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La «serializzazione» dei ruoli è un elemento chiave del divismo, ma per capirne il funzionamento occorre aggiungere un nuovo effetto introdotto dal cinema: l’identificazione tra schermo e realtà, che permette la riconoscibilità da parte del pubblico e la sensazione di conoscere “personalmente” l’attore, come un vicino di casa, solo più simpatico o attraente.

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La «serializzazione» dei ruoli è un

elemento chiave del divismo, ma

per capirne il funzionamento

occorre aggiungere un nuovo

effetto introdotto dal cinema:

l’identificazione tra schermo e realtà,

che permette la riconoscibilità da

parte del pubblico e la sensazione

di conoscere “personalmente”

l’attore, come un vicino di casa,

solo più simpatico o attraente.

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Ricciotto Canudo nel 1923, sottolinea la differenza fra una

qualsiasi celebrità del mondo politico o del teatro, conosciuta in

modo esteriore e superficiale, e il divo cinematografico, con cui si

ha un contatto più profondo, quasi intimo, perché traduce «in

movimento vitale un certo sentimento che ci ha colpito, una certa

avventura, che è stata, per la magia dell’arte, la nostra avventura

di un’intera serata».

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Da attore a divo

I meccanismi di identificazione e proiezione infatti conducono lo

spettatore a una contiguità psicologica e spirituale, a una sorta di

intimità con i protagonisti, ai quali il pubblico si sente legato e su

cui può riversare affetto e/o ammirazione, al punto che ormai

accede alle sale attratto dal richiamo del divo di turno. Attori e

attrici, come moderne divinità pagane, diventano un mezzo di

pubblicità fondamentale e l’attrattiva principale dei film.

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Il cinema diventa così una delle prime

«istituzioni sociali» che offrono la prova dei

nuovi fenomeni aggregativi che i sociologi

vanno individuando come tipici della

società contemporanea, all’insegna dei

concetti di imitazione, conformismo,

gregariato, massificazione.

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Reine de l’Attitude

«Dal teatro intanto giungeva, carica di monili e di fascini, bionda

e fatale, e, come Sarah Bernhardt reine de l’Attitude et princesse

du Geste, – bellissima, – Lyda Borelli. La nuova dea oscurava,

col suo prestigio estetico, tutte le altre; la gioventù femminile

d’Italia si modellava su quella statua alta e sottile che

armoniosamente si contorceva come una musica in uno

spasimo».

Lucio D’Ambra, “Sette anni di cinema (I)”, in Cinema: quindicinale di divulgazione cinematografica,

v. II, n. 14, 1937, pp. 48s.

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Il cinema, che si rivolge alla

folla, definisce il successo

dell’attrice. Splende, sulla Italia

di Giovanni Giolitti, la suprema,

divina Borelli. Le ragazze si

fanno tingere i capelli in giallo-

rosso e fotografare con le mani

allacciate sotto il mento. Le

dame si avvolgono in vesti

fluenti. Le piccole borghesi si

atteggiano a sdegnose o a

stanche.

Eugenio Ferdinando Palmieri (1903–1968)

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Borellismo

«Con la sua figura alta, abbastanza

sottile per l’epoca» osserva Lisetta

Renzi «diffuse a tal punto la moda

delle diete, dei capelli ossigenati e

dei contorcimenti sinuosi che, per

descrivere il fenomeno, si coniò il

termine borellismo», che si ritrova

nel Dizionario Moderno di Panzini

(1925) come «lo sdilinquire delle

femmine prendendo a modello le

pose estetiche e leziose dell’attrice

bellissima Lyda Borelli. (…) Grazie

femminee scomparse con la

mascolinizzazione delle donne».

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L’emergere prepotente di queste

nuove figure pubbliche affascina le

persone comuni, sprigiona energie

sociali e alimenta l’immaginario

collettivo, caricando di sottintesi la

semplice offerta di spettacolo. Di

questo magnetismo, che crea

legami e spinte all’imitazione, si

accorge subito la produzione

cinematografica e laddove l’impianto

industriale è più forte e cinico, come

negli Stati Uniti, si sviluppa uno

sfruttamento intensivo del fenomeno

che si può definire una vera e

propria fabbrica del divismo.

