L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità...
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POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Ingegneria dei Sistemi
Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale
L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE
DELLA COMPLESSITÀ NELLE PMI: RILEVAZIONE DELLE
DETERMINANTI, DEFINIZIONE DI UN MODELLO DI
SINTESI E APPLICAZIONE A CASI REALI
Relatore: Prof. Giampio Bracchi
Correlatori: Prof. Paolo Locatelli
Prof. Fabrizio Amarilli
Tesi di laurea di:
Edoardo Messinese matricola n. 754817 Gabriele Villa matricola n. 765159
Anno Accademico 2010/2011
II
Eccoci arrivati a scrivere le ultime righe di questa tesi nei nostri ultimi giorni da
universitari; guardandoci alle spalle non possiamo che ricordare tutte le persone che
ci hanno accompagnato e sostenuto in questi lunghi anni. Come possiamo dimenticare
le ore passate nei corridoi di BL27, tra pause studio che interrompevano interminabili
pause caffè e grandi serate trascorse con i nostri compagni! Una menzione speciale a
Veronica e Fabrizia, con cui abbiamo condiviso gioie e dolori di queste esperienze.
Un ringraziamento ai Proff. Fabrizio Amarilli, Stefano Mainetti e Paolo Locatelli
per la loro disponibilità che ci ha consentito di svolgere questo lavoro di tesi;
all’Ing. Alberto Spreafico, a tutto lo staff e ai tesisti di Innovazione Digitale, per i
preziosi consigli e la simpatia con cui hanno rallegrato le nostre ore di lavoro (e non).
Ma il più grande ringraziamento lo rivolgiamo a Francesca ;
che è riuscita nella non facile impresa di sopportarci e guidarci con pazienza,
competenza e personalità attraverso tutti questi mesi di lavoro.
E &G
Che dire.. 5 anni bellissimi e pieni di
emozioni, resi possibili dalle persone
che mi sono state vicine e con le quali
ho condiviso momenti indimenticabili!
In primis i miei genitori, Tiziana e Raul,
che con costanza e amore hanno
saputo guidarmi in questo lungo percor-
so di laurea. Ai miei famigliari un rin-
graziamento per il supporto e l'affetto
dimostrato in questi anni, in partico-
lare a Nonna Anna, che ha creduto
fortemente in me, fin dal giorno della
mia nascita.
Ad Anna, colei che ha condiviso con me
tutti questi anni accademici, senza la
quale ora non sarei qui a scrivere
queste brevi parole di ringraziamento,
per l’amore e il sostegno ricevuto.
Agli amici veri, tra i quali non posso
dimenticare l'Ing. Teo, soprattutto per
gli anni trascorsi insieme alla triennale
e Clody, Lele, Albi, Pato, Fede, Grana e
Piruz, amici storici e/o compagni di
calcio nella New Team.
E infine a quel pazzo del mio compagno
di tesi qui a destra (bella Gabri!), che
senza di lui non sarei mai riuscito a
compiere questa impresa stoica!
Edo
Ora che siamo giunti ai ringraziamenti
mi accorgo che servirebbero ulteriori
200 pagine per dare il giusto spazio
alle persone che mi sono state vicine
lungo questo percorso. Tengo, in modo
particolare, a ringraziare Ale, i predoni
e i “reduci” del Niguarda, perché si
sono sempre dimostrati amici sinceri e
rappresentano una certezza per il mio
presente e il mio futuro.
Grazie a Lidia, che mi è sempre stata
vicina anche quando la distanza lo
rendeva difficile e ovviamente a Edo,
con cui ho condiviso perfino notti
insonni per concludere questa tesi; la
sua compagnia ha fatto si che ciò non
fosse mai un peso.
Non è impresa semplice trovare le
parole per esprimere la riconoscenza
che provo verso la mia famiglia per
l’opportunità che mi ha regalato, quella
di poter scegliere il mio percorso
avendo sempre il supporto necessario e
spesso molto di più. A loro dedico il
seguente lavoro e il raggiungimento di
questo traguardo.
Gabri
III
INDICE
INTRODUZIONE .................................................................................................................... 2
Capitolo 1 .................................................................................................................................. 5
Piccole e medie imprese in Italia ............................................................................................. 5
1.1 Definizione di PMI e contesto italiano ........................................................................ 6
1.1.1 Caratteristiche delle PMI e peculiarità organizzative .......................................... 8
1.1.2 Gruppi di PMI .................................................................................................... 11
1.2 Il mercato manifatturiero italiano .............................................................................. 14
1.3 Il posizionamento competitivo delle PMI italiane ..................................................... 17
1.4 Strategie per mantenere la competitività ................................................................... 19
1.4.1 La differenziazione ............................................................................................. 20
1.4.2 I distretti industriali e le reti d’imprese .............................................................. 21
1.4.3 Internazionalizzazione ........................................................................................ 22
Capitolo 2 ................................................................................................................................ 24
ICT nelle PMI italiane ........................................................................................................... 24
2.1 La situazione dell’ICT in Italia .................................................................................. 25
2.2 La predisposizione all’innovazione ICT .................................................................... 27
2.3 Modello dell’allineamento strategico (MIT) ............................................................. 30
2.3.1 Strategic fit ......................................................................................................... 32
2.3.2 Integrazione funzionale ...................................................................................... 32
2.3.3 Le prospettive dello Strategic alignment ............................................................ 33
2.4 Modello di rilevazione della Maturità ICT di un’impresa ......................................... 35
2.4.1 La Maturità applicativa ...................................................................................... 36
2.4.2 La Maturità infrastrutturale ................................................................................ 37
2.4.3 La maturità ICT: una visione d’insieme ............................................................. 39
2.5 Considerazioni di sintesi sui modelli consultati ........................................................ 40
2.6 L’ICT è ancora una risorsa strategica? ...................................................................... 41
IV
Capitolo 3 ................................................................................................................................ 43
I Sistemi Informativi aziendali .............................................................................................. 43
3.1 Il percorso evolutivo dell’ICT ................................................................................... 44
3.2 Mappatura dei SI aziendali ........................................................................................ 56
3.2.1 Introduzione: gli Enterprise Systems ................................................................. 59
3.2.2 La segmentazione degli Enterprise Systems ...................................................... 62
3.2.3 Il portafoglio applicativo delle imprese manifatturiere ...................................... 65
3.3 I sistemi gestionali: gli ERP ...................................................................................... 70
3.3.1 Definizione dei requisiti ..................................................................................... 80
3.4 I sistemi a supporto del business: l’extended ERP .................................................... 92
3.5 I trend attuali dei Sistemi Informativi ........................................................................ 96
3.5.1 I trend in atto dei sistemi gestionali ................................................................... 96
3.5.2 Enterprise 2.0 ..................................................................................................... 99
3.5.3 Cloud Computing e Software as a Service ....................................................... 101
Capitolo 4 .............................................................................................................................. 104
Il modello: ICT per gestire la complessità ......................................................................... 104
4.1 Principi guida per la strutturazione del modello ...................................................... 105
4.2 Sintesi concettuale del modello proposto ................................................................ 106
4.2.1 Obiettivi del modello ........................................................................................ 106
4.2.2 Metodologia d’analisi ....................................................................................... 106
4.2.3 Struttura del modello ........................................................................................ 107
4.3 Descrizione di dettaglio del modello ....................................................................... 108
4.3.1 Complessità organizzativa ................................................................................ 108
4.3.2 Complessità del Business ................................................................................. 116
4.3.3 Livello di governo delle ICT ............................................................................ 123
4.4 Limiti e opportunità di evoluzione .......................................................................... 131
V
Capitolo 5 .............................................................................................................................. 134
Il caso di studio del Gruppo F – B ...................................................................................... 134
5.1 Descrizione del Gruppo F – B ................................................................................. 135
5.1.1 Le caratteristiche dell’azienda F ...................................................................... 135
5.1.2 Le caratteristiche dell’azienda B ...................................................................... 136
5.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi ................................................. 137
5.1.4 Assessment sistema informativo ...................................................................... 139
5.2 Applicazione del modello ........................................................................................ 142
5.2.1 Complessità organizzativa F – B ...................................................................... 143
5.2.2 Complessità del Business F – B ....................................................................... 148
5.2.3 Livello di governo delle ICT F – B .................................................................. 157
5.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo F – B ............................... 163
Capitolo 6 .............................................................................................................................. 167
Il caso di studio del Gruppo M-I ......................................................................................... 167
6.1 Descrizione del Gruppo M-I .................................................................................... 168
6.1.1 Le caratteristiche dell’azienda M ..................................................................... 168
6.1.2 Le caratteristiche dell’azienda I ....................................................................... 169
6.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi ................................................. 170
6.1.4 Assessment sistema informativo ...................................................................... 172
6.2 Applicazione del modello ........................................................................................ 174
6.2.1 Complessità organizzativa ................................................................................ 175
6.2.2 Complessità del business M – I ........................................................................ 180
6.2.3 Livello di governo delle ICT M – I .................................................................. 189
6.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo M – I ............................... 195
CONCLUSIONI ................................................................................................................... 199
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................. 206
VI
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1 - Numero medio di addetti delle imprese (ISTAT, 2010) ............................................ 7
Figura 2 - Addetti per settore di attività e dimensione delle imprese Ue (ISTAT, 2010) .......... 8
Figura 3 - Gruppi (a) e addetti (b) per classe di addetti (ISTAT, 2011) .................................. 13
Figura 4 - Valore delle esportazioni italiane dal 2000 al 2005 (Quinteri, 2007) ..................... 16
Figura 5 - Classificazione delle PMI (Balocco, 2009) ............................................................. 18
Figura 6 - Il mercato dell'IT in Italia per semestre (Assinform, 2011) .................................... 25
Figura 7 - La dinamica del mercato Software per componenti (Assinform 2011) .................. 26
Figura 8 - L'evoluzione del ruolo dell'ICT nelle organizzazioni (Flacco, 2005) ..................... 27
Figura 9 - La predisposizione all'innovazione ICT, i diversi archetipi di PMI (Balocco, 2009)
.................................................................................................................................................. 29
Figura 10 - L’allineamento strategico tra business e IT (Boccardelli, 2007) ........................... 31
Figura 11 - Matrice di classificazione del patrimonio applicativo (Osservatorio ICT& PMI,
2009) ......................................................................................................................................... 37
Figura 12 - La maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009) .............................. 38
Figura 13 - Classificazione della Maturità ICT (Osservatorio ICT & PMI, 2009) .................. 39
Figura 14 - Rielaborazione del modello “Three S-shaped learning curves” (Nolan e Croson,
1995) ......................................................................................................................................... 45
Figura 15 - Modello dei Sistemi Informativi (Bracchi, Francalanci, Motta, 2005) ................. 49
Figura 16 - Organizzazione aziendale e attività tipiche di una impresa manifatturiera (Porter,
1985) ......................................................................................................................................... 50
Figura 17 - Piramide di Anthony e SI (Anthony, 1965) ........................................................... 51
Figura 18 - Interazione tra i SI Operativi e quelli Direzionali (Ficagna, 2006) ....................... 52
Figura 19 - Interazione tra i vari livelli aziendali (Ficagna, 2006) .......................................... 53
Figura 20 - Esempio diagramma delle attività ......................................................................... 54
Figura 21 - Esempio di una architettura a spaghetti (Storr, 2007) ........................................... 57
Figura 22 - Architettura di riferimento di una SOA (Mainetti, 2010)...................................... 58
Figura 23 - Tipologie di Information Systems (Ficagna, 2006) ............................................... 60
Figura 24 - Moduli ES (Ficagna, 2006) ................................................................................... 61
Figura 25 - Copertura e confronto di ES (Ficagna, 2006) ........................................................ 62
Figura 26 - Modello del Portafoglio Applicativo (Ficagna, 2006) .......................................... 63
Figura 27 - Modello SCOR (Bracchi, 2010) ............................................................................ 64
Figura 28 - Schema orientativo di una distinta base di prodotto (Martawirya, 2008) ............. 68
Figura 29 - Computer Integrated Manufacturing (CIM) (Waldner, 1992) .............................. 69
Figura 30 - La mappa della suite ERP (Bracchi, 2010) ........................................................... 71
Figura 31 - ERP e trasformazione dell'impresa (Ficagna, 2007) ............................................. 78
Figura 32 - Dai processi al sistema in esercizio ....................................................................... 79
Figura 33 - Evoluzione del sistema informativo (Ficagna, 2007) ............................................ 80
VII
Figura 34 - Individuazione della soluzione .............................................................................. 81
Figura 35 - Imprese che utilizzano le diverse tipologie di sistemi gestionali (Osservatorio
ICT&PMI, 2010) ...................................................................................................................... 83
Figura 36 - Il raggruppamento dei vendor di ERP (Neely, B., 2011) ...................................... 84
Figura 37 - Quote di mercato degli ERP (grafico da rifare con le QM 2009, 2008 e 2006) .... 85
Figura 38 - Tasso di selezione rispetto al fatturato dei clienti (Neely, B., 2011) ..................... 85
Figura 39 - Scomposizione del fatturato del Tier I rispetto ai settori (Neely, B., 2011) .......... 86
Figura 40 - Quote di mercato totali per settore (Neely, B., 2011) ........................................... 87
Figura 41 - Tempi medi di implementazione di un ERP (Neely, B., 2011) ............................. 87
Figura 42 - Durata media pianificata vs. effettiva (Neely, B., 2011) ....................................... 88
Figura 43 - Costo medio di un progetto ERP (Neely, B., 2011) .............................................. 88
Figura 44 - Cause di extra budget (Neely, B., 2011) ............................................................... 89
Figura 45 - Livello medio di customizzazione richiesto (Kimberling, 2011) .......................... 89
Figura 46 - Magic Quadrant for ERP for Product-Centric Midmarket Companies (Gartner,
2010) ......................................................................................................................................... 91
Figura 47 - Frammentazione della catena del valore tradizionale (Faini, 2011) ...................... 92
Figura 48 - Hype Cycle degli ERP (Gartner, 2011) ................................................................. 97
Figura 49 - I benefici e il livello di maturità degli strumenti 2.0 (Corso, 2010) .................... 100
Figura 50 - Imprese interessate ad adottare in futuro la soluzione in modalità “as a Service”
(Balocco, 2010) ...................................................................................................................... 103
Figura 51 - Matrice di sintesi del modello ............................................................................. 107
Figura 52 - Macrostruttura ..................................................................................................... 110
Figura 53 - Microstruttura ...................................................................................................... 112
Figura 54 - Matrice Information intensity, livello di complessità per il fattore: Scambi
informativi .............................................................................................................................. 113
Figura 55 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Gruppo .................................... 114
Figura 56 - Spirale della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1995) ......................................... 115
Figura 57 - Conoscenza dei processi ...................................................................................... 116
Figura 58 - Robustezza del business ...................................................................................... 118
Figura 59 - Driver per l’identificazione della criticità dei mercati serviti ............................. 119
Figura 60 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Internazionalizzazione ............ 120
Figura 61 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Portafoglio prodotti ................ 121
Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi .......... 123
Figura 63 - Matrice della Maturità applicativa (Osservatorio ICT & PMI, 2009) ................. 125
Figura 64 - Associazione: Maturità applicativa / livello di complessità gestibile................. 125
Figura 65 - Matrice della Maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)........... 126
Figura 66 - Associazione Maturità infrastrutturale / livello di complessità gestibile ........... 127
Figura 67- Curva di Gartner, pesi delle classi di tecnologie e legenda dell'indicatore k
(Gartner, 2010) ....................................................................................................................... 129
VIII
Figura 68 - Modalità di valutazione per il fattore: Rilevanza strategica delle ICT(rielaborato
da Boccardelli, 2007) ............................................................................................................. 130
Figura 69 - Alignment IT and business - Forrester research (Castelli, 2010) ........................ 130
Figura 70 - Associazione profili di competenza ICT / livello di governo delle ICT ............. 131
Figura 71 - Andamento di F negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............ 136
Figura 72 - Andamento di B negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............ 137
Figura 73 - Catena del valore di F .......................................................................................... 138
Figura 74 - Catena del valore di B ......................................................................................... 139
Figura 75 - Mappa delle applicazioni Gruppo F – B .............................................................. 140
Figura 76 - Complessità organizzativa, risultati complessivi F e B ....................................... 143
Figura 77 - Matrice di complessità della Macrostruttura, posizionamenti di F e B .............. 144
Figura 78 - Matrice di Microstruttura, posizionamenti di F e B ............................................ 145
Figura 79 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento di F e B ............................... 146
Figura 80 - Matrice Gruppo, posizionamento F e B .............................................................. 147
Figura 81 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamenti di F e B ....................... 148
Figura 82 - Complessità del business, risultati complessivi F e B ......................................... 149
Figura 83 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifattura
e costruzioni (Ateco, 2011) .................................................................................................... 150
Figura 84 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di
pagamento (Ateco 29) (Ateco, 2011) ..................................................................................... 151
Figura 85 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura
e costruzioni (Ateco, 2011) .................................................................................................... 152
Figura 86 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di
pagamento (Ateco 28) ............................................................................................................ 153
Figura 87 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di F e B ............................ 154
Figura 88 - Matrice di Internazionalizzazione, posizionamento di Fave e B ......................... 155
Figura 89 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento F e B .................................... 156
Figura 90 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento di F e B .......................... 157
Figura 91 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di F e B ............................... 158
Figura 92 - La Maturità applicativa del Gruppo F - B .......................................................... 159
Figura 93 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo F – B .................................................... 159
Figura 94 - Matrice Rilevanza strategica delle ICT, posizionamento di F e B (rielaborato da
Boccardelli, 2007) .................................................................................................................. 162
Figura 95 - Competenze ICT del Gruppo F - B ...................................................................... 163
Figura 96 - Allineamento tra la Complessità gestionale ed il Livello ICT gestionale ........... 164
Figura 97 - Andamento di M negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ........... 168
Figura 98 - Andamento di I negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............. 170
Figura 99 - Catena del valore del Gruppo M-I ....................................................................... 171
Figura 100 - Mappa applicativa del Gruppo M-I ................................................................... 172
IX
Figura 101 - Complessità organizzativa, risultati complessivi M-I ....................................... 175
Figura 102 - Matrice della Macrostruttura, posizionamento di M e I ................................... 176
Figura 103 - Matrice della Microstruttura, posizionamento M e I ........................................ 177
Figura 104 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento M e I ................................. 178
Figura 105 - Matrice del Gruppo, posizionamento M e I ...................................................... 179
Figura 106 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamento M e I ........................ 180
Figura 107 - Complessità del business, risultati complessivi M e I ....................................... 181
Figura 108 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale
manifatturiera e costruzioni (Ateco, 2011) ............................................................................ 182
Figura 109 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà
di pagamento (Ateco 29) (Ateco, 2011) ................................................................................. 183
Figura 110 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale
manifattura e costruzioni ........................................................................................................ 184
Figura 111 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà
di pagamento (Ateco 28) (Ateco, 2011) ................................................................................. 185
Figura 112 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di M e I .......................... 186
Figura 113 - Matrice d’Internazionalizzazione dei processi, posizionamento M e I ............. 187
Figura 114 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento M e I .................................. 188
Figura 115 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento M e I ............................ 189
Figura 116 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di M-I ............................... 190
Figura 117 - Maturità applicativa del Gruppo M-I ................................................................ 191
Figura 118 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo M-I ..................................................... 192
Figura 119 - Rilevanza strategica delle ICT in M-I (rielaborato da Boccardelli, 2007) ....... 194
Figura 120 - Competenze ICT in M-I ..................................................................................... 195
Figura 121 - Allineamento tra la complessità gestionale e la capacità del Gruppo di gestire la
complessità attraverso la governance delle ICT ..................................................................... 197
Figura 122 - Sintesi del modello, posizionamenti dei gruppi analizzati ................................ 202
Figura 123 - Livello di governo delle ICT, posizionamento dei due gruppi analizzati ......... 203
X
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1 - Valutazione delle performance delle soluzioni di allineamento adottate (Henderson
e Venkatraman, 1999) .............................................................................................................. 35
Tabella 2 - La griglia del portafoglio applicativo di una tipica azienda manifatturiera (Bracchi,
2005) ......................................................................................................................................... 66
Tabella 3 - Dettaglio dei fattori dell’area organizzativa......................................................... 109
Tabella 4 - Dettaglio dei fattori dell’area del business ........................................................... 117
Tabella 5 - Esempio CSF (Bracchi, 2005) ............................................................................. 122
Tabella 6 - Dettaglio dei fattori dell’area di governo delle ICT ............................................. 124
Tabella 7 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo F - B ..................................... 141
Tabella 8 - Livello di Innovazione consapevole di F e B ....................................................... 161
Tabella 9 - Sintesi analitica del modello ................................................................................ 163
Tabella 10 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo M-I ..................................... 173
Tabella 11 - Livello di Innovazione consapevole di M e I ..................................................... 193
Tabella 12 -Sintesi analitica del modello ............................................................................... 196
1
ABSTRACT
Il presente lavoro si occupa del ruolo che l’ICT può assumere a supporto delle Piccole e
Medie Imprese (PMI) in termini di leva strategica per gestire la complessità.
Le PMI sono d’importanza fondamentale per l’Italia, essendo il 99,9% delle imprese e
rappresentando il 71,3% del valore aggiunto totale1. Questa forma d’impresa sta soffrendo
negli ultimi anni un ridimensionamento del proprio business, per l’aumento di competitività
del mercato internazionale, maggiori costi per unità di prodotto e carenza di innovazione. A
ciò si contrappongono alcune peculiarità di contesto quali la frammentazione territoriale,
ridotta spesa in R&S e il prevalere di modelli “chiusi” come quello “familiare”, che rendono
tale contesto estremamente complesso e difficile2.
Da queste problematiche si sviluppa un bisogno crescente di utilizzare le ICT come leva
strategica per la gestione di tale complessità, ad esempio con l’adozione di suite che
permettano l’ottimizzazione delle risorse critiche e una maggiore efficacia nei processi
decisionali. Inoltre, è sempre più sentita la necessità di contenere i costi e assorbire più
tempestivamente la volatilità del mercato, intravedendo nell’ICT “as a Service” una possibile
soluzione.
L’obiettivo di questa tesi è quello di comprendere e rilevare, attraverso l’elaborazione di un
modello, l’adeguatezza del livello di governo delle tecnologie ICT rispetto alla complessità
gestionale di un’impresa, con particolare attenzione alle PMI e ai gruppi di PMI.
Per determinare il livello di governo sono stati identificati fattori quali il patrimonio
applicativo e infrastrutturale, il ruolo e le competenze della direzione IT, il livello
d’innovazione e la rilevanza strategica dell’ICT. La complessità è invece identificata
analizzando l’organizzazione, in termini di complessità interna, e il business in cui l’impresa
opera, ovvero la complessità esterna.
L’applicazione del modello a casi reali, oltre a permettere una prima validazione di
applicabilità del modello, fa emergere un livello di governo delle ICT non adeguato ed
evidenzia le potenziali aree di intervento.
1 Wymenga, Spanikova, Derbyshire, 2011
2 Musso, 2010
2
INTRODUZIONE
Obiettivo della presente tesi è comprendere se e come l’Information & Communication
Technology (ICT) possa essere un’importante leva strategica per le PMI italiane predisporre
uno strumento di supporto alle decisioni che possa essere utilizzato da chi, all’interno di
queste imprese, è chiamato a decidere in materia tecnologica per promuovere il cosiddetto
“allineamento al business”.
In particolare l’attenzione del lavoro è stata posta sui gruppi di Piccole e Medie Imprese
(PMI) appartenenti al settore manifatturiero. Questa tipologia d’impresa, dopo un periodo
relativamente ampio di crescita caratterizzato dal fiorire dei cosiddetti distretti industriali, sta
soffrendo negli ultimi anni un ridimensionamento del proprio business, dovuto principalmente
all’aumento di competitività del mercato, ai maggiori costi per unità di prodotto ed alla
carenza di innovazione. Le grandi aziende, che si sono affermate negli ultimi dieci anni,
hanno ormai compreso quali siano i vantaggi di un adeguato governo delle ICT e sono in
grado, almeno per quanto riguarda le imprese più innovative, di sfruttare le nuove tecnologie
come leva strategica. Il dibattito aperto da anni nella letteratura strategica internazionale
evidenzia chiaramente il ruolo delle ICT a supporto del posizionamento competitivo di
un’impresa come fonte di vantaggio competitivo3. Tuttavia, le tecnologie ICT a supporto del
business e dei processi industriali possono rappresentare una leva di differenziazione
strategica anche per le PMI, poiché l’offerta da parte del mercato è sempre più aderente alle
necessità delle piccole e medie imprese.
A causa anche della recente crisi economica, molte aziende si sono dovute riorganizzare non
solo dal punto di vista delle attività correnti. Le più reattive hanno approfittato di tale
cambiamento per rivedere e innovare il proprio parco applicativo e infrastrutturale, sempre
più obsoleto e, di conseguenza, inadatto alle nuove esigenze in termini di completezza
funzionale, stabilità e performance. Queste esigenze sono sempre più in aumento anche a
causa della crescente necessità di integrarsi con molteplici partner esterni e gestire una
maggior intensità informativa, sia di processo che di prodotto.
I player del mercato dell’ICT hanno peraltro compreso queste necessità delle PMI e, sulla
base dell’esperienza accumulata negli anni con i grandi clienti, sono in grado oggi di proporre
una adeguata offerta di soluzioni flessibili e scalabili, contenendo i costi di investimento e
incrementando la produttività delle imprese di dimensioni inferiori.
3 Porter, 2001
3
L’attuale offerta tecnologica e la maggior sensibilità ai temi dell’ICT da parte delle Direzioni
più evolute sono presupposti che, negli ultimi anni, si stanno affermando in maniera più
concreta nel tessuto delle PMI. Affinché l’ICT possa realmente rappresentare una leva
strategica è necessario che le PMI abbiano una chiara fotografia della propria situazione
organizzativa e di business, per poter individuare in maniera mirata quali siano le strategie e
le tecnologie ICT effettivamente adatte alla loro particolare configurazione.
Compresa la situazione in cui gravano le piccole e medie imprese italiane, l’obiettivo di
questo lavoro è elaborare un modello in grado di rilevare l’adeguatezza del livello di governo
delle ICT e degli strumenti ICT rispetto alla complessità gestionale di una PMI o di un gruppo
di PMI, complessità da interpretare come risultato delle esigenze organizzative e del business,
e quindi in termini di complessità interna ed esterna.
Il primo passo nella stesura del modello è stato quello di identificare i fattori che influenzano
tali dimensioni di complessità. L’analisi della letteratura ha permesso di identificare un
insieme di determinanti che descrivono il fenomeno delle PMI italiane sia dal punto di vista
organizzativo che da quello del business. Successivamente sono stati identificati i fattori di
analisi che permettono di rilevare per una data organizzazione, il livello di governo delle ICT
di cui si è dotata, in termini di configurazione organizzativa, stato dell’arte del portafoglio
applicativo ed infrastrutturale.
Dalla fotografia di sintesi che il modello fornisce, emerge se l’impresa ha attualmente un
livello di governo delle ICT sufficiente a gestire la complessità rilevata e, qualora non sia
adeguato, mette in luce le potenziali aree di intervento sulle quali l’impresa deve intervenire,
per incrementare la propria capacità di gestire la complessità gestionale di cui è caratterizzata.
Infine il lavoro si propone di validare l’applicabilità del modello proposto su due casi reali di
gruppi di PMI. Entrambi sono attivi nel contesto manifatturiero, ma presentano livelli di
complessità organizzativa e del business differenti per le singole imprese costituenti il gruppo,
pur avendo un'unica struttura IT all’interno di ciascuna aggregazione. Una volta conclusa
l’analisi si identificheranno i possibili limiti del modello e le opportunità di evoluzione dello
stesso.
4
Struttura dei capitoli
Nel Capitolo 1 viene descritto il contesto competitivo e imprenditoriale in cui si trovano oggi
le PMI italiane del settore manifatturiero. Si analizza, inoltre, il fenomeno aggregativo delle
PMI e le strategie che permettono alle imprese in questione di mantenere la competitività.
Nel Capitolo 2 viene descritto lo stato dell’arte rispetto all’apporto che le ICT oggi possono
dare alle imprese, sia in termini di supporto operativo che in termini di supporto strategico. A
tal proposito nel capitolo si approfondirà il ruolo ricoperto dall’ICT nelle piccole e medie
imprese.
Nel Capitolo 3 viene fornita una fotografia rispetto all’attuale offerta tecnologica in termini di
strumenti, metodologie e applicazioni che l’ICT mette a disposizione delle imprese per il
supporto delle attività e dei processi aziendali.
Nel Capitolo 4 viene illustrata la proposta del modello frutto del presente lavoro di tesi, il cui
scopo è quello di mappare la capacità di una PMI (o di un gruppo di PMI) di gestire
configurazioni più o meno complesse attraverso le tecnologie dell’informazione presenti in
azienda.
Nel Capitolo 5 saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un primo
caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo F-B composto da due aziende: F che produce
impianti per pastifici secondo un modello di produzione su commessa (ETO) e B operante sul
mercato delle soluzioni per il clima in ambito residenziale e industriale, con logiche di
produzione a catalogo (MTS).
Nel Capitolo 6 verranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un
secondo caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo M-I, composto da M, impresa
rivenditrice di motori Diesel per impieghi industriali e stazionari, e da I che si occupa di
produrre impianti per la produzione di energia e parcheggi automatizzati. Anche in questo
secondo caso di applicazione il modello di produzione è nel primo caso a catalogo (MTS)
mentre nel secondo è di produzione su commessa (ETO).
Le Conclusioni finali chiudono la trattazione di questa tesi e hanno l’obiettivo di sintetizzare i
risultati ottenuti, sia in ambito teorico che pratico, sottolineando i limiti e le possibilità
evolutive del modello.
5
1. Capitolo 1
1. Piccole e medie imprese in Italia
Questo capitolo ha l’obiettivo di descrivere il contesto competitivo e imprenditoriale in cui si
trovano oggi le PMI italiane del settore manifatturiero. Si andrà ad analizzare, in primo luogo,
il mercato manifatturiero italiano ed i suoi trend, per poi passare ad una descrizione delle
caratteristiche e delle criticità tipiche delle PMI nel nostro paese. Grazie a queste analisi, sarà
quindi possibile delineare le strategie che permettono alle imprese in questione di mantenere
competitività. Nel capitolo, verrà posta particolare attenzione ai gruppi di PMI, un fenomeno
in espansione che va considerato sia come soluzione ad alcune problematiche tipiche della
piccola e media impresa sia come importante elemento di complessità gestionale. Verrà,
inoltre, fornita una classificazione delle PMI italiane in base all’attrattività del business in cui
operano ed alla posizione competitiva in cui si trovano.
6
1.1 Definizione di PMI e contesto italiano
Prima di entrare nel dettaglio della situazione italiana è necessario definire cosa si intende per
Piccole e Medie Imprese (PMI). In passato vi era discordanza tra la definizione di PMI nei
diversi paesi europei; in Italia si è sempre considerata come PMI un’impresa con meno di 250
dipendenti, ma, ad esempio, in Germania il limite era fissato a 500, mentre in Belgio lo
spartiacque era fissato a soli 100 dipendenti. Per questo motivo è emersa la necessità di una
definizione a livello comunitario che permettesse di classificare le imprese in modo univoco.
Dal 2005, in tutta Europa, per PMI s’intendono tutte quelle imprese con meno di
duecentocinquanta dipendenti ed un fatturato inferiore a cinquanta milioni di euro4. La
definizione non è tuttavia globalmente condivisa; in USA, ad esempio, non vi è una
definizione univoca ma esistono limiti differenti da settore a settore e, per il settore
manifatturiero, il limite è fissato a 500 dipendenti.
Il numero di addetti per impresa rappresenta una misura di sintesi della grandezza media delle
realtà produttive di un sistema economico. Secondo molti esperti una ridotta dimensione
media d’impresa può costituire un freno alla competitività dell’intero sistema produttivo.
Secondo altri, invece, i vincoli dimensionali costituiscono un ostacolo solo se uniti ad altri
fattori di contesto, quali i freni alla concorrenza oppure la debolezza delle reti infrastrutturali.
Peraltro, il persistere sui mercati di un numero elevato di micro imprese (con meno di 10
addetti), pur abbassando la dimensione media dell’intero sistema produttivo, assegna a questo
segmento d’impresa un ruolo non trascurabile. È quello che accade in alcune economie
europee, compresa l’Italia, la cui dimensione media d’impresa, pari a circa 4 addetti, è
superiore solo a quella di Portogallo e Grecia (Figura 1).
4 Raccomandazione della Commissione, 2003/361/CE
7
Figura 1 - Numero medio di addetti delle imprese (ISTAT, 2010)
Questo dato appena presentato è una perfetta sintesi della realtà: al 30 giugno 2010, infatti,
erano attive in Italia 5.280.743 piccole e medie imprese5. La parte del leone la fa la
Lombardia (826.672 PMI registrate, pari al 15,7% del totale nazionale), seguita da Campania
(473.899), Lazio (459.710), Veneto (458.090), Emilia Romagna (429.206), Piemonte
(421.166) e Toscana (366.117). Secondo Piero Antonio Cinti, direttore generale Piccole e
medie imprese ed Enti Cooperativi del ministero dello Sviluppo economico, “Il dato di una
crescita di oltre mezzo punto percentuale, dopo un trimestre negativo, conferma che è in atto
l'uscita, lenta ma costante, dalla crisi dell'economia italiana”.
Le PMI ricoprono nel mercato italiano un ruolo fondamentale; basti pensare che le grandi
imprese, nel nostro paese, sono circa un millesimo delle imprese totali e coprono il 18%
dell’occupazione. In Figura 2 è rappresentata la posizione dell’Italia nel contesto europeo per
quanto riguarda gli addetti per settore di attività e dimensione delle imprese. I dati relativi al
2007 mostrano come, sia per i servizi sia, e soprattutto, per l’industria, la percentuale di
piccola e media impresa risulti dominante.
5Il Sole 24 Ore, 2010
8
Figura 2 - Addetti per settore di attività e dimensione delle imprese Ue (ISTAT, 2010)
1.1.1 Caratteristiche delle PMI e peculiarità organizzative
Le PMI iniziano ad assumere una grande rilevanza nel mercato italiano negli anni settanta e
ottanta. La grande industria vive in quel periodo un forte ridimensionamento dopo
l’esplosione degli anni cinquanta e, di conseguenza, le PMI trovano spazio per affermarsi e
consolidarsi. Le leve sulle quali si basa questa progressiva scalata nell’economia italiana sono
principalmente la diffusione dei distretti industriali, il “Made in Italy” e l’aumentare del peso
economico dei centri urbani medi rispetto alle grandi città.
Nel più recente passato, complice la crisi che sta colpendo l’economia internazionale, si è
assistito ad un grave ridimensionamento della posizione competitiva delle PMI. Vengono qui
sintetizzate per punti le cause che determinano questa situazione:
1. Frammentazione sul territorio (Nanismo d’impresa6): la frammentazione delle imprese
porta con sé difficoltà nel sostenere processi d’innovazione e d’internazionalizzazione.
Tali processi, nel mercato odierno, sono necessari per la sopravvivenza dell’impresa,
ma richiedono investimenti importanti che imprese di piccole dimensioni faticano a
sostenere. Per comprendere quantitativamente il problema, si pensi che l’Italia è il
6 Mocchi, 2008
9
quarto paese d’Europa per numero di imprese rispetto al numero di abitanti. Nel 2007
l’ISTAT 7 calcolava 66 imprese per mille abitanti (tre volte più della Germania) con
un numero medio di addetti pari a 4. Imprese di così piccole dimensioni, oltre ad avere
problemi di internazionalizzazione e innovazione, frammentano la filiera e
introducono numerose inefficienze nel coordinamento e nella gestione della stessa.
2. Bassa produttività: si è già parlato del problema di scarsa produttività delle imprese
italiane rispetto alle imprese estere. Le PMI italiane, oltre a dover scontare questa
caratteristica del sistema paese, presentano delle criticità che riducono ulteriormente la
produttività rispetto alle grandi imprese. Quest’ultime possono infatti contare sulle
economie di scala e sulla possibilità di effettuare investimenti maggiori,
incrementando così innovazione ed efficienza dei processi. Una possibile soluzione
potrebbe essere costituita dalla fortificazione dei distretti industriali finalizzati
all’aumento di efficienza, ma in questo momento il gap è ampio, soprattutto
considerando che le grandi imprese possono ora contare su principi organizzativi e
tecnologie evoluti, capaci di aumentare il grado di flessibilità, principale differenziale
delle imprese di piccole dimensioni. I fronti su cui le PMI possono competere si
stanno, dunque, ulteriormente assottigliando.
3. Investimenti e spesa R&S ridotti: in Italia gli investimenti in ricerca e sviluppo sono
tra i più bassi d’Europa. Rilevazioni statistiche relative al 2008 riportano investimenti
in R&S pari all’1,23% del PIL8 e previsioni di riduzione per il 2009 ed il 2010. Tale
dato è in netto contrasto con la tendenza europea. Nel 2002 il Consiglio Europeo ha,
infatti, indirizzato i paesi della OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) ad arrivare ad investire in R&S il 3% del PIL, mentre le medie
europee si aggirano intorno al 2%. Analizzando ulteriormente i dati si evince che, a
parità di dimensioni, le imprese italiane spendono in R&S come quelle europee; il
problema è dunque da ricercarsi nel fatto che le imprese italiane sono mediamente più
piccole e la spesa totale risulta dunque inferiore.
4. Nuovi concorrenti: localizzati in particolare in paesi in via di sviluppo dove il costo
della manodopera è notevolmente inferiore. La presenza di questi nuovi competitor
accresce la concorrenza nei mercati di riferimento, rendendo ancora più complessa la
ricerca di nuovi mercati.
5. Bassa percentuale di personale qualificato: le PMI italiane, specialmente nel settore
manifatturiero, operano su mercati a bassa redditività; come visto, la produttività di
un’impresa di piccole dimensioni è ridotta e ciò comporta che anche stipendi ed
7 ISTAT, Noi Italia, 2011
8 ISTAT, La ricerca e sviluppo in Italia, 2010
10
investimenti sulle risorse umane non possano essere elevati. Logica conseguenza è la
scarsa attrattività che queste imprese esercitano sul mercato del lavoro e la bassa
percentuale di personale qualificato che si riscontra nelle PMI.
6. Difficoltà di accesso al credito: l’accesso al credito per le PMI è uno dei problemi
fondamentali di questi periodo; rilevazioni statistiche9 evidenziano come, nel 2010,
un’impresa su due non abbia ottenuto i finanziamenti richiesti. Senza finanziamenti è
ovviamente impensabile avviare un processo d’innovazione che comporta alti
investimenti iniziali e benefici di medio lungo termine; il governo si è mosso e si sta
muovendo per risolvere questo problema (sono stati ad esempio aperti fondi di
garanzia statali) però si è ancora lontani da una soluzione. La criticità di questo
problema è ovviamente accresciuta dalla crisi economica e finanziaria di questo
periodo.
7. Crisi del modello delle imprese famigliari: lo scenario attuale richiede organizzazioni
e assetti societari più moderni e aperti. Il processo decisionale di un’impresa familiare,
che secondo il Cerif (Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia) rappresentano il
92% delle imprese italiane, si basa principalmente sull’intuito dell’imprenditore, che
seppur illuminante, risulta spesso privo di una programmazione strutturata e ben
definita a priori. La mancanza di formalizzazione e l’accentramento del potere
decisionale sono sempre stati considerati importanti elementi di flessibilità, che hanno
contribuito allo sviluppo di questa forma d’impresa. Allo stesso tempo, però,
un’eccessiva libertà d’azione, basata su un approccio di tipo “Shot-gun”10
, può
introdurre elementi di rigidità e criticità nel processo d’innovazione e sviluppo,
sfavorendo in particolar modo i cambiamenti nel business e nella successione
imprenditoriale11
. In questi anni, inoltre, è in corso un massiccio ricambio
generazionale, ovvero un passaggio di consegne tra gli imprenditori che hanno creato
e sviluppato le PMI negli anni ’70 e ’80 e chi si trova a dover garantire il
proseguimento dell’attività negli anni a venire. Nelle aziende famigliari, tipicamente,
il cambio di gestione avviene tra l’imprenditore ed i propri figli e ciò non sempre
garantisce all’azienda una guida adeguata. Questo modello d’impresa è, infatti,
caratterizzato da una leadership carismatica e competente; una successione ereditaria
offre una scelta limitata, per non dire obbligata, rendendo così difficoltosa la ricerca di
una distribuzione efficiente del potere. Solo il 25% delle imprese, infatti, sopravvive
alla seconda generazione d’imprenditori (il 15% alla terza)12
. Un’altra criticità nel
9 Ricci, 2011
10 Verganti, 2009
11Berardi, 2010
12 Bianchi, 2010
11
processo di successione è rappresentata dalla frammentazione della proprietà; se
l’imprenditore sceglie di spartire l’impresa tra i vari eredi si corre il rischio di ottenere
una proprietà frammentata che provoca la perdita di flessibilità e reattività,
caratteristiche fondamentali per le PMI di stampo imprenditoriale.
8. Utilizzo dell’ICT: l’ICT nelle PMI assume spesso un ruolo di modesta importanza.
Introdurre un’innovazione tecnologica rappresenta un investimento importante e, a
causa delle criticità del periodo corrente, poche imprese scelgono di intraprendere
questa strada. Il problema principale è di tipo culturale, ma va anche sottolineato il
fatto che spesso le ridotte dimensioni di un’impresa non permettono di sfruttare le
potenzialità delle tecnologie ICT in termini di efficienza. Un software gestionale, ad
esempio, rende più precisi ed efficienti i flussi informativi tanto più incisivamente
quanto più l’organismo a cui si applica è grande, complesso e sofisticato. Un ulteriore
ostacolo è rappresentato dalla profonda specializzazione e personalizzazione dei
processi delle imprese manifatturiere italiane; la mancanza di standardizzazione rende
complesso l’inserimento di software per gestire i processi. Come più volte ripetuto, la
flessibilità è uno dei più importanti fattori critici di successo di una PMI ed è
fondamentale che un utilizzo maggiore di tecnologie ICT non introduca rigidità nei
processi. Nel capitolo 3 verranno illustrate le principali tecnologie ICT per le PMI, al
fine di comprendere come il mercato dell’ICT risponde alle problematiche esposte.
9. La gestione della conoscenza: il problema è rappresentato dal fatto che, in molte
imprese, le conoscenze e le competenze non sono asset propri dell’impresa, ma
risiedono negli individui e costoro non hanno interesse nel trasferire e condividere
queste conoscenze perché esse li rendono indispensabili per l’impresa. Per il buon
funzionamento dei processi aziendali è tuttavia necessario che le competenze e le
conoscenze siano dominate dall’impresa e risiedano nei processi. Per questo motivo è
fondamentale che le imprese stimolino gli individui con grande esperienza e grande
know-how a condividerli, ampliando la visione di questi ultimi e incentivandoli sui
giusti driver.
Le peculiarità sopra elencate aiutano a comprendere quanto sia complesso il contesto in cui si
trovano attualmente le PMI italiane e quali siano le criticità che un’impresa deve essere in
grado di gestire per poter sopravvivere.
1.1.2 Gruppi di PMI
Per gruppo di impresa si intende una associazione di unità legali controllate da una unità
vertice; il Regolamento comunitario n. 696/1993 definisce il gruppo di impresa come
“un’associazione di imprese retta da legami di tipo finanziario e non”, avente “diversi centri
decisionali, in particolare per quel che concerne la politica della produzione, della vendita,
degli utili” e in grado di “unificare alcuni aspetti della gestione finanziaria e della fiscalità”. Il
12
gruppo si caratterizza come “l’entità economica che può effettuare scelte con particolare
riguardo alle unità alleate che lo compongono”13
.
Il Legislatore italiano non fornisce una definizione organica di Gruppo Aziendale, bensì
sviluppa l'argomento trattando il tema del controllo, definendo quindi cosa si intende per
società controllante, ovvero:
Le società che detengono in un'altra società la maggioranza dei voti dell'assemblea
ordinaria;
Le società che dispongono di voti sufficienti per esercitare l'influenza dominante
sempre in assemblea ordinaria;
Le società che controllano un'altra società per vincoli contrattuali.
Spesso si fa confusione tra il termine gruppo e holding. Un gruppo è un insieme di società con
a capo una holding finanziaria, che è una società essa stessa, con oggetto sociale l'assunzione
di partecipazioni. Esistono diverse classificazioni dei gruppi societari, le quali a loro volta
contengono diverse tipologie di gruppi, individuati da vari autori economisti e giuristi. Quelle
più comuni sono le seguenti:
Gruppo Finanziario: tipologia di gruppo nel quale i rapporti sviluppati tra le
consociate e la Holding sono di carattere meramente finanziario;
Gruppo Economico: gruppo nel quale i rapporti tra le diverse unità sono di tipo
economico-tecnico;
Gruppo Pubblico: gruppo caratterizzato dall'esercizio dell'attività di controllo,
gestione e pianificazione da parte di un soggetto pubblico (Stato o Ente Pubblico);
Gruppo Privato: gruppo caratterizzato dall'esercizio dell'attività di controllo, gestione
e pianificazione da parte di un soggetto di diritto privato;
Gruppo ad azionariato diffuso: gruppo nel quale il capitale della Holding è
caratterizzato da un numero elevato di azionisti, i quali detengono una percentuale
irrisoria. In questo modo essi non possono esercitare il controllo (tipico il caso delle
Public company).
Avendo compreso il significato di ciò che è classificabile come “Gruppo di imprese”, è
possibile analizzarne le caratteristiche tipiche di tale configurazione. L’attenzione verrà posta
sul contesto in esame, ovvero quello dei Gruppi di Piccole e Medie Imprese, evidenziando
13 ISTAT, I gruppi di impresa in Italia, Agosto 2011
13
benefici e fattori di complessità che questa struttura attribuisce all’organizzazione e alla
gestione di un’impresa.
Il fenomeno, infatti, è sempre più rilevante e lo dimostra l’incremento del 5% nella
formazione di nuovi gruppi d’imprese, rilevato dall’ISTAT tra il 2008 e il 2009. Nel 2009 i
gruppi di impresa in Italia sono oltre 80 mila, comprendono più di 183 mila imprese attive
residenti e occupano oltre 5,7 milioni di persone. Tuttavia gli addetti in essi coinvolti, sempre
nel 2009, sono lo 0,5% in meno rispetto al 2008, concentrato nelle classi di maggiori
dimensioni e riflette il calo di addetti del 2% rilevato per il totale delle imprese attive. I gruppi
coinvolgono circa un terzo degli occupati delle imprese attive di Asia (l’archivio statistico
delle imprese). Il peso dei gruppi (sempre in termini di occupati) sale al 55,8% se calcolato
rispetto alle sole società di capitali.
I gruppi di impresa presentano caratteristiche marcatamente polarizzate tra poche strutture di
grandi dimensioni con rilevante peso economico e molti gruppi di piccola e piccolissima
dimensione (Figura 3). Il 76% dei gruppi è composto da strutture molto semplici (1-2 imprese
attive); quelli con strutture più articolate (più di 10 imprese residenti), sono la minoranza, ma
rivestono un ruolo decisivo dal punto di vista occupazionale: ad esse afferiscono quasi due
milioni di addetti.
Figura 3 - Gruppi (a) e addetti (b) per classe di addetti (ISTAT, 2011)
I motivi per cui può nascere un gruppo sono di varia natura. Un’impresa può acquisire un
proprio fornitore o un proprio cliente integrando verticalmente lungo la filiera; in questo
modo l’impresa beneficerà di una riduzione dei costi di transazione ed il business potrà
risultare più efficiente e profittevole. Un’impresa può altresì decidere di utilizzare delle
competenze interne per diversificare il proprio business, facendo nascere imprese collegate
per prodotti e/o servizi differenti ma che, grazie agli asset (competenze, attrezzature, spazi,
accordi commerciali, etc.) presenti nell’impresa madre, godono di vantaggi competitivi
importanti che permettono di rendere il nuovo business profittevole. Come visto in
precedenza, l’internazionalizzazione è un tema ricorrente negli ultimi anni e un modo per
realizzare questo processo è quello di creare imprese collegate in altri paesi, andando così a
creare un gruppo di imprese di carattere internazionale. Un’altra possibilità è invece
14
rappresentata dalla creazioni di gruppi eterogenei; l’imprenditore può decidere di acquisire
altre aziende o iniziare nuove attività anche non inerenti all’attività originaria con il semplice
obiettivo di incrementare le fonti di profitto.
Indipendentemente dalle modalità di aggregazione, la complessità di un gruppo è superiore a
quella di una singola impresa ed il governo dei processi, così come quello dei sistemi ICT,
risulta più articolato. Allo stesso tempo però, una buona gestione dei processi ed un sistema
informativo ben costruito e mantenuto risulta un elemento fondamentale, in grado di
semplificare notevolmente la gestione, in particolare quella riguardante gli asset comuni. Un
buon governo dei processi, ovvero una visione d’insieme sui processi del gruppo permette,
infatti, di identificare le attività che possono essere svolte a livello centrale e le attività che
invece devono essere svolte da funzioni specializzate delle diverse imprese, evitando così, ove
possibile, lo sdoppiamento delle attività, a vantaggio dell’efficienza.
Anche sotto il profilo finanziario esistono notevoli vantaggi per i gruppi d’imprese; dal 2004,
infatti, è possibile redigere un bilancio consolidato fiscale permettendo così ai gruppi di avere
una tassazione sugli utili totali, compensando eventuali attività in perdita con attività in utile,
prima della tassazione. Un altro vantaggio caratteristico dei gruppi è la migliore posizione nei
confronti degli istituti di credito dovuta alla gestione comune dei flussi di cassa. Se l’aspetto
finanziario del gruppo è gestito a livello centrale, infatti, si potranno compiere compensazioni
in tempo reale con i flussi di cassa in ingresso e in uscita delle varie imprese, gestendo il
gruppo come un’entità unica e riducendo notevolmente il costo legato alla gestione
finanziaria.
Ai vantaggi finora elencati va aggiunta sicuramente la possibilità di sostenere investimenti
comuni. Si pensi ad un progetto di innovazione ICT: se la spesa viene ripartita su più imprese,
sarà possibile implementare progetti di maggior portata che altrimenti sarebbero fuori budget.
1.2 Il mercato manifatturiero italiano
Negli ultimi anni la competizione nel mercato manifatturiero italiano è notevolmente
aumentata; il motivo principale di questo aumento è da attribuirsi all’ingresso sul mercato di
competitori internazionali, in particolare provenienti dai paesi emergenti dell’Asia orientale
quali Cina, Vietnam, Tailandia, etc.
Il fattore che più di tutti ha favorito l’inserimento di queste imprese sul mercato è il basso
costo del lavoro e delle materie prime nei suddetti paesi. Una piccola o media impresa italiana
che vuole sopravvivere in un mercato di questo tipo deve quindi essere in grado di
15
riorganizzarsi e cambiare strategia dato che il divario tra i costi di produzione in paesi in via
di sviluppo e i costi di produzione in Italia è, attualmente, incolmabile. Anche rispetto ai
competitor europei, il settore manifatturiero italiano è in grave difficoltà; i dati diffusi
dall’Area Research & Intelligence di Monte dei Paschi di Siena14
evidenzia come, in Italia, tra
il 2000 e il 2008, il costo del lavoro sia aumentato del 20% lasciando la produttività
sostanzialmente invariata (+0,5%). Osservando, invece, i dati della Germania, si nota come a
fronte di un aumento dei salari di circa il 18%, la produttività sia aumentata del 10%
permettendo al paese di restare competitivo e addirittura di migliorare la propria quota di
esportazioni del 23%. Se si restringe il campo al mercato manifatturiero i dati sono ancora più
penalizzanti per l’Italia, che supera di gran lunga la media europea per quanto riguarda
l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto, arrivando ad un aumento del 40%. Dati
più confortanti arrivano dal centro studi di Confindustria il quale riporta un significativo
aumento della produttività nel 2010 (+6,8%) che solo in parte compensa il calo del biennio
2008/2009 (-8,2%).
