l’identificazione · 2015. 11. 17. · Da attore a divo I meccanismi di identificazione e...
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La «serializzazione» dei ruoli è un
elemento chiave del divismo, ma
per capirne il funzionamento
occorre aggiungere un nuovo
effetto introdotto dal cinema:
l’identificazione tra schermo e realtà,
che permette la riconoscibilità da
parte del pubblico e la sensazione
di conoscere “personalmente”
l’attore, come un vicino di casa,
solo più simpatico o attraente.
Ricciotto Canudo nel 1923, sottolinea la differenza fra una
qualsiasi celebrità del mondo politico o del teatro, conosciuta in
modo esteriore e superficiale, e il divo cinematografico, con cui si
ha un contatto più profondo, quasi intimo, perché traduce «in
movimento vitale un certo sentimento che ci ha colpito, una certa
avventura, che è stata, per la magia dell’arte, la nostra avventura
di un’intera serata».
Da attore a divo
I meccanismi di identificazione e proiezione infatti conducono lo
spettatore a una contiguità psicologica e spirituale, a una sorta di
intimità con i protagonisti, ai quali il pubblico si sente legato e su
cui può riversare affetto e/o ammirazione, al punto che ormai
accede alle sale attratto dal richiamo del divo di turno. Attori e
attrici, come moderne divinità pagane, diventano un mezzo di
pubblicità fondamentale e l’attrattiva principale dei film.
Il cinema diventa così una delle prime
«istituzioni sociali» che offrono la prova dei
nuovi fenomeni aggregativi che i sociologi
vanno individuando come tipici della
società contemporanea, all’insegna dei
concetti di imitazione, conformismo,
gregariato, massificazione.
Reine de l’Attitude
«Dal teatro intanto giungeva, carica di monili e di fascini, bionda
e fatale, e, come Sarah Bernhardt reine de l’Attitude et princesse
du Geste, – bellissima, – Lyda Borelli. La nuova dea oscurava,
col suo prestigio estetico, tutte le altre; la gioventù femminile
d’Italia si modellava su quella statua alta e sottile che
armoniosamente si contorceva come una musica in uno
spasimo».
Lucio D’Ambra, “Sette anni di cinema (I)”, in Cinema: quindicinale di divulgazione cinematografica,
v. II, n. 14, 1937, pp. 48s.
Il cinema, che si rivolge alla
folla, definisce il successo
dell’attrice. Splende, sulla Italia
di Giovanni Giolitti, la suprema,
divina Borelli. Le ragazze si
fanno tingere i capelli in giallo-
rosso e fotografare con le mani
allacciate sotto il mento. Le
dame si avvolgono in vesti
fluenti. Le piccole borghesi si
atteggiano a sdegnose o a
stanche.
Eugenio Ferdinando Palmieri (1903–1968)
Borellismo
«Con la sua figura alta, abbastanza
sottile per l’epoca» osserva Lisetta
Renzi «diffuse a tal punto la moda
delle diete, dei capelli ossigenati e
dei contorcimenti sinuosi che, per
descrivere il fenomeno, si coniò il
termine borellismo», che si ritrova
nel Dizionario Moderno di Panzini
(1925) come «lo sdilinquire delle
femmine prendendo a modello le
pose estetiche e leziose dell’attrice
bellissima Lyda Borelli. (…) Grazie
femminee scomparse con la
mascolinizzazione delle donne».
L’emergere prepotente di queste
nuove figure pubbliche affascina le
persone comuni, sprigiona energie
sociali e alimenta l’immaginario
collettivo, caricando di sottintesi la
semplice offerta di spettacolo. Di
questo magnetismo, che crea
legami e spinte all’imitazione, si
accorge subito la produzione
cinematografica e laddove l’impianto
industriale è più forte e cinico, come
negli Stati Uniti, si sviluppa uno
sfruttamento intensivo del fenomeno
che si può definire una vera e
propria fabbrica del divismo.
