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© Educare.it (rivista on line - ISSN: 2039-943X) - Vol. 17, n. 5 – Maggio 2017 35
L’importanza della comunicazione nella didattica (parte I)
Carlo Salvitti
Insegnante specializzato in sostegno didattico, titolare presso l’Istituto Comprensivo “Gabriele Rossetti” di Vasto (Chieti), in servizio nella omonima Scuola Secondaria di I grado. Ha pubblicato due volumi e alcuni articoli sul tema dell'inclusione scolastica e degli stili di apprendimento. E-mail: [email protected]. ORCID 0000-0003-3594-1305
La necessità di accompagnare le conoscenze della propria disciplina con
specifiche competenze comunicative e, più in generale, relazionali è un
principio acquisito dalla didattica moderna. Tuttavia sul piano pratico non
è raro incontrare docenti che non sono sufficientemente attenti a queste
dimensioni della dinamica insegnamento-apprendimento. L’articolo si
propone di riassumere gli elementi fondamentali di questa tematica, con
particolare riferimento agli alunni con bisogni educativi speciali.
Introduzione
Il verbo latino communicare trae origine da
communis, cioè “comune” , con il riferimento
al “mettere in comune”, allo ”unire in
comunità” per la coesistenza e la
partecipazione reciproca. Comunicare vuol
dire mettere qualcosa in comune, da parte di
tutti. Vuol dire donare qualcosa di se stessi
agli altri che fa nascere dei legami tra le
persone e da vita al “gruppo” in seno al
quale si realizzano scambi reciproci.
Quando si parla di gruppo a scuola, in
comunità, nello sport, l’educatore (o
l’allenatore, l’insegnante) fa integralmente
parte di quel gruppo, diventa egli stesso
membro del gruppo: a meno che non si
metta esclusivamente in primo piano la
differenza di ruolo finalizzata a voler
mantenere il controllo continuo che
rilegherebbe gli allievi a puri soggetti
passivi. Ma in questo caso non si tratterebbe
propriamente di comunicazione, come
vedremo nelle prossime righe.
Comunicazione o comunicazioni?
Personalmente preferirei si parlasse di
com-uni-cazione, di un’azione di scambio
reciproco di informazioni, pareri, proposte,
svolta da un insieme di persone in maniera
tale da divenire un tutt’uno, ad esempio un
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gruppo. Ma perché ciò accada è necessario
che tutte le persone coinvolte “donino”,
“offrano” agli altri. Nel caso fosse una sola
persona a proporsi si parlerebbe di
trasmissione di informazioni, ma non di
comunicazione.
La comunicazione è fondamentale per
l’ottimizzazione del processo di educazione
e integrazione. La comunicazione efficace, in
particolare, si mostra indispensabile per
sviluppare nuove abilità e competenze, per
creare relazioni costruttive all’interno del
gruppo classe e della comunità scolastica.
Essa permette di perfezionare l’azione
didattica di insegnamento-apprendimento,
di sviluppare capacità emergenti specifiche
e trasversali, di favorire il processo di
socializzazione.
La comunicazione si compie mediante lo
scambio di messaggi in quattro diverse
forme: diacronica (con intervalli di tempo) o
sincronica (in contemporanea), in presenza
fisica o in non presenza. Oggi la
comunicazione in non presenza è assicurata
dai mezzi tecnologici, ma è poco
personalizzata.
I quattro aspetti della comunicazione
Secondo la Pragmatica della comunicazione
umana si possono individuare quattro
aspetti che sono tutti contemporaneamente
coinvolti negli scambi reciproci e richiedono
un’attenzione continua da parte delle figure
educative.
1) Aspetto di contenuto: è il contenuto dei
messaggi scambiati, il significato codificato.
Il messaggio di contenuto incarna un
sistema logico-razionale che veicola dati e
informazioni: sotto questo aspetto
l’affermazione «Oggi è una bella giornata!»
porta con se una informazione che concerne
la situazione meteorologica-climatica e
nient’altro.
Il contenuto può essere incentrato anche
sugli altri tre aspetti descritti in seguito
(parlare esplicitamente dell’emotività, della
relazione o dei propri ruoli). Agisce su tre
livelli:
a. Letterario (prendersi alla lettera, prendere
i messaggi così come sono;
b. Nascosto (quello che si vorrebbe far
trapelare, più o meno inconsciamente,
senza dirlo esplicitamente;
c. Profondo (aspetto esistenziale, spirituale,
dell’animo umano).
