L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità...

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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria dei Sistemi Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE DELLA COMPLESSITÀ NELLE PMI: RILEVAZIONE DELLE DETERMINANTI, DEFINIZIONE DI UN MODELLO DI SINTESI E APPLICAZIONE A CASI REALI Relatore: Prof. Giampio Bracchi Correlatori: Prof. Paolo Locatelli Prof. Fabrizio Amarilli Tesi di laurea di: Edoardo Messinese matricola n. 754817 Gabriele Villa matricola n. 765159 Anno Accademico 2010/2011

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POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria dei Sistemi

Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale

L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE

DELLA COMPLESSITÀ NELLE PMI: RILEVAZIONE DELLE

DETERMINANTI, DEFINIZIONE DI UN MODELLO DI

SINTESI E APPLICAZIONE A CASI REALI

Relatore: Prof. Giampio Bracchi

Correlatori: Prof. Paolo Locatelli

Prof. Fabrizio Amarilli

Tesi di laurea di:

Edoardo Messinese matricola n. 754817 Gabriele Villa matricola n. 765159

Anno Accademico 2010/2011

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II

Eccoci arrivati a scrivere le ultime righe di questa tesi nei nostri ultimi giorni da

universitari; guardandoci alle spalle non possiamo che ricordare tutte le persone che

ci hanno accompagnato e sostenuto in questi lunghi anni. Come possiamo dimenticare

le ore passate nei corridoi di BL27, tra pause studio che interrompevano interminabili

pause caffè e grandi serate trascorse con i nostri compagni! Una menzione speciale a

Veronica e Fabrizia, con cui abbiamo condiviso gioie e dolori di queste esperienze.

Un ringraziamento ai Proff. Fabrizio Amarilli, Stefano Mainetti e Paolo Locatelli

per la loro disponibilità che ci ha consentito di svolgere questo lavoro di tesi;

all’Ing. Alberto Spreafico, a tutto lo staff e ai tesisti di Innovazione Digitale, per i

preziosi consigli e la simpatia con cui hanno rallegrato le nostre ore di lavoro (e non).

Ma il più grande ringraziamento lo rivolgiamo a Francesca ;

che è riuscita nella non facile impresa di sopportarci e guidarci con pazienza,

competenza e personalità attraverso tutti questi mesi di lavoro.

E &G

Che dire.. 5 anni bellissimi e pieni di

emozioni, resi possibili dalle persone

che mi sono state vicine e con le quali

ho condiviso momenti indimenticabili!

In primis i miei genitori, Tiziana e Raul,

che con costanza e amore hanno

saputo guidarmi in questo lungo percor-

so di laurea. Ai miei famigliari un rin-

graziamento per il supporto e l'affetto

dimostrato in questi anni, in partico-

lare a Nonna Anna, che ha creduto

fortemente in me, fin dal giorno della

mia nascita.

Ad Anna, colei che ha condiviso con me

tutti questi anni accademici, senza la

quale ora non sarei qui a scrivere

queste brevi parole di ringraziamento,

per l’amore e il sostegno ricevuto.

Agli amici veri, tra i quali non posso

dimenticare l'Ing. Teo, soprattutto per

gli anni trascorsi insieme alla triennale

e Clody, Lele, Albi, Pato, Fede, Grana e

Piruz, amici storici e/o compagni di

calcio nella New Team.

E infine a quel pazzo del mio compagno

di tesi qui a destra (bella Gabri!), che

senza di lui non sarei mai riuscito a

compiere questa impresa stoica!

Edo

Ora che siamo giunti ai ringraziamenti

mi accorgo che servirebbero ulteriori

200 pagine per dare il giusto spazio

alle persone che mi sono state vicine

lungo questo percorso. Tengo, in modo

particolare, a ringraziare Ale, i predoni

e i “reduci” del Niguarda, perché si

sono sempre dimostrati amici sinceri e

rappresentano una certezza per il mio

presente e il mio futuro.

