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Capitolo I
Disturbi di personalità e il corpo traumatizzato tra sé e altro
L’intersoggettività è dunque più di un incontro o una comunicazione di cognizioni esplicite.
Il campo intersoggettivo co-costruito da due individui include non solo due menti ma due
corpi (Schore, 2012, p. 40, trad. mia)
Il corpo è per il soggetto il primo tramite essenziale nella relazione Sé-altro. Per Joyce McDougall è
il primo “altro” (1982). Nel disturbo di personalità l’asse Sé-altro è quello più problematico,
determinando quella che Otto Kernberg chiama la diffusione di identità, primo elemento per fare
diagnosi di organizzazione borderline di personalità (Kernberg 1975), asse che oggi viene
riconosciuto dalla sezione III del DSM-5.
Leggeremo il disturbo di personalità attraverso gli effetti sul corpo, attraverso i vari ambiti della
sessualità e della identità di genere, del disturbo alimentare, dell’autolesionismo fino alla suicidalità
(FIGURA 1.1) come attacco a un Sé corporeo (rappresentazione di un Sé negativo internalizzato)
che racchiude un oggetto cattivo o un aggressore o persecutore interno (Kernberg 1965; Fonagy e
Bateman 2002; Mucci 2014, 2016, 2017a e b; Gazzillo 2013), fino ad accennare agli
attraversamenti psicosomatici “tra corpo e mente”, a cui vari autori, da Kernberg (1967) a Green
(1991) a Krystal (1997) alla McDougall (1992), alludono all’interno della sintomatologia dei
disturbi di personalità.
Il corpo, inoltre, sarà visto come il depositario di una rete di trasmissioni intergenerazionali
responsabile spesso di innesti traumatici in questi soggetti, a livello di trauma relazionale infantile,
(cioè cattiva sintonizzazione tra madre-bambino, nella descrizione di Allan Schore, (Schore, 1997,
2003a e 2003b), a cui mi riferisco come “primo livello di traumatizzazione” per mano umana;
oppure di un secondo livello di traumatizzazione (Mucci, 2013, 2014) dovuto a maltrattamento,
abuso, incesto e neglect, ovvero grave trascuratezza, quello che ho chiamato secondo livello di
traumatizzazione per mano umana, oppure a livello di trauma come evento unico violento (stupro,
tortura, tentato omicidio, strage ecc.).
Escluderei da questo ambito (di eziopatogenesi per i disturbi di personalità) i traumi sociali
massivi, come eccidio, sterminio, genocidio, e così via, traumi sociali che riguardano intere
popolazioni, di cui mi sono occupata nei libri precedenti, (Mucci, 2008, Mucci, 2013, 2014), perché
non è questo tipo di traumatizzazione, gravissima e talvolta cumulativa verso i disturbi di
1
personalità, che definisce la eziopatogenesi del disturbo di personalità, che è legata allo sviluppo
primario del bambino e si manifesta negli anni e a seguito di protratte esperienze di
traumatizzazione primaria (cioè con i caregiver). Nel caso delle traumatizzazioni massive, è
piuttosto nella seconda generazione o nella terza, a mio parere e per quanto posso dedurre dalla mia
esperienza clinica, che si verificano meccanismi trasmissionali tali e distorsioni ripetute e continuate
nella relazione coi genitori, cosicché il disturbo di personalità può formarsi, dovuto, in questi casi,
alla difficoltà che i gravi traumatizzati di prima generazione avrebbero nell'accudimento dei piccoli
(nei casi in cui nella prima generazione vi siano patologie, quindi ritengo questa affermazione non
generalizzabile); varie ricerche hanno mostrato infatti che la seconda generazione non avrebbe
necessariamente difficoltà e patologie, ovvero questo discorso vale solo per i casi clinici che
abbiamo verificato e in cui la patologia si riscontra, cioè non è una questione deterministica, come la
resilienza, con i suoi misteri epigenetici, ci dimostra ripetutamente.
Va ribadito, quindi, che episodi singoli di violenza (come lo stupro ad esempio) o traumi
sociali massivi non sono responsabili di quelle manifestazioni psicopatologiche che chiamiamo
disturbi di personalità, ma possono avere solo un valore cumulativo. Inoltre, queste traumatizzazioni
da mano umana vanno distinte nei loro effetti patogeni dalle traumatizzazioni da cause naturali e
catastrofiche come terremoti, tsunami, inondazioni, ovvero disastri in cui non è implicata la violenza
umana sul proprio simile (uno dei primi elementi che il cosiddetto PTSD, con tutte le sue revisioni
dal 1980 ad oggi, non distingue adeguatamente, indicando aree di sovrapposizione tra sintomi dei
due tipi di traumatizzazioni, mentre, come ben notava Liotti (1999), solo il trauma da mano umana
causa dissociazione).
Figura 1.1.
Rispetto alla terminologia adottata dal DSM-5, (il Manuale Statistico e Diagnostico, 5
edizione), non c’è corrispondenza tra ciò che il DSM definisce Disturbi traumatici e correlati allo
stress (APA 2014), che sostituiscono la categoria di Disturbi Post traumatici da stress delle edizioni
precedenti, e gli eventi traumatici che alla lunga e all’interno di una relazione di abuso possono
causare un disturbo di personalità, che invece andrebbe a costituire il cosiddetto PTSD Complex,
non riconosciuto dal DSM e riconosciuto al momento solo dal PDM-2 (Lingiardi e McWilliams,
2018).
Sulla questione della trasmissione intergenerazionale del trauma massivo del tipo ad esempio
dell’Olocausto (che si dovrebbe a rigore chiamare Shoah, ma che nella letteratura di lingua inglese
viene indicata impropriamente come Olocausto) rimando al terzo capitolo del mio precedente
2
lavoro, Trauma e perdono (Mucci, 2014; Mucci, 2013 in inglese). In generale, la traumatizzazione
può essere trasmessa nella forma di attaccamento insicuro o disorganizzato alla seconda generazione
o alla terza (che sembra pagare i conti delle precedenti, in mancanza di elaborazione nella/e
generazione/i precedente/i) (si vedano soprattutto le ricerche di Sagi-Swartz et al, 2003, 2008). E’
probabile infatti che quando c’è attaccamento insicuro o disorganizzato nella prima generazione, la
seconda o la terza potrebbe sviluppare disturbi di personalità quando altri fattori epigenetici si
combinano a quelli traumatici ereditati intergenerazionalmente (si vedano Kogan, 1998; 2007;
2012; Luab, 2005; Yehuda er al., 2004; Liotti, 2014). Ricerche di Fonagy, Steele e Steele hanno
infatti confermato che la percentuale della trasmissione dello stile di attaccamento tra genitori e figli
equivale a circa l'80% (Fonagy, Steele. 1991).
FIGURA 1.2 sui Tre livelli di traumatizzazione interpersonale
CORPO E INTERSOGGETTIVITÀ NEUROBIOLOGICA
La neurobiologia interpersonale, l’infant research, le neuroscienze affettive, la psicologia dello
sviluppo e la psicoanalisi relazionale mostrano concordemente come l'individuo si sviluppi come
un sistema complesso corpo-mente-cervello da intendersi come processo dinamico intersoggettivo,
inizialmente diadico, tra bambino e caregiver, poi triadico (con l’introduzione di un terzo termine
tra madre e bambino), con l’intervento di entrambi i caregiver, determinante per il futuro sviluppo
sociale e interpersonale del bambino.
Lo sviluppo di un disturbo grave di personalità, caratterizzata da una serie di difficoltà e disfunzioni
relazionali tra Sé-altro (come anche la sezione III del DSM, più in sintonia con una visione
dimensionale del disturbo, e come il PDM-2 hanno riconosciuto) è evidente nella clinica negli
scambi tra paziente e terapeuta, affonda le sue origini in un deficit dello sviluppo (a cominciare
dalla mancanza di sintonizzazione tra madre e bambino dovuta a difficoltà che il caregiver incontra
nella relazione precoce, a partire dalla gestazione), con la possibile complicanza di maltrattamento e
abusi.
In questa relazione intersoggettiva di sviluppo, il corpo come sistema complesso è la base dello
sviluppo futuro ed è profondamente influenzato a livello epigenetico dalla attuale interazione con il
sistema corpo-mente-cervello dell'altro (il caregiver, non necessariamente un genitore biologico)
nella relazione. Se siamo arrivati, dopo l’adolescenza, alla manifestazione di un disturbo di
personalità, le espressioni sintomatiche ed esistenziali di questo disturbo sono da considerarsi come
la complessa risposta bio-psico-mentale di quel soggetto agli elementi disfunzionali presenti già
nelle relazioni primarie (dalla nascita, o anche dalla gestazione). La mancanza di sintonizzazione tra
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madre e bambino specialmente nei primi due anni di vita (cruciali per lo sviluppo futuro del sistema
mente-corpo-cervello) ha infatti un effetto distruttivo sul totale funzionamento del sé in formazione.
Questo complesso sistema di cure che ha luogo nella relazione intersoggettiva, che include tutti i
livelli della interazione reciproca tra sé e altro, è innanzitutto una interrelazione corporea, uno
scambio con un altro sé corporeo, quello del caregiver.1 I disturbi di personalità traggono la loro
origine e devono essere compresi proprio come patologia che si sviluppa in questo spazio
intermedio, questa “regione intermedia” (come Freud chiamava la regione della malattia nello
spazio transferale della terapia) tra fisico e psichico, intersoggettivo e psicodinamico, tra un sé in
formazione e un altro sé, nel complesso degli scambi neurobiologici e affettivi attivati dal sistema
della cura (uno dei sistemi motivazionali per Panksepp, 2004). Il soggetto nasce grazie a questi
scambi tra l’emisfero destro della madre (o del caregiver, di colui che offre la sua dedizione e cura
presente, continuata, emotiva e affettuosa, – “madre”, come ci ricorda Schore, è chiunque fornisca
le cure) e l’emisfero destro di un soggetto che fornisce la sintonizzazione e la presenza continuata,
sensibile e necessaria alla crescita della vita (Schore, 1994). Ricordiamo tra l’altro che l’emisfero
destro (una semplificazione, se vogliamo, perché gli emisferi sono sempre in funzione insieme e
mediati dal corpo calloso, ma con specifiche differenze nelle funzioni, come è noto e come indicato
nell’immagine 1.3)
FIGURA 1.3 funzioni dei due emisferi
FOTO 1.4 Come l’informazione viaggia nel cervello ed è modificata e processata dai due emisferi
si sviluppa prima di quello sinistro (nel primo anno e mezzo di vita) e rimane più profondamente
implicato anche in futuro per le dimensioni affettive, relazionali e sociali, con una sistema limbico-
autonomico che va dal corpo (con il corpo reticolare e le funzioni autonomiche di regolazione del
Sistema Nervoso Autonomo (SNA)) al sistema limbico (amigdala, talamo, ipotalamo, ippocampo),
fino alla differenziazione tra emisfero destro in cui prevale la sensazione globale, l’intuizione,
l’emozione, il non verbale, l’integrazione emotiva e la imagery-visione affettiva) (figura 1.3 e 1.4)
e l'emisfero sinistro come analitico, settoriale, digitale e non inclusivo.
TRAUMA INTERPERSONALE (PRIMO E SECONDO LIVELLO)
1 Di solito preferisco usare il termine “madre” a quello neutro di “caregiver” per il semplice fatto che nella stragrande maggioranza delle culture un bambino è per lo più allevato dalla madre o da una donna, e dire caregiver rischia di obliterare il fatto che nella maggior parte dei casi è il corpo femminile quello che offre le cure (non solo che partorisce e spesso allatta); qui lascio il termine “caregiver” per dire anche che NON è necessario che sia una madre biologica a fornire le cure, può essere una madre adottiva, un padre, un altro familiare, l’importante è la qualità delle cure, non il genere o la relazione biologica con il bambino. 4
L’elemento traumatico in questo primario scambio intersoggettivo tra caregiver e bambino è dunque
centrale nella eziopatogenesi del disturbo, creando la possibilità di un trasferimento di contenuti
traumatici e di meccanismi di funzionamento attraverso la dissociazione. In accordo con Schore
(1994), Liotti (1999, 1999a, 1999b, 2014), Lyons-Ruth (2003) e altri eminenti clinici e ricercatori,
considero la dissociazione derivante dal trauma relazionale infantile e dall’attaccamento
disorganizzato, l’origine della formazione di parti scisse nel funzionamento del soggetto borderline,
da cui la mancanza di integrazione di aspetti della personalità. Infatti la disorganizzazione
dell’attaccamento crea una vulnerabilità alla dissociazione (Liotti, 1999, 2014), con effetti
soprattutto sull’emisfero destro in via di sviluppo del bambino, influenzando la futura capacità di
organizzazione e controllo delle zone superiori, a partire dalle aree orbitofrontali (Schore, 2001a,
2001b, 2003a, 2003b, 2009). La presenza di parti scisse nella personalità borderline presenta
somiglianze con la descrizione di Kernberg riguardo alle diadi scisse come modello base di
funzionamento per i disturbi gravi di personalità, ma differisce dal modello di Kernberg per quanto
riguarda l'importanza che qui attribuisco all’attaccamento traumatico (quello che per Schore
costituisce il trauma relazionale infantile, che qui chiamiamo “primo livello”, per distinguerlo, a
mio parere, da un “secondo livello traumatico”, costituito da attivo maltrattamento, abuso e grave
deprivazione, che può cumularsi al primo). Entrambi questi livelli costituiscono una base per
l’attaccamento disorganizzato nel bambino e per la conseguente vulnerabilità alla dissociazione (sia
come dissociazione di contenuti che come struttura di funzionamento mentale e di relazione tra
mente e corpo) che costituiscono il reale impatto del trauma sullo sviluppo. Nella teorizzazione di
Kernberg, che segue un modello di sviluppo di derivazione kleiniana basato sulle due fasi, quella
schizo-paranoidea e quella depressiva, gli oggetti scissi tipici della prima fase di sviluppo del
bambino rimangono non integrati a causa dell’eccessiva aggressività del bambino (considerata
come temperamento innato). Nella teorizzazione di Kernberg, la vulnerabilità ai disturbi di
personalità dipende proprio da questa aggressività innata, che fa sì che il bambino risponda in modo
anomalo alle difficoltà dell’ambiente, create dalla relazione traumatica con il caregiver (Kernberg,
2013).
