Cornelia Dell’Eva Inaugurando la serie di conferenze sul tema “Donne e politica” con una serata dedicata all’autostima si è lanciato un messaggio chiaro: la serie di incontri non si proponeva come una semplice scuola informativa sul mondo della politica ma mirava a coinvolgere da vicino le partecipanti. L’autostima è una categoria intima e personale, tanto che molte hanno pensato che a condurla fosse una psicologa. Nonostante la mia professione sia di tutt’altra natura, mi è parso importante cogliere questo invito al coinvolgimento personale ed ho quindi pensato di proporre non tanto una conferenza quanto piuttosto un itinerario di tre ore che potesse essere un primo passo verso una valutazione sistematica dei propri punti di forza e delle proprie debolezze.

Il primo incontro, quello di Telve Valsugana, è stato fondamentale: è emerso chiaramente che il pensiero di non essere capaci, di non sentirsi all’altezza, trattiene molte donne dal fare politica; accanto a questo la convinzione che la politica segua regole e tempi pensati al maschile, per cui le donne fanno fatica a starci dietro.

La domanda di fondo che ha accompagnato il lavoro delle successive serate è stata: cosa ho io da mettere a disposizione della politica?

E’ stato innanzitutto importante chiarire cosa si intende con “politica”. La parola fa talvolta paura di per sé, ma nelle discussioni è emerso che la politica è molto più vasta di quanto si pensa, tanto vasta che, volenti o nolenti, coinvolge tutti e ciascuno. “Si fa politica anche andando a fare la spesa, o iscrivendo i figli ad una scuola pubblica piuttosto che privata, facendo le vacanze in un luogo ed in un modo piuttosto che in un altro” è stato più volte ribadito. Ecco dunque dove affonda le radici la necessità (il “dovere” recitava il titolo del ciclo di conferenze) di esserci. Anche perché la politica, intesa come cura del bene comune, si aggancia bene alla cura della famiglia e della comunità, da sempre appannaggio delle donne.

A questo punto un altro grosso interrogativo si poneva in tutta la sua importanza: quali sono le caratteristiche di cui si deve disporre per entrare nel modo della politica, magari senza esserne schiacciate (e schiacciati)?

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Sullo sfondo di queste domande abbiamo cominciato a lavorare sui profili di personalità. Quello che ho proposto è un semplice schema che fa riferimento ai quattro caratteri principali già individuati dai filosofi dell’antica Grecia: il collerico, il sanguigno, il flemmatico ed il melanconico. Ognuno di questi profili possiede caratteristiche proprie, diverse potenzialità e differenti debolezze. Cercando una maggiore chiarezza ed aderenza al lessico cui oggi siamo abituati, abbiamo parlato di carattere dominante, intraprendente, costante e scrupoloso.

Chiaramente si tratta solo di uno schema, che in nessun modo si propone di descrivere le persone in modo esaustivo. E’ praticamente impossibile che qualcuno si riconosca in uno solo di questi profili; ed infatti al termine del lavoro ogni partecipante disponeva di un disegno che cercava di dare conto della mescolanza di caratteri che compongono la sua personalità. Un risultato non da accettare come una verità, quanto piuttosto da accogliere come uno spunto di riflessione.

In genere chi ha avuto la pazienza di seguire il lavoro proposto finiva con il riconoscersi nel profilo che aveva tracciato riportando schematicamente i risultati ottenuti in un sistema di ascisse ed ordinate. E poi emergevano interessanti conferme: nell’incontro di Mezzocorona, per me più faticoso di altri, è risultato che la maggioranza delle presenti aveva un carattere dominante; solitamente chi riteneva di “non essere all’altezza” di entrare nel mondo della politica risultava avere una forte componente scrupolosa, ovvero tendente al perfezionismo; diverse donne che hanno già fatto politica sono risultate nel complesso piuttosto costanti; le intraprendenti, prevalenti nell’incontro di Trento, dichiaravano di avere effettivamente poco timore di fronte all’ipotesi di rivestire un ruolo pubblico.

Ognuno di questi caratteri presenta, come detto, forze e debolezze; le abbiamo illustrate nel corso della serata, e procedendo nell’analisi dei caratteri si cercava di individuare quale fosse il carattere più adatto alla politica. I risultati raccolti all’incontro di Cavalese hanno dimostrato che non esiste un profilo del politico ideale: i due sindaci presenti hanno ottenuto profili di personalità opposti; uno è risultato essere dominante e intraprendente, l’altro costante e scrupoloso. Come dire: ognuno ha delle caratteristiche che vale la pena mettere a servizio del bene comune, ognuno può avere successo in politica.

I due sindaci in questione erano due uomini, tra i pochi che hanno partecipato a questi incontri proposti a tutta la popolazione. Un paio di uomini erano presenti anche a Tione, ma non hanno voluto partecipare attivamente. Stando a quanto hanno dichiarato durante la serata è opinione diffusa (in modo preoccupante) che il ruolo delle donne in politica sia un …“problema di donne”.

Dagli incontri del ciclo “Donne in politica” sono emerse in continuazione due categorie che trascendevano la contrapposizione uomo-donna: si è parlato molti di principio maschile e principio femminile che, tradotti nell’argomento delle serate, corrispondono ai modi maschile e femminile di vedere e vivere la politica. “Spesso le donne che fanno politica finiscono con il non rappresentarci”, hanno sottolineato le partecipanti di Cles; “Va a finire che diventano

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peggio dei maschi” facevano eco quelle di Ala. Lungi dall’incagliarsi su queste affermazione, la riflessione dei gruppi proseguiva mettendo in luce la solitudine che spesso minaccia coloro che si assumono un ruolo pubblico. Le donne già impegnate e magari già elette hanno chiesto a gran voce un maggiore appoggio da parte delle altre: “Fatevi sentire, protestate se non vi sentite rappresentate, aiutateci a tenere presente il mondo femminile! Perché movendosi in un ambiente tutto al maschile come quello della politica si rischia effettivamente di lasciarsi confondere”.

Insomma, nella politica c’è posto per tutte, per le donne che hanno voglia di assumere un ruolo pubblico e di affrontare la sfida della campagna elettorale (e ci si augura che siano sempre di più), come di quelle che lavorando dietro le quinte rendono più incisivo il lavoro delle prime. Quale è il ruolo di ciascuna? Dipende dalle attitudini personali, dal momento che ci si trova a vivere, dal gruppo da cui ci si sente appoggiate e da molto altro ancora. L’importante è porsi l’interrogativo, riflettere su tutto questo e scoprire, finalmente, di essere capaci!

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L’amministrazione dell’ente pubblico: cos’è di Livia Ferrario

La dimensione dell’amministrazione pubblica nella realtà provinciale trentina: appunti per gli incontri del ciclo donne in politica.

1. Introduzione: il ruolo del settore pubblico e principali caratteristiche del sistema italiano.

2. I livelli di governo nella Provincia Autonoma di Trento

3. Il decentramento amministrativo e fiscale.

4. Il modello di sviluppo dopo l’unione monetaria europea: il principio della coesione

5. Lo sviluppo locale: la finanza locale i nuovi strumenti di programmazione- i patti territoriali

6. La finanza locale nella Provincia Autonoma di Trento

7. La riforma istituzionale

1. Il ruolo del settore pubblico

Il ruolo economico dello Stato nel nostro sistema economico trova origine nel livello e nella composizione della spesa pubblica e nella attività legata al prelievo fiscale.

Nella teoria il ruolo del settore pubblico si identifica nella seguente ripartizione di funzioni:

1. Redistribuzione di reddito operata attraverso il bilancio pubblico (sanità, istruzione, previdenza) e il sistema impositivo informata al principio di equità tra persone, tra classi sociali, tra generazioni.

2. Stabilizzazione: lo stato garantisce il livello di produzione per il pieno impiego delle risorse

3. Allocazione di beni e servizi: quanti e quali beni pubblici produrre. Vi sono beni che nessuna impresa privata è incentivata a produrre (difesa, giustizia, sicurezza ecc.) e per i quali nessun cittadino ha interessa a manifestare la quantità desiderata di quel bene ed il prezzo che è disposto a pagare.

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L’interpretazione da parte dello Stato di queste tre funzioni attraverso le proprie politiche fiscali e monetarie crea il contesto della finanza pubblica italiana segnando il comportamento dei diversi operatori, delle famiglie, delle imprese e della pubblica amministrazione; caratterizzando il sentiero di sviluppo seguito dall’intero sistema economico.

In particolare è nel corso degli anni settanta che avvengono rilevanti mutamenti istituzionali: le riforme varate nel campo del sistema sanitario, della previdenza e assistenza e dell’istruzione comportano una notevole estensione del welfare state e contribuiscono a spiegare la crescita della spesa pubblica mentre dal lato del potere impositivo la riforma tributaria del 73/74 ha comportato una riduzione del numero delle imposte con un ruolo predominante dell’IVA per le indirette e dell’IRPEF per le imposte dirette, inoltre è quasi azzerata la fiscalità locale e vi è un accentramento a livello centrale del gettito.

Nel 1972 viene istituito il livello di governo regionale e nel corso degli anni settanta si trasferiscono a regioni e comuni funzioni e servizi prima gestiti direttamente dallo Stato. Accentramento del prelievo e delega di competenze di spesa danno origine ad un imponente sistema di trasferimenti dal bilancio dello stato agli organismi decentrati in una logica di ripianamento della spesa e di dissociazione della responsabilità di spesa da quella di entrata.

Queste riforme presupponevano un quadro macroeconomico di crescita e di stabilità dei prezzi , la crisi petrolifera e la presenza di forte inflazione hanno invece provocato gravi distorsioni (per es. il fiscal drug in un sistema impositivo progressivo si produce un aumento reale della pressione fiscale a fronte di una crescita nominale del reddito) imponendo a partire dalla fine degli anni ottanta politiche di risanamento dei conti pubblici.

La spesa pubblica mostra una forte crescita degli interessi dovuta alla crescita del disavanzo ed all’andamento sfavorevole dei tassi di interesse; altra voce in aumento dagli anni settanta è quella delle prestazioni sociali dovute all’innalzamento degli standard dei servizi, alla struttura demografica della popolazione, all’estensione delle prestazioni. L’invecchiamento progressivo della popolazione, il calo demografico e la tutela dell’ambiente sono fattori sfavorevoli allo sviluppo del tessuto economico che modificano comunque estensione e composizione della domanda e richiedono di innovare l’offerta dei servizi e delle prestazioni connotandole con maggior flessibilità.

Il risanamento dei conti pubblici è avvenuto attraverso il contenimento e riduzione progressiva del deficit e con politiche economiche mirate all’allineamento del tasso di inflazione ai livelli europei.

Questi obiettivi apparivano irrinunciabili nella prospettiva di un integrazione europea e in una realtà in cui il paese consumava più di quello che produceva e il debito pubblico, per effetto dei tassi di interesse cresceva a ritmi elevati.

Già nel 1993 sono state varate alcune decisive riforme che riguardano temi nevralgici della finanza pubblica, in particolare quelle voci che spiegano quasi totalmente la dinamica

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della spesa pubblica: previdenza, sanità, pubblico impiego (qui le riforme riguardano la privatizzazione del pubblico impiego e la disciplina del procedimento), sistema dei trasferimenti agli enti decentrati, mettendo in discussione il binomio efficienza-equità. Nella nuova situazione il livello di spesa trova limite nella capacità dell’ente locale di far leva sulle proprie risorse (legge 142/90), sia relativamente alla base imponibile locale, sia alla capacità di applicare un sistema tariffario razionale che consenta efficienza (strutture dei costi compatibili con la loro copertura) ed efficacia nel senso che la qualità del servizio sia adeguata alla domanda collettiva espressa da manifestazioni controllabili di preferenza (prezzo che l'utenza è disponibile a pagare , obiettivo di sistemi tariffari tendenti a coincidere con un sistemi di prezzi).

Al miglioramento dei conti pubblici oltre alla minor onerosità dei titoli del debito pubblico dovuta alla riduzione dei tassi di interesse ha contribuito pure la lotta all’evasione fiscale e più in generale la ristrutturazione del sistema tributario che attraverso diverse iniziative quali le procedure di conciliazione con il contribuente, gli studi speciali della situazione tributaria di settori specifici ha consentito di recuperare quote di reddito non dichiarate.

Per le amministrazioni territoriali fondamentale è il passaggio da una finanza di tipo derivato ad un modello improntato al concetto di autonomia finanziaria: il decentramento di poteri di spesa e di entrata rafforzano il concetto di responsabilizzazione dell’uso delle risorse e rendono più stringente il rapporto ente erogatore- cittadino utente.

1. I livelli di governo nella Provincia autonoma di Trento

In questo paragrafo si descrivono in sintesi alcuni aspetti dell’organizzazione e delle principali caratteristiche della nostra pubblica amministrazione.