Grazie a Lidia, che mi è sempre stata

vicina anche quando la distanza lo

rendeva difficile e ovviamente a Edo,

con cui ho condiviso perfino notti

insonni per concludere questa tesi; la

sua compagnia ha fatto si che ciò non

fosse mai un peso.

Non è impresa semplice trovare le

parole per esprimere la riconoscenza

che provo verso la mia famiglia per

l’opportunità che mi ha regalato, quella

di poter scegliere il mio percorso

avendo sempre il supporto necessario e

spesso molto di più. A loro dedico il

seguente lavoro e il raggiungimento di

questo traguardo.

Gabri

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III

INDICE

INTRODUZIONE .................................................................................................................... 2

Capitolo 1 .................................................................................................................................. 5

Piccole e medie imprese in Italia ............................................................................................. 5

1.1 Definizione di PMI e contesto italiano ........................................................................ 6

1.1.1 Caratteristiche delle PMI e peculiarità organizzative .......................................... 8

1.1.2 Gruppi di PMI .................................................................................................... 11

1.2 Il mercato manifatturiero italiano .............................................................................. 14

1.3 Il posizionamento competitivo delle PMI italiane ..................................................... 17

1.4 Strategie per mantenere la competitività ................................................................... 19

1.4.1 La differenziazione ............................................................................................. 20

1.4.2 I distretti industriali e le reti d’imprese .............................................................. 21

1.4.3 Internazionalizzazione ........................................................................................ 22

Capitolo 2 ................................................................................................................................ 24

ICT nelle PMI italiane ........................................................................................................... 24

2.1 La situazione dell’ICT in Italia .................................................................................. 25

2.2 La predisposizione all’innovazione ICT .................................................................... 27

2.3 Modello dell’allineamento strategico (MIT) ............................................................. 30

2.3.1 Strategic fit ......................................................................................................... 32

2.3.2 Integrazione funzionale ...................................................................................... 32

2.3.3 Le prospettive dello Strategic alignment ............................................................ 33

2.4 Modello di rilevazione della Maturità ICT di un’impresa ......................................... 35

2.4.1 La Maturità applicativa ...................................................................................... 36

2.4.2 La Maturità infrastrutturale ................................................................................ 37

2.4.3 La maturità ICT: una visione d’insieme ............................................................. 39

2.5 Considerazioni di sintesi sui modelli consultati ........................................................ 40

2.6 L’ICT è ancora una risorsa strategica? ...................................................................... 41

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IV

Capitolo 3 ................................................................................................................................ 43

I Sistemi Informativi aziendali .............................................................................................. 43

3.1 Il percorso evolutivo dell’ICT ................................................................................... 44

3.2 Mappatura dei SI aziendali ........................................................................................ 56

3.2.1 Introduzione: gli Enterprise Systems ................................................................. 59

3.2.2 La segmentazione degli Enterprise Systems ...................................................... 62

3.2.3 Il portafoglio applicativo delle imprese manifatturiere ...................................... 65

3.3 I sistemi gestionali: gli ERP ...................................................................................... 70

3.3.1 Definizione dei requisiti ..................................................................................... 80

3.4 I sistemi a supporto del business: l’extended ERP .................................................... 92

3.5 I trend attuali dei Sistemi Informativi ........................................................................ 96

3.5.1 I trend in atto dei sistemi gestionali ................................................................... 96

3.5.2 Enterprise 2.0 ..................................................................................................... 99

3.5.3 Cloud Computing e Software as a Service ....................................................... 101

Capitolo 4 .............................................................................................................................. 104

Il modello: ICT per gestire la complessità ......................................................................... 104