PERFINO IL TEMPERAMENTO NON È INNATO MA FORMATO EPIGENETICAMENTE
In opposizione a una teoria psicoanalitica e dello sviluppo che consideri l’aggressività come
fondamentalmente innata nell’essere umano a partire dal bambino e contro il predominio di un
“elemento fantasmatico” nella traumatizzazione sia del bambino che dell’adulto, sia a livello
individuale che a livello collettivo (Mucci, 2008), considero con Allan Schore il temperamento
come formato epigeneticamente, ovvero modulato dalla relazione e dall’ambiente. Gli aspetti
5
neurobiologici della relazione primaria tra i due soggetti con le loro reciproche complesse
interazioni facilitano o impediscono la crescita ottimale del soggetto in formazione, a partire dalle
circostanze prenatali, in utero (Schore, 2017a). È l’incontro dei due sistemi corpo-mente-cervello in
continuo scambio e modulazione reciproca tra loro che è responsabile a tutti i livelli dello sviluppo,
sia ottimale che insufficiente o problematico.
Di conseguenza, comprendere e lavorare con le personalità borderline implica uno sforzo reale nella
teoria e nella pratica (cioè nel lavoro clinico) nel tentativo di muoversi da una psicologia dello
sviluppo e della patologia basata su una sola mente (intrapsichica) a una visione della mente-corpo-
cervello intersoggettiva e relazionale. La terapia dei disturbi di personalità dovrà riparare nella
relazione attuale/vera con il paziente ciò che è stato distorto o è mancato in quelle relazioni primarie
e sarà pensata come l’incontro speciale e unico tra due sistemi corpo-mente-cervello nella sicurezza
della nuova relazione terapeutica.
LA NASCITA DEL SÉ DALL’ALTRO
Data l’origine intersoggettiva e relazionale della psicobiologia del bambino, il corpo psicobiologico
o meglio i due corpi nello scambio della relazione di attaccamento, che si forma nei primi due anni
di vita del bambino, giocano un ruolo centrale nello stabilire le fondamenta della futura vita
biologica, fisica, affettiva, cognitiva e sociale e della salute: in breve, definiscono l’origine del sé
con le sue caratteristiche psicobiologiche e di personalità, come indicano con dovizia di dettagli
l’Infant Research (Beebe & Lachmnn, 1988; Emde, 1985, 1988; Tronick, 2007), le neuroscienze
affettive, la psicopatologia dello sviluppo e la neuropsicoanalisi (Cozolino, 2006; Damasio, 1999;
Edelman, 1992; Gallese, 2009; Schore, 1994, 2003a, 2003b, 2012; Siegel, 1999; Solms and
Turnbull, 2002). Questa relazione intersoggettiva all’origine della vita è accuratamente definita da
Ed Tronick come un “ampio sistema diadico regolatorio” (Tronick, 2007), ed è prima di tutto una
relazione corporea, uno scambio con un altro sé psicobiologico e corporeo.
Inoltre, il lavoro interdisciplinare portato avanti in 30 anni di ricerca da Allan Schore ha stabilito
che lo sviluppo del cervello è fondamentalmente una impresa reciproca e diadica di interrelazione
inizialmente soprattutto tra emisferi destri, con la regolazione affettiva dell’attaccamento come base
della futura salute o patologia (Score, 1994-2019).
Se intendiamo l’emisfero destro prima di tutto come “corpo”, ovvero una realtà corporea
intersoggettiva e costruita epigeneticamente che forma le differenze individuali e le caratteristiche
della personalità, siamo meglio attrezzati per comprendere come la natura del soggetto sia
“incarnato” attraverso una sintonizzazione reciproca relazionale (Gallese, 2009) e come di fatto
l’incorporazione e la rezionalità, formino la mente (Lemma, 2015).
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Le radici della soggettività come principalmente sé corporeo (anche se noi oggi vediamo in questa
corporeità l’influenza reciproca della relazione con l’altro) sono sorprendentemente alle base della
ricerca di Freud: “L’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni
provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione
psichica della superficie del corpo, e inoltre […] il rappresentante degli elementi superficiali
dell’apparato psichico” (Freud, 1922, pp. 488-489).
Com’è noto, Freud considerava la pulsione come un concetto energetico centrato sul corpo, "il
rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall'interno del corpo e pervengono alla
psiche" (Freud, 1915, p. 17). Per tutta la sua vita, Freud ha considerato il corpo come una delle tre
fonti di dolore dell'esistenza, essendo le altre due dovute a cause ambientali e relazioni umane
(Freud, 1929).
Per Alessandra Lemma, tutti i soggetti hanno una dimensione dinamica inconscia della
rappresentazione del proprio corpo, con una "potenziale fluidità'" in una "organizzazione psichica
inconscia" attivata da fantasie particolari del sé e dell'altro" (Lemma, 2010).
Questa visione psicoanalitica deve essere integrata con la teoria dell'attaccamento e con le
spiegazioni neurobiologiche per una più completa comprensione dell’importanza primaria delle
rappresentazioni diadiche implicite della relazione sé-altro inscritte nel corpo dalla nascita (o anche
prima) e risultanti dalle iscrizioni dell'attaccamento e dagli scambi sé-altro centrati sull'emisfero
destro di entrambi i partner.
Le primissime interazioni del primo anno di vita, fondamentali per lo sviluppo degli stili di
attaccamento, stabiliscono la base per i processi regolatori (neuropsicobiologici) tra madre e
bambino e determinano l'ottimale o disfunzionale crescita dell'emisfero destro del piccolo, con la
complessa rete di sviluppo neuronale e sinaptico e il derivante processo di mielinizzazione (che
serve a veicolare le informazioni e sembra iniziare in fase fetale dal quinto mese di vita,
particolarmente attiva tra i primi 6-8 mesi del bambino, Schore 1994-2019). L'emisfero sinistro
riceve input maggiori in fase critica di crescita dopo il secondo anno di vita, in combinazione con
l'intervento, solitamente, di un secondo caregiver, che assume maggiore importanza affettiva a
questa età, come vedremo meglio.
Meccanismi proiettivi e introiettivi che hanno origine da questi primi scambi codificati in forma di
memorie implicite connotate affettivamente contribuiscono a formare le immagini che il soggetto ha
o avrà di se stesso o se stessa, che danno luogo a successivi modelli di funzionamento e di
comportamento, ovvero a immagini del sé in relazione agli altri, modelli di autostima, con
aspettative rispetto a relazioni successive e conseguenti rappresentazioni del sé e dell'altro. Essi
sono formati attraverso la continua sintonizzazione, o riparazione di una possibile rottura, perché vi
sia uno sviluppo ottimale.
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Jaak Panksepp (1998) ha parlato di proto-sé, fondamentalmente corporeo, come primaria
autorappresentazione, in una sorta di primitiva rappresentazione del sé. Questa rappresentazione
fondamentale non è possibile senza l'intervento di un meccanismo interpersonale e corporeo alla
base dell'attaccamento. Questo scambio è ciò che è diventato problematico nei disturbi di
personalità, con la formazione di modelli disfunzionali di comportamento e di relazione,
disregolazione affettiva e prevalenza di affetti negativi, per mancanza di controllo degli impulsi.
Sono del parere che la ricostruzione dell'origine relazionale del modello stabilito
(interpersonalmente) di disregolazione affettiva, comportamento distruttivo e rappresentazioni
negative sé-altro sia il presupposto fondamentale per il trattamento, che dovrebbe innanzitutto
ricostruire la mappa delle relazioni di attaccamento, prendendo in considerazione i traumi
relazionali infantili, la deprivazione, la perdita, il maltrattamento e tutti i deficit potenziali in
relazione all'altro. La terapia dovrà funzionare/operare sia a livello implicito che esplicito
(intrapsichico e relazionale), dall'emisfero destro al sinistro in ciascun partner della relazione
terapeutica, allo scopo di aiutare i sistemi regolatori a connettere il sistema limbico (emotivo,
affettivo) con le aree orbitofrontali (preposte al controllo, all’integrazione, insieme ad altre aree),
come indicato da Allan Schore nella sua terapia centrata sulla regolazione affettiva (ART, Affect
Regulation Therapy) (Schore, 2012).
TERAPIA BASATA SULLA REGOLAZIONE AFFETTIVA E DISREGOLAZIONE NEI DISTURBI
DI PERSONALITÀ
I disturbi gravi di personalità confermano l'intersoggettività dello sviluppo umano, anche se dal lato
della psicopatologia, attestando ciò che recentemente Allan Schore ha indicato come "cambiamento
di paradigma" (Schore, 2012) nella psicologia, psicopatologia e psicoterapia, ovvero il movimento
da una psicologia intrapsichica e basata su una persona sola a una psicologia bi-personale,
interpersonale e intersoggettiva. Questi disturbi inoltre sottolineano un altro elemento chiave, il
"grande sviluppo della ricerca sulla lateralizzazione del cervello" (Schore, 2012, p. 6), a partire da
Hughlings Jackson e dalla sua ricerca sull'emisfero destro.
I meccanismi della regolazione affettiva tra madre e figlio sono stati descritti con ricchezza di
dettagli nella pionieristica ricerca di Allan Schore, grazie allo sviluppo delle neuroscienze in
collegamento con la scienza dell'attaccamento. L'emisfero destro è connesso in modo particolare al
processo della sontonizzazione tra caregiver e bambino promuovendo regolazione affettiva e
sviluppo emotivo: è centrale nel processo di attaccamento da cui la regolazione degli affetti risulta
(se c'è attaccamento sicuro). Sia la regolazione affettiva che l’attaccamento si stabiliscono nei primi
due anni di vita e sono alla base della rappresentazione di sé e dell’altro, o di ciò che John Bowlby
ha chiamato MOI (Modelli Operativi Interni).
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I disturbi di personalità si formano attraverso relazioni disfunzionali a lungo termine con il
caregiver (Schore 1994). È necessario un lungo periodo (di vari anni) perché si stabiliscano dopo
che le prime relazioni traumatiche sono state esperite. Per quanto riguarda i sintomi, i disturbi di
personalità possono presentare aree di sovrapposizione con le disfunzioni create dal PTSD (disturbo
da stress post-traumatico) ma quest'ultimo non dovrebbe essere confuso con i disturbi di personalità
anche se questi disturbi posso avere sintomologie in comune (ad esempio, entrambi possono
includere dissociazione oltre ad ansia e depressione) e condividono un’origine traumatica. Tuttavia
abbiamo già indicato differenze fondamentali: mentre i disturbi di personalità derivano da relazioni
disfunzionali protratte nel tempo alla presenza di fattori di vulnerabilità, il PTSD (una categoria
diagnostica presente nel DSM a partire dal 1980) racchiude insieme, senza chiara distinzione nell’
origine traumatica, traumi da mano umana e traumi formati da incidenti o episodi unici, non ripetuti,
di violenza. La traumatizzazione da mano umana e in particolare quella dovuta a un caregiver ha le
conseguenze più drammatiche; come indicano varie ricerche (Liotti, 1999; Solomon e George,
1999) la dissociazione non origina da catastrofi naturali ma è conseguente solo al trauma da mano
umana (Mucci, 2013, 2014). Questo attesta l’estrema importanza della buona qualità
dell'accudimento primario e come la fiducia fondamentale, che il bambino deriva dalle cure
amorose e attente del caregiver, siano il carburante per nutrire la futura fiducia e speranza nonché
salute nel soggetto umano e non solo (si vedano le ricerche sui primati e sui roditori (Suomi, 1991;
Meany, 2001; Hofer, 1984) e nella sua capacità di nutrire amore nelle relazioni future e di accudire i
suoi piccoli. I primati e i roditori gravemente deprivati non sviluppano capacità di accudimento,
oppure diventano violenti e distruttivi verso i piccoli e verso gli adulti maschi, oppure perdono il
desiderio dell'accoppiamento (tutti comportamenti relazionali fortemente condizionati dall'amore
primario).
MANCANZA DI SINTONIZZAZIONE, DISORGANIZZAZIONE DELL'ATTACCAMENTO E DISSOCIAZIONE
Una madre (o un caregiver) non traumatizzata—che non faccia uso di droghe o alcool, che non sia
depresso e non abbia altri problemi mentali o altri gravi disturbi che rendano difficile il buon
accudimento, e che rimanga accessibile al bambino anche dopo una momentanea rottura della
sintonizzazione è capace di rispondere appropriatamente alle richieste emotive del bambino e
permette tutti gli scambi affettivi uniti a momenti di gioco, facilita la resilienza e un adattamento
gratificante all'ambiente (e alla vita). Al contrario, un caregiver con difficoltà personali non riesce a
mantenere la necessaria sintonizzazione per raggiungere il processo di regolazione affettiva ottimale
o per effettuare la riparazione della rottura della sintonizzazione modulata interattivamente, in modo
automatico, non-verbale e visuo-facciale, radicata in meccanismi di comunicazione da emisfero 9
destro e corporei. Quando la fondamentale sintonizzazione che dovrebbe avvenire entro il primo
anno e mezzo di vita tra l'emisfero destro del bambino in formazione e quello della madre non si
stabilizza, o se la mancanza di sintonizzazione non viene ripristinata abbastanza presto, parliamo di
trauma relazionale infantile (Schore, 1994-2019), o ciò che ho chiamato trauma relazionale di primo
livello (Mucci, 2013). In questo caso, il caregiver non riesce a compiere in modo ottimale la
funzione regolatoria da cui dipendono il funzionamento e il mantenimento ottimale dei parametri
vitali del piccolo. La funzione regolatoria è anche alla base della corretta valutazione degli stimoli
provenienti dall'esterno del corpo (esterocettivi) e della corretta valutazione degli stimoli
propriocettivi (interni). Come afferma Schore, l'attaccamento sicuro dipende dalla sintonizzazione
neurobiologica della madre NON con la cognizione e il comportamento del bambino, ma piuttosto
con le alterazioni dinamiche dell'arousal autonomico del bambino (ovvero con la dimensione
energetica dello stato affettivo del bambino). Perché questa comunicazione interpersonale abbia
successo, la madre deve essere psicobiologicamente sintonizzata con il crescendo e decrescendo
dello stato interno del bambino basato sull'arousal del SNA e del SNC. Di conseguenza, come
scrive Schore, attraverso il collegamento emisfero destro-emisfero destro e le comunicazioni non
verbali visuofacciali, tattili-gesturali e auditive-prosodiche, il caregiver e il bambino imparano
ognuno la struttura ritmica dell’altro e modificano il loro comportamento per adattarsi a quella
struttura, quindi co-creando un’interazione specificatamente adattata momento per momento
(2001b, p. 203)
In aggiunta, una madre che non può fornire una continua sintonizzazione e attiva riparazione non
può favorire l’instaurarsi di un attaccamento sicuro, probabilmente perché non ha lei stessa
sviluppato un attaccamento sicuro e quindi non può fornire quella base sicura e quell'ambiente
protettivo di cui il bambino ha bisogno. Per esempio, non può difendere il bambino da un partner
abusante, non può facilmente creare circostanze giocose e stimolanti, è spesso inaccessibile e poco
sensibile o spesso ostile e minacciante, e fa fatica a calmare il bambino in stato di arousal. Spesso
questi genitori, invece di calmarlo, inducono nel bambino stati di arousal e anche dissociazione, con
livelli estremi di stimolazione (situazioni che Schore ha chiamato trauma relazionale infantile), o
lasciano il bambino troppo a lungo in uno stato di mancanza di stimolazione e scambio, inducendo
le risposte neurobiologiche del neglect (grave trascuratezza, deprivazione) (Perry, Pollard, Blakley,
Baker, & Vigilante, 1995; Schore 1994, van IJzendoorn, Bakerman-Kranenburg & Ebstein, 2011).