L’attuale Statuto di autonomia del Trentino Alto Adige è costituito da un testo unico di leggi costituzionali approvato nel 1972 con D.P.R n.670. (secondo statuto). Nel nostro ordinamento regionale operano tre enti autonomi dotati di ampie competenze legislative e di analoghe competenze amministrative:la Regione, la Provincia autonoma di Trento e la Provincia autonoma di Bolzano Il collegamento tra le due province e la regione è garantito dalla coincidenza della figura del consigliere provinciale con quello regionale.

Le riforme costituzionali del 2001 hanno avuto effetti diretti sullo statuto attribuendo alla legge provinciale la competenza a definire il sistema elettorale e la forma di governo e rafforzando il ruolo delle due province ridefinendo il consiglio regionale come organo di secondo grado composto dai due consigli provinciali autonomamente eletti.

La riforma costituzionale ha sancito il ruolo del comune come ente esponenziale degli interessi di un territorio ed ha posto su un livello di pari dignità comuni province e regioni enti locali dotati di autonomia statutaria e finanziaria.

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Nella situazione attuale:

livello di governo

N. enti Forma di elezione degli organi Dimensione del bilancio in euro

Fonte di finanziamento

Regione 1 Diretta 233.420.000 Devoluzione gettiti erariali

Provincia aut. di Trento

1 Diretta 2.230.363.473,96 Devoluzione gettiti erariali

Comprensori 11 Indiretta 111.185.444

Finanziamento di deleghe

Comuni

223 Diretta 576.890.000

Trasferimenti entrate proprie

3. Il decentramento amministrativo e fiscale.

Il sistema dei rapporti finanziari tra centro e periferia sta vivendo nel nostro paese, una fase di grandi cambiamenti. A livello nazionale è stata approvata nel 2001 una nuova Costituzione con la legge costituzionale n. 3/2001 che espressamente indicava nel suo titolo la parola “federale”. Nuovi cambiamenti che accentuano il decentramento dei poteri sono in corso di esame nel parlamento nazionale. Le leggi finanziarie degli ultimi anni sono intervenute pesantemente sulle assegnazioni finanziarie a regioni e enti locali, hanno imposti vincoli sulla loro autonomia finanziaria, ridefinito in successione le regole del “patto di stabilità interno”. Nel 2000, con il d.lgs. 56, la finanza delle regioni si è avviata su un percorso di cambiamenti molto significativi che ha indicato la strada per una riforma dell’art. 119.

Si è visto che la presenza del settore pubblico si caratterizza, da un punto di vista di grandezze finanziarie, dal potere di tassare e dalla quantità e composizione dei compiti pubblici. Ulteriore elemento è il sistema di trasferimenti di risorse tra i diversi livelli di governo.

Nel corso degli ultimi anni le riforme che hanno interessato il settore pubblico hanno percorso un sentiero caratterizzato dal fenomeno del decentramento dei poteri di spesa prima e di quelli di entrata poi. Il modello di decentramento può disegnare due situazioni tra loro opposte: un regionalismo caratterizzato da uniformità di spesa per abitante, situazione che potrebbe essere mantenuta solo con un forte ruolo dei trasferimenti a scarsa autonomia impositiva, un regionalismo invece dove il livello della spesa pro capite rispecchia il livello del reddito prodotto in quella zona e dove il finanziamento della spesa pubblica locale poggia esclusivamente su gettiti propri. Il terzo modello di federalismo fiscale prevede l’intervento

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del governo centrale per ridurre, attraverso un fondo alimentato dalla fiscalità generale, le differenze nei livelli di prestazione per abitante .

Il decentramento poggia su due valori forti:

La determinazione del livello ottimale della dimensione del governo locale è uno dei principali problemi affrontati dal federalismo fiscale. Data una determinata funzione di produzione di un servizio pubblico il costo pro capite di quel servizio diminuirà all’aumentare della popolazione servita, oltre una certa dimensione possono però verificarsi fenomeni di congestione o diseconomie di scala.

Accanto alle attività legate alle politiche di spesa e di offerta dei servizi troviamo le modalità con cui queste attività vengono finanziate e le modalità di reperimento delle risorse. Il finanziamento del governo locale si articola su tre fonti principali

tariffe e/o tasse: in un sistema decentrato è privilegiato l’aspetto della controprestazione tra servizi pubblici e forme di finanziamento. Per i servizi pubblici divisibili (trasporti,rifiuti,acqua) la forma di finanziamento è quella della tariffa. La tassa è la forma applicata ai servizi pubblici con forti effetti esterni (l’istruzione per esempio)

imposte (autonome,compartecipazioni e/o addizionali) per i servizi pubblici a carattere indivisibile (viabilità, opere pubbliche,illuminazione). La vera autonomia finanziaria in un’economia decentrata è sicuramente fondata su questo tipo di entrata, dove può essere determinata la base imponibile e l’aliquota da applicare. (le caratteristiche delle imposte locali sono: poco mobili, non esportabili, basi imponibili distribuite in modo uniforme)

trasferimenti di risorse dal governo centrale o da altri enti locali: i trasferimenti determinano con il grado di autonomia impositiva il livello di spesa possibile, e consentono la copertura di servizi minimi e la correzione di effetti di traboccamento dei benefici.

L’allocazione delle risorse può avvenire con trasferimenti verticali (tra livelli diversi di governo) e/o orizzontali (tra enti con risorse in eccesso ad enti meno dotati, senza l’intermediazione di un ente superiore).

In letteratura la determinazione della quantità di risorse da trasferire avviene valutando un fabbisogno di spesa minimo o medio ed una valutazione della capacità di autofinanziamento.

Nel caso italiano osservando i livelli di governo: stato,regioni, province, comuni si vede come la distribuzione del livello di spesa pubblica è piuttosto uniforme, quello delle entrate è funzione del reddito, e come la variabilità del reddito regionale è molto più accentuata di quella del consumo. In altri termini i trasferimenti hanno garantito a fronte di livelli di reddito diversi tra le regioni livelli di spesa simili per cittadino . I trasferimenti spostano ingenti quantità di risorse da regioni ricche a regioni povere.

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Questa situazione viene modificata, per quanto riguarda il finanziamento della spesa regionale, a partire dalla meta degli anni novanta con una progressiva sostituzione alle leggi di settore di compartecipazioni ed addizionali. Al trasferimento si sostituisce gettito locale, che implica vista la diversa ricchezza dei territori una differenziazione del livello di spesa. Per i comuni la riforma del 1973-1974 aveva comportato l’eliminazione di gran parte dei tributi locali non sostituiti da nuove forme di prelievo (solo INVIM).Le entrate proprie passano dal 51% del ‘72 al 15% del ’77 sostituite da trasferimenti e dalla possibilità di ricorrere al debito per ripianare i deficit di parte corrente. Maggiori funzioni e costi crescenti dei servizi pubblici spiegano questa tendenza. Si creano nel sistema forme di disavanzo ripianate anche per la gestione corrente attraverso indebitamento. Con i cosiddetti decreti Stammati il Governo nel 1977 attua un blocco dell’indebitamento e un controllo della spesa decentrata. La necessità di riordino dei conti pubblici richiede una nuova definizione degli strumenti di finanziamento della spesa pubblica: all’inizio degli anni ’80 il sistema dei trasferimenti supera il concetto di spesa storica nasce il fondo perequativo che lavoro sul concetto di fabbisogno standard di spesa e di riequilibrio delle basi imponibili, viene stabilito l’obbligo della copertura dei costi dei servizi. In altre parole il trasferimento non ripianerà a posteriori la spesa sostenuta, ma sarà determinato ex ante quale vincolo al livello di spesa dato il grado di autofinanziamento.

La legge 142 del 1990 riforma il sistema della finanza locale ponendo il principio dell’autonomia locale: i trasferimenti devono garantire i servizi indispensabili ed essere ripartiti con criteri che tengano conto della popolazione, del territorio e delle condizioni socio-economiche della popolazione. L’autonomia finanziaria diventa nuovamente fondamento dell’autogoverno e nel 1990 viene prevista l’ICI che sarà applicata a partire dal 1993 e che rappresenterà un importante strumento di autonomia fiscale.

In particolare l’articolo 54 della L. 142/90 afferma che gli enti locali: ”devono possedere un’adeguata autonomia finanziaria, sia per i tributi che per le tariffe, lo Stato contribuisce con trasferimenti finanziari volti al finanziamento dei servizi locali indispensabili, mentre quelli non indispensabili e i servizi al di sopra di determinati standard, vanno finanziati con le risorse autonome. La ripartizione dei trasferimenti erariali va effettuata sulla base di criteri obiettivi che tengano conto della popolazione , delle condizioni socio-economiche e del territorio, nonché in base ad un’adeguata distribuzione delle risorse che tenga conto degli squilibri di fiscalità locale “. (materia disciplinata dal decreto legislativo n.504/1992).

Nel testo unico del 2000 il trasferimento contribuisce ed integra il finanziamento dei servizi pubblici indispensabili rafforzando ulteriormente il ruolo delle entrate autonome.

4. Il modello di sviluppo dopo l’unione monetaria europea: il principio della coesione.

Nel corso della seconda metà degli anni ottanta si sviluppa il concetto di coesione economica e sociale che inaugura la fase decisiva del progetto di unificazione europea e che influenzerà in modo decisivo l’evoluzione del settore pubblico italiano .

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Le condizioni per raggiungere la coesione economica tra le diverse aree della Unione europea comportano che le politiche di ogni Stato membro siano orientate ai seguenti obiettivi:

• risanamento dei conti pubblici

• stabilità dei prezzi

• inflazione quasi inesistente

In questo periodo i mercati finanziari si sviluppano contestualmente al processo di globalizzazione delle economie europee. Le grandi imprese pesanti sono in fase di ristrutturazione provocando alti tassi di disoccupazione e perdita di competitività nelle regioni industrializzate (Francia Italia Belgio). Viceversa le nazioni che chiedono l’accesso al mercato unico europeo presentano tratti di sotto sviluppo come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo.

I vincoli posti a questi obiettivi possono essere identificati nel modello di sviluppo classico che le economie europee avevano seguito e nella concentrazione della disoccupazione concentrata in determinate aree (il mezzogiorno).

Il trattato di Maastricht del 1991 e successivamente il Patto di stabilità e di crescita di Amsterdam 1997 confermano l’impegno della unione europea a migliorare i livelli di sviluppo delle regioni meno favorite sposando il principio di solidarietà e della comunità di interessi. Questo principio si traduce in impegni di spesa 200 miliardi delle vecchie lire per fondi strutturali e 20 per i fondi di coesione destinate agli stati più ‘giovani’ e finalizzati a potenziare il loro patrimonio infrastrutturale. Come si possono misurare i risultati o meglio l’impatto di queste politiche? La riduzione del divario del reddito pro capite potrebbe essere un valido indicatore. Come si è visto a proposito della situazione italiana , l’obiettivo di questo modello di sviluppo economico locale non è più quello di garantire livelli di spesa uniformi tra le diverse regioni europee, ma agire sull’innalzamento dei livelli di reddito.

La coesione si basa sulla convinzione che le economie possano convergere e che gli squilibri si possano ridurre. La creazione di un mercato unico e di un’unica moneta rappresenta il contesto in cui la mobilità dei capitali, delle tecnologie delle persone e dei servizi verso aree meno favorite rappresenta il motore principale dello sviluppo economico locale.

Le politiche sostenute dai fondi strutturali e di coesione non vanno ad incidere sul innalzamento dei consumi ma devono modificare le caratteristiche strutturali della economia locale.

Il nuovo modello basato sulla coesione come finalità politica e in grado di esprimere gli elementi portanti del processo di integrazione europea.

• Processo di convergenza economica: convergenza sui grandi indicatori della finanza pubblica attraverso il patto di stabilità, stimolo ad utilizzare risorse finanziarie diverse

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dall’indebitamento pubblico per il finanziamento delle infrastrutture, capacità delle diverse aree a produrre livelli di reddito sempre più ravvicinati (aumenti del PIL) e minor divergenza tra i livelli di PIL pro capite, mantenimento nel tempo della ricchezza prodotta-stabilità

• Processo di convergenza sociale: riduzione della disoccupazione, riduzione delle forme di esclusione sociale in particolare dei giovani, delle nuove povertà, sostegno alla soluzione dei problemi posti dall’immigrazione, azioni premianti delle pari opportunità

• Processo di integrazione politico-istituzionale: miglioramento delle strutture politico amministrative nei riguardi del processo decisionale e gestionale all’interno di ogni paese e ai collegamenti istituzionali fra i paesi e le loro articolazioni territoriali e il livello europeo le politiche che sostanziano questi principi prevedono il decentramento amministrativo e finanziario e la devoluzione delle decisioni.

In questo contesto si afferma il concetto di COESIONE come obiettivo chiave della nuova unione europea.

Coesione significa anche, attraverso i fondi strutturali, ridurre i differenziali esistenti tra le aree più favorite e quelle depresse dell’Unione europea. Il principio che accompagna queste politiche è quello della convergenza delle diverse economie europee attraverso il riequilibrio dei divari tra le diverse regioni.