Al fine di contenere i costi di produzione, una soluzione adottata è stata quella di
delocalizzare fasi del processo produttivo. La maggior parte delle imprese che ha intrapreso il
processo di delocalizzazione ha scelto il paese ospite per il minor costo della manodopera che
questo era in grado di offrire; un parte più limitata, invece, ha cercato di avvicinarsi alle
risorse produttive così da eliminare i costi di trasporto. Un importante ruolo è poi giocato dal
fenomeno aggregativo delle PMI. Per le PMI aggregarsi in gruppi, in distretti industriali o in
reti d’imprese significa, infatti, poter ridurre i costi e aumentare la produttività.
Ridurre i costi però, non è l’unica soluzione che le imprese manifatturiere italiane hanno per
sopravvivere; un’altra soluzione è, infatti, quella di cambiare i differenziali competitivi
spostando la leva dai differenziali di costo ai differenziali di attrattività. Molte aziende hanno
dunque puntato sulla produzione “Made in Italy” cercando di sfruttare la reputazione della
qualità dei prodotti italiani. I settori nei quali il “Made in Italy” gode di maggiore stima e
riconoscimento all’estero sono: tessile e abbigliamento, calzature, mobili e arredo, vetro e
ceramica, gioielleria. Questi prodotti si vanno a collocare in una fascia alta. Si tratta, infatti, di
prodotti caratterizzati da elevata qualità ed elevato valore unitario. I dati forniti dall’Eurostat
ed elaborati da Banca Intesa San Paolo15
(Figura 4) per quanto riguarda il periodo tra il 2000
ed il 2005 mostrano come la quota delle esportazioni italiane, rispetto a quelle europee, sia in
continua contrazione ma il valore medio unitario (VMU) dei prodotti esportati subisca il trend
opposto, lasciando approssimativamente invariato il valore totale delle esportazioni.
14 Area Research, Intelligence & Investor Relations Monte dei Paschi di Siena, 2010
15 Quintieri, 2007
16
Figura 4 - Valore delle esportazioni italiane dal 2000 al 2005 (Quinteri, 2007)
In un confronto statistico riportato dell’ISTAT16
relativo alle esportazioni dell’Italia tra il
2010 e il 2011, si trova la prova che il trend continua ad essere lo stesso. Nelle statistiche si
riporta, infatti, che nel 2011 le esportazioni sono aumentate in valore sebbene la quantità dei
beni esportati sia inferiore. Se si confrontano i dati delle esportazioni del 2000 e del 2009 si
scopre che l’Italia ha subito l’impatto della crisi e non è riuscita a mantenere la propria
posizione nelle esportazioni e, sul suolo europeo, ha perso quote anche in valore assoluto. In
campo Extra-Ue la quota è invece rimasta praticamente invariata, segno che il “Made in Italy”
ha più appeal al di fuori del nostro continente.
Il “Made in Italy” è però una soluzione esclusivamente italiana e non applicabile a tutti gli
ambiti del settore manifatturiero. Per le imprese dei paesi industrializzati la via principale è
rappresentata da una nuova concezione del settore manifatturiero, un settore manifatturiero
competitivo e sostenibile in senso sociale, economico e ambientale. Le persone sono sempre
più sensibili a questi temi e spesso sono disposte a pagare un prezzo maggiore per beni che
rispettino determinati requisiti di sostenibilità. Le imprese che aderiscono a questa strategia
tendono ad ampliare la parte dei servizi associati al prodotto in modo da differenziarsi e
fidelizzare i propri clienti attraverso l’immagine aziendale.
Vi sono poi altri fattori tipici del sistema economico italiano che complicano ulteriormente lo
scenario in cui le imprese manifatturiere si trovano a dover competere: l’Italia è, infatti, tra le
prime in Europa per quanto riguarda la pressione fiscale. I dati forniti dall’ISTAT, relativi al
2009, dicono che il livello di tassazione medio europeo era del 37,6% sul PIL mentre in Italia
raggiungeva il 43,2%. Ad aggravare la situazione sono le previsioni per il futuro; se la
tendenza europea è quella di ridurre la pressione fiscale, in Italia la previsione è quella di
aumentarla, fino a raggiungere la cifra record del 43,9% nel 201317
. Ulteriori fattori di criticità
sono rappresentati dal mercato del lavoro italiano, molto rigido e regolato da forti accordi
sindacali. Va poi considerata la frammentazione delle imprese, ovvero la presenza di
16 ISTAT, Noi Italia, 2011
17 Pesole, 2011
17
numerose aziende di piccole dimensioni; tale fenomeno è interpretato dagli esperti in diversi
modi: secondo alcuni economisti rappresenta un freno alla crescita del paese mentre, secondo
altri, è da sottolineare come la frammentazione e le piccole dimensioni garantiscano un grado
di flessibilità superiore, elemento differenziale in questo contesto.
Lo scenario, già di per se complesso, è poi soggetto alla crisi internazionale che dal 2008
affligge il mondo economico e finanziario. La crisi ha colpito duramente le PMI italiane; dati
pubblicati da una ricerca di Iperion Corporate Finance, condotta su circa 430mila imprese,
emerge che il 59% delle PMI ha chiuso con il segno negativo il bilancio dell’esercizio 2008,
dunque solo il 41% ha presentato un bilancio in utile contro il 54% del 2007.
Queste caratteristiche delineano uno scenario molto complesso, in cui competenze di gestione
economica e di business risultano fondamentali per le PMI italiane, al fine di rimanere
competitive in campo sia nazionale che internazionale.
1.3 Il posizionamento competitivo delle PMI italiane
Sì è finora analizzato il fenomeno delle PMI in senso generale, tuttavia, dato il numero e la
varietà d’imprese che popolano il mercato italiano, è opportuno comprendere quali tipologie
di PMI si possono trovare e, in particolare, come queste si muovono per mantenere
competitività. La classificazione a seguire è stata proposta nel 2006 dai docenti del
Politecnico di Milano nel libro: “Innovare e competere con le ICT”18
. La matrice
rappresentata in Figura 5 permette di comprendere il livello competitivo di un’impresa sulla
base dell’attrattività dell’area di business in cui opera e della posizione competitiva rispetto ai
propri competitor. Due buone proxy per misurare queste variabili possono essere,
rispettivamente, il tasso di crescita del mercato e la quota di mercato posseduta dall’impresa.
La matrice consente di individuare cinque cluster con i quali classificare le PMI:
18 Balocco, Mainetti, e Rangone 2006
18
Figura 5 - Classificazione delle PMI (Balocco, 2009)
Leader di nicchia: il mercato è caratterizzato da una buona attrattività ed il limitato
numero di competitor permette anche ad una PMI di mantenere una posizione di
leadership;
Davide contro Golia: il mercato è caratterizzato da una buona attrattività ma la
presenza di grandi imprese limita notevolmente la posizione competitiva della PMI;
Vecchie glorie: il mercato è caratterizzato da un calo di attrattività ma l’impresa
eredita una buona posizione competitiva dal passato;
In balie delle onde: il mercato è caratterizzato da una scarsa attrattività e l’impresa
non gode di una buona posizione competitiva;
Subfornitori: è un particolare cluster che include imprese che non realizzano prodotti
finiti e/o non si rivolgono direttamente al mercato ma hanno pochi grandi clienti. Le
caratteristiche e le performance di queste PMI dipendono dalla tipologia di azienda
alla quale si rivolgono.
Questa classificazione permette anche di evidenziare i principali rischi che corrono le PMI.
L’impresa, infatti, raggiunto un buon livello competitivo, deve continuare ad agire per
mantenerlo.
La contrazione improvvisa di un mercato, cosa molto frequente nel contesto attuale, può
velocemente trasformare un’impresa da Davide contro Golia in un’impresa In balia delle
onde se essa non ha provveduto a consolidare la propria posizione. Ancora più probabile è che
un’impresa classificata come Vecchia gloria, forte del proprio passato, non si preoccupi di
innovare e perda la propria posizione competitiva, finendo così per rientrare nel cluster In
balia delle onde.
La classificazione risulta utile in questa tesi in quanto esiste una correlazione positiva tra il
posizionamento strategico delle imprese e la loro maturità ICT, trattata nel Paragrafo 2.4. I
dati forniti dall’Osservatorio del Politecnico mettono in evidenza come le imprese che
competono in business con alta attrattività abbiano una buona maturità ICT mentre le imprese
19
operanti in business meno attrattivi presentino una maturità notevolmente inferiore. Questo
fenomeno può essere così interpretato: le imprese che si sono trovate ad operare in business
attrattivi e in crescita hanno saputo sfruttare l’innovazione per aumentare la propria
competitività, utilizzando l’ICT come vera e propria leva strategica. Le imprese che, al
contrario, si sono trovate a operare in business con attrattività in calo hanno prestato molta
meno attenzione all’innovazione, dando maggiore priorità ad interventi volti al breve periodo
per fronteggiare la difficile situazione.
1.4 Strategie per mantenere la competitività
Per quanto riguarda il mantenimento della posizione competitiva attraverso l’organizzazione
interna di un’impresa, si fa riferimento ad un modello di Bartezzaghi, Spina e Verganti19
. Tale
modello afferma che siano tre le capacità interne che un’impresa deve sviluppare per avere la
capacità esterna di soddisfare il cliente con livelli di performance adeguati. La prima capacità
riguarda la gestione dei processi aziendali e per far si che questo accada è fondamentale che
l’impresa abbia una visione complessiva dei principali processi aziendali e delle
interdipendenze tra le attività che li compongono. Governare i propri processi è il primo passo
per ridurre inefficienze e attività non a valore aggiunto e comprendere i propri fattori critici di
successo. La seconda caratteristica che deve essere riscontrata in un’impresa è la capacità di
lavorare per progetti; questa capacità abilita i processi d’innovazione e l’ottenimento di un
certo grado di flessibilità e livello di servizio verso il cliente. È immediato comprendere come
il processo d’innovazione vada gestito in maniera straordinaria ma lavorare per progetti è
innanzitutto necessario per venire incontro alle specifiche richieste del cliente per lo sviluppo
di nuovi prodotti o la personalizzazione di quelli esistenti. Ultima capacità interna che il
modello presenta è la capacità di sviluppare, a tutti i livelli in azienda, le competenze delle
risorse umane. Sono stati descritti in precedenza i problemi riguardanti le risorse umane
(punti 5 e 9 nel Paragrafo 1.1.1); i professori del Politecnico affermano che ciò è
fondamentale per raggiungere performance adeguate, ma lo sviluppo e il mantenimento delle
competenze vanno accompagnati dalla capacità di stimolare nei membri dell’organizzazione
comportamenti organizzativi coerenti, tali cioè da canalizzare le competenze verso gli
obiettivi dell’azienda.
Una volta approfondite le caratteristiche organizzative interne, abilitanti al mantenimento
della competitività, rimane da comprendere quali siano le strategie esterne che le PMI
possono adottare per mantenere un ruolo attivo nelle attuali dinamiche economiche. I
paragrafi successi saranno dedicati all’approfondimento delle tematiche della differenziazione
19 Bartezzaghi, Spina, Vergianti 1999
20
- con particolare attenzione al “Made in Italy” ed all’innovazione - dell’aggregazione e
dell’internazionalizzazione delle PMI nel settore manifatturiero, identificate come le possibili
vie per mantenere la competitività.
1.4.1 La differenziazione
Una possibilità per le PMI di mantenere la competitività nel contesto attuale è rappresentata
dalle strategie di differenziazione. Queste strategie si fondano su elementi distintivi che
possono riguardare sia le caratteristiche dei prodotti (qualità, innovazione, materiali o marca)
sia caratteristiche del servizio ad essi abbinato. Per avere successo, la differenziazione deve
avere un approccio di nicchia ma dinamico; l’impresa, dunque, una volta identificato il micro-
settore nel quale specializzarsi, deve cercare i suoi possibili sbocchi in modo creativo e
innovativo.
Fino agli anni settanta questa strategia prendeva il significato di una restrizione del campo
d’azione dell’impresa ad una porzione di mercato meglio presidiabile. Recentemente invece
tale approccio è cambiato; ora l’azienda non si deve limitare a selezionare il segmento di
mercato ma deve contribuire alla sua creazione, ritagliandosi il proprio spazio nel contesto
competitivo. L’unicità dell’offerta riduce la complessità dei mercati e consente di acquisire
posizioni di leadership anche a imprese di piccole dimensioni (Leader di nicchia).
Perché questa strategia abbia successo è necessario un approccio dinamico, l’impresa deve
quindi costruire il proprio vantaggio competitivo sul continuo spostamento del fronte
dell’offerta attraverso processi di innovazione, mirati a mantenere la propria unicità di
prodotto/servizio, o attraverso leve di marketing.
Per le imprese manifatturiere italiane puntare su strategie di differenziazione è fondamentale;
il marchio “Made in Italy”, infatti, gode di notevole considerazione in particolar modo al di
fuori del mercato nazionale. Sotto questo punto di vista arrivano segnali confortanti
dall’ultimo report di Prometeia e Intesa San Paolo che riscontrano una crescita del 17% nei
primi quattro mesi del 2011; anche il 2010 è stato un anno positivo ma ciò non è bastato a
recuperare il ridimensionamento subito dalle esportazioni italiane nel biennio 2008-200920
.
Per proteggere e garantire la qualità dei prodotti italiani, nel 2009 è stato emesso un decreto
legge21
che consente di fregiare con il “Made in Italy” quei prodotti o quelle merci per i quali
il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti
esclusivamente sul territorio italiano.
20 Demartis 2011
21 Decreto legge 135 del 25 settembre 2009
21
Ma la differenziazione non è solo “Made in Italy”. L’Europa ha trovato un'altra via per
rispondere alla perdita di competitività del sistema manifatturiero: l’innovazione. Innovare i
processi e le tecnologie produttive al fine di ottenere prodotti avanzati e sostenibili dal punto
di vista sociale, economico e ambientale; questo è ciò che sostiene e diffonde la Commissione
Europea attraverso il programma Factory of the Future. Si tratta di implementare un nuovo
paradigma (Il Manifatturiero Competitivo e Sostenibile22
) che tende a fornire soluzioni con
elevate prestazioni in risposta a tipologie complesse di esigenze dei cittadini e della società
nelle sue varie articolazioni, sottraendo così l’industria manifatturiera alla concorrenza dei
nuovi competitor.
Anche in questo caso si tratta di un cambio dei differenziali competitivi; la tendenza è infatti
quella di diversificare sempre meno il prodotto e creare differenziale attraverso i servizi ad
esso associati. Ridurre l’inquinamento causato dalla produzione, garantire trasparenza nei
bilanci, contribuire attivamente al benessere della società sono alcuni dei fattori differenziali
che un’impresa può sfruttare per accrescere la propria quota di mercato.
Per poter intraprendere questa strada sono necessarie competenze elevate e deve esserci la
forza economica e finanziaria sufficiente a sostenere gli investimenti per le nuove tecnologie a
supporto della crescita e del controllo dei processi. A queste condizioni si deve
necessariamente aggiungere la cultura dell’innovazione; il vertice strategico deve essere
consapevole e sensibile verso i nuovi trend di mercato (come la sostenibilità) e le nuove
tecnologie. Verificate queste condizioni è possibile implementare un processo d’innovazione
sia tecnologica che organizzativa che porti l’impresa a essere competitiva ed efficiente.
1.4.2 I distretti industriali e le reti d’imprese
In letteratura23
, quando si parla di distretti industriali si fa riferimento alla diffusa presenza di
competenze, esperienze e capacità la cui condivisione concorre a rafforzare la
specializzazione e l’innovazione nei processi produttivi, generando vantaggio competitivo in
termini di differenziazione/unicità nell’offerta di prodotto, di qualità delle lavorazioni o di
prezzo.
I distretti industriali sono stati fondamentali per la diffusione delle PMI in Italia negli anni
settanta e tuttora sono molto diffusi. I distretti industriali permettono alle piccole e medie
imprese di restare autonome, ma di presentarsi alle banche, ai mercati ed agli stessi fornitori
con una massa critica più grande. Ciò comporta una riduzione dei costi di acquisto ed una
22 Roveda, 2010
23 Musso, 2010
22
parziale soluzione a uno dei problemi fondamentali delle PMI ovvero l’accesso al credito.
Organizzandosi in distretti, inoltre, è possibile aumentare l’efficienza delle singole imprese.
Ogni impresa si può, infatti, specializzare in una determinata parte del processo produttivo; in
questo modo le PMI, aggregandosi, possono risolvere un altro problema che le affligge
ovvero quello della scarsa produttività, dovuto sia alla mancanza di specializzazione sia
all’impossibilità di ricorrere ad economie di scala. Vedremo poi come
l’internazionalizzazione e la competizione su mercati globali è ormai un processo da
affrontare se si vuole restare competitivi. La collaborazione risulta ancora una volta la
soluzione ideale per le PMI che vogliono affacciarsi sul mercato internazionale.
Negli ultimi anni la forma del distretto industriale è risultata, tuttavia, obsoleta ed ha preso
vita una nuova forma di aggregazione: le reti d’imprese. Le reti d’imprese non hanno più
carattere territoriale né mono settoriale, costituiscono l’evoluzione dei distretti industriali, una
forma nuova di aggregazione finalizzata a formare massa critica e accrescere la posizione
contrattuale, favorire l’internazionalizzazione e aumentare la dimensione complessiva del
business delle PMI che aderiscono alla rete. L’evoluzione delle reti d’imprese è da collocarsi
nell’ultimo anno; sì è infatti passati dai 42 contratti di aprile ai 117 contratti di agosto24
; il
trend è in continuo aumento ed anche gli enti statali e governativi riconoscono le reti
d’impresa come la principale leva per uscire dalla crisi.
1.4.3 Internazionalizzazione
Fino alla fine degli anni ottanta l’internazionalizzazione del business delle PMI ha avuto
prevalentemente una dimensione di tipo indiretto ovvero le PMI si sono limitate ad esportare i
propri prodotti. Inoltre si è riscontrata un’elevata variabilità geografica che, col tempo, si è
trasformata da vantaggio a fattore di debolezza in quanto la mancanza di conoscenze
specifiche sul singolo mercato comporta spesso la perdita di opportunità.
Ad oggi il carattere dell’internazionalizzazione delle imprese italiane è ancora fortemente
incentrato sull’export con una limitata propensione agli investimenti diretti all’estero (IDE). I
dati elaborati dall’UNCTAD nel 2009 mostrano, infatti, un eloquente ritardo rispetto agli altri
paesi europei: il rapporto tra lo stock di investimenti diretti esteri ed il PIL in Italia arriva al
27% contro il 65% della Francia ed il 76% del Regno Unito. Ciò nonostante, nel biennio
2008-2009 i flussi di IDE italiani hanno subito una contrazione minore rispetto agli altri paesi
europei; la tendenza è dunque quella di avvicinare le principali economie europee per quanto
riguarda l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Andando ad analizzare la
24Reggio, 2011
23
composizione delle imprese che internazionalizzano il proprio business si trova che le PMI
costituiscono il 38,7%25
. Internazionalizzare per le PMI è importante non solo per ridurre i
costi di produzione, ma anche per ampliare il proprio business e trovare nuovi sbocchi sui
mercati internazionali. Esistono poi alcuni casi di differenti scelte d’internazionalizzazione
che riguardano aspetti commerciali come lo sviluppo di rapporti di fornitura e subfornitura.
Nell’industria italiana la pratica della subfornitura (cioè della produzione di beni intermedi
sulla base di specifiche tecniche del committente) è storicamente molto diffusa. Spesso si è
temuto che essa si caratterizzasse tipicamente come un rapporto squilibrato dal punto di vista
del potere di mercato, fra un committente forte e un subfornitore debole e “catturato”. È,
questo, un campo di ricerca sorprendentemente poco arato. Alcuni lavori hanno documentato
come alcune imprese manifatturiere italiane abbiano preso parte nel ruolo di impresa
committente ai processi di dispersione internazionale della produzione, con benefici per la
performance complessiva del sistema industriale26,27
. Altri autori hanno mostrato28
, con dati
riferiti a un campione rappresentativo di imprese manifatturiere italiane, come la più ridotta
dimensione media d’impresa e una specializzazione produttiva a più bassa intensità di capitale
si riflettano, in confronto con altri paesi, in scelte organizzative che privilegiano l’outsourcing
verso fornitori (anche esteri) rispetto agli investimenti diretti all’estero.
Le caratteristiche viste in precedenza, ovvero dinamismo, forte capacità di adattamento e
tendenza a sviluppare relazioni interaziendali di tipo reticolare, si possono rivelare utili anche
nel processo di internazionalizzazione. La flessibilità e la duttilità possono, infatti, essere
considerate un punto di forza nel cogliere rapidamente opportunità sui mercati esteri. In
letteratura si trovano tesi secondo cui l’asset primario sul quale si basa il successo di un
processo d’internazionalizzazione è un’adeguata struttura e professionalità delle risorse
umane, capace di raccogliere, sedimentare e sviluppare la maggiore capacità di
apprendimento che deriva dall’operare in contesti di mercato più ampi29
. Un altro aspetto
importante per l’impresa che vuole internazionalizzare il proprio business è sicuramente avere
un buon governo dei processi; il supporto dato dai sistemi ICT diventa quindi una variabile
fondamentale per il successo.
25 Fonte: Banca dati Reprint, ICE-Politecnico di Milano
26 Daveri, Jona-Lasinio, 2007
27 Falzoni, Tajoli, 2008
28 Federico, 2010
29 Esposito, 2003
24
2. Capitolo 2
2. ICT nelle PMI italiane
L’obiettivo del capitolo è comprendere lo stato dell’arte rispetto all’apporto che le ICT oggi
possono dare alle imprese, sia in termini di supporto operativo che in termini di supporto
strategico. A tal proposito nel capitolo si approfondirà il ruolo ricoperto dall’ICT nelle piccole
e medie imprese. Dopo aver fornito lo stato dell’arte in investimenti ICT nel corso degli
ultimi anni, saranno approfonditi quali elementi debbano necessariamente essere presenti
affinché l’ICT possa rappresentare concretamente una leva efficace nella gestione del
business e della propria organizzazione. Per comprendere al meglio tali elementi chiave
saranno presentati i modelli ad oggi offerti dalla letteratura riguardanti il governo dell’ICT ed
il livello di maturità dei Sistemi Informativi aziendali.
25
2.1 La situazione dell’ICT in Italia
La fotografia che il Rapporto Assinform 2011 restituisce è quella di un mercato ICT in
profonda transizione, con segmenti che perdono velocità e nuove opportunità emergenti. In un
processo molto più lento e faticoso di quel che realmente accade in natura, l'immagine
utilizzata da Giancarlo Capitani, amministratore delegato di una nota società di consulenza,
per parlare del mercato ICT è quella di un baco da seta che si trasforma in farfalla
“traghettando l'ICT tradizionale, così come la conosciamo, nell'era digitale”.
D’altra parte non potrebbe essere altrimenti visto il contesto economico mondiale, che nei
primi sei mesi del 2011 ha visto svanire nel nulla la speranza di una ripresa seppur lenta,
manifestatasi negli ultimi mesi del 2010. Tendenza negativa che riguarda soprattutto lo
scacchiere occidentale (Usa ed Europa), mentre tengono le economie emergenti. L'Italia va
ancora più piano, con crescite tendenti allo zero, maglia nera dell'eurozona. Un quadro che si
riflette pesantemente sull'andamento del mercato ICT, che a metà 2011 registra un fatturato di
quasi 28 miliardi di euro, con un calo del 2,4%, uguale a quello registrato nel primo semestre
2010.
Disaggregando per mercati, si vede che il mercato dell'IT registra perdite più contenute (-
1,7%) rispetto alla prima parte del 2010 (-2,5%), e soprattutto rispetto al 2009 (-9%),
testimoniando l'impegno delle imprese nel continuare a investire nell'IT anche in condizioni
critiche (Figura 6). Tendenze interessanti si registrano sui fronti delle applicazioni mobili, del
Cloud Computing, dell'informatica personale, dei pagamenti, ma per i ricercatori di
Assinform la fase è e resta “riflessiva”, in altre parole tendente allo stallo.
Figura 6 - Il mercato dell'IT in Italia per semestre (Assinform, 2011)
Modesto il calo dei servizi (-1,2%, contro il -3,7% del corrispondente periodo del 2010),
anche se continua a giocare a sfavore la pressione sulle tariffe, mentre tiene il software che
26
registra una piccola crescita dello 0,3%, a fronte di un -1,2% nel primo semestre 2010 (Figura
7). Stentano a ripartire i progetti più significativi, ma le imprese cercano comunque di non
trascurare l'IT. Per questo, il software di sistema contiene il calo dello 0,8%, quello
applicativo rimane stabile (-0,2%), il Middleware cresce dell'1,8%. Quest’ultimo si conferma
il più dinamico poiché è la base per il supporto di iniziative quali datacenter trasformation e
implementazione di architetture cloud, che risultano sempre più consistenti ed iniziano ad
erodere terreno alle componenti tradizionali.
Figura 7 - La dinamica del mercato Software per componenti (Assinform 2011)
ICT come leva strategica
La teoria strategica di Porter spiega come il vantaggio competitivo di un’impresa dipenda dai
suoi differenziali competitivi di costo e di attrattività. Per comprendere quali siano questi
differenziali è necessario analizzare la catena del valore, ovvero l’insieme dei processi
dell’impresa, ed estrapolare quelle peculiarità che rendono l’impresa unica, permettendole di
differenziarsi dai concorrenti. In molteplici contributi della letteratura internazionale30,31
viene
riconosciuta all’ICT la possibilità di essere uno di questi differenziali, contribuendo alla
creazione di vantaggio competitivo a tutti i livelli della catena del valore.
Grazie alle più moderne innovazioni hardware e software, infatti, tutti i principali processi
possono essere governati attraverso tecnologie ICT, permettendo di aumentarne efficacia ed
efficienza. Un aspetto sempre più rilevante per quanto riguarda l’ICT come differenziale
competitivo risulta essere il contenuto tecnologico dei prodotti e servizi offerti sul mercato. È
30 Porter, 2001
31 Andal-Ancion, 2003
27
importante poi sottolineare il valore assunto dalle ICT nel supporto della flessibilità; in
contesti ad alta turbolenza l’ICT può essere utilizzata per abilitare i continui cambiamenti sia
organizzativi sia quelli riguardanti il mercato di riferimento.
Dall’analisi della bibliografia disponibile sull’evoluzione del mondo dell’Information &
Communication Technology (che verrà ampiamente trattata nel Capitolo 3) emerge uno
scenario sempre più complesso e diversificato, frutto, da un lato, della crescente
consapevolezza degli impatti tecnologici sulla gestione delle attività aziendali e, dall’altro, del
maggior ruolo che la scelta di specifiche soluzioni ICT svolge nei confronti delle strategie
aziendali.
È mutato, nel corso del tempo, il modo di intendere il ruolo delle tecnologie all’interno delle
organizzazioni: da semplice strumento per l’acquisizione e gestione delle informazioni, sono
oggi descritte quali vere e proprie leve strategiche. In Figura 8 è raffigurato un grafico che
mappa questo fenomeno evolutivo lungo due direttrici, ovvero il livello di management e la
complessità da gestire32
.
Figura 8 - L'evoluzione del ruolo dell'ICT nelle organizzazioni (Flacco, 2005)
2.2 La predisposizione all’innovazione ICT
Nei paragrafi precedenti è stata trattata la valenza strategica che l’ICT può avere in
un’impresa; è tuttavia importante evidenziare che per far si che l’impresa utilizzi nel modo
corretto questo strumento devono essere presenti alcuni requisiti. L’osservatorio del
Politecnico di Milano propone alcuni modelli di analisi volti a comprendere la maturità delle
32 Flacco, 2005
28
imprese nei riguardi dell’ICT. I modelli si basano su tre condizioni fondamentali che insieme
creano le condizioni imprenditoriali, organizzative e gestionali abilitanti ad un adeguato
utilizzo delle ICT:
Commitment del vertice strategico;
Pivot ICT, ovvero una figura in grado di comprendere e coordinare esigenze di
business ed esigenze tecnologiche;
Presidio gestionale dei processi ICT.
La prima condizione implica che il vertice dell’impresa abbia una certa sensibilità verso le
tematiche dell’ICT e sia consapevole degli effetti che le tecnologie possono portare sul
business: solo in questo modo le ICT avranno il giusto spazio nei processi decisionali e nei
budget. La figura del Pivot ICT nasce per risolvere uno dei problemi storici delle ICT: ovvero
la difficoltà di comunicazione tra tecnici informatici della Direzione IT e manager di business.
Questa mancanza di comunicazione non permette di sfruttare appieno le potenzialità delle
ICT, per questo motivo il Pivot ICT deve essere una persona con un’elevata sensibilità
tecnologica (non necessariamente accompagnata da elevate competenze tecniche),
propensione all’innovazione e ottime capacità di project management. Questa figura sarà il
promotore dell’ICT in azienda, dovrà essere proattivo nel portare innovazione e aumentare la
visibilità e la rilevanza dell’ICT. Una volta accertato il Commitment del vertice strategico e
verificata la presenza di un Pivot ICT, il tassello mancante è rappresentato dal Presidio
gestionale dei processi ICT ovvero la presenza di adeguate competenze (sia gestionali che
sistemistiche) per implementare il processo di innovazione. Nel caso in cui le competenze
richieste non siano presenti in azienda, è comunque possibile affidarsi ad un partner esterno,
con il quale instaurare relazioni di medio-lungo periodo.
L’Osservatorio del Politecnico propone un modello volto a classificare il ruolo della
Direzione IT nell’impresa. Nel modello sono state identificate quattro competenze
fondamentali (sistemistiche, di sviluppo, di acquisto e di project management). Il livello
riscontrato per ognuna di queste competenza va a delineare differenti ruoli che la Direzione IT
occupa nell’impresa:
IT Help desk: fornisce un supporto agli utenti per i servizi elementari, viene attribuito
un basso livello in tutte le competenze, in alcuni casi vi sono competenze di sviluppo
software sufficienti per interventi di manutenzione (“help desk manutentore”);
IT Sviluppatore: fornisce un servizio di sviluppo software su applicazioni chiave per
l’impresa, spesso sono associate buone capacità sistemistiche e di parametrizzazione e
personalizzazione del sistema gestionale, latitano le competenze di acquisto e quelle di
project management;
IT Buyer e project manager: caratterizza una Direzione IT con competenze complete,
in grado di sostenere autonomamente la gestione di progetti ICT complessi.
29
Il presidio gestionale richiesto per abilitare l’innovazione ICT è garantito solamente
dall’ultima tipologia di Direzione IT. Sono molteplici i casi in cui la Direzione IT è il primo
blocco all’innovazione; il motivo principale è l’obsolescenza delle competenze dei direttori IT
che vedono l’innovazione come una minaccia alla propria posizione all’interno dell’impresa.
Analizzate le tre condizioni (Commitment del vertice, Pivot ICT e presidio gestionale), il
modello propone una classificazione delle imprese, rappresentata dalla matrice di Figura 9.
Figura 9 - La predisposizione all'innovazione ICT, i diversi archetipi di PMI (Balocco, 2009)
I cluster identificati dal modello assumono i seguenti significati:
Pronte: sono imprese in cui sono presenti le tre condizioni, ciò comporta che le
imprese potranno sfruttare l’ICT come leva strategica, creando differenziale
competitivo.
Belle addormentate: sono imprese in cui non viene riscontrata nessuna delle tre
condizioni identificate come abilitanti all’innovazione ICT;
Incipienti: in queste imprese il vertice dimostra sensibilità e commitment ma
l’organizzazione non è adatta, viene meno la figura del Pivot e manca il presidio
gestionale necessario ad abilitare l’innovazione ICT;
A metà del guado: sono imprese con un buon commitment da parte del vertice
strategico e che hanno iniziato il processo di preparazione organizzativa e gestionale
ma non lo hanno ancora terminato. Tipicamente viene riscontrata una sola delle
condizioni organizzative ovvero o la figura del Pivot o la presenza di presidio
gestionale dei processi ICT.
30
Le ricerche empiriche dell’Osservatorio hanno evidenziato come la predisposizione
all’innovazione sia fortemente correlata con la Maturità ICT (cfr. Paragrafo 2.4); imprese
Pronte sono, nella maggior parte dei casi, imprese con un elevato livello di Maturità ICT. La
predisposizione all’innovazione non è risultata correlata né alle dimensioni d’impresa né al
settore merceologico a cui l’impresa fa riferimento, bensì è risultato correlato il
posizionamento competitivo dell’impresa. Il posizionamento competitivo delle PMI è stato
analizzato nel Paragrafo 1.3; l’analisi dell’Osservatorio rileva come la maggior parte delle
imprese classificate come Leader di nicchia e Davide contro Golia evidenzino una buona
predisposizione all’innovazione ICT mentre le imprese definite come Vecchie glorie e In
balia delle onde siano tipicamente caratterizzate da una bassa predisposizione all’innovazione
ICT.
2.3 Modello dell’allineamento strategico (MIT)
Questo modello ha origine negli anni ottanta nella rinomata università del Massachusetts
(MIT); il modello, rappresentato in Figura 10, tratta l’allineamento tra strategie di business e
strategie ICT. L’ipotesi fondamentale proposta è che la mancanza d’incremento del vantaggio
competitivo a seguito di un processo d’innovazione ICT, sia da attribuirsi all’insufficiente
allineamento tra le strategie di business e le strategie IT durante la fase di implementazione
del progetto.
Il modello mette dunque in relazione la performance economica con l’abilità del management
di creare condizioni chiamate: “Dynamic fit” (allineamento dinamico) tra le strategie decise e
attuate, le evoluzioni degli ambienti strategici rilevanti e le risposte strategiche dei
concorrenti. Il differenziale competitivo è dunque dato dalla capacità dell’impresa di
utilizzare l’ICT, non dalle tecnologie stesse33
.
33 Venkatraman, Camillus, 1984
31
Figura 10 - L’allineamento strategico tra business e IT (Boccardelli, 2007)
Il modello identifica tre dimensioni che caratterizzano il posizionamento delle imprese nel
mercato IT; la classificazione34
ha la peculiarità di analizzare l’ICT con caratteristiche e
fattori tipici del business. I fattori sono:
Ampiezza dell’ICT: questa dimensione riprende il concetto di ampiezza del business in
termini di scelte sul prodotto o sul mercato verso su cui posizionarsi; la sua traduzione
in termini ICT consiste nella scelta delle applicazioni (ad esempio, Lan, Wan, sistemi
esperti, servizi digitalizzati, etc.) che supportano le strategie di business specifiche, o
che potenzialmente possono contribuire alla riconfigurazione del business stesso;
Competenze ICT: si riferisce ai particolari attributi delle tecnologie ICT per il supporto
delle strategie di business (interconnettività, flessibilità, disponibilità, standard etc.);
Governo dell’ICT: basato sull’idea che come nella gestione dei business, anche per
l’ICT sia possibile ricorrere a particolare politiche di governance (joint venture,
alleanze strategiche, attività congiunte di R&D, licenze tecnologiche) al fine di
acquisire le competenze richieste.
34 Henderson e Venkatraman, 1993
32
Il modello dell’allineamento strategico proposto da Henderson e Venkatraman (1993, 1999) si
basa su due dimensioni analitiche: Strategic fit e Integrazione funzionale.
2.3.1 Strategic fit
Lo Strategic fit, ossia l’allineamento tra ambiente, strategie e contesto organizzativo, può
essere a sua volta analizzato secondo due dimensioni: quella interna e quella esterna35
. Fanno
parte del dominio esterno: l’ambito competitivo dell’impresa, le alternative strategiche che
questa può mettere in atto sia a livello business che corporate, l’ampiezza della gamma dei
prodotti, le scelte di make or buy e le eventuali partnership e alleanze strategiche. Il dominio
interno, al contrario, comprende: le scelte sulla struttura organizzativa, il disegno dei processi
di business ed i processi di acquisizione di competenze organizzative.
Il rapporto tra i due domini si può leggere in chiave di business come problema tra strategia
(dominio esterno) e struttura organizzativa (dominio interno). Spostando il focus dal business
all’IT i concetti di dominio interno e dominio esterno sono rappresentati, rispettivamente, dai
Sistemi Informativi aziendali (IS infrastructure) e dal posizionamento dell’azienda rispetto al
mercato IT (strategia IT).
A caratterizzare la configurazione del dominio interno dell’ICT, ovvero le caratteristiche di un
sistema informativo aziendale sono:
Struttura: infrastruttura hardware e portafoglio applicativo;
Processi: strutturazione delle attività e delle operazioni connesse alla gestione dei
Sistemi Informativi e dell’infrastruttura tecnica;
Competenze: acquisizione e sviluppo di conoscenze individuali e collettive per la
gestione l’operatività dei Sistemi Informativi.
Si può dunque affermare che, anche in ambito ICT, la creazione del valore può essere
ragionevolmente ricondotta all’esistenza di un allineamento tra dominio esterno (ICT
strategy) e dominio interno36
(IS infrastructure).
2.3.2 Integrazione funzionale
L’Integrazione funzionale ricalca il problema dell’integrazione tra ambiti ICT e di business. A
livello strategico, si pone il problema di comprendere il rapporto tra strategie ICT e strategia
di business come caso particolare della tematica più ampia del rapporto tra ICT e
35 Hax, Majluf, 1991
36 Parker, Benson, Trainor, 1988;
33
organizzazione. Su questo problema, lo Strategic alignment trae spunto dal filone dello
Strategic planning dei Sistemi Informativi37
, un modello focalizzato sull’impatto reciproco tra
dominio ICT e dominio di business in termini di agevolazione o minaccia alle scelte effettuate
nell’uno o nell’altro campo. Lo Strategic alignment riconosce la reciprocità del rapporto tra
business e ICT e risponde alla necessità d’integrazione tra le due, ricercando la coerenza tra i
rispettivi domini interni ed esterni.
Lo Strategic alignment vede dunque come condizioni abilitanti al successo, sia l’integrazione
strategica tra business e ICT, finalizzata alla selezione delle funzionalità ICT che meglio
riescono a definire e supportare le strategie di business, sia l’integrazione operazionale
ovvero la coerenza tra struttura organizzativa dei processi di business e infrastruttura dei
Sistemi Informativi. Il modello suggerisce, dunque, che si vada a bilanciare le scelte effettuate
in tutte e quattro le aree identificate dal modello.
2.3.3 Le prospettive dello Strategic alignment
Per raggiungere l’allineamento tra le quattro componenti descritte in precedenza (Strategia di
bussines, Strategia ICT, Strutture e processi e Infrastruttura dei SI) vengono proposte quattro
diverse prospettive38
:
Strategy execution: si basa sull’assunzione che la strategia di business, una volta
formulata, sia il driver principale per la configurazione degli assetti organizzativi e per
il disegno della infrastruttura ICT. In questo contesto, quindi, le strutture organizzative
ed i sistemi informativi, allineandosi alla strategia formulata, assumono il compito di
implementare, attraverso la definizione dei processi, le fasi che portano al
perseguimento degli obiettivi aziendali;
Technology transformation: si basa sul raggiungimento di una leadership tecnologica
nell’ambito del mercato dell’ICT; ciò implica che la strategia di business trovi la sua
implementazione attraverso la formulazione di una strategia IT che identifichi un
portafoglio di applicazioni ICT e strutturi i processi così come previsto nei Sistemi
Informativi. In tale prospettiva la dimensione organizzativa interna non viene
considerata come un fattore che possa influenzare l’attuazione delle strategie. Il buon
impiego di questa prospettiva è legato all’acquisizione delle competenze ICT che
meglio riflettono i fattori critici di successo dell’impresa, e dalla definizione di una
infrastruttura tecnica dei Sistemi Informativi che risulti allineata con il posizionamento
nel mercato ICT. Una visione dell’allineamento strategico di questo tipo risulta essere
37 King, 1978
38 Henderson, Venkatraman, 1993
34
adatta per imprese ad elevata intensità informativa. Secondo questa modalità di
allineamento il ruolo della Direzione IT è quello di operare come designer nella
identificazione e nella strutturazione dell’infrastruttura informatica che meglio
rispecchi la visione dell’ICT in termini di ampiezza, competenze e governo;
Competitive potential: in questa prospettiva, l’analisi strategica parte dalla strategia
ICT; la strategia di business e i corrispondenti assetti organizzativi vengono quindi
modellati sulla base della strategia ICT tracciata. La visione si basa sullo sfruttamento
delle capacità ICT emergenti che possono impattare sulle strategie di business
mediante l’introduzione di nuovi prodotti e servizi, che modificano l’ampiezza del
business, e abilitano nuove forme di relazioni inter-organizzative. Si sceglie dunque di
modificare le strutture di business e le competenze distintive dell’impresa sulla base
delle nuove possibilità aperte dell’innovazione ICT.
Service level: il punto di partenza, in questa prospettiva, è la strategia ICT. Definita
tale strategia si andrà a creare un’infrastruttura interna dei Sistemi Informativi che sia
in grado di rispondere nella maniera più efficace possibile alle esigenze informative
dei processi organizzativi; all’infrastruttura dei Sistemi Informativi si cercherà poi di
adattare la configurazione organizzativa interna dell’impresa. In questa visione dello
Strategic alignment, la capacità d’innovazione nell’ICT viene considerata come una
competenza distintiva e l’obiettivo è quello di garantire il massimo livello di servizio
dei Sistemi Informativi raggiungibile. Maggiori risultati sono ottenibili laddove
l’organizzazione dei Sistemi Informativi sia coerente (in termini di strutturazione dei
processi e di allocazione delle risorse) con le altre dimensioni organizzative.
Lo Strategic alignment può quindi essere considerato come un’analisi del rapporto tra ICT e
organizzazione di tipo multivariato, in cui vengono identificati due possibili fattori
contingenti, che sono le strategie di business (che agiscono come driver nei casi di strategy
execution e technology transformation) o le strategie ICT (che agiscono come enabler nei casi
di competitive potential e service level).
La differenza fondamentale tra le due classi di prospettive (allineamento e contingenze) si
basa sul fatto che nel primo caso le strategie di business vengono considerate come date, e
quindi rappresentano una condizione di vincolo per la trasformazione degli assetti
organizzativi, mentre nel secondo caso è previsto un adattamento delle stesse all’emergere di
nuove capacità ICT.
Il modello va poi oltre la semplice classificazione delle prospettive perseguibili dalle imprese
in materia di allineamento strategico; vengono, infatti, proposti alcuni indicatori di
performance che dovrebbero esprimere l’efficacia delle soluzioni adottate. In Tabella 1
vengono riportati i principali indicatori per le prospettive di allineamento strategico.
35
Prospettiva di allineamento strategico Parametri per la valutazione
delle performance
Strategy-driven Strategy execution Valutazioni economico-finanziarie basati sui costi
della funzione SI, focalizzate prevalentemente su
indicatori di efficienza e produttività interna
Technology
transformation
Misurazione del grado di leadership tecnologica
nell’ambito IT, anche mediante il ricorso a tecniche
di benchmarking
Technology-
enabled
Competitive potential Misurazione del grado di leadership di business, in
termini di quota di mercato, crescita e sviluppo nuovi
prodotti
Service level Misurazione della customer satisfaction (interna),
anche mediante raffronti di benchmarking interno ed
esterno
Tabella 1 - Valutazione delle performance delle soluzioni di allineamento adottate (Henderson e Venkatraman, 1999)
Anche la misurazione delle performance rivela il carattere contingente multivariato del
modello dello Strategic alignment. Infatti, dove la strategia di business è considerata come
driver principale, le performance vengono misurate nell’ambito dei Sistemi Informativi,
mentre laddove è l’ICT il principale enabler, sono i risultati ottenuti in termini di business ad
essere valutati.
2.4 Modello di rilevazione della Maturità ICT di un’impresa
Per analizzare la Maturità ICT delle PMI italiane si ricorre ad un modello elaborato
dall’Osservatorio del Politecnico di Milano. Questa rappresentazione ha l’obiettivo di valutare
e classificare le PMI italiane in base allo stato dei relativi Sistemi Informativi. Le variabili
prese in esame dal modello riguardano la maturità applicativa ed infrastrutturale che
concorrono a determinate il livello di Maturità ICT complessivo dell’impresa e la
conseguente classificazione. Il Sistema Informativo aziendale, descritto ampiamente nel
Capitolo 2.6, è costituito dall'insieme delle informazioni utilizzate, prodotte e trasformate da
un'azienda durante l'esecuzione dei processi aziendali, dalle modalità in cui esse sono gestite e
dalle risorse coinvolte, sia umane che tecnologiche. Non va confuso con il sistema
informatico, che indica la porzione di sistema informativo che fa uso di tecnologie
informatiche e automazione. Parlare di Maturità ICT estende il perimetro non solo alla
gestione delle informazioni, ma anche a come queste vengono messe in connessione tra loro,
sia lato Software che dal punto di vista Hardware.
Il concetto di maturità non prende solo in considerazione lo stato dell’arte dei sistemi, ma
anche come questi vengono utilizzati e integrati nei processi operativi quotidiani.
36
2.4.1 La Maturità applicativa
Per valutare la Maturità applicativa dell’azienda, l’Osservatorio del Politecnico di Milano
fornisce una classificazione basata su due parametri di valutazione: la flessibilità e il livello di
supporto integrato ai processi. Quest’ultimo parametro indica il livello di supporto fornito
dalle applicazioni software ai processi ed alle attività dell’impresa e viene valutato attraverso
due voci: la Copertura applicativa e il Livello di integrazione delle applicazioni. La
Copertura applicativa è determinata in base ai processi supportati da applicazioni software;
può essere limitata ai processi amministrativi, estesa a processi riguardanti il mercato o, nei
casi più evoluti, arrivare a coprire processi trasversali, interdisciplinari e interaziendali. Il
Livello di integrazione delle applicazioni è, invece, valutato in termini di integrazione fra i
processi dell’impresa. Può essere Assente o limitato, come nei casi di patrimoni applicativi
composti da pacchetti di limitata complessità o sviluppati mediante strumenti di informatica
personale che non presentano alcuna integrazione; Intermedio, come nel caso di applicazioni
integrate mediante connettori o sistemi di replica asincrona dei dati; Nativo, come nei casi dei
sistemi gestionali integrati o dei sistemi ad alta copertura funzionale sviluppati interamente ad
hoc.
Viene dunque proposta una classificazione a matrice (Figura 11) che identifica le differenti
tipologie di patrimonio applicativo in base al supporto integrato ai processi. I Pacchetti
elementari sono configurazioni semplici con limitata copertura funzionale e non integrate, le
Isole applicative hanno una copertura funzionale più estesa che può includere anche alcuni
processi esterni ma le applicazioni sono poco integrate tra loro. I Portafogli integrati, invece,
sono sistemi gestionali (ERP internazionali o sistemi ad hoc) che garantiscono una copertura
funzionale completa e un’integrazione tra i processi nativa.
Per valutare la componente flessibilità; viene considerato il livello di aggiornamento,
standardizzazione e diffusione delle applicazioni. La possibilità di evoluzione è, infatti, una
diretta conseguenza del livello di aggiornamento, standardizzazione e diffusione delle
applicazioni dell’impresa.
Nella matrice sono riportati i dati della ricerca dell’Osservatorio sul patrimonio applicativo
delle imprese lombarde nel 2009, mentre i dati tra parentesi si riferiscono alle percentuali
delle imprese italiane.
37
Figura 11 - Matrice di classificazione del patrimonio applicativo (Osservatorio ICT& PMI, 2009)
Dalla matrice si evince che, all’interno delle Isole applicative si possono distinguere due
diverse tipologie di portafogli: i Pacchetti semplici con sviluppo ad hoc che presentano una
bassa flessibilità, ottenuta tipicamente con il trasferimento manuale dei dati e Best Of Breed in
cui la maggior flessibilità è data da connettori software realizzati ad hoc per le importazioni
ed esportazioni di dati. Il cluster Portafoglio integrato si riferisce a sistemi nativamente
caratterizzati da un elevato livello di completezza e integrazione dei processi supportati, anche
se presentano diversi livelli di flessibilità (crescente, passando dallo sviluppo ad hoc al
gestionale verticale, al gestionale nazionale all’ERP internazionale). Il massimo livello di
maturità applicativa è rappresentato dal Portafoglio integrato “esteso” ovvero imprese che
utilizzano come applicazione principale il sistema gestionale, “esteso” attraverso l’utilizzo di
altre applicazioni.
2.4.2 La Maturità infrastrutturale
Per infrastruttura aziendale s’intende l’insieme delle componenti hardware di rete e per le
telecomunicazioni ed i relativi sistemi di base quali sistemi operativi e sistemi per la gestione
dei dati. Tale infrastruttura costituisce la base per l’evoluzione del patrimonio applicativo.
La Maturità infrastrutturale misura il livello di evoluzione dell’infrastruttura ICT dell’impresa
in termini di efficienza, di efficacia e di flessibilità. In particolare, per la determinazione del
livello di maturità dell’infrastruttura ICT sono stati valutati la completezza dell’infrastruttura
ICT, in termini di adeguatezza dei componenti elementari utilizzati (risorse client e server,
centralini basati su tecnologie VoIP, sistemi di storage, sistemi di sicurezza lato server e lato
client, etc.) ed il livello di aggiornamento dei diversi componenti dell’infrastruttura ICT.
38
In Figura 12 è rappresentata la matrice di classificazione delle imprese in base alla Maturità
infrastrutturale. In aggiunta sono visibili i dati sulla distribuzione delle imprese lombarde e
sulla distribuzione delle imprese italiane (dato tra parentesi). I dati sono aggiornati ad una
ricerca dell’Osservatorio del Politecnico del 2009.
Figura 12 - La maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)
Si parla di Infrastruttura embrionale nel caso di un’infrastruttura ICT di base in cui il numero
di servizi erogati è molto limitato. In genere, non sono presenti risorse lato server e
l’infrastruttura di rete supporta esclusivamente la connettività delle postazioni client. I sistemi
di storage sono generalmente assenti, mentre i sistemi di sicurezza sono elementari. Le
infrastrutture mappate come Conservative sono il risultato di un processo evolutivo lento ma
razionale, mirato a mantenere omogeneità e contenere i costi. Si tratta di infrastrutture basate
quasi completamente su tecnologie proprietarie, in cui la completezza e la coerenza dei servizi
possono presentare diversi livelli di evoluzione (in alcuni casi possono essere particolarmente
elevate), ma che manifesta limiti di flessibilità a fronte di necessità future di evoluzione.
Un’Infrastruttura in evoluzione, all’opposto rispetto a quella conservativa, presenta un buon
livello di flessibilità (le componenti tecnologiche sono in buona parte allo stato dell’arte,
anche se in alcuni casi affiancate da sistemi proprietari), ma dal punto di vista della
completezza presenta alcuni limiti. Più nel dettaglio, appartengono a questa categoria due
principali tipologie di infrastruttura:
Infrastruttura patchwork: derivano da un processo di apertura di sistemi proprietari
precedentemente adottati e, quindi, combinano le due tipologie di architettura. Sono
39
architetture complesse, presenti in prevalenza nelle imprese di dimensioni maggiori,
frutto dell’evoluzione nel tempo del sistema informativo aziendale;
Elementari aggiornate: sono basate su architetture aperte (non proprietarie) che,
tuttavia, non hanno ancora raggiunto un adeguato livello di completezza.