Main and Solomon (1990) hanno usato il termine "attaccamento disorganizzato" per una varietà di
comportamenti che descrivono atteggiamenti bizzarri e imprevedibili da parte del bambino (nella
Strange Situation) al riapparire della madre, caratterizzati da risposte contraddittorie e segni di
paura: stati di freezing come in trance, buttarsi per terra, portarsi le mani alla bocca, girare la testa
dal lato opposto della madre e non guardare nella sua direzione, e così via (Ainsworth, Blehar,
10
Waters & Wall, 1978). I bambini del tipo D (Disorganized) potrebbero anche incontrare, secondo
Main e Solomon (1986), un altro tipo di comportamento materno disturbante, un’espressione di
paura o terrore, come se la madre stessa fosse spaventata dal bambino e perciò si ritirasse da lui con
un comportamento dissociato, simile alla trance, spaventata. Vari studi hanno mostrato una
correlazione tra comportamento materno spaventante, dissociazione e attaccamento infantile
disorganizzato (Liotti, 2004; Lyons-Ruth, 2003: Lyons-Ruth & Jakobvitz, 1999; van IJzendoorn.
Schuengel & Bakermans-Kranenburg, 1999). In una recente ricerca, Main e Hesse hanno notato che
quando la madre entra in uno stato dissociativo, che si esprime attraverso stati di freezing (con gli
occhi che non si muovono, le palpebre abbassate e con tono alterato della voce), il bambino entra in
uno stato di allarme (2006).
Numerosi studi condotti su famiglie ad alto rischio hanno associato il maltrattamento al
comportamento disorganizzato (De Bellis, 2001; George & Main, 1979; Lyons-Ruth, Connell,
Grunebaum & Botein, 1990). In uno studio condotto da Carlson e colleghi (1989), l'82% dei
bambini maltrattati apparivano disorganizzati; in un'altra ricerca (Cicchetti, Rogosh & Toth 2006),
la percentuale saliva al 96 %. Il maltrattamento era effettuato da madri depresse o con problemi di
dipendenza da sostanze. Mesi dopo (a 22 o 33 mesi), Kochanska (2001) ha dimostrato che bambini
con attaccamento disorganizzato presentavano livelli più alti di aggressività e rabbia a confronto
con quelli evitanti, resistenti o insicuri. Vorrei aggiungere inoltre che l'incesto, specialmente tra
padre e figlia o madre e figlio o figlia, è considerato patogenico in altissimo grado. La cumulazione
dell'attaccamento disorganizzato o preoccupato con abuso continuato e violenza relazionale in
famiglia costituisce il maggiore fattore di rischio. Nei risultati delle ricerche di Paris e Zweig-Frank
(1997, 2001), pazienti borderline, con storie di abuso o senza, presentavano punteggi molto elevati
nella scala DES (Scala delle Esperienze Dissociative), il che vuol dire che c'era dissociazione sia in
presenza che in assenza di storie di abuso.
Secondo Liotti (2004) l'attaccamento disorganizzato dovuto al maltrattamento e al trauma causato
dal caregiver può portare a immagini dissociate del sé, risultanti in un deficit metacognitivo che
induce disregolazione delle emozioni (in accordo con il modello di Kernberg e con le ricerche di
Schore) e rappresentazioni non integrate multiple del sé e dell'altro (ciò che Kernberg chiama
"diffusione di identità "), che attiva sia il sistema dell'attaccamento nel bambino che il sistema
difensivo, cosicché le funzioni integrative della coscienza sono inficiate (hampered), risultanti in
immagini scisse e momenti dissociativi. Per Philip Bromberg, (Bromberg 1998), l'integrazione del
sé e dell'altro rappresenta la questione fondamentale che unisce il trauma al fenomeno della
dissociazione.
Per quanto riguarda la genetica comportamentale, Marinus van IJzendoorn e colleghi all'università
di Leiden hanno mostrato in un review study come la presenza di alleli nel patrimonio genetico
11
possa facilitare la presenza di un disturbo dell'attaccamento ma non possa determinarlo. Questo è
molto importante per la comprensione di come la qualità delle cure parentali possa influire sullo
sviluppo di future reazioni patologiche: in presenza dell'allele corrispondente, se l'ambiente non è
traumatico, la dissociazione NON si sviluppa (Belsky, Bakermans-Kranenburg & van IJzendoorn,
2007).
In aggiunta, mentre è vero che un gene DRD4-7 r costituisce un fattore che predispone a
vulnerabilità verso l'attaccamento disorganizzato (Lakatos et al, 2000), è anche vero che, in famiglie
a più alto rischio, l'ambiente conduce più facilmente a patologie. Se c’è una comunicazione negativa
e distruttiva tra caregiver e bambino (cioè non responsiva, con disorientamento, segnali
contraddittorie, intrusioni negative e rovesciamento di ruoli) con un gene DRDA-7 questo
predispone a minore efficacia nella recezione della dopamina e all'attaccamento disorganizzato.
Questo tipo di attaccamento si trova anche in assenza di questo allele, per cui l'elemento
fondamentale è rappresentato dalla capacità affettiva della comunicazione della madre e dalla sua
regolazione affettiva (Lyons-Ruth et al., 2009).
In uno studio longitudinale, Carlson (Carlson 1998) ha seguito 129 bambini dalla nascita ai 17 anni
e mezzo: bambini con pattern disorganizzato a 12 o 18 mesi di età presentavano un maggiore livello
di comportamento dissociativo alle scuole superiori. Risultati simili sono stati ottenuti nella ricerca
condotta da Ogawa, Sroufe, Weinfield, Carlson ed Egeland (1997) su un campione di bambini
seguiti fino all'età di 19 anni: il modo migliore per predire i sintomi del DES (Dissociative
Experiences Scale) era precisamente la disorganizzazione dell'attaccamento tra i 12 e i 18 mesi di
età. Ogawa e il suo gruppo ha anche paragonato i punteggi DES in giovani adulti che avevano
subito traumatizzazione da bambini con quelli di un gruppo che aveva subito traumatizzazione più
tardi e non era classificato come disorganizzato, e trovò un punteggio molto più alto in coloro che
erano risultati disorganizzati e avevano subito traumatizzazione durante l'infanzia. Anche Dutra e
colleghi (2009) e un recente studio di Lyons-Ruth e il gruppo di Boston (Byun, Brumariu, &
LyonsRuth, 2016) hanno confermato che l'attaccamento disorganizzato può costituire un
meccanismo di mediazione nella relazione tra abuso infantile e dissociazione. La disorganizzazione
dell'attaccamento corrisponde, a livello metacognitivo, alla difficoltà nel riflettere sul proprio o
altrui stato mentale, come nella descrizione di Peter Fonagy e colleghi nel processo chiamato
"mentalizzazione" (Fonagy et al, 1995), una capacità che abbiamo già descritto come altamente
danneggiata nei disturbi di personalità. Individui col tipo D di attaccamento utilizzano
comportamenti dissociativi in stadi successivi della vita. In situazioni future in cui dovranno
difendersi di fronte allo stress, questi soggetti utilizzeranno comportamenti dissociativi (più che
"difese dissociative”, come notano giustamente van IJzendoorn et al, 1999) che includono i loro
sintomi post-traumatici (Allen & Coyne, 1995). Devono proteggersi e chiudersi a ulteriori
12
esposizioni emotive traumatiche, incluse relazioni intime, da cui si ritirano. Per spiegare perché
alcuni bambini sviluppano dissociazione e altri no, Schore ha sottolineato come questo modello
psiconeurobiologico di sviluppo dipenda sia da strutture biologiche che da funzioni psicologiche in
talune personalità (Schore, 2009).
DISREGOLAZIONE AFFETTIVA E FORMAZIONE DI SINTOMI
I disturbi di personalità si manifestano con impulsività e instabilità degli affetti in se stessi e verso
gli altri, con un senso di vuoto e di solitudine, con senso di disperazione (helplessness) e incapacità
di consolarsi e con relazioni problematiche con gli altri, incluse difficoltà nelle relazioni sessuali e
nell'intimità. Il corpo riceve le proiezioni della rappresentazione di sé come proiezione negativa
esterna, una specie di sé alieno (Fonagy, Gergely, Jurist & Target, 2004), in una relazione
continuamente disturbata e discontinua, influenzata da un’autostima fluttuante e che riflette
un’immagine precaria, gonfiata, fragile o dismorfica. Nei disturbi di personalità, il corpo diventa il
luogo (quasi distaccato da "me") in cui affetti non riconosciuti e negati sono trasformati in forme di
autopersecuzione e autoabuso, forme di esternalizzazione degli affetti negativi proiettati sul corpo-–
visti e sperimentati come appartenenti a un sé alieno. In altri casi, ma con un simile modello di
disgregazione psicobiologica e mancanza di integrazione, viene stabilito un meccanismo
psicobiologico di danno, con la disregolazione affettiva che prende la forma di alessitimia. L'origine
traumatica dell'alessitimia e la natura disregolativa alla sua base è stata riconosciuta da molti clinici
e ricercatori (Krystal, 1998; Taylor, Zucckerman, Harik & Groves, 1992; Schore, 1994, 2003a; van
der Kolk, Weisaeth & van er Hart, 1996).
IL SÉ ALIENO NEL CORPO
Sotto l'influenza della disregolazione affettiva, il corpo diventa il bersaglio di attacchi autodistruttivi
ed è sentito come "straniero", "non-me" e inaccettabile, o la causa di sensazioni corporee
esistenziali maladattive, o il ricettacolo di parti persecutorie e di sensazioni proiettate sul corpo
come fosse un altro disgustoso e odiato. Il corpo è visto come la causa di vergogna e imbarazzo
sociale (nei disturbi di personalità spesso ci sono sintomi di fobia sociale) o è sentito come
inautentico, una specie di "falso sé", o qualcosa che fornisce una visione di se stessi estremamente
fluttuante e instabile.
La "diffusione di identità", un termine che Kernberg trae da Erikson e sviluppa al fine di chiarire il
primo elemento nella diagnosi di organizzazione borderline (Erikson, 1950, 1956; Kernberg, 1975),
è un criterio fondamentale del disturbo. Esso spiega in particolar modo la relazione disturbante,
fluttuante e non chiara del proprio sé con il proprio corpo e la propria sessualità: "Non sono in
contatto con chi io sono e non so come descrivere me stesso e un altro significativo" (Kernberg,
13
1975). A volte il corpo viene sentito come "sbagliato" o "fuori luogo" riguardo al genere sessuale,
che non corrisponde a come esso è esperito e rappresentato nella propria mente o come è visto dagli
altri, cosicché il soggetto sperimenta una dolorosa separazione tra, nelle parole di Alessandra
Lemma, il corpo che uno "è" e il corpo che uno "ha" (Lemma, 2011). Il soggetto è intrappolato
nell'immagine che gli altri vedono ma abita internamente (in senso emotivo, fisico e psicologico) un
corpo di genere diverso.
Seguendo Kernberg, per quanto riguarda il concetto di diffusione o dispersione di identità come
primo elemento diagnostico per l'organizzazione borderline, preferisco parlare, riguardo all’identità
sessuale di questi soggetti, di "diffusione di identità sessuale" (per quanto riguarda la
rappresentazione del corpo come "non-me" si veda anche Matlberger, 1998). A volte la discrepanza
è così forte e dolorosa che diventa la causa di disturbi dismorfofobici e di idee suicide (specie in
adolescenza, quando l'identità è in una fase critica di formazione; anche se a rigore non si può fare
diagnosi di disturbo borderline in adolescenza, certi elementi sono già ben evidenti).
Questa visione della problematicità dell'identità dei pazienti con disturbo di personalità ha alcuni
punti di contatto con quanto André Green scrive riguardo al "falso sé" dei borderline (che lui
chiama "casi limite"). Per Green, il falso sé sarebbe ancorato non nelle esperienze reali del paziente
ma nell'immagine che la madre ha del figlio, cosicché questo si sente costretto a corrispondere con
l'immagine materna (Green, 1991, 1997). Un senso di alienazione per il corpo che uno ha è evidente
in alcuni dei casi che presento qui; il corpo sessuale è sentito come "altro" rispetto all'identità di
genere che non corrisponde alla realtà fisica sessuale che gli altri vedono e a cui rispondono, con
una sensazione dolorosa di alienazione e perfino dissociazione verso il proprio sé che non risiede
nel corpo fisico, un problema che spesso inizia in adolescenza se non prima.
Il corpo è il luogo in cui un’identità di genere si sviluppa sulla base di una specifica biologia e
neurobiologia (Schore, 1994).