Divismo
Con i primi successi,
ci rende conto che la
produzione di film può
essere un affare,
anche quando
costano molto poiché
il film che «sfonda»
ripaga molte volte i
costi sostenuti. Ma
l’investimento, proprio
perché dipendente dai
gusti (volubili) del
pubblico, è
considerato ad alto
rischio.
Londra 1928. La fila per vedere un film
Gary Cooper, in un western degli anni venti.
Per ridurre i margini di rischio e captare le aspettative di un
pubblico sempre più esigente e numeroso (in America, nel 1922
si staccano più di 40 milioni di dollari di biglietti alla settimana ), ci
si affida ai resoconti sugli incassi o ai sondaggi, ma ancora non
basta a garantirsi il successo.
Gary Cooper, in un western degli anni venti.
Alla fine le strategie più avanzate in questa
direzione approdano da un lato a una serrata
diversificazione e standardizzazione delle
pellicole in generi e, dall’altro, alla creazione
di un vero e proprio Star system.
N
Gary Cooper, in un western degli anni venti.
Naturalmente nessuno, pur con tutti gli
accorgimenti del caso, può evitare la spada di
Damocle che incombe sempre su una industria
dell’effimero, ma i capi degli Studios capiscono che
la strada giusta sono i meccanismi di fidelizzazione
tra gli eroi dello schermo e gli spettatori: bisogna
rinforzarli e crearne eventualmente di nuovi.
Divismo
Constatato che il pubblico si
affeziona volentieri
agli attori che vede sullo
schermo, i produttori
assecondano da un lato il
legame, promuovendo
pubblicamente gli artisti che
piacciono di più per renderli
ancora più popolari, e dall’altro
iniziano a pagare compensi
sempre più lauti pur di
assicurarsene la presenza
anche nei film successivi. Gli
attori del cinema iniziano a
guadagnare cifre inaudite.
Janet Gaynor, Miglior attrice protagonista 1929
I divi
Nel 1911 Max Linder trova al suo arrivo a Barcellona una folla di
più di mille persone e deve intervenire la polizia. Al ritorno a
Parigi sfrutta l’enorme quanto inattesa popolarità per rivedere il
suo compenso annuo, arrivando a strappare un milione di franchi,
contro una paga iniziale di appena 7 mila.
Divismo
Il non dover possedere particolare talento, l’essere così richiesti,
le cifre riscosse e la fama immediata, rendono il mestiere di
attore cinematografico un «sogno», l’ingresso in un paese delle
favole, un miraggio che cattura la fantasia delle masse.
Audizione, 25 marzo 1925
Divismo
Alla costruzione del sogno sono ben felici di collaborare editori e
giornalisti che possono attingere argomenti nuovi e di sicuro
interesse per i loro lettori: il processo inizia ad alimentarsi da solo
e genera quell’insieme di attività promozionali che viene
definito star system.
Riviste
Fin dagli inizi, i più
importanti quotidiani
hanno dedicato al
cinema qualche articolo
o inserzioni “a
pagamento” per
segnalare uno
spettacolo o l’apertura
di una sala, ma in
generale l’interesse
dimostrato dalla stampa
periodica per le vicende
del cinematografo è
stato piuttosto relativo.
Riviste Lo sviluppo industriale ha
favorito il sorgere dei
primi giornali dedicati
esclusivamente al cinema:
Moving Picture World
negli Stati Uniti (1907)
The Bioscope in Gran
Bretagna (1907) e Ciné-
journal in Francia (1908);
sono tuttavia riviste rivolte
agli specialisti, fatte in
gran parte delle inserzioni
a pagamento dei
produttori sulle pellicole in
uscita.
.
Il salto di qualità si ha con l’ingresso
del gossip, il pettegolezzo, spesso
creato ad arte da agenzie
pubblicitarie specializzate, che
diventa un gradito ingrediente della
produzione cinematografica. L’attore,
il suo passato, i suoi amori, la sua vita,
diventano, parafrasando Marc Ferro,
«una merce che alla stregua di altre
merci poteva essere presa e gettata
sul mercato».