4.1 Principi guida per la strutturazione del modello ...................................................... 105

4.2 Sintesi concettuale del modello proposto ................................................................ 106

4.2.1 Obiettivi del modello ........................................................................................ 106

4.2.2 Metodologia d’analisi ....................................................................................... 106

4.2.3 Struttura del modello ........................................................................................ 107

4.3 Descrizione di dettaglio del modello ....................................................................... 108

4.3.1 Complessità organizzativa ................................................................................ 108

4.3.2 Complessità del Business ................................................................................. 116

4.3.3 Livello di governo delle ICT ............................................................................ 123

4.4 Limiti e opportunità di evoluzione .......................................................................... 131

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V

Capitolo 5 .............................................................................................................................. 134

Il caso di studio del Gruppo F – B ...................................................................................... 134

5.1 Descrizione del Gruppo F – B ................................................................................. 135

5.1.1 Le caratteristiche dell’azienda F ...................................................................... 135

5.1.2 Le caratteristiche dell’azienda B ...................................................................... 136

5.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi ................................................. 137

5.1.4 Assessment sistema informativo ...................................................................... 139

5.2 Applicazione del modello ........................................................................................ 142

5.2.1 Complessità organizzativa F – B ...................................................................... 143

5.2.2 Complessità del Business F – B ....................................................................... 148

5.2.3 Livello di governo delle ICT F – B .................................................................. 157

5.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo F – B ............................... 163

Capitolo 6 .............................................................................................................................. 167

Il caso di studio del Gruppo M-I ......................................................................................... 167

6.1 Descrizione del Gruppo M-I .................................................................................... 168

6.1.1 Le caratteristiche dell’azienda M ..................................................................... 168

6.1.2 Le caratteristiche dell’azienda I ....................................................................... 169

6.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi ................................................. 170

6.1.4 Assessment sistema informativo ...................................................................... 172

6.2 Applicazione del modello ........................................................................................ 174

6.2.1 Complessità organizzativa ................................................................................ 175

6.2.2 Complessità del business M – I ........................................................................ 180

6.2.3 Livello di governo delle ICT M – I .................................................................. 189

6.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo M – I ............................... 195

CONCLUSIONI ................................................................................................................... 199

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................. 206

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VI

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 - Numero medio di addetti delle imprese (ISTAT, 2010) ............................................ 7

Figura 2 - Addetti per settore di attività e dimensione delle imprese Ue (ISTAT, 2010) .......... 8

Figura 3 - Gruppi (a) e addetti (b) per classe di addetti (ISTAT, 2011) .................................. 13

Figura 4 - Valore delle esportazioni italiane dal 2000 al 2005 (Quinteri, 2007) ..................... 16

Figura 5 - Classificazione delle PMI (Balocco, 2009) ............................................................. 18

Figura 6 - Il mercato dell'IT in Italia per semestre (Assinform, 2011) .................................... 25

Figura 7 - La dinamica del mercato Software per componenti (Assinform 2011) .................. 26

Figura 8 - L'evoluzione del ruolo dell'ICT nelle organizzazioni (Flacco, 2005) ..................... 27

Figura 9 - La predisposizione all'innovazione ICT, i diversi archetipi di PMI (Balocco, 2009)

.................................................................................................................................................. 29

Figura 10 - L’allineamento strategico tra business e IT (Boccardelli, 2007) ........................... 31

Figura 11 - Matrice di classificazione del patrimonio applicativo (Osservatorio ICT& PMI,

2009) ......................................................................................................................................... 37

Figura 12 - La maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009) .............................. 38

Figura 13 - Classificazione della Maturità ICT (Osservatorio ICT & PMI, 2009) .................. 39

Figura 14 - Rielaborazione del modello “Three S-shaped learning curves” (Nolan e Croson,

1995) ......................................................................................................................................... 45

Figura 15 - Modello dei Sistemi Informativi (Bracchi, Francalanci, Motta, 2005) ................. 49

Figura 16 - Organizzazione aziendale e attività tipiche di una impresa manifatturiera (Porter,

1985) ......................................................................................................................................... 50

Figura 17 - Piramide di Anthony e SI (Anthony, 1965) ........................................................... 51