Quest’identità, primariamente relazionale e biologica, è permeata di valori sociali affettivi e
percepiti culturalmente e può essere rinforzata successivamente o screditata, accettata o
disconosciuta, a partire dalle aspettative che i genitori hanno per il figlio (perfino in utero o dal
concepimento). Sarà composta, a partire dall'infanzia, attraverso progressive identificazioni e
idealizzazioni, con accettazioni o rifiuti, da parte di se stessi, dei caregiver o degli altri significativi.
Le effettive relazioni e incarnazioni di queste identità, femminili, maschili o plurigender, (posizioni
sempre cariche affettivamente e culturalmente) in storie personali e incontri significativi a livello
emotivo, continuamente confermano o svalutano/disconoscono l'’identità biologica in formazione.
Il genere e l'identità sessuale diventano l'esempio fondante delle continue costruzioni
dell'identità, attraverso e dentro il corpo-mente-cervello, che forma e mantiene il sé in continua
connessione con l'altro. Definita da Foucault come “la verità su noi stessi”, (Foucault, 1976, 1984a,
14
1984b), considero la sessualità come l'ultimo punto di un’identità di genere interpersonale, fondata
sul corpo, ma essenzialmente relazionale e costruita culturalmente.
Il CORPO DELL'ALTRO/MADRE2 NELLA MENTE
Il corpo rappresenta per il soggetto la prima fonte di relazione con il corpo materno, e con
l’immagine che il caregiver ha (avuto) di noi, come molti clinici e teorici – da Bowlby a Winnicott a
Green a Lemma– hanno mostrato.
Il corpo è il depositario delle fantasie e delle emozioni che il nostro essere appena nato ha
suscitato/suscita nella madre a partire dall'utero e nella coppia parentale, emozioni che il bambino
apprende e recepisce come dirette alla formazione di un Sé intersoggettivo, destinato all’autonomia
e alla differenziazione, ma sempre in relazione per il suo sviluppo e la sua crescita, a partire dal
concepimento. A questo proposito, la relazione prenatale con il corpo materno sta attualmente
ricevendo sempre maggiore attenzione (Ammaniti & Gallese, 2014; Schore, 2017a), confermando
quanto sembra intuitivo, ovvero che le aspettative, positive o negative e il suo stato
neuropsicobiologico, come ambiente in cui si sviluppa il corpo-sé del bambino contribuiscano alla
formazione mentale e fisica della mente-corpo-cervello del nuovo essere.
Questo corpo in formazione in utero può ricevere eccellente cura e attenzione e aspettative
congruenti con il suo sesso biologico, così da essere in un ambiente particolarmente ospitale per la
sua crescita, o al contrario può essere la sede del rifiuto e perfino dell'odio e dell'ostilità che il
genitore riversa sul piccolo.
Bowlby sottolinea come il bambino, quando non incontra il desiderio e l'amore della madre, possa
pensare di non essere poi degno di essere amato da nessun altro (Bowlby, 1973), un concetto simile
a quello che Ferenczi ha sviluppato ben prima di Bowlby, quando parlava di "bambino mal accolto"
(Ferenczi, 1929).
Abbiamo ora conferma dalle neuroscienze e dalla psicologia dello sviluppo dell'importanza
di quei primi livelli di crescita neurobiologica come di qualcosa di sollecitato dall'amore e dalla
cura, che può avvolgere il feto in un recipiente di buoni ormoni endocrini e ottimi nutrienti
psicobiologici o, al contrario, renderanno quel primo spazio di esistenza un luogo in cui l'alto
cortisolo (materno) ed elementi neuroendocrini sbilanciati potranno minacciare e ridurre la crescita
e la vitalità del nuovo organismo.
Ciò che Fonagy e Target (1996) hanno descritto con il concetto di sé alieno formato nella relazione
primaria intersoggettiva non è così tanto distante da quello che Sandor Ferenczi chiamava “bambino
2 Il titolo originale di questo paragrafo era THE (M/OTHER'S) BODY IN THE MIND, in cui il termine “mother”, “madre”, contiene anche il termine “other”, altro, che era funzionale al mio discorso, gioco irriproducibile in italiano. 15
malaccolto”, depositario di un “desiderio di morte” (per usare il linguaggio del tempo, seguendo
Freud, un concetto che discuteremo in modo critico nelle pagine successive). Per “desidero di
morte” qui intendiamo in senso intergenerazionale l'odio e il rifiuto della madre per il figlio, un
rifiuto che probabilmente lei stessa ha provato nella propria storia intergenerazionale. Di
conseguenza, vogliamo sottolineare da subito che non si tratta di un istinto, come è considerato
nella psicoanalisi freudiana, ma piuttosto viene appreso all’interno di una relazione, attraverso
un’esperienza negativa (Mucci, 2013, 2014, attraverso Ferenczi 1988).
Il sé alieno viene formato non solo attraverso la mancanza di una costante sintonizzazione
con conseguente mancanza di marking congruente e contingente degli affetti del bambino da parte
del caregiver, ma è costruito e incarnato intergenerazionalmente nel soggetto futuro attraverso
affetti e sentimenti negativi trasferiti dalla madre al figlio. Possono essere anche sentimenti negativi
che la madre ha per se stessa e per il bambino come parte di sé o come altro che cresce da se stessa.
Adult Attachment Interview di madri rifiutanti (che di solito presentano esse stesse un attaccamento
distanziante, del tipo Evitante/dispregiativo DS4), esplicitamente chiamano il bambino “questo
alieno dentro di me”.
LA NECESSITÀ DI UNA CURA MIGLIORE PER I NOSTRI FIGLI
Decenni fa, Bowlby ci metteva in guardia sul fatto che se una nazione si preoccupava del proprio
futuro e dei propri cittadini doveva prendersi cura in primis delle madri e delle famiglie. Le società
attuali tentano invece di ridurre i tempi di maternità/paternità retribuita.
Recentemente, Allan Schore (in Narvaez, Panksepp, Schore and Gleason, 2013) ha, con voce
autorevole, indicato i pericoli dello sviluppo dei bambini i cui caregiver non godono più di sei
settimane di permesso di maternità, un fatto che ha conseguenze drammatiche sul loro sviluppo in
un momento in cui la buona sintonizzazione e la connettività emisfero destro con emisfero destro tra
madre e piccolo possono gettare le basi per la salute futura, sia fisica che mentale che morale (o al
contrario ledere questa capacità di sviluppo). Per "morale" qui si intende, nei termini della ricerca
neuroscientifica, le qualità prosociali e altruistiche ed etiche, la capacità di nutrire la vita e curarsi
dell'altro, anche del pianeta, invece di distruggerlo, o di impegnarsi in futuro in comportamenti
antisociali. Un bambino accudito con cura e consistente sensibilità nei primi due-tre anni,
specialmente preposti allo sviluppo neurobiopsicosociale ed etico, contribuirà spontaneamente e con
generosità allo sviluppo di una comunità, di una collettività e di un pianeta con quei principi etici ,
sociali e collettivi che sostengono, curano e mantengono o rafforzano la vita e la salute. Le
neuroscienze affettive e sociali, investigando lo sviluppo del cervello, hanno dimostrato come la
16
cura ottimale si traduca in una crescita ottimale dei circuiti che vanno a costituire la capacità
empatica e la prosocialità, come si è visto a partire dalla teoria del “cervello tripartito” (vedi
MacLean, 1990), e alla "triune ethics" (Narvaez, 2009; Gazzaniga, 2005; Panksepp, 2013), come è
stato confermato dalle ricerche di Michael Tomasello (Tomasello et al., 2005; LIBRI) di cui
parleremo.
LA DIADE VITTIMA PERSECUTORE INTERNALIZZATA O ESTERNALIZZATA SUL NOSTRO CORPO
(
A mio parere, l'imprinting di un sé alieno nel bambino e nell'adolescente è un precursore degli
attacchi futuri che il sé dirigerà contro il proprio corpo, come modo di regolare l'impulsività,
l'aggressività e altri affetti negativi dentro il sé.
Queste parti negative internalizzate dalla madre/altro o dal caregiver (che ha avuto o ha difficoltà
nel portare avanti il difficile e complesso compito dell'accudimento) possono anche essere
“esternalizzate” (termine di Fonagy) sul corpo degli altri, quando l'aggressività è egosintonica, in
connessione con una debole capacità di provare empatia, il che vuol dire che il sistema di
attaccamento-regolazione con il caregiver non ha portato al raggiungimento dei livelli adeguati di
amore verso sè, autostima, empatia e autoregolazione affettiva. Di conseguenza, il corpo diventa il
bersaglio odiato, sia il proprio corpo (con meccanismi masochistici radicati nel senso di colpa e
nell'odio o disgusto di sè, come vedremo nei casi che seguiranno) o il corpo dell'altro, attraverso
violenza diretta contro gli altri e la società, fino a raggiungere la criminalità e il comportamento
antisociale. Sono contraria a una visione innata della violenza, e vedo la radice di questa come
derivante sempre da distruttività internalizzata, che è stata ricevuta intergenerazionalmente e
internalizzata in una relazione attraverso un modello vittima-persecutore, come ho spiegato nel mio
lavoro precedente (Mucci, 2013, 2014). Ritengo sia questo il principale meccanismo di distruttività
alla base dei sintomi dei disturbi di personalità.
Il meccanismo di identificazione del sè e del corpo sia con la “vittima” che con il “persecutore” è
una conseguenza dell’introiezione degli affetti negativi che risultano dalla traumatizzazione
relazionale e dall'abuso, come indicato in primis dallo psicoanalista ungherese Sandor Ferenczi
(Ferenczi 1932a, 1932b), contemporaneo di Freud, il quale (in modi simili a Pierre Janet) è stato
trascurato o ostracizzato allo stesso modo per la sua rivoluzionaria distanza dal maestro Freud,
scontrandosi su due questioni primarie: la questione della realtà del trauma interpersonale tra adulti
e bambini (versus la visione del fantasma indicata da Freud dopo il 1897, e il rigetto della teoria
dell’abuso reale dei pazienti) e la prevalenza della dissociazione come dinamica di funzionamento
17
per il paziente grave in opposizione alla rimozione che per Freud rimane la difesa di base delle
psiconevrosi di cui si occupava.
La teoria traumatica di Ferenczi individua nella cosiddetta ''identificazione con l'aggressore” (in
seguito approfondito nella sua valenza sociale e politica da Jay Frankel, 2002, 2005), la dinamica
fondamentale a cui il bambino abusato soggiace. La traumatizzazione da abuso crea quella che
Ferenczi chiama “frammentazione dell'anima”, con meccanismi simili alla dissociazione, con
l’internalizzazione e l’introiezione di affetti negativi che l'aggressore ha dentro di sé (ovvero colpa
da un altro) e di aggressività, che saranno dislocate nel bambino, creando in quest'ultimo una parte
vittima (legata alla colpa) e una parte persecutore del proprio corpo o del sé o dell'altro, per
l'aggressività internalizzata.
DIADE NEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
Identificazione con l’aggressore
18
Attiva anche una TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE degli affetti negativi e della violenza/persecuzione (se c’è attaccamento disorganizzato)
Come esito dell'aggressione e della violenza subita, il bambino si identifica con un sé vittima o con
un sé persecutore dislocato nel corpo (o su entrambi, nel sè come nel corpo): nei disturbi di
personalità, l'identificazione con l'aggressore spiega gli attacchi al corpo, che diventa la vittima
dell'aggressività persecutoria internalizzata (a volte dispiegata contro il corpo dell'altro). In questo 19
modo, la diade vittima-persecutore viene replicata e perpetuata sull'altro in un ciclo violento che
ogni traumatizzato (da mano umana, diverso è il trauma da catastrofe naturale) ha all'interno, e che
mette la vittima a rischio di ripetizione o di rivittimizzazione (Mucci, 2013, 2014, 2016; 2017b).
Secondo Freud, Melanie Klein, e ai giorni nostri Otto Kernberg, l'introietto persecutorio deriva
dall'aggressività (innata) del bambino derivante dai precursori del Super-Io disfunzionale (secondo
la seconda topica freudiana), mentre per Ferenczi la persecuzione deriva da un reale atto di violenza
che il bambino ha subito e che finisce per incorporare, più realisticamente e coerentemente con
Bowlby e con quanto le teorie dell'attaccamento hanno affermato.
Per Kernberg, la risposta del bambino agli eventi traumatici connessi con l'accudimento è già in
certi casi intrisa di aggressività innata e dipende probabilmente da una disposizione genetica. A
causa dell'eccesso di aggressività nella risposta, la fase schizoparanoidea non è risolta facilmente e
pertanto il bambino fa fatica a procedere verso la fase successiva, chiamata dalla Klein fase
“depressiva”, (che porterebbe alla integrazione degli oggetti internalizzati scissi) e pertanto il
bambino rimane nella fase schizo-paranoidea, con la persistenza di oggetti interni scissi in buoni e
cattivi, uniti da un affetto disfunzionale. Questo, secondo Kernberg, costituisce il nucleo del
disturbo grave di personalità, caratterizzato da scissione e disregolazione affettiva.
Al contrario, sulla scia di Ferenczi, sottolineo l'importanza della realtà delle condizioni di
accudimento in connessione con una vulnerabilità innata. E' importante ricordare al riguardo (sulla
questione della cosiddetta aggressività innata con cui il bambino già predisposto reagirebbe al
trauma) la rilevanza delle recenti scoperte dell’epigenetica, secondo cui l'ambiente opera in continua
interazione con la costituzione genetica del soggetto, per cui parti del patrimonio genetico (tratti
dell'RNA) verranno silenziate o espresse a seconda dell'influenza dell'ambiente (per cui è difficile
parlare di temperamento innato, ma viene rafforzata l'influenza dell'ambiente sul soggetto).
D'altronde, l'importanza della realtà della buona relazione di attaccamento sembra essere
sottolineata da Kernberg stesso quando affermava già nel 1966: “In questo modo, l'introiezione che
ha luogo sotto la valenza della gratificazione libidinale istintuale, come nel contatto amoroso madre-
bambino, tende a fondersi e a diventare organizzato in ciò che, in modo abbastanza vago ma
pregnante, è stato chiamato ‘oggetto interno buono’” (Kernberg, 1966, pp. 360-361).