Le imprese con il massimo livello di maturità infrastrutturale sono mappate come imprese con
Infrastruttura evoluta. Si tratta di un’infrastruttura completa e aggiornata, in grado, quindi, di
garantire un buon livello di flessibilità rispetto a necessità di cambiamento future. Può
comprendere anche architetture proprietarie ma, nel complesso, l’infrastruttura risulta aperta e
le scelte razionali ed omogenee.
2.4.3 La maturità ICT: una visione d’insieme
Abbiamo spiegato, nei precedenti paragrafi, cosa si intende per maturità infrastrutturale e
maturità applicativa, e fornito i modelli di valutazione per questi due parametri. Ora,
incrociando i due tipi di maturità studiati è possibile classificare le imprese in base alla
Maturità ICT (Figura 13). I dati riportati in figura forniscono un confronto sul livello di
maturità riscontrato nelle imprese Lombarde nel 2009 e quello riscontrato a livello nazionale
(dato tra parentesi)39
.
Figura 13 - Classificazione della Maturità ICT (Osservatorio ICT & PMI, 2009)
39 Osservatorio ICT&PMI, 2009
40
Dalla matrice emergono quattro macro-tipologie di imprese:
Imprese Immature: appartengono a questo gruppo imprese che non hanno particolari
requisiti di intensità informativa da soddisfare e che quindi deliberatamente scelgono
di utilizzare le ICT in modo limitato o imprese poco consapevoli delle opportunità
offerte dalle ICT;
Imprese Miopi o statiche: fanno parte di questo cluster imprese con un patrimonio
infrastrutturale di tipo Patchwork o un’infrastruttura proprietaria obsoleta. Queste
imprese devono fare i conti con i limiti tecnologici che comportano queste tipologie di
infrastrutture, in particolare i vincoli che si presentano nella scelta delle applicazioni
software;
Imprese Impostate: tipicamente le imprese così classificate sono di recente
costituzione; questa configurazione caratterizza un’evoluzione razionale del
portafoglio applicativo. Sono imprese che hanno intrapreso un graduale cammino di
evoluzione del proprio Sistema Informativo;
Imprese Lungimiranti: sono imprese ad alta intensità informativa che hanno
pianificato e realizzato razionalmente il processo evolutivo del proprio Sistema
Informativo e possiedono dunque tutte le caratteristiche per proseguire nella crescita
delle ICT coerentemente alla crescita dei requisiti di business dell’impresa, in
particolare verso l’integrazione esterna.
2.5 Considerazioni di sintesi sui modelli consultati
I modelli descritti in questo capitolo forniscono un set completo di strumenti per analizzare il
livello del governo delle ICT in un’impresa. Il modello della Maturità ICT consente di avere
una precisa fotografia dei Sistemi Informativi allo stato dell’arte e restituisce come output una
classificazione degli stessi. Questo modello non è però sufficiente ad analizzare l’impatto che
le ICT hanno in un’impresa; all’interno del modello non vengono infatti considerate le
competenze degli addetti all’ICT in azienda né la valenza strategica che l’impresa riconosce
all’ICT. I modelli riportati nei paragrafi precedenti riempiono queste mancanze permettendo
di delineare il ruolo specifico della Direzione IT all’interno dell’organizzazione. Il modello
dell’Osservatorio del Politecnico sulla Predisposizione all’innovazione ICT ha come obiettivo
il rilevamento delle condizioni fondamentali affinché un’impresa utilizzi in modo efficiente le
ICT; tuttavia la parte del modello di maggiore interesse ai fini di questa tesi è la tassonomia
delle imprese in base alle competenze della Direzione IT. L’identificazione delle competenze
e la clusterizzazione in base al livello riscontrato nella PMI in esame risulterà, infatti, molto
utile nel modello proposto nel capitolo 4.
Il modello dello Strategic alignment, invece, è molto utile per capire la valenza strategica
delle ICT a livello teorico ma comporta alcune difficoltà nell’applicazione al caso pratico.
Tali difficoltà sorgono non tanto per quanto riguarda l’Integrazione funzionale, che può in
41
qualche modo essere ricondotta ad una copertura funzionale dei processi, quanto per lo
Strategic fit che impone l’allineamento tra strategia di business e strategia IT. Cosa s’intende
per strategia IT? Chi sono gli attori che la definiscono? Qual è il processo decisionale
standard? La difficoltà nel rispondere a queste domande associate ad un caso di PMI italiana
sorge dal fatto che il modello non è pensato specificatamente per le PMI (come invece lo sono
gli altri modelli del capitolo) ma per imprese di grandi dimensioni dove i processi decisionali
sono maggiormente definiti e standardizzati, così come tutta la struttura aziendale, e queste
domande trovano più facilmente risposta. Il modello risulta comunque utile per comprendere
la rilevanza che l’IT assume nei processi decisionali dell’impresa ma va applicato ad un
livello più alto rispetto a quello previsto dagli autori, in modo da cogliere l’influenza dell’IT
nei processi decisionali anche se questa non è formalizzata. Il modello della Maturità ICT è
un modello di assessment circoscritto all’analisi as-is dei Sistemi Informativi di un’impresa:
questa caratteristica lo rende coerente con gli obiettivi del modello presentato nel Capitolo 4
dove, infatti, troverà impiego senza necessità di particolare reinterpretazioni.
2.6 L’ICT è ancora una risorsa strategica?
L’articolo di Carr40
ha scatenato un acceso dibattito sul ruolo strategico dell’ICT; il processo
evolutivo delle governance (i cui principali modelli sono stati analizzati nei paragrafi
precedenti) ha evidenziato un peso sempre maggiore dell’ICT nelle scelte strategiche delle
aziende. Tuttavia Carr, nel suo articolo, sostiene l’ipotesi che la pervasività delle tecnologie e
la loro conseguente omogeneizzazione ha condotto ad una situazione in cui le tecnologie sono
sì fondamentali nella gestione del business, ma non rappresentano più una discriminante in
grado di assicurare un vantaggio competitivo solido e difendibile nel tempo. Le tecnologie,
quindi, si sono ridotte, secondo l’autore, al ruolo di commodity. Ciò è accaduto soprattutto a
causa del notevole abbassamento dei prezzi di accesso alle tecnologie, che ha consentito ad un
numero sempre maggiore di organizzazioni di accedere a risorse che un tempo erano
disponibili solo a pochi leader. Carr risponde direttamente anche a chi sostiene che il
differenziale delle ICT non sia nel possesso della tecnologia ma nel suo utilizzo; afferma,
infatti, che anche le best practice legate all’impiego delle ICT nelle organizzazioni sono
diventate facili da replicare e quindi non più differenziali.
Tra i pareri più autorevoli, nel dibattito sul ruolo strategico delle ICT, troviamo Brown e
Hagel III. Nel loro contributo41
affermano che per ottenere valore dalle ICT è necessario
innovare i propri processi di busines;, sarebbe, infatti, una perdita di valore inserire l’ICT nei
40 Carr, 2003
41 Brown, Hagel, 2003
42
processi senza considerare le opportunità di miglioramento che le tecnologie offrono.
Affermano inoltre che il motivo per cui l’ICT viene, da alcuni, considerato una commodity, è
la mancanza d’informazione sui vantaggi che un corretto utilizzo dell’ICT può portare. Il
ruolo fondamentale dell’ICT è, infatti, quello di abilitare nuove pratiche e nuove opportunità,
all’impresa spetta il compito di trovarle e utilizzarle per differenziarsi.
Trova consensi anche una replica di Nolan & McFarlan’s42
per la quale le affermazioni di
Carr sono valide; il vantaggio dell’innovazione ICT non è difendibile nel lungo periodo ma
comunque tale da concedere al first mover un importante vantaggio nel breve periodo.
Il dibattito evidenzia, a prescindere dall’adesione alle diverse fazioni, che il ruolo dell’ICT
nell’organizzazione è giunto ad un fondamentale punto di svolta. Clienti e fornitori di questo
mercato sono dunque chiamati a mutare il proprio atteggiamento. Agli utenti di soluzioni e
servizi ICT è richiesta un’analisi più approfondita dei reali bisogni tecnologici delle proprie
imprese e degli impatti che le soluzioni ICT porterebbero una volta implementate. Ai fornitori
di soluzioni ICT è invece richiesto di rileggere la propria posizione sul mercato, soprattutto in
riferimento al ruolo di supporto nei confronti del cliente.
Si può dunque sostenere che le scelte ICT non si giustificano di per sé, ma che si motivano
solo in funzione del loro stretto legame al business, alle strategie ed alla cultura dell’impresa.
42 Nolan, McFarlan, 2003
43
3. Capitolo 3
3. I Sistemi Informativi aziendali
Questo capitolo ha l’obiettivo di fornire una fotografia rispetto all’attuale offerta tecnologica
in termini di strumenti, metodologie e applicazioni che l’ICT mette a disposizione delle
imprese per il supporto delle attività e dei processi aziendali.
Nella prima parte si ripercorreranno i passi fondamentali che hanno trasformato le attività e il
modus operandi delle imprese in questi ultimi sessant’anni, grazie proprio alla progressiva
introduzione dell’ICT, con un’accelerazione particolare nell’ultimo decennio. Tale evoluzione
è significativa soprattutto dopo la comparsa di internet, poiché le aziende hanno “aperto le
porte” a fornitori e partner esterni, accrescendo notevolmente il numero di relazioni da gestire.
A seguire si introdurranno alcune metodologie, ampiamente condivise in letteratura, per
analizzare la struttura e la composizione dei SI presenti in azienda. Tali metodologie offrono
utili linee guida alle fasi di assessment tecnologico necessarie per la rilevazione del supporto
fornito ai processi operativi. In questa fase verranno approfondite le caratteristiche dei sistemi
gestionali, tra cui gli Enterprise Resource Planning (ERP), includendo nella trattazione anche
i pacchetti applicativi a supporto del business, che costituiscono ormai l’offerta degli ERP a
supporto all’azienda estesa.
Infine si illustreranno i trend principali che stanno avendo sempre più successo e che saranno
fondamentali per rimanere competitivi nell’attuale sistema economico, sempre più dinamico e
turbolento.
44
3.1 Il percorso evolutivo dell’ICT
Il mondo dell’informatica, seppur si possa ritenere una disciplina scientifica abbastanza
recente (risale, infatti, al 1953 presso lo University of Cambridge Computer Laboratory con il
nome di Diploma in Numerical Analysis & Automatic Computing)43
, ha subito profonde
rivoluzioni, in termini di importanza e frequenza, che nessun altro settore ha mai visto in un
arco di tempo così ristretto.
Lo dimostra anche il fatto che in questi decenni è cambiato frequentemente il modo di
definire tutte le teorie, i modelli e le pratiche susseguitesi in questi ultimi 60 anni di
evoluzioni. Oggi si preferisce identificare con ICT, acronimo di Information &
Communication Technology, l'insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi
di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni (tecnologie digitali comprese),
espressione sempre più spinta verso la convergenza in un unico grande ambito
dell'informatica e delle telecomunicazioni, sia pure con obiettivi e compiti ancora separati: la
prima sul piano applicazioni, la seconda sul piano infrastrutturale44
.
La domanda che sorge spontanea allora è: che cosa, dagli anni ’50 a oggi, è cambiato e in che
modo queste innovazioni hanno influito sulle aziende e sulle persone? Dare una risposta a
questo quesito è l’obiettivo e la sfida di questo capitolo.
Per analizzare tale evoluzione è utile partire dallo studio che Richard L. Nolan e C. Croson
pubblicarono45
sulla prestigiosa rivista di Harvard. I due ricercatori sostengono che dalla
nascita dell’IT ad oggi si possono distinguere tre “momenti” principali (l’Era Data
Processing, l’Era Micro e l’Era Network), durante i quali le imprese hanno assimilato tre
forme diverse di IT nelle varie funzioni dirigenziali. Secondo gli autori, le aziende hanno
sperimentato tre “curve a S” di apprendimento, ciascuna caratterizzata da un target
particolare, per quanto riguarda il mercato e il paradigma applicativo.
Durante quella che è stata definita l’era del trattamento dei dati, dal 1955 al 1970, l'attenzione
si è concentrata sull’automatizzazione dei sistemi di elaborazione delle transazioni manuali, in
quella dei microcomputer, dal 1970 al 1990, si fece leva sui lavoratori professionali (ad es.:
ingegneri, analisti finanziari e dirigenti) al fine di utilizzare i computer per accedere,
analizzare e presentare i dati. Entrambi questi orientamenti applicativi, automazione e ciò che
è stato definito come “informazione”, aveva un focus e un target di riferimento interno.
43 Gambino, 2009
44 Leggio, 2001
45 Nolan, Croson, 1995
45
L'era della rete, invece, dal 1990 circa, è una conseguenza diretta della fusione delle
tecnologie informatiche con quelle di telecomunicazioni. L’integrazione tra le aziende di
queste tecnologie permise la formazione di un nuovo modo di lavorare, più adatto alla
concorrenza del mercato globale.
L’IT si è diffusa inesorabilmente in ogni angolo delle organizzazioni. In alcuni casi, ha
completamente sostituito attività eseguite inizialmente da dipendenti (es.: buste paga,
fatturazione, posta, etc.), in altri, invece, ha cambiato o migliorato interi processi aziendali
(es.: progettazione nuovo prodotto, gestione del rapporto col cliente, assistenza post vendita,
attività di marketing, pianificazione della produzione, etc.). Per molte organizzazioni le
applicazioni informatiche (alcune delle quali sviluppate internamente, ma la maggior parte
acquistate e implementate da fornitori esterni) sono divenute un requisito indispensabile per
svolgere le attività correnti e per aprire nuove opportunità di business.
Per completare lo studio di Nolan e Croson è necessario descrivere cosa è cambiato in questi
sedici anni, ovvero dalla pubblicazione del modello ad oggi, periodo in cui si è entrati in una
nuova epoca: l’Era Internet. Se prima le connessioni tra le aziende e le varie funzioni
aziendali erano centralizzate secondo un preciso schema punto-a-punto (es.: EDI, Mainframe,
etc.), oggi la realtà è ben diversa. Il confine, infatti, si è così allargato che è uscito dalla
singola azienda, spostandosi su una architettura distribuita, dove i dati, gli utenti, le
applicazioni e le aziende stesse sono parte di un'unica rete interconnessa a 365 gradi con il
mondo intero: il World Wide Web. Infatti, se i nodi che costituiscono la rete sono n, allora
tutti gli utenti che ne fanno parte possono potenzialmente comunicare con ognuno di essi, con
un numero di connessioni possibili pari a
, poiché fanno parte tutti della stessa rete:
Internet.
Figura 14 - Rielaborazione del modello “Three S-shaped learning curves” (Nolan e Croson, 1995)
46
In Figura 14 è illustrata graficamente l’evoluzione dell’ICT dalle origini ad oggi, così come è
stata presentata nel modello di Nolan e Croson, con l’introduzione della quarta era e
includendo inoltre la trasformazione che le tecnologie dell’informazione hanno impresso alla
struttura organizzativa aziendale. Si possono distinguere, infatti, quattro tipologie di struttura
aziendale, che sono caratteristiche di ogni era:
1. Gerarchia centralizzata: nata principalmente dall’economia industriale e basata su una
gran quantità di forza lavoro nettamente separata dal top management. In questo caso
l’IT ha avuto un ruolo prettamente operativo/produttivo, piuttosto che di condivisione
e collaborazione. Il modello dominante, infatti, si fonda sui principi del controllo
gerarchico e della gestione centralizzata delle informazioni: il “sapere tecnologico”,
ovvero la gestione degli strumenti, è presidio di un numero ristretto di specialisti (i
cosiddetti “colletti bianchi”) ai quali è dato il potere di stabilire “cosa si può e cosa
non si può”. All’utente (“colletti blu”) è di fatto negata la possibilità di accedere alla
gestione del dato, ma può al massimo richiedere la presentazione delle informazioni
elaborate altrove, da un calcolatore centrale, attraverso un cosiddetto “terminale
stupido”, privo cioè di logica computazionale propria, ma utilizzato solamente come
periferica di input/output delle istruzioni.
2. Organizzazione a diamante: orientata alle funzioni aziendali, dove è presente un
nuovo strato intermedio di collegamento tra i “colletti bianchi” e quelli “blu”, ovvero i
“knowledge worker”. Il termine fu coniato per la prima volta nel 1969 da Peter
Drucker, nel suo libro “The Age of Discontinuity”, intendendo con esso “colui che
lavora principalmente con le informazioni o chi sviluppa e usa la conoscenza
nell’ambiente di lavoro” 46
. È questa l’era in cui avviene il trasferimento top-down
delle informazioni aziendali per essere utilizzate e rielaborate secondo il modello dello
“Stand Alone”. Dalla fine degli anni ’60, infatti, i terminali iniziano a diventare
“intelligenti, ovvero dotati di una propria capacità di elaborazione, rispondendo al
bisogno di una maggior autonomia nella gestione dei dati e del know-how aziendale.
La maggior accessibilità ai dati e agli strumenti per la loro gestione sensibilizza
maggiormente l’attenzione delle aziende nei confronti di una più diffusa conoscenza
dell’IT. Cambia dunque la percezione che si ha delle due aree del sapere, quella
manageriale e quella tecnologica, che non possono più essere considerate come due
realtà distinte e lontane. Tecnologia e strategia hanno, infatti, bisogno di comunicare
per perseguire gli obiettivi comuni; il manager ha la necessità di interagire con il
46 Drucker, 1969
47
personale tecnico per lavorare in modo più efficace ed efficiente, secondo le proprie
esigenze e le proprie aspettative, al fine di ottenere prestazioni migliori.
3. Organizzazione a matrice: si sposta il focus dell’organizzazione, che non è più
incentrato sulle singole funzioni aziendali, ma si predilige adottare una modalità di
lavoro orientata più ai processi, che alle singole Business Unit. Nella seconda metà
degli anni ottanta questo metodo di lavoro fu adottato anche grazie alla possibilità di
connettere in rete i personal computer distribuiti all’interno dell’organizzazione. La
modalità che si diffuse maggiormente all’interno delle imprese fu l’architettura
client/server, che offrì sia una maggior autonomia decisionale all’utente finale, sia una
concreta possibilità di crescita alle aziende con meno risorse finanziarie, che non
potevano permettersi i costosissimi Mainframe. Ma la Rete che conosciamo oggi,
nella forma aperta e mai realmente controllabile, inizia a diffondersi dai primi anni ’90
con l’esplosione del fenomeno Internet e delle Web Technologies. Tale espansione ha
accelerato il processo di integrazione tra tecnologia e strategia aziendale, reso d’altra
parte sempre più complesso, e mai ben definito a priori, dalla frequente introduzione
sul mercato di nuovi prodotti e servizi, sviluppati da molteplici aziende.
4. Organizzazione a stella: l’ultima Era, che è quella in cui ci troviamo ora, rappresenta
di fatto un cambiamento meno netto e radicale rispetto all’evoluzione tecnologica in
sé, poiché figlia di successive innovazioni incrementali. La vera dicotomia risiede
nell’ulteriore trasformazione ed evoluzione che le imprese si trovano ad affrontare,
costrette a riorganizzarsi velocemente per adattarsi alle necessità del business. Perdono
sempre più importanza le attività di standardizzazione dell’organizzazione, di
realizzazione di mansionari e di creazione di organigrammi con posizioni lavorative
fisse, poiché utili solamente a livello teorico ma che, dal lato pratico, non trovano un
riscontro effettivo. Le strutture pesanti, gerarchizzate e lente a riorganizzarsi faticano,
oggi, a rimanere sul mercato mantenendo un adeguato livello di profitto. Le piccole-
medie imprese che, invece, adottano strutture più snelle e flessibili, rese possibili dai
recenti mezzi di comunicazione, collaborazione e condivisione, fanno del networking
la vera forza per competere sul mercato nazionale e internazionale. Si predilige il
lavoro in team interdisciplinari, costituiti ad hoc per rispondere al meglio ai bisogni
provenienti dal mercato, piuttosto che strutturarsi solamente su processi e prodotti
prestabiliti. Questa modalità operativa permette di ridurre il TTM (Time-To-Market),
rimanendo ancor più competitivi e flessibili nel soddisfare le esigenze del mercato
moderno, sempre più incerto e mutevole. Il flusso del lavoro, inoltre, esce e rientra
dall’organizzazione più volte, facendo sparire il confine tra ciò che è impresa e ciò che
non lo è. Vengono coinvolte contemporaneamente più Business Unit alla volta e la
collaborazione intra ed extra aziendale è ormai fondamentale per rimanere competitivi
sul mercato, dato l’utilizzo sempre maggiore di outsourcing, conto lavoro, terzisti,
subappaltatori, etc. Il flusso segue una sua logica e “corre” in un’unica direzione ed è
48
compito delle imprese adeguare e preparare la struttura a riorganizzarsi velocemente.
Il concetto di gestione accentrata delle informazioni ed elaborazione dei dati è oggi
totalmente ribaltato. La logica dell’interconnessione, che rende tutti gli individui nodi
di un’unica Rete, impone un ripensamento del ruolo dell’Information &
Communication Technology all’interno delle aziende. La tecnologia non è più solo
uno strumento attraverso il quale l’azienda ricerca una più efficace gestione delle
proprie attività (ovvero una risposta alle sue esigenze di governo della complessità
interna, obiettivo che ha nella grande diffusione dei sistemi di Enterprise Resource
Planning la sua principale dimostrazione), ma diventa anche la leva attraverso la quale
l’azienda ripensa in maniera radicale il modo in cui gestisce il proprio business,
rileggendo la propria catena del valore disgregandola e riaggregandola in modalità del
tutto nuove.
Descrizione di un sistema informativo
Nell’era dei personal computer e di Internet le informazioni da gestire sono sempre più
innumerevoli, sia nelle organizzazioni complesse, che in quelle di dimensioni inferiori. Saper
governare, controllare e utilizzare efficacemente il know-how presente all’interno e
all’esterno della propria impresa, può essere uno dei differenziali competitivi su cui
un’impresa può far leva. Sia che si tratti di imprese di servizi o di prodotto, le informazioni
sono diventate una risorsa fondamentale per il funzionamento delle organizzazioni, poiché
permetto di pianificare/controllare le attività, documentare/condividere le operazioni e
programmare/valutare le prestazioni.
I Sistemi Informativi (SI) hanno trovato il loro scopo proprio in queste fasi del processo
produttivo, fornendo gli strumenti adeguati per automatizzare l’acquisizione, l’elaborazione e
l’archiviazione delle informazioni. Prima di procedere con l’analisi di quest’ultimi è
necessario distinguere il Sistema Informativo dal sistema informatico, che “è solo una
porzione dei SI, in quanto è costruito dalle sole applicazioni informatiche destinate a
elaborare le informazioni utilizzate nel funzionamento delle organizzazioni”(Bracchi, Francalanci,
e Motta 2005).
A questo punto, per analizzare e comprendere i diversi aspetti di un Sistema Informativo, è
necessario esaminare le componenti da più punti di vista, a seconda delle unità organizzative
interessate, delle funzionalità ricoperte o dei sistemi Hardware e Software che li compongono.
Si farà riferimento al Modello dei Sistemi Informativi proposto per la prima volta nel 2005 da
G. Bracchi, C. Francalanci e G. Motta.
49
Figura 15 - Modello dei Sistemi Informativi (Bracchi, Francalanci, Motta, 2005)
Il modello che si andrà a presentare, riassunto sinteticamente in Figura 15, definisce alcuni
elementi fondamentali per la progettazione di un Sistema Informativo aziendale.
L’implementazione di un SI, infatti, riflette vari ordini di scelte, che devono essere
complementari e sinergiche tra loro, a partire dalle decisioni strategiche fino a quelle più
specifiche di HW e SW, passando per le caratteristiche funzionali che tale sistema deve
soddisfare.
Modello Organizzativo
Il primo ramo da esaminare del modello schematizzato in Figura 15 è sicuramente quello del
Modello Organizzativo, non per importanza relativa rispetto agli altri due (egualmente
rilevanti), ma per ordine logico con il quale si dovrebbe affrontare tale analisi. Questo perché
nella pratica comune si è soliti iniziare dal prodotto finito che un fornitore tenta di proporre,
individuando successivamente le funzionalità che potrebbero essere utili al cliente e solo in
ultima analisi si identificano gli utenti dell’organizzazione che lo utilizzeranno.
A volte questo modo di operare può portare dei benefici concreti, quando ad esempio si vuole
uniformare un proprio processo a qualche Best Practice riconosciuta a livello internazionale.
Il più delle volte, invece, è una metodologia che risulta, purtroppo solamente alla fine,
completamente errata e che porta al fallimento del progetto stesso.
Per portare a termine con successo, invece, un cambiamento o un miglioramento del proprio
Sistema Informativo, si dovrebbe individuare dapprima l’area di intervento e le persone
coinvolte, andando successivamente a individuare le attività che necessitano un
50
miglioramento dal punto di vista funzionale e solo alla fine individuare quale sia
l’applicazione o il sistema, tra i vari disponibili sul mercato, che meglio risponda alle
conclusioni tratte dalle due analisi precedenti.
Figura 16 - Organizzazione aziendale e attività tipiche di una impresa manifatturiera (Porter, 1985)
Fatta questa doverosa premessa, si illustra il modello a partire da una tipica organizzazione
aziendale di una industria manifatturiera, rappresentabile con un organigramma
esemplificativo delle gerarchie e delle aree di competenza (Figura 16). Come
precedentemente illustrato nel Paragrafo 3.1, oggigiorno questa descrizione aziendale ha
confini molto più labili rispetto a qualche decennio fa, a causa delle recenti tecnologie che
spostano il confine aziendale al di fuori dell’azienda stessa. Ciò è vero maggiormente nelle
società di servizi, un po’ meno in quelle di prodotto, dove i processi operativi sono
quantomeno ben definiti.
Le attività aziendali, invece, possono essere ancor oggi rappresentate come furono analizzate
da M. Porter nel 1985, nel noto schema della catena del valore47
. Anche se il modo di lavorare
di oggi è sensibilmente diverso da quello di vent’anni fa, le tipiche operazioni aziendali
possono essere facilmente ricondotte a questa suddivisione. Di conseguenza anche i SI che
sono stati sviluppati negli anni integrano e governano sia le attività di supporto (Infrastruttura
47 Porter, 1985
51
dell’impresa, Gestione delle risorse umane, Sviluppo della tecnologia e Approvvigionamenti),
che i processi primari (Logistica interna, Produzione, Logistica esterna, Marketing e Vendite
e Servizio post-vendita).
Come riportato all’inizio di questo paragrafo, a seconda del livello organizzativo che si
considera nell’analisi, deve cambiare l’approccio da adottare e i sistemi da implementare. Una
buona distinzione è fornita dal modello della Piramide Manageriale48
presentato da Robert
Anthony, nel quale ogni organizzazione può essere vista come un'entità più livelli, ove
ognuno rappresenta un diverso livello di controllo. Inoltre, il livello inferiore ha un ambito
diverso di dati richiesti e una vista dell’organizzazione meno estesa rispetto a quello
superiore. Infatti, più è alto il livello, più le funzioni aziendali diventano interconnesse tra
loro, fino ad arrivare al vertice aziendale, dove la visione dell’organizzazione è globale e
percepita come un flusso continuo di dati. In Figura 17 è schematizzata la piramide con la
distinzione per ogni livello gerarchico la tipologia di SI da adottare: Analitici, Direzionali e
Operativi.
Figura 17 - Piramide di Anthony e SI (Anthony, 1965)
Le caratteristiche di ognuno possono essere così riassunte:
SI Operativi: supportano la pianificazione e l’esecuzione delle attività operative, sia
primarie che di supporto, e sono orientati alla elaborazione dei dati. Gli input sono
specifici e derivano dagli eventi delle attività correnti; mentre i flussi gestionali
passano attraverso l’organizzazione dall’alto verso il basso, la maggior parte dei flussi
informativi viaggiano in senso contrario. A livello operativo tutto il lavoro si verifica a
causa di una transazione o in una risposta alla gran quantità di dati esterni da inserire o
al compimento di altre attività interne che hanno provocato un cambiamento di stato.
48 Anthony, 1965
52
Il destinatario principale dei dati è il livello operativo, di conseguenza le applicazioni e
i sistemi rivolti a questo gruppo sono, necessariamente, limitati. Il livello operativo è
principalmente orientato all’elaborazione e al compito, piuttosto che alle funzioni.
Ogni area operativa orientata in verticale può includere al livello più basso molte
applicazioni specializzate. L'area può avere un grado di automazione qualsiasi e può
essere integrata in se stessa in qualsiasi grado. Queste aree operative sono state le
prime ad essere sistematizzate e di solito sono anche quelle più facili da
automatizzare. Le loro attività sono particolarmente adatte alla proceduralizzazione e
sono solite avere un alto grado di standardizzazione e di regolamentazione definita a
priori.
SI Direzionali: i livelli manageriali o amministrativi controllano e organizzano non
solo le azioni della società sulla base di input organizzativi, ma svolgono anche
l'attività di vigilanza volta a garantire il corretto funzionamento dell’azienda stessa. Il
livello gestionale controlla anche le performance di lavorazione e di qualità ed è
responsabile dell'attuazione tattica delle politiche e delle indicazioni ricevute dal
livello strategico. Il livello gestionale, a differenza di quello operativo, è orientato alle
funzioni e ai processi. I dati gestionali sono più fluidi e limitati rispetto al livello
gerarchicamente inferiore, ove le persone dipendono maggiormente dai dati
quantitativi. I dati gestionali e amministrativi, invece, provengono quasi
esclusivamente da fonti interne e riflettono la salute operativa della società. I SI
Direzionali controllano le operazioni quotidiane e possono essere utilizzati sia a livello
di sintesi, che di dettaglio. Nella maggior parte dei casi i dati vengono estratti da
report operativi, con una frequenza inferiore rispetto al livello sottostante (Figura 18).
Figura 18 - Interazione tra i SI Operativi e quelli Direzionali (Ficagna, 2006)
SI Analitici: hanno come obiettivo la presentazione rielaborata dei dati aziendali sulle
performance economico/operative della azienda (Figura 19). I requisiti informativi
derivano da eventi passati e da attività esterne, in modo tale da fornire la più ampia
visione possibile della società. Il livello strategico è il responsabile globale della
politica e della direzione aziendale ed è principalmente orientato alle funzioni
piuttosto che ai singoli processi/attività. In questo caso i sistemi più comuni rientrano
53
sotto il nome di Business Intelligence (approfonditi successivamente nel Paragrafo
3.4) che operano utilizzando tecniche quali ETL, Datawarehouse, statistica classica,
profilatura/segmentazione, Data/Text Mining, etc. In questo modo i dati strategici
sono altamente concentrati, contenendo solamente quei pochi dettagli fondamentali
che focalizzano l’attenzione sulle leve a disposizione del Top Management. Spesso le
informazioni sono riassunte da indicatori sintetici, i cosiddetti Key Performance
Indicators (KPI), presentati attraverso cruscotti visivi che indicano la salute operativa
dell'azienda e che permettono di confrontare velocemente le alternative disponibili. La
gran parte dei dati a questo livello è di natura finanziaria e riguarda direttamente i
bilanci e i risultati economici dell'azienda. Dati strategici sono quindi un mix di
informazioni generate internamente per essere utilizzate come benchmark quantitativi
con i propri competitors e con l'economia nazionale/internazionale nel complesso.
Figura 19 - Interazione tra i vari livelli aziendali (Ficagna, 2006)
Modello Funzionale
Il modello funzionale descrive nel dettaglio le esigenze gestionali di elaborazione della
informazione a cui rispondono i SI. Tale modello definisce “che cosa” il SI deve fare, a
prescindere dalla sua implementazione informatica, cioè dal “come”) e si suddivide in tre
prospettive:
Modello dei processi: descrive per ciascuna procedura il flusso delle attività aziendali
che il SI supporta, per informatizzare i processi gestionali, ovvero i cicli di attività
attraverso cui una organizzazione opera. Un processo gestionale è definibile, in prima
approssimazione, come un flusso di attività collegate. In maniera più precisa e
54
articolata, un processo gestionale può essere definito come una successione di attività
(flusso), svolte da una o più organizzazioni in una o più località, che utilizzano una
gamma di risorse (materie prime, persone, informazioni, impianti, etc.), su oggetti
materiali (oggetti fisici) e/o immateriali (oggetti informativi), che risponde alle
richieste di servizio o prodotto di uno o più clienti, producendo uno o più prodotti e/o
servizi materiali e/o immateriali. Le caratteristiche elencate definiscono la
configurazione di un processo e, inoltre, permettono di classificare i processi rispetto
ad una serie di punti di vista rilevanti per i SI: complessità, localizzazione e materialità
degli oggetti. La complessità del processo può essere considerata proporzionale al
numero di attività e alle relazioni fra le attività. La inter-aziendalità del processo
rispecchia il numero delle organizzazioni coinvolte. La localizzazione distingue fra
processi locali, interamente svolti in una sola località e processi de-localizzati, le cui
attività svolte sono distribuite su più sedi. La materialità degli oggetti distingue fra
processi fisici e processi informativi. Per la modellazione di un processo gestionale è
solitamente utilizzato il diagramma delle attività in UML (Unified Modeling
Language), poiché permette di descrivere, in un linguaggio semplice e standardizzato,
ogni procedura funzionale corrispondente ad una porzione di processo come una
sequenza di task e di decisioni che specificano quando e come tali task vengono
eseguiti. In Figura 20 è rappresentata la modellazione di un processo di “Gestione
degli acquisti e approvvigionamento” utilizzando tale linguaggio. Il diagramma
utilizza frecce orientate per specificare la direzione del flusso delle attività all’interno
del processo e inoltre tramite le cosiddette “swimlanes” permette di associare le
attività all’attore che ne è direttamente responsabile. È possibile, inoltre, rappresentare
i punti di decisione, detti “branch”, tramite rombi in cui il processo, a fronte di
controlli su specifiche variabili o in corrispondenza di un evento, decide quale flusso
percorrere tra quelli alternativi.
Figura 20 - Esempio diagramma delle attività
55
Modello dei casi d’uso (Use-Case): definisce i requisiti delle singole elaborazioni,
specificando le procedure da informatizzare e le loro interazioni con attori e sistemi
coinvolti. Sono impiegati soprattutto nel contesto della Use Case View (vista dei casi
d'uso) di un modello e, in tal caso, si possono considerare come uno strumento di
rappresentazione dei requisiti funzionali di un sistema. Tuttavia, non è impossibile
ipotizzare l'uso degli UC in altri contesti; durante la progettazione, per esempio,
potrebbero essere usati per modellare i servizi offerti da un determinato modulo o
sottosistema ad altri moduli o sottosistemi. In molti modelli di processo software
basati su UML, la Use Case View e gli Use Case Diagram che essa contiene
rappresentano la vista più importante, attorno a cui si sviluppano tutte le altre attività
del ciclo di vita del software (processi del genere prendono l'appellativo di processi
Use Case Driven).
Modello dei dati: individua i dati scambiati e manipolati nelle diverse attività e
definisce la struttura e i contenuti della base dati. Il modello, detto anche relazionale, è
un modello logico di rappresentazione dei dati implementato su sistemi di gestione di
basi di dati (DBMS), detti perciò sistemi di gestione di basi di dati relazionali
(RDBMS). Esso si basa sulla teoria degli insiemi e sulla logica del primo ordine ed è
strutturato attorno al concetto di relazione (detta anche tabella). Per il suo trattamento
ci si avvale di strumenti quali il calcolo relazionale e l'algebra relazionale. Venne
proposto da Edgar F. Codd nel 1970 per semplificare la scrittura di interrogazioni sui
database e per favorire l’indipendenza dei dati; venne reso disponibile come modello
logico in DBMS reali nel 1981. Oggi è uno dei modelli logici più utilizzati,
implementato su moltissimi DBMS sia commerciali che open source. L'assunto
fondamentale del modello relazionale è che tutti i dati sono rappresentati come
relazioni e manipolati con gli operatori dell'algebra relazionale o del calcolo
relazionale. Il modello relazionale consente al progettista di database di creare una
rappresentazione consistente e logica dell'informazione. La consistenza viene ottenuta
inserendo nel progetto del database appropriati vincoli, normalmente chiamati schema
logico. La teoria comprende anche un processo di normalizzazione in base al quale
viene selezionato tra le diverse alternative lo schema maggiormente “desiderabile”. Il
piano di accesso e altri dettagli operativi vengono gestiti dal motore del DBMS e non
dovrebbero trovare spazio nello schema logico: questo è in contrasto con la pratica
corrente in molti DBMS di ottenere miglioramenti delle prestazioni attraverso
modifiche dello schema logico. La struttura base del modello relazionale è il dominio
o tipo di dato, definito come l'insieme dei valori che può assumere un determinato
attributo. Una tupla è un insieme non ordinato di valori degli attributi. Un attributo è
una coppia ordinata di "nome di attributo" e "nome di tipo", mentre un valore di
attributo è un valore specifico valido per quel tipo di dato. Una relazione consiste di
una testata e di un corpo, dove la testata è un insieme di attributi e il corpo è un
56
insieme di n tuple. La testata di una relazione è anche la testata di ciascuna delle sue
tuple. La tabella è la rappresentazione grafica normalmente accettata per rappresentare
la relazione. Il principio base del modello relazionale è che tutte le informazioni siano
rappresentate da valori inseriti in relazioni (tabelle); dunque un database relazionale è
un insieme di relazioni contenenti valori e il risultato di qualunque interrogazione (o
manipolazione) dei dati può essere rappresentato anch'esso da relazioni (tabelle).
Modello Informatico
Rispetto alla Figura 15, che rappresenta il modello complessivo dei Sistemi Informativi, sono
state fin qui descritte due delle tre componenti che lo caratterizzano, ovvero il modello
organizzativo, che definisce le caratteristiche del SI sulla base degli utenti e dei loro requisiti
informativi, e quello funzionale, che stabilisce le funzionalità da realizzare per soddisfare le
richieste.
A questo punto si pone l’attenzione sull’ultimo ramo rappresentato, ovvero il modello
informatico, che si pone l’obiettivo di descrivere “come” i SI sono realizzati. Nell’ambito di
tale modello si distinguono due punti fondamentali:
Modello applicativo: descrive l’architettura del software applicativo, che
concettualmente può essere scomposto in tre strati (layer o tier) fondamentali: lo
strato di presentazione, che gestisce l’interfaccia utente e il dialogo con quest’ultimi,
lo strato delle regole, che gestisce i calcoli, le operazioni e i controlli che devono
essere eseguiti dal sistema e infine dallo strato dei dati, che gestisce le strutture
destinate ad ospitare i dati e le operazioni di accesso a quest’ultimi.
Modello tecnologico: si focalizza sull’infrastruttura fisica di supporto alle elaborazioni
e si distingue in architetture hardware e di rete. Tale modello deve rispondere ad una
serie di requisiti non funzionali del SI quali il tempo di risposta (tempo per
visualizzare la risposta ad una operazione), la disponibilità (percentuale di tempo con
sistema in servizio e utilizzabile), carico (elaborazioni e utenze concorrenti che il
sistema è in grado di sopportare), scalabilità (possibilità di incrementare il carico a
costi contenuti), sicurezza (protezione del sistema rispetto ad azioni volte a impedirne
il funzionamento, sottrarne indebitamente le informazione, manipolarne il
funzionamento o i dati), etc.
3.2 Mappatura dei SI aziendali
Come ogni organizzazione umana le imprese sono realtà molto complesse, di non facile
scomposizione e di difficile “mappatura”. A questa ovvia regola generale non si sottraggono
le informazioni ed i sistemi chiamati ad organizzarle. Nell'impresa digitale sono molti i
Sistemi Informativi che supportano le attività necessarie al funzionamento dei processi: dai
57
sistemi di posta elettronica, all'automazione della produzione, dalla gestione della fatturazione
ai sistemi di gestione della relazione con il cliente.
In definitiva, prima ancora della scelta relativa al migliore software tra i vari ERP, PLM,
CRM, e così via, ci si dovrebbe domandare quali siano i software a disposizione e quali
compiti essi assolvano. Il fattore chiave è capire esattamente come si articolano i Sistemi
Informativi, al fine di poter pianificare e progettare in modo consapevole i propri sistemi.
Le suddivisioni e le interpretazioni che si possono dare ad un SI sono molteplici e tutte
fondamentali, come visto nel Paragrafo 3.1, ma generalmente parlando si riducono a tre filoni
interpretativi: economico, tecnico e organizzativo. Il primo tipo di analisi si concretizza
nell'esame dei bisogni che spingono un'impresa a dotarsi degli strumenti informatici, l’aspetto
tecnico delinea le componenti del sistema e come queste saranno utilizzate e, infine, la
componente organizzativa studia i processi e le risorse necessarie.
Come è facilmente intuibile, non è possibile supportare tutte le attività, le funzioni e i processi
visti nel Paragrafo 3.1, con un unico grande software. La presenza di molte applicazioni
nell’azienda, che permettono di realizzare processi su domini diversi, devono allo stesso
tempo poter interagire fra loro, sia nel contesto interno dell’azienda, che con partner esterni e
a volte anche fra sedi diverse della stessa società. Storicamente, infatti, le aziende si sono
dotate di una molteplicità di strumenti che, col tempo, hanno avuto la necessità di cooperare e
comunicare, creando inevitabilmente la cosiddetta “spaghetti architecture” (Figura 21). Con
questo termine si identifica un tipico SI composto da una struttura complessa, che connette
piattaforme e applicativi di vendor diversi tra loro e con basi di dati separate, ma che devono
poter operare sugli stessi set di dati.
Figura 21 - Esempio di una architettura a spaghetti (Storr, 2007)
L’utilizzo di comunicazioni Point-to-Point, di protocolli non standard e la realizzazioni di
interfacce non omogenee, portano inevitabilmente a una sovrapposizione funzionale e ad un
58
maggiore costo sia delle evoluzioni che della normale manutenzione dell’architettura
complessiva. Questi elementi comportano ad aumentare la complessità del SI, che risulta
ancora più complesso nel momento in cui si necessita una razionalizzazione o una descrizione
degli elementi che compongono l’architettura globale dell’azienda. Inoltre rende più difficile
il lavoro dei dipendenti che si trovano a dover interagire e apprendere sistemi differenti tra
loro, rendendone difficoltoso il capire “cosa succede” quando si vogliono tracciare i processi
che coinvolgono più componenti, anche a causa di una documentazione assente o
insufficiente.
In questo decennio, per risolvere totalmente o parzialmente questi problemi, si è ricorsi ad una
architettura che si è largamente diffusa nella creazione dei moderni Sistemi Informativi
aziendali: la Service Oriented Architecture (SOA). Una SOA è progettata per il collegamento
a richiesta di risorse computazionali (principalmente applicazioni e dati), per ottenere un dato
risultato per gli utenti, che possono essere utenti finali o altri servizi. L'OASIS
(Organizzazione per lo sviluppo di standard sull'informazione strutturata) definisce la SOA
così: “un paradigma per l'organizzazione e l'utilizzazione delle risorse distribuite che possono
essere sotto il controllo di domini di proprietà differenti. Fornisce un mezzo uniforme per
offrire, scoprire, interagire ed usare le capacità di produrre gli effetti voluti consistentemente
con presupposti e aspettative misurabili”.
In sostanza è una un'architettura software (Figura 22) che consente di supportare l'uso di
servizi Web per garantire l'interoperabilità tra diversi sistemi, in modo da consentire l'utilizzo
delle singole applicazioni come componenti del processo di business e soddisfare le richieste
degli utenti in modo integrato e trasparente. Questa architettura consente quindi di pensare
all'interconnessione tra soggetti economici, come le aziende, come un processo dinamico, non
predeterminato.
Figura 22 - Architettura di riferimento di una SOA (Mainetti, 2010)
59
3.2.1 Introduzione: gli Enterprise Systems
Gli Enterprise Systems (ES) sono l’insieme degli applicativi che compongono il sistema
informatico dell’azienda, con il compito di supportare le attività operative (transazionali)
dell’azienda. Più precisamente, sono composti da applicazioni software, più o meno integrate
tra loro, che utilizzano risorse computazionali, di memorizzazione e di trasmissione dei dati
delle moderne tecnologie informatiche a supporto dei processi di business, dei flussi
informativi, della reportistica e dell’analisi dei dati. Solitamente si confondono (o meglio si
equiparano) gli ES con gli Enterprise Resource Planning (ERP), a causa dell’espansione di
quest’ultimi in termini di importanza e di copertura funzionale, poiché riescono a supportare
la maggior parte dei processi aziendali. In realtà con il termine ES si intendono non solo la
suite ERP (approfondita successivamente nel Paragrafo 3.3), ma anche quegli applicativi più
o meno “stand alone” che supportano particolari processi in determinate attività/settori (Office
Automation, CNC, CAD, etc.).
Gli ES, o meglio gli Information Systems, possono essere suddivisi in 6 macro categorie
(Figura 23):
Executive Support System (ESS): sono dei sistemi di reporting che permettono di
trasformare i dati dell’organizzazione in riassunti utili report. Quest’ultimi sono
generalmente usati dal Top Management aziendale per accedere velocemente alle
informazioni provenienti da tutti i livelli e le Business Unit dell’organizzazione,
contenenti rapporti sullo stato delle vendite, sulla contabilità dei costi, sul personale,
sulla concorrenza, sul mercato e altro ancora. Oltre a rielaborare e a presentare in
maniera aggregata i dati, alcuni ESS forniscono anche delle proiezioni su una serie di
performance e risultati derivanti dagli input inseriti dal decisore.
Management Information System (MIS): producono rapporti fissi e programmati
regolarmente sulla base dei dati estratti e sintetizzati dai sistemi di transazione (TPS),
per i dirigenti di livello medio e talvolta per le unità operative, al fine di fornire
risposte tempestive a problemi decisionali strutturati e semi-strutturati. Possono
includere software che aiutano nel processo decisionale, database, project management
e tutti quei sistemi automatici che permettono al reparto di operare in modo efficiente.
Decision Support System (DSS): si riferisce ai sistemi automatici interattivi che
prelevano e presentano i dati provenienti da un ampio range di risorse per permettere
al management di prendere decisioni nei vari dipartimenti; utilizzando strumenti di
simulazione, analisi degli scenari, tecniche “what-if”, ottimizzazione delle scelte, serie
storiche, correlazioni, data mining, etc.
Knowledge Management Systems (KMS): esistono per aiutare le aziende a creare e
condividere le informazioni. Questi sono tipicamente utilizzati nei settori dove la
creazione e la conservazione di nuove conoscenze e competenze risulta essere un
60
fattore chiave di successo. Non solo facilitano la generazione di nuove idee, ma
permettono di condividerle con le altre persone dell'organizzazione, di creare ulteriori
opportunità commerciali e di poter essere riutilizzate nel tempo. Buoni esempi sono
studi di avvocati, commercialisti e consulenti aziendali. I KMS sono costruiti attorno a
sistemi che consentono una categorizzazione e una distribuzione efficiente della
conoscenza. Quest’ultima, ad esempio, può essere contenuta in documenti di testo,
fogli di calcolo, presentazioni di PowerPoint, pagine Internet o su qualsiasi altro DB
aziendale. Per connettere tutte queste risorse è necessario una Intranet a disposizione
dei dipendenti dell’azienda.
Office Automation Systems (OAS): sono sistemi che cercano di migliorare la
produttività dei dipendenti che hanno bisogno di elaborare dati e informazioni.
L’esempio migliore è la vasta gamma di pacchetti software che esistono supportare le
tipiche attività che si svolgono in un ufficio, dei quali in più diffuso è sicuramente la
suite Microsoft Office.
Transaction Processing System (TPS): permettono di automatizzare e rendere più
efficienti procedure quotidiane quali l'emissione di fatture, la gestione delle presenze
del personale, il controllo delle movimentazioni a magazzino, la contabilità generale,
l’aggiornamento e la manutenzione delle anagrafiche, la stampa della documentazione
di trasporto, etc. Sono sistemi pensati per il personale operativo e tendono ad
automatizzare i processi semplici e standardizzati; tant’è vero che nelle PMI si tende
ad esternalizzare alcune di queste attività, quali la gestione delle paghe, per ridurne i
costi.
Figura 23 - Tipologie di Information Systems (Ficagna, 2006)
61
Anche in un mondo in cui si sta andando sempre più verso la convergenza digitale, si è visto
come ad una azienda non possa bastare un singola applicazione su una singola architettura,
ma è necessario un insieme coerente e integrato di soluzioni tecnologiche. Spesso, infatti, è
proprio il livello di integrazione dei dati aziendali a far la differenza tra una gestione efficace
e efficiente delle informazioni e una poco produttiva.
Oramai i trend dettati dai grandi vendor sono quelli di fornire piattaforme già capaci di
integrare e interagire nativamente con i sistemi più diffusi in commercio, attraverso linguaggi
standard di comunicazione e interfacciamento (XML, HTTP, API, etc.). Spesso, però, tali
sistemi sono prerogativa delle grandi imprese, in quanto necessitano sia di investimenti
importanti che di una struttura IT interna adeguata per il mantenimento dei SI aziendali
(fattore non irrilevante per quanto riguarda le PMI). Le società di dimensioni inferiori ai 250-
500 dipendenti preferiscono evolvere per gradi ed implementare progressivamente parti di
soluzioni più complesse, dette moduli.
Un modulo è un insieme di funzionalità implementate mediante software che supportano una
fase del processo aziendale. I moduli sono a loro volta classificati in due tipi, orizzontali e
verticali (Figura 24). I primi sono generalmente invarianti rispetto al settore e, infatti,
supportano tutte quelle attività definite come staff nella classificazione di Porter (ad es.:
contabilità, bilancio, controllo di gestione, HR, cespiti, etc.); quelli verticali, invece, sono
solitamente specifici per ciascun settore e ricoprono tutte le fasi principali della
trasformazione dell’input in output, identificabili come line (ad es.: produzione, marketing,
magazzino, logistica, etc.).
Figura 24 - Moduli ES (Ficagna, 2006)
Questa mappatura, inoltre, è solitamente usata per rappresentare la copertura di un SI o per
confrontare tra loro due o più soluzioni alternative, andando ad esempio ad individuare quali
funzionalità/moduli sono presenti o meno nelle varie applicazioni analizzate (Figura 25).
62
Figura 25 - Copertura e confronto di ES (Ficagna, 2006)
3.2.2 La segmentazione degli Enterprise Systems
La segmentazione degli ES può essere a scopo conoscitivo, per analizzare le esigenze
informative di una azienda o di un gruppo di imprese di un dato settore, o per confrontare le
offerte di ES da parte dei player del mercato. Individuare i vari moduli, inoltre, ha anche una
finalità progettuale, per definire una strategia di evoluzione nel tempo dei propri Sistemi
Informativi, oppure a scopo di benchmark, per paragonare tra loro soluzioni ES alternative e
individuare il pacchetto che meglio si adatta alle esigenze attuali e future (software selection).