La difficoltà nel cogliere il livello esatto
su cui intende comunicare il mittente, unita
alla capacità di contaminazione che ogni
livello può esercitare sugli altri e alla
pluralità di significati che le parole possono
assumere, rende la comunicazione logica-
razionale molto ambigua. Spesso lo stesso
mittente si rende conto che ciò che ha
appena detto forse non corrisponde
esattamente a quello che voleva dire e ha
dubbi su cosa gli interlocutori abbiano
potuto capire. Per questa ragione è
assolutamente rilevante essere molto chiari e
soprattutto essere concisi senza dilungarsi
troppo nel cercare di chiarirsi ulteriormente,
perché si rischierebbe di trascinare chi ci
ascolta in uno stato di confusione totale!
Quando diamo una spiegazione o una
consegna ad un nostro allievo e questi
mostra di non aver compreso a pieno, cosa
facciamo? Per nostra cultura tendiamo a fare
ulteriori spiegazioni, insistendo con le
parole. Ma se riflettiamo su ciò che sta
accadendo ci rendiamo conto che in questa
maniera il nostro allievo finisce per essere
completamente disorientato. La scelta
migliore, in casi del genere, consiste nel
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lasciare da parte il codice linguistico-
verbale, assai complesso, ed utilizzare codici
più immediati ed intuitivi come quello
grafico, il codice gestuale o visivo, aiutando
l’allievo a comprendere meglio attraverso
disegni, indicazioni gestuali o mediante
l’uso di immagini.
2) Aspetto emotivo: gli interlocutori si
trasmettono le emozioni, condizionandosi e
inducendosi stati emotivi reciprocamente; è
immediato, non codificato e quasi
inconsapevole. Se l’affermazione «Oggi è
una bella giornata!» viene fatta in maniera
brillante comunica anche uno stato emotivo,
lascia intendere che non è una giornata bella
solo all’esterno, ma che chi parla si trova in
uno stato d’animo di serenità o di allegria.
3) Aspetto di relazione: da tale aspetto
traspare lo stato relazionale: la relazione
come va, come procede? E’ positiva o
negativa? Rispetto al nostro esempio,
asserire che è una bella giornata attesta che
si è ben predisposti a relazionarsi e a
collaborare con gli altri. È interessante
notare che quando si comunica si entra in
relazione e quando si entra in relazione si
comunica anche.
4) Aspetto di ruolo. Ciascuno di noi assume
all’interno della società ruoli distinti a
seconda del contesto in cui si trova; al
variare del ruolo si accompagna un naturale
mutamento della comunicazione. Il ruolo
assunto dagli interlocutori in ambito
educativo (insegnante-alunno, educatore-
allievo, padre-figlio, collega-collega, ecc.)
dovrebbero rispecchiare ciò che avviene
spontaneamente in ambito sociale optando
per la variazione dei ruoli comunicativi
anche se i ruoli reali, in verità, restano gli
stessi. In alternativa il rischio che si corre è
che la comunicazione si appiattisca e si
cristallizzi, diventi noiosa anche sotto il
profilo degli aspetti di contenuto, di
emozione e di relazione, con inevitabile
decadimento della sua funzione. Ma può
accadere anche di peggio, cioè che questo
aspetto venga utilizzato per prevaricazione,
per imporre la propria autorità sugli altri.
Superare le barriere
Questi quattro aspetti, naturalmente,
sono tutti contemporaneamente coinvolte
nella comunicazione e richiedono
un’attenzione continua da parte delle figure
educative.
L’insegnante che cerca di esercitare un
perenne controllo sugli alunni attraverso la
comunicazione è certamente insicuro e
timoroso di perdere tale controllo. Senza
dubbio impedisce, in questa maniera, il
libero scambio di idee e la reciprocità
relazionale tra gli allievi e tra lui e gli allievi.
Così facendo, inibisce la spontanea
espressività e l’iniziativa nelle transazioni
interpersonali all’interno del gruppo.
Se l’insegnante è insicuro e teme di non
riuscire a gestire al meglio la classe si
possono facilmente creare vere e proprie
barriere ad una valida comunicazione. Se ci
si accorge che la comunicazione diventa
poco efficace e compaiono incomprensioni
unidirezionali o reciproche, con conseguente
irrigidimento degli allievi, allora bisogna
capire innanzitutto su quali dei quattro
aspetti si è creata la barriera comunicativa,
quindi va ricercata, nell’ambito dello stesso
aspetto, la soluzione ritenuta più adatta per
rimuoverla. Alcuni esempi sono riportati
nella tabella seguente.
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Creazione della barriera comunicativa
Superamento della barriera
Aspetto di contenuto
Si comunica un contenuto troppo complesso: «L’abbondanza di precipitazioni meteorologiche causa l’innalzamento del livello dei corsi d’acqua».
Semplificare: «Quando piove troppo i fiumi si ingrossano».
Aspetto emotivo
Si dice di provare un sentimento negativo: «Sono arrabbiato con te per….».
Invertire da negativo a positivo: «Sarei contento se….».