Secondo Andrè Green, il meccanismo di scissione nel bambino è segno dell'istinto di morte al
lavoro “che si oppone all'azione unificante di Eros” (Green, 1991). Ma se seguiamo il modello di
Ferenczi, che sottolinea la realtà della traumatizzazione e la conseguente incorporazione
dell'aggressività dell'aggressore, bisogna rivisitare anche la teorizzazione dell'istinto di morte: è
questo meccanismo di identificazione con l'aggressore che spiega l'introiezione di colpa e
aggressività nella vittima, creando quello che ho chiamato "secondo livello di traumatizzazione",
che può cumularsi al primo livello, il trauma relazionale precoce dell'attaccamento disfunzionale.
20
PADRI E MADRI NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ
Nei disturbi di personalità, non solo il caregiver primario, di solito una madre, ma anche una
seconda figura, di solito un padre, è stato ostile e rifiutante.
Come ha spiegato Schore (1994, 2003a, 2003b, 2002), dopo il fallimento della relazione con la
madre, dopo il primo anno e mezzo di vita, un periodo critico per lo sviluppo della relazione di
attaccamento e per lo sviluppo dell'emisfero destro, che si sviluppa per primo, il bambino si rivolge
a un secondo caregiver, se presente, alla ricerca di conforto e sicurezza: molti studi mostrano che
anche questo secondo tentativo è andato male per i soggetti che hanno sviluppato disturbo di
personalità. (Felicity De Zulueta ha usato l'espressione "attaccamento andato a male”, De Zulueta,
2006).
Shapiro e collaboratori (1975) hanno dimostrato come il disturbo borderline possa servire da
ricettacolo per due genitori disturbati, ognuno dei quali può proiettare su di esso la parte denegata
della propria personalità malata e proiettare l'ambivalenza interna e l'ostilità sul bambino (ma il
bambino stesso funziona come parte di sé per questi genitori, come nota anche Green, 1991). Il fatto
che un bambino riceva le parti proiettate di un genitore mentre un altro figlio può non essere toccato
da questo processo è evidente in molte famiglie e può contribuire a spiegare le differenze nei figli e
nella relazione con figli diversi, differenze che sono rafforzate dalle interazioni già falsate da
proiezioni che hanno luogo nell'ambito della famiglia. I genitori molto raramente sono consapevoli
delle loro attive proiezioni e il conseguente modo di rivolgersi al bambino, nel tono di voce che
usano, nella postura corporea, nel contenuto e a volte nella severità dei rimproveri, tutti segnali della
rappresentazione interna del bambino dentro di loro a cui reagiscono in questo modo, con delle
modalità difensive e delle rappresentazioni (di sé in risposta all'altro-bambino) e identificazioni, che
spesso hanno radici intergenerazionali. Queste modalità rappresentative ed identificatorie, a loro
volta forgiano, il modo in cui essi vedono, si rivolgono o puniscono il bambino o come sono ben
disposti e o maldisposti verso di lui, cosicché gli scambi relazionali con lui sono indirizzati da
modalità sia consce che inconsce. La relazione di un genitore con ciascun figlio è influenzata da
molteplici elementi: oltre alle proprie esperienze di attaccamento e alle caratteristiche individuali di
ciascun figlio, dipenderà dalle circostanze di vita in cui quel bambino è venuto al mondo, con tutte
le differenze che possono esservi in quel momento nella vita della coppia stessa, a partire dalla
situazione economica, affettiva, incluso il desiderio o meno che quel bambino venga al mondo.
In aggiunta, è quasi impossibile che un genitore, con un secondo o terzo figlio, non sia cambiato in
alcun modo, non sia stato formato o cambiato dall'età, dall' esperienza, non abbia incontrato o
risolto nuove o vecchie difficoltà, o che abbia le medesime aspettative riguardo al nuovo figlio
21
(incluso il genere del bambino), in conseguenza anche della posizione del bambino dentro la
famiglia e riguardo all'ordine di nascita. Il genitore sarà stato inevitabilmente toccato dal ciclo di
vita e dalle esperienze personali. Infine, le aspettative verso il bambino, rispetto al genere sessuale
già "presente" o atteso, possono contribuire a forgiare le reazioni riguardo a come quel genitore
accoglie il bambino e come le rappresentazioni mentali e le attese verso di lui contribuiranno a
formare l'opinione e l'immagine che ha di lui, informando la relazione, a partire dal concepimento e
dalla fase prenatale. Questi sono tutti elementi di cui i genitori non sono consapevoli, ma, anzi,
tendono a negare le differenze nella crescita dei figli, e ad attribuire le differenze alle caratteristiche
proprie dei bambini.
LA FASE CRITICA DELL'ADOLESCENZA
Con l'adolescenza, quando il bambino comincia a sperimentare un po' di indipendenza e ha scambi
più o meno intensi con i coetanei, sperimentando nuove relazioni al di fuori della famiglia, come il
soggetto tratta il proprio corpo, nel senso della cura personale, della dieta, dell'immagine corporea
(capelli, vestiti, immagine di sé in quanto ad autostima, genere) rivela molto di quelle relazioni
primarie che sono inscritte nella memoria implicita e nel corpo, come conseguenza della complessa
rete di proiezioni e risposte internalizzate nei loro scambi con l'esterno, in combinazione con le
conseguenze biologiche e in interazione con altri fattori. Per memoria implicita intendiamo oggi
l'insieme delle rappresentazioni inconsce, delle emozioni, delle difese che guidano e foggiano sia il
comportamento che l'identità e le scelte personali (Schore and Schore, 2008).
L'adolescenza è il periodo in cui i primi segni di un incipiente disturbo di personalità diventano
evidenti, per quanto una corretta diagnosi richiederà una personalità più formata. Il DSM-5
mantiene i 18 anni come l'età in cui si può fare diagnosi, assumendo che per quell'età la personalità
sia abbastanza formata. La memoria implicita, che è stata descritta solo negli ultimi trenta anni, è
per lo più associata ai circuiti del sistema limbico, già attivi nei primi due anni di vita, periodo
critico, come si è visto, per la relazione sé-altro e per lo sviluppo dell'autostima, un periodo in cui
l'amigdala e il sistema limbico (Figura 1.6) esercitano una grande influenza sugli altri sistemi del
cervello e sono particolarmente importanti per e verso la socializzazione primaria. L'ippocampo, la
sede primaria per l'attivazione della memoria esplicita o dichiarativa, sarà attivo solo in seguito,
dopo il secondo anno di vita. Perciò, le traumatizzazioni legate al trauma relazionale infantile sono
"visibili" solo attraverso comportamenti distruttivi e sintomi (incluse le dipendenze), e diventeranno
esplicite e saranno riconosciute propriamente solo dopo che il lavoro terapeutico avrà riconnesso
quelle prime memorie corporee incapsulate nel sistema corpo-mente-cervello e avrà ricostruito le
soggiacenti storie di abuso e/o deprivazione e le avrà espresse.
22
Figura 1.6 sistema limbico
Corpi nutriti, corpi che nutrono
Abitudini alimentari, attitudini verso l'alimentazione e i pasti, cure corporee e idee e sensazioni
riguardo al proprio genere e sesso sono inevitabilmente impressi in quei processi primari di cura che
hanno luogo tra madre e bambino, che riflettono anche i valori, le idee e le aspettative che il
caregiver attribuisce al proprio e all'altro sesso. Sono rafforzate e incorporate in una rete di processi
interpersonali, collettivi, culturali e sociali: il processo del nutrimento connette il corpo della madre
con il corpo del bambino attraverso il seno o attraverso l’allattamento in genere, anche quando
questo implichi il biberon. Infatti, il collegamento del nutrire il piccolo con il contatto della pelle e
del tocco, la relazione corporea e il calore fisico che si sviluppa nella relazione sono estremamente
importanti nel veicolare affetto, cura e attaccamento (sollecitando la produzione di ossitocina nei
genitori), anche quando l'atto del nutrire non implichi il seno materno.
L'atteggiamento del caregiver verso il proprio corpo, il proprio genere e verso il cibo, la vita e la
creatività può essere trasferito o comunicato intergenerazionalmente, attraverso le dinamiche
dell'attaccamento (con i loro correlati neurobiologici) e attraverso parti scisse trasferite anche
attraverso meccanismi di dissociazione tra madre e figli (ne parleremo in dettaglio nei casi). Il loro
23
trasferimento avviene anche a livello epigenetico: il DNA non muta, ma l'espressione di alcuni tratti
nella catena può essere modificata a seconda di esperienze positive o negative dell'ambiente che
contribuiscono a silenziare o ad esprimere una data sequenza. I fattori ambientali, infatti,
modificano le connessioni sinaptiche e contribuiscono alla plasticità neuronale in varie modalità
(Kandel, 1998, 2007; Siegel, 1999; Cozolino, 2006; Fischer, 2014; Walter, 2001; Barlow, 1993).
Il modo in cui questi meccanismi sono trasferiti da madre a figlio sono di base corporea, trasmessi
attraverso l'attaccamento e rafforzati e connessi attraverso la plasticità del cervello, come vedremo
meglio in dettaglio nei prossimi paragrafi.
Il contatto corporeo, lo sguardo tra i due soggetti nello scambio relazionale e in congiunzione con i
correlati neurobiologici (fondamentalmente ossitocina e dopamina) sono gli elementi principali
dell'imprinting di come il corpo si sente in relazione e come le aree del cervello si sviluppano e si
collegano. La madre funziona come "regolatore nascosto" dei sistemi neurobiologici di crescita,
come hanno mostrato la ricerca di Myron Hofer e di Michael Meany sulle famiglie dei roditori e le
loro cure primarie (Hofer, 1984; Meany, 2001).
Dovremmo inoltre ricordare che è del tutto irrilevante che il caregiver sia un genitore
biologico oppure no: la relazione di cura e le qualità della connessione (come sensibilità e continuità
nella presenza e nella capacità di una continua risintonizzazione verso i bisogni del piccolo, come è
evidente nei roditori) sono gli elementi fondamentali, in grado di creare risposte neurobiologiche
positive, con cure ottimali e stimolazione alla crescita; al contrario, nel caso di cure insufficienti e
deprivazione si creano livelli in eccesso di cortisolo e di altri correlati neuroendocrini, che
influenzano negativamente tutti i parametri di crescita.
Ciò che serve per un’ottimale crescita neuronale, per la diffusione delle sinapsi e per i processi di
mielinizzazione per le connessioni primarie è la cura e l'amore costante, la presenza, la disponibilità
e la sintonizzazione da parte di un adulto di quella particolare disponibilità dell'emisfero destro che
chiamiamo amore (nel senso di relazione di cura, non di innamoramento), necessaria alla relazione,
che non sono dati necessariamente solo da madri biologiche. Infatti, madri traumatizzate in macachi
potevano arrivare a uccidere i loro piccoli, se erano state gravemente deprivate o abusate (Harlow,
Mears, 1979). Ciò che stiamo dicendo va nella direzione di una possibile riparazione se vi sono
situazioni di stress e difficoltà per la madre biologica: non c'è bisogno di una madre biologica
perché funzioni da “regolatore nascosto” (come Hofer chiama la madre) dei sistemi neurobiologici
del bambino, che si sta sviluppando, ma perché vi sia regolazione di tutti i sistemi, (circadiani,
cardio-circolatori, nutritivi, con parametri adeguati per il mantenimento dei giusti livelli di ansia, di
esplorazione e dell'ambiente sociale) basta che le cure vengano fornite cure vengano fornite con la
dovuta sensibilità, regolarità e impegno (infatti nelle ricerche di epigenetica sulle famiglie dei
roditori, perfino un ricercatore può riparare alle assenze della madre dei piccoli roditori, nutrendo e
24
ristabilendo i parametri appropriati nei cuccioli, perfino sostituendo al licking della madre un
pennello).
I disturbi alimentari, così comuni nei disturbi di personalità, mostrano che, attraverso gli anni, la
nutrizione, dalle più precoci memorie implicite dell'essere nutriti, conserva in maniera implicita,
vale a dire “in-conscia”, secondo la nuova costruzione di inconscio come definito da Schore, il
significato sostanziale, tattile, sensomotorio, regolatorio, e allo stesso tempo simbolico e vitale
dell'attaccamento positivo o negativo a un caregiver che ha fornito le cure. Il cibo reca le tracce di
una memoria implicita che verrà trasferita attraverso l'adolescenza fino all'età adulta, carica di
significati connessi alle primitive iscrizioni del corpo-mente e alle prime esperienze sociali
relazionali e di accudimento.
Quanto LeDoux (1992) sostiene riguardo alle emozioni, ovvero che dovrebbero essere considerate
una forma di processo mnestico, piuttosto che un processo che influenza la memoria, è sicuramente
vero nel caso delle tracce legate al cibo, che ha alle sue radici memorie implicite legate a tracce
corporee e sensibili del sistema limbico. LeDoux ritiene che, dal momento che l'input sensoriale-
affettivo dal talamo arriva all'amigdala prima delle informazioni della neocorteccia, questo input
(più legato all’integrazione della percezione somatica con la parte emotiva del sistema limbico)
prepara l'amigdala all’elaborazione dell'informazione che giunge più tardi alla corteccia; in questo
modo, l’appercezione (o valutazione) emotiva dell'input sensoriale precede l'esperienza emotiva
(van der Kolk, 2014; LeDoux, 1992).
Il significato interpersonale e intergenerazionale del cibo può essere difficilmente sopravvalutato. Il
cibo ci mantiene in vita e costituisce il primo canale di comunicazione con il corpo dell'altro: è stato
un corpo femminile che ci ha dato la vita e nella maggior parte dei casi ci ha nutrito. Una relazione,
rappresentazionale e psicobiologica, esiste già tra la madre e il feto, probabilmente dalle fantasie del
concepimento (Paul, 2010; Ammaniti & Gallese, 2014; Schore, 2016; Piontelli, 1992). Come scrive
Joan Raphael-Leff, “il feto appartiene a quell'area incontrastata, intensamente immaginativa e
intermediaria di esperienza a cui sia la realtà interiore che la vita esterna contribuiscono” (Raphael-
Leff, 2001, p. 9). Sottolineando l'origine interpersonale di questa connessione quasi invisibile
l'autrice aggiunge:
Quando due adulti si mettono insieme per costituire una relazione intima, ognuno vi
immette le questioni non risolte del complesso transgenerazionale delle fantasie inconsce. I
partner spesso scelgono di attualizzare certe potenzialità dell'uno e dell'altro e il neonato
diventa parte di questo teatro. Parti non elaborate saranno incorporate dal neonato come
parte della sua immagine di sé, come configurazioni preconsce dei genitori che formano la
base del mondo interno del bambino. In questo modo, le realtà psichiche della madre, del
padre e del bambino interagiscono e si intrecciano dal concepimento e perfino da prima,
25
contribuendo alla formazione di una cultura familiare (Raphael-Leff, 2001, pp. 10-11, trad.
mia per questa edizione).