Esistono numerose metodologie per definire la segmentazione del proprio portafoglio
applicativo e tra queste si riportano:
Business System Planning (BPS): metodo per analizzare, definire e disegnare
l’architettura dell’informazione di una organizzazione. Fu per la prima volta proposto
da IBM nel 1971, inizialmente a uso interno e successivamente proposto ai propri
clienti, al fine di identificare fabbisogni, funzionalità e aree di intervento. Il risultato di
un progetto di BSP è una tabella di marcia che permette di allineare gli investimenti
tecnologici alla strategia di business, attraverso la realizzazione di matrici che mettono
in relazione elementi diversi dell’organizzazione e/o del sistema informativo.
o Vantaggi: è un metodo “completo” e articolato (analisi dei sistemi), coerente
con l’impostazione “dall’organizzazione al sistema informativo”. L’input è
chiaro e ben definito e l’output è utile per tradurre immediatamente l’analisi in
termini progettuali. È possibile applicare il modello con diversi gradi di
dettaglio, a seconda del perimetro di analisi, ad esempio al sistema completo di
un’azienda oppure alle singole porzioni o applicazioni. Si analizza il sistema
63
attuale mettendolo in relazione con gli obiettivi di medio/lungo termine (analisi
statica);
o Criticità: approccio “costoso”, in quanto molto approfondito e caratterizzato da
un processo analitico lungo e articolato. Risulta essere troppo oneroso per un
progetto di mappatura del SI o di software selection, è più adatto ad una
progettazione di dettaglio di un SI proprietario. Si riscontra una difficoltà
nell’analizzare contesti indeterminati e non definisce un percorso evolutivo per
arrivare al risultato finale.
Modello del Portafoglio Applicativo (PA): segmenta gli ES delle imprese industriali,
incrociando le fasi del ciclo di trasformazione (dalla logistica in ingresso fino
all’assistenza post-vendita) con la tipologia dei processi operativi (pianificazione e
esecuzione). Il confronto tra queste due classificazioni individua la griglia del
portafoglio applicativo, che di conseguenza permette di identificare la mappa degli ES
aziendali esistenti e/o potenzialmente impiegabili (Figura 26). i moduli ES, le fasi
rispecchiano il ciclo di trasformazione delle imprese industriali (progettazione,
approvvigionamenti, produzione, distribuzione), mentre le attività operative
rispecchiano il ciclo di pianificazione e esecuzione tipiche di quasi tutti i settori
industriali.
Figura 26 - Modello del Portafoglio Applicativo (Ficagna, 2006)
Modello SCOR (Supply Chain Operation Reference): fornisce una mappa di
riferimento per i processi inter-aziendali lungo la Supply Chain, ovvero la catena di
fornitura che coinvolge più aziende per la trasformazione da materie
64
prime/semilavorati a prodotti finiti. Questo modello definisce una classificazione delle
diverse modalità di gestione della Supply Chain (derivati dall’analisi di numerosi casi
aziendali), a vari livelli di dettaglio (Figura 27):
o Top Level: classificazione dei macro-processi della Supply Chain (plan,
source, make, deliver, return, enable);
o Configuration Level: specializzazione dei macro-processi, scegliendo quali
applicare tra le possibili alternative (es: il macro-processo “make” può essere
gestito in modalità: “Make To Order”, “Make To Stock” o “Engineering To
Order”);
o Process Element Level: descrizione di alto livello dei processi indicati al
livello 2; a questo livello vengono anche identificate le esigenze di Sistemi
Informativi, mediante identificazione dei moduli ES necessari per supportare i
processi identificati;
o Implementation Level: non è normato dal modello SCOR, in quanto specifico
della singola azienda e della singola Supply Chain.
Figura 27 - Modello SCOR (Bracchi, 2010)
Best Practices: invece di analizzare puntualmente i processi della singola azienda è
possibile utilizzare, come “base di partenza”, le metodologie operative adottate dalle
aziende leader nel settore di appartenenza, le cosiddette Best Practices, utilizzando le
relative mappe di riferimento dei i moduli ES implementati. I processi e le mappe ES
65
relative alle Best Practice possono eventualmente essere adattate “per differenza” alle
caratteristiche della singola realtà aziendale. Le Best Practice sono tipicamente
proprietarie delle società di consulenza, poiché hanno una vasta visibilità sui processi
e un portafoglio clienti molto diversificato, riuscendo così a coglierne i pregi da
ciascuno e a mettere a “fattor comune” le eccellenze.
Mappe dei fornitori di package: i principali produttori di software per le aziende
propongono mappe analoghe ai modelli illustrati precedentemente (SCOR, PA, etc.),
per descrivere l’offerta dei moduli ES a disposizione. Queste rappresentazioni sono
spesso utilizzate per posizionare le varie soluzioni, ma non danno le garanzie di
oggettività delle mappe realizzate da soggetti indipendenti, a causa dell’influenza
commerciale che vogliono perseguire.
Queste metodologie sono utili per condurre l’analisi dei requisiti funzionali e applicativi di
un’impresa, sia per rappresentare lo stato attuale, sia per definire la strategia evolutiva del
Sistema Informativo aziendale (cfr. Paragrafo 3.3). Nei Capitoli 5 e 6, dove verranno illustrati
i casi studio, si utilizzeranno uno o più modelli di quelli sopra riportati per realizzare la mappa
degli ES dell’impresa in esame e per studiare i processi che supportano.
3.2.3 Il portafoglio applicativo delle imprese manifatturiere
Nel paragrafo precedete è stata data la definizione di moduli ES, distinguendo tra quelli
verticali e quelli orizzontali. In questa sezione si vuole porre l’attenzione sul settore
manifatturiero che, com’è noto, comprende una gamma molto ampia di tipologie aziendali,
spaziando dai produttori di automobili e frigoriferi, alle industrie aeronautiche ed elettriche,
passando per i fabbricanti di componenti meccanici. Questa eterogeneità interna dal punto di
vista della varietà di settori, presenta tuttavia delle omogeneità e delle caratteristiche comuni
quali la struttura della catena del valore, che può essere rappresentata da una griglia che
incrocia le fasi standard della catena del valore con i livelli di elaborazione delle informazioni
delle informazioni. Gli incroci tra fasi e livelli decisionali individuano le potenziali
opportunità di applicazione dell’informatica (Tabella 2).
66
Progettazione e
Industrializzazione Approvvigionamenti Fabbricazione
Distribuzione
e Vendita
Analisi
strategica e
ambientale
Osservatorio
tecnologico Marketing e acquisti (irrilevante) Marketing
Pianificazione Piano dei progetti Piano degli acquisti Piano della
produzione
Previsioni di
vendita
Gestione dei dati
tecnici
Archivio disegni
Distinta base di
progettazione
Anagrafica fornitori
Distinta base di
produzione
Anagrafica
impianti
Cicli lavorazione
Portafoglio
clienti
Catalogo
prodotti
Programmazione
operativa
Pianificazione
progetti
Programmazione
forniture
Programmazione
stabilimenti
Programmazione
logistica
Schedulazione Schedulazione
progetti e reparti
Schedulazione delle
consegne e solleciti
Schedulazione
dei reparti
Schedulazione
dei trasportatori
Flusso degli
ordini Schede di lavoro
Gestione ordini ai
fornitori
Gestione ordini
alla produzione
Gestione ordini
dei clienti
Flusso dei
materiali e
operazioni
Gestione laboratori
Ricezione e collaudo
Magazzini MP
Conto lavoro
Gestione stock
Avanzamento
della produzione
Spedizioni e
trasporto
Magazzini
prodotti finiti
Tabella 2 - La griglia del portafoglio applicativo di una tipica azienda manifatturiera (Bracchi, 2005)
Lo scopo generale dell’informatizzazione dei processi operativi è l’integrazione dei processi
sia orizzontale (vendite con produzione, produzione con fornitori), sia verticale
(pianificazione delle operazioni con il controllo di avanzamento delle operazioni). Lo
strumento fondamentale dell’integrazione sono stati, e continuano ad esserlo, i sistemi MRP-
ERP e i sistemi CIM.
Qui di seguito verrà illustrata sinteticamente l’impalcatura logica del portafoglio operativo di
una impresa manifatturiera, considerando sia le fasi e i processi sopra riportati, che i livelli di
elaborazione delle informazioni (pianificazione delle operazioni, elaborazione delle
transazioni e gestione dei dati tecnici). In questo modo è possibile ripercorrere brevemente sia
l’evoluzione dei sistemi a supporto di tali attività che il livello di integrazione che hanno
raggiunto, sia internamente che esternamente, rispetto ai confini aziendali.
La catena del valore è articolata nei seguenti macro-processi:
Ciclo di sviluppo: che comprende le fasi attraverso cui sono progettati e
industrializzati i prodotti e i processi produttivi;
Ciclo di trasformazione: attraverso cui l’azienda risponde agli ordini dei clienti,
attraverso gli approvvigionamenti, la fabbricazione e la vendita e distribuzione dei
prodotti.
67
Ciascuno di questi processi comprende attività di livello decisionale, finalizzate alla
pianificazione e al controllo delle operazioni e attività a livello esecutivo, finalizzate
all’esecuzione delle operazioni. A queste è necessario aggiungere un terzo livello, unicamente
informativo, di attività finalizzate alla gestione dei dati tecnici aziendali, quali anagrafiche sui
prodotti, processi tecnologici, portafoglio fornitori e clienti, etc. Tali informazioni sono
trasversali e condivise da più processi, ma ciascuno di questi livelli di attività è caratterizzato
da un profilo informativo specifico e costituisce perciò un livello di elaborazione delle
informazioni. Se per quanto riguarda i primi due livelli la trattazione da settore a settore è
abbastanza similare, è necessario approfondire in questa sezione la gestione dei dati tecnici,
poiché caratteristica del settore in esame.
Le anagrafiche solitamente risiedono in sistemi più o meno complessi di Data Warehouse, dal
puro foglio di calcolo in Excel ai DBMS evoluti dei vari produttori quali Oracle, IBM,
Microsoft, etc. Lo scopo principale di questi sistemi è quello di condividere queste
informazioni tra le risorse aziendali, in termini sia di persone che di applicazioni, evitando le
isole di automazione che non comunicano tra loro. In ambito manifatturiero la principale
risorsa da gestire è sicuramente la distinta base, ovvero la cosiddetta Bill Of Material (BOM)
in inglese, a partire dalla creazione in fase di progettazione fino alla conservazione per
l’assistenza post-vendita, passando per la BOM di produzione. Essa specifica l’ossatura del
prodotto scomponendolo nelle sue parti più elementari secondo la sequenza con cui è
fabbricato/assemblato e serve come riferimento per beni strutturalmente complessi, per i quali
è necessario documentare la descrizione e la gerarchia dei componenti (Figura 28). La distinta
base, infatti, contiene anche informazioni descrittive, come testi di commento, grafici, disegni
tecnici e illustrazioni. Le informazioni contenute in essa vengono riorganizzate a seconda
della destinazione di utilizzo e in particolare si possono identificare tre tipologie standard: la
distinta di progettazione, i cicli di lavorazione e il catalogo prodotti. Questi tre elementi hanno
in comune l’origine dei dati, ma presentano a chi li utilizza informazioni diverse per
permettergli di svolgere la propria attività.
68
Figura 28 - Schema orientativo di una distinta base di prodotto (Martawirya, 2008)
A questo punto è facile comprendere come la gestione di queste informazioni, in maniera
univoca all’interno della stessa azienda (o gruppo di imprese), diventa mission critical ed è
per questo che l’avvento delle basi dati uniche o integrate negli ERP ha permesso la
sincronizzazione dei dati aziendali, riducendo drasticamente il rischio di errori e migliorando
la produttività.
L’informatizzazione delle applicazioni operative nelle aziende manifatturiere ha una storia di
oltre cinquant’anni. Inizialmente sono state sviluppate procedure su misura, incentrate
sull’automazione di singole attività produttive e solo successivamente, verso gli anni settanta,
si sono diffusi i pacchetti MRP I (Material Requirements Planning) per la pianificazione del
fabbisogno dei materiali a partire dalla distinta base. Negli anni ottanta si sono evoluti in
MRP II (Manufacturing Resource Planning), che riceve in input dall’MRP I gli ordini ed i
cicli di produzione e fa una analisi a capacità finita, ovvero verifica che il fabbisogno di ore di
produzione sia per il lavoro umano che per quello delle macchine non superi la disponibilità.
In tal modo si ottiene un piano di produzione più fattibile e realistico, rendendo operativa e
funzionale la risposta alla domanda di mercato. Lo scopo di questa tecnica è la pianificazione
degli acquisti e della produzione, tenendo conto dei vincoli di risorse presenti nello
stabilimento, come ad esempio la forza lavoro e le macchine.
Infine, negli anni novanta, hanno preso piede i pacchetti più estesi, ovvero gli ERP
(Enterprise Resource Planning), che integrano in una soluzione tutti i processi di business
rilevanti di un'azienda; nel Paragrafo 3.3 verrà approfondita questa soluzione applicativa,
largamente utilizzata sia dalle imprese italiane e che da quelle straniere.
L’automazione di fabbrica, che include l’automazione fisica delle operazioni e l’informatica a
supporto della pianificazione delle operazioni, è l’obiettivo del CIM (Computer Integrated
69
Manufacturing), che non corrisponde in realtà ad un pacchetto, ma rappresenta uno schema di
riferimento concettuale (Figura 29) per lo sviluppo di un approccio unitario alla gestione della
produzione che è precondizione per l’implementazione di pacchetti ERP.
Figura 29 - Computer Integrated Manufacturing (CIM) (Waldner, 1992)
La crescente attenzione al cliente ha promosso lo sviluppo dei sistemi CRM (Customer
Relationship Management), che sono finalizzati ad abbattere i costi di transazione tra azienda
e cliente. Nel caso delle aziende manifatturiere i sistemi CRM supportano, in parziale
sovrapposizione con i sistemi ERP, i processi di vendita via web, il call center, gli agenti e
alcuni processi di assistenza post-vendita; nel Paragrafo 3.4 verrà approfondita questa
funzionalità, unitamente ai sistemi di BI (Business Intelligence), diventati sempre più
indispensabili per rimanere sul mercato con continuità.
Un’altra attività che ha sicuramente beneficiato dell’evoluzione dei Sistemi Informativi,
soprattutto nell’industria di prodotto e di processo, è la fase di progettazione, che influenza in
modo determinante le prestazioni delle aziende manifatturiere. I sistemi ad oggi disponibili
possono essere riuniti in tre famiglie principali: Computer-Aided Design (CAD), Computer-
Aided Engineering (CAE) e Computer-Aided Manufacturing (CAM); nel Paragrafo 3.4 questi
applicativi verranno presentati in maniera dettagliata.
Da ultimo, non per importanza ma per cronologia, l’entrata di Internet nelle aziende ha
favorito lo sviluppo di sistemi di UC&C (Unified Communication & Collaboration). In
ambito manufacturing la maggior penetrazione si è registrata nelle attività di
approvvigionamento, con l’introduzione di sistemi quali eProcurement e eSourcing,
unitamente ad una vasta gamma di applicazioni riconducibili sotto il termine di eBusiness; nel
Paragrafo 3.5 verranno illustrati questi trend in continua evoluzione, alcuni già affermati altri
in rapida ascesa.
70
3.3 I sistemi gestionali: gli ERP
La crescente consapevolezza dei grandi vantaggi derivanti dall’integrazione del software ha
favorito la nascita e la diffusione, soprattutto fra le grandi aziende manifatturiere, dei sistemi
Enterprise Resource Planning (ERP). L’acronimo ERP è stato coniato agli inizi degli anni
novanta dal Gartner Group per indicare una suite di moduli applicativi integrati che
supportano l’intera gamma dei processi di un’impresa. Questi sistemi sono composti da un
insieme di moduli software, integrati più o meno nativamente tra loro, che supportano la
pianificazione e il controllo di tutte le risorse di un’impresa (umane, impiantistiche,
finanziarie e materiali), integrando sia il ciclo operativo che quello amministrativo delle
aziende.
Le suite ERP sono caratterizzate da una serie di elementi distintivi. In primo luogo le
soluzioni ERP supportano la catena del valore dell'impresa, che include sia le attività primarie
di produzione e vendita di beni e servizi, sia le attività di supporto al core business aziendale,
come la gestione amministrativa e delle risorse umane. In secondo luogo, il supporto è
integrato, ovvero la stessa base dati è condivisa da tutti i moduli che compongono le soluzioni
ERP. Non sono quindi classificabili come ERP alcuni software diffusi nelle piccole e medie
imprese, in quanto coprono solo una parte della catena del valore e sono spesso frutto di
personalizzazioni e aggregazioni “spot” di singoli pacchetti applicativi per la maggior parte
indipendenti tra loro.
Il vantaggio fondamentale degli ERP, invece, è quello fornire una piattaforma unica e
integrata, che permetta il completo controllo dell'impresa da tutti i punti di vista. Come verrà
illustrato successivamente, il governo dell’azienda a 360° porta vantaggi strategici rilevanti e
qualche volta decisivi. Una suite ERP è un sistema software piuttosto ampio e dal punto di
vista funzionale è necessario distinguere tre livelli: suite, modulo, funzione. Le suite indicano
un certo numero di moduli, ciascuno dei quali informatizza un processo aziendale (o una sua
parte). Per esempio, un generico modulo Magazzino Materie Prime informatizza le operazioni
di quel magazzino (ricezione merce, collaudo, arrivo, versamento, inventario e altre
transazioni). Ogni modulo comprende un certo numero di funzioni, che tipicamente servono le
attività elementari di un processo aziendale. Per esempio, la registrazione di un prelievo dal
magazzino è una funzione del modulo magazzino materie prime che serve appunto l'attività di
prelievo. Lo scopo di questo paragrafo è evidenziare le caratteristiche distintive della suite
ERP. In primo luogo si considera brevemente la mappa funzionale e, successivamente, si
esaminano alcuni elementi dei software ERP. In terzo luogo si considera l'evoluzione dei
sistemi ERP e la trasformazione che possono favorire nelle imprese.
71
Uno schema generale della suite ERP è in Figura 30, dove la suite ERP è rappresentata da uno
schema a T49
. I moduli settoriali sono la gamba della T, in quanto rappresentano la
verticalizzazione delle applicazioni in ogni singolo settore industriale. La barra è formata dai
moduli intersettoriali, in quanto orizzontali rispetto ai settori industriali, e dai moduli
extended, che integrano l’azione degli ERP verso i mondi dei clienti e dei fornitori. Lo
schema riporta anche un sommario elenco dei titoli dei principali moduli, che sono illustrati
qui di seguito.
Figura 30 - La mappa della suite ERP (Bracchi, 2010)
I moduli core intersettoriali, qui evidenziati in arancione, sono sostanzialmente invarianti
rispetto ai singoli settori industriali; in generale, informatizzano le attività aziendali di
supporto. I moduli istituzionali, così detti in quanto riflettono la regolamentazione pubblica,
servono le attività amministrative, come la contabilità civilistica, la contabilità gestionale e la
finanza aziendale, e la gestione delle risorse umane, che include sia le procedure contabili
delle paghe sia i processi di gestione e sviluppo del personale. I sistemi direzionali
comprendono una serie di moduli che servono i processi, appunto, di conduzione manageriale
dell’impresa, come la pianificazione strategica, la programmazione ed il controllo del budget,
l’analisi dei costi e, più in generale, il reporting aziendale. Sono intersettoriali, in quanto
trasversali ai settori industriali, anche i moduli applicativi che pianificano e controllano le
attività dei progetti ed elaborano la contabilità degli investimenti. Fra i moduli intersettoriali
49 Bracchi, 2010
72
includiamo anche il portale aziendale. Apparso alla fine degli anni Novanta, offre un accesso
via Web alle informazioni aziendali. L’alta uniformità dei moduli intersettoriali ha favorito
l’industrializzazione dell’offerta ERP in termini di qualità/costo; per contro, il cuore del
sistema informativo aziendale, quindi il mercato maggiore, è dato dai moduli settoriali.
Le suite settoriali, evidenziate in rosso, comprendono normalmente i moduli che supportano
le attività primarie dell’azienda, tipiche del settore; sono molto diversificate, poiché riflettono
le peculiarità d’ogni settore. Nella Figura 30 è esemplificata, in sintesi estrema, la suite del
settore automobilistico. Essa comprende una serie di moduli, che servono i processi
d’approvvigionamento, produzione e vendita ai livelli di pianificazione, gestione degli ordini,
attività fisiche. La suite del settore automotoristico è diversa da quella del settore elettrico,
che invece comprenderà moduli per la programmazione e controllo dei lavori (allacciamenti,
nuovi impianti, dismissioni etc.) e per la bollettazione. Le suite settoriali sono numerose (per
esempio il vendor SAP ne elenca una ventina) ed è conseguentemente elevato il costo
sostenuto dai vendor per concepirle, realizzarle e mantenerle nel tempo. Non
sorprendentemente, l’effettiva completezza delle suite settoriali è piuttosto variabile. In
generale, è massima nel settore automotoristico, terra d’origine degli ERP, mentre è più
limitata in altri settori, come banche o pubblica amministrazione, dove le suite includono
ancora un limitato numero di moduli.
L’extended ERP è formato da una serie di moduli, evidenziati in arancione in Figura 30, che
gestiscono le transazioni interaziendali e, più in generale, l’interazione fra più aziende o fra
una singola azienda e clienti o fornitori. In generale, queste suite supportano il ciclo di vita del
prodotto (PLM, Product Lifecycle Management), la catena d’approvvigionamento (nota come
SCM, Supply Chain Management), le interazioni con il cliente (CRM, Customer Relationship
Management), l’E-Procurement e forniscono infrastrutture informatiche ai cosiddetti Market
Place. Queste suite sono apparse sul mercato a partire dal 1995 come applicazioni
indipendenti e separate dagli ERP core; con gli anni 2000, sono state integrate. Valore
distintivo dello schema ERP extended è l’integrazione fra transazioni interaziendali e
transazioni interne. Per esempio, le suite ERP core sono integrate con i moduli CRM, che
gestiscono i canali di contatto con il cliente (call center, internet, agenti, negozi).
L’integrazione fra CRM ed ERP core assicura l’effettiva esecuzione delle richieste del cliente
(p.e. l’ordine di un’automobile, raccolto dai sistemi CRM, è programmato e controllato dai
sistemi ERP core che gestiscono la produzione e la distribuzione). In altri termini, i sistemi
CRM e, in generale, i sistemi d’interazione formano il front end della azienda verso clienti e
fornitori, mentre i sistemi ERP core formano il back-end.
Nel Paragrafo 3.4 verranno trattati questi applicativi, illustrandone le principali caratteristiche
e alcuni dati di mercato significativi, mentre in questa sezione si approfondiranno gli aspetti
degli ERP core.
73
La classificazione dei sistemi gestionali
I sistemi ERP possono essere classificati in più categorie50
, a seconda del livello di supporto
integrato ai processi e al livello di flessibilità delle applicazioni. In particolare è possibile
identificare sei tipologie di sistemi gestionali, dal più integrato e flessibile a quello più
elementare:
ERP internazionali: si tratta di applicazioni caratterizzate da un’elevata copertura
funzionale realizzata attraverso moduli, ovvero insiemi di funzionalità destinate a
supportare uno specifico processo o funzione aziendale (quali ad esempio
l’amministrazione, la produzione, la logistica, etc.), che condividono un’unica base
dati. In tale modo l’integrazione tra le varie funzionalità è garantita. Sono realizzate da
software house internazionali, in grado quindi di acquisire esperienza sulle modalità
migliori di lavoro delle aziende, le cosiddette best practice, e di codificarla nelle
modalità di utilizzo delle funzionalità del software.
Gestionali nazionali: si tratta di applicazioni che garantiscono un buon livello di
supporto integrato ai processi, anche se in generale non al livello degli ERP
internazionali. Sono realizzati principalmente da software house nazionali, anche se
alcune di esse fanno oggi parte di gruppi internazionali, che, sebbene non abbiano
accesso ad un casistica di studio così ampia come nel caso dei fornitori di ERP
internazionali, conoscono molto bene la realtà nazionale e sono quindi in grado di
fornire un prodotto altamente localizzato al contesto (si pensi alle specificità dei
processi nei settori tessile, alimentare o arredo italiani, alle particolarità normative,
etc.).
Gestionali verticali: si tratta di applicazioni che presentano un’elevata
personalizzazione, in termini di tipologie di informazioni gestite, funzionalità messe a
disposizione, tipologie di interfacce, per un determinato settore industriale. Sono
spesso derivati da ERP internazionali o gestionali nazionali e rappresentano una
soluzione utile per le imprese che operano in contesti molto particolari e che sono
interessate a contenere i tempi e i costi di adattamento del software gestionale
all’impresa durante la fase di introduzione.
Sistemi sviluppati ad hoc: si tratta di applicazioni software sviluppate per soddisfare le
esigenze dell’impresa. Possono essere realizzate interamente ex novo o a partire da un
nucleo di funzionalità di base di un prodotto gestionale. In relazione alla modalità di
realizzazione, possono essere sviluppate internamente all’impresa o da parte di una
50 Mainetti et al., 2006
74
software house. Anche se queste soluzioni garantiscono la maggiore rispondenza alle
specifiche esigenze delle imprese, sono di frequente realizzate su tecnologie
proprietarie e non allo stato dell’arte, determinando spesso vincoli all’evoluzione
futura, in termini di sviluppo di nuove funzionalità o di integrazione con altre
applicazioni.
Pacchetti semplici: sono applicazioni in grado di supportare un numero limitato di
funzionalità (ad esempio, le funzionalità amministrative), basate su tecnologie
relativamente allo stato dell’arte e sono realizzate da società di informatica locali o da
Software Vendor nazionali. Rappresentano solitamente il primo passo di
implementazione per le imprese di dimensioni inferiori. Nel caso emerga l’esigenza di
ampliare la copertura funzionale, tali applicazioni vengono spesso completate
mediante sviluppo ad hoc di nuove funzionalità.
Il paradigma ERP
La suite ERP rispecchia una precisa concezione del sistema informativo aziendale e presenta
tre caratteristiche distintive, che identificano che cosa è definibile come suite ERP. Queste
proprietà messe insieme formano il seguente paradigma funzionale51
:
Unicità dell’informazione: gli ERP sono caratterizzati da una base dati unica. Unica
fisicamente od unificata attraverso un comune repository dei dati e servizi di replica
automatica, memorizza i dati condivisi intorno alla quale ruotano i moduli. La base
dati unica è una conquista sostanziale degli ERP che ha molti ed importanti vantaggi.
In primo luogo, l’aggiornamento unificato delle basi dati abilita la sincronizzazione di
processi gestionali interdipendenti: p.e. l’arrivo di un materiale al magazzino aggiorna
la situazione delle scorte, degli ordini ai fornitori e della contabilità dei fornitori,
dando ai corrispondenti processi un’informazione unica e sincronizzata. Ciò non è
possibile nelle tradizionali architetture ad isole, dove le basi dati sono separate e i dati
comuni sono sincronizzati attraverso periodici processi d’allineamento o addirittura
attraverso aggiornamenti manuali, con notevoli possibilità di errore nel data entry.
Nell’architettura ad isole, le informazioni sullo stesso oggetto (cliente, fornitore o
materiale) sono temporalmente sfasate e ridondanti: il mancato pagamento di un
cliente può non essere notificato in tempo alla gestione degli ordini, così che la
situazione del cliente alla gestione degli ordini contrasta con quella della contabilità
clienti. In secondo luogo, l‘architettura ERP certifica l’informazione e ne garantisce la
tracciabilità: ogni evento di un processo, per esempio la gestione di un magazzino, è
51 Bracchi, 2010
75
testimoniato da un documento, per esempio una bolla di prelievo, che è
specificatamente registrato nella base dati; ogni evento gestionale si riflette in una
variazione di stato della base dati e la variazione è certificata da un documento. Infine,
l’unicità della base dati a livello operativo favorisce, in modo del tutto naturale,
l’unicità dei dati per la direzione aziendale. L’unicità è ottenuta attraverso
l’integrazione verticale dell’informazione operativa e dell’informazione manageriale.
L’integrazione verticale si basa su un Data Warehouse, che memorizza i dati,
aggregati e trasformati, estratti dalla base dati operativa (e da altre fonti). I dati sono
elaborati da una suite di applicazioni, dette SEM (Strategic Enterprise Management)
od EPM (Enterprise Performance Management), che assistono il management nella
formulazione della strategia, nel budgeting, nell’analisi dei risultati. L’integrazione
rende disponibili informazioni sintetiche univoche (in quanto basate su dati operativi
univoci ed unici), con un vantaggio rilevante per il management. Come molti studi
hanno notato, la qualità dei dati è fra i vantaggi più apprezzati delle soluzioni ERP.
Estensione e modularità funzionale: grazie all’estensione molto ampia, la suite ERP si
propone come soluzione di riferimento per il sistema informativo aziendale, nelle sue
componenti intra-aziendale, operativa direzionale, ed inter-aziendale. Tuttavia,
l’estensione funzionale sarebbe vana se la suite non fosse composta da moduli
autosufficienti. Grazie alla modularità, l’azienda può scegliere una strategia
d’implementazione coerente con la situazione dei sistemi e con il grado di rischio che
è in grado di sostenere. Una diffusa strategia semplice ed a basso rischio è
l’implementazione parziale: l’azienda, cioè, sceglie di realizzare un piccolo numero di
moduli, che vanno a sostituire preesistenti sistemi legacy. La strategia, più ambiziosa,
di implementare un elevato numero di moduli può essere attuata in due varianti, one
stop shopping e best best of the breed. Nel primo caso, privilegiando linearità e
semplicità, l’azienda usa i moduli di un solo vendor, mentre, nel secondo, mette
insieme moduli di più vendor, alla ricerca della soluzione ottimale per ogni processo
aziendale, p.e. scegliendo il vendor A per la gestione del personale ed il vendor B per
la gestione amministrativa. Osserviamo che, data la modularità e l‘ampia estensione
funzionale degli ERP, la progettazione diventa simile ad una specie di LEGO, in cui è
critico l’incastro fra i diversi moduli ERP, magari di più fornitori, e fra i moduli ERP e
gli eventuali moduli legacy. Infatti, vanno garantite l’unicità e la sincronizzazione
delle informazioni, attraverso interfacce standard, API (Application Programming
Interface) e software di workflow o d’integrazione.
Prescrittività: intesa come la normazione dei processi gestionali derivante dal modello
funzionale incorporato nella suite ERP, a sua volta conseguito dalle best practice
orizzontali e verticali. Per esempio, la transazione di ricevimento dei materiali a
magazzino presuppone un ordine al fornitore: un materiale non entra in azienda se non
è stato ordinato e non può essere ordinato se non è stato richiesto da un ente aziendale
76
autorizzato. Il software quindi norma il comportamento dell’utente aziendale,
ribaltando la tradizionale concezione secondo cui è il software che si deve adattare
all’utente. La prescrittività ha importanti implicazioni. In primo luogo, semplifica
l’analisi dei requisiti. L’analista, infatti, non deve specificare tutto il processo
gestionale e tutto il sistema, ma si concentra sulle differenze rispetto al modello
standard: definisce il processo ottimale, lo incrocia con le funzioni del sistema e
sceglie le funzionalità del sistema. La progettazione funzionale diventa quindi una
sorta di attività “taglia ed incolla” su di un menu di opzioni predefinite. In secondo
luogo, la prescrittività favorisce la standardizzazione dei processi ed uniforma i
comportamenti, un vantaggio rilevante per le aziende distribuite territorialmente e le
multinazionali. Infine, la prescrittività può favorire una razionalizzazione dei processi,
facendo coincidere il progetto informatico ERP con un progetto di razionalizzazione
organizzativa, meglio noto sotto la sigla BPR (Business Process Reengineering).
Tuttavia, la prescrittività comporta anche una certa rigidità, che può rendere gli ERP
incompatibili con le specificità dell’utente. Infatti, se la razionalizzazione
organizzativa richiesta è vasta e profonda, il progetto implica un costoso e rischioso
intervento sul tessuto organizzativo dell’impresa. L’intervento può risultare infattibile
per i tempi, troppo stretti, per i contenuti dei processi, incompatibili con il sistema dei
valori esistente nell’azienda, per il rischio della trasformazione, troppo ampia, o,
infine, per la mancanza di un gruppo di lavoro di quantità e qualità adeguata o,
equivalentemente, per limiti di budget. L’alternativa ad adattare l’azienda al sistema è
quella, piuttosto costosa e di un certo rischio tecnico, di adattare il sistema all’azienda,
riscrivendo e/o modificando i moduli software.
Impatto sulle aziende dell’introduzione di una suite ERP
La diffusione degli ERP è evidente dai numeri ed è evidente la trasformazione delle imprese.
Una volta lente, con una produzione inflessibile ed approvvigionamenti rigidi, in due decenni
sono diventate capaci di gestire ordini personalizzati, lungo tutto il ciclo dal cliente finale al
fornitore. E questo con scorte molto minori e una produttività molto maggiore. In generale, le
caratteristiche degli ERP hanno contribuito a una serie di trasformazioni e queste
trasformazioni, a loro volta, hanno generato, in varia misura, alcuni vantaggi. Le
trasformazioni rilevabili appaiono riguardare i processi gestionali a diversi livelli (Figura 31):
Processi operativi: l’impatto dell’introduzione dell’ERP sui processi operativi
dovrebbe portare ad un cambiamento dei processi che ne migliora l’efficienza e
l’efficacia, portando l’organizzazione aziendale verso una struttura processiva. In
77
realtà diversi studi dimostrano che l’evoluzione processiva esiste, ma parziale e
condizionata da una serie di fattori. Più precisamente: la trasformazione dei processi
avviene e ne riguarda sia l’efficienza sia l’efficacia52
; un approccio sistemico al
cambiamento, insieme con un iter di progettazione cauto, graduale, burocratico
possono portare al successo, in quanto minimizzano il rischio53
; per ottenere
veramente la trasformazione sono necessari un orientamento informatico appropriato
del management e un ben orchestrato lavoro d’attori organizzativi che facilitino il
cambiamento54; l’organizzazione e la gestione, nel senso più ampio, del progetto sono
cruciali per il successo o il fallimento dei progetti ERP: il presidio deve essere esteso a
tutte le fasi dei progetti ERP, dal lancio all’accettazione ed alla stabilizzazione55
;
un’elevata trasformazione dei processi, connessa all’adozione di ERP, aumenta il
rischio del progetto, e richiede il presidio di un’ampia gamma di fattori di successo56
.
Processi direzionali: Il contributo degli ERP alla trasformazione dei processi
direzionali sta appunto nel loro contributo a rendere più efficiente e/o efficace
l’informazione in input al processo decisionale e/o il processo decisionale stesso. Un
concetto rilevante per posizionare il contributo degli ERP è quello di IPC (Information
Processing Capacity), che esprime l’adeguatezza di una organizzazione ad elaborare le
informazioni richieste dai propri obiettivi e dal contesto in cui opera57
. La capacità di
un’azienda di operare in situazioni d’incertezza ambientale e di gestire strutture
complesse è proporzionale alla sua IPC. In alternativa, l’azienda può investire in
“risorse cuscinetto” (slack resources) come le scorte, che assorbono l’incertezza e
diminuiscono il fabbisogno informativo, ma peggiorano le prestazioni d’efficienza e
d’efficacia58
.
Processi interaziendali: tale ambito di trasformazione riguarda primariamente i
moduli extended ERP, argomento che verrà trattato nel Paragrafo 3.4. In questa
sezione si sottolinea solamente che, poiché la risposta alle transazioni con i clienti e i
fornitori è data dai processi interni, l’integrazione fra moduli ERP core e moduli di
interazione è un requisito d‘efficacia altrettanto importante della funzionalità dei
moduli CRM, SCM, PDM, etc., che informatizzano il front-end verso clienti (interni
ed esterni) e fornitori.
52 Deloitte Consulting, 1999
53 Motwani, Mircahandani, Madan, Gunasekaran, 2002
54 Benjamin, Markus, 1997.
55 Ross, Vitale, 2000
56 Somers, Nelson, 2001.
57 Bracchi, Francalanci, Motta, 2001.
58 Galbraith, 1973.
78
Modello di business: una trasformazione del modello di business implica la
sostanziale innovazione del modello esistente. In sintesi, l’IT: rende possibili nuove
attività con conseguenti nuovi ricavi; determina una domanda di nuovi prodotti e
servizi; permette di sviluppare nuovi business a partire dai business esistenti.
L’impatto strategico degli ERP è quindi, in genere, indiretto e tanto più rilevante
quanto più il settore è ad alta intensità informativa di prodotto o di processo
Le prime ricerche sulle trasformazioni aziendali indotte dalla IT sono degli anni Ottanta, con
il riconoscimento del duplice ruolo della IT come tecnologia di produzione e come tecnologia
di coordinamento59
. La capacità delle IT, e degli ERP in particolare, di trasformare i processi
gestionali è discussa nella vastissima letteratura del Business Process Reengineering (BPR),
che segue lo storico articolo di Hammer “Don’t automate, obliterate”60
e si può dire conclusa
da un articolo di Davenport dal significativo titolo “Putting the enterprise into the enterprise
system”61
.
Figura 31 - ERP e trasformazione dell'impresa (Ficagna, 2007)
Benefici e criticità dei progetti ERP
L’introduzione di un sistema ERP in una azienda, grande o piccola che sia, porta con se dei
benefici che a volte non si realizzano pienamente a causa di alcune criticità da superare, a
prescindere dal punto di partenza (sistema parzialmente evoluto o inesistente). In generale,
l’esperienza di quest’ultimo decennio ha evidenziato i seguenti punti di forza delle suite ERP:
è una soluzione completa ed integrata che supporta e integra la maggior parte dei processi di
59 Porter, Millar, 1985
60 Hammer, 1990
61 Davenport, 1998
79
business, in linea con un modello dei processi generale e standardizzato, plasmato sullo studio
delle Best Practice (cfr. Paragrafo 3.2.2); supporta i processi di pianificazione e controllo,
rende l’azienda “trasparente”, favorendo il fluire delle informazioni; garantisce una discreta
flessibilità attraverso la parametrizzazione, disponibilità immediata, progetti chiavi in mano e
spesso è meno costoso di un progetto “custom”, a parità di condizioni.
Naturalmente questi vantaggi non sempre sono tutti presenti e in egual misura, dipende da
caso a caso e spesso il successo di un progetto ERP è strettamente correlato al commitment e
alla sponsorizzazione del top management. Per questi e altri motivi è possibile incorrere in
alcune criticità quali il superamento degli obiettivi di budget, l’allungamento dei tempi in
corso di implementazione, problemi di accettazione e comunicazione del progetto,
disponibilità dei key-user, riduzione dell’operatività durante il transitorio, complessità della
soluzione ERP e know-how aziendale inadeguato a gestire i nuovi processi di business.
Oltre a queste problematiche occasionali, i sistemi ERP hanno dei limiti noti (o più
propriamente dei punti di debolezza), che è difficile arginare se non con sforzi mirati in
termini di project e change management.
Individuazione e implementazione dell’ERP in azienda
Il primo passo in un progetto di sostituzione totale del sistema gestionale aziendale, o di una
sua parte, consiste nella definizione dei requisiti che il nuovo sistema deve soddisfare. Una
volta individuate le necessità e i bisogni da soddisfare, è necessario individuare la soluzione
da adottare attraverso una processo di software e partner selection. Quest’ultimo supporterà
l’azienda nell’ultima fase, quella dell’implementazione vera e propria (Figura 32).
Figura 32 - Dai processi al sistema in esercizio
Definizione
dei requisiti
Individuazione della soluzione
Implementazione della suite ERP
80
3.3.1 Definizione dei requisiti
I requisiti possono essere definiti a diversi livelli di approfondimento, partendo dal più
elevato, legato alle caratteristiche generali dell’azienda in cui il sistema informatico dovrà
operare, per arrivare ai requisiti di dettaglio sulle singole funzionalità (per esempio di gestione
della codifica di prodotto) e sulle caratteristiche tecnologiche del sistema (per esempio di
compatibilità con altri sistemi informatici presenti in azienda).
Partendo dal livello di dettaglio più alto, è importante, per scegliere la soluzione ERP più
adeguata, segmentare l'offerta di mercato in base al settore di attività dell'azienda o, in modo
più articolato, in base al profilo aziendale (es.: settore di attività e posizionamento nella
catena del valore di settore, dimensioni dell'azienda e della sua operatività, presenza sul
territorio dell'azienda, struttura interna dell'azienda, principali obiettivi di business che
l'azienda intende perseguire, etc.)
Il passo successivo riguarda invece i processi aziendali e, in particolare, l'identificazione di
quelli che costituiscono l'attività dell’azienda, ridefinendo in particolar modo quali sono critici
per l'azienda in termini di generazione del vantaggio competitivo e di esigenze di flessibilità e
agilità del supporto al funzionamento del processo.
Parallelamente alle attività di approfondimento dei requisiti in termini di funzionalità, svolte
con l'analisi e la mappatura dei processi, è necessario indagare anche le caratteristiche
tecnologiche che il nuovo sistema dovrà avere. Coniugando questi tre livelli di analisi è
possibile delineare degli scenari evolutivi in termini di supporto informatico ai processi, con
un orizzonte temporale di medio/lungo termine, per definire un vero e proprio piano strategico
di evoluzione del sistema informativo attuale (Figura 33).
Figura 33 - Evoluzione del sistema informativo (Ficagna, 2007)
Individuazione della soluzione
A questo punto è possibile affrontare la fase due del piano di azione, ovvero il processo di
selezione della soluzione (Figura 34). È buona norma articolare tale fase in due attività
fondamentali: una prima selezione per individuare un insieme ristretto di soluzioni di mercato
81
candidate (short list) e una seconda analisi più approfondita, solamente su quelli individuati,
per scegliere la soluzione più adeguata rispetto alle esigenze dell’azienda (software and
vendor selection).
In quest’ultima fase è importante valutare un aspetto che raramente viene tenuto in
considerazione nella scelta del pacchetto da implementare, ovvero l’allineamento tra i bisogni
futuri dell’azienda e cosa il fornitore può offrire negli anni a venire, in termini di evoluzione,
assistenza e innovatività.
Gartner ha definito un framework62
per sviluppare questa “Road Map” per ogni area di
business, al fine di definire un insieme di progetti e iniziative per mantenere l'allineamento.
L’analisi prevede cinque step sequenziali:
1. Determinare la strategia aziendale rispetto al business
2. Compilare l’inventario delle applicazioni e dell’architettura attuale
3. Collezionare le Road Map stilate da Gartner per ogni vendor e comprendere la vision
che si ha di ognuno rispetto alla sua Road Map applicativa
4. Creare la propria Road Map tenendo in considerazione i tre step precedenti
5. Rivedere e aggiustare la Road Map periodicamente
Figura 34 - Individuazione della soluzione
62 Gartner, 2011
82
Il progetto di implementazione
La fase di implementazione è costituita da un insieme articolato di attività, ben codificata
nella metodologia proposta dai vari fornitori e dai loro partner per l’implementazione (system
integrator). Il ruolo dell’azienda in questa fase è quello di supporto, per fornire tutte le
informazioni necessarie, e di presidio del fornitore che svolge l’implementazione, per
mantenere una adeguata motivazione e qualità di lavoro.
Il presidio del progetto può avvenire attraverso una struttura di gestione e controllo, formata
dal Project Manager aziendale, che si occupa di coordinare le attività tra il personale interno e
il partner, dal comitato di utenti chiave del sistema, che sono il riferimento principale per
l’analisi dei requisiti, e infine lo Steering Committee, che supervisiona e sponsorizza il
progetto, coinvolgendo il vertice aziendale.
Il mercato dei sistemi gestionali: la domanda
Dopo aver valutato cosa è un ERP, quali sono le sue caratteristiche e cosa significa mettere in
piedi un progetto di ristrutturazione del proprio sistema gestionale, è opportuno analizzare la
domanda del mercato di tali sistemi. A questo scopo si riportano sinteticamente i principali
risultati di una ricerca, condotta dell’Osservatorio del Politecnico di Milano63
, basata su una
survey statisticamente significativa estesa ad oltre 1.000 PMI, con numero di addetti
compreso tra 10 e 500, che si è posta l’obiettivo di rilevare lo stato di adozione delle
principali applicazioni software (Figura 35).
Dall’analisi emerge che circa un’impresa su tre utilizza sistemi gestionali evoluti, ovvero ERP
internazionali, gestionali nazionali o gestionali verticali. In particolare, gli ERP internazionali
vengono utilizzati dal 6% delle imprese: nelle imprese con un numero di addetti compreso tra
250 e 500, tale percentuale è pari a circa il 28%, ma cominciano ad essere presenti anche nelle
piccole imprese da 10 a 49. I gestionali nazionali sono utilizzati dal 16% delle PMI italiane,
mentre il 9% delle imprese utilizza sistemi gestionali verticali.
63 Balocco, R. 2010
83
Figura 35 - Imprese che utilizzano le diverse tipologie di sistemi gestionali (Osservatorio ICT&PMI, 2010)
Oltre il 50% delle imprese è, invece, caratterizzato da un parco applicativo “elementare” o,
addirittura, assente. In particolare, il 42% delle imprese utilizza un sistema gestionale che
copre le sole funzioni di base: amministrazione e contabilità e, talvolta, gestione del
magazzino o gestione della relazione con i fornitori. In alcuni casi, tale sistema viene esteso
tramite lo sviluppo ad hoc di nuove funzionalità. Il 9% delle imprese, invece, non utilizza
alcun tipo di sistema gestionale, nemmeno per supportare le attività amministrative più
semplici (contabilità, amministrazione, etc.), che vengono demandate a professionisti esterni.
Il parco applicativo di queste imprese è, quindi, composto esclusivamente da pacchetti di
office automation. In entrambi i casi (utilizzo di pacchetti elementari o assenza del sistema
gestionale) si tratta prevalentemente di imprese di piccole dimensioni, con un numero di
addetti compreso tra 10 e 49, mentre sono molto rari i casi di mancata adozione di un sistema
gestionale in imprese con più di 50 addetti.
Circa il 18% delle imprese utilizza un sistema gestionale sviluppato ad hoc internamente o da
parte di una software house locale o nazionale. Spesso tali sistemi nascono a partire da un
nucleo di funzionalità standard, generalmente a supporto dei processi contabili e
amministrativi, per essere poi fortemente personalizzati.
Se si confrontano i dati rispetto alla ricerca condotta nel corso del 2007 sull’utilizzo delle ICT
nelle PMI, emerge una maggiore maturità delle PMI italiane nell’utilizzo delle diverse
tipologie di sistemi gestionali. In particolare, le imprese che non possiedono nessun gestionale
si riducono dal 12% al 9%, mentre non varia la percentuale di imprese che utilizzano
pacchetti semplici. Aumenta del 3% la diffusione di sistemi ERP internazionali, a scapito
della diffusione di gestionali nazionali, che si riducono della stessa percentuale. Aumenta
lievemente la diffusione dei sistemi sviluppati ad hoc e di sistemi gestionali verticali.
84
Il mercato dei sistemi gestionali: l’offerta
Per quanto riguarda l’offerta dei sistemi gestionali, il mercato ERP è sostanzialmente
dominato da due big player, SAP e Oracle, con la terza piazza occupata discretamente da
Microsoft. Per analizzare la situazione del mercato dei sistemi ERP nel 2011 si prenderà in
esame un interessante ricerca di mercato condotta da Panorama Consulting Group64
, una
società di consulenza leader per quanto riguarda il mercato ERP, in termini si software
selection, implementazione e gestione del cambiamento. Le informazioni del rapporto si
basano su una indagine che ha coinvolto oltre 1.600 aziende che hanno selezionato e
implementato soluzioni ERP negli ultimi 5 anni, ma associando un peso maggiore ai progetti
ERP realizzati nel 2010. Il rapporto si basa su dati riguardanti le implementazioni ERP
appartenenti a tre gruppi di imprese: Tier I, Tier II e Tier III, come si può vedere in Figura 36.
Figura 36 - Il raggruppamento dei vendor di ERP (Neely, B., 2011)
Proprio come negli anni precedenti, i vendor appartenenti ai primi due Tier dominano ancora
la quota di mercato delle implementazioni di ERP (Figura 37). L'unione di questi due gruppi
rappresenta il 64% del mercato, con il Tier I che da solo cuba il 53% del totale, mentre il resto
del mercato si spartisce solamente il 36% dell'offerta ERP. I tre big del Tier I, tuttavia, hanno
mostrato un calo pesante della quota di mercato rispetto al 2010, con la perdita di 7 punti
percentuali sia del leader SAP che del follower Oracle e anche Microsoft ha visto ridursi la
sua market share di 4 punti. Questo significa che tutto il resto del mercato ha raddoppiato
l'indice, passando al 18% al 36% attuale.
64 Neely, B. 2011
85
Figura 37 - Quote di mercato degli ERP (grafico da rifare con le QM 2009, 2008 e 2006)
Il grafico in Figura 38 mostra il tasso di selezione dei principali vendor appartenenti al Tier I,
Tier II e Tier III, raggruppati in base alle dimensioni delle imprese clienti in termini di
fatturato. Dall'analisi emerge che sia SAP che Oracle sono attivi in tutti i segmenti, ma l'ERP
del leader è ovviamente quello più selezionato per quanto riguarda le aziende con un fatturato
annuale tra i 25 e i 500 milioni di dollari, mentre Microsoft fatica a penetrare (solo il 4%)
nelle grandi aziende, ovvero quelle con un fatturato superiore ai 500 milioni di dollari. Di
contro, questo ERP ha più successo nelle PMI così come per i vendor del Tier III.
Figura 38 - Tasso di selezione rispetto al fatturato dei clienti (Neely, B., 2011)
La Figura 39 mostra la distribuzione delle vendite dei tre big player (Tier I), a seconda del
segmento di mercato a cui si rivolgono. Le percentuali riportate rappresentano la distribuzione
delle vendite di ciascuna azienda e non le quote di mercato totali:
Produzione e distribuzione
Trasporti, comunicazioni, energia e servizi sanitari
35% 31% 24%
28% 25%
18%
14% 15%
11%
23% 30% 47%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
2008 2009 2010
Ve
nd
or
Mar
ket
Shar
e
Tier II and Tier III
MS Dynamics
Oracle
SAP
86
Servizi
Retail
Figura 39 - Scomposizione del fatturato del Tier I rispetto ai settori (Neely, B., 2011)
La Figura 40 rappresenta le quote di mercato di tutti i Tier e anche del resto del mercato ERP,
in ognuna delle quattro industrie rappresentate nel sondaggio (produzione e distribuzione,
trasporti, comunicazioni, energia e servizi sanitari, nei servizi e nel retail).
SAP è il leader di mercato in ognuno dei quattro settori, con quote che vanno dal 28% al 35%.
Anche Oracle gioca un ruolo significativo, con quote comprese tra il 15% per quanto riguarda
il settore produzione e distribuzione, fino al 23% dei trasporti, comunicazioni, energia e
servizi sanitari.
Il presidio di Microsoft nel segmento manifatturiero (12%) insidia maggiormente la seconda
posizione, occupata da Oracle (15%), mentre nel settore retail i due player occupano entrambi
la seconda piazza (22%). Sono gli altri due segmenti dove Microsoft soffre maggiormente la
presenza di SAP e Oracle, distanziato da quest'ultimo di 6 punti percentuali e ancor di più nel
settore dei trasporti&co., dove è distaccata di 8 punti percentuali rispetto a Oracle. Il resto dei
player è concentrato nel restante 25% circa, ad eccezione del settore Produzione e
Distribuzione, dove riescono a occupare una buona posizione (45%), anche perché è il
segmento di mercato più maturo dal punto di vista degli ERP, essendo il punto di partenza
storico dei sistemi gestionali evoluti.
87
Figura 40 - Quote di mercato totali per settore (Neely, B., 2011)
I dati riportati in Figura 41 indicano che, indipendentemente dal Tier di riferimento, la durata
media effettiva dei progetti è superiore a quella pianificata (Figura 42).