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Divismo

Con i primi successi,

ci rende conto che la

produzione di film può

essere un affare,

anche quando

costano molto poiché

il film che «sfonda»

ripaga molte volte i

costi sostenuti. Ma

l’investimento, proprio

perché dipendente dai

gusti (volubili) del

pubblico, è

considerato ad alto

rischio.

Londra 1928. La fila per vedere un film

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Gary Cooper, in un western degli anni venti.

Per ridurre i margini di rischio e captare le aspettative di un

pubblico sempre più esigente e numeroso (in America, nel 1922

si staccano più di 40 milioni di dollari di biglietti alla settimana ), ci

si affida ai resoconti sugli incassi o ai sondaggi, ma ancora non

basta a garantirsi il successo.

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Gary Cooper, in un western degli anni venti.

Alla fine le strategie più avanzate in questa

direzione approdano da un lato a una serrata

diversificazione e standardizzazione delle

pellicole in generi e, dall’altro, alla creazione

di un vero e proprio Star system.

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N

Gary Cooper, in un western degli anni venti.

Naturalmente nessuno, pur con tutti gli

accorgimenti del caso, può evitare la spada di

Damocle che incombe sempre su una industria

dell’effimero, ma i capi degli Studios capiscono che

la strada giusta sono i meccanismi di fidelizzazione

tra gli eroi dello schermo e gli spettatori: bisogna

rinforzarli e crearne eventualmente di nuovi.

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Divismo

Constatato che il pubblico si

affeziona volentieri

agli attori che vede sullo

schermo, i produttori

assecondano da un lato il

legame, promuovendo

pubblicamente gli artisti che

piacciono di più per renderli

ancora più popolari, e dall’altro

iniziano a pagare compensi

sempre più lauti pur di

assicurarsene la presenza

anche nei film successivi. Gli

attori del cinema iniziano a

guadagnare cifre inaudite.

Janet Gaynor, Miglior attrice protagonista 1929

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I divi

Nel 1911 Max Linder trova al suo arrivo a Barcellona una folla di

più di mille persone e deve intervenire la polizia. Al ritorno a

Parigi sfrutta l’enorme quanto inattesa popolarità per rivedere il

suo compenso annuo, arrivando a strappare un milione di franchi,

contro una paga iniziale di appena 7 mila.

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Divismo

Il non dover possedere particolare talento, l’essere così richiesti,

le cifre riscosse e la fama immediata, rendono il mestiere di

attore cinematografico un «sogno», l’ingresso in un paese delle

favole, un miraggio che cattura la fantasia delle masse.

Audizione, 25 marzo 1925

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Divismo

Alla costruzione del sogno sono ben felici di collaborare editori e

giornalisti che possono attingere argomenti nuovi e di sicuro

interesse per i loro lettori: il processo inizia ad alimentarsi da solo

e genera quell’insieme di attività promozionali che viene

definito star system.

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Riviste

Fin dagli inizi, i più

importanti quotidiani

hanno dedicato al

cinema qualche articolo

o inserzioni “a

pagamento” per

segnalare uno

spettacolo o l’apertura

di una sala, ma in

generale l’interesse

dimostrato dalla stampa

periodica per le vicende

del cinematografo è

stato piuttosto relativo.

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Riviste Lo sviluppo industriale ha

favorito il sorgere dei

primi giornali dedicati

esclusivamente al cinema:

Moving Picture World

negli Stati Uniti (1907)

The Bioscope in Gran

Bretagna (1907) e Ciné-

journal in Francia (1908);

sono tuttavia riviste rivolte

agli specialisti, fatte in

gran parte delle inserzioni

a pagamento dei

produttori sulle pellicole in

uscita.