Queste misure politiche non si traducono in sostegni al reddito o al consumo ma producono SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE, questo significa in altri termini modificare le caratteristiche strutturali di base delle economie periferiche e depresse, per consentire proprio attraverso il superamento dei divari il processo di convergenza. Nuove attività economiche si traducono in crescita perché comportano nuovi posti di lavoro e un aumento della base imponibile per le imposte locali.

Moneta unica e stabilità dei prezzi hanno richiesto il rilancio della crescita attraverso lo sviluppo delle aree territoriali. Nel processo di sviluppo economico locale è cruciale il ruolo degli enti territoriali interpreti delle esigenze della collettività e dei gruppi economici locali.

5. Lo sviluppo locale: la finanza locale in Provincia di Trento, i nuovi strumenti di programmazione- i patti territoriali.

Questo nuovo ruolo degli enti locali promotori di sviluppo locale è la naturale conclusione di quel processo di decentramento fiscale e amministrativo che tende a restituire pienezza di autonomia di spesa e di entrata alle amministrazioni territoriali, mettendoli in grado di influenzare attraverso le loro politiche il sentiero di crescita del proprio territorio. Si tratta di spostare dal centro alla periferia la programmazione dello sviluppo economico in un modello in cui i processi economici nascono dal basso e non vengono imposti dall’alto.

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Il criterio fondamentale che presiede al decentramento è individuato nel principio di sussidiarietà, sancito anche dalla Carta europea delle autonomie locali, secondo il quale il livello ottimale per l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve essere collocato di preferenza in capo alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini, contemperando tale preferenza con i principi di completezza delle funzioni attribuite, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, responsabilità ed unicità dell’amministrazione procedente, omogeneità ed adeguatezza dell’organizzazione.

La pubblica amministrazione deve però essere messa in grado di svolgere questo ruolo attraverso una riforma istituzionali che permetta di adeguare l’assetto del governo locale alle esigenze dei nuovi strumenti di programmazione economica.

Le intese istituzionali, quali i patti territoriali, presuppongono infatti l’attivazione di un partnerariato istituzionale ed economico-sociale, da concepire come attività di confronto e di raccordo tra amministrazioni locali, categorie imprenditoriali e organizzazioni sindacali dei lavoratori dei diversi settori economici, associazioni ambientali, del volontariato e del privato sociale, al fine di realizzare una programmazione che persegua obiettivi integrati di crescita economica e sociale.

Il modello economico che sorregge questa impostazione vede la centralità dello sviluppo economico dei territori che devono produrre strumenti capaci di superare i problemi legati a :

• regolazione del mercato del lavoro maggior flessibilità

• riforme istituzionali e amministrative come per es. l.142/90 c.d. Bassanini

• promozione dell’imprenditorialità aumento dell’attitudine ad un lavoro autonomo ed indipendente attraverso sostegno e formazione

• finanza innovativa capacità di attrarre capitali per la dotazione dell’infrastruttura essenziale del territorio

In altri termini spetta agli enti locali favorire le migliori condizioni per convogliare sul territorio gli investimenti imprenditoriali e facilitare l’informazione sulle agevolazioni, le opportunità sinergiche , promuovere la formazione necessaria. Lo strumento della programmazione che ha tentato una sintesi tra questi diversi aspetti è il PATTO TERRITORIALE. La legge 662/96 ‘Misure di razionalizzazione della finanza pubblica’ prevede la disciplina delle forme di collaborazione tra soggetti pubblici e privati che implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico della pubblica amministrazione, queste esperienze di intervento pubblico e iniziativa privata si combinano attraverso modalità nuove che potenziano il ruolo di entrambi nello spirito della coesione sociale. Questa coesione si realizza attorno ad un progetto di sviluppo che dovrà produrre rilancio del territorio ed aumento dell’occupazione attraverso modalità nuove di finanziamento, semplificazione delle procedure burocratiche (per es. lo sportello unico) con utilizzo flessibile di capitale e lavoro.

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Il rapporto tra pubblico e privato è forse l’aspetto più delicato in un’ esperienza, quella italiana da una modalità di relazione oscillante tra la contrapposizione e la collusione. Le esperienze di sviluppo determinate dall’alto con interventi di tipo assistenziale lasciano sicuramente il posto a politiche dal basso dove decentramento amministrativo e finanziario consentono alle istituzioni pubbliche di essere interlocutori importanti e ben integrati nel tessuto locale.

Tipicamente i soggetti coinvolti possono essere gli amministratori , sindaci-imprenditori del loro territorio, le associazioni di categoria che devono abbandonare la vocazione sindacale a favore di un atteggiamento di confronto, le banche con un ruolo di assistenza e consulenza e chiaramente tutta l’articolazione del privato.

Il ruolo dell’ente pubblico in questa prospettiva è caratterizzato dalla conoscenza e dal controllo del territorio, ha un imprenditorialità legata all’interpretazione dei bisogni, riesce a concentrare su questi obiettivi le proprie risorse non disperdendole, investe sulla propria formazione, valuta l’utilizzo delle proprie risorse (spesa di investimento su spesa corrente).

Anche gli strumenti amministrativi e di programmazione degli enti hanno subito modifiche ed adattamenti alla nuova situazione in particolare la riforma della contabilità attuata nella nostra regione in modo compiuto a partire dal 2000 è caratterizzata dal principio di efficienza,efficacia ed economicità nell’attività di gestione e quello della corretta rilevazione e contabilizzazione. Alla potestà regolamentare dell’ente è stato attribuito il compito di organizzare questa importante funzione partendo dalla distinzione dei ruoli all’interno dell’amministrazione che può essere sintetizzato come segue:

organi di governo:

• indirizzo politico-amministrativo

• definizione di obiettivi e programmi

organi burocratici:

• adozione di atti e provvedimenti amministrativi

• gestione finanziaria tecnica ed amministrativa

• organizzazione delle risorse umane e strumentali

Il bilancio è redatto in termini di competenza ed è organizzato in interventi per la spesa e risorse per le entrate, ha carattere autorizzatorio, costituisce cioè limite agli impegni di spesa anche in termini di bilancio pluriennale.

Il bilancio è integrato dai suoi allegati che sono:

• la relazione previsionale e programmatica introduce un processo di indirizzo del Consiglio comunale basato sulla sequenza programmazione-gestione-controllo la sezione dedicata ai programmi e progetti rappresenta il cuore di

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questo documento e si riferisce alle scelte ed alle priorità di intervento valutate sulla base delle risorse dell’ente cosa fa il comune , perché e con quali risorse. Fondamentale è il principio che prevede per ogni deliberazione della giunta e del consiglio il principio di coerenza con i contenuti della relazione revisionale e programmatica

• il bilancio pluriennale

• l’elenco delle spese e delle entrate una-tantum

• il quadro di sintesi

Il nuovo ordinamento contabile attribuisce maggior peso ai meccanismi di controllo interno (controllo di gestione, ruolo dei revisori, monitoraggio degli andamenti) e maggior attenzione alla programmazione della spesa di investimento per quello che riguarda la sua concreta realizzazione, le fonti di finanziamento, gli oneri indotti sulla gestione corrente (valutazione e selezione degli investimenti).

6. La finanza locale nella Provincia autonoma di Trento.

L'articolo 80 dello Statuto di Autonomia della Regione Trentino Alto Adige attribuisce competenza legislativa in materia di finanza locale. L'articolo 81, 2° comma, dello Statuto di Autonomia, come sostituito dall' articolo 8 della legge 30 novembre 1989, n° 386 stabilisce che:

"Allo scopo di adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle finalità e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le province di Trento e Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari da concordare tra il presidente della relativa Giunta provinciale ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi Comuni".

L'articolo 17 del Decreto Legislativo 16 marzo 1992, n° 268 (Norme di attuazione dello Statuto) sancisce che:

"1. Le attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia di finanza locale esercitate direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato, nonché quelli già spettanti alla Regione Trentino Alto Adige nella stessa materia, sono esercitate per il rispettivo territorio dalle Province di Trento e Bolzano. La materia della finanza locale non comprende la materia dei tributi locali. ...3. Nel rispetto delle competenze regionali in materia di ordinamento dei comuni, le province disciplinano con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti delle assunzioni del personale, le modalità di ricorso all'indebitamento, nonché le procedure per l'attività contrattuale."

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Ancora, l'articolo 18 del Decreto Legislativo 16 marzo 1992, n° 268 stabilisce che: "Le province disciplinano con leggi le modalità ed i criteri per la definizione dell'accordo di cui all'articolo 81 dello Statuto. In caso di mancato accordo entro i termini stabiliti dalle leggi di cui al comma 1, le motivazioni delle parti sono riportate in un apposito verbale da unire al disegno di legge per l'assegnazione ai comuni dei mezzi finanziari previsti dall'articolo 81 dello Statuto, che la giunta provinciale presenta al Consiglio."

La legge provinciale 15 novembre 1993, n.36 "Norme in materia di finanza locale" ha rappresentato la prima organica attuazione delle competenze provinciali in materia di finanza locale, prevedendo la collaborazione e la compartecipazione delle Amministrazioni comunali, per la parte loro afferente, (finanza locale) alla gestione delle risorse finanziarie provinciali .

La legge provinciale in materia di finanza locale accoglie nel suo impianto i principi di riforma contenuti nei provvedimenti assunti nel periodo che fa da riferimento alla formulazione ed alla applicazione di questa legge e che restituiscono in particolare all'imposizione tributaria locale il ruolo di elemento costitutivo fondamentale dell'autonomia finanziaria dei comuni.

Nella nuova situazione, il livello di spesa trova limite nella capacità del comune di far leva sulle proprie risorse, sia relativamente alla base imponibile locale, sia alla capacità di applicare un sistema tariffario razionale che consenta efficienza (strutture dei costi compatibili con la loro copertura) ed efficacia nel senso che la qualità del servizio sia adeguata alla domanda collettiva espressa da manifestazioni controllabili di preferenza (prezzo che l'utenza è disponibile a pagare , obiettivo di sistemi tariffari tendenti a sistemi di prezzi).

L'obiettivo principale degli interventi realizzati attraverso la L.P. 36/93 è quello di consentire la massima autonomia finanziaria e di conseguenza una programmazione dei comuni in armonia con il nuovo modello di finanza locale.

Le entrate proprie del comune si avvicinano al 47% (indice di autofinanziamento 2002) delle entrate correnti, sostituendosi ai trasferimenti per effetto della maggior capacità impositiva attribuita ai comuni. Parallelamente una quota maggiore della spesa corrente risulta finanziata da entrate proprie aumentando l'indice di copertura della spesa al 41% sempre nel 2002.

Nel prossimo futuro i tassi di crescita delle voci del bilancio comunale dovranno legarsi alla capacità impositiva del Comune e i trasferimenti finanziari in materia di finanza locale saranno orientati ad assecondare questa tendenza, accentuando la loro funzione perequativa.

L'attuale indirizzo prevede che la capacità di spesa e la capacità di entrata siano in capo ad un medesimo soggetto e che l'obiettivo delle risorse trasferite non sia quello di garantire livelli uguali di spesa, ma di sostenere comportamenti di spesa differenziati in ragione delle diverse condizioni fisiche e economiche e sociali dei vari enti.

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Per questo motivo è necessario possedere degli indicatori del livello di spesa standard del comune che consentano di modulare i trasferimenti in relazione a variabili oggettive di fabbisogno di spesa, tenuto conto della capacità di autofinanziare tale fabbisogno.

I principi che hanno guidato l'assegnazione delle risorse trasferite hanno rispettato questa impostazione nel senso di garantire certezza del dato con trasferimenti ex-ante determinati sulla base di indicatori di fabbisogno di spesa.

La legge provinciale 36/93 ha attribuito particolare importanza alla determinazione di questi standard di spesa elaborati attraverso modelli econometrici in grado di stimare il costo complessivo dei servizi; parallelamente ha consentito una progressiva riduzione dei fondi destinati al ripiano di spese già sostenute o più in generale assegnati in base alla spesa storicamente sostenuta.

In sintesi, i trasferimenti finanziari assegnati attraverso i fondi di finanza locale cercano di garantire il finanziamento dell'offerta dei servizi indispensabili anche attraverso una redistribuzione di risorse da comuni con basi imponibili consistenti a comuni sotto dotati dal punto di vista dell'autonomia finanziaria, evitando il vincolo di destinazione delle risorse trasferite, con eccezione dei trasferimenti vincolati al finanziamento dei servizi non uniformemente distribuiti sul territorio.

Viene sancito così il principio della desettorializzazione degli interventi provinciali a favore di una piena capacità di programmazione dei comuni, strutturando un sistema di trasferimenti governato da criteri omogenei e semplificato nel numero e nella modalità di gestione dei fondi.

Il finanziamento ai comuni si articola nei seguenti fondi per la gestione corrente:

a) fondo ordinario ad esaurimento

b) fondo perequativo

c) fondo per gli specifici servizi comunali.