Figura 41 - Tempi medi di implementazione di un ERP (Neely, B., 2011)
Le soluzioni di primo livello (Tier I) sono generalmente più complete e flessibili e ciò
comporta tempi di implementazione maggiori. I fornitori appartenenti alla seconda classe
(Tier II) utilizzano spesso moduli di terze parti come integrazione del proprio prodotto di
base; tali integrazioni provocano l’estensione della durata del progetto oltre le previsioni. Il
motivo per cui i fornitori appartenenti al Tier III impiegano il minor tempo per implementare i
propri software (in media 12 mesi) è l’alto livello di specializzazione che li caratterizza e
dunque la minor necessità di adeguamenti e personalizzazioni. La ragione per cui un progetto
eccede le tempistiche pianificate sono varie, riconducibili principalmente a problemi
organizzativi, di allocazione delle risorse o di formazione dell’utente finale.
88
Figura 42 - Durata media pianificata vs. effettiva (Neely, B., 2011)
In Figura 43 è, invece, possibile trovare la media dei costi dettagliata per i fornitori del Tier I
e consolidata per quanto riguarda i fornitori dei Tier I e II. Si nota come i fornitori del Tier I
abbiano un costo medio di progetto molto più elevato rispetto ai fornitori del Tier II. L’unico
player che non rispetta questa tendenza è Ms Dynamics. La piattaforma di Microsoft,
nonostante sia classificata di primo livello, viene implementata in contesti di dimensioni più
ridotte rispetto alle altre due. Lo dimostra il fatto che il 60,3% dei progetti Ms Dynamics
riguarda aziende con un fatturato inferiore ai 500 milioni di dollari.
Figura 43 - Costo medio di un progetto ERP (Neely, B., 2011)
La ricerca evidenzia come i costi medi di implementazione dei progetti, in linea con quanto
visto per i tempi, sforano del 40-45 % i budget previsti in fase di pianificazione (Figura 44).
Le survey svelano, inoltre, che la tendenza comune dei clienti è quella di sottovalutare i costi
del progetto e stilare così budget irrealistici che non includono, oltre alla possibilità di
incorrere in problemi tecnici, voci di costo rilevanti come i costi di formazione e quelli per la
stesura della documentazione progettuale. Risulta quindi un passo fondamentale per la
minimizzazione dei costi e della durata dei progetti di implementazione ERP la definizione
89
realistica di obiettivi tecnici e di business quali: processi, flussi di lavoro punti di
miglioramento e requisiti specifici di rendimento dei sistemi.
Figura 44 - Cause di extra budget (Neely, B., 2011)
Infine, decidere il giusto livello di personalizzazione per i processi di business di un'azienda è
fondamentale per il successo di un progetto ERP. Mentre la personalizzazione è in grado di
migliorare il valore out-of-the-box del software acquistato e permette di massimizzare
l'aderenza alle proprie specificità, può anche comportare alti costi di implementazione senza
la realizzazione delle prestazioni attese. E' per questo che la questione di quanto e come una
società deve bilanciare obiettivi di programma e di bilancio in relazione ai benefici di
personalizzazione della propria suite ERP è sempre stata fonte di grande dibattito in fase di
selezione e implementazione della soluzione ERP. In Figura 45 è possibile vedere come si
comportano le aziende intervistate.
Figura 45 - Livello medio di customizzazione richiesto (Kimberling, 2011)
90
Per riassumere quanto emerso fin ora sul mercato dell’offerta delle suite ERP è possibile
utilizzare il noto Magic Quadrant65
(Figura 46) stilato annualmente da Gartner, una delle
principali società di analisi. L’analisi rileva che durante la crisi economica, il mercato ERP ha
dimostrato di essere stabile, senza gravi perturbazioni che interessano i principali attori. Tale
Magic Quadrant valuta i prodotti che hanno una presenza globale e che sono progettati
specificamente per le medie imprese commerciali e manifatturiere. La mappatura identifica il
posizionamento delle soluzioni ERP secondo quattro cluster (Leaders, Challengers,
Visionaries e Niche players) ed è effettuata secondo due parametri:
Capacità di esecuzione (Ability to Execute): l’ampiezza e la profondità delle
funzionalità e la tecnologia dei prodotti dei prodotti ERP rivolti alla fascia media del
mercato (midmarket) sono caratteristiche altamente indicative per valutare la capacità
di esecuzione di un fornitore. Tuttavia i sistemi più completi non sono
automaticamente la scelta migliore per le medie aziende, che, in molte aree della loro
attività, non hanno né la necessità di funzionalità molto specializzate, né i mezzi per
farvi fronte. Il giusto mix di completezza funzionale nei processi di primari, uniti ad
un ottimo supporto alle attività strategiche dell’azienda, è prioritario. Inoltre, dato che
le medie aziende presentano limitate risorse IT da assegnare al funzionamento di un
sistema ERP, un ridotto Total Cost of Ownership (TCO) per tutto il ciclo di vita
dell'applicazione è un requisito fondamentale, ed è un importante fattore di
differenziazione. Infatti questo è tra i motivi principali del crescente interesse per ERP
in modalità “as a Service”.
Completezza di visione (Completeness of vision): la capacità di comprendere il
mercato valuta l’abilità dei fornitori di ERP di recepire i bisogni e le necessità delle
imprese e trasformarli in prodotti e servizi. Questo vale in generale, ma è ancora più
importante per il midmarket degli ERP. I vendor che dimostrano di avere una vision
migliore, in termini di capacità di comprendere, ascoltare e anticipare i desideri degli
acquirenti, sono quelli che nel lungo periodo otterranno un maggior riscontro positivo
da parte dei clienti. I fornitori che si limitano a rispondere alle attuali esigenze del
mercato, senza anticipare le esigenze future, non saranno probabilmente in grado di
ottenere il successo desiderato, a causa della complessità dei miglioramenti funzionali
e tecnologici che dovranno essere implementati nei propri prodotti, pur operando in
un mercato relativamente lento, qual è quello degli ERP.
65 Gartner, 2010
91
Dall’analisi emerge che le due offerte che si qualificano come leader di mercato sono SAP
Business All-in-One e Microsoft Dynamics AX. La prima è una delle soluzioni più ampie e
complete sul mercato, basata sulle best practice mondiali e con il programma fast-start,
studiato e progettato per le medie imprese, consente di ridurre lo sforzo richiesto per le fasi
iniziali di implementazione. Microsoft Dynamics AX, invece, è specificamente destinato a
organizzazioni di medie dimensioni sin dalla sua concezione. Offre numerose funzionalità e si
contraddistingue per la sua robustezza, senza tuttavia appesantire l’onere del Sistema
Informativo, garantendo un basso TCO (se paragonato a soluzioni simili) anche grazie
all’integrazione nativa con gli altri prodotti e tecnologie Microsoft, Office in primis.
Nel Magic Quadrant viene riportato Epicor 9 come il più visionario, poiché sviluppato
attraverso tecnologie allo stato dell’arte quale, ad esempio, la SOA Architecture. È concepito,
inoltre, per ruotare attorno al Business Process Management (BPM), offrendo funzionalità che
presentano un ottimo livello di flessibilità, caratteristica molto sentita dalle medie imprese, e
tale versatilità può essere preservata attraverso aggiornamenti periodici, non richiedendo ogni
volta uno stravolgimento della versione ERP in uso. Epicor 9 offre approcci innovativi per la
mobilità, l'analisi integrata e la distribuzione di una soluzione in modalità “as a Service”.
Epicor, anche se è un vendor ancora relativamente piccolo, sta dimostrando di essere
sufficientemente valido per l’espansione in tutto il mondo, anche se il prodotto non ha una
maturità paragonabile a quella dei leader del mercato.
Per completare il quadro proposto da Gartner sono presenti altre quattro soluzioni nel cluster
Challenger, ovvero coloro che hanno un’ottima maturità, ma che sono condizionati da una
scarsa vision futura, e sette prodotti classificati come Niche players, che include gli attori più
recenti del mercato.
Figura 46 - Magic Quadrant for ERP for Product-Centric Midmarket Companies (Gartner, 2010)
92
3.4 I sistemi a supporto del business: l’extended ERP
Nel paragrafo precedente si è illustrato il modello a T degli ERP, in cui si specificava la
differenza tra gli ERP “core” e gli ERP “extended”, ovvero quei moduli che si occupano di
gestire le relazioni extra-aziendali, specialmente con clienti e fornitori, o di favorire gli
scambi informativi intra-aziendali. Questi moduli sono rivolti anche ai casi in cui è necessario
agevolare le attività con attori esterni, poiché negli anni si è visto sempre più una elevata
frammentazione della catena del valore. Alcune imprese hanno scomposto la catena del valore
tradizionale, esternalizzando il ciclo produttivo vero e proprio e mantenendo all’interno tre
attività fondamentali: il coordinamento del ciclo produttivo esterno, la commercializzazione
del prodotto e lo sviluppo strategico nuovo prodotto (Figura 47).
Figura 47 - Frammentazione della catena del valore tradizionale (Faini, 2011)
PLM
La parcellizzazione delle attività descritta precedentemente si è espressa, a livello di
produzione, nella trasformazione del “ciclo produttivo” in “processo produttivo”, scandito da
fasi che coinvolgono input e output spesso di competenza di aziende differenti. Questo
cambiamento nel modo di concepire la produzione ha rinforzato la necessità di gestire il
prodotto in modo strutturato lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla concezione al rilascio e
manutenzione, fino al definitivo ritiro dal mercato.
I sistemi di Product Lifecycle Management (PLM) offrono un supporto ala gestione del
prodotto, lungo tutte le fasi della sua vita, attraverso due funzionalità principali:
La gestione distribuita e collaborativa delle attività produttive, in quanto i sistemi
PLM abilitano il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera fin dalla definizione
delle specifiche e dalla progettazione del prodotto, offrendo strumenti di co-design e
co-working distribuito;
93
Gestione della conoscenza legata al prodotto, permettendo una gestione complessiva e
costantemente aggiornata della documentazione (tecnica e di processo) legata al
prodotto finale.
Le specifiche tecniche di prodotto realizzate con i sistemi CAD in fase di progettazione, e nei
casi più evoluti, con sistemi CAE, che coprono anche le esigenze di ingegnerizzazione,
vengono poi gestite e arricchite nel sistema PLM per andare quindi ad alimentare la gestione
della produzione supportata dal sistema ERP vero e proprio, che può incorporare o pilotare
eventuali sistemi di controllo automatico delle macchine di produzione chiamati anche CAM
(cfr. Paragrafo 3.2.3).
I vantaggi dei sistemi PLM sono maggiormente evidenti per quelle aziende con alta
personalizzazione dei prodotti o con un modello di business di tipo Engineering To Order
(ETO), che prevede la parziale o totale progettazione del prodotto base per ogni specifico
ordine e con elevati tassi di personalizzazione richiesti dal cliente, o Design To Order (DTO),
cioè la totale progettazione del prodotto per ogni specifico ordine. Il loro utilizzo, infatti,
permette di avere a disposizione dati di costo aggiornati e precisi, mantenendo sotto controllo
le varie configurazioni del prodotto e riducendo al tempo stesso il numero di anomalie
progettuali. I settori in cui vengono utilizzate soluzioni PLM sono molteplici, dal settore
Aereonautico, per il quale questi sistemi sono nati, a settori come la produzione di macchinari
o automobili, per cui il PLM parte dal configuratore di prodotto utilizzato dal punto vendita o
dalla rete di agenti presso il cliente.
I sistemi SCM
Così come le tecnologie Internet e l’ICT in generale hanno abilitato un nuovo modo di gestire
la relazione con il cliente, un percorso simile è avvenuto anche per la gestione della catena di
fornitura. Il sistema di fornitura si è adattato ad un nuovo modo di operare, convertendo la
tradizionale filiera produttiva in una rete di partnership finalizzata alla creazione di valore
attraverso la collaborazione di più soggetti di business.
L’estensione dei processi produttivi oltre i confini fisici dell’impresa, tuttavia, ha significato
un aumento della complessità di gestione dei rapporti tra “business partner”, con l’insorgere
di costi sommersi spesso significativi, che si ripercuotono in termini di efficienza e
produttività sulla profittabilità dell’azienda stessa.
Introdotti sul mercato alla fine degli anni ’90, i sistemi Supply Chain Management (SCM) si
affiancano ai sistemi esistenti (compresi i sistemi ERP) per fornire una visione complessiva
94
della supply chain e quindi supportare le decisioni relative alle attività di gestione della stessa.
I sistemi SCM supportano prevalentemente i seguenti processi66
:
Previsione della domanda, che consente di pianificare meglio la produzione e limitare
i rischi d’inadeguatezza delle scorte, che diminuiscono il livello di soddisfazione del
cliente;
Gestione degli ordini, che consente di rispondere in tempi più rapidi alle esigenze del
cliente e quindi migliorare il livello di servizio complessivo;
Pianificazione della produzione, mediante procedure più sofisticate di quelle fornite
dai sistemi MRP, che consentono di pianificare al meglio l’utilizzo delle risorse
produttive: attraverso la configurazione di una serie di parametri (per esempio la
capacità produttiva delle macchine o le diverse combinazioni di turni di lavoro degli
operai) è possibile simulare diverse ipotesi di piani di produzione per individuare la
soluzione migliore in funzione degli obiettivi e dei vincoli imposti; all’interno della
famiglia dei sistemi SCM, i sistemi informatici che offrono questo specifico supporto
alla pianificazione della produzione vengono detti Advanced Planning Systems (APS)
Queste funzionalità sono: Continuous Replenishment Planning (CRP), il programma di
gestione collaborativa delle scorte con gli altri business partner lungo la rete di fornitura, e il
Vendor Managed Inventory (VMI), la variante del CRP in cui l’azienda pianifica con il
fornitore la gestione dei tempi e della qualità della fornitura attraverso la condivisione in
tempo reale dei dati relativi alla situazione del magazzino.
In questo nuovo paradigma operativo dell’azienda estesa, la tecnologia si trasforma si
trasforma da fattore scatenante a elemento abilitante, supportando gli scambi di informazione
tra partner e conferendo rapidità ed efficienza alla relazioni di business. In particolare, le
tecnologie Internet hanno proposto architetture dinamiche e performanti per facilitare
l’adozione di sistemi collaborativi di business anche alle PMI.
BI e CRM
I sistemi di Business Intelligence (BI) permettono di generare informazioni e conoscenze a
partire dai dati presenti nei Sistemi Informativi delle imprese e delle Pubbliche
Amministrazioni, al fine di migliorare la qualità dei processi decisionali67
. In un sistema di BI
trovano collocazione differenti funzionalità, raggruppate in due macro-categorie:
66 Secchi, 2000
67 Managment Accademy for ICT Executives, 2009
95
Strumenti di Business Performance Management, che permettono di accedere ai dati
contenuti nei data warehouse, secondo visite logiche flessibili e dinamiche e di
visualizzare in modo sintetico e grafico i principali indicatori di prestazioni.
Strumenti di Business Analytics, che consentono di sviluppare analisi più evolute sotto
il profilo metodologico, questi strumenti sono utilizzati a livello strategico al fine di
creare vantaggio competitivo.
Nonostante la crisi economica che ha caratterizzato l’ultimo periodo, le aziende italiane hanno
ritenuto importante continuare ad investire in strumenti di BI; tali investimenti hanno, infatti,
riscontrato una crescita del 7% nel biennio 2009/2010, rispetto al biennio precedente,
superando così i valori medi del mercato ICT68
.
Le indagini condotte dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, hanno posto in luce alcune
evidenze empiriche di notevole interesse, che hanno permesso di evidenziare i principali
vantaggi ma anche le criticità e le barriere all’adozione che caratterizzano il mondo della
Business Intelligence.
Le ricerche hanno innanzitutto evidenziato una maggior efficacia dei sistemi di BI se utilizzati
per ottimizzare i processi core di un’impresa, gli strumenti di Business Performance
Management permettono, infatti, di ridurre i costi ed incrementare i ricavi. Vista la criticità
dell’attuale contesto economico, l’utilizzo di tali strumenti, nel campione, riguarda soprattutto
la riduzione dei costi. Il maggior vantaggio competitivo, che i sistemi di BI sono in grado di
portare ad un’impresa è, in ogni caso, costituito dal supporto alle decisioni. L’immediatezza e
la precisione delle informazioni fornite da un sistema di BI sono, infatti, alla base di un
processo decisionale reattivo ed efficace. A livello organizzativo, i vantaggi più consistenti
nell’utilizzo di questa tecnologia sono la visione univoca delle informazioni e la maggiore
condivisione della conoscenza che esse abilitano. Come qualsiasi innovazione esistono
barriere e criticità nell’implementazione, la resistenza al cambiamento, la mancanza di
commitment da parte del vertice e la difficoltà nel reperire dati di buona qualità sono i
principali ostacoli riscontrati dall’Osservatorio.
Per quanto riguarda le applicazioni Customer Relationship Management (CRM) sono
strumenti finalizzati alla fidelizzazione del cliente. Come abbiamo più volte ripreso, la
competizione nei mercati è notevolmente aumentata nell’ultimo periodo e mantenere i clienti
è diventato sempre più complesso. L’accessibilità delle informazioni, come prezzi e
specifiche tecniche dei prodotti, a cui i clienti hanno accesso attraverso la rete, consente a
tutte le aziende di competere sullo stesso piano. La differenza dunque è data dai servizi
68 Vercellis, Orsenigo, 2010
96
aggiuntivi e dall’experience ovvero da ciò che accompagna l’acquisto del prodotto o del
servizio. Gli strumenti di CRM possono aiutare l’impresa principalmente in tre modi69
:
raccogliendo informazioni dettagliate sui bisogni dei singoli clienti e quindi supportare il
marketing nel fornire un’offerta personalizzata in tempi ridotti; compiere analisi real-time e di
tipo predittivo sul comportamento d’acquisto dei clienti, ottimizzando l’efficacia di ogni
interazione con il cliente (up-selling e cross-selling); fornire una visione a 360° gradi del
proprio cliente, tracciando tutte le informazioni a creare un profilo cliente che consenta di
fornire un’offerta mirata.
3.5 I trend attuali dei Sistemi Informativi
In questo paragrafo verranno illustrate quali sono le tecnologie che stanno emergendo o che
verranno adottate nei prossimi anni. Nella prima parte il focus sarà sull’evoluzione dei sistemi
gestionali, mentre nella seconda parte verranno affrontate tematiche attuali di più ampio
respiro, quali il Cloud Computing e l’Enterprise 2.0, valutandone l’adozione da parte delle
PMI.
3.5.1 I trend in atto dei sistemi gestionali
Per analizzare il futuro degli ERP verrà utilizzato il report “Hype Cycle for ERP, 2011”70
elaborato da Gartner Inc., società multinazionale leader mondiale nella consulenza strategica,
ricerca e analisi nel campo dell'Information Technology. L’obiettivo di questa curva è quello
di rappresentare le tecnologie emergenti nei diversi stadi del loro ciclo di vita, con i relativi
tempi previsti in cui raggiungeranno un sufficiente grado di maturità e adozione (Figura 48).
I cicli di vita identificati dalla nota società di consulenza sono cinque, con caratteristiche ben
differenti tra una fase e l’altra, ovvero:
Technology trigger: la prima fase di un ciclo di hype rappresenta il lancio di un
determinato prodotto/servizio che innesca un grande interesse mediatico;
Peak of Inflated Expectations: è la fase in cui iniziano articoli e analisi con commenti
molto favorevoli, che spesso attivano delle aspettative più rosee e sbilanciate rispetto a
quelle reali;
69 Gillin, 2011
70 Gartner, 2011
97
Trough of Disillusionment: si generano nei media prima una serie di commenti sempre
più negativi, successivamente si registra un progressivo disinteresse per far spazio a
tecnologie maggiormente “in voga”;
Slope of Enlightenment: nonostante la fase di silenzio dei media, le tecnologie che
poggiano su solide basi, a dispetto delle critiche del settore, procedono nello sviluppo;
Plateau of Productivity: dopo la fase di sperimentazione “silente” la tecnologia si
attesta come strumento efficace ed entra a pieno regime nei cicli produttivi.
Figura 48 - Hype Cycle degli ERP (Gartner, 2011)
In questa analisi Gartner evidenzia quali siano le applicazioni ERP che porteranno un
beneficio molto rilevante, indicato come “trasformazionale”, alle aziende. Tra le tecnologie
che impiegheranno dai due ai cinque anni per raggiungere la “mainstream”, ovvero
nell’ultima fase dell’Hype Cycle, si riporta:
“Big Data” and Extreme Information Processing and Management: secondo Gartner,
la quantificazione delle risorse include delle problematiche che emergono dalla
capacità, dall’ampia tipologia di risorse informative e dalla velocità con cui si
generano i dati (che include sia creazione rapida di record, che tariffe altamente
variabili per la creazione dei dati, compreso l’improvviso calo di prestazioni forzando
il problema del ridimensionamento verso il basso). Un ampio array di soluzioni
hardware e software sono emerse per risolvere il problema della capacità parziale. A
questo punto, i grandi dati, o il processamento e la gestione di eccessive informazioni,
è una pratica essenziale che presenta nuove opportunità di business.
98
In-Memory Database Management Systems: un In-Memory DataBase Management
System (IMDBMS) è un DBMS che memorizza l’intero database in memoria e accede
al database direttamente, senza l'uso di istruzioni di input/output, consentendo alle
applicazioni di funzionare completamente in memoria.
Platform as a Service (PaaS): una suite completa PaaS, di solito raffigurato nei
diagrammi del Cloud Computing, è una collezione ampia di servizi di infrastruttura
applicativa offerti da un provider di servizi cloud. Tale suite completa PaaS dovrebbe
includere tecnologie di application server, sistemi di gestione di database (DBMS),
prodotti di portale, integrazione delle applicazioni e dei dati, suite di gestione dei
processi di business (BPMSs), messaggistica e molte altre forme di infrastruttura
applicativa, tutti impostati per essere offerti come servizio.
Le applicazioni che rientrano sempre nella stessa categoria di importanza (in termini di
benefici attesi), ma con un “Years to mainstream adoption” che va dai cinque ai dieci anni,
sono:
Collaborative Decision Making: le emergenti piattaforme di Collaborative Decision
Making (CDM) combinano i sistemi di business intelligence (BI) con il social
networking, la collaborazione e gli strumenti/algoritmi di supporto decisionale e i
modelli per aiutare i knowledge workers a prendere decisioni di maggiore qualità.
CDM migliora la qualità, la trasparenza e la verificabilità delle decisioni, riunendo i
corretti responsabili delle decisioni e le informazioni di cui necessitano, assistiti da
strumenti e modelli di decisione pertinenti al fine di esaminare un problema, effettuare
del brainstorming, valutare le opzioni e concordare una linea d'azione, tracciando il
processo decisionale per controllarlo ed estrarne le best practice.
Process Templates: modelli di processo è un termine generale che descrive il disegno
dei processi di business predefiniti, l’esecuzione e la gestione dei manufatti per
accelerare i tempi di arrivo alla soluzione. Tipicamente, i modelli di processo sono
rappresentati tramite grafici e sono basati su flussi di processo, regole o service-
oriented architecture (SOA). I contenuti variano notevolmente da provider a provider.
Alcuni offrono semplici modellazioni grafiche a iniziare le discussioni sul processo
selezionato da migliorare. Altri forniscono dettagliati modelli di processo predefiniti,
modelli tecnici di riferimento, le definizioni dei servizi candidati, biblioteche di
servizio tecnico, set di regole, modelli di interfaccia utente, scenari di simulazione, le
politiche di governance raccomandate, guide per la consegna e la distribuzione e
metodologie di miglioramento dei processi.
Il secondo livello di importanza dei benefici, classificato come “High”, include le seguenti
applicazioni, dalla più matura a quella più innovativa (cfr. Figura 48 per il tempo di
mainstream adoption e il posizionamento specifico sull’Hype Cycle): Business
99
Intelligence Platforms, Single-Instance ERP Backbone, Templated Implementation Tools,
ERP Mobility, Master Data Management, Embedded Analytics, Application Portfolio
Management, Value Management Tools, Model-Driven Packaged Applications, User-
Centric ERP Suites e Pace Layering and ERP. Il terzo livello include le applicazioni con
un impatto “moderato” e sono tutte quelle non riportate negli elenchi soprastanti, ma
comunque presenti nell’Hype Cycle. L’ultimo gradino, ovvero con una discontinuità
“low” rispetto ad oggi, non delinea nessuna applicazione ERP.
3.5.2 Enterprise 2.0
La presenza di investimenti in strumenti e tecnologie 2.0 non sempre procede di pari passo
con il livello di “maturità” del loro utilizzo all’interno delle imprese: a fronte di strumenti di
Unified Communication, Project Centric Collaboration e Live Collaboration, utilizzati spesso
in modo sistematico dalle imprese in più processi, ve ne sono altri come blog, forum, wiki,
podcasting, videosharing e social networking che, pur presentando in media interessanti tassi
di diffusione, hanno un livello di maturità inferiore, a testimonianza della difficoltà a uscire da
fasi di sperimentazione e di utilizzo sporadico. A dirlo è una ricerca condotta
dall’Osservatorio Enterprise 2.0 del Politecnico di Milano nel 201071
.
L’analisi mostra che, in molti casi, la loro presenza non si traduce in un reale cambiamento e
in benefici concreti a causa dei gap organizzativi e culturali che non vengono affrontati e
colmati. Per comprendere l’impatto potenziale degli strumenti sulle imprese, dunque, non
basta guardare alla sola diffusione, ma occorre entrare nel merito della loro applicazione nei
processi aziendali. Focalizzando l’attenzione sulle sole aziende del campione che utilizzano in
modo sistematico strumenti e applicazioni 2.0, il terreno più fertile di sviluppo e crescita si
trova in processi quali la gestione dei Sistemi Informativi, il Marketing, la gestione delle
Risorse Umane e la Comunicazione Interna. Meno rilevanti, sia come numero che come
impatto, sono le iniziative a supporto dei processi che riguardano il Commerciale e le Reti di
Vendita, il Customer Service e la Ricerca e Sviluppo. Nella scelta di investimento le imprese
tendono ad orientarsi verso soluzioni che hanno un ritorno economico chiaro e immediato,
trascurando, in fase di valutazione, la componente più intangibile dei benefici, legata
tipicamente a impatti di natura strutturale. Ne deriva che strumenti di Unified
Communication, Project Centric Collaboration e Live Collaboration, che spesso permettono
di ridurre in modo immediato e quantificabile i costi di comunicazione e collaborazione, con
ricadute rilevanti sull’efficienza dei processi, sono considerati un “must have” dalla gran parte
delle imprese e sono quelli utilizzati in modo maggiormente sistematico e pervasivo nelle
71 Corso, 2010
100
organizzazioni del campione. La rilevanza delle diverse tipologie di benefici cambia in
funzione dei processi considerati e delle diverse applicazioni utilizzate a supporto delle
attività. Una visione di sintesi mostra come, in modo trasversale rispetto a tutti i processi
analizzati, i principali benefici ottenuti riguardino il miglior supporto alla collaborazione e
alla gestione della conoscenza. Il tema dell’efficienza, invece, per quanto fondamentale nella
valutazione ex-ante dell’investimento, non sempre ha una rilevanza primaria ex-post. Se, ad
esempio, questo beneficio emerge in modo chiaro dall’analisi delle iniziative a supporto della
gestione delle Risorse Umane e dei Sistemi Informativi, al contrario per i processi di
Marketing, Operations e Ricerca e Sviluppo è maggiormente percepito il livello di
soddisfazione dei dipendenti e dei collaboratori esterni all’organizzazione, anche per la natura
molto più “aperta” delle attività di queste specifiche Funzioni.
Strumenti e tecnologie Enterprise 2.0 sono sempre più diffusi nelle aziende del campione che,
in oltre il 90% dei casi, riservano nel 2010 un budget specifico per attivare e potenziare
investimenti nei diversi ambiti dell’Enterprise 2.0. Dall’analisi empirica, tuttavia, emerge
come in molti casi la presenza di strumenti non si sia tradotta in un reale cambiamento. Per
comprendere l’impatto degli strumenti sulle imprese, dunque, non basta guardare alla sola
diffusione, ma occorre entrare nel merito di come questi sono utilizzati all’interno dei diversi
processi aziendali. La sintesi dei risultati ottenuti, in termini di livello di maturità nell’utilizzo
e benefici rilevati sui processi a seguito dell’introduzione degli strumenti 2.0, è rappresentata
in Figura 49.
Figura 49 - I benefici e il livello di maturità degli strumenti 2.0 (Corso, 2010)
101
Gli strumenti raggruppati sotto il nome di Unified Communication (chat, instant messaging,
presence, call, web/videoconference), Project Centric Collaboration (collaborazione asincrona
su documenti, groupware, project management tools) e Live Collaboration (condivisione e
coediting in real time di slide e documenti, strumenti di collaborazione sincrona) sono stati
introdotti nella quasi totalità delle aziende del campione, e, laddove presenti, vengono spesso
utilizzati in modo sistematico in alcuni ambiti aziendali o in tutta l’organizzazione.
Altri strumenti come blog, forum, wiki, podcasting1 e videosharing, invece, pur presentando
alti tassi di diffusione (oltre la metà del campione) hanno un livello di maturità limitato,
elemento che evidenzia un interesse crescente nelle aziende a fronte però di una marcata
difficoltà ad estenderne l’uso in modo sistematico. Infine, vi è un gruppo di strumenti ancora
poco utilizzati, come microblogging, rating & folksonomy (social voting, tagging, social
bookmarking), semantic search6 e social networking services. Tra questi, è interessante
evidenziare un discreto numero di sperimentazioni attive sul tema della semantic search (18%
delle aziende del campione), a testimonianza di come il tema dell’information overload e
della ricerca delle informazioni sia centrale per molte aziende.
3.5.3 Cloud Computing e Software as a Service
L’utilizzo di sistemi gestionali in modalità “as a Service”, da parte delle PMI italiane risulta,
ad oggi, confinato ad alcuni ambiti specifici. A sostenerlo è una ricerca condotta dall’
Osservatorio ICT & PMI del Politecnico di Milano nel 201072
. In particolare, sono stati
individuati casi interessanti di adozione da parte di imprese di piccole o micro dimensioni
operanti, in prevalenza, nel settore dei servizi, con esigenze ICT limitate. I sistemi adottati si
configurano come “pacchetti semplici” e supportano prevalentemente attività di natura
amministrativa e contabile e, solo in pochi casi, attività di gestione del magazzino. In alcuni
casi, il fornitore dell’applicazione offre l’accesso, in modalità “as a Service”, a servizi
informativi (ad esempio, banche dati, etc.) ad integrazione delle funzionalità
dell’applicazione. Tali applicazioni sono particolarmente utilizzate da imprese e/o
professionisti (ad esempio, consulenti del lavoro, studi professionali, etc.) a supporto di
attività di natura finanziaria. Rari i casi di utilizzo di gestionali in modalità “as a Service” da
parte di imprese del manifatturiero, soprattutto se caratterizzate da esigenze applicative
“evolute” (in relazione, ad esempio, alla gestione della produzione, alla gestione del ciclo
attivo e passivo, alla gestione del magazzino, etc.) a causa dell’elevato livello di
personalizzazione richiesto e, in alcuni casi, della necessità di integrazione con altre
applicazioni software utilizzate dall’impresa.
72 Balocco, 2010
102
Per quanto riguarda le applicazioni di Business Intelligence in modalità “as a Service”, da
parte delle PMI italiane, si rileva un livello di adozione marginale. Il principale ostacolo
all’utilizzo della Business Intelligence in modalità “as a Service” risiede nella difficoltà di
integrazione dell’applicazione con i molteplici database aziendali, dai quali vengono estratti i
dati per effettuare le elaborazioni e generare report o cruscotti. Tale difficoltà è aggravata
dall’elevato livello di frammentazione e disaggregazione dei dati che caratterizza
l’architettura IT di molte PMI italiane. La Ricerca ha infatti messo in evidenza come una
elevata percentuale di PMI sia caratterizzata da un’infrastruttura “patchwork”, frutto
dell’evoluzione del sistema informativo nel corso degli anni e quindi caratterizzata da un
elevato livello di disomogeneità dei sistemi (risorse server, ai sistemi operativi, ai database,
etc.) e di dispersione dei dati. Se guardiamo all’offerta, anche la maggior parte dei fornitori di
applicazioni di Business Intelligence sta indirizzando le proprie soluzioni in modalità “as a
Service” (quando presenti) verso il mercato delle grandi imprese. Per il futuro si intravvede
un potenziale di diffusione per applicazioni verticali che non richiedano un’eccessiva
personalizzazione e che consentano di minimizzare lo scambio di dati con il sistema
informativo dell’impresa (ad esempio, applicazioni per la reportistica, sistemi per l’analisi
delle prestazioni dei siti Web, etc.).
Altro dato rilevante è che solamente il 3% delle PMI italiane ha adottato un’applicazione di
CRM in modalità “as a Service”. Nella maggior parte dei casi si tratta di imprese di medie
dimensioni operanti nel comparto dei Servizi alle Imprese (ad esempio, Servizi di
Consulenza, Media, etc.) e della Distribuzione Commerciale all’ingrosso, mentre sono minori
i casi di imprese operanti nel comparto manifatturiero. Il livello di adozione, superiore
rispetto alle altre applicazioni analizzate, dipende da alcuni fattori, che proviamo ad elencare
di seguito: basso livello di personalizzazione richiesto dalle imprese nell’adozione di tali
applicazioni. Spesso le PMI che hanno adottato soluzioni di CRM in modalità “as a Service”
non hanno richiesto interventi di customizzazione delle funzionalità particolarmente rilevanti,
anche in considerazione del fatto che, in molti casi, l’introduzione dell’applicazione non ha
sostituito un’applicazione esistente ma è andata ad informatizzare un insieme di attività
(quelle di relazione con i clienti) non ancora supportate da applicazioni software; maggiore
facilità di integrazione con le altre applicazioni del sistema informativo aziendale. Nella
maggior parte dei casi di adozione, il CRM non ha comportato uno scambio di dati
particolarmente intenso con le altre applicazioni del sistema informativo aziendale. Da notare,
comunque, come il CRM in modalità “as a Service” sia stato adottato prevalentemente da
imprese dotate di un sistema gestionale basato su tecnologie standard e allo stato dell’arte e,
quindi, facilmente integrabile.
La diffusione di tali applicazioni in modalità “as a Service” tra le PMI italiane si attesta
attorno al 2% e si focalizza, in particolare, su sistemi di videoconferenza che integrano voce,
video e chat. Tali applicazioni non richiedono personalizzazione ed integrazione con il
103
sistema informativo aziendale e, per questo, la modalità di utilizzo “as a Service” appare
particolarmente attrattiva. Infatti viene preferita alla modalità di adozione tradizionale,
soprattutto nel caso in cui l’impresa intenda testare l’applicazione, con l’obiettivo di
comprendere funzionalità e benefici, oppure nel caso in cui ne faccia un utilizzo sporadico,
che renderebbe economicamente svantaggioso l’acquisto dell’intero sistema.
Per quanto riguarda la Gestione Documentale e la Conservazione Sostitutiva, ad oggi esiste
un certo numero di fornitori di sistemi che sta indirizzando la propria offerta in modalità “as a
Service” verso il mercato delle PMI, le quali non hanno ancora adottato questo tipo di
soluzioni, facendo leva sulla facilità di adozione e sui benefici tangibili immediati che si
possono riscontrare.
Circa il 20% delle PMI italiane si dimostra interessato all’adozione futura di almeno
un’applicazione in modalità “as a Service”. Focalizzandosi sulle sole imprese che hanno
dimostrato interesse per tali soluzioni emerge che (Figura 50), circa il 40% intende valutare
l’adozione di un pacchetto gestionale semplice a supporto dell’amministrazione e della
contabilità. Si tratta in prevalenza di imprese di piccole o micro dimensioni, che stanno
utilizzando pacchetti elementari in modalità tradizionale o sistemi sviluppati ad hoc. Il 25%
circa sta pensando all’adozione futura di una soluzione di CRM e/o di Gestione Documentale
e/o di Unified Communication & Collaboration. Le applicazioni di Gestione delle Risorse
Umane, di Business Intelligence e per la gestione degli acquisti sono state segnalate da un
numero di imprese inferiore al 20%.
Figura 50 - Imprese interessate ad adottare in futuro la soluzione in modalità “as a Service” (Balocco, 2010)
104
4. Capitolo 4
4. Il modello: ICT per gestire la complessità
In questo capitolo viene illustrata la proposta del modello frutto del presente lavoro di tesi, il
cui scopo è quello di mappare la capacità di una PMI (o di un gruppo di PMI) di gestire
configurazioni più o meno complesse attraverso le tecnologie dell’informazione presenti in
azienda. Per raggiungere tale scopo sono state utilizzate o estese metodologie già consolidate
in passato, analizzate e illustrate nei capitoli precedenti in fase di analisi della letteratura.
Il modello mette in correlazione due variabili: la Complessità gestionale ed il Livello di
governo delle ICT. La Complessità gestionale delle imprese è il risultato di due contributi: la
Complessità organizzativa e quella del business, declinate a loro volta in più fattori che
identificano rispettivamente le caratteristiche interne (struttura organizzativa, know-how,
dimensioni, etc.) e quelle esterne all’azienda (robustezza del business, internazionalizzazione,
caratteristiche del business, etc.). Per quanto riguarda la valorizzazione del Livello di governo
delle ICT, invece, si considera una media tra i contributi forniti, dal ruolo e le competenze
della Direzione IT, l’attenzione posta dall’impresa all’innovazione e il livello di maturità
applicativa e infrastrutturale del sistema informativo.
Al fine di comprendere meglio i concetti sottesi dal modello verranno riportate, nella prima
parte di questo capitolo, alcune definizioni di complessità condivise in letteratura e che sono
state usate come riferimento per la costruzione del modello. Successivamente verranno
approfondite tutte le componenti ed i dettagli che compongono l’analisi appena sintetizzata.
105
4.1 Principi guida per la strutturazione del modello
Definire e delimitare in maniera univoca il significato che la parola complessità assume non è
sicuramente semplice, poiché le definizioni che si possono trovare in letteratura sono
molteplici e dipendono fortemente dal contesto di riferimento. I contributi di stampo
tecnico/scientifico tendono ad associare alla parola complessità il concetto di non linearità.
Un problema è detto non lineare quando non è possibile risolverlo attraverso un’analisi delle
diverse componenti in forma scomposta, in quanto esse interagiscono tra loro73
. Partendo da
questo presupposto è possibile definire un’organizzazione complessa come74
:
“un’organizzazione fatta da un’eterogeneità di parti distinte che hanno specificità,
autonomie, che richiedono anche sguardi dedicati per poterli comprendere, ma che sono
tessuti insieme e ricongiunti per cui non è più possibile comprendere le singole parti se non
nelle relazioni con le altre e con l’ambiente in cui sono immerse”.
Un ulteriore contributo, a supporto di questa definizione, è possibile trovarlo nel libro “Le
PMI nel Sistema Globale”75
, che introduce il concetto di grado di complessità di un sistema,
spiegando come sia impossibile dedurre tale grandezza senza contestualizzare il sistema
nell’ambito delle interconnessione ed interdipendenze con l’ambiente esterno.
In questo lavoro verrà presa, come riferimento, quest’ultima definizione, considerata la più
adatta in quanto ben collocabile all’interno del contesto imprenditoriale delle PMI.
Pertanto il primo passo è stato quello di delineare una metrica preposta alla valutazione della
complessità, basata su una lista di driver significativi, che potessero rappresentare alcune
configurazioni chiave dell’impresa, del mercato in cui opera e delle tecnologie adottate. Una
volta completato il quadro generale per ogni area (interna ed esterna), si è analizzato come
questi driver, presi singolarmente o attraverso combinazioni lineari, potessero interagire tra
loro in modo tale da identificare dei fattori specifici. Questi ultimi si basano su modelli e
definizioni consolidati in letteratura, interpretati in modo tale da valorizzare univocamente il
relativo contributo alla complessità dell’impresa.
È stato necessario escludere dalle metriche del modello alcuni fattori quali la leadership, lo
stile imprenditoriale o il clima aziendale poiché non adatti a rappresentare una proxy diretta
della complessità o dipendenti prevalentemente da analisi interpretative/soggettive.
73Magrassi, 2010
74 Brunod, 2008
75 Berardi, 2010
106
Tali fattori, infatti, influenzano e permeano in maniera “soft” tutti i processi e le attività
dell’impresa, per cui non è possibile linearizzare l’analisi su caratteristiche indipendenti e, di
conseguenza, includerli nel modello. Altri fattori, invece, come ad esempio la complessità
introdotta dalla gestione di un business internazionale o la complessità derivante dalla macro-
struttura aziendale, possono essere misurati grazie all’intersezione di più driver, più o meno
facili da individuare in maniera oggettiva e standardizzabile.
I fattori di disturbo individuati rappresentano, tuttavia, una minoranza circoscritta a pochi
elementi e per questo motivo sono stati trattati separatamente in una sezione dedicata (cfr.
Paragrafo 4.4). Essi influiscono certamente sul grado di complessità totale dell’impresa, ma
sono stati considerati come condizioni di contorno che, sotto opportune ipotesi, possono
essere esclusi dai confini del modello, dato che l’obiettivo di quest’ultimo è quello di fornire
una rappresentazione semplificata della realtà, senza tuttavia perdere di valenza generale.
4.2 Sintesi concettuale del modello proposto
4.2.1 Obiettivi del modello
L’obiettivo di questo modello è quello di comprendere e rilevare l’adeguatezza del livello di
governo delle ICT che un’organizzazione si è data, rispetto alla complessità gestionale che la
caratterizza. Lo sguardo è rivolto in particolare alle realtà di PMI e gruppi di PMI. Tale
complessità è identificata analizzando l’organizzazione (complessità interna) ed il business in
cui opera (complessità esterna).
Il modello ha una funzione prescrittiva, ovvero definisce quale sia la situazione attuale
dell’impresa; tuttavia può essere applicato anche nel caso in cui sia già stata individuata dal
management una strategia evolutiva o se è già in corso un cambiamento. In questo caso
l’analisi dovrà essere riadattata, considerando come attuale la configurazione futura stabilita
dall’impresa.
4.2.2 Metodologia d’analisi
Il modello si sviluppa a partire dall’identificazione della complessità dell’impresa secondo
due punti di vista: quello organizzativo e quello business, ottenuti rispettivamente da analisi
interne ed esterne all’impresa. La sintesi del risultato di queste due analisi porterà a stabilire il
livello di complessità gestionale che caratterizza la PMI (o il gruppo) in esame.
Il secondo passo sarà quello di identificare la capacità dell’impresa di gestire la complessità
attraverso il governo delle ICT e tale capacità verrà ricavata sulla base di fattori relativi ai SI
aziendali ed alla Direzione IT nel suo complesso.
Per l’applicazione del modello è necessaria una conoscenza approfondita dell’impresa in
esame; in particolare per quanto riguarda l’analisi interna ed il rilevamento del livello delle
107
ICT aziendali, è necessario coinvolgere utenti che conoscano i processi dell’impresa e
abbiano accesso a dati ed informazioni riservate. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile
ottenere un buon grado di precisione sui fattori di complessità. Per quanto riguarda l’analisi
esterna, invece, è semplicemente necessaria la padronanza dei principi di mercato e
dell’economia industriale; tutti i dati sono, di fatto, disponibili all’esterno dell’impresa ma è
fondamentale che essi siano correttamente interpretati e correlati.
4.2.3 Struttura del modello
Come già illustrato, il modello è composto da due assi fondamentali: la Complessità
gestionale ed il Livello di governo delle ICT. Il risultato che si ottiene è da interpretare in
funzione del posizionamento del punto rispetto alla diagonale della matrice. In Figura 51
vediamo la matrice che sintetizza il modello e presenta posizionamenti fittizi di ipotetiche
realtà di PMI. L’impresa X ad esempio sarebbe un’impresa ad alta complessità gestionale che
non ha un’adeguata capacità di governo delle ICT e viene quindi classificata come Impresa
arretrata; queste imprese necessitano di innovare i propri sistemi e riconsiderare il ruolo delle
ICT al fine di gestire correttamente la propria complessità. L’impresa Y sarebbe un’impresa
ben posizionata (Allineata) in quanto presenta alta complessità gestionale ma un adeguato
livello di governo delle ICT. L’impresa Z, invece, rappresenta il caso di Imprese in
espansione, in cui il livello di governo delle ICT non si limita ad essere adeguato al livello di
complessità dell’impresa ma è addirittura superiore, questa situazione è tipica di start-up.
Figura 51 - Matrice di sintesi del modello
Il posizionamento sull’asse della Complessità gestionale deriva dalla sintesi di due valori: La
Complessità organizzativa e la Complessità del business. Le due analisi portano a due risultati
di complessità indipendenti ma confrontabili, essendo tarati su una stessa scala. Il valore
108
riportato sull’asse della Complessità gestionale sarà il massimo valore riscontrato tra le due
variabili. Utilizzare un’altra metodologia di sintesi potrebbe risultare errato; se, ad esempio, ci
si trovasse in un caso in cui la complessità interna è molto elevata mentre la complessità
esterna è limitata e si sintetizzassero i risultati attraverso una media o un posizionamento sulla
diagonale, si considererebbe opportuno un livello medio di governo delle ICT. Ciò però non
corrisponde alla realtà; un livello medio di governo delle ICT non è, infatti, secondo i
presupposti del modello, sufficiente per gestire una complessità organizzativa elevata.
Il livello di complessità che è assegnato a ciascuna area di analisi (interna ed esterna) è dato
dalla configurazione assunta dai singoli fattori di analisi. Ognuno di questi fattori verrà
analizzato singolarmente (dettaglio nel paragrafo 4.3) e verrà assegnato un valore di
complessità da 1 a 4, rappresentato da una scala cromatica: verde (1), giallo (2), arancione (3),
rosso (4). Questi fattori sono da considerarsi contributi indipendenti alla complessità
(organizzativa o del business): per questo motivo la complessità finale di un’area si calcola
come media dei fattori facenti parte della stessa.
Una struttura di questo tipo è stata definita anche per l’asse: Livello di governo delle ICT;
relativamente a quest’asse sono stati individuati dei fattori e su ognuno di essi verrà espressa
una valutazione da 1 a 4 sull’impresa in esame. Il posizionamento sull’asse è caratterizzato
dalla media di questi contributi.
4.3 Descrizione di dettaglio del modello
4.3.1 Complessità organizzativa
Per Complessità organizzativa s’intende la complessità derivante da fattori interni
all’impresa. In Tabella 3 sono riassunti i fattori che caratterizzano quest’area; per ogni fattore
sono stati specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che vanno osservate in
azienda e che incidono sul valore di complessità introdotto dal fattore in questione. La tabella
contiene, inoltre, le configurazioni a cui l’impresa va ricondotta e dalle quali dipendono i
valori di complessità. L’ultima colonna, invece, contiene i modelli di letteratura cui si fa
riferimento per l’analisi del fattore.
109
Tabella 3 - Dettaglio dei fattori dell’area organizzativa
Macrostruttura
Il primo fattore dell’area organizzativa che si vuole rappresentare è quello che indaga la
complessità derivante dalla Macrostruttura, ovvero come l’azienda si è organizzata dal punto
di vista strutturale per rispondere alle esigenze operative richieste dal business. A tal scopo i
driver selezionati sono la modalità di lavoro e la struttura dell’organigramma.
Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano tre configurazioni principali, ovvero se
l’azienda opera prevalentemente per progetti, con logiche quali ETO, DTO, etc. (cfr.
Paragrafo 3.4), se è più focalizzata su processi ripetitivi e trasversali all’azienda o se è
prevalentemente orientata al prodotto.
Il secondo driver è rappresentativo della struttura gerarchica aziendale, ovvero se l’impresa è
focalizzata all’output in termini di prodotto, cliente o mercato (struttura divisionale), se è
orientata alle attività (struttura funzionale) o se è una composizione delle due (struttura a
matrice).
In letteratura è ampiamente discussa quale sia la configurazione organizzativa preferibile, a
seconda della tipologia di attività e degli obiettivi da raggiungere. La struttura divisionale è,
110
infatti, più adatta per gestire un orientamento al prodotto, quella funzionale è generalmente
indicata per supportare i processi extra-funzionali e quella a matrice per la gestione di progetti
più o meno complessi76
. Questa distinzione è abbastanza condivisa, ma nella realtà è possibile
trovare situazioni ibride o miste che chiaramente ampliano lo spettro di soluzioni percorribili.
Questa scomposizione si limita a considerare i raggruppamenti standard, a prescindere dalla
moltitudine di realtà esistenti più o meno ibride, senza comunque perdere di validità generale.
I driver sono stati utilizzati come assi per creare la matrice della Macrostruttura, al fine di
identificare una proxy diretta della complessità per questo fattore: come si può vedere in
Figura 52, sono state identificati nove posizionamenti possibili, ovvero la combinazione
lineare di tutte le situazioni descritte precedentemente. La diagonale identifica il
posizionamento ottimale, mentre nelle rimanenti casistiche la complessità è massima (zona
rossa), a causa di un disallineamento tra la struttura e la gestione delle operations. Da notare,
inoltre, che la complessità aumenta ugualmente nel senso indicato dalla freccia, anche nei casi
di perfetto allineamento. Questo perché la gestione di organizzazioni a matrice che operano
per progetti devono dotarsi di sistemi di controllo e di coordinamento articolati e sofisticati77
.
Figura 52 - Macrostruttura
76 Spina, 2008
77 Spina, 2008
111
Microstruttura
Il secondo fattore che si vuole rappresentare è quello che indaga la complessità derivante dalla
Microstruttura, ovvero come l’azienda si è organizzata dal punto di vista organico per
rispondere alle esigenze operative richieste dal business. A tal scopo i driver selezionati sono
la dimensione aziendale ed il tipo di mansione, inteso come il rapporto (%) tra i Knowledge
Worker (cfr. Paragrafo 3.1) ed il numero totale dei dipendenti.
Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano due configurazioni principali, ovvero se
l’azienda è di piccole o medie dimensioni. Per stabilire in quale delle due posizioni si trovi
una impresa, nel presente lavoro si fa riferimento alla nuova definizione delle microimprese
dettata dalla Commissione Europea, che sostituisce a decorrere dal 1° gennaio 2005 la
definizione stabilita tramite la raccomandazione 96/280/CE. In particolare una media impresa
è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone ed il cui fatturato non
superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di
euro. Una piccola impresa, invece, è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a
50 persone ed il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro (cfr.
Paragrafo 1.1 per un approfondimento sulle PMI Italiane).
Il secondo driver è rappresentativo della tipologia di lavoratori presenti in azienda ed il
discriminante è effettuato sul numero di Knowledge Worker presenti in azienda. Questi ultimi
sono tutte quelle persone che hanno ruoli quali supervisore, aiutante, ricercatore, connettore,
gestore, organizzatore, collettore, diffusore, risolutore e controllore78
.
Maggiore è il numero di queste figure, maggiore è la possibilità che esse necessitino di
interagire tra loro e con il resto dell’azienda, creando di fatto una moltitudine di relazioni che
complicano la gestione dell’impresa stessa al crescere delle sue dimensioni, in modo più che
proporzionale79
. La soglia del 50% è stata stabilita sulla base di studi empirici di settore, in
quanto vi sono business che storicamente si aggirano intorno al 10% di Knowledge Worker,
prevalentemente appartenenti al settore primario, fino a punte dell’85% di aziende che
operano in quello terziario80
.