Figura 18 - Interazione tra i SI Operativi e quelli Direzionali (Ficagna, 2006) ....................... 52

Figura 19 - Interazione tra i vari livelli aziendali (Ficagna, 2006) .......................................... 53

Figura 20 - Esempio diagramma delle attività ......................................................................... 54

Figura 21 - Esempio di una architettura a spaghetti (Storr, 2007) ........................................... 57

Figura 22 - Architettura di riferimento di una SOA (Mainetti, 2010)...................................... 58

Figura 23 - Tipologie di Information Systems (Ficagna, 2006) ............................................... 60

Figura 24 - Moduli ES (Ficagna, 2006) ................................................................................... 61

Figura 25 - Copertura e confronto di ES (Ficagna, 2006) ........................................................ 62

Figura 26 - Modello del Portafoglio Applicativo (Ficagna, 2006) .......................................... 63

Figura 27 - Modello SCOR (Bracchi, 2010) ............................................................................ 64

Figura 28 - Schema orientativo di una distinta base di prodotto (Martawirya, 2008) ............. 68

Figura 29 - Computer Integrated Manufacturing (CIM) (Waldner, 1992) .............................. 69

Figura 30 - La mappa della suite ERP (Bracchi, 2010) ........................................................... 71

Figura 31 - ERP e trasformazione dell'impresa (Ficagna, 2007) ............................................. 78

Figura 32 - Dai processi al sistema in esercizio ....................................................................... 79

Figura 33 - Evoluzione del sistema informativo (Ficagna, 2007) ............................................ 80

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VII

Figura 34 - Individuazione della soluzione .............................................................................. 81

Figura 35 - Imprese che utilizzano le diverse tipologie di sistemi gestionali (Osservatorio

ICT&PMI, 2010) ...................................................................................................................... 83

Figura 36 - Il raggruppamento dei vendor di ERP (Neely, B., 2011) ...................................... 84

Figura 37 - Quote di mercato degli ERP (grafico da rifare con le QM 2009, 2008 e 2006) .... 85

Figura 38 - Tasso di selezione rispetto al fatturato dei clienti (Neely, B., 2011) ..................... 85

Figura 39 - Scomposizione del fatturato del Tier I rispetto ai settori (Neely, B., 2011) .......... 86

Figura 40 - Quote di mercato totali per settore (Neely, B., 2011) ........................................... 87

Figura 41 - Tempi medi di implementazione di un ERP (Neely, B., 2011) ............................. 87

Figura 42 - Durata media pianificata vs. effettiva (Neely, B., 2011) ....................................... 88

Figura 43 - Costo medio di un progetto ERP (Neely, B., 2011) .............................................. 88

Figura 44 - Cause di extra budget (Neely, B., 2011) ............................................................... 89

Figura 45 - Livello medio di customizzazione richiesto (Kimberling, 2011) .......................... 89

Figura 46 - Magic Quadrant for ERP for Product-Centric Midmarket Companies (Gartner,

2010) ......................................................................................................................................... 91

Figura 47 - Frammentazione della catena del valore tradizionale (Faini, 2011) ...................... 92

Figura 48 - Hype Cycle degli ERP (Gartner, 2011) ................................................................. 97

Figura 49 - I benefici e il livello di maturità degli strumenti 2.0 (Corso, 2010) .................... 100

Figura 50 - Imprese interessate ad adottare in futuro la soluzione in modalità “as a Service”

(Balocco, 2010) ...................................................................................................................... 103

Figura 51 - Matrice di sintesi del modello ............................................................................. 107

Figura 52 - Macrostruttura ..................................................................................................... 110

Figura 53 - Microstruttura ...................................................................................................... 112

Figura 54 - Matrice Information intensity, livello di complessità per il fattore: Scambi

informativi .............................................................................................................................. 113

Figura 55 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Gruppo .................................... 114

Figura 56 - Spirale della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1995) ......................................... 115