Un’analisi delle fantasie connesse al feto nella coppia parentale, e specialmente nella madre, ci dirà
molto di come i genitori si preparano a mentalizzare, visualizzare, rappresentare e sentire in
profondo la relazione con il “nuovo venuto”, o si chiudono ad essa, rifiutano o addirittura hanno
paura dello straniero in se stessi o tra di loro come coppia. Il feto, a volte, è sentito come un
predatore dello spazio interno del corpo, inquinandolo o sfruttandolo e togliendo spazio e privilegi
alla madre o alla coppia (alcuni pazienti lo confermano). La relazione con il partner e/o l'origine
della gravidanza è anch'essa molto importante per segnare la differenza: qual è l'origine,
mentalmente, psicologicamente, affettivamente, di quell'atto di creazione? Il feto è un dono di vita
da lungo atteso e segno di amore per la coppia o un intruso che si insinua sottilmente per rubare
vitalità e “rovinare” il resto della vita della madre? È ovvio che, in casi estremi di violenza e/o
gravidanze indesiderate, la madre deve affrontare una fase difficile, che inevitabilmente segnerà
differenze psiconeurobiologiche nella qualità della crescita del feto, a causa dei correlati
neurobiologici ed endocrini dello stress e dei livelli ormonali.
Tutti questi elementi e queste esperienze prenatali nel grembo materno dovrebbero essere prese in
considerazione quando abbiamo un soggetto che ha sviluppato un rifiuto per il cibo, per il proprio
corpo o per la propria esistenza, o sta chiaramente mettendo a rischio e sabotando la propria vita,
come è comune per le esistenze borderline. Domande sulle aspettative dei genitori riguardo alla vita
del paziente, particolari situazioni durante la gravidanza della madre (come ad esempio incidenti,
perdite di persone care, presenza di episodi di aborto precedenti a questa nascita, gravi condizioni di
stress interpersonali o malattie) sono importanti. Possono chiaramente non trovare risposta nei primi
colloqui, ma potrebbero diventare rilevanti nel procedere della terapia, in quanto queste situazioni
hanno proiettato traumatizzazioni (o fantasmi) interpersonali sulla traiettoria del nuovo nato.
Ovviamente, sarebbe estremamente utile e produttivo avere la possibilità di fare terapia con future
madri o donne incinte, precisamente allo scopo di prevenire problemi in famiglie a rischio (come tra
gli altri indica Palacio Espasa, 2004)
CIBO-GENERE-SESSUALITÀ: UNA STRANA CONNESSIONE?
La nostra relazione col cibo da adulti e la nostra identità, per quanto riguarda il genere e la
sessualità, sono fortemente influenzate dal legame conscio e inconscio con il corpo femminile a cui
dobbiamo la nostra vita; in quel corpo abbiamo trascorso un numero adeguato di mesi prima della
26
nostra nascita, con tutti i misteri che ci legano alla vita prenatale (Paul, 2010; Ammaniti & Gallese,
2014; Schore 2016; Piontelli, 1992 ) , e a questa origine materna siamo tutti indebitati
simbolicamente, una questione che non può non avere conseguenze per la nostra futura identità
sessuale, in un modo o nell'altro, degna di essere esplorata in certi casi.
Il cibo che ingeriamo in futuro, che deriva da fonti esterne al corpo, è irrimediabilmente segnato, in
modo positivo o negativo, da quel primo corpo che ci ha nutrito (nel bene o nel male, che ci piaccia
o no). Da quella originaria venuta al mondo di derivazione materna e corporea, proviene una
dipendenza che, nelle specie umane, dura molto più a lungo che in altri primati prima, di
raggiungere indipendenza, autonomia e responsabilità, verso se stessi e verso l'altro.
Non ho prove di questo se non nella mia esperienza clinica. Riferirò brevemente di un caso di una
bambina di sette mesi, portata in ospedale (dove io facevo il tirocinio) perché aveva iniziato a
rifiutare qualsiasi cibo solido o liquido ed era a un passo da essere intubata (cosa che avrebbe
ancora di più reso il sistema neurobiologico e psicologico passivo e con la sensazione per la piccola
di essere alla mercé di un altro violento e intrusivo o predatore, che avrebbe ulteriormente
contribuito a uno shut-down dei sistemi di reazione della piccola, dunque da evitare il più possibile).
La bambina era nel primo periodo di separazione dalla madre e dal seno che l'allattava (la madre
aveva appena iniziato a svezzarla e a darle cibi solidi), perciò stava mettendo in atto un rifiuto per il
cibo, del tutto simile all’esperienza di grave anoressia che la madre aveva sperimentato fino a pochi
anni prima di rimanere incinta. Alcuni colloqui con la madre ebbero l'effetto di rassicurare la “diade
anoressica”, muovendola oltre quell'impasse, e la bambina ricominciò a mangiare (cibi solidi)3.
Mi sembra non sia sufficientemente riconosciuto quanto qualsiasi essere umano, maschio o
femmina, conserva del corpo della madre ma spesso questa verità fondamentale della dipendenza
umana da un corpo di solito femminile tende a essere negata o obliterata culturalmente, perfino
dalle donne. Suppongo che la domanda sul perché la derivazione femminile e corporea della nostra
vita non sia adeguatamente riconosciuta e tenda ad essere obliterata, rechi somiglianze con la
repressione stessa che le donne subiscono o a cui sono sottoposte nelle culture per lo più patriarcali.
INGESTIONE E CONNECTEDNESS POLIVAGALE
“She that from whom / We all were sea-swallow’d, though some cast again”
(Colei a causa della quale noi tutti fummo inghiottiti dal mare, anche se alcuni sono stati rigettati a
riva)
W. Shakespeare, La tempesta, 2.1.246-47)
3 Non ho seguito questa "coppia" dopo questi brevi incontri, ma non mi sorprenderebbe che la vita della bambina come quella della madre possano essere ancora segnate da fasi in cui la mediazione dello stress (tra di loro e dell'esistenza in genere), per esempio nell'adolescenza della bambina, passerà attraverso il cibo, e il controllo sul cibo. Un accompagnamento psicoterapeutico in certe fasi della vita per soggetti con vulnerabilità già espresse in altri momenti sarebbe sempre raccomandabile. In questo caso, sono le fasi di separazione a creare avvisaglie di problematicità. 27
Vorrei anche portare l'attenzione al termine stesso “ingestione” come descritto in termini
neurofisiologici da Stephen Porges, per le importanti conseguenze che le sue teorie hanno per la
nostra discussione. Porges sottolinea, prima di tutto, la “connectedness” tra varie parti del corpo-
mente come imperativo biologico, ovvero il bisogno del corpo di regolare insieme stati
biocomportamentali attraverso legami sociali e relazioni con altri, allo scopo di soddisfare bisogni
sia mentali che fisici. La percezione non consapevole, che Porges chiama neurocezione, attraverso i
circuiti del corpo-mente-cervello, di pericolo o sicurezza o minaccia di vita, sollecita i sistemi di
adattamento, abbassando l'attività dei sistemi difensivi e facilitando i comportamenti sociali,
attraverso lo sguardo, le espressioni facciali e la prosodia, in sostegno dell’omeostasi viscerale, fino
all’attivazione di strategie di difesa, come l'attacco (fight/flight) in caso di pericolo e lo shut-down
(chiusura come fuga) in casi di minaccia di vita. Il nervo vago innerva gli organi del corpo al di
sopra del diaframma, e alcune porzioni e organi del corpo al di sotto del diaframma. Questo sistema
opera e può essere la causa di iperacusia, ipertensione, problemi allo stomaco e intestino e disturbi
d'ansia, che possono portare a abuso di farmaci e altre sostanze o altri comportamenti disfunzionali.
L'intero sistema polivagale unisce le emozioni alle rappresentazioni mentali, al sistema nervoso e a
risposte in-consce (cioè automatiche, non consapevoli) del corpo.
Il vago innerva gli organi interni ed è responsabile del battito cardiaco, della peristalsi
gastrointestinale, della sudorazione, di alcuni movimenti della bocca, della gola e del respiro.
Riceve informazioni dall'orecchio esterno e da parti delle meningi e la connessione va dai nervi
afferenti all'ipotalamo al PAG (sostanza grigia periacqueduttale, nel sistema talamo-corticale).
L'interazione tra madre e bambino non è solo un’interazione top-down (dalle aree superiori del
cervello, più astratte e rappresentazionali, alle zone inferiori sensibili e corporee), ma un doppio
sistema di scambio bottom-up (dalle zone percettive del corpo alle aree superiori che ricevono e
integrano le informazioni, filtrandole con il vissuto e con il mondo interno, intriso dei significati del
soggetto) ed entrambi i sistemi dipendono dalle informazioni enterocettive ed esterocettive tra
l'interno e l'esterno del corpo (mediazione che sembra passare in gran parte attraverso l'insula
(Scalabrini et. Al, 2017)). La teoria polivagale di Porges descrive come, attraverso livelli
filogenetici, i mammiferi e specialmente i primati hanno sviluppato un’organizzazione neurale
funzionale che regola stati viscerali a sostegno del comportamento sociale. Ci sono tre sistemi di
risposta che collegano diverse ramificazioni del sistema nervoso autonomo: (1) vagale ventrale, (2)
ramificazioni del vagale dorsale del sistema nervoso parasimpatico e (3) sistema nervoso simpatico-
catecolaminergico. La nostra risposta mentale e psichica basata sul corpo e adattata all'ambiente
dipende dalla interconnessione dei tre sistemi. La regolazione affettiva, il movimento, le emozioni,
la capacità di consolarsi da sé e la comunicazione sociale dipendono tutte dal sistema vagale
28
ventrale, il più recente filogeneticamente, che implica la regolazione nervo-craniale dei muscoli
striati del viso e della testa e specifiche funzioni autonomiche mediate dal vago mielinizzato, che
inibisce l'attività simpatica a livello del cuore; il sistema vagale ventrale implica vie che originano
nella corteccia frontale, cosicché ci sia controllo corticale di questi moto-neuroni midollari.
Il secondo sistema, filogeneticamente più antico, è implicato nell’ attiva difesa dalla minaccia e
dipende dal sistema nervoso simpatico, che mobilizza l'energia in uno stato continuo di attivazione.
Innerva il cuore per fornire energia per "scappare" o "combattere" (flight or fight); per raggiungere
la mobilizzazione, il nervo vago ventrale viene rilasciato, aumentando l'output metabolico; se
riattiviamo il sistema vagale ventrale, diminuisce l'input metabolico.
Il terzo e più antico sistema è il dorsale vagale, che fornisce l'immobilizzazione (freezing, o
shutdown) se necessario. La mancanza di integrazione tra i tre sistemi può essere implicata nella
dissociazione, secondo Nijenhuis (2001); per Schore la dissociazione è più simile a uno shutdown
del sistema parasimpatico (e questa sembra essere anche la descrizione della dissociazione secondo
Ferenczi, 1988).
I sintomi che compaiono in risposta a un trauma (dovuti fondamentalmente a situazioni di attacco e
fuga, con ipervigilanza e attivazione neurovegetativa) implicano l'attivazione di tutti i livelli, e
queste reazioni rimangono codificate nelle memorie implicite traumatiche: a causa dell'alto livello
di cortisolo, le memorie traumatiche non possono essere codificate nell'ippocampo e rimangono
pertanto nella memoria implicita, registrate emotivamente nel sistema limbico, di base amigdala,
dove possono essere facilmente riattivate secondo il sistema del kindling, che richiede un livello
minimo di stimolazione perché sia riattivato. È questo il motivo per cui i traumatizzati (sia nel caso
del trauma dovuto a mano umana che di altro tipo, naturale e catastrofico) vivono nel costante
timore della riattualizzazione del trauma, perché basta uno stimolo minimo (un suono, un rumore,
una luce, un odore, una sensazione corporea) per far ripiombare il soggetto dentro la situazione
traumatica, e dentro i correlati neurobiologici di quella situazione, che la rendono perpetuamente
reale. (È per questo che serve una terapia che renda la regolazione affettiva di nuovo possibile e
interiorizzata rispetto al significato dell’evento, e il soggetto non può compiere questo da solo).
Un'altra modalità di risposta, già menzionata, è quella del freezing, che implica l'attivazione del
sistema dorso-vagale e dei nuclei del nervo vagale alla base della formazione reticolare (Porges,
2011; Schore, 2009), cosicché si crea una mancata connessione tra l'amigdala, il processo di
significazione (a base corteccia prefrontale destra), l'ippocampo e la corteccia frontale e prefrontale
sinistra (fondamentali per la memoria esplicita), disconnessione che è all'origine dell'iperarousal e
della depersonalizzazione, con gli effetti parasimpatici a cui abbiamo accennato.
29
LO SGUARDO, L'AMORE MATERNO E I LORO CORRELATI NEUROBIOLOGICI
Una volta che il bambino è venuto al mondo, lo sguardo attraverso cui madre e bambino si
incontrano attraverso le pratiche del nutrimento e la routine dell'accudimento primario, insieme agli
scambi vocali e vis-à-vis della coppia, stimolano, come l’Infant Research (Beebe & Lackman, 1988;
Tronick, 2007) e le neuroscienze affettive hanno magistralmente dimostrato (Schore, 1994, 2003a,
2003b), fattori che regolano l'asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), insieme a tutti i fattori
neuroendocrini e le reazioni corporee, vale a dire fattori&&ripetizione&& che stimolano, oltre a
ossitocina e vasopressina nella madre, il rilascio di corticotropina (CRF) nell'ipotalamo del
bambino, endorfine e acetilcolina (ACTH). Questo processo a sua volta provoca l'attivazione del
sistema ventro-tegmentale, che porta al rilascio di dopamina e alla conseguente sensazione di
benessere e soddisfazione.