78 Reinhardt, 2011
79 Drucker, 1954
80 Beckstead, Gellatly, 2009
112
Figura 53 - Microstruttura
Scambi informativi
Questo fattore si basa sulla matrice Information Intensity introdotta da Porter e Millar nel
198581. L’obiettivo per il quale questa matrice è stata creata è introdurre una metodologia
d’analisi dell’organizzazione finalizzata a valutare l’opportunità di sfruttamento delle ICT per
ottenere un vantaggio competitivo. Porter e Millar suggeriscono di valutare l’intensità
d’informazione nei prodotti e nei processi dell’organizzazione, ipotizzando che al crescere di
tale intensità cresca anche il potenziale vantaggio derivante dall’utilizzo delle ICT a supporto
del prodotto o processo stesso. L’analisi dell’intensità informativa di prodotti e processi
permette di posizionare l’organizzazione in una matrice (Figura 54). Dato che lo scambio
d’informazioni influenza fortemente la complessità dell’impresa, tale posizionamento può
essere considerato una proxy diretta della complessità; al crescere dell’intensità di tali scambi,
infatti, si ha un aumento della complessità organizzativa dovuto alla difficoltà della gestione
delle stesse. Ogni quadrante della matrice può essere dunque ricondotto ad un livello di
complessità secondo la nota scala cromatica ed evidenziare così il contributo che gli scambi
informativi hanno nella definizione della complessità organizzativa.
81 Porter, Millar, 1985
113
Figura 54 - Matrice Information intensity, livello di complessità per il fattore: Scambi informativi
Le caratteristiche principali che si osservano per rilevare l’intensità informativa di processo
sono: la quantità d’informazioni e di componenti incluse negli ordini, la quantità di fornitori
diretti, la durata dei cicli di lavoro, la complessità del processo produttivo ed il numero di
reparti coinvolti. Per quanto riguarda l’intensità informativa di prodotto, invece, le
caratteristiche primarie analizzate sono: la numerosità di informazioni intrinseche nel
prodotto, la numerosità dei codici della distinta base ed il numero di utilizzi del prodotto.
Gruppo
Nel Paragrafo 1.1.2 è stato trattato il fenomeno aggregativo delle imprese. Se si prendono in
esame PMI facenti parte di un gruppo è doveroso considerare nel modello la complessità che
questa particolare configurazione implica. In Figura 55 è rappresentata la matrice di
riferimento per questo fattore. Come per i precedenti fattori, il colore del quadrante in cui si
posiziona l’impresa ne indica il livello di complessità per quanto riguarda il fattore Gruppo.
I driver individuati per esplicitare la complessità di questo fattore sono l’entità degli scambi
informativi tra le imprese facenti parte del gruppo e la numerosità del gruppo stesso. Per
quanto riguarda la numerosità è stata scelta una soglia di riferimento. Si considerano come
gruppi di piccole dimensioni aggregazioni con al massimo tre imprese operative (escluso
holding o finanziarie), mentre gruppi con quattro o più imprese sono da considerarsi estesi.
Questa scelta si è basata su dati forniti dall’ISTAT82
nei quali si legge che il 76% dei gruppi è
composta da meno di due imprese; data l’alta popolazione di gruppi di così piccole
82 ISTAT, 2011
114
dimensioni si è scelta una soglia bassa in modo da distribuire i gruppi lungo l’asse in maniera
quantomeno accettabile. Diversamente, per misurare l’entità degli scambi di informazioni tra
le società del gruppo è necessario individuare i processi trasversali alle due imprese e le
funzioni centralizzate. Analizzando tali processi si possono classificare i gruppi in due macro-
classi: gruppi con rari scambi informativi e gruppi con scambi informativi frequenti. Nella
macro-classe scambi informativi frequenti rientrano anche gruppi con diverse funzioni
operanti a livello centrale come ad esempio le funzioni amministrative, finanziarie o di
controllo.
Figura 55 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Gruppo
Conoscenza dei processi
Il quinto fattore che si vuole rappresentare è quello che indaga la complessità derivante dalla
Conoscenza dei processi, ovvero in che modo il know-how aziendale è sviluppato, conservato
e condiviso all’interno dell’azienda. A tal scopo i driver selezionati sono la formalizzazione
delle attività, ovvero se è possibile standardizzare o meno le fasi del processo di
trasformazione dell’input in output, e la gestione della conoscenza, intesa come la natura di
tale risorsa.
Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano due configurazioni principali, ovvero se
la maggior parte delle operazioni sono estrapolabili dal processo stesso e formalizzabili
(attività standardizzabile) o se il know-how per eseguire la maggior parte delle attività non è
circoscrivibile, rendendo difficile, se non impossibile, una formalizzazione duratura nel tempo
(attività non standardizzabili).
Il secondo driver è rappresentativo della natura della conoscenza, ovvero se è tacita o
esplicita. La prima, definibile anche come implicita, si basa sull’esperienza personale, su
115
regole approssimative, intuizione e giudizi soggettivi. Comprende il know-how professionale,
le competenze pratiche, le conoscenze e le esperienze individuali, le soluzioni creative.
Risulta difficile da tradurre in parole, comunicare o trasmettere agli altri e generalmente
riguarda il “come” si esegue qualcosa. La conoscenza esplicita (o formale), invece, può essere
codificata, messa in forma scritta e trasmessa agli altri mediante documenti o istruzioni e
riguarda solitamente il “cosa”.
Per capire quanto sia rilevante la conoscenza è sufficiente soffermarsi su alcune dichiarazioni:
per Drucker rappresenta “la sola risorsa significativa del nostro tempo”, per Toffler è “la fonte
di ogni potere economico”, mentre Quinn afferma che è “la base di ogni prodotto/servizio di
successo”. La competizione, il contesto turbolento e l’innovazione continua portano a vedere
la conoscenza come una risorsa tanto importante quanto le risorse economiche. Come visto
precedentemente (cfr. Paragrafo 3.1), la conoscenza nasce e risiede tipicamente nei
Knowledge Worker e non è propria dell’organizzazione di cui fanno parte. Per questo motivo,
spesso, risulta difficile condividere e capitalizzare ciò che si sa, tendendo a “reinventare la
ruota” poiché semplicemente non si sa che esiste. Come se non bastasse, la conoscenza
diventa rapidamente obsoleta se non viene messa continuamente in discussione e sviluppata (è
una delle sfide a cui sono chiamate le nuove tecnologie). Occorre uno sforzo sistematico di
trovare, organizzare, rendere disponibile il capitale intellettuale che serve all’organizzazione.
La conoscenza passa da individuo a gruppo a organizzazione e viceversa attraverso diversi
possibili percorsi che si intrecciano e si susseguono: socializzazione, esteriorizzazione,
combinazione e interiorizzazione. Per favorire e influenzare questi processi il management ha
a disposizione diverse leve di intervento, riunibili sotto il cappello di Knowledge
Management. Dal punto di vista dell’organizzazione il know-how può essere gestito, dalla
generazione alla conservazione, seguendo il ciclo di vita rappresentato in Figura 56.
Figura 56 - Spirale della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1995)
116
In genere le attività non standardizzabili sono proprie dei progetti, contrariamente a quelle dei
processi. In riferimento alla matrice di Figura 57, se la conoscenza per realizzare quelle
attività è esplicita, sia il progetto che il processo sono sotto controllo, ovvero l’impresa è in
grado di sostituire le risorse senza gravi conseguenze (zona verde). Contrariamente, nel caso
di conoscenza tacita, l’impresa non ha il pieno possesso del know-how necessario, in quanto
le risorse sono difficilmente rimpiazzabili o sostituibili, a meno di sostenere alti costi (perdita
di produttività temporanea, formazione del personale, aumento del potere dei competitor se
entrano in possesso di tale conoscenza, etc.). Di conseguenza gestire un business in cui la
conoscenza risiede prettamente nel processo o nelle persone (conoscenza tacita) è più
complesso di attività in cui il know-how è esplicito o, in ogni caso, implica una maggiore
esigenza di strumenti e modalità di comunicazione che abilitino il trasferimento di tale know
how. A questo si aggiunge la possibilità o meno di standardizzare le attività, che riduce la
complessità qualora sia possibile perseguire qualche sorta di formalizzazione.
Figura 57 - Conoscenza dei processi
4.3.2 Complessità del Business
Per Complessità del business s’intende la complessità derivante da fattori esterni all’impresa.
In Tabella 3 sono riassunti i fattori che caratterizzano quest’area; per ogni fattore sono stati
specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che vanno osservate in azienda e
che incidono sul valore di complessità introdotti dal fattore in questione e le configurazioni di
riferimento per la valutazione. L’ultima colonna della tabella, invece, contiene i modelli di
letteratura cui si fa riferimento per l’analisi del fattore.
117
Tabella 4 - Dettaglio dei fattori dell’area del business
Robustezza del business
Il primo fattore dell’area del business che si vuole rappresentare è quello che indaga la
complessità derivante dalla Robustezza del business, che nel presente lavoro è da intendersi
come capacità dell’impresa di resistere alle difficoltà intrinseche del settore grazie al suo
posizionamento rispetto alla totalità del mercato. Tale fattore è ricavato sulla base di due
driver, ovvero la quota di mercato, definita come la percentuale di fatturato rispetto al volume
complessivo del business, e lo stato di salute del settore, valutato secondo diversi aspetti da
noti studi di categoria.
Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano tre configurazioni principali, ovvero se
l’azienda occupa una posizione da leader ove le sue scelte strategiche influenzano il mercato
(QM Alta), oppure se è una impresa follower, giocando comunque un ruolo rilevante nel
settore (QM Media) o se la sua presenza è marginale e confinata prevalentemente a livello
locale (QM Bassa).
Il secondo driver è rappresentativo dello stato di salute del settore e si basa su tre parametri
rilevati dalla nota società Euler Hermes Siac (multinazionale per l'assicurazione di crediti
commerciali, recupero crediti, valutazione commerciale dei clienti ed indennizzo per mancato
pagamento). Queste tre misure sono l’indice di rischiosità, la difficoltà di pagamento e le
insolvenze di pagamento, che riuniti in un unico indicatore costituiscono le tre configurazioni
possibili dello stato di salute del settore (Ottimo, Discreto e Critico). Il vantaggio che deriva
dall’utilizzare questo studio piuttosto che altri è che si suddivide per classificazione Ateco
2007 e in particolare discrimina tra i vari settori (prime due cifre della codifica). In questo
118
modo è facilmente classificabile il contesto di ogni impresa poiché è sufficiente risalire al
codice con il quale è stata registrata alla camera di commercio. A questo punto è necessaria
una precisazione, che riguarda la possibilità dell’impresa di essere molto diversificata e di
operare in più settori. Chiaramente questa situazione è molto rara per le PMI (oggetto di
questa tesi), ma qualora una piccola azienda dovesse offrire i propri prodotti e servizi verso
due o più mercati scollegati tra loro si potrebbero verificare le seguenti situazioni:
Se l’impresa ha almeno il 70% delle sue attività in un singolo settore (legge di Pareto)
si considera quest’ultimo come dominante e di conseguenza è corretto effettuare
l’analisi come se operasse solo in quel dato contesto di mercato;
Se l’azienda è perfettamente diversificata (da 70%-30% a 50%-50%) allora è
necessario considerare il contributo di ciascuno pesando l’indice di salute dei singoli
settori con la percentuale del fatturato ricavato in ognuno di essi.
Dalle precedenti analisi è possibile arrivare a definire il livello di complessità di ogni
quadrante. A differenza di altre matrici la granularità di questa è leggermente superiore,
poiché identifica nove situazioni possibili. Se il settore è in crescita o è stabile, con buone
prospettive future, sarà considerato come ottimo e possedere una quota di mercato rilevante
facilita la permanenza in questo settore anche nei prossimi anni. Simmetricamente è
sicuramente più complesso gestire un business critico con una QM bassa o media, in quanto
una strategia errata può rivelarsi fatale per la sopravvivenza dell’impresa nel lungo periodo.
Nelle situazioni intermedie il ventaglio di possibilità è estremamente ampio, ma in questa
trattazione si limita a considerare delle zone meno complesse quando la QM è solida rispetto
a situazioni di mercato più o meno critiche.
Figura 58 - Robustezza del business
119
Internazionalizzazione
La componente di internazionalizzazione è un fattore fondamentale per misurare la
complessità del business delle imprese. Se un’impresa ha un forte carattere internazionale,
infatti, sarà necessario gestire informazioni multi-lingua, governare e tenere sotto
osservazione legislature, convenzioni e monete differenti. Andrà inoltre gestita la distanza
fisica e la dispersione sul territorio.
I driver individuati per valutare la componente internazionale delle imprese sono la criticità
dei mercati serviti e la profondità negli stessi. La criticità dei mercati serviti, che vediamo
illustrata in Figura 59 è una combinazione di numero, estensione e distanza geografica e
culturale degli stessi rispetto al mercato di riferimento. È doveroso, infatti, considerare sia su
quanti mercati si affaccia l’impresa sia lo sforzo che questi mercati comportano. Non può, ad
esempio, avere lo stesso impatto sulla complessità la presenza su un mercato vasto e distante
come quello cinese rispetto ad un mercato ridotto, simile e vicino come potrebbe essere il
mercato svizzero.
Figura 59 - Driver per l’identificazione della criticità dei mercati serviti
Per avere una proxy completa della complessità, la criticità dei mercati va incrociata con la
profondità con cui l’impresa è presente in essi. Le possibili configurazioni identificate e
condivise in letteratura sono:
• Internazionalizzazione passiva: i prodotti dell’azienda vengono acquistati da operatori
economici esteri. L’azienda non offre sul mercato estero i propri prodotti ma sono le
aziende estere che s’interessano a essi, i rapporti sono quindi, spesso, occasionali.
• Internazionalizzazione attiva: l’impresa si pone sul mercato internazionale con
campagne di marketing promozionale, i rapporti internazionali sono dunque ricercati e
continui nel tempo.
120
• Delocalizzazione: l’impresa sposta i propri processi, o parte di essi, in un altro paese.
In Figura 60 è rappresentata la matrice che si ottiene dall’incrocio dei due driver sopra
definiti; la scala cromatica indica come la complessità relativa al fattore
internazionalizzazione cresca linearmente con i due assi. Imprese prive di attività
internazionali sono da collocarsi nel quadrante in basso a sinistra, introducendo in questo
modo un livello minimo di complessità.
Figura 60 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Internazionalizzazione
Portafoglio prodotti
Questo fattore prende in analisi la complessità introdotta dalla tipologia di offerta
dell’impresa. I driver presi in considerazione per tale analisi sono ampiezza e profondità di
gamma dell’impresa. Un’impresa può, infatti, produrre svariati prodotti (multi-prodotto) o
essere specializzata in un unico prodotto (mono-prodotto) ma allo stesso tempo può produrre
un numero limitato o elevato di varianti di ogni singolo prodotto. Combinando queste
caratteristiche si ottiene la matrice di Figura 61 che indica, attraverso il colore del quadrante,
il livello di complessità che caratterizza il Portafoglio prodotti in analisi. Si nota come
l’ampiezza di gamma influisca in modo superiore alla profondità sul livello di complessità del
fattore. Questo è dovuto al fatto che risulta più complesso diversificare l’offerta su più
prodotti, magari molto diversi tra loro, che offrire una gamma di prodotti simili tra loro e
soggetti a piccole variazioni o personalizzazioni.
121
Figura 61 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Portafoglio prodotti
Differenziali competitivi
I differenziali competitivi sono ritenuti utili come fattore di analisi poiché permettono di
indicare come l’impresa si distingue dai propri competitor diretti. Il metodo scelto per questo
confronto è identificare numero e difendibilità dei CSF. Il metodo dei CSF si deve ad un
contributo di Rockart che nel 197983
si pose l’obiettivo di selezionare le informazione
prioritarie, relative alle aree determinanti ove l’azienda deve funzionare perfettamente per
avere successo. In Tabella 5 è riportato un esempio dei possibili CSF di un’impresa, la
metrica con la quale devono essere calcolati, la fonte da cui è possibile ottenere i dati e le
motivazioni che portano all’utilizzo dell’indicatore.
83 Rockart, 1979
122
Tabella 5 - Esempio CSF (Bracchi, 2005)
Un’impresa con un alto numero di CSF ha una buona posizione rispetto ai propri competitor e
ciò riduce la complessità da gestire, ma il numero dei CSF non è sufficiente e serve includere
nella valutazione anche quanto i fattori differenziali siano difendibili nel tempo. Per
comprendere quale sia il livello di difendibilità dei CSF si può osservare il numero e il valore
dei brevetti posseduti dall’impresa. Altri fattori che influenzano la difendibilità dei fattori
differenziali sono la regolamentazione del mercato ed il ciclo di vita medio dei prodotti. Se le
norme del mercato di riferimento subiscono cambiamenti frequenti, infatti, la difendibilità dei
CSF può ridursi notevolmente. Allo stesso modo se l’impresa punta su fattori differenziali di
prodotto ed il ciclo di vita dello stesso è molto breve, tali fattori sono da considerarsi
difficilmente difendibili nel tempo. Dunque avere alta difendibilità dei propri CSF significa
poter garantire che quest’ultimi permettano di mantenere o migliorare la propria posizione
competitiva nel medio-lungo periodo.
La matrice rappresentata in Figura 62 permette di identificare il livello di complessità da
attribuire all’impresa per quanto riguarda il fattore Differenziali competitivi. La complessità
massima si avrà quando non si identifica un numero rilevante di fattori differenziali e quelli
trovati risultano difficilmente difendibili. In questa situazione l’impresa si trova a dover
competere con le altre aziende senza avere le armi adatte per difendersi nel lungo periodo (i
fattori differenziali) e questo incrementa il livello di complessità totale. D’altra parte, la
complessità risulta minima nel caso in cui l’impresa presenti numerosi fattori differenziali ed
essi siano difendibili nel tempo.
123
Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi
Volendo chiarire con un esempio, consideriamo due imprese (A e B): entrambe godono di una
buona posizione competitiva in quanto i propri clienti riconoscono l’alta qualità dei prodotti.
Nell’impresa A la qualità è riconducibile ad un’attenta selezione delle materie prime mentre
l’impresa B può contare su un processo produttivo brevettato che conferisce ai prodotti i
requisiti considerati differenziali dai propri clienti. L’impresa A risulterà caratterizzata da
Bassa Difendibilità dei CSF in quanto le materie prime sono accessibili anche ai diretti
competitor mentre l’impresa B sarà posizionata come ad Alta Difendibilità dei CSF grazie alle
garanzie di unicità conferitegli dal possesso del brevetto.
4.3.3 Livello di governo delle ICT
Per Livello di governo delle ICT s’intende l’insieme degli asset (architetturali e applicativi) di
un Sistema Informativo aziendale e le modalità (organizzative e strategiche) con cui queste
sono gestite, mantenute e ottimizzate, per le quali è possibile declinare delle configurazioni
tipo cui tendere.
I fattori di analisi di riferimento per l’approfondimento di tale area sono riassunti in Tabella 6.
Per ogni fattore sono stati specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che
determinano le configurazioni di riferimento, sulle quali si basa la valorizzazione della
complessità, relativamente al fattore in esame. Tali configurazioni sono riportate nell’ultima
colonna della tabella.
124
Tabella 6 - Dettaglio dei fattori dell’area di governo delle ICT
Maturità applicativa
Quando si parla di governo delle ICT il primo pensiero è sicuramente rivolto ai sistemi
software che l’impresa utilizza per gestire i propri processi. Il primo fattore di quest’area
riguarda, quindi, il patrimonio applicativo dell’impresa e quanto esso risulti adeguato a gestire
la complessità. Il modello identificato per valutare il patrimonio applicativo delle imprese è il
modello della Maturità applicativa dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Tale modello
è già stato approfondito nel Paragrafo 2.4.1 ed in questo fattore ci si limiterà a interpretarlo al
fine di identificare il livello di complessità gestibile attraverso il governo dell’ICT relativo ad
ogni cluster (identificati in Figura 63).
125
Figura 63 - Matrice della Maturità applicativa (Osservatorio ICT & PMI, 2009)
Come si può vedere in Figura 64 al crescere del livello di Maturità applicativa, cresce il
livello di complessità gestibile. Le quattro configurazioni identificate dall’Osservatorio del
Politecnico risultano perfettamente coerenti con la scala cromatica che identifica il livello di
complessità che una data configurazione del portafoglio applicativo permette di gestire (es.: il
portafoglio integrato esteso abilita alla gestione di un alto livello di complessità organizzativa
– livello rosso).
Figura 64 - Associazione: Maturità applicativa / livello di complessità gestibile
126
Maturità infrastrutturale
Analizzati i sistemi software dell’impresa, per avere una panoramica completa sul sistema
informativo aziendale è necessario considerare i sistemi hardware su cui essi risiedono. Il
fattore infrastruttura ha quindi l’obiettivo di analizzare quale sia il livello delle infrastrutture
aziendali e quale sia il loro contributo alla gestione della complessità. Come per il precedente
fattore, è possibile utilizzare il modello della Maturità infrastrutturale dell’Osservatorio del
Politecnico (Figura 65) in quanto propone una classificazione del tutto associabile alla scala
cromatica atta a misurare la capacità di gestire la complessità da parte delle ICT dell’impresa;
tale associazione è raffigurata in Figura 66. Per eventuali approfondimenti si faccia
riferimento al Paragrafo 2.4.2. nel quale il modello è già stato illustrato nel dettaglio.
Figura 65 - Matrice della Maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)
Dalla matrice rappresentata in figura emerge come Infrastrutture evolute presentino alti livelli
sia di Completezza che di Livello di aggiornamento. Questa configurazione, come si vede in
Figura 66, identifica un’infrastruttura in grado di rispondere a livelli di complessità molto
elevati (livello 4). Un livello sotto si collocano le infrastrutture classificate come
Infrastrutture in evoluzione, nonostante risultino meno complete delle precedenti; il livello di
aggiornamento elevato le rende flessibili e, di conseguenza, facilmente espandibili nel caso
sia necessario. Le Infrastrutture conservative, invece, seppur complete dal punto di vista
funzionale, sono tuttavia limitate nell’aggiornamento, causando notevoli problemi di
obsolescenza e poca flessibilità. La classificazione si chiude con le Infrastrutture embrionali
che, poco aggiornate e incomplete, sono adatte esclusivamente a contesti poco complessi.
127
Figura 66 - Associazione Maturità infrastrutturale / livello di complessità gestibile
Innovazione ICT
Il fattore tiene in considerazione sia la spinta innovativa dell’impresa, ovvero quanto
l’impresa sia orientata ad implementare le nuove tecnologie proposte dal mercato, sia il fatto
che il miglior modo di innovare è bilanciare tecnologie all’avanguardia con tecnologie
consolidate. Essere troppo innovativi e puntare solo su tecnologie nuove, infatti, comporta alti
rischi mentre essere poco innovativi e utilizzare solo tecnologie consolidate porta, nel lungo
periodo, all’obsolescenza dell’ICT dell’impresa ovvero all’impossibilità di mantenere la
propria posizione competitiva.
L’indicatore proposto si basa sugli studi di Gartner riguardanti le tecnologie di settore: la
curva è rappresentata in Figura 67. In questo caso si utilizza la curva già declinata sul settore
manifatturiero, mentre, nel caso in cui si voglia applicare il modello ad altre tipologie
d’imprese, Gartner fornisce report dedicato per ogni settore. Gartner fornisce il
posizionamento delle tecnologie di ogni settore su una curva, detta Hype Cycle (cfr. Paragrafo
3.5). La curva si sviluppa su due assi: l’asse temporale e l’asse delle aspettative. L’asse di
interesse per questa analisi è l’asse temporale; si andranno ad utilizzare le cinque classi in cui
le tecnologie sono suddivise sull’asse temporale. Per la precisione si attribuisce un peso
differente ad ogni tecnologia in base alla classe a cui essa appartiene. I pesi come riportato in
Figura 67, vanno da 1 a 5; attribuendo un peso minore alle classi che rappresentano tecnologie
meno innovative. La classe On the rise, quindi, avrà peso 5, la classe At the peak peso 4 e così
via fino ad arrivare alla classe Entering the plateau cui verrà attribuito peso 1.
128
Dato l’insieme di tecnologie M (Gartner) ed i pesi associati ad ognuna di queste tecnologie
compresi tra 1 e 5 si definiscono:
: { }
: { }
{ }
∑
∑
{ }
∑
∑
{ }
∑
∑
{ }
L’indicatore percentuale v sull’innovatività dell’imprese viene dunque scalato in funzione
della distribuzione delle tecnologie presenti lungo l’asse temporale di Gartner. Nel caso in cui
questa distribuzione non risulti equa e ci si trovi dunque di fronte ad imprese o troppo
innovative o troppo poco innovative, l’indicatore di innovazione consapevole k risulterà
inferiore rispetto a v. Il fattore risulta quindi alto quando numerose tecnologie dell’elenco
fornito da Gartner risultano adottate e contemporaneamente, innovazione (pesi alti) e stabilità
delle tecnologie (pesi bassi) trovano un compromesso minimizzando la distorsione tra media
effettiva e media ideale m.
Il fattore k deve poi essere interpretato attraverso dei valori soglia che stabiliscano il livello di
capacità di gestione della complessità dei diversi range. Si consideri un fattore innovativo
nullo o insufficiente per valori di k compresi tra 0 e 10%: sono imprese a basso contenuto
innovativo aziende con k compreso tra l’11% e il 20%, realtà con k tra il 21% e il 30% sono
da considerarsi a medio contenuto innovativo mentre organizzazioni con k superiore al 30%
possono essere considerate ad alto contenuto d’innovatività. In Figura 67 è possibile vedere
l’associazione dei range alla scala cromatica caratteristica di questo modello.
129
Figura 67- Curva di Gartner, pesi delle classi di tecnologie e legenda dell'indicatore k (Gartner, 2010)
Rilevanza strategica delle ICT
Il fattore analizzato in questo paragrafo si riferisce al coinvolgimento della Direzione IT nei
processi decisionali dell’impresa, in particolare nel processo di definizione della strategia. Nel
Capitolo 2 è stato ampiamente descritto il ruolo strategico che l’ICT può assumere a supporto
del business dell’impresa. Perché ciò si avveri è però necessario che gli attori che governano
il business siano consapevoli delle potenzialità dell’ICT. Il modello proposto dal MIT, trattato
nel Paragrafo 2.3 fornisce un riferimento per poter individuare quale sia la visione che il
business ha delle ICT. Analizzando le prospettive, descritte nel Paragrafo 2.3.3, è possibile
individuare l’influenza che la divisione ICT ha all’interno dei processi decisionali e collocare
così l’impresa all’interno della classificazione rappresentata in Figura 68. Le quattro visioni
possibili si ispirano ad un modello di Forrester Research; il modello suggerisce che le
imprese, per utilizzare efficacemente le ICT, devono risultare allineate rispetto alle quattro
colonne rappresentate in Figura 69.
All’interno del fattore Rilevanza strategica delle ICT si prende in considerazione la sola
colonna Business view of IT poichè le altre colonne andrebbero a considerare caratteristiche
dell’impresa che sono oggetto d’analisi di altri fattori. È necessario limitare questo tipo di
sovrapposizioni in quanto si andrebbe a mischiare i campi d’analisi dando così troppa
rilevanza a queste caratteristiche e rischiando di uscire dalla logica lineare su cui è basato il
modello. L’obiettivo è, infatti, quello di valutare la capacità dell’impresa di gestire la
complessità attraverso l’utilizzo delle ICT come risorsa strategica; maggiore sarà la
considerazione di cui l’ICT gode nei processi decisionali, maggiore sarà tale capacità. La
scala cromatica con cui sono rappresentate le possibili visioni dell’IT in Figura 68
130
rappresentano dunque il livello di complessità che l’impresa potrebbe gestire relativamente a
questo fattore.
Figura 68 - Modalità di valutazione per il fattore: Rilevanza strategica delle ICT(rielaborato da Boccardelli, 2007)
Figura 69 - Alignment IT and business - Forrester research (Castelli, 2010)
Competenze ICT
Per chiudere il quadro dell’area governo delle ICT bisogna necessariamente considerare le
competenze degli addetti IT. Nel Paragrafo 2.2 sono state identificate le competenze
fondamentali di una Direzione IT e vengono evidenziati i possibili profili che il reparto può
assumere all’interno dell’impresa in base al livello riscontrato per ognuna di esse. I profili che
emergono dal modello dell’Osservatorio sono tre, tuttavia il profilo IT buyer e project
manager, ovvero il profilo con competenze più alte, è a sua volta scomponibile in due livelli.
Si identificano nel primo livello Direzioni IT in grado di esercitare la funzione di buyer sotto
131
stretto controllo da parte di altri attori dell’organizzazione, e risultano in grado di gestire
progetti di entità ridotta, che non coinvolgono risorse di più BU dell’impresa. Il secondo
livello dell’IT buyer e project manager, invece, si differenzia per competenze gestionali più
elevate che consentono alla Direzione IT di essere autonoma e propositiva nei processi di
acquisto di tecnologia e nella gestione di progetti complessi, trasversali all’impresa. I profili
di IT Help Desk e IT sviluppatore, invece, assumono esattamente l’accezione descritta
precedentemente. Si delineano dunque quattro profili possibili; ragionando in ottica di
capacità di gestire la complessità, appare evidente come all’aumentare delle competenze, la
Direzione IT sia in grado di contribuire maggiormente alla gestione della complessità
dell’impresa. L’abbinamento tra i livelli di complessità gestibile ed i profili di competenza,
riassunto in Figura 70 è dunque immediato e del tutto coerente con gli altri fattori visti sinora.
Figura 70 - Associazione profili di competenza ICT / livello di governo delle ICT
4.4 Limiti e opportunità di evoluzione
Il modello ha una funzione prescrittiva, ovvero definisce la situazione attuale dell’impresa,
senza suggerire la configurazione futura rispetto al caso specifico. Tuttavia può essere
adattato al fine di analizzare il punto di arrivo dell’impresa, ma perché ciò sia possibile è
necessario che la visione To-Be sia chiara e dettagliata a chi applica il modello. In questo caso
l’analisi andrebbe condotta valutando ogni fattore secondo i progetti e le ipotesi definite per la
configurazione futura. Utilizzare il modello in quest’ottica aiuterebbe a comprendere se la
Complessità gestionale, che caratterizzerà la nuova configurazione dell’impresa, sarà
adeguatamente supportata dal governo delle ICT che verrà adottato.
Come esposto all’inizio di questo capitolo, una delle caratteristiche del modello “ICT per
gestire la complessità” è quella di partire da framework già presenti e consolidati in
letteratura, che vanno a considerare elementi oggettivamente rappresentabili in termini di
analisi. Tale aspetto porta pertanto ad escludere caratteristiche intrinseche dell’impresa che
condizionano la sua complessità in modo non lineare.
132
Questo è il motivo per cui nessun fattore prende in considerazione i rapporti tra le persone,
nonostante in un’impresa, specialmente in una PMI, le relazioni tra i dipendenti siano
fondamentali per lo svolgimento delle attività. Gestire un ambiente di lavoro caratterizzato da
un clima di cordialità e cooperazione riduce notevolmente la complessità di un’impresa,
poiché i processi decisionali saranno più snelli e rapidi, diminuendo la probabilità che molti
progetti falliscano o ritardino a causa dell’ostruzionismo di alcuni individui. Il clima
aziendale è un tipico fattore trasversale all’impresa, che non è possibile estrapolare e gestire in
modo indipendente e lineare.
Lo stesso motivo porta ad escludere dal modello la tipologia di gestione che caratterizza
l’impresa. In Italia la forma di gestione più diffusa per quanto riguarda le PMI è la gestione
familiare (cfr. Paragrafo 1.1.1). Si possono identificare due modelli di gestione, quello
famigliare e quello manageriale, ove in quest’ultimo i soci azionisti, proprietari dell’impresa,
delegano al management la gestione operativa dell’impresa. Il modello famigliare, per quanto
snello e largamente adottato in Italia, è caratterizzato da inefficienze riguardanti la
suddivisione del potere e le competenze necessarie per la gestione dell’impresa. Si potrebbe
dunque affermare che questa tipologia di gestione introduce una complessità superiore
rispetto alla gestione manageriale; quest’ultima, tuttavia, presenta alcuni fondamentali
problemi, primo tra tutti l’asimmetria informativa tra proprietà e management (modello
Principale-Agente84
). Se proprietà e management, invece, si concentrano nelle mani dello
stesso gruppo famigliare, si può supporre che esse abbiano i medesimi interessi. Ciò porta ad
una maggior velocità di decisione e flessibilità, caratteristiche fondamentali per una PMI, che
favoriscono una riduzione della complessità. Anche la modalità di gestione, quindi,
rappresenta un fattore da considerare separatamente, poiché non può essere trattato
egualmente agli altri indicatori, nonostante influenzi la complessità dell’impresa.
Il perimetro di analisi su cui agisce il modello non include particolari indicazioni sul modo di
gestire la complessità, una volta individuata, tuttavia fornisce gli elementi fondamentali per
comprendere quali siano i fattori su cui l’impresa può e deve far leva al fine di riposizionarsi
sulla diagonale della matrice di sintesi del modello.
Un’altra assunzione che è stata fatta, che in sostanza non si discosta molto dalla realtà, è che
le caratteristiche analizzate nell’area del business sono da considerarsi fisse nel breve periodo,
mentre quelle presenti nell’area organizzativa suggeriscono un punto di partenza per
effettuare dei miglioramenti anche nel breve periodo, al fine di ridurre la complessità rilevata.
Per quanto riguarda il fattore Macrostruttura, se ad esempio l’impresa presentasse una
84 Rogerson, 1985
133
complessità di livello 4 (quadranti rossi), potrebbe bastare un adeguamento
dell’organigramma per riallineare la struttura organizzativa alle modalità di lavoro e ridurre di
conseguenza la complessità intrinseca. Nel caso in cui il fattore Conoscenza dei processi
presenti una elevata complessità, sarebbe sufficiente intervenire sulla standardizzazione dei
processi o sulla formalizzazione del know-how che risiede nelle persone (conoscenza tacita),
per ridurre la complessità rilevata da tale indicatore.
Diminuire la complessità resta, ad ogni modo, un’operazione a sua volta complessa, senza la
garanzia di ottenere quanto desiderato, poiché non è semplice intervenire senza
ridimensionare il business dell’azienda (presenza di trade-off). È più indicato, invece,
identificare e intervenire sul Livello di governo delle ICT. Il modello non fornisce indicazioni
specifiche su come intervenire per migliorare il governo delle ICT, ma indica quali siano le
aree di miglioramento individuate. Tuttavia è possibile far riferimento al Capitolo 3 per
quanto riguarda lo stato dell’arte dei propri Sistemi Informativi ed effettuare una “Gap
Analysis” tra il livello attuale e quello necessario richiesto dal modello.
Il modello al momento non prende in esame la strutturazione di percorsi di evoluzione che
possano indicare come, dato un certo posizionamento assunto dall’impresa, questa possa
migliorarsi e assestarsi sul posizionamento suggerito dal modello, secondo linee di sviluppo,
organizzative e tecnologiche ben definite. In tal senso il lavoro potrebbe rappresentare un utile
punto di partenza per la definizione di una Road Map strutturata che, in base alla tipologia di
PMI e al posizionamento sulla matrice di allineamento, definisca e tempifichi i passi per
migliorarne il relativo Livello di governo delle ICT. In questo modo l’impresa, terminata
l’analisi, potrebbe fruire di linee guida che le permetterebbero di raggiungere l’allineamento
con la Complessità gestionale, rispondendo in modo completo alle esigenze emerse.
134
5. Capitolo 5
5. Il caso di studio del Gruppo F – B
Nel presente capitolo saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un
primo caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo F-B, anonimizzato per ragioni di
privacy, composto solo da due aziende, F e B, che operano in mercati diversi e con modelli di
produzione differenti. L’applicazione su tale realtà si colloca all’interno di un più ampio
progetto condotto dalla Fondazione Politecnico che ha supportato il Gruppo analizzato nella
fase di trasferimento tecnologico.
La prima parte del capitolo sarà dedicata alla descrizione delle imprese, dei loro processi e del
mercato di cui fanno parte. Seguirà una panoramica volta a cogliere lo stato dell’arte dei
Sistemi Informativi, in termini di rilevazione dell’attuale configurazione applicativa e
infrastrutturale del Gruppo.
Infine verrà applicato il modello proposto, valorizzando ciascuno dei fattori indicati come
driver delle macro aree di analisi, con l’obiettivo di comprendere se l’attuale configurazione
ICT è adeguata, in termini organizzativi e di asset tecnologici, alle esigenze di complessità
gestionale rilevate.
135
5.1 Descrizione del Gruppo F – B
Il Gruppo F-B nasce nel 1960 quando la famiglia F acquisisce parte del capitale di B come
socio esterno, senza incarichi operativi, con una quota del 50%. Dal 1987 la famiglia F
diventa l’unica proprietaria ed effettua i primi interventi strategici, puntando prevalentemente
sulla crescita nei mercati internazionali e investendo in tecnologie informatiche, a partire dal
sistema ERP. Nel 2008 la famiglia F, tramite la sua holding, acquisisce il controllo azionario
di B e F.
L’azienda F (265 dipendenti, 90 Mln € di fatturato), è stata fondata negli anni ’30 ed è
specializzata nella progettazione e realizzazione di grandi impianti alimentari per la
produzione della pasta. Date le specificità richieste dai clienti, opera esclusivamente su
commessa (ETO), dalla fase di ingegnerizzazione all’installazione e collaudo del prodotto
finito. L’impresa B (188 dipendenti, 49 Mln € di fatturato), invece, opera nel settore delle
soluzioni per il clima in ambito residenziale e industriale. Il mercato richiede che il prodotto
sia ordinato e consegnato nel minor tempo possibile, richiedendo di conseguenza una
produzione su base previsionale (MTS).
5.1.1 Le caratteristiche dell’azienda F
L’impresa ha all’attivo circa 150 clienti, che spaziano dai più famosi pastifici sino ai
produttori di pasta di fascia bassa; si distingue dai competitor per gli alti volumi produttivi
garantiti, per la qualità di prodotto e processo e per la costante innovazione proveniente dalla
propria R&D interna. Fin dall’esordio, infatti, sono stati numerosissimi i brevetti depositati,
ma ancora oggi investe importanti risorse nell’innovazione continua.
Il mercato degli impianti per pastifici è in crescita ed in particolare si punta sulle nuove
opportunità rappresentate dai mercati dell’area mediterranea e dell’Africa centrale.
L’espansione evidenziata nell’ultimo lustro (209 dipendenti e 50 Mln € di fatturato nel 2006)
ha portato F a sconfinare dai limiti stabiliti nella definizione europea di PMI (Paragrafo 1.1);
ad ogni modo l’impresa può essere analizzata, per organizzazione e storia, secondo il modello
proposto, tenendo in considerazione tale approssimazione in fase di interpretazione dei
risultati.
In Figura 71 è rappresentato l’andamento del fatturato e del numero di dipendenti negli ultimi
dieci anni. Appare evidente come dal 2004 ad oggi F sia in costante crescita sia a livello di
fatturato che di marginalità. Il numero di dipendenti è, invece, rimasto costante dopo un
brusco calo nei primi anni del decennio. Questi dati rispecchiano l’attenzione che F ha posto
sull’efficienza del processo produttivo, e all’espansione del business su mercati internazionali
in particolare alle zone in sviluppo. Si nota, inoltre, che F non ha subito l’effetto della crisi del
2008 e ciò si deve alla tipologia di prodotto. La pasta, infatti, è un prodotto con domanda
136
anticiclica per cui, in tempo di crisi la domanda tende ad aumentare; il mercato degli impianti
per la produzione di pasta è conseguentemente caratterizzato dallo stesso andamento.
Figura 71 - Andamento di F negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)
L’offerta di F si differenzia tra la pura vendita del macchinario e la soluzione “chiavi in
mano”, in cui l’azienda si occupa direttamente anche delle attività di installazione e collaudo.
Gli impianti pastifici hanno una durata operativa molto lunga, mediamente compresa tra i 30 e
i 40 anni, e sono caratterizzati da una elevata complessità di prodotto e di processo.
Tipicamente occorrono da sei a otto mesi per l’evasione di un ordine poiché, come accennato
precedentemente, è necessaria una progettazione ad hoc delle specifiche richieste dal cliente.
La distinta base è piuttosto profonda e ramificata (include 7.000-8.000 codici di cui 600-700
specifici per ogni commessa) e il processo produttivo è articolato in molteplici fasi. Il ciclo
produttivo si configura pertanto secondo logiche di produzione per commessa, con volumi
ridotti a valore unitario elevato (1-5 Mln € a macchina).
5.1.2 Le caratteristiche dell’azienda B
Lo scenario competitivo di B è caratterizzato dalla presenza di un elevato numero di player,
che spaziano dalle grandi multinazionali, quali Bosch con 3 Mld € di fatturato, fino ai piccoli
produttori (30-80 Mln €) tra i quali si colloca B. Rispetto ai concorrenti si differenzia sulla
qualità del prodotto, poiché è caratterizzato da un alto contenuto tecnologico e da un’ottima
affidabilità, collocandosi di conseguenza nella fascia medio-alta del mercato. In particolare i
laboratori per la prova di bruciatori e caldaie sono dotati di sofisticati strumenti per la misura
dell'efficienza degli apparecchi, della qualità dei prodotti della combustione e del livello di
rumorosità, secondo le richieste delle più esigenti normative internazionali.
Il settore del riscaldamento ha subito gli effetti della recente recessione, anche se vi sono
segnali di crescita soprattutto all'estero (+30% nel primo semestre del 2010 rispetto allo stesso
periodo del 2009). Il presidio dei mercati è affidato ad una rete commerciale che serve l’intero
territorio italiano (900 fra concessionari, agenti, punti vendita, centri assistenza, etc.) e circa
0
50
100
150
200
250
300
350
0
20
40
60
80
100
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Dip
en
de
nti
Milioni (€)
Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti
137
quaranta paesi esteri, prevalentemente in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina,
attraverso importatori e distributori specializzati.
In Figura 72 è riportato l’andamento di fatturato e dipendenti di B negli ultimi dieci anni. I
dati evidenziano un trend costante, in leggera crescita nel periodo antecedente alla crisi del
2008 che ha avuto un impatto rilevante. Nell’ultimo esercizio, tuttavia, l’impresa è stata in
grado di recuperare e riportarsi su livelli di fatturato e marginalità che le competevano in
precedenza.
Figura 72 - Andamento di B negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)
Il mercato di riferimento è particolarmente dinamico a seguito della crescente
sensibilizzazione verso tecnologie “Green”: le recenti normative premiano l’innovazione
mirata all’abbattimento dei consumi energetici, favorendo lo sviluppo di prodotti alternativi
prima inesistenti (es.: case di classe A). Il vertice di B intravede, per l’espansione del business
nel prossimo futuro, l’ampliamento della gamma prodotti grazie all’introduzione d’impianti di
micro-generazione e ad una maggiore attenzione verso nuove tecnologie fotovoltaiche. Nel
lungo periodo il focus sarà rivolto alle pompe di calore, che andranno a sostituire le attuali
caldaie.
Il management è sensibile al valore delle tecnologie ed è interessato a sistemi per
l’ottimizzazione del controllo di processo e della programmazione. In particolare è percepita
l’esigenza di aumentare l’efficacia della pianificazione della produzione, migliorando il grado
di affidabilità delle previsioni della domanda.
5.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi
Le due imprese, come riportato precedentemente, operano in contesti molto differenti, sia per
tipologia di prodotti che per modalità di produzione degli stessi. Per questo motivo attività e
strutture sono completamente separate, ad eccezione del Centro Elaborazione Dati (CED), che
risiede fisicamente presso B e serve entrambe le aziende in termini di Help Desk, poiché
alcune applicazioni sono in comune (cfr. Figura 75).
0
50
100
150
200
250
300
350
0
10
20
30
40
50
60
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Dip
en
de
nti
Milioni (€)
Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti
138
Per comprendere come operano le due aziende sono state effettuate alcune interviste con i
key-user individuati nelle rispettive società. Il lavoro di consulenza svolto presso il Gruppo F-
B ha permesso una mappatura completa dei processi sia dal punto di vista funzionale che da
quello applicativo/infrastrutturale, determinando la catena del valore85
e l’architettura dei SI
delle due imprese.
La Figura 73 rappresenta una sintesi di quanto emerge da tale analisi presso F, poiché lo
schema include i processi primari e quelli di supporto, che attraversano trasversalmente tutta
l’azienda, in quanto rispetto alle diverse attività. L’analisi, volta a far emergere le carenze dei
sistemi attuali e le esigenze dei diversi attori in ambito di supporto ICT (approfonditi nel
Paragrafo successivo), permette anche di individuare i processi più critici, che necessitano di
innovazioni organizzative. In F questi processi sono: il Controllo di Gestione, data la
difficoltà nel reperire tutte le informazioni sui tempi e i costi delle commesse e la poca
precisione con cui essi vengono rilevati; la Gestione del Contatto Commerciale, complessa in
quanto prolungata nel tempo e la fase di montaggio in loco dell’impianto.
Se previsto dal contratto, F si occupa anche del montaggio e del testing dell’impianto presso il
cliente. Data la frequenza di clienti internazionali e le dimensioni degli impianti, la gestione di
eventuali eccezioni e rilavorazioni da effettuare in fabbrica risulta particolarmente critica.
Figura 73 - Catena del valore di F
Per quanto riguarda i processi di B, invece, risulta particolarmente critico il rapporto tra
l’Ufficio Commerciale e la Produzione. Il mercato di B richiede velocità, dato il numero di
competitor e la scarsa differenziazione dei prodotti; il tempo con il quale soddisfa le richieste
del cliente, infatti, diventa un elemento fondamentale per mantenere la quota di mercato.
85Porter, 1985
139
Per avere tempi di risposta brevi è necessario avere un’organizzazione flessibile e perché ciò
sia possibile le informazioni devono sempre essere disponibili a chi ne necessita. In B gli
uffici per la Gestione degli ordini (Italia ed estero) non hanno visibilità sulla schedulazione
della produzione in primo luogo perché non esiste uno Schedulatore a capacità finita integrato
al sistema e in secondo luogo perché Commerciali e Produzione hanno una divergenza di
interessi. Per l’Ufficio Commerciale, infatti, un ordine aggiuntivo significa incrementare il
fatturato e quindi raggiungere i propri obiettivi mentre per la produzione significa extra-
lavoro e riorganizzazione delle attività.
La mancata gestione delle priorità e la scorretta gestione degli incentivi causano una perdita di
flessibilità. L’impresa ha provato a riorganizzarsi inserendo la figura del Planner all’interno
dell’Ufficio Commerciale, con esperienza nella Produzione, che funge da raccordo tra i due
reparti, ottenendo alcuni miglioramenti. Tuttavia questa fase rimane critica ed è necessario
intervenire in modo più consistente per garantire risultati anche nel lungo periodo.
Figura 74 - Catena del valore di B
5.1.4 Assessment sistema informativo
Dall’analisi svolta è stato rilevato uno scenario applicativo vasto ed eterogeneo in cui i
Sistemi Informativi sono cresciuti per aggiunte successive, raggiungendo una buona copertura
dei processi di business, ma con isole applicative parzialmente integrate (spaghetti
integration). In Figura 75 si riporta la mappa del portafoglio applicativo attualmente gestito.
Il patrimonio applicativo F/B è composto da: 22 applicazioni specialistiche non integrate, 19
applicazioni specialistiche integrate con il gestionale, 31 applicazioni dedicate a servizi di
infrastruttura, 6 applicazioni per la gestione dell’infrastruttura virtuale.
140
Le applicazioni comunicano tra loro attraverso: Integrazioni interne, scambio di flussi dati tra
il gestionale e i diversi software specialistici tramite formati concordati tra le parti,
integrazioni effettuate tramite applicativi ad-hoc, integrazioni con l’esterno, utilizzo di servizi
Java per l’inserimento di alcuni dati nel gestionale oppure integrazioni tramite protocolli
standard.
Figura 75 - Mappa delle applicazioni Gruppo F – B
Descrizione dei software applicativi
Software
applicativo
Descrizione
Gestionale: AS
400
Sistema ERP basato su tecnologia IBM System (AS 400) modello 520
per la copertura dei processi di: amministrazione, produzione, gestione
magazzino, ciclo ordine fornitori, ciclo ordini clienti
Gestione delle
offerte
Specializzato nel supporto per l’offertazione. Supporto alle attività di
censimento e registrazione dell’offerta (Legame anagrafica
cliente,legame anagrafica prodotto, import mail offerta)
Reportistica Supporto ai processi direzionali di controllo di gestione e di
monitoraggio, utilizzato per la produzione di reportistica
141
Cad 2D /3D Supporto alle attività di progettazione tecnica di singoli
componenti/gruppi. Adottato nella versione 2D e 3D
PDM Supporto alle attività di progettazione tecnica nelle attività di gestione
dei disegni tecnici (dati e documentazione)
Avanzamento
della produzione
Software per il tracciamento della produzione: permette la gestione
informatica delle fasi di lavorazione e la rendicontazione delle ore
uomo effettuate sulla commessa
Posta elettronica Software per la gestione della posta elettronica e per il reperimento
delle informazioni per la gestione della commessa
Business
Intelligence
Software a supporto delle attività direzionali di controllo di gestione, di
analisi di Business Intelligence e produzione di reportistica
Logistica Software per la gestione dei flussi logistici: supporta le fasi di prelievo
e spedizione definendo i “viaggi” per i prelievi dei componenti
aggiornando i relativi livelli di giacenza
Portale Portale extranet per l’immissione degli ordini da parte della rete di
vendita
Collaudi/Controllo
qualità
Software per la gestione dei controlli di qualità a campione e per la
manutenzione degli strumenti di controllo
Progettazione
elettrica
Software per la generazione delle distinte base dei componenti elettrici
(es.: quadri elettrici)
Gestione note
spesa
Software per la gestione delle note spese (costi di trasferta, etc.)
Gestione badge Software per la gestione delle presenze e della mensa
Fatturazione
elettronica
Software per l’archiviazione sostitutiva della fatture attive e passive e
dei libri contabili
Tesoreria Software per la gestione dei pagamenti contributivi, lettere di intento, e
tutto ciò che riguarda l’invio delle informazione all’Agenzia delle
Entrate
Tabella 7 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo F - B
142
Nonostante l’ampia copertura funzionale sono significative le segnalazioni emerse di esigenze
di integrazione e interoperabilità da parte degli utenti chiave intervistati.
In entrambe le imprese si riscontra la primaria necessità di uno Schedulatore a capacità finita
in grado di coordinare le operazioni produttive e consentire ai commerciali di proporre offerte
ai clienti con tempi di consegna rispettabili. Un’altra necessità comune è costituita da
software per la gestione univoca dei dati di prodotto (PDM), ad oggi assente e molto utile sia
nei casi di prodotti articolati e dal ciclo di vita lungo come gli impianti di F che per la
gestione dell’ampia gamma dei prodotti B. In quest’ultima realtà, in particolare, un
trattamento dei dati di questo tipo consentirebbe un’ottimizzazione nella gestione dei fuori
standard e dei ricambi per articoli fuori produzione.
Le differenti caratteristiche delle due imprese generano bisogni anche di diversa natura. Si
rileva, infatti, la mancanza di due applicazioni fondamentali nel parco applicativo: sistemi di
gestione integrata delle commesse per F e sistemi a supporto delle previsioni di vendita per B.