Per la spesa di investimento gli interventi sono i seguenti:

a) fondo per gli investimenti

b) fondo per le opere comunali di interesse provinciale

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La seguente tabella presenta l’andamento dei fondi di parte corrente nell’ultimo periodo:

Tipologie trasferimento: 1996 1997 2003

Fondo perequativo (art.6) 74.541.000 84.958.000 163.579.000

Fondo ordinario ad esaurimento (art.5)

55.062.000 47.653.000 10.945.000

Fondo specifici servizi comunali (art. 6bis)

20.756.000 23.230.000 32.289.000

TOTALE 150.360.000 155.841.000 225.165.000

Il fondo ordinario, basato sulla spesa storica dei comuni e comprensivo di alcuni interventi specifici (sport, cultura, strade) si esaurirà nel corso del decennio 1994-2005, rispettando l'obiettivo di semplificazione del numero degli interventi e quello di distribuzione delle risorse basata su criteri oggettivi e di riequilibro della dotazione dei comuni. In occasione dell'introduzione dell' IRAP il fondo ordinario è stato incrementato nel 1998 del gettito ICIAP 1997 per compensare gli effetti dell'introduzione di questa nuova entrata. Il decremento progressivo del fondo ordinario e la redistribuzione delle risorse da questo provenienti sul fondo perequativo assicurano il rispetto del principio della perequazione fiscale.

L'art. 6 della L.P. 36 afferma che il fondo perequativo deve mirare al riequilibro della dotazione di servizi offerti alla popolazione rispetto a standard medi provinciali, all'efficienza nell'uso delle risorse trasferite e del patrimonio, nonché all'attuazione di forme di collaborazione intercomunale e di coinvolgimento del privato nella gestione dei servizi.

L'articolo 6, comma 3, in particolare, così dispone:

“La ripartizione del fondo tra i comuni, al netto della quota di cui al successivo comma 4, viene effettuata per ciascun anno con deliberazione della Giunta provinciale, su proposta del comitato per la finanza locale, sulla base di criteri e parametri finalizzati ad assicurare:

a) il riequilibro della dotazione dei servizi offerti alla popolazione rispetto a standard medi provinciali;

b) l'efficienza nell'utilizzo delle risorse trasferite, del patrimonio e l'attuazione di forme di collaborazione intercomunale ed il coinvolgimento del privato nella gestione dei servizi.

La ripartizione del fondo è effettuata sulla base di un livello standardizzato di spesa valutato, per ciascun comune, tenendo altresì presente:

1) i differenziali di costo nella produzione dei servizi in relazione alle diverse situazioni ambientali e alle differenti caratteristiche della popolazione servita, sia residente che non residente;

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2) gli squilibri della distribuzione territoriale delle basi imponibili dei tributi locali e dei proventi dei beni comunali;

3) l'incidenza delle entrate effettive derivanti da tasse, imposte e tariffe rispetto a valori di base standardizzati;

4) l'esercizio di funzioni connesse con l'erogazione di specifici servizi caratterizzati da una distribuzione disomogenea sul territorio provinciale ed afferenti alle particolari situazioni socioeconomiche comunali.”

Accanto all'accentuazione dello strumento perequativo rappresentato da questo fondo, viene attivato l'articolo 7 che prevede forme di incentivazione per i comuni che attuano forme di gestione dei servizi, anche associati, volti al raggiungimento di più alti livelli di efficacia nel soddisfare la domanda e di efficienza attraverso l'ottimizzazione delle risorse. Infatti anche le azioni di indirizzo volte ad omogeneizzare il sistema tariffario (art. 9) ed alla disciplina delle assunzioni del personale (art. 10) non possono trascurare un giudizio sulla struttura dei costi necessari all'erogazione dei servizi, individuando quelle combinazioni di fattori produttivi che consentano la minimizzazione dei costi.

Il fondo perequativo è stato istituito per attenuare e rimuovere gli squilibri finanziari esistenti tra i diversi enti. L’obiettivo del fondo è quello di attuare la perequazione, garantendo così a tutti i comuni la possibilità di offrire ai propri cittadini un livello standard di servizi. Per realizzare questo obiettivo è necessario determinare il parametro di riferimento che sia in grado di rappresentare correttamente il fabbisogno di spesa dell'ente. La corretta determinazione del fabbisogno di spesa implica la capacità di cogliere le peculiarità delle realtà locali e di esprimere perciò un'articolazione dei servizi e un livello di offerta coerente con le esigenze che emergono da ogni singolo comune. Il modello fornisce un risultato accettabile se permette di descrivere sia il fabbisogno di un Comune che presenta delle caratteristiche peculiari che incidono sul suo comportamento di spesa (turismo, frazioni, presenza di insediamenti industriali etc.), sia quello di un Comune il cui comportamento di spesa non è influenzato da particolari fattori territoriali o socio-economici. Nei modelli utilizzati nel passato, il parametro è stato individuato nella spesa sostenuta dal Comune (criterio della spesa storica). L'utilizzo di questo dato, senza le opportune correzioni, può comportare dei macroscopici errori nella valutazione del fabbisogno di spesa. L'utilizzo del criterio della spesa storica ha consolidato, anziché superare, le sperequazioni esistenti. In altre parole, nel passato si prendeva a riferimento il comportamento dell'amministrazione, senza entrare nel merito delle scelte attuate; oggi, invece, il comportamento è fissato a priori, sforzandosi di descrivere i fattori che lo spiegano.

A titolo esemplificativo il bilancio del comune può essere suddiviso in tre parti di spesa cui corrispondono in entrata due fonti di finanziamento: le entrate proprie e le entrate trasferite.

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SPESA CORRENTE

ENTRATE PROPRIE (Tasse imposte tariffe) ENTRATE TRASFERITE (fondo perequativo

SALDO

SPESA PER IL SERVIZIO DEL DEBITO

ENTRATE PROPRIE (interessi attivi) ENTRATE TRASFERITE (contributi in conto annualità)

SALDO

SPESA DI INVESTIMENTO

ENTRATE PROPRIE (alienazioni, oneri di concessione, mutui, avanzo di amministrazione) ENTRATE TRASFERITE

SALDO

7. La riforma istituzionale

Anche la Provincia autonoma di Trento ha avviato, dopo vari tentativi nelle legislature precedenti, un processo di riforma del suo assetto istituzionale che prevede anche nuovi principi per la definizione dei rapporti tra Provincia autonoma e comuni del Trentino.

Il principio di sussidiarietà e la particolare configurazione dell’attuale assetto istituzionale possono rappresentare altrettanti punti di partenza per comprendere le ragioni della riforma. Inoltre non sono estranee le considerazioni legate alla struttura finanziaria dell’ordinamento: infatti l’evoluzione dei rapporti finanziari tra il governo centrale e i governi periferici mostra una tendenza a spostare verso la periferia crescenti responsabilità per il finanziamento della spesa. Questa tendenza, che pure non tocca le garanzie costituzionali del sistema delle autonomie speciali, comporta che anche il governo provinciale sia chiamato a comportamenti coerenti con gli obiettivi di finanza pubblica nazionali. Gli obiettivi richiedono un orientamento stretto al controllo della spesa, l’aumento delle entrate proprie degli enti periferici, dei vincoli all’indebitamento, lo spostamento sul settore privato del finanziamento degli investimenti. Questi orientamenti hanno ricevuto dal disegno di legge finanziaria per il 2005 ulteriori conferme e inasprimenti.

Nel nostro territorio i comuni sono 223 con una popolazione media di 2000 abitanti ma con 50 comuni circa che presentano una dimensione demografica inferiore ai 500 abitanti.

Perché il comune sia in grado di essere titolare di nuove e maggiori competenze in un contesto di risorse calanti è necessario che il percorso sia caratterizzato da razionalità delle scelte di impostazione e gestione dell’intero apparato amministrativo. Semplificazione dei procedimenti, stilizzazione delle politiche di spesa e grande attenzione nel reperimento delle risorse rappresentano altrettanti cardini di questo processo. Nel corso degli anni la strada delle gestione associata di servizi tra comuni ha rappresentato un utile sperimentazione di

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forme collaborative intercomunali, ed ha consentito di misurare sul campo punti di forza e punti di debolezza di queste forme.

Il modello sotteso al processo di riforma istituzionale riconosce al tema dello sviluppo locale il contesto capace di consentire crescita al nostro sistema e costringe a ripensare, in chiave territoriale, il processo di programmazione delle politiche e l’allocazione delle risorse.

In estrema sintesi gli ingredienti del processo di riforma che partendo dall’attuale assetto provincia comprensori comuni arriverà all’individuazione dei due livelli provincia e comuni sono:

• l’individuazione e le modalità di trasferimento di competenze dalla provincia ai comuni

• la definizione degli ambiti territoriali di organizzazione politica per l’esercizio delle nuove competenze

• Le forme di governo dei comuni e delle comunità di valle

• Il ridisegno dell’ordinamento finanziario ossia dei rapporti tra provincia e comuni e la definizione dei nuovi strumenti a supporto di questo processo

• La riorganizzazione dei servizi pubblici locali

• La razionalizzazione della struttura provinciale e delle modalità di gestione della sua attività.

• L’istituzione del Consiglio delle autonomie come luogo per la condivisione e l’intesa sulle scelte di sviluppo del territorio tra i diversi livelli di governo.

Note finali

A questi appunti è allegato lo schema del bilancio del cittadino del comune di Lerici, utile sintesi di come le informazioni contabili di un bilancio possano essere lette nel contesto delle principali caratteristiche demografiche, socio-economiche del comune stesso.

Evoluzioni, in una chiave di maggior partecipazione e condivisione delle scelte operate dalla propria amministrazione, sono le esperienze legate ai bilanci partecipativi ed ai bilanci sociali.

Un esempio chiaro ed interessante del bilancio sociale è quello del comune di Venezia, reperibile sul sito www.comune.venezia.it/bilanciosociale.

I dati relativi alle amministrazioni comunali trentine sono invece disponibili sul sito www.autonomielocali.provincia.tn.it

Il progetto di riforma istituzionale è disponibile sul sito www.provincia.tn.it

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(1) Un bene pubblico locale è un bene pubblico in cui le caratteristiche di non rivalità e non escludibilità sono limitate territorialmente. (2) In questi casi si utilizza il termine ‘fallimento del mercato’ per spiegare la presenza ed il ruolo del settore pubblico, altri elementi accanto alla presenza dei beni pubblici che non consentono ai meccanismi del mercato di garantire, attraverso lo scambio, la posizione di ‘ottimo’ (o Pareto efficienti) sono: il monopolio, le esternalità, la presenza di asimmetrie informative

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Che “genere” di potere

di Roberta Osso

La questione della partecipazione politica delle donne è uno dei nodi di fondo del processo di trasformazione di quest’epoca storica. La nostra assenza dai luoghi di decisone obbliga ad una riflessione sulla qualità della nostra democrazia che va ben oltre la protesta femminile stessa.

Se il 52% del genere umano non è equamente rappresentato nei luoghi dove si prendono le decisioni, possiamo veramente parlare di democrazia?

A chi addita la politica delle donne come segno di una contraddizione, di una incoerenza interna alla politica in quanto “politica è tale perché riguarda l’intera comunità; dividere i sessi è una contraddizione, è riproporre la disuguaglianza” noi rispondiamo affermando che la politica delle donne nasce invece per superare questa contraddizione, che va sanata nell’interesse della politica stessa.

La politica delle donne è in primo luogo denuncia ed effetto di una esclusione che risale alle origini della storia e che permane tuttora di fatto.

Da duemila anni circa, un principio governa la storia umana. E’ il principio maschile al quale si lega il mutamento, l’innovazione, la decisione, ciò che porta il segno della ragione, che imprime il marchio del dominio sul mondo.

Le donne restano custodi, nel silenzio e nella ripetizione, dei gesti immutabili e sempre uguali legati alla continuità della specie, alla imperscrutabilità della natura, al ciclo immutabile della vita.

La storia ha così diviso l’esperienza umana in due aree non comunicanti. Da una parte l’area che è oggetto dell’impegno, del potere maschile: il controllo del territorio, le grandi correnti di scambio, la guerra, la scienza, l’economia, il mondo della ragione, del dominio e della trasformazione del mondo: ciò che siamo abituati a definire il “pubblico”.

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Dall’altra la continuità della specie, l’equilibrio affettivo delle nuove generazioni, il significato dei rapporti personali più intimi, l’organizzazione quotidiana e la produzione per la sopravvivenza, il piccolo scambio e il baratto: in sintesi il “privato”.

La politica ha considerato estranei a sé questi ultimi problemi, facendoli gravare sulle donne come questioni che ad esse toccava sciogliere, in un subalterno e passivo adattamento alle regole della società: il grande clan patriarcale, la tribù, la polis, lo stato industriale moderno.

La storia millenaria della subordinazione delle donne coincide con la separazione tra una sfera domestica e una sfera pubblica. Le donne proprio per la loro peculiare funzione riproduttiva sono state confinate alla sfera domestica restando escluse, salvo rarissime eccezioni, dalla titolarità e dall’esercizio del potere, che per principio maschile ha la sua sede nella sfera pubblica.