Aspetto di relazione
Si comunica il venir meno dell’accordo: «Quando ti comporti così non andiamo d’accordo».
Ripristinare l’accordo: «Agendo in quest’altra maniera è più facile andare d’accordo».
Aspetto di ruolo
Si è impositivi: «Non devi mangiare tutto il pacchetto di patatine».
Essere più permissivi: «Mangiane solo metà».
Negli esempi per convenienza esplicativa
sono state usate espressioni verbali, ma va
precisato che di questi quattro aspetti il
primo è veicolato prevalentemente con il
linguaggio verbale mentre gli altri tre si
avvalgono soprattutto della comunicazione
non verbale. Anche stando fermi e in
silenzio si invia un messaggio e si comunica
qualcosa. Un comportamento, un’azione, un
modo di porsi, il rispondere al telefono
mentre si sta conversando, l’allontanarsi
mentre l’interlocutore sta parlando, girarsi
di spalle mentre si conversa (attenzione
quando si utilizza la lavagna), sono
comportamenti che interferiscono con la
comunicazione educativa.
Evitare l’ambiguità
La comunicazione è composta da un
modulo logico-numerico-razionale e da un
modulo analogico-emotivo. Il primo è
fornito di una sintassi (cioè di un sistema di
regole) e di una semantica che rimanda ad
un complesso di significati. Il secondo,
invece, è privo di un codice logico. Per
queste ragioni la comunicazione può
facilmente sconfinare nell’ambiguità e nel
fraintendimento.
Quando si è in uno stato emotivo
particolare si può condizionare l’alunno che
è molto sensibile verso le emozioni altrui,
rischiando di generare in lui tensioni che, se
amplificate dalla difficoltà di autocontrollo,
possono condurlo verso comportamenti di
natura ansiosa.
Di contro, volendo comunicare all’allievo
emozioni positive che possano innescare in
lui positivi stati emotivi, motivazione,
autostima e una situazione di benessere in
cui egli percepisca di stare bene con gli altri
e con se stesso, bisogna assicurarsi che egli
possa riconoscere tali emozioni, possa
condividerle e accettarle. Se ciò non
accadesse sarebbe necessario ridirezionare
la comunicazione sugli altri aspetti.
All’interno di questo discorso si inserisce
la sincerità dell’insegnante, la sua autenticità
e spontaneità. Ciò vuol dire che è
assolutamente necessario non essere “falsi”
ma mantenere una coerenza tra l’aspetto
verbale e quello non verbale, tra il canale
principale e quello di supporto (vedasi il
principio di coerenza dei messaggi). Ma è
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indubbiamente altrettanto importante non
trasmettere contenuti che possano
ingannare l’alunno, come le false promesse
o fuori dalla realtà.
Mentre il contenuto coincide con quello
che si dice attraverso le parole e le frasi,
l’aspetto di ruolo è determinato da come ciò
viene detto: «Fai subito questo compito!».
Questa imposizione assume un connotato
che lascia pensare che la comunicazione è
tra genitore e bambino o magari tra un
insegnante intransigente ed un alunno, e che
tra loro la relazione si sta facendo tesa.
Diverso sarebbe dire: «Io vorrei che tu
facessi al più presto questo compito»: si
chiede la stessa cosa ma in maniera più
rispettosa e assertiva. Mentre la prima è una
richiesta che divide perché si fonda
sull’autorità, la seconda fa leva sulla propria
autorevolezza, competenza e
professionalità. «Vogliamo fare questo
compito?», d’altra parte, è una richiesta non
impositiva, democratica, che invita alla
collaborazione, alla partecipazione, quindi è
una comunicazione che unisce gli
interlocutori e che lascia intravedere anche
una possibilità di aiuto in caso di difficoltà.
Quando comunichiamo è importante che
si condivida l’oggetto della comunicazione,
cioè che gli interlocutori trattino lo stesso
argomento, a prescindere se sull’argomento
stesso ci sia accordo o disaccordo. Se
l’alunno intraprende lo scambio di messaggi
è necessario che gli si risponda, gli si
rimandi un messaggio che riguardi il
medesimo contenuto; se ciò non dovesse
accadere non solo non si stabilirebbe una
comunicazione efficace ma ci potrebbe
essere disapprovazione e perfino avversione
da parte sua.
Allora è sempre l’alunno che stabilisce di
che cosa parlare? Certamente non può
essere così, però sarebbe opportuno che
prima di spostare la comunicazione su un
altro argomento si rispondesse allo stimolo
dell’allievo, in maniera che egli si senta
ascoltato in maniera attenta e, potremmo
dire, premurosa.