Marc Ferro
.
Nel 1911 sul Motion
Picture Story Magazine
compare la prima rubrica
dedicata alle star del
cinema e ai pettegolezzi
sulla loro vita privata.
Per soddisfare, e nello
stesso tempo alimentare,
la curiosità di fan e
appassionati, nascono
allora riviste come
Photoplay, Screen Play,
Motion Picture classic.
Il pubblico, prevalentemente femminile dopo l’entrata in guerra
nel 1917 degli Stati Uniti, comincia a manifestare una forte
curiosità verso la vita privata, e non solo cinematografica, dei divi
e delle dive del grande schermo.
Questa «mercificazione»,
avviata in Europa in
modo naturale e con
qualche legittima pretesa
«artistica», negli Stati
Uniti viene subito
assorbita nel circuito
commerciale,
mescolandosi con le
nuove tecniche
pubblicitarie che
promuovono il prodotto
mediante la
sollecitazione delle
aspettative del pubblico.
La Biograph
Proprio all’interno della Biograph Griffith conduce la sua aspra
battaglia affinché il regista e gli attori ottengano l’accredito nei
titoli e nelle locandine, causa probabile del suo divorzio dalla
grande casa di produzione.
Biograph Girl
A quel tempo nessuna compagnia
indica nei film i nomi degli attori –
che, come pentole, figurano solo
come prodotti di una certa ditta - per
non dar loro quella notorietà che li
indurrebbe a reclamare compensi
più alti, come accade per il teatro.
Essendo gli attori anonimi, il
pubblico e i mezzi d’informazione
conoscono una delle attrici più
popolari del momento, Florence
Lawrence, come la Biograph girl.
Biograph Girl
Quando l’attrice va a lavorare
per una la concorrenza, anche
per evitare confusione, viene
«rilanciata» col suo nome e
da allora, lentamente, gli attori
iniziano ad avere il loro
«accredito» nei film, mentre
l’appellativo di Biograph Girl
passa a Mary Pickford, detta
poi anche «la fidanzata
d’America».
Già nel 1908 troviamo un
precoce esempio di campagna
pubblicitaria impostata
sull’attesa del divo. La graziosa
Florence Lawrence, che è già
un volto noto, una delle prime
vere star del cinema, è
conosciuta da pochi col suo
vero nome: è per tutti la ragazza
della Biograph. Quando si
sparge la voce che è rimasta
uccisa in un brutto incidente
d’auto a New York, il pubblico
comprensibilmente rimane
sconvolto.
Ma subito sui giornali inizia a
circolare un annuncio
accompagnato dalla foto della
Lawrence che smentisce la notizia,
chiamandola una «vile menzogna».
Le didascalie dicono che l’attrice è
viva, sta bene e aggiungono en
passant che l’attrice è in procinto di
girare The Broken Oath, il nuovo
film della IMP. Guarda caso, è stato
proprio Carl Laemmle, il patron di
questa piccola casa produttrice
indipendente, a inventare di sana
pianta tutta la faccenda come
espediente pubblicitario.
Cercando disperatamente una
star, Laemmle ha ingaggiato
la Florence con la promessa di
farne la prima interprete con il
nome sulle locandine del film.
Dopo aver attirato l’attenzione
mediale con la notizia della
morte e la smentita, organizza
anche per l’attrice una visita
a St. Louis, in modo da farla
vedere dal vivo agli
ammiratori. Il nome di
Florence Lawrence diventa
familiare a tutto il pubblico
cinematografico.
La morte della ragazza della
Biograph e la sua resurrezione
come ragazza della IMP
lanciano il vero nome
dell’attrice, fanno la fortuna del
rampante produttore e
costituiscono un lancio
pubblicitario mai visto prima,
rappresentando uno dei primi
casi in cui si cerca il successo
di un film puntando sulla
presenza di un determinato
protagonista.