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Il salto di qualità si ha con l’ingresso

del gossip, il pettegolezzo, spesso

creato ad arte da agenzie

pubblicitarie specializzate, che

diventa un gradito ingrediente della

produzione cinematografica. L’attore,

il suo passato, i suoi amori, la sua vita,

diventano, parafrasando Marc Ferro,

«una merce che alla stregua di altre

merci poteva essere presa e gettata

sul mercato».

Marc Ferro

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Nel 1911 sul Motion

Picture Story Magazine

compare la prima rubrica

dedicata alle star del

cinema e ai pettegolezzi

sulla loro vita privata.

Per soddisfare, e nello

stesso tempo alimentare,

la curiosità di fan e

appassionati, nascono

allora riviste come

Photoplay, Screen Play,

Motion Picture classic.

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Il pubblico, prevalentemente femminile dopo l’entrata in guerra

nel 1917 degli Stati Uniti, comincia a manifestare una forte

curiosità verso la vita privata, e non solo cinematografica, dei divi

e delle dive del grande schermo.

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Questa «mercificazione»,

avviata in Europa in

modo naturale e con

qualche legittima pretesa

«artistica», negli Stati

Uniti viene subito

assorbita nel circuito

commerciale,

mescolandosi con le

nuove tecniche

pubblicitarie che

promuovono il prodotto

mediante la

sollecitazione delle

aspettative del pubblico.

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La Biograph

Proprio all’interno della Biograph Griffith conduce la sua aspra

battaglia affinché il regista e gli attori ottengano l’accredito nei

titoli e nelle locandine, causa probabile del suo divorzio dalla

grande casa di produzione.

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Biograph Girl

A quel tempo nessuna compagnia

indica nei film i nomi degli attori –

che, come pentole, figurano solo

come prodotti di una certa ditta - per

non dar loro quella notorietà che li

indurrebbe a reclamare compensi

più alti, come accade per il teatro.

Essendo gli attori anonimi, il

pubblico e i mezzi d’informazione

conoscono una delle attrici più

popolari del momento, Florence

Lawrence, come la Biograph girl.

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Biograph Girl

Quando l’attrice va a lavorare

per una la concorrenza, anche

per evitare confusione, viene

«rilanciata» col suo nome e

da allora, lentamente, gli attori

iniziano ad avere il loro

«accredito» nei film, mentre

l’appellativo di Biograph Girl

passa a Mary Pickford, detta

poi anche «la fidanzata

d’America».

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Già nel 1908 troviamo un

precoce esempio di campagna

pubblicitaria impostata

sull’attesa del divo. La graziosa

Florence Lawrence, che è già

un volto noto, una delle prime

vere star del cinema, è

conosciuta da pochi col suo

vero nome: è per tutti la ragazza

della Biograph. Quando si

sparge la voce che è rimasta

uccisa in un brutto incidente

d’auto a New York, il pubblico

comprensibilmente rimane

sconvolto.

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Ma subito sui giornali inizia a

circolare un annuncio

accompagnato dalla foto della

Lawrence che smentisce la notizia,

chiamandola una «vile menzogna».

Le didascalie dicono che l’attrice è

viva, sta bene e aggiungono en

passant che l’attrice è in procinto di

girare The Broken Oath, il nuovo

film della IMP. Guarda caso, è stato

proprio Carl Laemmle, il patron di

questa piccola casa produttrice

indipendente, a inventare di sana

pianta tutta la faccenda come

espediente pubblicitario.

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Cercando disperatamente una

star, Laemmle ha ingaggiato

la Florence con la promessa di

farne la prima interprete con il

nome sulle locandine del film.

Dopo aver attirato l’attenzione

mediale con la notizia della

morte e la smentita, organizza

anche per l’attrice una visita

a St. Louis, in modo da farla

vedere dal vivo agli

ammiratori. Il nome di

Florence Lawrence diventa

familiare a tutto il pubblico

cinematografico.