Data la lunga durata e l’elevato numero di funzioni aziendali coinvolte in ogni commessa di
F; risulta necessario un applicativo che permetta la gestione di costi, tempi e risorse associate
ad una commessa. In questo modo si andrebbe a facilitare il compito dei Project Manager e ad
abilitare un maggiore controllo di quelli che sono i processi core dell’impresa.
B, invece, si basa su una produzione su previsione di vendita e, di conseguenza, la stima della
domanda rappresenta un’attività fondamentale per il business dell’impresa che deve essere
supportata da funzioni dedicate e non, come avviene attualmente, basarsi esclusivamente
sull’esperienza dei commerciali e del responsabile delle vendite.
L’infrastruttura di rete è composta da 10 armadi (7 di B e 3 di F) connessi tra loro
principalmente da connessioni a 100 Mb/s e solo una porzione della rete di B è coperta da
connessioni a 1Gb/s.
La sala server dispone di 28 server fisici (compreso il gestionale AS400) e 48 server virtuali.
In particolare, l’infrastruttura virtuale è costituita da 3 server e 2 storage su cui è installato il
sistema di virtualizzazione VMWare ESX. Tale configurazione (hardware e software)
garantisce un buon livello di affidabilità.
5.2 Applicazione del modello
Dalla descrizione riportata nei paragrafi precedenti, emerge come F e B, seppur facenti parte
dello stesso Gruppo, presentino caratteristiche completamente differenti. Risulta pertanto
opportuna un’analisi disgiunta delle due imprese secondo i fattori delle aree organizzativa e
del business. Nel corso di questo capitolo, si andrà quindi ad analizzare il posizionamento
delle due imprese in maniera indipendente rispetto ai fattori di complessità identificati nel
modello, arrivando a determinare la Complessità gestionale caratteristica delle singole
143
imprese. Per quanto riguarda l’analisi del Livello di governo delle ICT, invece, si possono
considerare le imprese in maniera congiunta dato che il Gruppo ha scelto di mantenere la
Direzione IT comune tra le due imprese e le caratteristiche tecnologiche sono
conseguentemente le stesse. È comunque importante sottolineare il fatto che esistono delle
lievi differenze tra il patrimonio applicativo di B e quello di F dato che alcuni sistemi sono
stati dotati di personalizzazioni ad hoc per le impresa e che alcuni software sono stati
acquistati ad uso specifico di un’impresa o addirittura di un reparto di questa. La dispersione e
la proliferazione del portafoglio applicativo è dovuta, principalmente, al fatto che il budget IT
non è esclusivamente gestito dalla Direzione IT ma le singole Business Line hanno la
possibilità di utilizzare il proprio senza necessariamente coinvolgere la Direzione IT nella fase
di selezione del software. Questo provoca problemi di compatibilità e integrazione con gli
applicativi già presenti in azienda oltre che la completa assenza di controllo sul portafoglio
applicativo.
Le differenze rilevate non risultano differenziali per la valorizzazione delle variabili di analisi
del modello proposto. Il posizionamento delle due imprese sarà dunque analogo per ogni
fattore che riguarda quest’area.
5.2.1 Complessità organizzativa F – B
Per quanto riguarda la complessità organizzativa, F presenta caratteristiche che la collocano a
un livello nettamente superiore a quello di B. Organizzare un’impresa che lavora per
commesse con lunghi cicli di vita e di notevole articolazione risulta, infatti, più complesso
rispetto a organizzare un’impresa che si basa su prodotti dal ciclo produttivo più breve o
addirittura nullo (nel caso di prodotti commercializzati).
Figura 76 - Complessità organizzativa, risultati complessivi F e B
144
In Figura 76 si nota, infatti, come F presenti una complessità superiore rispetto a B per ogni
fattore dell’area organizzativa eccezion fatta per il fattore Gruppo dove, necessariamente, le
imprese presentano le stesse caratteristiche.
Nei paragrafi a seguire si entrerà nel dettaglio di ogni fattore, giustificando la scelta fatta
rispetto ai valori riportati.
Macrostruttura F-B
Analizzando le imprese secondo i driver del fattore Macrostruttura, si nota come F, lavorando
su commessa, presenta una modalità di lavoro di progetto. L’azienda, tuttavia, è organizzata
in modo funzionale, con un accenno di struttura a matrice troppo debole per poter affermare
che l’impresa adotta questo tipo di organigramma. Sebbene sia presente la figura del project
manager, infatti, i reparti coinvolti si susseguono con logica di processo sequenziale, come è
possibile notare dalla catena del valore in Figura 73, e non in ottica di team work. La
posizione di F sulla matrice di Figura 77 è dunque fuori dalla diagonale e ciò, secondo le
metriche definite dal modello, implica una complessità elevata, dovuta all’inadeguatezza
dell’organigramma rispetto alla modalità di lavoro.
B, al contrario, risulta posizionata sulla diagonale della matrice Macrostruttura. Ad
un’organizzazione funzionale, visibile anche sulla Catena del valore di Figura 74 corrisponde,
infatti, una modalità di lavoro per processi. Questo giustifica il contributo di complessità
ridotto (livello 2).
Figura 77 - Matrice di complessità della Macrostruttura, posizionamenti di F e B
145
Microstruttura
Entrambe le imprese del Gruppo sono, per quanto riguarda il numero di dipendenti,
classificabili come Medie imprese. Il differente livello di complessità deriva, come visibile in
Figura 78, da un diverso rapporto tra il numero di Knowledge Worker e il numero di
dipendenti totali.
F presenta una percentuale di Knowledge Worker superiore alla soglia. La produzione di
impianti ingegneristicamente complessi necessita di un Ufficio Tecnico vasto, un Ufficio
Automazione software e persone in grado di mettere insieme le varie parti della commessa
(Project Manager). Ciò comporta che il numero di Knowledge Worker, come emerso dalle
analisi, superi la soglia del 50%.
B, invece, ha una percentuale di Knowledge Worker inferiore alla soglia (42%); ad incidere
su questo dato è soprattutto l’elevato numero di “colletti blu” impegnati nei magazzini e nella
logistica.
Figura 78 - Matrice di Microstruttura, posizionamenti di F e B
Scambi informativi
In Figura 79 sono riportati i posizionamenti delle due imprese sulla Matrice degli Scambi
informativi. Le caratteristiche evidenziate dall’analisi di F, evidenziano un’Intensità
informativa di processo alta. Il processo produttivo è caratterizzato da una lunga durata (dai
sei agli otto mesi) ed è molto complesso e personalizzato per ogni cliente. Inoltre, com’è
possibile dedurre dall’articolazione della catena del valore riportata nel paragrafo 5.1.3, la
commessa coinvolge numerosi reparti.
146
F deve essere posizionata nella parte alta della matrice anche sull’asse dell’Intensità
informativa di prodotto in quanto i codici da gestire in una commessa sono numerosi
(7000/8000) e il prodotto è fortemente personalizzato, sia per dimensioni che per specifiche
tecniche. L’impianto pastificio, inoltre, include componenti sia meccaniche che software ed è
da considerarsi ad alto contenuto tecnologico. Queste caratteristiche concorrono ad attribuire
a F una complessità per il fattore Scambi informativi molto elevata (livello 4).
L’Intensità informativa di processo di B, invece, è da considerarsi bassa. Il processo
produttivo è di breve durata e una parte del fatturato è composto esclusivamente da prodotti
commercializzati, che non richiedono lavorazioni da parte dell’impresa. Inoltre, come si può
osservare nella Catena del valore di Figura 74, B presenta un numero limitato di aree
funzionali. Anche se B, per quanto riguarda questo driver risulta complessivamente
posizionata come bassa, ciò non vuol dire che non ci siano aree specifiche tali da richiedere
una particolare attenzione nella gestione delle informazioni. Le maggiori necessità riscontrate
in questo senso riguardano gli scambi tra l’area Commerciale e la Produzione. Il rapporto tra
queste funzioni aziendali risulta critico in quanto manca una schedulazione della produzione
formalizzata e risulta quindi difficoltoso per il Commerciale definire date di consegna
rispettabili. I brevi cicli di lavoro comportano, inoltre, criticità nella gestione delle priorità,
dato l’alto numero di articoli che transitano quotidianamente.
L’Intensità informativa di prodotto, al contrario, è di notevole entità. Il prodotto principale
(caldaie e bruciatori per impianti) è un articolo complesso, composto da numerosi codici.
Inoltre le specifiche tecniche di ogni articolo devono necessariamente essere dettagliate dato il
contesto di applicazione e l’alto contenuto tecnologico.
Figura 79 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento di F e B
147
Gruppo
Le imprese operative del Gruppo sono esclusivamente F e B; le due imprese presentano una
limitata integrazione e gli scambi informativi intra-gruppo sono limitati alla funzione Help
Desk IT della Direzione IT che risiede in B e ha comunque limitate conoscenze del mondo F.
I processi di supporto delle due imprese sono distinti e non è stata rilevata alcuna ulteriore
attività svolta in modo centralizzato.
Per quanto riguarda lo scambio di prodotti, F acquista i bruciatori per gli impianti da B.
Questi scambi sono comunque d’importanza limitata considerando che per B non
rappresentano una parte significativa del fatturato e per F, l’acquisto dei bruciatori rappresenta
una minima parte rispetto al costo complessivo della commessa.
Gli Scambi informativi intra-gruppo risultano quindi Rari e grazie anche al numero delle
imprese facenti parte del Gruppo, inferiore alla soglia prestabilita, è possibile affermare che la
complessità introdotta dalla componente aggregativa è minima (Figura 80).
Figura 80 - Matrice Gruppo, posizionamento F e B
Conoscenza dei processi
Sia B che F sono caratterizzate da una Gestione della conoscenza di tipo tacito. È possibile
affermare ciò poiché le imprese non utilizzano altri strumenti, oltre ai manuali di qualità
imposti dalla normativa vigente. Alcuni processi, in modo particolare quelli che includono
attori esterni o ricicli su attività già eseguite, sono destrutturati e necessiterebbero di maggior
formalizzazione. Ne sono un esempio i processi di assistenza tecnica sia sugli Impianti di F
che per i prodotti installati di B. I dati, inoltre, non sono gestiti in maniera univoca, dato che
non esiste un DB condiviso che consenta l’accesso ai dati storici delle commesse e dei
148
prodotti. I dati sono, infatti, gestiti attraverso svariati DB, sotto il controllo di più reparti non
integrati tra loro.
Le imprese si distinguono, invece, per quanto riguarda il driver: Formalizzazione delle
attività. La modalità di lavoro ETO di F non consente una completa formalizzazione delle
attività che risultano dunque, nella maggior parte dei casi non standardizzabili. B, al
contrario, lavora prevalentemente su previsione (MTS), con prodotti che richiedono
personalizzazioni di entità contenuta; i processi risultano dunque standardizzabili.
In Figura 81 è raffigurato il posizonamento delle imprese sulla Matrice della Conoscenza dei
processi da cui deriva il relativo livello di complessità, massimo per F (livello 4) e medio-alto
(livello 3) per B.
Figura 81 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamenti di F e B
5.2.2 Complessità del Business F – B
Per quanto riguarda il business delle due imprese, prendendo in considerazione i prodotti, i
mercati e la posizione competitiva che le imprese occupano, B risulta caratterizzata da una
complessità notevolmente superiore a quella di F.
F è un’impresa mono-prodotto, tra i leader mondiali in un mercato di nicchia con numerose
barriere all’ingresso; la posizione competitiva di F è solida e in costante crescita negli ultimi
anni; basti pensare che l’impresa ha già saturato la propria capacità produttiva per i prossimi
due anni.
149
B al contrario compete con più prodotti su mercati globali, popolati da numerosi competitor,
molti dei quali di dimensioni largamente superiori (Bosh ad esempio). La competizione su
questo tipo di mercati è basata, data l’alta standardizzazione dei prodotti e la conseguente
difficoltà nel differenziarsi per qualità, principalmente sul prezzo. Le apparecchiature per il
condizionamento climatico, sono inoltre soggette a norme restrittive che, in questo periodo in
particolare, sono in continuo cambiamento data la crescente attenzione all’impatto ambientale
da parte degli enti legislatori. Per questi motivi, in Figura 82, troviamo una profonda
divergenza tra le due Complessità di Business. Nei paragrafi a seguire verranno approfondite
le analisi dei singoli fattori che compongono tale complessità.
Figura 82 - Complessità del business, risultati complessivi F e B
Robustezza del business
Per valutare lo stato di salute del settore in cui opera F, ovvero nella fabbricazione di
macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29), si può mettere in relazione l’indice di
rischiosità e l’andamento delle difficoltà di pagamento, rilevati nel rapporto “Barometro dei
pagamenti”86
. Nella mappatura di Figura 83 è possibile analizzare l’andamento del settore nel
periodo 2004-2008 e, per un confronto, nel riquadro in blu è presentato anche l’andamento
complessivo dell’insieme dei settori che compongono il Barometro dei pagamenti.
L’evoluzione del settore mostra una fase di moderata difficoltà nel corso del 2005, seguita,
nei due anni successivi, da una ripresa guidata dai miglioramenti sul fronte dei pagamenti. Il
86 Heuler Hermes, 2010
150
2008, invece, evidenzia un nuovo momento di criticità del settore: le difficoltà di pagamento
raggiungono livelli preoccupanti, così come la rischiosità; l’analisi della solidità del settore
della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici rivela uno stato di salute in rapido
deterioramento anche per il 2009, su entrambi gli indicatori considerati. Per il primo semestre
2010 era stata tuttavia prevista una ripresa, almeno sul fronte dei pagamenti.
Figura 83 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifattura e costruzioni (Ateco,
2011)
Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal
Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 84, che è costruita intersecando
le variazioni della rischiosità intervenute nel 2008 con le variazioni della difficoltà di
pagamento avutesi nello stesso arco temporale. Il comparto si caratterizza per un
peggioramento rilevante sul lato della rischiosità, ma denota stabilità sul versante dei
pagamenti.
Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore
fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29) stia attraversando un periodo
problematico, sia sul versante rischiosità che su quello pagamenti, soprattutto in riferimento al
numero di aziende insolventi; per questi motivi è identificato come critico nella matrice di
Figura 87.
151
Figura 84 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 29)
(Ateco, 2011)
Il secondo driver per valutare la complessità di F, relativamente alla robustezza del settore, è
la quota di mercato, che risulta essere alta, dato che il mercato degli impianti pastifici è
considerato “nicchia”, contando solamente tre grandi competitor, di cui F fa parte. Inoltre,
come riportato nelle caratteristiche di F viste precedentemente (cfr. Paragrafo 5.1.1), il
fatturato dell’impresa è in costante aumento negli ultimi anni, segno che il suo
posizionamento è in continua affermazione.
Per quanto riguarda il settore in cui opera B, ovvero nella fabbricazione e lavorazione dei
prodotti in metallo (Ateco 28), l’Indice di rischiosità presenta un trend negativo in tutto il
periodo considerato, ma è soprattutto a partire dal terzo trimestre del 2008 che l’indicatore
registra un forte peggioramento. Nel corso del 2009, la rischiosità del comparto, pur
continuando la fase peggiorativa dell’ultimo biennio, cresce ad un tasso inferiore rispetto a
quello registrato a fine 2008.
L’evoluzione delle difficoltà di pagamento, intese come incapacità di rispettare le scadenze
contrattuali, presenta un andamento sostanzialmente stabile fino alla prima metà del 2007. A
partire dal secondo semestre del 2007 l’indicatore peggiora notevolmente, fino ad assestarsi,
nel 2009, intorno a 250 punti indice. L’andamento di questi due indicatori è riassunto nella
mappatura di Figura 85.
152
Figura 85 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura e costruzioni (Ateco,
2011)
Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal
Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 86, che è costruita intersecando
le variazioni della rischiosità intervenute tra il 2008 con le variazioni della difficoltà di
pagamento avutesi nello stesso arco temporale. È possibile osservare che la performance del
settore è negativa per entrambi gli indicatori: difficoltà di pagamento in aumento e
innalzamento della rischiosità collocano il comparto tra i settori maggiormente a rischio del
Barometro dei pagamenti.
Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore della
fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (Ateco 28) sia entrato nel 2009 in una fase
problematica. Le attese per il primo semestre 2010 sono di ripresa per quanto riguarda le
difficoltà di pagamento, mentre continua un incremento della rischiosità di pagamento.
153
Figura 86 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 28)
Il secondo driver per valutare la complessità di B, relativamente alla robustezza del settore, è
la quota di mercato, che risulta essere bassa, dato che il mercato delle soluzioni per il clima in
ambito residenziale e industriale è popolato da numerosi competitor, molti dei quali di
dimensioni notevolmente maggiori e operanti su scala mondiale. Infatti la competizione non è
limitata solamente al contesto regionale o nazionale, ma il mercato è globalizzato privo di
barriere territoriali.
Inoltre, come riportato nelle caratteristiche di B viste precedentemente (cfr. Paragrafo 5.1.2),
il fatturato dell’impresa è stato sempre costante nell’ultimo decennio, ad eccezione del 2009
(-11,7% sul 2008), ove tutto il settore ha risentito degli effetti della crisi. Effetti che B ha
saputo smaltire rapidamente, recuperando già nel 2010 quasi l’80% di quanto perduto e
riuscendo a mantenere il suo posizionamento all’interno del settore.
A questo punto è possibile traguardare la complessità delle due imprese sulla matrice di
Robustezza del business, che per quanto riguarda lo Stato di salute del settore la situazione
delle due imprese è similarmente critica, mentre la posizione competitiva delle due imprese è,
invece, completamente opposta. F è tra i leader di mercato, mentre B opera nella fascia bassa,
anche se commercializza prodotti ad alto contenuto tecnologico e qualitativo. Per questi
motivi la complessità da fronteggiare per B è maggiore rispetto a quella F (Figura 87).
154
Figura 87 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di F e B
Internazionalizzazione
La profondità con la quale F è presente sui mercati internazionali è definibile Passiva. F è,
infatti, leader mondiale nel suo settore e i suoi prodotti sono richiesti senza che l’impresa si
presenti attraverso campagne di marketing che necessitano una profonda conoscenza del
mercato.
La criticità dei mercati serviti è, invece, alta. F riceve richieste da tutto il mondo e, in modo
particolarmente frequente dall’Africa del Nord. I mercati sono dunque numerosi, estesi e
lontani sia geograficamente sia culturalmente dal mercato italiano. I mercati del Nord Africa
sono, come dimostrano le guerre dell’ultimo periodo, caratterizzati da una forte instabilità
politica che accresce la criticità nel servirli. Ulteriore elemento da prendere in considerazione
risulta la mancanza di un presidio operativo all’estero che renda le operazioni di esportazioni,
già complicate date le dimensioni degli impianti, ulteriormente critiche.
La presenza di B sui mercati internazionali è, invece, da considerarsi Attiva. Per arrivare a
ottenere una quota in un mercato estero, l’impresa deve necessariamente porsi sul mercato in
modo da farsi conoscere, data la poca differenziazione dei prodotti e la notorietà ridotta
rispetto ai competitor. La presenza di un presidio commerciale in Cina, mercato principale per
l’acquisto e la vendita dei prodotti di B, rafforza tale ipotesi di posizionamento.
155
Proprio considerando che il mercato principale risulta quello cinese e che comunque l’impresa
vanta presenze su altri mercati europei, la criticità dei mercati serviti è alta. In Figura 88 è
possibile individuare il posizionamento delle imprese sulla Matrice d’Internazionalizzazione e
rilevarne il corrispondente livello di complessità.
Figura 88 - Matrice di Internazionalizzazione, posizionamento di Fave e B
Portafoglio prodotti
F è un’impresa mono-prodotto in quanto produce esclusivamente impianti pastifici,
quest’ultimi hanno comunque un elevatissimo grado di personalizzazione che rende pressoché
illimitata (ampia) la profondità di gamma.
Per quanto riguarda il portafoglio prodotti di B, invece, si contano undici differenti famiglie,
per un totale di 43 prodotti (multi-prodotto), ognuno dei quali presenta numerose varianti
(profondità di gamma ampia) e la possibilità di personalizzazioni fuori standard che
espandono ulteriormente i confini del portafoglio.
La complessità relativa a questo fattore è, come raffigurato in Figura 89, superiore in B
(livello 4). Questa impresa, infatti, punta molto sulla varietà dell’offerta e meno sulla
specializzazione, caratteristica invece del portafoglio prodotti di F (livello 2).
156
Figura 89 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento F e B
Differenziali competitivi
I principali differenziali competitivi di F risultano essere il vasto e consolidato portafoglio
clienti e l’elevato numero di brevetti, tra cui spicca il metodo di essiccazione della pasta. F,
dunque, presenta un patrimonio di CSF esteso (numerosi CSF). L’impresa opera in un
mercato sostanzialmente chiuso, con barriere all’ingresso molto forti che rendono difficile
l’ingresso di nuovi competitor; inoltre i brevetti e la fidelizzazione del parco clienti, blindano
la posizione competitiva di F per il medio-lungo periodo (alta difendibilità). Come
rappresentato in Figura 90, data l’ottima posizione di F, la complessità per quanto riguarda
questo fattore è minima (livello 1).
L’impresa B, invece, opera in un contesto competitivo molto allargato, ove la qualità del
“Made in Italy” non è sempre preferita ad un prezzo minore e i prodotti sono facilmente
paragonabili tra loro causando una notevole pressione sui prezzi. Va fatta una distinzione
sulle due famiglie di prodotti di B: per quanto riguarda il commercio di impianti di
condizionamento, il mercato è in fase di saturazione e B agisce solo da rivenditore. L’impresa
è dunque priva di differenziali competitivi difendibili, in grado di garantire la quota di
mercato nel medio-lungo periodo; i bruciatori, invece, sono una produzione interna di B per la
quale l’impresa detiene alcuni brevetti importanti e sulla quale le competenze interne sono
molto elevate. Facendo una sintesi complessiva, tuttavia, si riscontra un numero ridotto di
CSF, con una difendibilità piuttosto limitata. Tali valutazioni comportano il posizionamento
di B nel quadrante con complessità massima (livello 4).
157
Figura 90 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento di F e B
5.2.3 Livello di governo delle ICT F – B
Le valutazioni sul Livello di governo delle ICT si basano sull’analisi del Sistema Informativo
aziendale descritta nel Paragrafo 5.1.4 e su studi riguardanti competenze e responsabilità della
Funzione IT del Gruppo.
Come descritto precedentemente, la Funzione IT è trasversale alle due imprese e per questo
motivo le analisi verranno svolte in parallelo. Dai risultati sintetizzati in Figura 91, emerge la
presenza di un’infrastruttura solida e affidabile. Tuttavia la ridotta Maturità applicativa e la
bassa componente d’Innovazione, provocate da carenze nel portafoglio software, in aggiunta
ai ridotti valori per i fattori di Rilevanza strategica delle ICT e Competenze ICT portano ad
uno scarso livello finale di governo delle ICT.
Questa situazione è figlia del ruolo marginale che l’ICT ha all’interno dell’organizzazione,
poiché la Direzione IT non è coinvolta nei processi decisionali che riguardano il futuro
dell’azienda. Questa situazione è in parte dovuta alle limitate competenze tecniche e
gestionali proprie della funzione IT, e in parte ad una struttura organizzativa non adeguata,
che ne limita il campo d’azione.
158
Figura 91 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di F e B
Maturità applicativa
Il patrimonio applicativo del Gruppo F-B è costituito da un corpo centrale rappresentato
dal gestionale AS/400 a cui sono da affiancarsi numerose applicazioni stand alone o
integrate attraverso forti personalizzazioni. Dalla descrizione del patrimonio applicativo
approfondita nel Paragrafo 5.1.4 emerge un tipico esempio di Isole applicative il che
implica una maturità applicativa medio-bassa. Le applicazioni di F e B, infatti,
garantiscono un buon livello di copertura dei processi ma un limitato livello di
integrazione degli applicativi e questo impatta sull’efficienza delle attività. Dal
posizionamento del Gruppo nella classificazione di Figura 92 si deduce il livello di
governo della complessità introdotto da questo fattore.
159
Figura 92 - La Maturità applicativa del Gruppo F - B
Maturità infrastrutturale
L’infrastruttura, descritta nel Paragrafo 5.1.4, garantisce un buon livello di affidabilità. È
costituita da architetture miste, caratterizzate però da una buona omogeneità. Queste
caratteristiche, insieme al sistema di virtualizzazione dei server sufficientemente evoluto e la
buona velocità delle connessioni intra-gruppo (100 Mb/s – 1 Gb/s) fanno si che il livello
riscontrato per quanto riguarda la Maturità infrastrutturale permette una classificazione
(Figura 93) nel cluster: Imprese in evoluzione. Conseguenza diretta di ciò è un livello medio-
alto di complessità, introdotto dal questo fattore.
Figura 93 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo F – B
160
Innovazione ICT
Il Gruppo F-B ha un livello d’Innovazione ICT che ricade nel range: nullo; si nota come
nell’elenco delle tecnologie adottabili da una PMI manifatturiera di Tabella 8, ci siano poche
tecnologie (2) adottate dal Gruppo. La media dei pesi ad esse correlate (2,50) indica, inoltre,
che non si tratta di tecnologie particolarmente all’avanguardia.
Le tecnologie presenti nel portafoglio applicativo del Gruppo sono tecnologie di Modeling,
Simulation and Virtual Prototyping utilizzate dall’Ufficio Tecnico di B per la progettazione
dei Bruciatori e tecnologie CAD sempre usate per la progettazione in B e in F. Il valore
dell’indice (3,58%) evidenzia quello che già era possibile intuire dall’assessment dei Sistemi
Informativi, ovvero che il Gruppo necessita di un maggior livello di innovazione.
161
Stato Tecnologia Idoneit
à
Adottat
o
Peso Idoneit
à pesate
adottate
pesate
On the rise Cloud Computing in PLM and
Manufacturing
SI NO 5 5 0
Two-Tier ERP Strategy for Manufacturing
Operations
NO NO 5 0 0
IT/OT Convergence in Manufacturing SI NO 5 5 0
Synchronized Bills of Materials SI NO 5 5 0
At the Peak Manufacturing Process Management
Framework
SI NO 4 4 0
MRO PLM Functionality SI NO 4 4 0
SOA in Manufacturing SI NO 4 4 0
Operations Intelligence SI NO 4 4 0
System Engineering Software NO NO 4 0 0
Energy Management in Manufacturing SI NO 4 4 0
Sustainable Design PLM SI NO 4 4 0
Asset Performance Management SI NO 4 4 0
Product Cost Management SI NO 4 4 0
Sliding Into the
Trough
Modeling, Simulation and Virtual
Prototyping
SI SI 3 3 3
Enterprise Manufacturing Intelligence SI NO 3 3 0
Process Analytical Technology NO NO 3 0 0
Customer Needs Management SI NO 3 3 0
Manufacturing Process Validation SI NO 3 3 0
Regulatory Compliance Functionality
Within PLM
SI NO 3 3 0
ISA-95 Integration Standards NO NO 3 0 0
Virtual Factories SI NO 3 3 0
EH&S Applications NO NO 3 0 0
Simulation and Test Data Management SI NO 3 3 0
LIMS NO NO 3 0 0
Climbing the
Slope
Quality Management Systems SI NO 2 2 0
Product Portfolio and Program Management SI NO 2 2 0
Factory Scheduling SI NO 2 2 0
Formula/Recipe Management NO NO 2 0 0
Parts and Materials Search and Selection SI NO 2 2 0
PLM-Centric Team Collaboration SI NO 2 2 0
Value-Chain-Centric PDM SI NO 2 2 0
Process Data Historians SI NO 2 2 0
CAD-Centric Design Data Management SI SI 2 2 2
MES Applications SI NO 2 2 0
Entering the
Plateau
Enterprise Asset Management SI NO 1 1 0
SI 28 2 87 5
Indicatore Valore Ottimo Range
v: Livello innovativo aziendale (pesato) 6% 100% Nullo 0-10
e: media dei pesi di v 2,50 m Basso 11-20
m: media dei pesi adottabili 3,11 Medio 21-30
K: livello innovazione consapevole 3,58% 100,00
%
Alto >30
Tabella 8 - Livello di Innovazione consapevole di F e B
162
L’indice di Innovazione consapevole, risultato delle analisi sintetizzate in Tabella 11 è
inferiore al 10% (3,58%) e comporta un livello 1 per quanto riguarda il fattore: Innovazione
ICT. Tale livello è da attribuirsi sia al livello di innovazione molto basso (6%) e, inoltre, ad
una media inferiore al dovuto (2,50 al posto che 3,11).
Rilevanza strategica delle ICT
Il coinvolgimento del reparto IT, nel processo di elaborazione della strategia del Gruppo è
praticamente assente. Il ruolo dell’IT è, infatti, limitato alle sole fasi di richiesta di risoluzione
delle problematiche. L’interazione tra Direzione IT e clienti interni è prevalentemente di
natura operativa. Le richieste d’intervento (installazione, configurazione, etc.) prevalgono sui
momenti di coordinamento/indirizzamento che si riducono ad un coinvolgimento in fase di
selezione delle soluzioni hardware e software sulle quali comunque l’IT non ha completa
discrezionalità. Come visibile in Figura 94 la Funzione IT del Gruppo B – F è riconducibile
alla classe: Trusted individuals and help desk a cui corrisponde un livello di governo della
complessità medio basso.
Figura 94 - Matrice Rilevanza strategica delle ICT, posizionamento di F e B (rielaborato da Boccardelli, 2007)
Competenze ICT
Le competenze del reparto IT sono limitate a quelle tipiche di un IT Help Desk manutentore a
cui corrisponde un livello 1 di governo delle ICT (come raffigurato in Figura 95). L’ufficio è
composto da quattro persone, una delle quali possiede competenze sul linguaggio di
programmazione del gestionale in uso (Proj) per personalizzazioni del sistema. La limitata
dimensione dell’ufficio consente comunque solo il mantenimento in funzione dei Sistemi
Informativi ad oggi presenti. I quattro elementi della Funzione IT occupano, infatti, in media
il 60% del loro tempo a supportare utenti interni; nelle ore rimanenti, in base alle competenze
specifiche di ognuno, operano per il mantenimento dei sistemi e delle infrastrutture.
163
Figura 95 - Competenze ICT del Gruppo F - B
5.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo F – B
Una volta discussi e stabiliti i fattori di complessità interni ed esterni, è possibile determinare
la Complessità gestionale, ovvero il valore massimo tra quelli ricavati per la Complessità
organizzativa e quella del business. In Tabella 9 sono riportati i valori riscontrati per i fattori e
quelli calcolati per le relative aree, in modo da consentire un confronto e dare spunto per
alcune riflessioni importanti.
F B
Asse
organizzativo
Macrostruttura 4 2
Microstruttura 4 2
Scambi informativi 4 2
Gruppo 1 1
Conoscenza dei processi 4 3
Complessità organizzativa 3,4 2
Asse del
business
Criticità del mercato 3 4
Internazionalizzazione 2 3
Prodotti 2 4
Benchmarck 1 4
Complessità del business 2 3,75
Complessità gestionale 3,4 3,75
Area ICT
gestionale
Maturità applicativa 2 2
Maturità infrastrutturale 3 3
Competenze ICT 1 1
Innovazione SI 1 1
Rilevanza strategica delle ICT 2 2
Livello ICT gestionale 1,8 1,8
Tabella 9 - Sintesi analitica del modello
164
Nella suddetta tabella si può notare come i valori finali di Complessità gestionale per le due
imprese siano entrambi molto alti, nonostante i contributi di complessità esterna ed interna
siano molto diversi tra loro. B e F sono un esempio di PMI con organizzazione complessa (F)
e PMI con business complesso (B). Poiché le due imprese sono vicine alla soglia per rientrare
nella categoria “PMI” e che il modello è impostato su parametri valutativi per piccole e medie
imprese, è opportuno aspettarsi livelli di complessità superiori alla media.
La particolarità di questo Gruppo è che il valore di Complessità gestionale è elevato per
entrambe le imprese, nonostante esse presentino caratteristiche molto diverse tra loro. Dai dati
della tabella, infatti, si nota come F deve la sua elevata Complessità gestionale al contributo
interno, da attribuire a sua volta alla complessa struttura organizzativa, necessaria alla
tipologia di produzione di cui si occupa. B, al contrario, è caratterizzata da un’alta complessità
esterna dovuta al suo modello di business, che la porta a dover affrontare criticità legate ai
numerosi prodotti commercializzati ed ai molteplici mercati serviti (nazionali e non).
Il Gruppo presenta dunque un modello di business estremamente eterogeneo che, per
specificità organizzative, articolazione della filiera e respiro internazionale, necessita di un
governo delle ICT in grado di orchestrare tutti questi elementi attraverso un linguaggio
comune.
Figura 96 - Allineamento tra la Complessità gestionale ed il Livello ICT gestionale
Nella matrice di sintesi del modello proposto (Figura 96) B e F sono entrambe posizionate al
di sotto della diagonale, a causa del governo delle ICT inadeguato alla Complessità gestionale
da fronteggiare, collocando le due imprese nel cluster Imprese arretrate. Al fine di ottenere
165
un allineamento e spostarsi dalla situazione attuale alla zona “verde”, il Gruppo necessita,
oltre ad investimenti mirati al fine di innovare l’area ICT a supporto della gestione d’impresa,
anche di un ripensamento della propria struttura organizzativa in modo da dare maggiore
rilevanza alla Direzione IT.
L’analisi effettuata sui fattori che determinano questo livello di complessità consente di
comprenderne i motivi e, in alcuni casi, permette di individuare le leve su cui agire, al fine di
ridurre tale complessità. F, ad esempio, presenta un livello di complessità paria a 4 per il
fattore Macrostruttura, in quanto risulta disallineata la modalità di lavoro con la tipologia di
organigramma utilizzato; la complessità identificata da questo fattore può essere parzialmente
ridotta se l’impresa si riorganizzasse adottando una struttura a matrice. Il fattore di
complessità, quindi, può e deve essere inteso come “campanello d’allarme” per l’impresa.
Tuttavia, per ritrovare l’allineamento nel breve periodo, il Gruppo F-B non dovrà concentrarsi
sulla Complessità gestionale, in quanto essa risulta difficilmente riducibile, ma sui fattori che
determinano il limitato Livello di governo delle ICT.
La Direzione IT di questo Gruppo è sottodimensionata, costituita solamente da quattro addetti
su un totale di circa 450 dipendenti. Questa situazione obbliga il team ad occuparsi
esclusivamente del mantenimento del Sistema Informativo, rendendo impraticabile un
coinvolgimento proattivo, da parte della Direzione IT, nei processi decisionali. Tale
sottodimensionamento influisce direttamente sia sulle Competenze ICT, che non possono
essere sviluppate adeguatamente per mancanza di tempo, che sulla Rilevanza strategica delle
ICT. Un’altra problematica che è stata riscontrata e che incide in modo significativo sulla
complessità, è la suddivisione del budget: la Direzione IT non ha un proprio budget da
spendere, ma ad ogni Business Unit viene allocato un budget IT da gestire in autonomia. È
inevitabile che questa modalità porti ad una proliferazione incontrollata del parco applicativo,
incrementando il numero di connessioni “custom” tra i vari sistemi, complicandone la
gestione e la manutenzione nel tempo (“spaghetti architecture”). La Maturità applicativa e
infrastrutturale, infatti, sono condizionate da questo congelamento forzato che limita la
componente di Innovazione ICT, poiché rende oneroso l’aggiornamento costante e disperde il
budget IT in molteplici interventi correttivi, invece di sfruttarlo per uno sviluppo orientato e
razionale.
Il mercato dell’ICT mette a disposizione del Gruppo un’ampia gamma di tecnologie cui
affidarsi per gestire al meglio la complessità (cfr. Capitolo 3). Gli interventi possono essere
indirizzati dalle analisi svolte, dalle quali si evince la necessità di migliorare la Maturità
applicativa, investendo in tecnologie più innovative, ma soprattutto omogeneizzando e
razionalizzando gli applicativi presenti. Un’ulteriore necessità, evidenziata dalle analisi, è
quella di rivalutare la funzione della Direzione IT all’interno dell’organizzazione,
166
permettendole di conseguire competenze di livello superiore che consentirebbero anche di
acquisire rilevanza all’interno delle strategie di business.
A valle dell’applicazione del modello, una volta circoscritte le aree d’intervento, è possibile
identificare alcune opzioni che potrebbero rispondere alle problematiche emerse, migliorando
il Livello di governo delle ICT. Un esempio sul caso analizzato è rappresentato
dall’introduzione di un Enterprise Service Bus e di applicativi specifici per coprire le aree
funzionali non gestite attualmente (gestione della commessa, previsione delle vendite,
schedulatore di produzione, etc.). Questa soluzione consentirebbe l’integrazione delle varie
applicazioni, porterebbe ad una razionalizzazione delle stesse e aumenterebbe, seppur in
modo limitato, la copertura funzionale e l’innovatività (nel caso si scelga di investire in
software di nuova generazione per coprire le aree mancanti).
Una seconda possibilità è invece quella di introdurre un nuovo sistema gestionale che
sostituisca l’AS 400 e la maggior parte delle applicazioni stand alone attualmente in uso.
Questa soluzione, nel caso in cui sia applicabile economicamente, è senz’altro preferibile
sotto tutti gli aspetti (estensione della copertura funzionale, innovazione, integrazione, etc.).
Progetti di questo tipo possono essere anche l’occasione per rivalutare il ruolo della Direzione
IT cogliendo l’occasione per coinvolgerla e supportarla (ad esempio attraverso l’aiuto di
consulenti esterni) nel processo di selezione della soluzione e di analisi delle imprese, in
modo da ampliarne le competenze gestionali.
167
6. Capitolo 6
6. Il caso di studio del Gruppo M-I
Nel presente capitolo saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un
secondo caso di studio. La realtà analizzata è, anche per questo caso applicativo, un Gruppo
costituito da due aziende. Il Gruppo M-I, anonimizzato per ragioni di privacy, presenta
caratteristiche organizzative e di business molto differenti tre le aziende M e I che lo
costituiscono. Come per il precedente caso di applicazione l’opportunità di approfondire la
realtà M-I è emersa nell’ambito di un’iniziativa progettuale della Fondazione Politecnico di
Milano.
La prima parte del capitolo sarà dedicata alla descrizione delle imprese, dei loro processi e del
mercato di cui fanno parte. Seguirà una panoramica volta a cogliere lo stato dell’arte dei
Sistemi Informativi, in termini di rilevazione dell’attuale configurazione applicativa e
infrastrutturale del Gruppo.
Infine verrà applicato il modello proposto, valorizzando ciascuno dei fattori indicati come
driver delle macro aree di analisi, con l’obiettivo di comprendere se l’attuale configurazione
ICT, in termini organizzativi e di asset tecnologici, è adeguata alle esigenze di complessità
gestionale rilevate.
168
6.1 Descrizione del Gruppo M-I
Il Gruppo nasce nei primi anni del ‘900 come importatore di prodotti dalla Germania,
l’impresa viene fondata negli anni ‘40 commercializzando in l’Italia motori e trattori
provenienti dall’estero. Da poco più di vent’anni il Gruppo ha espanso il proprio business
fondando prima I, azienda dedicata all’energia e all’automazione e l’anno successivo M,
partner in l’Italia di un’importante produttrice tedesca di motori diesel per impieghi industriali
e stazionari. Il Gruppo ha poi continuato il processo di diversificazione del proprio portafoglio
prodotti, entrando con I nel mercato dei parcheggi meccanici automatizzati.
Il Gruppo M-I supera i confini territoriali nel 2007 aprendo in Romania MR, rivenditore unico
per il paese di motori prodotti dalla casa tedesca e nel 2008 con l’apertura di I-Cina per la
produzione di parcheggi automatizzati.
La crescente complessità ed internazionalizzazione del Gruppo degli ultimi anni, ha fatto sì
che si riscontrasse la necessità di una revisione del Sistema Informativo (descritta nel
Paragrafo 6.1.3) attualmente in uso.
6.1.1 Le caratteristiche dell’azienda M
M è il rivenditore unico in Italia per una nota produttrice di motori tedesca. È composta da 54
dipendenti e nel 2010 ha dichiarato un fatturato di 43,7 Mln €. Come è possibile vedere in
Figura 97, l’azienda ha saputo espandere il suo business (e la sua marginalità) negli anni tra il
2001 e il 2008 (CAGR pari a 6,7%). Tuttavia il crollo registrato nel 2009 (-41,6%), dovuto
sostanzialmente alla crisi del sistema economico, è molto significativo, anche se i segnali di
ripresa registrati nel 2010 sono confortanti per il futuro dell’azienda (+12,3%).
Figura 97 - Andamento di M negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)
Il modello di Supply Chain riscontrato è un Dual Sourcing, dato che il 95% degli acquisti
vengono effettuati presso un unico fornitore tedesco. La produzione è prevalentemente su
commessa, anche se è presente una buona componente previsionale che viene effettuata,
0
50
100
150
200
250
300
350
0
20
40
60
80
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Dip
en
de
nti
Milioni (€)
Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti
169
partendo dai modelli di motore a listino, per condividere il forecasting con i fornitori. I cicli di
lavorazione sono contenuti, infatti possono richiedere dai quindici minuti, nel caso di
lavorazioni semplici, alle quattro ore se le richieste di personalizzazione sono rilevanti.
L’offerta al cliente è legata a configurazioni predefinite dei motori (listino fornitori) su cui i
clienti possono richiedere eventuali modifiche e personalizzazioni. La strategia di pricing
utilizzata è basata sul modello di markup sul costo, ovvero partendo dai listini del fornitore,
considera i costi sostenuti da M-I e viene applicato il margine desiderato. Su questo vengono
poi attuate le politiche di sconto.
La puntualità alla consegna e la rapidità di risposta alle richieste del cliente sono due fattori di
complessità rilevanti a cui la M deve far fronte. A ciò si unisce il livello di servizio per le
attività di post vendita che diventa, insieme ai precedenti, ulteriore fattore critico di successo.
All’interno di M è presenta una particolare area di business che si occupa della vendita di
ricambi. Questa area di business presenta il medesimo modello di Supply Chain (Dual
Sourcing) e, così come per il business dei motori, anche per questa area, la collaborazione con
la casa tedesca è predominante nei rapporti di fornitura.
L’attività core per quanto riguarda i ricambi riguarda la commercializzazione dei kit di
ricambio piuttosto che il singolo componente. La strategia di pricing utilizzata è riconducibile
a quella del target pricing, ovvero variando il prezzo in funzione del valore attribuito dal
mercato. Oltre alla gestione delle richieste di ricambio provenienti direttamente dai centri di
assistenza o dal cliente finale, nella strategia commerciale è prevista anche l’attivazione
periodica di azioni di promozione (validità temporanea) per incentivare l’acquisto dei kit di
ricambio (es.: azioni volta ad aumentare vendite per gli slow moving, etc.).
I processi di supporto (Amministrazione, Controllo di gestione, Controllo qualità, etc.) sono
gestiti, al contrario di quanto visto per il Gruppo F-B, a livello di Gruppo presentando dunque
le medesime caratteristiche sia per M che per I.
6.1.2 Le caratteristiche dell’azienda I
L’azienda I è ripartita in due divisioni: la prima opera prevalentemente nel settore degli
impianti per la produzione di energia, mentre la seconda si occupa di produrre ed installare
parcheggi meccanici automatizzati. L’impresa nel 2010 conta 61 dipendenti, con un giro
d’affari pari a 28,8 Mln €. Se si osserva l’andamento di I negli ultimi dieci anni (Figura 98), è
interessante notare come nel periodo dal 2001 al 2008 sia raddoppiato il fatturato (CAGR pari
a 10,7%). La crisi ha colpito duramente il settore (cfr. Paragrafo 6.2.2) e, di conseguenza, gli
effetti si sono riversati anche su I, che nel 2009 ha perso il 12,8%. Al contrario di M, il 2010
non restituisce segnali confortanti, registrando un crollo ancora più importante (-20% circa
rispetto al 2009), segno che per gli impianti automatizzati la ripresa sarà più difficile e lenta.
170
Figura 98 - Andamento di I negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)
I produce interamente su commessa. Le tempistiche delle fasi di gestione della commessa
sono molto lunghe a partire dai tempi di acquisizione dell’ordine. Data la complessità ed il
valore dei prodotti commercializzati (dai 2 a 6 milioni di euro) è necessaria, infatti, una lunga
fase di negoziazione e contrattazione. I cicli di lavorazione sono lunghi con durate che
possono essere da 6 a 8 mesi. Il rispetto di queste tempistiche è comunque fondamentale per
non incorrere in penali, definite in fase di contrattazione. Una volta definita la configurazione
di riferimento è necessario gestire le frequenti richieste di modifica che il cliente richiede in
fase di progettazione.
Alla realizzazione del prodotto finito si giunge sia attraverso le lavorazioni interne sia per
mezzo di attività di conto lavoro per alcuni semilavorati. Il ricorso al conto lavoro è
abbastanza frequente (es.: per accedere a competenze specifiche possedute da officine
esterne) e riguarda sia officine esterne che personale esterno attivato all’occorrenza presso le
officine M-I. Sono molteplici anche i fornitori da gestire per l’approvvigionamento dei
materiali necessari alla realizzazione dell’impianto.
Ulteriore elemento di complessità organizzativa è la messa in servizio dell’impianto; alle
prove in azienda, infatti, segue il montaggio ed il collaudo presso il cliente. Prima della
consegna conclusiva infatti, M-I è chiamata a gestire attività di commissioning per la messa in
esercizio dell’impianto.
6.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi
Per comprendere come operano le due aziende sono state effettuate alcune interviste con i
key-user individuati nelle rispettive società. Il lavoro di consulenza svolto presso il Gruppo
M-I ha permesso una mappatura completa dei processi, sia dal punto di vista funzionale che
0
50
100
150
200
250
300
350
0
10
20
30
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50
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Dip
en
de
nti
Milioni (€)
Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti
171
da quello applicativo/infrastrutturale, determinando la Catena del valore87
(Figura 99) e
l’architettura dei SI delle due imprese.
Questo tipo di analisi è stata necessaria innanzitutto per comprendere il modello di business
dell’azienda e le aree di business che la caratterizzano (analisi interna), e in secondo luogo a
far emergere le carenze dei sistemi attuali e le esigenze dei diversi attori in ambito di supporto
ICT (approfonditi nel Paragrafo successivo) grazie all’individuazione dei processi più critici,
che necessitano di innovazioni organizzative.
La Catena del Valore di M-I, al contrario di quella vista per il Gruppo F-B, deve
necessariamente essere rappresentata a livello di Gruppo. Le aree funzionali che svolgono i
processi di supporto operano, infatti, in maniera centralizzata, mentre i processi primari sono
propri di ogni impresa.
Figura 99 - Catena del valore del Gruppo M-I
Le sinergie che nascono dall’unione delle funzioni di staff delle due imprese riguardano il
miglioramento della gestione delle transazioni inter-societarie, relativamente alla gestione
finanziaria, e alla ottimizzazione degli scambi di prodotti intra-gruppo, in quanto frequenti e
di notevole consistenza.
Entrando nel dettaglio delle due imprese, le primarie necessità emerse per M sono il maggiore
supporto ai processi di post vendita e assistenza tecnica e l’ottimizzazione della gestione del
87Porter, 1985
172
portafoglio clienti. Anche per I risulta fondamentale il miglioramento del servizio di vendita e
post vendita, attualmente poco strutturati; si riscontra, inoltre, la necessità di ottimizzare sia la
pianificazione (commerciale e della produzione), che la gestione dei dati di prodotto.
6.1.4 Assessment sistema informativo
L’analisi condotta ha permesso di approfondire l’attuale situazione di copertura funzionale e
omogeneità del portafoglio applicativo. Complessivamente la copertura funzionale rilevata si
ritiene buona, ma con alcuni limiti d’integrazione e di estensione funzionale. Sono numerose,
infatti, le attività svolte esternamente al sistema gestionale con il supporto di fogli di calcolo o
di altri applicativi esterni.
L’attuale copertura funzionale è garantita maggiormente dai numerosi interventi di
customizzazione del sistema gestionale effettuate negli anni. In Figura 100 si riporta la mappa
del portafoglio applicativo rilevato, descritta sinteticamente in Tabella 10.
Figura 100 - Mappa applicativa del Gruppo M-I
Descrizione dei software applicativi
Software
applicativo Descrizione
PDM 3D Supporto alle attività di progettazione tecnica 3D di singoli
componenti/gruppi.
PDM 2D Supporto alle attività di progettazione tecnica nelle attività di gestione
dei disegni tecnici (dati e documentazione)
173
BI Software a supporto delle attività direzionali di controllo di gestione,
di analisi di Business Intelligence e produzione di reportistica
CAD 2D Supporto alle attività di progettazione tecnica 2D di singoli
componenti/gruppi.
Progettazione
elettronica Supporto alle attività di progettazione elettrica
Gestionale
Sistema ERP per la copertura dei processi di:
produzione, logistica, amministrazione, controllo di commessa, ciclo
ordini fornitori, ciclo ordini clienti.
Gestione paghe Software a supporto della gestione paghe
Fogli di calcolo Fogli di calcolo elettronico
Project Software a supporto della gestione di costi, risorse e tempistiche
legate a progetti.
Email Software per la gestione della posta elettronica
Portale
Sistema di comunicazione con l’esterno (siti istituzionali, CMS per
comunicati stampa, eCommerce, documentazione, gestione rete agenti
e installatori, garanzie) e di gestione interna (catalogo prodotti,
organigramma, documentale)
Tabella 10 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo M-I
Il Gruppo M-I dispone inoltre dei servizi informativi erogati tramite i Portali Internet ed
Extranet e delle funzionalità di gestione documentale attualmente supportate dal sistema
gestionale.
Nonostante la buona copertura funzionale sono significative le segnalazioni emerse durante
l’analisi dei processi, di esigenze di integrazione e interoperabilità. Il motivo scatenante è
stato individuato nella mancata gestione, univoca e integrata, dei dati e dei progetti.
Una buona gestione dei dati è necessaria in imprese di questo tipo, ove la progettazione
costituisce una parte significativa del processo produttivo. In particolare, per quanto riguarda
I, la notevole quantità di informazioni necessarie (specifiche tecniche, disegni di progetto,
offerte commerciali, supporto alla fase critica di negoziazione, etc.), sono caratteristiche che
identificano il bisogno di un sistema integrato, che renda disponibili le informazioni generate
dall’Ufficio Tecnico a chi le deve effettivamente utilizzare (PM, Commerciali, etc.) e che le
gestisca in maniera autonoma e centralizzata.
174
Anche M, data l’ampia distinta base dei prodotti offerti, necessita di un miglior supporto per
la gestione dei dati di prodotto (PDM), che tenga traccia delle personalizzazioni fatte in
passato al fine di ottimizzare il lavoro dei disegnatori tecnici.
Un’altra necessità comune è quella di contenere il numero di personalizzazioni (908
applicativi del gestionale e 74 del portale, su un totale di circa 2.000 funzionalità) dell’attuale
sistema gestionale.
Caratteristico di I è, invece, il bisogno di un sistema di gestione dei progetti. Attualmente
viene utilizzata la metodologia Scrum88
, senza alcun supporto software, per organizzare il
lavoro dell’Ufficio Tecnico, mentre il Controllo di Gestione utilizza Project e la BI per il
controllo di tempi e costi. È opportuno quindi dotarsi di un supporto adeguato per lavorare in
maniera coordinata e collaborativa sulle varie commesse attive.
Dalle analisi emerge anche una criticità riguardante l’integrazione sulla catena di fornitura di
M. La casa tedesca richiede la gestione degli ordini e dei listini prezzi attraverso l’ERP
internazionale; queste operazioni sono da inserire successivamente nel gestionale del Gruppo,
tuttavia, non essendoci una procedura di integrazione nativa, risulta una attività onerosa e non
priva di errori “umani” collegabili al data entry delle informazioni.