La dopamina rilasciata arriva ai recettori delle aree prefrontali (in seguito associate alle aree del
controllo e della pianificazione-decisione), che promuoveranno la memoria, l'apprendimento e i
processi cognitivi, tutti fortemente dipendenti dall' esperienza (cioè non innati), in altri termini
dipendenti dalla (buona o cattiva) connessione con il caregiver e con l'ambiente.
FOTO 1.7 CORRELATI NEURONALI DELLO SGUARDO DELLA MADRE 30
La ricerca ha accertato che da questa relazione primaria e dalla costante riuscita sintonizzazione tra
madre e bambino dipende lo sviluppo ottimale del cervello, a cominciare da quelle aree limbiche
emotive specie dell'emisfero destro già menzionate, il cui sviluppo dipende dalla relazione con il
caregiver e con l'ambiente (Schore, 1994, 2003a e 2003b; Cozolino, 2002; Siegel, 1999; Schore
2016).
TRAUMA NELLA MADRE E IL POTERE DELL'AMORE MATERNO (O DELL'ACCUDIMENTO)
Se la madre stessa (o il caregiver) ha traumatizzazioni non risolte, malattie, sia mentali che fisiche, o
gravi problemi legati al matrimonio o alle condizioni economiche, oppure soffre di maltrattamenti o
ha sofferto di lutti non risolti negli ultimi due anni (Liotti et al., 1991), oppure fa uso di droghe e
alcool per la sua stessa autoregolazione, potrebbe non essere in grado di mantenere il ritmo e
l'intensità e il collegamento emotivo che questo processo richiede. Anche nel caso in cui non
maltrattasse attivamente il bambino, potrebbe comunicargli implicitamente e trasmettergli
intergenerazionalmente le sue parti interne dissociate e i contenuti mentali ed emotivi disturbanti
attraverso le connessioni dell'emisfero destro (Schore, 1994, 2012, 2019a e b; Mucci, 2013, 2014).
A questo riguardo, ricordo che Allan Schore sostiene che la madre "scarica" (“downloads”) il
proprio sistema limbico in quello del bambino nel primo anno e mezzo di vita, attraverso
l'attaccamento e la regolazione che lega i due.
Bartels e Zeki (2004), scrivendo a proposito dei “correlati neurali dell'amore materno”, sottolineano
l'impatto estremamente significativo che “la durevole o pervasiva influenza dell'amore materno (o la
sua assenza)” ha sullo sviluppo e sulla futura costituzione mentale del bambino. Studi di risonanza
magnetica funzionale (fMRI) di madri che guardavano foto dei loro bambini a nove mesi di età
hanno evidenziato “uno stato di attivazione affettiva straordinaria” che implicava la corteccia
orbitofrontale, l'insula mediale, la corteccia cingolata anteriore e fusiforme. L'attivazione della
corteccia laterale orbitofrontale è associata a “stimoli piacevoli visivi, tattili e olfattivi”, mentre
l'insula è legata alla sensazione viscerale degli stati emotivi. Lo stesso studio mostra, inoltre, una
correlazione assai interessante tra amore materno e amore romantico.
31
From Bartels and Zeki (2004)
Come sottolinea Schore, l'attivazione della corteccia cingolata anteriore suggerisce un legame
potenziale tra i sentimenti di empatia della madre e la motivazione a prendersi cura del bambino.
Questa connessione attiva i neuroni dopaminergici ventrali, associati di solito ad esperienze
altamente soddisfacenti o collegate al sistema della ricompensa. Inoltre attiva il PAG (grigio
periacqueduttale), che riduce la mancanza di paura (fearlessness) e aumenta l'aggressività protettiva
materna (è implicato anche nella soppressione endogena del dolore durante esperienze emotive
interne). Insieme a questa significativa attivazione, l'amore materno sentito intensamente (sotto
l'effetto di ossitocina e vasopressina) disattiva certe aree: la prefrontale mediale, la parietale
inferiore e la medio temporale, soprattutto nell'emisfero destro, così come la corteccia cingolata
posteriore, che gioca un ruolo predominante nella cognizione. In altri termini, i circuiti della
mentalizzazione sono disattivati in questa esperienza assai intensa, che implica soprattutto
l'emisfero destro4. L'amigdala, in questo caso, produce soprattutto emozioni positive, reprimendo
rabbia, aggressività e paura. Queste emozioni positive sono la base neurobiologica della qualità
dell'attaccamento della madre per il bambino e delle rappresentazioni di lei rispetto all'attaccamento.
L'attivazione orbitofrontale destra gioca un ruolo importante nel sistema della ricompensa e riceve
proiezioni ascendenti dei circuiti della dopamina dall'area ventro-tegmentale.
In uno studio assai interessante, Minagawa-Kawai e colleghi (Minegawa-Kwawai et al., 2009)
sottolineano l'attivazione sia nei bambini che nelle madri che sorridono ai loro piccoli delle cortecce
4 Mentre facilita i compiti emotivi dell'accudimento, questa attivazione dell'emisfero destro, con disattivazione della aree della mentalizzaione e della cognizione, potrebbe essere uno dei problemi del rekindling del sistema di attaccamento della madre nel caso di attaccamento insicuro o disorganizzato (tra lei e il proprio cargiver), per cui, come si suol dire, si "riattiva il sistema dell'attaccamento" nel genitore, con la problematicità che questo comporta se c'è appunto un attaccamento insicuro o problematico, e fa pensare alla necessità, in queste fasi di accudimento, di una terapia per il genitore (o di ritorno in terapia), per favorire, appunto, zone di mentalizzazione per bilanciare l'attivazione (dolorosa) dell'amigdala. 32
orbitofrontali di destra. Concludono: “I nostri risultati concordano con quelli di Schore (1999,
2000), che individua l'importanza dell'emisfero destro nel sistema dell'attaccamento”. Schore
stabilisce il periodo critico per l'attivazione amigdala-basolatarale e del cingolato anteriore ad
appena 2-3 mesi; si tratta dello stesso periodo che lo psicoanalista Daniel Stern indica per
l’emergere di un core Self, un sé nucleare (Stern, 1987).
La cosa straordinaria è che l'esperienza relazionale dell'emergente amore reciproco che comincia a
partire da 2 o 3 mesi di età, come sottolinea Schore, induce cambiamenti neuroplastici non solo nel
cervello del bambino, ma anche in quello della madre. Kim e colleghi (2010) confermano
cambiamenti longitudinali nell’ anatomia del cervello nei primi tempi del post-partum, al punto che
i sentimenti positivi della madre per il piccolo possono facilitare perfino una crescita dei livelli
della materia grigia nel sistema limbico della diade in amore (che è anche ciò che accade nelle
relazioni romantiche e nelle amicizie intime), con una vera e propria ristrutturazione del sé implicito
basato sull'emisfero destro, quindi anche della rappresentazione di sé e dell’altro, con una
ristrutturazione anche dei MOI (Modelli Operativi Interni) e con cambiamenti nell'autostima e
nell'esperienza corporea del mondo e della propria vita. Bisognerebbe anche dare maggiore
importanza alla qualità della voce e degli scambi vocali nella coppia, insieme alle espressioni
facciali e alle vocalizzazioni non verbali (si veda anche Mancia, 2006, 2007): tutto ciò conferma la
reciproca formazione di una comunicazione basata sul corpo (o sul corpo-mente-cervello dei due),
in uno scambio tra emisfero destro ed emisfero destro della madre col bambino (così come del
paziente con l'analista, come si vedrà meglio in seguito).
LO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ NEL SISTEMA CORPO-MENTE-CERVELLO
Per meglio comprendere questa esperienza intersoggettiva relazionale, che è alla base dell'essere un
corpo in collegamento con un altro (da cui origina la vita), va ricordato che, come dimostrano
Tsakiris e colleghi, (2008), la giunzione temporo-parietale destra è preposta alla percezione che il
soggetto ha del proprio corpo; è all'origine della sensazione corporea del sé e dipende dallo sviluppo
delle aree corticali e subcorticali che sono influenzate dalle relazioni primarie. La giunzione
temporo-parietale destra sembra essere fondamentale nel fornire un coerente senso di sé nel corpo.
È parte di un network (che include la corteccia anteriore dell'insula) implicato nell’integrazione
multi-sensoriale delle esperienze sé-altri, che sembra necessario insieme alla corteccia mediale pre-
frontale nell’attività di mentalizzazione (Ammaniti & Gallese, 2014; Fotopoulou and Tsakiris,
2017).
33
La conseguente capacità di mentalizzazione del bambino (ovvero la capacità di inferire in se stessi
e nell'altro gli stati mentali, inclusi desideri, bisogni, sentimenti e credenze rispetto a se e agli altri),
che richiede una sviluppata capacità di “saper leggere” (o avere una teoria di) la mente propria e
altrui—poco sviluppata nei soggetti con disturbo di personalità—si basa su questa primaria
sintonizzazione intersoggettiva, a partire dalla capacità del caregiver (come poi sarà del terapeuta)
di tenere a mente il bambino.
Queste stesse dinamiche neurobiologiche intersoggettive basate sul corpo sono implicate nella
regolazione affettiva degli impulsi distruttivi verso l'altro e nei futuri comportamenti antisociali e
non empatici (Schore, 2016). In particolare, le medesime aree ventromediali prefrontali (corticali)
sono decisive per lo sviluppo sociale e morale (nel senso di prosocialità e altruismo) dell'essere
umano.
Sappiamo inoltre che gli stessi neurotrasmettitori (catecolamine, serotonina, dopamina, adrenalina,
etc.) implicati nella regolazione degli affetti tra caregiver e bambino sono disfunzionali nei disturbi
di personalità (come in altri disturbi dell'umore), specialmente monoammine come la serotonina e la
dopamina, implicate nella mediazione tra emozione interna ed esterna, con l'autostima come
conseguente risposta all'ambiente. Perfino il nostro sviluppo altruistico e morale, secondo questa
visione, si basa sull'ottimale sviluppo del corpo-mente-cervello basato sull'attaccamento sicuro.
"SVILUPPO MORALE" O LA CAPACITÀ DI AMARE E DI ESSERE IN RELAZIONE
Molti studi vanno nella direzione di provare che il cosiddetto sviluppo “morale” dell'individuo
d i pend e fortemente da quei primi scambi, cosicché le buone cure genitoriali promuovano empatia,
comportamento prosociale e responsabilità morale (Eslinger et al., 1992; Narvaetz & Lapsley, 2009;
Anderson et al., 1999; Wei et al., 2011; Blair, 1995). Schore vede collegamenti tra la regolazione
affettiva prefrontale legata all'emisfero destro e lo sviluppo del Super-io, in termini psicoanalitici,
attorno ai 18 mesi. Questo sistema è legato alle funzioni temporali, di ritardo e di posticipo,e
all’autoregolazione della vergogna (Emde, 1985; Schore, 1994), oltre che all'empatia e all'altruismo.
In altri termini, un comportamento sociale responsabile e altruistico dipende da un sano sviluppo
delle aree frontali e prefrontali, mentre un danno in queste zone (Schore, 2016), che potrebbe
derivare dalla mancanza di un buon accudimento con costante risintonizzazione tra madre e
bambino, specie nei primi mesi di vita e nella vita prenatale, può portare a deficit nello sviluppo di
quelle aree, e quindi a mancanza di controllo di impulsi distruttivi verso il sé e verso l'altro, con
gravi conseguenze per la formazione della personalità futura, come vedremo soprattutto per le
personalità narcisistiche e antisociali.
34
Entrambe queste personalità mancano della capacità di sentire l'altro e di capire gli stati mentali
propri e altri, o presentano un difetto nella capacità di identificarsi con gli altri, oppure mancano di
controllo rispetto alla tendenza di infliggere dolore o danneggiare gli altri (fino al sadismo e
all'aggressività egosintonica) (Schore, 2016; Scalabrini et al., 2017), come è evidente nelle
personalità antisociali e, in grado leggermente minore, nei narcisisti maligni (come descritti da
Kernberg). Tutte queste caratteristiche sono state formate implicitamente dallo sviluppo
interpersonale neurobiologico armonioso, oppure mancano perché il loro sviluppo è stato inficiato
nella relazione. Non vi è nulla, quindi, di totalmente innato: perfino le cosiddette "vulnerabilità", a
mio parere, sono formate epigeneticamente e, in ogni caso, sono il frutto di interrelazione con
l'ambiente, e il primo ambiente è quello relazionale e dato dell'accudimento.
Descriverò pertanto, in un continuum di gravità, come nei disturbi di personalità si vada dai disturbi
meno gravi, isterici-istrionici, più vicini all'asse nevrotico, ai più gravi, come il disturbo antisociale
di personalità, che presenta questa inquietante mancanza di sensibilità, di responsività, di empatia
con livelli di aggressività egosintonica.
Lo sviluppo della mente come sistema complesso corpo-mente-cervello, nella neuropsicologia,
implica che i livelli più concreti del corpo e dell'accudimento fisico, fino ai livelli più alti delle
decisioni morali e del comportamento attivo prosociale, dipendono ugualmente da cure parentali
/accudimento primario sensibili e sintonizzate.
PER SINTETIZZARE: MODELLO ETIOLOGICO DI SVILUPPO (SCHORE)
Il mio modello clinico (Mucci 2013, 2016, 2017 e quanto descrivo qui) è in accordo con il modello
di sviluppo, e di conseguente psicopatologia, di Allan Schore, in cui a più precoci e più intense
esperienze interpersonali traumatiche corrispondono le più gravi traumatizzazioni, in un continuum
che va dalle personalità isteriche/istrioniche (con meno gravi e meno precoci traumatizzazioni, con
migliore formazione oggettuale, che avvicina questi soggetti al continuum nevrotico) alle
personalità borderline e narcisistiche, fino alle personalità antisociali (che hanno subito i danni più
gravi e più precoci). Nella carta di sviluppo eziopatologico riportata di seguito, ho inserito le
traumatizzazioni più gravi e più precoci in ordine temporale, a partire dal prenatale o dai primi mesi
di vita, per cui le patologie vanno da quelle più gravi (antisociale, con precoce distruzione o
riduzione delle cellule dell'amigdala, che porta necessariamente a una difficile o impossibile
riparazione in terapia), alle meno gravi, che si sviluppano dopo. Il narcisismo maligno presenta
problematiche più complesse del semplice narcisismo e si avvicina, a mio parere, a quello
antisociale in quanto a eziopatogenesi. Tra i casi che seguiranno per illustrare il mio metodo clinico
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non includerò un vero e proprio caso di personalità antisociale (non solo perché non ho un vero e
proprio caso antisociale da presentare, ma perché tali soggetti per definizione non cercheranno di
curarsi, e se mai si trovassero per qualche altro tornaconto in terapia, lo farebbero appunto solo per
manipolare e per averne una qualche forma di vantaggio, non per quegli elementi di sofferenza
interiore e bisogno di migliorare il comportamento e gli aspetti di vita che di solito portano in
terapia). Per lo sviluppo di una possibile personalità antisociale, anche se è possibile una
predisposizione alla violenza e all’aggressività egosintonica, le condizioni traumatiche devono
essere state sperimentate molto presto, probabilmente in utero, nel periodo prenatale, specialmente
nell'ultimo trimestre, quando l'asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene) e l'amigdala centrale sono in un
periodo critico di maturazione (Schore, 2017a).