Sebbene la Lawrence
lavori in seguito per diverse
compagnie, ogni tanto
torna a fare film con
Laemmle, che ne approfitta
puntualmente per farsi
pubblicità, anche
comprando un’intera
pagina costruita come una
lettera della Lawrence al
teatro che ospitava i film
della Universal.
Quando la carriera della
Lawrence volge al termine,
Laemmle le organizza una
serie di «rientri» usando una
tecnica intelligente che
comporta l’acquisto di più
pagine pubblicitre in
successione. La prima (1
gennaio 1916) allude
semplicemente a un ritorno,
facendo da traino a quella
della settimana seguente che
svela l’arcano.
Laemmle adotta questa
tecnica anche con altre
attrici. Per Ethel
Grandin diffonde gli
annunci lungo tre
settimane, a partire dal
26 Febbraio 1916.
Divi Ramon Novarro in Mata Hari, 1931
I divi, ben presto anche
maschili, sono figure che
restano essenzialmente
legate all’immagine, esaltata
sugli schermi dalle infinite
possibilità espressive
del primo piano ma rilanciata
dai giornali, dalla radio e da
tutti i media possibili: negli
anni ruggenti diventano
anche uno strumento di
propaganda dei miti
consumistici.
Divi
Ne è un esempio Douglas
Fairbanks, attore mediocre
ma popolarissimo divo dei
film «cappa e spada». La
sua carica irresistibile di
vitalità e simpatia, incarna
perfettamente il mito
americano del dinamismo
come strumento di
successo e di
autoesaltazione.
Il ladro di Bagdad, 1924
Divi
Per questo viene
scelto da una rivista
del settore come
titolare di una rubrica
in cui consiglia alla
gente comune come
vestirsi, cosa
mangiare, come
divertirsi e “costruirsi
una personalità”. La
star viene trasformata
in un esempio.
Don Q figlio di zorro, 1925
“È probabile che in media la
conoscenza degli americani
sulla vita, gli amori, le nevrosi
dei semidei e dee che
vivono sulle alture olimpiche
di Beverly Hills superi di gran
lunga la conoscenza che
possiedono degli affari civili”
B. Rosemberg e D. Manning White,
Mass culture. The Popular Arts in
America, 1957
Olive Thomas
La percezione dell’attore come
modello da imitare viene messa
in crisi da una serie di scandali
che, coinvolgendo alcune tra le
celebrità più amate, feriscono il
pubblico e alimentano l’ostilità
dei critici e dei benpensanti
verso l’industria del cinema. Nel
1920 il «suicidio» a Parigi di
Olive Thomas, “la ragazza
americana ideale”, spalanca
una finestra sui vizi e le
tossicodipendenze del mondo
dorato di Hollywood.
Fatty Arbuckle
Nel settembre 1921 la giovane attrice Virginia
Rappe muore dopo la partecipazione a una
festa a base di alcol e stupefacenti. Destano
molto scalpore le accuse di omicidio e tentato
stupro al «padrone di casa», il popolarissimo
comico Roscoe Fatty Arbuckle.
Pickfordmania
Anche il divorzio di Mary
Pickford e Douglas
Fairbanks, la coppia
apparentemente perfetta
del cinema, suscita
reazioni negative nel
pubblico e spezza la
Doug and Mary mania,
mentre le nuove nozze
della Pickford indignano
le famiglie borghesi.
Hollywood diventa agli
occhi della buona società
il «regno del male».
“I fans adoravano ma erano
volubili, e se le loro divinità
mostravano di avere i piedi di
argilla le abbattevano senza
pietà. Tanto, a un passo
dallo schermo, c’era sempre
una nuova stella in attesa di
sorgere”
Kenneth Anger, Hollywood Babilonia,
Adelphi, Milano 1979
Jimmy DeSana, Kenneth Anger Portrait, 1980
Louise Brooks
Un volto significativo
degli anni Venti è certo
quello di Mary Louise
Brooks (1906-1985),
ballerina, show-girl e
attrice american che
deve però la sua fama
al cinema tedesco di
Georg Wilhelm Pebst.