L’infrastruttura di rete è composta da 25 server, di cui 12 virtuali, e la maggior parte dei quali
girano con sistemi operativi proprietari come Windows 2003 (nove) e Windows 2008
(cinque) mentre una piccola parte su sistemi open source (sei server Linux). Il parco client è
composto da circa settanta macchine equamente distribuite tra PC fissi e portatili; circa il 50%
dei PC portatili e il 40% di quelli fissi ha installato un sistema operativo Windows 7, i restanti
hanno installato Windows XP. L’infrastruttura è dunque abbastanza omogenea, orientata su
sistemi Microsoft, con un parco macchine costituito da calcolatori più o meno moderni.
Il throughput di rete è di 100 Mb/s tra i client e di 1 Gigabit tra i nodi del server, evidenziando
un ottimo livello di connettività per quanto riguarda la LAN. Non è invece ugualmente
preformante la rete internet, che presenta problemi di latenza e di interruzione di linea,
creando il vero collo di bottiglia del sistema.
6.2 Applicazione del modello
In questa sezione si presenterà la valutazione della situazione attuale, emersa dagli incontri
con i key-user del Gruppo M-I, secondo le metriche del modello illustrato nel Capitolo 4.
L’analisi verrà proposta, come nel caso del Gruppo F-B, in maniera disgiunta per quanto
88Schwaber, 2010
175
riguarda la complessità organizzativa e di business e in maniera congiunta per il livello di
governo delle ICT.
M e I presentano, infatti, alcune caratteristiche differenti sia per quanto riguarda
l’organizzazione interna, nonostante alcuni processi siano centralizzati, sia per le peculiarità
del modello di business, molto diverso tra una realtà e l’altra. La Direzione IT è la stessa per
tutto il Gruppo, rendendo difficile, se non impossibile, la distinzione dei Sistemi Informativi
delle due imprese.
6.2.1 Complessità organizzativa
Secondo le valutazioni eseguite per i fattori che compongono la Complessità organizzativa
delle due imprese (sintetizzati in Figura 101), il valore di M risulta notevolmente inferiore
rispetto a quello di I. Il motivo di tale differenza è la tipologia di attività delle due imprese: I
lavora per commesse di lunga durata e di consistente articolazione e difficoltà tecnologica e
realizzativa, nonché di elevato costo unitario (dai due ai sei milioni di euro). Caratteristiche
simili risultano coerenti con una Complessità organizzativa di alto livello mentre
l’organizzazione di M risulta più snella e meno complessa dato che deve supportare processi
operativi orientati principalmente alla gestione di prodotti commercializzati.
Figura 101 - Complessità organizzativa, risultati complessivi M-I
Macrostruttura M – I
Entrambe le imprese presentano un organigramma di tipo funzionale. M ha cicli produttivi di
durata molto contenuta ma i processi di acquisto, ordine, vendita e post-vendita sono molto
articolati e complessi e ciò porta ad identificare una modalità operativa di processo. La
complessità derivante dall’incrocio di queste caratteristiche nella matrice di Figura 102 è,
176
quindi, contenuta (livello 2) dato che l’organigramma scelto dall’impresa risulta coerente alla
modalità di lavoro impiegata.
Figura 102 - Matrice della Macrostruttura, posizionamento di M e I
Al contrario, I ha un modello di produzione su commessa (ETO), infatti sia i parcheggi che gli
impianti di cogenerazione sono prodotti fortemente personalizzati e necessitano di tempi
lunghi sia per la contrattazione che per la progettazione e realizzazione. Se per M
l’organizzazione funzionale è la soluzione ottimale, così non è per I, alla quale gioverebbe
un’organizzazione a matrice, più flessibile e adatta a modalità di lavoro per progetti. È
necessario sottolineare che le operazioni di progetto sono coordinate da project manager,
responsabili di tempi, costi e gestione dei rapporti col cliente. Tuttavia l’organizzazione non è
sufficientemente evoluta da poter essere considerata una struttura a matrice e ciò comporta un
disallineamento rispetto alla diagonale del fattore Macrostruttura e una conseguente
complessità di livello 4.
Microstruttura M – I
È difficile distinguere il numero di Knowledge Worker per singola impresa dato che, come
emerge dalle analisi, numerosi processi di supporto sono comuni e il personale direzionale è
coinvolto in entrambe le aziende in diverse posizioni. Osservando il numero di colletti blu
delle due imprese, inoltre, si nota come esso sia simile sebbene cambi notevolmente la
177
tipologia di lavoro che essi svolgono (in I l’attività principale è quella produttiva, in M quella
logistica).
Si può dunque calcolare la percentuale di Knowledge Worker totale delle due imprese,
considerando il numero di dipendenti totali esclusi quelli dei reparti: Logistica, Produzione e
Servizio Assistenza Tecnica. Il valore che si ottiene è superiore alla soglia (68%).
Dato che entrambe le imprese superano i cinquanta dipendenti e sono, quindi, da classificarsi
come Medie89
, la complessità introdotta dal fattore Microstruttura, come rappresentato in
Figura 103 risulta molto elevata (livello 4).
Figura 103 - Matrice della Microstruttura, posizionamento M e I
Scambi informativi M – I
I, come tipicamente accade per le produzioni su commessa, presenta un alto livello di
intensità informativa sia di processo che di prodotto, posizionandosi nell’area di massima
complessità per questo fattore, come si può notare in Figura 104.
89 Raccomandazione della Commissione, 2003/361/CE
178
Il numero di codici da gestire all’interno della commessa, unitamente all’articolazione e alla
delicatezza dei prodotti (intesa come pericolosità e livello di precisione necessario), fanno sì
che le informazioni da gestire siano una variabile critica, rilevanti in numero e livello di
dettaglio.
Il processo produttivo richiesto dai prodotti di quest’impresa è molto articolato poichè
caratterizzato da una lunga fase di contrattazione e acquisizione della commessa. Questa fase
risulta di particolare rilevanza dato il numero d’informazioni necessarie ad iniziare i lavori e il
costo complessivo del progetto, tipicamente nell’ordine di qualche milione di euro. Anche la
fase di produzione è di notevole durata (almeno 6 mesi) e anche dopo il rilascio, l’impianto va
mantenuto e seguito attraverso il servizio Post-vendita. Conseguenza diretta di queste
caratteristiche è un’intensità informativa di processo estremamente elevata.
M, invece, si distingue per una complessità relativa agli Scambi informativi di basso livello
(livello 2), questo posizionamento è dovuto al fatto che il prodotto viene commercializzato e
solo in pochi casi risulta necessario attuare modifiche, comunque di entità limitata (cicli di
lavoro medi di 15’).
Le informazioni relative al processo sono relativamente poche; va considerato, infatti, che M
si approvvigiona per il 95% da un unico fornitore e il flusso informativo è fortemente
standardizzato attraverso la extranet del sistema gestionale della casa tedesca. Le informazioni
da gestire per quanto riguarda il prodotto sono, invece, elevate. Bisogna infatti considerare la
profondità della distinta base dei motori che è ampia e il fatto che le informazioni che la
riguardano risultano poi fondamentali per il business dei ricambi.
Figura 104 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento M e I
179
Gruppo M – I
Il Gruppo M-I è composto da tre imprese operative M, I e MR. MR è il distaccamento
commerciale in Romania di M e si occupa della vendita di motori sul mercato rumeno.
L’estensione del Gruppo è dunque da considerarsi Limitata.
Le imprese sono fortemente coese tra loro, condividono lo stesso stabilimento e la maggior
parte delle funzioni di supporto quali: Amministrazione, Sistemi Informativi, Controllo di
Gestione, Risorse Umane e Controllo Qualità (cfr. Figura 99). Esistono, inoltre, frequenti
scambi di prodotti delle due imprese. In particolare M vende i motori che vanno nelle
commesse di I. Si può dunque affermare che gli Scambi informativi intra-gruppo siano
frequenti.
Come si può notare in Figura 105, le caratteristiche riscontrate per i due driver del fattore
Gruppo comportano un contributo di complessità medio (livello 2).
Figura 105 - Matrice del Gruppo, posizionamento M e I
Conoscenza dei processi M – I
Per quanto riguarda il driver Formalizzazione delle attività: I, data la modalità di lavoro che la
caratterizza (ETO), va classificata come impresa con attività non standardizzabili. M, al
contrario, svolge attività tipicamente standardizzabili. I processi logistici, principale attività
operativa dell’impresa, fanno riferimento infatti a fornitori stabili e a procedure consolidate e
ripetitive nel tempo.
180
Il driver Conoscenza dei processi presenta, invece, le stesse caratteristiche in entrambe le
imprese è da considerarsi esplicita. Il reparto Qualità svolge, in modo trasversale sul Gruppo,
accurate e dettagliate analisi di conformità tra le attività svolte in azienda e quelle riportate nel
manuale di qualità che viene aggiornato e mantenuto dall’apposita funzione aziendale. La
Funzione IT, inoltre, è in possesso di documenti che sintetizzano tutti i processi logici delle
imprese, in modo da poter strutturare e mantenere i software a supporto di tali processi. La
conoscenza dei processi è dunque da considerarsi Esplicita.
In Figura 106, sono posizionate le imprese secondo la matrice della Conoscenza dei processi
ed è possibile leggere i relativi livelli di complessità. M presenta una complessità minima
rispetto a questo fattore il che significa che la conoscenza è gestita in modo ottimale. I, vista
l’impossibilità di standardizzare le attività, presenta un livello di complessità leggermente
superiore (livello 2).
Figura 106 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamento M e I
6.2.2 Complessità del business M – I
Entrambe le imprese presentano alti livelli per quanto riguarda la Complessità del business.
Come si può vedere in Figura 107 i fattori che comportano tale livello riguardano la criticità
dei mercati, la componente internazionale e il portafoglio prodotti. In netto contrasto, invece,
è il contributo di complessità fornito dal fattore dei Differenziali competitivi.
181
Figura 107 - Complessità del business, risultati complessivi M e I
I mercati su cui si affacciano M e I sono complessi per diverse ragioni. Il mercato
caratteristico di M: motori ad uso industriale, presenta numerosi competitor e quote
fortemente frammentate, mentre per il mercato di I: impianti per la produzione di energia, è
regolato da norme stringenti e in continua evoluzione. Entrambe le imprese offrono una
gamma di prodotti ampia e puntano fortemente al mercato internazionale. Esistono, tuttavia, i
presupposti per cui esse possano mantenere la propria posizione competitiva: M può contare
su accordi commerciali forti e consolidati mentre I su infrastrutture di elevata qualità e su
un’ottima fiducia da parte della clientela, coltivata nel corso degli anni. Tali peculiarità
portano ad un livello minimo per il fattore dei Differenziali competitivi e, conseguentemente
ad un contenimento della complessità dell’Area del business delle due imprese.
Nei paragrafi successivi verrà approfondita l’analisi di ogni fattore che determina la
complessità del business di M e di I.
Robustezza del business M – I
L’analisi di questo fattore è simmetrica al 50% rispetto a quanto effettuato per il caso F-B del
medesimo fattore, in quanto i macro-settori in cui operano M e I sono i medesimi,
rispettivamente, a quelli di B e F. Per questo motivo il driver Stato di salute del settore
restituisce lo stesso risultato a due a due, mentre l’analisi effettuata sulla Quota di mercato è
indicativa del contesto più prossimo alle aziende e, infatti, è l’elemento discriminante tra i due
casi analizzati.
182
Per valutare lo stato di salute del settore in cui opera I, ovvero nella fabbricazione di macchine
e apparecchi meccanici (Ateco 29), si può mettere in relazione l’indice di rischiosità e
l’andamento delle difficoltà di pagamento, rilevati nel rapporto “Barometro dei pagamenti”90
.
Nella mappa di Figura 108 è possibile analizzare l’andamento del settore nel periodo 2004-
2008 e, per un confronto, nel riquadro blu è presentato anche l’andamento complessivo
dell’insieme dei settori che compongono il Barometro dei pagamenti.
L’evoluzione del settore mostra una fase di moderata difficoltà nel corso del 2005, seguita,
nei due anni successivi, da una ripresa guidata dai miglioramenti sul fronte dei pagamenti. Il
2008, invece, evidenzia un nuovo momento di criticità del settore: le difficoltà di pagamento
raggiungono livelli preoccupanti, così come la rischiosità; l’analisi della solidità del settore
della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici rivela uno stato di salute in rapido
deterioramento anche per il 2009, su entrambi gli indicatori considerati. Per il primo semestre
2010 è tuttavia prevista una ripresa, almeno sul fronte dei pagamenti.
Figura 108 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifatturiera e costruzioni (Ateco,
2011)
Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal
Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 109, che è costruita intersecando
le variazioni della rischiosità intervenute nel 2008 con le variazioni della difficoltà di
pagamento avutesi nello stesso arco temporale. Il comparto si caratterizza per un
peggioramento rilevante sul lato della rischiosità, ma denota stabilità sul versante dei
pagamenti.
90 barometro2010
183
Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore
fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29) stia attraversando un periodo
problematico, sia sul versante rischiosità che su quello pagamenti, soprattutto in riferimento al
numero di aziende insolventi; per questi motivi è identificato come critico nella matrice di
Figura 112.
Figura 109 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 29)
(Ateco, 2011)
Il secondo driver per valutare la complessità di I, relativamente alla robustezza del settore, è la
quota di mercato, che risulta essere media, dato che, sia il mercato degli impianti per la
produzione di energia, che quello della produzione ed installazione di parcheggi meccanici
automatizzati, sono popolati da un numero limitato di competitor. La causa principale è che
gli impianti, come riportato precedentemente, sono strutture che richiedono investimenti
iniziali importanti, alta affidabilità del fornitore e una perfetta aderenza agli standard
qualitativi, innalzando di fatto le barriere all’ingresso.
Per quanto riguarda il settore in cui opera M, ovvero nella fabbricazione e lavorazione dei
prodotti in metallo (Ateco 28), l’Indice di rischiosità presenta un trend negativo in tutto il
periodo considerato, ma è soprattutto a partire dal terzo trimestre del 2008 che l’indicatore
registra un forte peggioramento. Nel corso del 2009, la rischiosità del comparto, pur
continuando la fase peggiorativa dell’ultimo biennio, cresce ad un tasso inferiore rispetto a
quello registrato a fine 2008.
L’evoluzione delle difficoltà di pagamento, intese come incapacità di rispettare le scadenze
contrattuali, presenta un andamento sostanzialmente stabile fino alla prima metà del 2007.
184
A partire dal secondo semestre del 2007 l’indicatore peggiora notevolmente, fino ad
assestarsi, nel 2009, intorno a 250 punti indice. L’andamento di questi due indicatori è
riassunto nella mappatura di Figura 110.
Figura 110 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura e costruzioni
(Ateco, 2011)
Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal
Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 111, che è costruita intersecando
le variazioni della rischiosità intervenute tra il 2008 con le variazioni della difficoltà di
pagamento avutesi nello stesso arco temporale. È possibile osservare che la performance del
settore è negativa per entrambi gli indicatori: difficoltà di pagamento in aumento e
innalzamento della rischiosità collocano il comparto tra i settori maggiormente a rischio del
Barometro dei pagamenti.
Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore della
fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (Ateco 28) sia entrato nel 2009 in una fase
problematica. Le attese per il primo semestre 2010 sono di ripresa per quanto riguarda le
difficoltà di pagamento, mentre continua un incremento della rischiosità di pagamento.
185
Figura 111 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 28)
(Ateco, 2011)
Il secondo driver per valutare la complessità di M, relativamente alla robustezza del settore, è
la quota di mercato, che risulta essere bassa. M, infatti, ha una dimensione ridotta rispetto ai
competitor che operano nel mercato dei motori diesel per impieghi industriali e stazionari.
Tale settore risulta essere largamente globalizzato, privo di barriere territoriali e caratterizzato
da prodotti sostitutivi largamente diffusi (motori elettrici, a benzina, a metano, etc.). Queste
peculiarità che contraddistinguono la realtà di M, contribuiscono a ridurre la sua quota di
mercato.
A questo punto è possibile traguardare la complessità delle due imprese sulla matrice di
Robustezza del business (Figura 112), che per quanto riguarda lo Stato di salute del settore la
situazione delle due imprese è similarmente critica, mentre la posizione competitiva delle due
imprese è, invece, discordante. Secondo le metriche definite dal modello la differenza rilevata
non è sufficiente a giustificare livelli di complessità dissimili. Ciò è visibile anche dagli effetti
che la crisi ha provocato sul fatturato del Gruppo (cfr. Paragrafi 6.1.1 e 6.1.2), evidente
segnale di un mercato poco robusto e di un conseguente contributo elevato di complessità per
questo fattore (livello 4).
186
Figura 112 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di M e I
Internazionalizzazione M – I
Per quanto riguarda la componente internazionale di M, va considerata l’attività in Romania e
rapporti strettissimi con il fornitore tedesco. MR è un distaccamento di M e funge da
rivenditore unico per la Romania per un’importante casa produttrice di motori tedesca e va
quindi considerata come una Delocalizzazione a tutti gli effetti che comporta un massimo
livello di Profondità nei mercati.
I mercati su cui si registra la presenza di M, oltre a quello italiano, sono esclusivamente quello
rumeno, nelle modalità sopra citate, e quello tedesco, sul quale l’impresa si pone come
acquirente. Entrambi i mercati sono vicini culturalmente e geograficamente, inoltre se si
considera il fatto che il mercato tedesco viene affrontato solo come cliente e che l’estensione
del mercato rumeno è limitata, è possibile affermare che la Criticità dei mercati serviti da M è
bassa.
I esporta i suoi prodotti in Europa e nel mondo, in particolare si evidenzia l’apertura, nel
2008, di I-Cina, una società che si occupa di presidiare il promettente mercato cinese per
quanto riguarda la vendita e la produzione di parcheggi automatizzati. La profondità con cui
l’impresa è presente sui mercati internazionale è quindi massima e da classificare come
Delocalizzazione nella matrice di Figura 113.
187
I mercati serviti da I sono, oltre che numerosi, anche estesi e lontani sia geograficamente che
culturalmente. Il riferimento non riguarda solo al mercato cinese, coperto da I-Cina, ma anche
alla vendita di impianti che coinvolge mercati come, ad esempio, quello russo. A rendere
maggiormente critica l’internazionalizzazione di questo business, è la posizione rilevante che
assume la normativa nelle specifiche tecniche che devono rispettare gli impianti energetici sia
per i trasporti che per il funzionamento. Ogni paese sottostà a leggi differenti in termini di
sostenibilità ecologica e sicurezza. Per poter esportare questo tipo di prodotti è dunque
necessario conoscere le norme e avere i mezzi indispensabili per soddisfare tutti i requisiti
richiesti dalla legge locale.
I posizionamenti sulla matrice di Internazionalizzazione (Figura 113) attribuiscono alle due
imprese una complessità elevata per quanto riguarda questo fattore (livello 3 per M e livello 4
per I). Pesano in modo particolare in questa valutazione le due recenti delocalizzazioni (2007
MR, 2008 I-Cina) che evidenziano la volontà del Gruppo di intraprendere, in modo
consistente, un processo di internazionalizzazione dei propri business.
Figura 113 - Matrice d’Internazionalizzazione dei processi, posizionamento M e I
Portafoglio prodotti M-I
Il Portafoglio prodotti di M presenta una configurazione Multi-prodotto. Nello specifico
l’impresa presenta tre linee di prodotti: Motori industriali, Motori marini, Ricambi e After
Sales e per ognuna di essi fornisce un’ampia gamma di scelta. Queste caratteristiche
implicano, come rappresentato in Figura 114, una complessità molto elevata (livello 4).
Anche I si trova posizionata nello stesso quadrante sulla matrice del Portafoglio prodotti in
quanto presenta quattro linee di prodotto che riguardano impianti per la generazione di
188
energia (Cogenerazione, Agroenergia, Gruppi Elettrogeni e UPS Dinamic) e una divisione
che si occupa di produrre e montare parcheggi automatizzati. Ognuno di questi prodotti è poi
personalizzato a seconda delle richieste del cliente e ciò implica un’ampiezza di gamma
pressoché infinita.
Nonostante le due imprese ricadano nello stesso quadrante, è importante sottolineare come la
gamma di prodotti di I implichi una complessità superiore a quella di M. L’elevato livello di
standardizzazione dei prodotti di M, infatti, consente una gestione più semplice del
portafoglio prodotti rispetto a quella caratteristica di I, che prevede uno sviluppo ad hoc per
ogni commessa.
Figura 114 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento M e I
Differenziali competitivi M – I
I principali CSF di M riguardano gli accordi commerciali con la casa produttrice di motori
tedesca che garantiscono all’impresa i diritti di rivenditore unico sul mercato italiano. Dato
che questo fornitore rappresenta il 95% degli ordini totali, i rapporti con l’azienda tedesca
possono ormai considerarsi consolidati ed è possibile affermare che l’impresa può godere dei
differenziali competitivi elevati del proprio partner, in termini di qualità, affidabilità e
notorietà del marchio. Tali differenziali possono essere inoltre considerati mantenibili nel
medio-lungo periodo, data la lunga storia del rapporto commerciale tra le due imprese.
Di conseguenza, come emerge dal posizionamento di Figura 115, la complessità relativa a
questo fattore risulta, per M, minima (livello 1). Tuttavia è importante sottolineare che il forte
189
legame alle strategie commerciali di un’altra azienda può risultare critico, in quanto ciò può
limitare la libertà d’azione di M.
Per quanto riguarda I, invece, i fattori differenziali riguardano in modo particolare le capacità
ingegneristiche di progettazione elevate, l‘aderenza alle normative (in continua evoluzione) e
le infrastrutture evolute di cui I si serve per la produzione dei propri impianti. Questi CSF
permettono all’azienda di collocarsi nella parte alta dell’asse Fattori differenziali.
Il posizionamento sull’asse delle Difendibilità dei CSF, invece, è riconducibile alla necessità
di grandi investimenti per le infrastrutture per costruire e testare gli impianti che costituiscono
una notevole barriera all’ingresso, permettendo di difendere la quota di mercato nel medio-
lungo periodo. Di conseguenza I si colloca nel quadrante di complessità 1 come mostrato in
Figura 115
Figura 115 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento M e I
6.2.3 Livello di governo delle ICT M – I
L’Area governo delle ICT si basa sull’assessment dei Sistemi Informativi aziendali (Paragrafo
6.1.4) e su analisi riguardanti ruolo e competenti della Funzione IT del Gruppo. Come già
emerso, poiché la Funzione IT è trasversale alle due imprese, le analisi verranno svolte in
parallelo.
Il Livello di governo delle ICT, ottenuto come media sui contributi dei vari fattori di
quest’area è medio-basso. Dai risultati sintetizzati in Figura 116, emerge la presenza di un
patrimonio applicativo sufficientemente evoluto. Tuttavia la ridotta componente
190
d’Innovazione, in aggiunta ai bassi valori riscontrati per i fattori di Rilevanza strategica delle
ICT e Competenze ICT (figli di un ruolo marginale della Funzione IT all’interno
dell’organizzazione), giustifica il risultato finale.
Figura 116 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di M-I
Maturità applicativa M – I
Il portafoglio applicativo di M-I, descritto nel Paragrafo 6.1.4, è costituito da una varietà di
sistemi software, integrati attraverso un unico sistema Gestionale che gestisce le principali
attività aziendali, quali Amministrazione, Commerciale, Approvvigionamenti, Produzione e
Vendite. Grazie a numerose personalizzazioni e all’integrazione con altri sistemi software,
quali la gestione delle commesse, la Business Intelligence per la reportistica di controllo, il
sistema PDM e i sistemi di progettazione 2D e 3D, viene coperta la totalità delle funzioni
aziendali. Inoltre attraverso il portale sono in grado di connettere tra loro diversi sistemi, di
gestire le utenze e di comunicare con l’esterno attraverso la extranet, alla quale si connettono
gli Installatori e gli Agenti di M.
La Flessibilità del sistema gestionale è medio alta; la software house che ha prodotto questo
sistema rende periodicamente disponibili gli aggiornamenti del sistema ma non è
particolarmente celere nel seguire le normative che riguardano la parte contabile, soprattutto
per quando riguarda la contabilità estera. Tuttavia il sistema è predisposto per essere
facilmente modificabile e personalizzabile e a ciò si deve il buon livello di flessibilità.
Queste caratteristiche permettono al Gruppo M-I di posizionarsi nel cluster dei Portafogli
Integrati a cui, come si nota da Figura 117, corrisponde un livello medio-alto (livello 3) di
governo delle ICT.
191
Figura 117 - Maturità applicativa del Gruppo M-I
Maturità infrastrutturale M – I
L’infrastruttura del Gruppo M-I, descritta nel Paragrafo 6.1.4, è basata su un parco macchine
omogeneo e mediamente aggiornato. La presenza di server Microsoft è predominante e i
sistemi operativi installati sono prevalentemente Windows. La presenza di alcuni server
Windows 2000 e numerosi server Windows 2003 è segnale di un’evoluzione razionale, diluita
nel tempo, mirata a contenere i costi visto che si tende a tenere i sistemi operativi embedded e
i costi si limitano al mantenimento delle licenze.
Come si può vedere in Figura 118 questa tipologia di architettura è classificabile come
Infrastruttura conservativa a cui corrisponde un contributo medio-basso al livello di governo
delle ICT.
192
Figura 118 - La Maturità infrastrutturale del Gruppo M-I
Innovazione ICT M – I
Le tecnologie innovative facenti parte del patrimonio applicativo del Gruppo M-I riguardano
in modo particolare la progettazione, dovute al recente acquisto di un CAD 3D utilizzato dai
progettisti dell’Ufficio Tecnico di M-I, che permette funzioni di Modeling. Il PDM
attualmente in uso presenta funzionalità limitate e una difficile integrazione con gli altri
sistemi ma è in grado di fornire lo storico delle commesse.
Il sistema gestionale prevede, infine, funzionalità di Enterprise Assets Management in quanto
viene tenuta traccia dell’utilizzo degli strumenti e del loro stato di degrado.
193
Stato Tecnologia Idoneità Adottato Peso Idoneità
pesate
adottate
pesate
On the rise Cloud Computing in PLM and Manufacturing SI NO 5 5 0
Two-Tier ERP Strategy for Manufacturing
Operations
NO NO 5 0 0
IT/OT Convergence in Manufacturing SI NO 5 5 0
Synchronized Bills of Materials SI NO 5 5 0
At the Peak Manufacturing Process Management Framework SI NO 4 4 0
MRO PLM Functionality SI NO 4 4 0
SOA in Manufacturing SI NO 4 4 0
Operations Intelligence SI NO 4 4 0
System Engineering Software SI NO 4 4 0
Energy Management in Manufacturing SI NO 4 4 0
Sustainable Design PLM SI NO 4 4 0
Asset Performance Management SI NO 4 4 0
Product Cost Management SI NO 4 4 0
Sliding Into the
Trough
Modeling, Simulation and Virtual Prototyping SI SI 3 3 3
Enterprise Manufacturing Intelligence SI NO 3 3 0
Process Analytical Technology NO NO 3 0 0
Customer Needs Management SI NO 3 3 0
Manufacturing Process Validation SI NO 3 3 0
Regulatory Compliance Functionality Within PLM SI NO 3 3 0
ISA-95 Integration Standards NO NO 3 0 0
Virtual Factories SI NO 3 3 0
EH&S Applications NO NO 3 0 0
Simulation and Test Data Management SI SI 3 3 3
LIMS NO NO 3 0 0
Climbing the Slope Quality Management Systems SI NO 2 2 0
Product Portfolio and Program Management SI NO 2 2 0
Factory Scheduling SI SI 2 2 2
Formula/Recipe Management NO NO 2 0 0
Parts and Materials Search and Selection SI NO 2 2 0
PLM-Centric Team Collaboration SI NO 2 2 0
Value-Chain-Centric PDM SI NO 2 2 0
Process Data Historians SI SI 2 2 2
CAD-Centric Design Data Management SI SI 2 2 2
MES Applications SI NO 2 2 0
Entering the
Plateau
Enterprise Asset Management SI SI 1 1 1
SI 29 6 91 13
Indicatore Valore Ottimo Range
v: Livello innovativo aziendale (pesato) 14% 100% Nullo 0-10
e: media dei pesi di v 2,17 m Basso 11-20
m: media dei pesi adottabili 3,14 Medio 21-30
K: livello innovazione consapevole 7,25% 100% Alto >30
Tabella 11 - Livello di Innovazione consapevole di M e I
194
L’indice di Innovazione consapevole, risultato delle analisi sintetizzate in Tabella 11, è
inferiore al 10% (7,25%) e comporta un livello 1 per quanto riguarda il fattore Innovazione
ICT. Tale livello è da attribuirsi sia al livello di innovazione non particolarmente elevato 14%,
sia ad una media di quasi 1 punto percentuale inferiore (2,17 al posto che 3,14).
Rilevanza strategica delle ICT M – I
All’interno dei processi decisionali strategici dell’impresa, non si riscontra una presenza
rilevante della Direzione IT, se non per aspetti riguardanti l’ambito puramente tecnico.
Sebbene il vertice manifesti un grado di sensibilità significativo riguardo il tema dell’ICT,
resta forte, infatti, il limite organizzativo in termini di riconoscimento del ruolo di chi è
addetto a governarla.
Ad esempio, nel processo di scelta di un nuovo sistema gestionale, il parere della Direzione
IT è stato preso in considerazione solamente in parte, dato che il vertice ha preferito affidarsi
a consulenti esterni, sia per la selezione della soluzione, che per la conduzione del progetto di
implementazione. La Direzione IT gode comunque di un’ottima reputazione per quanto
riguarda la risoluzione dei problemi ordinari e in qualche caso gli è riconosciuta anche la
capacità di incrementare le prestazioni delle aree funzionali, attraverso lo sviluppo di
programmi “custom”. Tuttavia la visione che i referenti del business hanno della funzione IT
non è tale da giustificare un collocamento nel cluster Value provider, ma può essere
classificata come Trusted individual & Help Desk (Figura 119).
Figura 119 - Rilevanza strategica delle ICT in M-I (rielaborato da Boccardelli, 2007)
Competenze ICT M – I
La Direzione IT di M-I è composta da un numero limitato di persone pari a 3, tuttavia le
competenze di sviluppo di alcuni di questi elementi, permettono di fornire un servizio di
sviluppo di applicativi (nello specifico applicativi in codice Sql) che non si limita a una
personalizzazione del gestionale ma che va a coprire funzionalità non gestite dal sistema.
195
Le capacità di sviluppo sono caratteristiche di un IT sviluppatore che non si limita a
supportare e mantenere i sistemi esistenti ma è in grado di svilupparne di nuovi accrescendo il
patrimonio applicativo dell’impresa. Le capacità di project management e di acquisto sono
tuttavia limitate, per questo motivo la capacità di gestire la complessità introdotta da questo
fattore è, come rappresentato in Figura 120, di livello medio-basso (livello 2). A conferma di
ciò l’impresa si è rivolta a consulenti esterni sia per svolgere attività di Software selection per
un nuovo PDM e un nuovo gestionale, sia per coordinare il progetto di implementazione del
nuovo ERP.
Figura 120 - Competenze ICT in M-I
6.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo M – I
Una volta discussi e stabiliti i fattori di complessità interni (organizzativa) ed esterni (del
business), è possibile determinare la Complessità gestionale delle imprese. La Complessità
gestionale è costituita dal massimo tra i due valori di complessità calcolati in precedenza. In
Tabella 12 sono riportati i valori riscontrati per i fattori e quelli calcolati per le relative aree,
in modo da consentire un confronto e dare spunto ad alcune riflessioni importanti.
196
M I
Asse
organizzativo
Macrostruttura 2 4
Microstruttura 4 4
Scambi informativi 2 4
Gruppo 2 2
Conoscenza dei processi 1 2
Complessità organizzativa 2,2 3,2
Asse del
business
Criticità del mercato 4 4
Internazionalizzazione 3 4
Prodotti 4 4
Differenziali competitivi 1 1
Complessità del business 3 3,25
Complessità gestionale 3 3,25
Area ICT
gestionale
Maturità applicativa 3 3
Maturità infrastrutturale 2 2
Competenze ICT 2 2
Innovazione SI 1 1
Rilevanza strategica delle ICT 2 2
Livello ICT gestionale 2 2
Tabella 12 -Sintesi analitica del modello
Dai dati riportati in tabella, emerge una Complessità gestionale di I, superiore a quella di M.
La differenza tra i due valori è giustificata dalla tipologia di prodotto di I che, influendo su
modalità di lavoro, scambi informativi e portafoglio prodotti, comporta una complessità
superiore. A queste caratteristiche va poi aggiunta la spiccata componente internazionale (che
include una delocalizzazione in Cina).
197
Figura 121 - Allineamento tra la complessità gestionale e la capacità del Gruppo di gestire la complessità attraverso la
governance delle ICT
Nella matrice di sintesi del modello proposto (Figura 121) I e M sono entrambe posizionate al
di sotto della diagonale; questo significa che la governance delle ICT è in qualche modo
inadeguata alla gestione della complessità delle due imprese. Una delle possibili azioni
percorribili per smuovere l’attuale situazione di complessità sarebbe quella di innovare i
propri Sistemi Informativi in modo da spostarsi lungo l’asse del livello di governance
dell’ICT e ritrovare l’allineamento.
Il focus di questo modello è quello di far emergere l’inadeguatezza del livello di governo delle
ICT a gestire la complessità dell’impresa. Dunque l’impresa deve focalizzarsi sul migliorare
quest’Area poiché, nel medio periodo, la complessità non risulta riducibile. L’unico fattore su
cui potrebbe agire è la Macrostruttura di I, attraverso una riorganizzazione interna che riveda
le logiche alla base della struttura organizzativa, anche se i benefici in termini di riduzione di
complessità sarebbero comunque limitati.
Una prima tipologia di interventi potrebbe riguardare un processo di innovazione volto a
migliorare l’attuale supporto ai processi di business, questa necessità emerge del valore
riscontrato per il fattore di Innovazione ICT che, dalle analisi svolte risulta molto basso.
Proseguendo nell’analisi dei risultati, emerge il bisogno di un riposizionamento della
Direzione IT all’interno dell’organizzazione. Questo deve avvenire attraverso l’ampliamento
delle competenze manageriali, che sono abilitanti ad una rilevanza strategica significativa
nelle gerarchie aziendali. Azioni in tal senso potrebbero essere la formazione manageriale del
responsabile IT e il rafforzamento della struttura operativa dell’area funzionale, in modo da
198
permettere al responsabile IT di dedicare più tempo alle attività a maggior valore aggiunto
(decisioni strategiche, pianificazione, etc.). Altro passo fondamentale che il Gruppo potrebbe
compiere al fine di migliorare il proprio utilizzo strategico delle ICT è il coinvolgimento
dell’IT manager nei momenti di scelte strategiche riguardanti le evoluzioni del business.
Le due imprese presentano bisogni di diversa natura: M necessita di un maggior supporto
negli scambi informativi con la filiera, mentre I ha la priorità di ottimizzare l’organizzazione
interna. Il modello di business di M è basato sulla commercializzazione di prodotti e su
servizi ad essi correlati. Nello specifico l’impresa, per rispondere al meglio alla propria
complessità, richiederebbe un supporto maggiore per i processi di Post vendita, Assistenza
tecnica, Ricambistica e Gestione del cliente. Il mercato offre numerose soluzioni software e
una di queste potrebbe essere rappresentata da un sistema CRM sufficientemente completo e
affidabile, magari specifico per il settore manifatturiero, per andare incontro a questi bisogni.
I, invece, oltre a gestire una elevata complessità del business, deve mantenere il focus sulla
propria organizzazione, che risulta equamente complessa e necessita di innovarsi dal punto di
vista della modalità di lavoro. Per iniziare ad attuare questo cambiamento un sistema PLM
potrebbe rappresentare una soluzione adatta a migliorare in tempi brevi le performance
dell’organizzazione, in quanto consentirebbe di ottimizzare la gestione di tutte le informazioni
riguardanti gli impianti (disegni tecnici, manutenzioni, fornitori, parti assemblate, etc.).
199
7. CONCLUSIONI
Il presente lavoro di tesi si è proposto di elaborare un modello in grado di rilevare
l’adeguatezza del Livello di governo degli strumenti ICT di cui un’organizzazione si è dotata,
rispetto alla Complessità gestionale che la caratterizza. Le organizzazioni prese in esame sono
PMI o gruppi di PMI con caratteristiche anche molto differenti in termini di modello di
business. Tale complessità è pertanto da interpretare come risultato delle esigenze
organizzative interne e delle relative configurazioni adottate (complessità interna), unitamente
alle caratteristiche del contesto di business in cui la PMI opera e agli altri fattori esterni che
contribuiscono a determinare livelli di complessità più o meno elevati (complessità esterna).
Per ciascuna delle variabili prese in esame il lavoro condotto ha permesso di identificare un
set esteso di fattori che ne permettono la valorizzazione, suggerendo il posizionamento della
PMI sugli assi della Complessità gestionale e del Livello di governo delle ICT.
La Complessità gestionale delle imprese è determinata dalla Complessità organizzativa e
dalla Complessità del business, in termini di esigenze organizzative interne e peculiarità
esterne del business. Come illustrato nel lavoro queste sono state declinate a loro volta in più
fattori che identificano rispettivamente le caratteristiche interne (struttura organizzativa,
know-how, dimensioni, etc.) e quelle esterne all’azienda (robustezza del business,
internazionalizzazione, caratteristiche del business, etc.). Per quanto riguarda la
valorizzazione del Livello di governo delle ICT, invece, si considera una media tra i contributi
forniti, dal ruolo e le competenze della Direzione IT, l’attenzione posta dall’impresa
all’innovazione e delle maturità applicativa e infrastrutturale del sistema informativo.
L’applicazione ai casi reali ha permesso di osservare alcuni fenomeni che trovano riscontro
nelle conclusioni di stampo teorico infatti, nonostante la differente configurazione, il diverso
contesto e la lontananza geografica, sono emerse aderenze significative.
Dall’analisi del contesto in cui si applica il modello emerge come, per far sì che l’ICT possa
essere considerata una leva strategica nelle PMI, vadano ancora rimossi alcuni limiti
organizzativi, culturali ed economici. Data la rilevanza di questa forma d’impresa nel mercato
italiano, questa operazione rappresenta una necessità primaria per il sistema economico del
Paese.
200
Secondo i dati forniti da Assinform91
, solo il 10% delle imprese interpellate non percepisce la
rilevanza strategica delle ICT, tuttavia, le evidenze empiriche riguardanti l’attuale stato
dell’arte dei Sistemi Informativi si prestano ad una lettura di diverso tipo.
Il mercato ha recepito questa possibilità di business e sta rispondendo con prodotti sempre più
vicini ai bisogni delle PMI grazie all’esperienza che i vendor hanno acquisito dalle grandi
imprese (best practice). Le imprese intravedono in tali sistemi una nuova possibilità per
incrementare l’efficienza, ad esempio attraverso suite che permettano l’ottimizzazione delle
risorse critiche quali materie prime, risorse umane e impianti produttivi. Attraverso sistemi di
Business Intelligence e CRM evoluti è, inoltre, possibile recuperare efficacia nei processi
decisionali, mantenendo un contatto sempre più diretto e personalizzato con i propri clienti.
Da ultimo, ma non per importanza, anche la necessità di aumentare la flessibilità e la
scalabilità dei processi, contenendo i costi e assorbendo più tempestivamente la volatilità del
mercato, può essere soddisfatta. L’ICT as a service, fenomeno sempre più attuale,
comunemente definita anche come Cloud Computing, è una possibilità concreta che le
imprese possono sfruttare per raggiungere questi obiettivi.
Per quanto riguarda il patrimonio applicativo, il posizionamento delle PMI italiane è buono,
anche se non ottimale. L’analisi svolta nel Capitolo 3, basata sui dati dell’Osservatorio del
Politecnico di Milano, rivela che il 91% delle imprese può contare su un sistema gestionale, e
per più della metà non si tratta di pacchetti elementari ma di sistemi in parzialmente evoluti.
Il motivo principale che impedisce all’ICT di assumere un ruolo strategico all’interno delle
organizzazioni è lo scarso presidio gestionale che viene fornito ai Sistemi Informativi. Le
ricerche dell’Osservatorio del Politecnico92
, condotte su un campione di PMI presenti sul
territorio Lombardo, riportano un numero medio di addetti alla Direzione IT pari a 1,2 per
imprese che impiegano tra i 10 ed i 49 addetti; 1,8 per imprese tra 50 e 99 addetti e 2,4 per
imprese tra 100 e 249 addetti. Se quest’area funzionale viene sottodimensionata è difficile,
infatti, che vi siano competenze, risorse in termini di tempo e budget sufficienti affinché l’ICT
possa diventare concretamente un differenziale competitivo.
Dal quadro complessivo emerge quindi che la sensibilità delle imprese verso l’ICT è
crescente, grazie anche al ricambio generazionale in corso nella classe imprenditoriale, ma
spesso le competenze interne alle imprese non sono sufficienti a supportare un adeguato
processo di turnaround. Per supportare tale cambiamento può quindi risultare necessario
91 Assinform, 2011
92 Osservatorio ICT & PMI, 2009
201
appoggiarsi ad un partner esterno fidato cui commissionare la comprensione dei bisogni
effettivi dell’azienda al fine di individuare successivamente le tecnologie adatte su cui
investire.
Il modello, oggetto di questa tesi, può risultare uno strumento differenziale proprio in questo
tipo di attività in quanto indirizza le analisi e permette di focalizzare l’attenzione sulle aree in
cui l’impresa deve intervenire.
Dall’applicazione ai casi, data la dimensione (medie imprese) e la tipologia di produzione
(meccanica avanzata) delle imprese analizzate, era lecito aspettarsi livelli di complessità
piuttosto alti che risultano, infatti, compresi tra 3 e 3,75. Il Livello di governo dei due gruppi è
anch’esso simile (1,8 per F-B, 2 per M-I) e non in grado di supportare le esigenze gestionali e
di business rilevate.
Come puntualizzato nelle relative descrizioni, i gruppi nascono in modo differente: il Gruppo
F-B nasce quando l’impresa F decide di espandersi e acquisire l’impresa B, per sinergia
geografica di vicinanza territoriale e rapporti consolidati con la proprietà; il Gruppo M-I,
invece, nasce da un’impresa che decide di differenziare la propria offerta e aprire un nuovo
business. Conseguenza diretta delle suddette strategie è che F e B possono essere considerate
imprese distinte, convergenti solo per i Sistemi Informativi, mentre M e I costituiscono un
Gruppo coeso che si differenzia solo per le attività primarie ma che presenta attività di
supporto comuni (amministrazione, controllo di gestione, etc.). Nonostante questa
configurazione comporti una complessità superiore per il fattore Gruppo, in quanto implica la
gestione di numerosi scambi informativi intra-gruppo, come visibile in Figura 122 la
Complessità gestionale delle imprese del Gruppo M-I risulta inferiore.
Il Gruppo F-B è un caso molto particolare, che mette in evidenza una delle caratteristiche
fondamentali del modello. Entrambe le imprese hanno una Complessità gestionale molto
elevata ma, analizzando i differenti contributi, si scopre che tale valore è da attribuirsi a
motivi differenti. L’impresa F, infatti, si distingue per una Complessità organizzativa alta
(3,4) e per una Complessità del business ridotta (2) mentre quella B presenta caratteristiche
opposte (Complessità organizzativa: 2; Complessità del business: 3,75). Il fatto che Direzione
IT e Sistemi Informativi siano comuni comporta che il Gruppo deve attrezzarsi per gestire le
diverse esigenze che nascono dalle due aziende. Nello specifico dovrà, ad esempio, dotarsi di
strumenti per migliorare il controllo sui progetti per le attività di F e di strumenti di marketing
per migliorare l’approccio al mercato di B. Il posizionamento ideale, per un gruppo di imprese
che condivide i Sistemi Informativi, come rappresentato sulla matrice in figura, è quindi da
ricercare nella proiezione sulla diagonale dell’impresa con la Complessità gestionale
maggiore. Un presupposto per l’applicazione del modello nel caso di un Gruppo di PMI, in
cui la gestione delle ICT risulta centralizzata è che delle singole Complessità gestionale
202
rilevate per ciascun impresa che lo costituisce è necessario prendere come riferimento quella
di livello maggiore, al fine di garantire il Livello di governo adeguato a ciascuna di esse.
Figura 122 - Sintesi del modello, posizionamenti dei gruppi analizzati
L’output del modello mira a mappare le imprese in base alla situazione as-is. Il perimetro di
analisi su cui agisce il modello non include particolari indicazioni sul modo di gestire la
complessità, una volta individuata, tuttavia fornisce gli elementi fondamentali per
comprendere quali siano i fattori su cui l’impresa può e deve far leva al fine di riposizionarsi
sulla diagonale della matrice di sintesi del modello.
Se si porta questo esercizio sui casi analizzati e si scompongono i fattori che determinano i
livelli di governo delle ICT, rappresentati in Figura 123, emergono due necessità comuni e
fondamentali: incrementare gli investimenti in tecnologie ICT innovative che siano allineate
alla visione strategica di evoluzione del business (es: a supporto della componente
internazionale crescente in entrambi i gruppi) e riposizionare la Direzione IT all’interno delle
organizzazioni.
203
Figura 123 - Livello di governo delle ICT, posizionamento dei due gruppi analizzati
Il basso livello d’innovazione riscontrato è dovuto al fatto che, una volta raggiunta la
copertura funzionale dei processi, le imprese tendono a non introdurre nuove tecnologie che
spesso comportano una ridiscussione e una revisione dei processi stessi. Se i processi non
vengono messi in discussione però, non è possibile ottenere miglioramenti e ciò può portare
all’obsolescenza e alla perdita di competitività. Per i Gruppi analizzati tale fenomeno è
risultato particolarmente evidente negli incontri con gli utenti e con le direzioni, soprattutto
perché rappresentano due realtà solide e ben funzionanti. Decidere di ripensare le proprie
logiche di business in un contesto di favore, anche se migliorabile, è ancora più difficile che
nei casi in cui la situazione operativa e finanziaria non sia particolarmente serena. Entrambe
hanno continuato ad operare nello stesso modo per anni e la ragione chiave che le ha spinte a
ricercare un nuovo sistema gestionale è l’internazionalizzazione del business.
Affinché l’ICT abbia un ruolo di maggior rilevanza all’interno delle imprese è necessario che
le Direzioni IT prendano parte alla definizione delle strategie. Ad oggi, le due Direzioni IT
non hanno né la considerazione necessaria da parte del business né le competenze per
assumersi queste responsabilità. I profili riscontrati nelle due Direzioni IT sono, infatti,
esclusivamente tecnici e mancano completamente di competenze manageriali.
L’applicazione ai casi di studio presentati ha permesso di validare la struttura del modello in
termini di esaustività delle determinanti individuate e di rilevabilità dei valori per ciascuno dei
fattori di analisi proposti, offrendo spunti di integrazione per quanto riguarda la variabile di
“Gruppo” e l’elemento di “innovazione”.
Il primo elemento permette di rendere valida l’applicazione del modello per quello che è
ormai un fenomeno molto diffuso in Italia ovvero la presenza di gruppi di PMI, il secondo
204
permette di conferire alla rilevazione una valenza “anche dinamica”, rispetto ai trend che man
mano si presentano nell’offerta tecnologica.
Il modello presenta alcune opportunità di evoluzione e punti di attenzione per successive
rielaborazioni, generate in parte dalle scelte fatte in fase di strutturazione del modello, quindi
presupposti di progettazione, in parte legate ad obiettivi di modellazione non oggetto di tale
lavoro ma per i quali il modello presentato potrebbe rappresentare un valido punto di
partenza.
La prima osservazione che si vuole portare all’attenzione è l’ipotesi esemplificativa adottata
per linearizzare la valutazione della complessità. La complessità è infatti considerata come il
risultato della combinazione lineare tra più variabili, individuabili oggettivamente. Nessun
fattore, ad esempio, prende in considerazione i rapporti tra le persone, nonostante in
un’organizzazione le relazioni tra i dipendenti siano fondamentali per lo svolgimento delle
attività. Gestire un ambiente di lavoro caratterizzato da un clima di cordialità e cooperazione
riduce notevolmente la complessità di un’impresa, poiché i processi decisionali saranno più
snelli e rapidi, diminuendo la probabilità che molti progetti falliscano o ritardino a causa
dell’ostruzionismo di alcuni individui. Il clima aziendale è un tipico fattore trasversale
all’impresa, che non è possibile estrapolare e gestire in modo indipendente e lineare.
Lo stesso motivo porta ad escludere dal modello la tipologia di gestione che caratterizza
l’impresa. Si possono identificare due modelli di gestione, quello famigliare e quello
manageriale, ove in quest’ultimo i soci azionisti, proprietari dell’impresa, delegano al
management la gestione operativa dell’impresa. Il modello famigliare, per quanto snello e
largamente adottato in Italia, è tipicamente caratterizzato da inefficienze riguardanti la
suddivisione del potere e le competenze necessarie per la gestione dell’impresa. La teoria
potrebbe dunque affermare che questa tipologia di gestione introduce una complessità
superiore rispetto alla gestione manageriale, quest’ultima tuttavia, presenta alcuni
fondamentali problemi, primo tra tutti l’asimmetria informativa tra proprietà e management.
Se proprietà e management, invece, si concentrano nelle mani dello stesso gruppo famigliare,
si può supporre che esse abbiano gli stessi interessi. Ciò porta ad una maggior velocità di
decisione e flessibilità, caratteristiche fondamentali per una PMI, che comportano una
riduzione della complessità.
Le imprese analizzate possono costituire un esempio del motivo per cui non è possibile
inserire i suddetti fattori in un modello lineare. Entrambi i gruppi sono, infatti, caratterizzati
da una conduzione familiare sopravvissuta al cambio generazionale. Gli attuali amministratori
delegati, oltre a godere dell’ottima reputazione della famiglia fondatrice, hanno capacità di
leadership e competenze del business, riconosciute dai propri dipendenti.
205
Queste caratteristiche aiutano a comprendere il successo che le imprese hanno nei relativi
business e se dovessero essere incluse nel modello, contribuirebbero a ridurre la Complessità
gestionale. Poiché non è possibile generalizzare affermando che ciò sia sempre attuabile in
caso di gestione famigliare è, tuttavia, opportuno estromette questi fattori dal modello.
Altro elemento di riflessione è che il modello al momento non prende in esame la
strutturazione di percorsi di evoluzione che possano indicare come, dato un certo
posizionamento assunto dall’impresa, questa possa migliorarsi e assestarsi sul posizionamento
suggerito dal modello, secondo linee di sviluppo, organizzative e tecnologiche ben definite. In
tal senso tale lavoro potrebbe rappresentare un utile punto di partenza per la definizione di una
Road Map strutturata che, in base alla tipologia di PMI e al posizionamento sulla matrice di
allineamento, definisca e tempifichi i passi per migliorarne il relativo Livello di governo delle
ICT. In questo modo l’impresa, una volta svolta l’analisi, potrebbe fruire di linee guida che le
permetterebbe di raggiungere l’allineamento con la Complessità gestionale, rispondendo in
modo completo alle esigenze emerse.
Infine per il consolidamento dell’applicabilità del modello, si ritiene interessante estendere
l’applicazione ad un numero più ampio di casi reali, in modo da poter consolidare e validare
le metriche e i parametri di valutazione anche in differenti settori.
206
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