Schore ha chiarito (Schore, 2017a) come gli agenti stressanti relazionali della madre, ovvero livelli
disregolati di ormoni sessuali (estrogeni, testosterone), insieme a neurotossine dell'ambiente
possano alterare le funzioni della placenta e interferire con o alterare lo sviluppo dell'amigdala
centrale del bambino, con morte cellulare e stress ossidativo. Anche il grigio periacqueduttale
(PAG), implicato nella regolazione dello stress, matura nello stesso periodo. Questo sistema è
implicato in una modalità dissociativa di difesa che porta a uno shut down metabolico. Secondo
Schore, l'etiologia dello spettro del disturbo autistico origina ugualmente in questo periodo
prenatale, con alterazioni strutturali dell'amigdala destra. Va inoltre notato che anche l'insula destra
è in un periodo critico di maturazione, con le sue basilari funzioni corporee legate al sistema
nervoso autonomo; come detto, l'insula sembra essere fondamentale per la percezione enterocettiva
ed esterocettiva del corpo come connesso al sé.
La depressione postnatale materna in questo periodo, specie per le donne (come nel caso di
Dorothy, un grave caso borderline con una madre depressa e un padre abusante), se seguito da
fallimento di riparazione nella regolazione interattiva (abuso/neglect) nel periodo successivo,
creerebbe alterazioni nella traiettoria dell'emisfero destro sottocorticale. Anche qui sono impresse
difese dissociative, immagazzinate nella memoria implicita procedurale di base nell’amigdala
(come i casi attestano ampiamente).
È possibile, spiega Schore (comunicazione orale), che funzionamenti borderline di basso livello e
sviluppi alterati siano connessi a danneggiamenti dell’amigdala centrale che si forma prima, mentre
disturbi borderline di alto funzionamento dipendano dall’alterata connettività dell’amigdala
basolaterale che matura successivamente.
Inoltre, secondo Schore, in questo caso ci sono alterazioni nelle forme precoci del sé corporeo. Qui
“corporeo” si riferisce al corpo viscerale, ai muscoli lisci che sono innervati dal sistema HPA.
Predisposizioni successive sono dovute a disregolazioni delle funzioni autonome, dei sistemi di
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organi (cuore, polmoni, sistema immunitario etc.). Questo è coerente con la ricerca epidemiologica
ACE, di cui parleremo nel prossimo capitolo.
FIGURA 1.8 Modello evolutivo eziopatologico
Espandendo le spiegazioni della eziopatologia della complessa sintomatologia connessa ai disturbi
borderline di personalità, Schore spiega che nel periodo postnatale che va dai 3-9 fino ai 10 mesi, il
cingolato anteriore è in un periodo critico. Attaccamenti insicuri possono imprimere alterazioni
nella maturazione del cingolato anteriore (aree 24, 25 e 32, che sono sia simpatiche che
parasimpatiche). Alterazioni nel numero di funzioni del cingolato anteriore destro sarebbero
associate con funzioni più alte dell'emisfero destro. Questo fornirebbe un’etiologia epigenetica dei
gravi disturbi di ansia, come gli attacchi di panico. È possibile che attaccamenti insicuri ansiosi , a
differenza di quelli evitanti, possano dipendere da disregolazione del cingolato anteriore sia del
simpatico che del parasimpatico. Vi sono, in questi casi, connessioni alterate della regolazione del
cingolato anteriore dell'amigdala destra.
Nel secondo anno, bambini tra i 10-12 mesi fino ai 18 mesi, attraversano un periodo critico per le
connessioni tra vari circuiti orbitofrontali che potenzialmente controllano e regolano il cingolato e
l'amigdala; difficoltà nell'attaccamento in questo periodo sono associate alla socializzazione della
vergogna e dell'aggressività. Difficoltà nel controllo degli impulsi e nell’instabilità dell'umore sono
perciò stabiliti interpersonalmente e seguono tempi di sviluppo. In questo caso l'amigdala è intatta,
ma l'influenza delle aree orbitofrontali è debole.
Nel suo modello di circuiti orbitofrontali duali limbico-autonomi, a partire dal 1994 Schore descrive
l'attaccamento sicuro come un sistema che presenta sia efficienti circuiti simpatici che parasimpatici
orbitofrontali, mentre un attaccamento insicuro ansioso presenta iperattività del sistema simpatetico;
infine, l'insicuro evitante è caratterizzato da una iperattività dell'inibizione parasimpatica. Sono
associati con, rispettivamente, patologie esternalizzanti e internalizzanti; mentre il tipo D
(Unresolved nella AAI, Adut Attachment Interview), sotto stress, non ha accesso a nessuno dei due
sistemi, cosicché l'unica risposta è la dissociazione. Di speciale importanza sono i livelli superiori
del sistema corticale-sottocorticale, specialmente la corteccia orbitofrontale, che monitora e
controlla le risposte iniziate dagli altri sistemi del cervello ed è implicata nella selezione e
nell’inibizione attiva dei circuiti neurali associati alle risposte emotive (vedi Rule, Shimamutra &
Knight, 2002). Questo sistema prefrontale esercita una funzione esecutiva, che regola l'affetto e la
motivazione attraverso funzioni del sistema limbico (Zelazo & Muller, 2002). Gli assoni della
corteccia orbitofrontale e prefrontale mediale (Barbas et al., 2003) convergono nell’ipotalamo con i
neuroni che si proiettano verso il tronco cerebrale e i centri nevralgici autonomi.. Questo effetto
top-down può essere di natura eccitatoria o inibitoria, come vediamo nelle risposte difensive. 37
Questa è la conclusione di Lanius e colleghi (2002), secondo cui le strutture prefrontali e limbiche
sono alla base di risposte dissociative negli stati post-traumatici.; anche Gundel e colleghi (2004)
suggeriscono che il cingolato anteriore destro potrebbe agire come un sistema inibitorio che regola
l’elaborazione emotiva, portando a dissociazione, con alessitimia correlata alla dimensione del
cingolato anteriore destro. Secondo Schore (Schore 2003a, 2003b) , la corteccia orbitofrontale
destra, al vertice del sistema limbico, assume la funzione di controllo esecutivo dell’intero cervello
destro. In questo sistema, le aree prefrontali orbito-laterali sono specializzate nell’elaborazione di
stati emotivi negativi (Northoff et al., 2000; Schore, 2001a). Entrambi i circuiti limbici autonomi
sono organizzati attraverso esperienze di attaccamento nel primo e nel secondo anno di vita
(Schore,1994). Se c’è una maturazione ottimale del sistema prefrontolimbico , vi è la più alta
integrazione di informazioni estero- ed enterocettive nel cervello, con l’insula anteriore destra
(Craig,2004) , che promuove una rappresentazione di risposte viscerali accessibili alla
consapevolezza, con un substrato sottostante di sentimenti ed emozioni (Critchley et al, 2004;
Porges, 2011).
Questa complessa articolazione di sistemi fa capire come individui con sistemi orbitofrontali
immaturi dal punto di vista dello sviluppo siano vulnerabili a patologie dissociative derivanti dal
trauma relazionale e come, sotto condizioni di stress, la disorganizzazione dei sistemi e la
dissociazione saranno le risposte difensive maggiori. Se inoltre consideriamo che il periodo della
fine del secondo anno di vita è decisivo per l'imprinting del genere (si veda anche il capitolo II),
questo sviluppo gerarchico orbitofrontale diventa il modello per l'organizzazione della futura
identità sessuale e di genere. Se, dunque, comprendiamo questo modello di sviluppo in relazione
con (e profondamente influenzato da) i modelli di identificazione radicati nell'attaccamento e
l'internalizzazione di difese e di comportamenti dei caregiver che funzionano come modelli, dentro
un’ampia rete di influenze genetiche culturali e ambientali, possiamo dedurre quanto i primi due
anni di vita siano fondamentali per la diffusione di identità sessuale e per l'acquisizione di strategie
difensive del tipo disorganizzato nel caso di trauma relazionale, maltrattamento e abuso.
Secondo il modello di Schore, i disturbi narcisistici (si veda il capitolo 7), associati a
disregolazione della vergogna, evolvono nel secondo anno (mentre i disturbi borderline nel primo).
Inoltre, c'è un deficit di regolazione interattiva nel primo anno, mentre ci sono deficit di agency e
autonomia dell’autoregolazione nel secondo anno. Il trauma dell'attaccamento (con il problema
della regolazione della vergogna) alla fine del secondo anno potrebbe interferire con l'evoluzione
delle funzioni superiori dell'emisfero destro, incluse la moralità, l'empatia e l'immaginazione.
Dovremmo considerare che le funzioni motorie del bambino, che sono minime all'inizio del primo
anno, sono intensificate con la locomozione eretta e le funzioni motorie striatali alla fine del
secondo anno di vita, da quando il bambino comincia a camminare. Il gioco libero (Rough and 38
tumble play) viene intensificato nel secondo anno, con il "corpo fisico" che prende il posto del
precedente "corpo viscerale ".
Verso la metà del secondo anno, fino alla fine di questo, la crescita dell'emisfero destro cede alla
crescita dell'emisfero sinistro con l'imprinting della relazione paterna e l'emergere di capacità di
agency e autonomia.
I casi che presento qui sono per lo più di pazienti tra i 20 e i 30 anni (ad eccezione di
Elizabeth). Essi presentano un buon esempio della varietà dei più frequenti disturbi di personalità,
dall'isterico/istrionico, al borderline, al disturbo narcisistico, fino ai confini con l'antisociale e
l’ipocondriaco, con tutte le comuni caratteristiche dell'impulsività, dell'instabilità dell'umore, della
rabbia, della distruttività, fino ai disturbi psicosomatici e agli attacchi al corpo a vari livelli di
intensità. Questo continuum è in accordo con la categorizzazione diagnostica di Kernberg e
rispecchia lo stesso continuum di gravità dal nevrotico al borderline fino al confine con
l’organizzazione psicotica. Pertanto, nell'ambito dell’organizzazione borderline, andiamo dal caso
meno grave, isterico, (Ariadna, in cui discuteremo l'importanza del mirroring e del complesso della
Madre Morta), al borderline (da alto a basso funzionamento, con i casi, nell'ordine, di Bertha e di
Dorothy), in cui discuteremo dell'autolesionismo, dei disturbi alimentari, della diffusione
dell'identità sessuale e della dissociazione, fino al livello borderline del narcisismo complicato da un
asse I (depressione), nel caso di Fabian, o da gravi disturbi psicosomatici (Elizabeth), all’ipocondria
e ad alcuni tratti antisociali (John) e alla perversione sadomasochistica (Tom).
Figura 1.9 Continuum di gravità
Tutti i casi presentano livelli di somatizzazione come segno di evitamento e disconoscimento
emotivo: si va dai sintomi corporei di conversione della paziente isterica presentata per prima, alla
mancanza di emozioni dei casi di narcisismo presentati successivamente, fino alla vera e propria
reazione psicosomatica e ipocondriaca. Essi mostrano come le emozioni, per eccesso (come nei
borderline gravi che hanno problemi di controllo) o per evitamento e isolamento (nel senso della
difesa dell'evitamento come definita psicoanaliticamente), trovino la strada del corpo se non
regolate o elaborate, come accade per l'alessitimico, che non è consapevole di esse, o l'ipocondriaco,
dove il soma ha preso l'intera scena e la relazione con il mondo esterno e la capacità autoriflessiva
sono molto ridotte.
Il lato estremo dello spettro è quello più vicino alla psicosi. Sono d'accordo, pertanto, con Joyce
McDougall, quando dice che la peculiare risposta patologica che disconosce/bypassa le emozioni (e
il più delle volte coincide con l'alessitimia o l'ipocondria) condivide alcuni dei tratti psicotici a
livello del corpo.
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La figura 1.10 (griglia diagnostica) illustra i parametri che useremo per tessere questa mappa
diagnostica tra patologie del corpo e disturbi di personalità dal corpo dell'isterica al borderline, al
narcisista fino ai confini con l'antisocialità e la psicosi.
Nella prima colonna verticale consideriamo le traumatizzazioni (da agente umano, dal trauma
relazionale infantile, primo livello, al trauma dell'abuso o maltrattamento e grave deprivazione,
secondo livello, ai traumi intergenerazionali e familiari), includendo stili di attaccamento, insicuro o
disorganizzato, in alcuni casi con presenza di dissociazione. Nella seconda colonna verticale
consideriamo la diagnosi specifica del disturbo di personalità secondo il modello di Kernberg;
infine, nella terza colonna verticale, consideriamo le patologie che colpiscono il corpo direttamente,
come attacchi e comportamenti autolesionistici o disturbi alimentari o sintomi somatici, inclusi
l'abuso di alcool o altre sostanze.
Questi tre assi verticali (1. trauma e attaccamento; 2. tipo di disturbo di personalità; 3. sintomi
corporei e distruttività rivolta al corpo) si intersecano con un primo asse orizzontale, che considera
la capacità di sognare, o la presenza di incubi, o l’impossibilità di sognare, come spesso accade
negli alessitimici, e un secondo asse orizzontale, che considera l'identità sessuale o la diffusione di
identità sessuale.
FIGURA 1.10 GRIGLIA -ASSESSMENT
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