Oggi una donna che voglia realizzarsi professionalmente e/o impegnarsi nella politica istituzionale, deve scegliere: lavoro e famiglia sono incompatibili per una donna o conciliabili ad un prezzo molto alto in termini di stress, di salute fisica, di rinuncia del tempo per se stessa.

Questo perché viviamo in una società strutturata su un principio maschile che premia il “pubblico” rispetto al “privato”.

Appare chiaro quindi che il tanto agognato principio dell’uguaglianza tra i sessi porta con se un tranello perché, di fatto, uomini e donne non sono uguali!

Dobbiamo renderci conto che solo rispettando la differenza, le donne potranno accedere pienamente, in condizione di uguaglianza, al pubblico ovvero solo quando i problemi della sessualità e della riproduzione verranno riconosciuti come questioni etiche che richiedono una regolazione pubblica, moralmente condivisa da tutti, potremo avere una partecipazione femminile equa.

Le donne tendono a realizzare se stesse cercando di rendere compatibili esigenze e interessi diversi. Esse chiedono di lavorare come realizzazione personale ma anche perché sanno che l’autonomia economica è fondamentale per avere un valore e un peso in questo tipo di società. Ma il mercato del lavoro, incentrato sul principio maschile, richiede sempre più flessibilità e disponibilità totale. Le donne vorrebbero non dover rinunciare alla maternità ma essa risulta essere in contrasto con le regole e le logiche del mercato e del profitto; vorrebbero mantenere e sviluppare conoscenza, saperi, interessi culturali e relazioni che contribuiscono ad arricchire l’identità di una persona, ma che mal si conciliano con una vita di corsa. E’ uno scontro tra lavoro produttivo e “lavoro di cura”, elemento caratterizzante della sfera femminile.

Fin dall’antichità gli uomini potevano lasciare “i corpi” fuori dalla sfera pubblica. Li lasciavano alla sfera privata che era ed è il mondo delle donne. Con il loro ingresso nella vita pubblica le donne non possono che portare con sé il loro corpo e il loro mondo, ma la frantumazione diviene inevitabile.

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Mentre, con questo passaggio, la famiglia conosce profondi mutamenti e le identità maschile e femminile ne vengono sconvolte, non possono non cambiare anche le forme del vivere civile.

Si rende necessaria una nuova etica che tenga anche conto dell’esperienza umana che attiene alla generazione, alla cura dei figli e della famiglia.

La storia dell’umanità non sarebbe quella che è senza la funzione di umanizzazione e personalizzazione svolta dalle donne, che è intrinsecamente legata alla coppia stabile, al rapporto madre-bambino. Dalla ricerca storica ed antropologica emerge l’importanza della coscienza religiosa femminile, l’insostituibile apporto delle donne al consolidamento della specie, il ruolo decisivo nella gestione delle risorse alimentari, la funzione di tramite nelle relazioni familiari, la creazione di alleanze tra donne in funzione di autodifesa e di amicizia.

Può essere semplicistico parlare di un tempo “agito“ dagli uomini e di un tempo “subito” dalle donne. Ciò che emerge però è una natura femminile legata alla ciclicità, alla ripetizione, ai ritmi della natura che si ripetono identici e lenti, e una cultura maschile legata al fatto, alla decisione, all’evento.

Oggi le donne potranno godere dei diritti civili e politici solo se la loro esperienza morale verrà pienamente riconosciuta e rispettata e solo se le questioni della sessualità, della procreazione e dei tempi della vita privata diverranno centrali.

E’ quella che Anne Philiphs definisce “politica della presenza”: se ogni individuo che assume una carica pubblica porta se stesso pienamente con quelli che sono i temi della sua vita personale le decisioni ultime rispecchieranno realmente le necessità della società, in tutti i suoi molteplici aspetti.

Ma qualcosa di terribile sta anche accadendo ovvero le donne rinunciano ad essere donne. Questo accade per sopravvivere in contesti che per tradizione sono feudo degli uomini, come la politica, i vertici della finanza, il mondo imprenditoriale. Ma è importante che ci fermiamo a osservare un paradosso: numerose sono le donne fortemente mascolinizzate.

La recente nomina di Condoleezza Rice a segretario di stato ha diviso l’opinione pubblica tra coloro che ritengono questo atto una vittoria femminista, dichiarando “E’ una gran soddisfazione avere una femmina nera così in alto tra i nostri avversari”, e coloro che si dichiarano agghiacciati, come la giornalista e scrittrice Lidia Ravera che afferma “si può essere contente solo se si afferma il pensiero femminile, l’altra visione del mondo. Lei invece è omologata al peggior schema bellicista. Non la riconosco sorella in nulla” e sottolinea Lella Costa: “E’ la vittoria di un modo maschile di gestire il potere. Pensiamo alla Thatcher” (1).

E’ importante che siamo presenti nelle stanze del potere come donne e proprio in virtù di questo possiamo fare dei nostri temi delle risorse non dei problemi!

La loro risoluzione può veramente migliorare la qualità della vita di milioni di individui. Tuttavia non esiste solo un’ipoteca storica maschilista che pesa e condiziona la libera

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circolazione della voce femminile ma ci sono sbarre invisibili che imprigionano le donne e che fanno sì, che a causa di una lunga storia di sottomissione e di abuso, ferite nel cuore della nostra autostima e fierezza come donne, noi per prime sminuiamo le nostre questioni facendone “problemi di donne” che riguardano solo noi.

Ma non è così! Dobbiamo renderci conto che il nostro risveglio, la nostra presenza pubblica nella pienezza del principio femminile sono fondamentali per le sorti dell’intero pianeta.

“Il principio femminile è la formula del terzo millennio che si toglie di dosso le incrostazioni secolari di un maschilismo duro e violento che in tutta la vicenda dell’uomo dai suoi primi movimenti sulla terra ha creato e realizzato sistemi di difesa e di offesa tali da minare l’equilibrio non solo della specie umana ma dell’intero cosmo”(2).

La potenza del pensiero e delle pratiche femminili risiede nella capacità di collegare l’intimità personale alla sfera mondiale, nella capacità di trasformare un comportamento individuale in un comportamento politico, di collegare pubblico e privato facendo sì che dalla cosiddetta “politica prima”, quella sociale e delle relazioni interpersonali, discenda la politica “seconda”, quella dei partiti e delle istituzioni, in modo essa risulti essere il più possibile rispettosa e tutelante delle necessità reali e quotidiane degli individui.

Tra i principi femminili spicca, soprattutto per la sua assenza nella nostra epoca, il senso di cura il cui risveglio è auspicabile sia nell’uomo che nella donna. Per l’uomo riappropriarsi della cura significa entrare in contatto con le emozioni, con gli affetti propri ed altrui ed essere presente in maniera più equilibrata all’interno della famiglia.

Una maggiore presenza domestica dell’uomo permetterebbe alla donna di sentirsi supportata, non divisa tra il desiderio di realizzarsi nel lavoro e negli affetti.

Ma non solo.

Nella nostra società contemporanea, nell’era della conoscenza e della comunicazione, imperano di fatto incomunicabilità e solitudine. Internet può metterci in contatto con milioni di persone senza bisogno di incontrarle. Il rapporto con la realtà concreta, con i suoi odori e i suoi colori, è mediato dall’immagine virtuale, che è solo immagine. Il piede non sente più la morbidezza dell’erba verde. La mano non stringe più la mano, non stringe più un pugno di terra.

Il mondo virtuale ha creato un nuovo habitat per l’essere umano caratterizzato dalla chiusura in se stesso e dalla mancanza di tocco, tatto e “con-tatto” umano. Uno studio delle Nazioni Unite ha rilevato che la causa prima di decesso nei prossimi anni sarà la depressione. Essa insorge quando l’individuo si sente solo, isolato, non unito alla comunità.

Insomma il sintomo più doloroso che si constata da decenni è un malessere della società che si manifesta nel fenomeno della trascuratezza, del disinteresse e dell’abbandono, ovvero nella mancanza di cura e premura a tutti i livelli.

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Il principio di cura si manifesta attraverso la donna e il suo essere madre in maniera privilegiata e primigenia. E’ proprio il grande dono di essere madre che rende la donna personificazione della cura. Ma essere madre è più che una funzione: è un modo di essere di donne e uomini. E’ attraverso le madri che ognuno apprende ad essere madre di se stesso nella misura in cui impara ad accettarsi e a perdonare le proprie debolezze. E’ l’essere madre che ispira insegnanti, maestre/i, educatrici/ori, infermiere/i e tutti coloro che si prendono cura di qualcuno e del Pianeta.

Nella seconda metà dell’Ottocento lo storico svizzero Johann Jacob Bachofen scosse le tranquille certezze dell’epoca, e non solo dell’epoca!, affermando che ci fu un periodo agli albori dell’umanità in cui le donne, in quanto madri, detenevano il potere. In certi ambiti, propriamente accademici, il quadro che andrò qui di seguito delineando è ancora definito “ipotesi matriarcale”!

Fin dall’epoca paleolitica le donne mostrarono un’indole più stanziale degli uomini, proprio per la necessità di prendersi cura della prole. Nelle tribù nomadi mentre gli uomini si dedicavano alla caccia le donne erano dedite alla raccolta di bacche, erbe e frutti commestibili. Con il tempo e l’osservazione della natura esse appresero le leggi del mondo vegetale, i cicli di semina e raccolta, ed introdussero l’agricoltura.

Il procacciamento del cibo cessava quindi di essere un’attività basata esclusivamente sulla forza, come nella caccia, e diventava di pertinenza della donne che erano in grado di sfamare l’intera comunità. La capacità di garantire riserve alimentari conferì alla donna un nuovo potere all’interno della famiglia e della società: un potere che non conobbe più in nessun’altra epoca.

Le società matriarcali, o meglio matrifocali, erano società egualitarie e pacifiche: non c’erano gerarchie ed era garantita un’equa distribuzione delle risorse. Erano inoltre dotate di una organizzazione matrilineare riconoscendo giuridicamente la discendenza materna, vale a dire il diritto di successione femminile.

La cura dei piccoli portava le donne ad essere solidali tra donne e a stringere alleanze: ecco l’origine remota della sorellanza e dei movimenti di pace.

Bachofen inoltre affermava che c’è una dinamica che muove la storia e determina il passaggio da una fase evolutiva all’altra ovvero la contrapposizione tra il principio femminile e il principio maschile. I passaggi da una fase all’altra avvengono generalmente attraverso lotte e scontri violenti tra i sessi. Quando primeggia uno l’altro si oppone estremizzando gli aspetti che non appartengono alla sua vera essenza.

In concreto.

La fase matriarcale vide prevalere il principio femminile. Con l’avvento delle religioni monoteistiche, quando alla Dea Madre si sostituì un Dio Padre, prevalse il principio maschile. A fasi alterne le donne reagirono all’impossibilità di vivere in piena realizzazione il

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proprio femminile estremizzando i loro caratteri maschili. L’amazzonismo, l’imperialismo femminile, il femminismo appartengono a questo fenomeno.

Solo in alcune comunità definite “primitive” si possono riscontrare forme matriarcali fino ai giorni nostri. E’ mio desiderio divulgare la conoscenza di una realtà gilanica ovvero di una società in cui uomini e donne vivevano in equilibrio ed amministravano il potere in condizione di parità. Lo faccio perché è tempo di dare voce a tutte quelle parti di “storia negata” che in questo momento ci possono aiutare ad aprire una ulteriore finestra verso un cambiamento possibile e creativo. Il passato è molto più ricco di quanto ci raccontano!