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La morte della ragazza della

Biograph e la sua resurrezione

come ragazza della IMP

lanciano il vero nome

dell’attrice, fanno la fortuna del

rampante produttore e

costituiscono un lancio

pubblicitario mai visto prima,

rappresentando uno dei primi

casi in cui si cerca il successo

di un film puntando sulla

presenza di un determinato

protagonista.

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Sebbene la Lawrence

lavori in seguito per diverse

compagnie, ogni tanto

torna a fare film con

Laemmle, che ne approfitta

puntualmente per farsi

pubblicità, anche

comprando un’intera

pagina costruita come una

lettera della Lawrence al

teatro che ospitava i film

della Universal.

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Quando la carriera della

Lawrence volge al termine,

Laemmle le organizza una

serie di «rientri» usando una

tecnica intelligente che

comporta l’acquisto di più

pagine pubblicitre in

successione. La prima (1

gennaio 1916) allude

semplicemente a un ritorno,

facendo da traino a quella

della settimana seguente che

svela l’arcano.

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Laemmle adotta questa

tecnica anche con altre

attrici. Per Ethel

Grandin diffonde gli

annunci lungo tre

settimane, a partire dal

26 Febbraio 1916.

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Divi Ramon Novarro in Mata Hari, 1931

I divi, ben presto anche

maschili, sono figure che

restano essenzialmente

legate all’immagine, esaltata

sugli schermi dalle infinite

possibilità espressive

del primo piano ma rilanciata

dai giornali, dalla radio e da

tutti i media possibili: negli

anni ruggenti diventano

anche uno strumento di

propaganda dei miti

consumistici.

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Divi

Ne è un esempio Douglas

Fairbanks, attore mediocre

ma popolarissimo divo dei

film «cappa e spada». La

sua carica irresistibile di

vitalità e simpatia, incarna

perfettamente il mito

americano del dinamismo

come strumento di

successo e di

autoesaltazione.

Il ladro di Bagdad, 1924

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Divi

Per questo viene

scelto da una rivista

del settore come

titolare di una rubrica

in cui consiglia alla

gente comune come

vestirsi, cosa

mangiare, come

divertirsi e “costruirsi

una personalità”. La

star viene trasformata

in un esempio.

Don Q figlio di zorro, 1925

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“È probabile che in media la

conoscenza degli americani

sulla vita, gli amori, le nevrosi

dei semidei e dee che

vivono sulle alture olimpiche

di Beverly Hills superi di gran

lunga la conoscenza che

possiedono degli affari civili”

B. Rosemberg e D. Manning White,

Mass culture. The Popular Arts in

America, 1957

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Olive Thomas

La percezione dell’attore come

modello da imitare viene messa

in crisi da una serie di scandali

che, coinvolgendo alcune tra le

celebrità più amate, feriscono il

pubblico e alimentano l’ostilità

dei critici e dei benpensanti

verso l’industria del cinema. Nel

1920 il «suicidio» a Parigi di

Olive Thomas, “la ragazza

americana ideale”, spalanca

una finestra sui vizi e le

tossicodipendenze del mondo

dorato di Hollywood.

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Fatty Arbuckle

Nel settembre 1921 la giovane attrice Virginia

Rappe muore dopo la partecipazione a una

festa a base di alcol e stupefacenti. Destano

molto scalpore le accuse di omicidio e tentato

stupro al «padrone di casa», il popolarissimo

comico Roscoe Fatty Arbuckle.

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Pickfordmania

Anche il divorzio di Mary

Pickford e Douglas

Fairbanks, la coppia

apparentemente perfetta

del cinema, suscita

reazioni negative nel

pubblico e spezza la

Doug and Mary mania,

mentre le nuove nozze

della Pickford indignano

le famiglie borghesi.

Hollywood diventa agli

occhi della buona società

il «regno del male».