Simmetricità e complementarietà
Le modalità di interazione si possono
fondare sull’eguaglianza degli interlocutori
o sulla loro differenza, nel senso che la
comunicazione può svolgersi in forma di
scambi simmetrici e paritetici oppure
complementari. Nel primo caso, per esempio,
si comunica da colleghi o da compagni,
amici; nella seconda modalità uno degli
interlocutori funge da “completamento”
dell’altro, cioè ascolta, recepisce più che
essere propositivo. Questo è il caso della
comunicazione didattica tra insegnanti e
allievi, ma va compreso che per stabilire e
portare avanti un buon rapporto è
necessario, anche se non sufficiente, saper
utilizzare entrambe le modalità di
comunicazione.
Il docente e gli allievi, pur rimanendo
distinti nei loro ruoli separati, dovrebbero
mettere in atto una “miscela” di scambi
comunicativi tale da evitare di spostare la
comunicazione su di un binario
eccessivamente monotono e cristallizzato. Il
docente, che ha un ruolo educativo, deve
saper anche rivestire la figura di un adulto
che collabora su un piano più paritetico,
accettando anche, ogni tanto, di “fare”
l’allievo.
Si noti che non si tratta soltanto di un
atteggiamento empatico, pure importante,
ma di una modalità fluida di comunicazione
con gli alunni che giova non solo alla buona
relazione reciproca ma anche
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all’apprendimento. Una comunicazione
diventa efficace quando assume connotati di
andate e ritorni circolari, piuttosto che di
linearità fluviale nella quale chi parla,
….parla, parla, parla…… e non ascolta mai.
I monologhi relegano chi ascolta ad un ruolo
di puro recettore passivo.
L’attenzione ai più fragili
Uno degli indicatori più attendibili della
qualità del servizio offerto da una comunità
educativa risiede nelle modalità
dell’accoglienza di ogni allievo e in maniera
particolare di quelli che presentano alcune
difficoltà. Questi ultimi sono molto sensibili,
sentono se sono accolti con rispetto vero,
con amore e pazienza. Se ne accorgono dallo
stile relazionale che si adotta nei loro
confronti, dai comportamenti non verbali,
dallo stato di agio degli altri, dalla
solidarietà. Non a caso in un gruppo classe o
in una comunità educativa nei quali è
presente un allievo con disabilità il senso di
solidarietà è più marcato, più vivo, non solo
nei confronti di questi, ma di tutti.
L’accettazione incondizionata dell’alunno
sul piano relazionale non deve andare a
scapito dell’apprendimento sia dei contenuti
didattici sia dei principi educativi dettati dai
canoni sociali di civile convivenza. In
risposta a questa piena accoglienza umana
da parte degli adulti educatori l’allievo ha il
dovere di vivere nel rispetto pieno del ruolo
che gli compete.
Nei confronti degli alunni più fragili ogni
insegnante è chiamato ad un esercizio di
particolare empatia per cercare di
comprendere vissuti che gli stessi ragazzi
faticano a rielaborare ed a gestire sul piano
del comportamento.
Lasciare all’alunno la possibilità di
esprimere le sue emozioni, anche quando
ciò avviene in maniera amplificata o
bizzarra, significa garantirgli quella libertà
che per natura, prima ancora che per diritto,
gli appartiene ed è inviolabile; solo dopo si
può tentare di educare teneramente, con
rispetto della sua personalità. Poter
esprimersi liberando le proprie emozioni
incide positivamente sull’autoaccettazione e
sull’autoconsapevolezza, aiuta la crescita
affettiva e relazionale degli alunni.
Agire professionalmente in questo modo
significa essere aperti verso gli altri, avere
vedute di maggior ampiezza di situazioni e
vissuti personali propri e altrui, di realtà
complesse che ai nostri occhi possono
manifestarsi, a volte, esclusivamente con gli
aspetti più banali mantenendo nascosti i
significati profondi. Da insegnanti, non ci si
può cristallizzare su frettolose valutazioni
limitate e limitanti di persone, fatti, contesti,
di dinamiche relazionali e sociali.
Sviluppare la professionalità
L’attenzione alla comunicazione
interpersonale ed una instancabile tensione
empatica fanno di un insegnante un bravo
insegnante: bravo perché è efficace nella sua
azione didattica ed educativa e perché sa
instaurare costruttivi rapporti con gli alunni.
È sempre consigliabile essere assertivi
suscitando nell’allievo risposte positive. Sul
piano della pratica si tratta di favorire la
libera espressione, utilizzare verbi alla
prima persona plurale («facciamo!»
piuttosto che «fai!»), instaurare rapporti
cordiali, utilizzare tutti i canali comunicativi
ma in maniera rispettosa, instaurare un
clima di ottimismo pedagogico-educativo.
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Infine è fondamentale conoscere bene gli
allievi, al fine di poter adottare e adattare la
relazione più efficace ed appropriata alla
personalità di ciascuno.
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