Sopravvive, nella regione delle Ande, il residuo di una cultura affascinante, andata perduta per l'aggressività di un popolo di invasori. E' la cultura Inca, civiltà antica, i cui semi risalgono a circa 16.000 anni fa, ma che raggiunse il massimo splendore tra il XV e il XVI secolo. Fu brutalmente distrutta dagli spagnoli di Francisco Pizarro nel 1533. Le popolazioni locali oggi conservano, in forma orale, parte dei preziosi insegnamenti dei loro avi, che rischiano però di andare perduti nel conflitto con la cultura dominante: il rispetto della natura, il concetto che il lavoro non è un obbligo, ma un diritto e un favore che si fa a se stessi e al mondo, l'idea che la parola d'onore ha più forza di un contratto scritto, una grande e per noi sorprendente valorizzazione del ruolo della donna. Nel periodo d'oro degli Inca esisteva una organizzazione di donne sagge, chiamate Mamakuna, che furono le artefici di una forma di organizzazione socio-economica molto evoluta, chiamata Tawantinsuyo, cioè il Governo delle Quattro Regioni. Scopo di questa organizzazione era il mantenimento della pace, e la difesa della vita in tutti i suoi aspetti: e dunque degni di rispetto non erano solo gli esseri umani, ma anche gli animali, le piante, l'ambiente e così via. Tawantinsuyo era basata su tre punti basilari: l'amore, la ricerca della verità e il rispetto per gli esseri viventi. Con questi tre principi gli Inca crearono una civiltà che diventò la più grande del Sud America, e che all'arrivo degli spagnoli comprendeva tutta l'estensione oggi occupata da sei Repubbliche: la Colombia, l'Ecuador, il Perù, la Bolivia, il Cile, l'Argentina, oltre a estendere una sorta di influenza politica anche sul territorio che corrisponde al Venezuela, a Panama, all'Uruguay e Paraguay. In genere l'acquisizione di nuovi territori avveniva in modo pacifico, per via diplomatica, grazie anche al potere di attrazione di un paese che sapeva offrire benessere e accettazione ai nuovi arrivati. I capi si chiamavano Inca e l'élite dirigente Inca-Kuna, che vuol dire figli del Sole. La forma di governo era una democrazia dove il capo non era designato per diritto ereditario, ma veniva eletto da un consiglio di saggi. La loro civiltà era armoniosa: crescita economica e incremento demografico erano in perfetto equilibrio. La fame era stata debellata su tutto il territorio, e un certo benessere era presente ovunque, grazie a conoscenze agronomiche e tecnologiche sorprendenti. Tutti avevano un tetto, vestiti, cibo, istruzione, pace, un'educazione che valorizzava l'uomo. Non esisteva la proprietà privata, e l'economia era attentamente pianificata. Gli Inca avevano grandi conoscenze matematiche (si servivano di quattro diversi sistemi di calcolo) e idrauliche (la

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loro rete di canali era riuscita a convertire una terra molto arida e secca in un campo verde e fertilissimo). Conoscevano anche l'ingegneria genetica applicata all'agricoltura, e avevano creato nuove specie di semi e piante perfettamente adattate all'ecosistema, e in grado di sopravvivere da zero a quattromila metri. Avevano una banca dei semi straordinaria: basti pensare che esistevano 800 varietà di mais! Ma il fatto che oggi ci colpisce maggiormente è il ruolo delle donne, che godevano di indipendenza economica, potevano essere sacerdotesse, capi guerrieri o di governo, oppure diventare professioniste in qualsiasi campo. Il lavoro casalingo era riconosciuto come un importante contributo al benessere collettivo, e retribuito. Nell'elezione del governo avevano diritto di veto: bastava il "No" di una sola donna per fermare una candidatura. Tutto questo era frutto di un sistema educativo particolare che valorizzava separatamente il principio femminile e il principio maschile. Nell’Yachaywasi (maschile) si imparavano la scienza e la tecnologia per risolvere i problemi relativi al mondo esterno. Le materie erano: agricoltura, arte della guerra, allevamento del bestiame, idraulica, matematica, tecniche per costruire strade e ponti, e così via. Nell’Akllawasi (femminile) si insegnavano le "arti verso l'interno", e cioè sentimento, arte, alimentazione, pedagogia, creatività, etica, religione, sviluppo dell'intuito, difesa della vita. Entrambe le istituzioni erano di altissimo livello. e complementari, studiate per la specificità dei sessi. Nulla impediva alle donne che lo desideravano per inclinazione individuale, di frequentare la scuola maschile, e viceversa agli uomini di recarsi in quella femminile. (3)

Oggi, noi viviamo in una fase in cui il principio maschile è predominante. Il principio maschile non gli uomini, ma caratteristiche maschili presenti sia nell’uomo che nella donna.

Veniamo educati in scuole in cui il principio maschile è predominante: un sapere intellettivo, razionale, logico, un pensiero analitico che dividere, seziona, separa, che predilige il particolare all’universale. È la modalità della medicina ufficiale: per conoscere un uomo devo fare un´autopsia, devo sezionarlo. Ma in questo modo io conosco solo una parte dell`uomo ed essendo l´uomo rappresentazione del cosmo questo pensiero risulta essere inadeguato.

Come donne siamo state educate in scuole che non supportano la nostra essenza femminile, ovvero l’intuito, il pensiero olistico, l’attenzione per l’universale, la cura, i sentimenti, l’empatia, l’ascolto. Per entrare nel mondo del lavoro, con credibilità e rispetto, la donna deve sottostare a criteri di giudizio che premiano le sue doti maschili e pertanto per sopravvivere molte donne hanno dovuto sviluppare tali doti, in un processo di imitazione dell’uomo.

La prima conseguenza dello sviluppo delle qualità maschili nella donna è la malattia: stress e problemi ginecologici. Cisti, cisti endometriosiche, fibromi, menopausa precoce – trentotto/quaranta anni - sono tutti problemi legati alla mascolinizzazione della donna, al fatto che la donna si è allontanata dalla sua pura essenza.(4)

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La seconda conseguenza si ha nelle coppie e nelle relazioni: sempre più numerosi sono i divorzi, le separazioni, l’incomunicabilità tra uomini e donne.

Le leggi della natura ci possono dare una prima spiegazione di quanto si sta verificando. “L’attrazione tra uomini e donne esiste perché sono le metà di un circuito - l’uomo al polo attivo, la donna al polo ricettivo - e nell’esistenza c’è sempre l’innata tendenza a superare ciò che è incompleto per renderlo completo.”(5)

Ma se le donne sviluppano forti caratteristiche maschili la differenza tra uomini e donne, che è alla base della loro attrazione, diminuisce e, diventando sempre più simili l’uno all’altra, si respingeranno. Ci sono molti uomini confusi e spaesati proprio perché la donna, sia pur per necessità, ha abbandonato il suo ruolo per viverne uno a metà e l’uomo non sa più qual è il suo posto.

La terza conseguenza è sotto gli occhi di tutti noi ed è lo squilibrio ambientale, la drammatica situazione nella quale versa il nostro Pianeta di fronte alla quale molti scienziati ritengono che non c’è più tempo nemmeno per esitare sul da farsi: forse è già tardi.

Ci stiamo avvicinando al limite estremo della capacità della Terra di sostenere la vita. Il Living Planet Report ci ha messo in guardia soprattutto su un fatto: l’umanità sta saccheggiando il pianeta a un ritmo che supera la sua capacità di sostenere la vita. Più di un terzo delle risorse naturali mondiali sono state distrutte dall’attività umana nel corso degli ultimi tre decenni.

A ciò si aggiunga il cambiamento climatico.

“Per la maggior parte il surriscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è da ascrivere ad attività umane” questo è quanto si dice nel terzo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) 2001. Nel rapporto si afferma anche che “le temperature globali medie e il livello del mare cresceranno qualunque sia lo scenario futuro”. A seconda dello scenario, tra il 1990 e il 2100 si registreranno aumenti da 1,4 a 5,8° C. Se si verificherà questo surriscaldamento e gli scienziati dell’IPPC lo ritengono probabile, questo porterebbe la terra ad un livello climatico completamente diverso. La differenza di temperatura tra oggi e il passato sarebbe superiore a quella tra oggi e la metà dell’ultima glaciazione. In molte regioni il surriscaldamento terrestre porterà a condizioni climatiche estreme come siccità e precipitazioni molto intense. Aumenterà anche il pericolo di siccità e inondazioni. Ma particolarmente preoccupante è l’aumento dell’estremità delle condizioni. I più poveri soffrono già ora per le conseguenze del cambiamento climatico. Ad esempio l’Africa registra il 14% della popolazione mondiale ma contribuisce solo per il 3,2% alla percentuale totale di emissioni di CO2.(6)

Donne e politica. L’importanza e il dovere di esserci.

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Sì il dovere di esserci ! perché come donne possiamo cambiare la politica in quanto portatrici “biologiche” del principio di cura e di pace per bilanciare il principio maschile. Non si vedano queste definizioni in termini di giudizio: entrambi i principi sono necessari, ma appunto ENTRAMBI, rappresentati in ugual misura ed equilibrio.

La donna per sua natura è connessa all’ambiente e ad un modo olistico di percepire il tutto. Erano le donne nelle comunità arcaiche che curavano i malati, determinavano i tempi della festa, del lavoro, della vita, della morte, amministravano il rapporto con gli spiriti, prevedevano il futuro, sapevano sopravvivere in ambienti limite, mantenendo uno stretto rapporto con la natura, sfruttando le risorse ma conservando e curando il territorio nello stesso tempo. Ancora oggi la maggior parte delle iniziative di microeconomia e di economia identitaria sono portate avanti dalle donne. Nei Paesi in via di sviluppo molti progetti sono portati avanti dalle donne. Il microcredito in questi paesi è vincolato alle donne.

Si potrà assistere ad un cambiamento solo se le donne nella pienezza del principio femminile prenderanno in mano la situazione

Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma di convivenza che dia spazio ad un rapporto più benevolo con la terra e inauguri un nuovo patto sociale per i popoli nella direzione del rispetto e della preservazione di tutto ciò che vive ed esiste.

E’ necessaria una rivoluzione culturale che introduca un’educazione che riguardi non l’Uomo o la Donna ma che formi nuovi “esseri umani”.

Vista in questi termini, la domanda iniziale “Quale genere di potere?” giunge sicuramente ad un altro livello di sensibilità: il focus non è più sul “potere di chi?”, conteso tra donne e uomini, ma verte sulla consapevolezza della necessità impellente di ripristinare l’equilibrio tra il principio femminile e quello maschile, ed essendo quello maschile predominante in uomini e donne, è necessario risvegliare quello femminile, parimenti in donne e uomini!

Desidero concludere con una citazione tratta dal libro “Il cammino dell’Uomo” di Martin Buber:

“Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta. In questo istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni persona cerca di eludere questo punto di partenza sostenendo che se ci sono dei problemi nella propria esistenza ciò dipende anche dagli altri e che se si chiede a noi di risalire al nostro conflitto interiore bisogna pretendere altrettanto dai nostri avversari. Ma solo una persona pacificata è in grado di riallacciare relazioni nuove. Il punto di appoggio richiesto da Archimede a partire dal quale posso sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se pongo due punti di

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appoggio, uno qui e l’altro nell’animo del mio simile, l’unico punto mi sfugge immediatamente”(7).

______________

Note: 1. articolo apparso su “Il corriere della sera”, 19 novembre 2004 2. F. Comina cita I.Mancini, in A.A.V.V., Le periferie della memoria, A.N.P.P.I.A. 1999, p.101 3. testo di Emma Chiaia, da: Los Incas el reino del sol, edictiones Anaya, S.A. 1988 4. MULTIVERSUM, Convegno intenazionale, Merano 26.10.2002, dichiarazioni di Giuseppa Corrao, ginecologa naturale di Milano 5. Vigyan Bhairav Tantra, vol.2, cap.27 6. MULTIVERSUM, Convegno Internazionale, Merano 26.10.2002, dalla relazione di Norbert Lantschner, membro dell’Alleanza Internazionale del clima di Francoforte 7. Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, pp44-45 Bibliografia Donne e politica. Una rappresentanza negata? Atti del Convegno 2002, Assessorato Pari Opportunità Provincia di Udine BACHOFEN, J.J. Il potere femminile, a cura di Eva Cantarella, Il Saggiatore 1977 BOFF, L. Il creato in una carezza, Cittadella Editrice 2000 CAVAGLIA’ ,C. Donne e politica, Luciana Tufani editrice 2003 GAIOTTI DE BIASE, P. Che genere di politica?, 2 voll., Edizioni Borla 1998 LAZLO, E. Tu puoi cambiare il mondo, Edizioni Riza 2002 MANCINI, I. Tornino i volti, Marietti 1989 OSSO, R. LA prostituzione sacra, Multuversum 2004 RICHARDSON, D. Zeit fuer Liebe, Innenwelt Verlag 2000 SLEPOJ, V. Le ferite delle donne, Mondadori 2002

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Relazione sugli esiti dei questionari di valutazione a cura di Barbara Poggio

Questo rapporto si basa sui dati raccolti attraverso un questionario di valutazione somministrato a conclusione di un ciclo di incontri sulla cittadinanza attiva delle donne (cfr. appendice 2), che è stato realizzato in sette differenti comuni della Provincia di Trento: Ala, Cles, Mezzocorona, Cavalese, Telve Valsugana, Tione e Trento. L’iniziativa è stata promossa dall’Assessorato provinciale alle Pari Opportunità e dalla Commissione Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Trento, insieme con l’associazione A.d.ele (Associazione donne elettrici) partendo dalla consapevolezza dell’ancora scarsa presenza della componente femminile nei luoghi istituzionali e decisionali pubblici provinciali al fine di fornire alle donne interessate un’occasione di riflessione condivisa sul significato e sul valore della politica e sulle effettive possibilità e modalità di partecipazione.

Gli incontri sono stati realizzati nei mesi di ottobre e novembre 2004 e hanno coinvolto un totale di 248 partecipanti (tab. 1). Le tematiche affrontate hanno riguardato in particolare il tema dell’autostima, dell’amministrazione dell’ente pubblico e la questione del rapporto tra genere e potere. La partecipazione agli incontri è stata numerosa, a testimonianza di un crescente interesse da parte delle donne nei confronti di una tematica che continua ad essere di netta prerogativa maschile. Tabella 1 – Partecipanti agli incontri “Donne in politica”

LUOGO Tot. partecipanti Tot. Questionari Ala 29 24 Cavalese (Predazzo, Tesero) 31 6 Cles 23 6 Mezzocorona 16 6 Telve 35 23 Tione (Condino, Breguzzo) 54 8 Trento 60 44 Totale 248 115

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L’iniziativa ha inoltre rappresentato una significativa opportunità per costruire e rafforzare sul territorio una rete di donne impegnate nel contesto della politica, in linea con l’azione avviata con efficacia già da diversi mesi sul territorio provinciale dall’associazione A.d.ele., a partire dal riconoscimento della rilevanza della costruzione di network sul territorio per l’accesso e l’affermazione ai contesti della politica.