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“I fans adoravano ma erano

volubili, e se le loro divinità

mostravano di avere i piedi di

argilla le abbattevano senza

pietà. Tanto, a un passo

dallo schermo, c’era sempre

una nuova stella in attesa di

sorgere”

Kenneth Anger, Hollywood Babilonia,

Adelphi, Milano 1979

Jimmy DeSana, Kenneth Anger Portrait, 1980

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Louise Brooks

Un volto significativo

degli anni Venti è certo

quello di Mary Louise

Brooks (1906-1985),

ballerina, show-girl e

attrice american che

deve però la sua fama

al cinema tedesco di

Georg Wilhelm Pebst.

La sua immagine

elegante e sensuale ha

ispirato il fumettista

Guido Crepax per il più

famoso dei suoi

personaggi: Valentina.

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La Brooks interpreta

per Pabst due film.

Nel primo, Il vaso di

Pandora (1929) è

l’ex fioraia Lulù,

stella ambiziosa e

dissoluta del varietà

che fugge da un

mondo di intrighi e

miserie solo per

incappare in Jack lo

Squartatore, che le

pianta un pugnale

nel ventre.

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Nel successivo Diario di una donna perduta (1929) la Brooks è la

giovane Maria, violentata e rinchiusa in una casa di correzione, da

cui fugge per diventare l’attrazione di un bordello. Fatta fortuna e

tornata nell’istituto come dama di carità, si prende la sua rivincita.

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Louise Brooks

«Louise è la perfetta

apparizione, la donna dei sogni,

l’essere senza cui il cinema

sarebbe povera cosa. È più che

un mito, è una presenza

magica, un’illusione reale, il

magnetismo del cinema».

Ado Kyrou

«Ma quale Dietrich, ma quale

Garbo, c’è solo Louise Brooks!».

Henri Langlois

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Louise Brooks

Poi fui mandata a fare film a Hollywood nel 1927: nessuno

sapeva capire perché io odiassi tanto quel terribile posto

distruttivo che a tutti gli altri sembrava un paradiso meraviglioso.

“Che ti succede, Louise? Tu hai tutto! Cos’è che vuoi?”

Lulu In Berlin (BBC, 1984) di Richard Leacock and Susan Woll.

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Louise Brooks

Louise Brooks in una lettera a Crepax del 1976

Per me tutto questo era come un sogno terribile che faccio - sono

perduta tra i corridoi di un grande albergo e non riesco a trovare

la mia stanza: La gente mi passa davanti come se non potesse

vedermi né udirmi. Così dapprima fuggii da Hollywood e da allora

sono sempre fuggita. Ed ora, a 69 anni, ho messo da parte la

speranza di trovare me stessa. La mia vita è stata niente.

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I personaggi «tedeschi» di Louise Brooks, che in patria era una

flapper sbarazzina e sensuale, rappresentano la dissoluzione

dell’arrangiamento vamp della femme fatale. La sua Lulù è una

donna sensuale e irresistibile, ma che non trae nessun frutto

dalla sua bulimica e sfortunata abilità nello scatenare le passioni.

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È la donna innocente, senza grande colpa ma anche senza

progetto e volontà, che, proprio come Pandora, è la fonte di mali

e disastri che nessuno poi sa controllare. Anche il suo destino

pertanto non può essere favorevole: la restaurazione morale ha

compassione della sua innocenza ma non può perdonarla. La

vamp, dissoluta suo malgrado, è letale ma infelice e non può

sopravvivere.

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La generazione

successiva delle grandi

seduttrici conserverà

pertanto un pizzico di

mistero, ma l’opera di

addomesticamento della

donna «liberata» sostituirà

il carattere torbido della

minacciosa vampira con

una più moderna

spregiudicatezza e un velo

di charme.

Carole Lombard

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Il divo assume un ruolo sostanzialmente diverso da quello del

semplice attore. Mentre questi può recitare molte parti diverse,

mantenendo la sua identità di professionista e di interprete, il

divo si propone come un “prodotto” legato alla propria

immagine, s’impasta essenzialmente coi caratteri del

personaggio che quindi è costretto a ripetere sempre entro un

medesimo modello vincente.

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Louise Brooks

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Louise Brooks

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Esibizione al Museo Guimet di Parigi, 13 marzo 1905