Figura 57 - Conoscenza dei processi ...................................................................................... 116

Figura 58 - Robustezza del business ...................................................................................... 118

Figura 59 - Driver per l’identificazione della criticità dei mercati serviti ............................. 119

Figura 60 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Internazionalizzazione ............ 120

Figura 61 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Portafoglio prodotti ................ 121

Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi .......... 123

Figura 63 - Matrice della Maturità applicativa (Osservatorio ICT & PMI, 2009) ................. 125

Figura 64 - Associazione: Maturità applicativa / livello di complessità gestibile................. 125

Figura 65 - Matrice della Maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)........... 126

Figura 66 - Associazione Maturità infrastrutturale / livello di complessità gestibile ........... 127

Figura 67- Curva di Gartner, pesi delle classi di tecnologie e legenda dell'indicatore k

(Gartner, 2010) ....................................................................................................................... 129

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VIII

Figura 68 - Modalità di valutazione per il fattore: Rilevanza strategica delle ICT(rielaborato

da Boccardelli, 2007) ............................................................................................................. 130

Figura 69 - Alignment IT and business - Forrester research (Castelli, 2010) ........................ 130

Figura 70 - Associazione profili di competenza ICT / livello di governo delle ICT ............. 131

Figura 71 - Andamento di F negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............ 136

Figura 72 - Andamento di B negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............ 137

Figura 73 - Catena del valore di F .......................................................................................... 138

Figura 74 - Catena del valore di B ......................................................................................... 139

Figura 75 - Mappa delle applicazioni Gruppo F – B .............................................................. 140

Figura 76 - Complessità organizzativa, risultati complessivi F e B ....................................... 143

Figura 77 - Matrice di complessità della Macrostruttura, posizionamenti di F e B .............. 144

Figura 78 - Matrice di Microstruttura, posizionamenti di F e B ............................................ 145

Figura 79 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento di F e B ............................... 146

Figura 80 - Matrice Gruppo, posizionamento F e B .............................................................. 147

Figura 81 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamenti di F e B ....................... 148

Figura 82 - Complessità del business, risultati complessivi F e B ......................................... 149

Figura 83 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifattura

e costruzioni (Ateco, 2011) .................................................................................................... 150

Figura 84 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di

pagamento (Ateco 29) (Ateco, 2011) ..................................................................................... 151

Figura 85 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura

e costruzioni (Ateco, 2011) .................................................................................................... 152

Figura 86 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di

pagamento (Ateco 28) ............................................................................................................ 153

Figura 87 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di F e B ............................ 154

Figura 88 - Matrice di Internazionalizzazione, posizionamento di Fave e B ......................... 155

Figura 89 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento F e B .................................... 156

Figura 90 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento di F e B .......................... 157

Figura 91 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di F e B ............................... 158

Figura 92 - La Maturità applicativa del Gruppo F - B .......................................................... 159

Figura 93 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo F – B .................................................... 159

Figura 94 - Matrice Rilevanza strategica delle ICT, posizionamento di F e B (rielaborato da

Boccardelli, 2007) .................................................................................................................. 162

Figura 95 - Competenze ICT del Gruppo F - B ...................................................................... 163

Figura 96 - Allineamento tra la Complessità gestionale ed il Livello ICT gestionale ........... 164

Figura 97 - Andamento di M negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ........... 168

Figura 98 - Andamento di I negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011) ............. 170

Figura 99 - Catena del valore del Gruppo M-I ....................................................................... 171

Figura 100 - Mappa applicativa del Gruppo M-I ................................................................... 172

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IX

Figura 101 - Complessità organizzativa, risultati complessivi M-I ....................................... 175

Figura 102 - Matrice della Macrostruttura, posizionamento di M e I ................................... 176

Figura 103 - Matrice della Microstruttura, posizionamento M e I ........................................ 177

Figura 104 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento M e I ................................. 178

Figura 105 - Matrice del Gruppo, posizionamento M e I ...................................................... 179