1. Il campione

Il questionario oggetto di questa relazione è stato somministrato nelle diverse sedi ad un campione di 115 soggetti, di cui 99 donne e 3 uomini1, di età compresa tra i 17 e i 69 anni. La classe di età maggiormente rappresentata è quella compresa fra i 41 e i 50 anni e l’età media è di 45 anni.

Fig. 1 - Distribuzione per età

17-30 anni13%

31-40 anni23%

41-50 anni32%

51-60 anni25%

61-69 anni7%

Tra le rispondenti il livello di scolarità è piuttosto elevato: la metà possiede un diploma o una qualifica professionale, il 21% possiede una laurea o un diploma universitario e il 4% ha

1 Vista la quasi assoluta prevalenza di donne nell’analisi non verrà effettuata una disaggregazione dei dati per genere e il commento ai dati sarà declinato al femminile, privilegiando il principio della dominanza.

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conseguito una specializzazione post-laurea oppure ha svolto il dottorato, mentre solo il 13 % ha un titolo di studio inferiore alla scuola dell’obbligo o non ha alcun titolo di studio.

Le persone occupate sono quasi il 60%, mentre le rimanenti si suddividono tra pensionati (14%), casalinghe (4,4%), persone in cerca di occupazione (2,6%) e studenti (2,6%). Va sicuramente evidenziata le percentuale molto contenuta di donne in condizione di casalinga.

Tra coloro che sono occupati, quasi il 60% si trova in una condizione di lavoro dipendente (di cui il 20% occupa la posizione di dirigente, quasi il 50% è occupa una posizione impiegatizia e solamente il 2% svolge l’attività di operaio), il 21% si dichiara imprenditore o libero professionista e solamente il 2% lavoratore autonomo.

2. Interesse e partecipazione al mondo della politica

Complessivamente le rispondenti presentano valori altamente significativi rispetto al grado di interesse alle vicende della politica e al livello di informazione. Circa due terzi leggono spesso i giornali e gli articoli politici (67%) e discutono spesso di politica all’interno della famiglia (64%) e nove rispondenti su dieci seguono con una certa frequenza le trasmissioni politiche alla televisione.

Sebbene in misura più contenuta rispetto ai dati relativi all’interesse e al livello di informazione, anche la partecipazione attiva ad iniziative ed attività pubbliche appare significativa, in quanto dichiara di partecipare a manifestazioni pubbliche più della metà delle intervistate (il 17% spesso e il 29% qualche volta) e poco meno sono effettivamente impegnate in attività politiche sindacali, di partito, di movimento o associative (il 26% partecipa “spesso” e una uguale quota “qualche volta”).

Tabella 2 – Interesse e partecipazione ad attività politiche (%)

Spesso Qualche volta Raramente Mai

Discutere di politica con familiari /amici 64,0 30,7 3,5 0,0

Leggere articoli/giornali di carattere politico

66,7 25,4 2,6 1,8

Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico

40,4 49,1 9,6 0,9

Partecipare a manifestazioni di carattere politico

16,7 28,9 36,0 16,7

Partecipare attivamente all’attività di partiti/sindacati/movimenti politici/associazioni

26,1 26,1 23,4 24,3

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Una più incisiva azione in termini di motivazione, sensibilizzazione, formazione e costruzione di network sembrerebbe dunque poter rappresentare una strada da percorrere al fine di facilitare la traduzione di un interesse condiviso in una pratica attiva. 3. La presenza delle donne in politica

Quasi tutte le rispondenti concordano nell’affermare che il numero di donne presenti in politica dovrebbe essere più elevato (94%). In particolare un aumento della presenza delle donne in politica comporterebbe un miglioramento per il 93% delle rispondenti (mentre solo una persona ritiene che ci sarebbe un peggioramento). Le ragioni di tale miglioramento sarebbero dovute per la maggior parte di coloro che hanno risposto al fatto che la presenza delle donne porterebbe nell’arena politica nuove prospettive rispetto a quelle attualmente dominanti (tab. 3). Una quota quasi altrettanto significativa di risposte sottolinea l’esistenza di una specifica sensibilità femminile nei confronti di particolari problemi, che il questionario non declina, ma che probabilmente si riferiscono ad alcune aree culturalmente più vicine all’esperienza delle donne. Circoscritto è invece il numero di rispondenti che sottolineano una maggiore capacità delle donne nell’agire politico. Il confronto in base all’età mostra che sono soprattutto le rispondenti più giovani a sottolineare l’importanza della presenza delle donne in quanto portatrici di nuovi punti di vista, mentre sono le donne in età più avanzata ad enfatizzare una differente e maggiore sensibilità delle donne rispetto a particolari problemi.

Tabella 3 – Perché una maggiore presenza delle donne in politica porterebbe dei miglioramenti (%)

%Portatrici di nuovi punti di vista 47,3Maggiore sensibilità per certi problemi 45,5Maggiori capacità 3,6Altro 0,9Totale 100,0

Sembra tuttavia confermato il permanere di significative riserve e pregiudizi sociali nei confronti delle donne che ricoprono ruoli in ambito politico. Più della metà di coloro che hanno risposto sostiene infatti che i cittadini non hanno fiducia nelle donne (57%), che non le sostengono (55%) e un terzo ritiene che le donne non siano ritenute capaci (33%)2.

2 Va tuttavia evidenziata l’elevata percentuale di persone che non rispondono alle domande relative all’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle donne, che va dal 30 al 43%.

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4. Opinioni sul rapporto tra donne e politica

Una delle domande presenti nel questionario chiedeva agli intervistati di prendere posizione rispetto ad una serie di affermazioni relative al rapporto tra donne e politica, alcune delle quali richiamavano convinzioni e luoghi comuni ancora piuttosto diffusi tra la popolazione (tab. 4).

Tabella 4 – Grado di accordo con alcune affermazioni diffuse sul tema ‘donne e politica’ (%)

Molto d’accordo

Abbastanza d’accordo

Poco d’accordo

Per niente d’accordo

Ai partiti non interessa coinvolgere più donne

28,2 47,3 15,2 9,8

Per una donna in gamba non esistono particolari difficoltà a entrare nel mondo politico

25,5 28,6 37,5 8,9

Le donne non condividono il modello di politica praticato dagli uomini

24,5 36,8 28,8 9,9

L’attuale mondo politico è ostile alle donne

23,6 45,1 23,9 8,0

I tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne

21,8 36,9 22,5 18,9

Anche se le donne si candidano, poi non vengono elette

17,3 47,3 28,6 7,1

Le donne pensano di non essere portate per la politica

12,7 47,7 24,3 15,3

Alle donne non interessa la politica

1,8 37,5 36,6 24,1

Le donne non sono all’altezza dei compiti che l’impegno politico richiede

0,9 1,8 18,6 78,8

Nel complesso le affermazioni che raccolgono il maggior grado di adesioni sono quelle che riguardano la scarsa attenzione e in molti casi l’ostilità che il mondo politico dimostra nei confronti della componente femminile: tre rispondenti su quattro sono molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che ai partiti non interessa coinvolgere le donne e poche meno considerano l’attuale mondo politico ostile alle donne. Anche nel caso poi che le donne vengano candidate alle elezioni, sostengono sei intervistate su dieci, è probabile che non

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vengano elette, anche se non è chiaro se questo sia dovuto ad uno scarso sostegno in campagna elettorale o ad un atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti delle donne da parte degli elettori.

La distanza che separa le donne dalla politica è legata per molte rispondenti da un lato al fatto che le donne non condividono il modello di politica dominante, ovvero quello praticato dagli uomini (ne è molto o abbastanza convinto il 61% del campione) e dall’altro al fatto che le donne pensano di non essere portate per la politica (60%). Ciò che le persone intervistate sottolineano in questa ultima risposta è la mancanza di fiducia nelle proprie capacità che sembra caratterizzare le donne, mentre invece una quota significativamente più circoscritta sottoscrive (e solo in parte) l’affermazione che le donne non sono interessate alla politica (39%) e pochissimi ritengono che le donne non siano all’altezza dei compiti richiesti dall’impegno politico (2,7%).

Un problema rilevante sembra invece essere rappresentato dai tempi della politica, considerati da più della metà del campione poco o per nulla compatibili con quelli delle donne (57%). Infine le rispondenti si dividono tra coloro che nonostante tutto, pensano che per una donna in gamba non esistano particolari difficoltà a farsi strada nel mondo politico (52%) e coloro che invece ne sono poco o per nulla convinte.

Il confronto tra le risposte offerte da soggetti di età diverse mette in luce un maggiore ottimismo tra le rispondenti più giovani sia rispetto alla rappresentazione delle donne (di cui si riconosce un più alto grado di interesse per la politica) sia rispetto alle effettive opportunità di affermarsi (sono soprattutto le giovani donne a ritenere che per le “donne in gamba” non esistano particolari difficoltà per affermarsi in politica). Le giovani donne sembrano inoltre meno convinte della presenza di diversi modelli di cultura politica legati all’appartenenza di genere, dell’esistenza di una ostilità di fondo o comunque di una sorta di disinteresse da parte del mondo politico nei confronti delle donne e del fatto che anche quando si candidano, le donne non vengono elette.

Alle intervistate è stata inoltre offerta la possibilità di indicare liberamente le principali ragioni che possono portare una donna a rinunciare ad un progetto di attività politica (fig. 2). La motivazione maggiormente segnalata riguarda la difficoltà di conciliare i tempi della politica con quelli della famiglia e in molti casi anche del lavoro: per le donne che hanno responsabilità familiari e lavorative, quella politica diventa infatti la terza presenza e non sempre è facile o possibile trovare un equilibrio, sebbene precario, tra queste tre dimensioni. La seconda ragione individuata è legata alla carenza di autostima che sembra caratterizzare le donne e che le porta a sminuire le proprie capacità e competenze. Si sottolinea poi una generale mancanza di sostegno da parte dei vari contesti di riferimento (i partiti, le famiglie, la cittadinanza), ma anche una mancanza di solidarietà tra le stesse donne. Vengono infine segnalati il problema della discriminazione da parte degli uomini, la scarsa identificazione delle donne nei modelli politici dominanti, prevalentemente maschili. Pochissime persone infine segnalano il minor grado di formazione politica delle donne.

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Fig. 2 – Motivazioni dell’abbandono della attività politica da parte delle donne

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Mancanza diformazione

Non condivisionemodello dominante

Discriminazione

Mancanza di sostegno

Autostima

Tempi e conciliazione

Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto

Concentrando l’attenzione sulle risposte provenienti da coloro che dichiarano di aver rinunciato ad un progetto di partecipazione politica (complessivamente poco meno di un terzo delle rispondenti) si osserva che le prime due indicazioni vengono confermate: resta infatti prioritario il problema della conciliazione dei tempi, seguito dal problema della scarsa fiducia nelle proprie capacità. Il terzo fattore critico è invece rappresentato dal non riconoscersi nel modello culturale dominante nel mondo della politica.

5. Quali azioni per incentivare la partecipazione delle donne

Una volta individuati i principali fattori che sembrano ostacolare l’accesso delle donne al mondo della politica, sono state proposte alle rispondenti una serie di possibili soluzioni e/o iniziative per incentivare il coinvolgimento e la partecipazione politica delle donne, chiedendo loro di individuare delle priorità (fig. 3). L’opzione che raccoglie la maggior parte dei consensi (sia complessivamente che come prima scelta) è quella relativa all’esigenza di offrire percorsi di formazione politica (sia in termini di acquisizione di conoscenze che di sviluppo di competenze). Segue (per numero complessivo di scelte, in prima, seconda o terza battuta)

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l’esigenza di creare reti locali di sostegno per le donne, anche se l’azione che raccoglie la seconda maggior quota di prime scelte riguarda il rafforzamento dell’autostima e della sicurezza delle donne, che risponde all’esigenza emergente in precedenza, laddove una consistente quota di rispondenti riteneva che le donne pensano di non essere portate per la politica. Minori preferenze raccolgono soluzioni mirate a sensibilizzare cittadinanza e partiti. L’opzione complessivamente meno scelta è quella relativa all’introduzione delle quote (indicata soltanto dal 26% delle rispondenti, seppure considerata come prima scelta da una persona su dieci).