La sua immagine
elegante e sensuale ha
ispirato il fumettista
Guido Crepax per il più
famoso dei suoi
personaggi: Valentina.
La Brooks interpreta
per Pabst due film.
Nel primo, Il vaso di
Pandora (1929) è
l’ex fioraia Lulù,
stella ambiziosa e
dissoluta del varietà
che fugge da un
mondo di intrighi e
miserie solo per
incappare in Jack lo
Squartatore, che le
pianta un pugnale
nel ventre.
Nel successivo Diario di una donna perduta (1929) la Brooks è la
giovane Maria, violentata e rinchiusa in una casa di correzione, da
cui fugge per diventare l’attrazione di un bordello. Fatta fortuna e
tornata nell’istituto come dama di carità, si prende la sua rivincita.
Louise Brooks
«Louise è la perfetta
apparizione, la donna dei sogni,
l’essere senza cui il cinema
sarebbe povera cosa. È più che
un mito, è una presenza
magica, un’illusione reale, il
magnetismo del cinema».
Ado Kyrou
«Ma quale Dietrich, ma quale
Garbo, c’è solo Louise Brooks!».
Henri Langlois
Louise Brooks
Poi fui mandata a fare film a Hollywood nel 1927: nessuno
sapeva capire perché io odiassi tanto quel terribile posto
distruttivo che a tutti gli altri sembrava un paradiso meraviglioso.
“Che ti succede, Louise? Tu hai tutto! Cos’è che vuoi?”
Lulu In Berlin (BBC, 1984) di Richard Leacock and Susan Woll.
Louise Brooks
Louise Brooks in una lettera a Crepax del 1976
Per me tutto questo era come un sogno terribile che faccio - sono
perduta tra i corridoi di un grande albergo e non riesco a trovare
la mia stanza: La gente mi passa davanti come se non potesse
vedermi né udirmi. Così dapprima fuggii da Hollywood e da allora
sono sempre fuggita. Ed ora, a 69 anni, ho messo da parte la
speranza di trovare me stessa. La mia vita è stata niente.
I personaggi «tedeschi» di Louise Brooks, che in patria era una
flapper sbarazzina e sensuale, rappresentano la dissoluzione
dell’arrangiamento vamp della femme fatale. La sua Lulù è una
donna sensuale e irresistibile, ma che non trae nessun frutto
dalla sua bulimica e sfortunata abilità nello scatenare le passioni.
È la donna innocente, senza grande colpa ma anche senza
progetto e volontà, che, proprio come Pandora, è la fonte di mali
e disastri che nessuno poi sa controllare. Anche il suo destino
pertanto non può essere favorevole: la restaurazione morale ha
compassione della sua innocenza ma non può perdonarla. La
vamp, dissoluta suo malgrado, è letale ma infelice e non può
sopravvivere.
La generazione
successiva delle grandi
seduttrici conserverà
pertanto un pizzico di
mistero, ma l’opera di
addomesticamento della
donna «liberata» sostituirà
il carattere torbido della
minacciosa vampira con
una più moderna
spregiudicatezza e un velo
di charme.
Carole Lombard
Il divo assume un ruolo sostanzialmente diverso da quello del
semplice attore. Mentre questi può recitare molte parti diverse,
mantenendo la sua identità di professionista e di interprete, il
divo si propone come un “prodotto” legato alla propria
immagine, s’impasta essenzialmente coi caratteri del
personaggio che quindi è costretto a ripetere sempre entro un
medesimo modello vincente.
Louise Brooks
Louise Brooks
Esibizione al Museo Guimet di Parigi, 13 marzo 1905