Fig. 3 – Azioni ritenute utili per sostenere la presenza delle donne in politica

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Fissare una quota minimadi candidature per il sesso

meno rappresentato

Sensibilizzare lacittadinanza

Sollecitare i partiti perfavorire le candidature di

donne

Rafforzare l’autostima e lasicurezza delle donne

Creare reti locali disostegno per le donne

Fare formazione politica(conoscenza,competenze)

Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto

A sottolineare la rilevanza di una formazione di tipo tecnico sono soprattutto le rispondenti più giovani, nella cui esperienza il percorso formativo assume una rilevanza più significativa rispetto alle generazioni precedenti, anche in relazione alle aspettative di carattere professionale. Sono invece le donne meno giovani a segnalare maggiormente l’esigenza di un intervento formativo finalizzato a rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne, ma anche l’opportunità di azioni di sensibilizzazione o di sostegno a favore della componente femminile.

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6. Proposte di approfondimento

L’ultima parte del questionario si concentrava sul percorso formativo appena concluso, proponendo alle rispondenti di indicare quale fra i tre temi affrontati meritasse ulteriori approfondimenti e chiedendo inoltre di segnalare eventuali altre tematiche di interesse (fig. 4). Il tema più indicato per ulteriori approfondimenti è quello relativo all’amministrare, seguito dal rapporto tra genere e potere e dall’autostima, tema che tuttavia è considerato prioritario da quasi un terzo delle rispondenti.

Fig. 4 – Indicazioni per eventuali approfondimenti dei temi trattati

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Autostima:convincersi di essere

capaci

Che "genere" dipotere

Amministrare: cos'è

Più importante Mediamente importante Meno importante Non scelto

Sembra dunque che la richiesta prioritaria sia quella di acquisire strumenti conoscitivi per affrontare con maggiore competenza l’azione politica. Di fronte a questi dati vale forse la pena di ricordare come varie ricerche abbiano dimostrato che le donne che oggi accedono alla politica (ma più in generale al mondo delle professioni) siano mediamente più preparate e formate rispetto alla componente maschile e come questo, pur rappresentando una condizione necessaria, non rappresenti tuttavia una condizione sufficiente per farsi strada e ottenere gli adeguati riconoscimenti3.

All’invito a proporre eventuali altre tematiche da approfondire, le persone che hanno risposto (solo il 42% del totale) hanno reagito suggerendo una molteplicità di percorsi. Nella tabella 5 vengono individuate alcune categorie di sintesi delle diverse indicazioni raccolte (presentate per esteso nell’appendice 1).

3 Cfr. Pescarolo, A. “Donne e uomini nella politica”, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2001; Bison, I. Pisati, M. e Schizzerotto, A. “Disuguaglianze di genere e storie lavorative”, in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di S. Piccone Stella e C. Saraceno, Bologna, Il Mulino, pp. 253-279,1996

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Tabella 5 – Indicazioni di possibili tematiche da approfondire (%)

%Le donne e la politica 34,8Amministrare 26,1Autostima e comunicazione 15,2Costruzione di reti 8,7Altro 15,2Totale 100,0

In primo luogo emergono le richieste di approfondimento rispetto al tema della presenza delle donne in politica, che vanno dalla riflessione sull’apporto specifico che la donna può dare alla politica, alla considerazione dei possibili interventi mirati a favorire l’equità tra donne e uomini nei contesti politico-istituzionali, ad una analisi più generale dei modelli culturali di genere nella politica ma anche nella società. Seguono le proposte di approfondimento di questioni relative all’attività dell’amministrare, come il funzionamento dell’amministrazione pubblica, la rappresentanza partitica e il diritto pubblico in generale (istituzioni nazionali e locali). Inoltre, seppure in misura più contenuta, vengono segnalate la tematica dell’autostima – nello specifico espressa dal desiderio di imparare a parlare in pubblico e di vincere le proprie paure – e del networking, ovvero dell’opportunità di costruire reti tra donne o di sostegno alle donne.. Si suggerisce infine l’opportunità di realizzare dei laboratori di formazione politica, in cui individuare nuove forme e modalità del fare politica e di partecipazione democratica.

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Appendice 1 - Tematiche proposte per possibili approfondimenti Le donne e la politica

Come convincere il territorio del valore della donna in politica, aiutare le donne

Come coordinare impegni lavorativi e familiari, come amministrare, crescita e sviluppo

Come possono entrare forze nuove in politica: la politica femminile come professione

Confronto tra le realtà in cui la presenza femminile è alta e quelle in cui è bassa: tesi equità

Cos'è veramente la vita politica? cos'è per la donna?

Cosa noi donne possiamo portare alla politica visto che non dobbiamo né vogliamo emulare gli uomini

Donne e lavoro

Laboratori creativi e supporto alle donne già in politica

L'educazione dei bambini e i meccanismi inconsci che ripetono le dinamiche del sistema sociale

Promuovere la necessità di essere attive

Psicologia maschile/femminile - informazione politica/ informazione & politica

Rafforzare l'idea di uguaglianza e pari opportunità

Rendere visibile l'importanza del ruolo della donna

Sentire l'esperienza di una donna in politica

Studio della società che cambia in favore della presenza delle donne in politica, corsi di formazione

Studio di meccanismo per costringere i partiti a introdurre le donne nelle liste e a sostenerle

Amministrare

Approfondire i tre temi svolti con particolare attenzione alla formazione in materia istituzionale

Aspetti giuridici ed economici dell'amministrare

Burocrazia: come funziona, servizi al cittadino e alle imprese, formazione continua

Comunità e bene comune, storia/economia internazionale

Conoscenze tecniche sull'amministrazione

Corsi di legislazione - sull'ordinamento dei Comuni - sulla gestione provinciale e sulle competenze

Formazione politica

Formazione politica, rete territoriale possibile per unificare donne e politica, responsabilità politica

Imparare a conoscere i meccanismi della politica

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Legislazione nei principali ambiti dell'amministrare, urbanistica, industria, commercio, cultura ecc.

Nozioni legislative

Tematiche amministrative in politica, cos'è un'interrogazione o una mozione, saper intervenire

Autostima e comunicazione

Autostima

Incontro alla pari tra uomini e donne, capacità di parlare in pubblico, vincere le paure

Parlare in pubblico

Rafforzare l'autostima e la partecipazione

Saper parlare, riuscire a farsi capire

Strategie comunicative e di mediazione

Tecniche di comunicazione, ruolo della donna nelle istituzioni

Costruzione di reti

Fare seminari o piccoli gruppi con confronti tra donne amministratrici, incontri con i partiti

Forme della partecipazione democratica, costruzione di "reti", forme alternative di fare politica

Incontrare le donne di vari partiti su problemi e temi sociali insieme

Interventi politici fatti attraverso i comitati, i gruppi di pressione ecc.

Altro

Approfondimento culturale generale

Il campo sociale

La politica come arte del compromesso?

Lavoro, razzismo, politica

L'utopia di credere nel benessere collettivo e nella sua possibilità di essere perseguito

Mobbing

Nuovi modi di fare politica

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Appendice 2 – Il questionario

Provincia Autonoma di Trento

Assessorato alle pari opportunità

QUESTIONARIO

“Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci” ottobre-novembre 2004

Data:

Luogo dell’incontro:

1. Facendo riferimento al suo interesse per la politica, indichi, per cortesia, con quale frequenza compie le seguenti attività:

Mai Raramente Qualche volta Spesso

Discutere di politica con familiari /amici 1 2 3 4

Leggere articoli/giornali di carattere politico 1 2 3 4

Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico 1 2 3 4

Partecipare a manifestazioni di carattere politico 1 2 3 4

Partecipare attivamente all’attività di partiti/ 1 2 3 4

sindacati/movimenti politici/associazioni/ …

2. Secondo lei, il numero di donne attualmente in politica dovrebbe essere (1 sola risposta):

1 va bene così

2 più basso

3 più elevato

4 non so/ non ci ho mai pensato

3. Secondo lei, una maggior presenza femminile nei luoghi decisionali potrebbe comportare dei cambiamenti nella qualità delle decisioni politiche? (1 sola risposta)

1 no, non cambierebbe nulla → vai alla domanda 3.1

2 ci sarebbero dei miglioramenti → vai alla domanda 3.2

3 ci sarebbero dei peggioramenti → vai alla domanda 3.3

4 non so/ non ci ho mai pensato → vai alla domanda 4

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3.1 No, non cambierebbe nulla. Perché? (1 sola risposta)

1 non c’è alcuna differenza tra le decisioni prese da uomini e da donne

2 anche se ci fossero più donne, a loro sarebbero destinati i posti privi di reale potere

3 anche se ci fossero più donne, non avrebbero l’autorevolezza di imporre il loro punto di vista

4 altro: ________________________________________

3.2 Ci sarebbero dei miglioramenti. Perché? (1 sola risposta)

1 le donne sono portatrici di nuovi punti di vista

2 le donne hanno una maggiore sensibilità di fronte a certi problemi

3 le donne hanno più capacità degli uomini

4 altro: _____________________________________

3.3 Ci sarebbero dei peggioramenti. Perché? (1 sola risposta)

1 le donne sono meno esperte degli uomini a gestire il potere

2 le donne hanno meno capacità degli uomini

3 le donne dedicherebbero meno tempo degli uomini agli impegni politici

4 altro: ________________________________________

4. Secondo lei, qual è, in generale, l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle donne che partecipano alla vita politica? (1 risposta per ogni coppia di affermazioni)

1 i cittadini hanno fiducia oppure 2 i cittadini non hanno fiducia

1 i cittadini le sostengono oppure 2 i cittadini non le sostengono

1 i cittadini le ritengono capaci oppure 2 i cittadini non le ritengono capaci

5. Di seguito vengono riportate alcune affermazioni sul tema ‘donne e politica’. Per ciascuna di esse potrebbe indicare il suo grado di accordo/disaccordo?

Per niente d’accordo Poco d’accordo Abb. d’accordo Molto d’accordo

Alle donne non interessa la politica 1 2 3 4

Le donne pensano di non essere portate per la politica 1 2 3 4

Le donne non sono all’altezza dei compiti che l’impegno politico richiede 1 2 3 4

I tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne 1 2 3 4

Anche se le donne si candidano, poi non vengono elette 1 2 3 4

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Ai partiti non interessa coinvolgere più donne 1 2 3 4

L’attuale mondo politico è ostile alle donne 1 2 3 4

Le donne non condividono il modello di politica praticato dagli uomini 1 2 3 4

Per una donna in gamba non esistono particolari difficoltà a entrare nel mondo politico 1 2 3 4

6. Secondo lei, che cosa si dovrebbe fare per sostenere la partecipazione delle donne in politica? (al massimo 3 risposte in ordine di importanza: 1= più importante, 2=mediamente importante, 3=meno importante)

⎪_⎪fissare per legge una quota minima di candidature per il sesso meno rappresentato

⎪_⎪fare formazione politica (conoscenze, competenze)

⎪_⎪rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne (empowerment)

⎪_⎪sensibilizzare la cittadinanza

⎪_⎪creare reti locali che sostengano le donne che vogliono partecipare alla vita politica

⎪_⎪sollecitare i partiti al fine di favorire le candidature delle donne

⎪_⎪altro: _____________________________________________

7. Secondo lei, una donna che vuole entrare in politica ma poi rinuncia a questo progetto, per quali ragioni giunge a tale decisione? Indichi, per cortesia, le tre ragioni che lei ritiene più verosimili.

a. _________________________________________________________________________________

b. _________________________________________________________________________________

c. _________________________________________________________________________________ 7.1 A lei è mai successo? (solo per le donne)

1 Sì

2 No

8. Secondo lei, quali sono i temi degli incontri per cui sarebbe interessante un approfondimento? (al massimo 3 risposte in ordine di importanza: 1= più importante, 2=mediamente importante, 3=meno importante)

⎪_⎪ Autostima: convincersi di essere capaci

⎪_⎪ Amministrare: cos’è

⎪_⎪ Che “genere” di potere

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9. Quali altre tematiche le interesserebbe approfondire?

__________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

Dati individuali

10. Sesso 1 M 2 F

11. Età _____

12. Titolo di studio

1 nessun titolo/ licenza elementare/ licenza di scuola media inferiore

2 qualifica professionale/ diploma di scuola media superiore

3 laurea/ diploma universitario

4 dottorato di ricerca/ specializzazione post-laurea

13. Condizione occupazionale

1 Occupato/a → vai alla domanda 13.1

2 In cerca di occupazione

3 Pensionato/a

4 Casalinga

5 Studente

6 Altra condizione 13.1 In quale posizione occupazionale si trova? (solo per chi è occupato)

1 Dipendente → vai alla domanda 13.2

2 Imprenditore/trice o libero/a professionista

3 Lavoratore/trice autonomo/a

4 Altro 13.2 Lei è alle dipendenze come… (solo per chi è alle dipendenze)

1 Dirigente/direttivo/quadro

2 Impiegato/a

3 Operaio/a

4 Altro ____________________

COLLABORANO ALLA DIFFUSIONE DEL QUESTIONARIO:

la Commissione Provinciale pari opportunità

l’Associazione A.d.ele.

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2005

Centro Duplicazioni della Provincia Autonoma di Trento

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Provincia Autonoma di Trento Unità organizzativa pari opportunità

Dipartimento Istruzione Via XXIV Maggio, 2 – 38100 Trento Tel. 0461.496256 Fax 0461.496288 Email: [email protected]

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