Figura 106 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamento M e I ........................ 180

Figura 107 - Complessità del business, risultati complessivi M e I ....................................... 181

Figura 108 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale

manifatturiera e costruzioni (Ateco, 2011) ............................................................................ 182

Figura 109 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà

di pagamento (Ateco 29) (Ateco, 2011) ................................................................................. 183

Figura 110 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale

manifattura e costruzioni ........................................................................................................ 184

Figura 111 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà

di pagamento (Ateco 28) (Ateco, 2011) ................................................................................. 185

Figura 112 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di M e I .......................... 186

Figura 113 - Matrice d’Internazionalizzazione dei processi, posizionamento M e I ............. 187

Figura 114 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento M e I .................................. 188

Figura 115 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento M e I ............................ 189

Figura 116 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di M-I ............................... 190

Figura 117 - Maturità applicativa del Gruppo M-I ................................................................ 191

Figura 118 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo M-I ..................................................... 192

Figura 119 - Rilevanza strategica delle ICT in M-I (rielaborato da Boccardelli, 2007) ....... 194

Figura 120 - Competenze ICT in M-I ..................................................................................... 195

Figura 121 - Allineamento tra la complessità gestionale e la capacità del Gruppo di gestire la

complessità attraverso la governance delle ICT ..................................................................... 197

Figura 122 - Sintesi del modello, posizionamenti dei gruppi analizzati ................................ 202

Figura 123 - Livello di governo delle ICT, posizionamento dei due gruppi analizzati ......... 203

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X

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1 - Valutazione delle performance delle soluzioni di allineamento adottate (Henderson

e Venkatraman, 1999) .............................................................................................................. 35

Tabella 2 - La griglia del portafoglio applicativo di una tipica azienda manifatturiera (Bracchi,

2005) ......................................................................................................................................... 66

Tabella 3 - Dettaglio dei fattori dell’area organizzativa......................................................... 109

Tabella 4 - Dettaglio dei fattori dell’area del business ........................................................... 117

Tabella 5 - Esempio CSF (Bracchi, 2005) ............................................................................. 122

Tabella 6 - Dettaglio dei fattori dell’area di governo delle ICT ............................................. 124

Tabella 7 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo F - B ..................................... 141

Tabella 8 - Livello di Innovazione consapevole di F e B ....................................................... 161

Tabella 9 - Sintesi analitica del modello ................................................................................ 163

Tabella 10 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo M-I ..................................... 173

Tabella 11 - Livello di Innovazione consapevole di M e I ..................................................... 193

Tabella 12 -Sintesi analitica del modello ............................................................................... 196

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ABSTRACT

Il presente lavoro si occupa del ruolo che l’ICT può assumere a supporto delle Piccole e

Medie Imprese (PMI) in termini di leva strategica per gestire la complessità.

Le PMI sono d’importanza fondamentale per l’Italia, essendo il 99,9% delle imprese e

rappresentando il 71,3% del valore aggiunto totale1. Questa forma d’impresa sta soffrendo

negli ultimi anni un ridimensionamento del proprio business, per l’aumento di competitività

del mercato internazionale, maggiori costi per unità di prodotto e carenza di innovazione. A

ciò si contrappongono alcune peculiarità di contesto quali la frammentazione territoriale,

ridotta spesa in R&S e il prevalere di modelli “chiusi” come quello “familiare”, che rendono

tale contesto estremamente complesso e difficile2.

Da queste problematiche si sviluppa un bisogno crescente di utilizzare le ICT come leva

strategica per la gestione di tale complessità, ad esempio con l’adozione di suite che

permettano l’ottimizzazione delle risorse critiche e una maggiore efficacia nei processi

decisionali. Inoltre, è sempre più sentita la necessità di contenere i costi e assorbire più

tempestivamente la volatilità del mercato, intravedendo nell’ICT “as a Service” una possibile

soluzione.

L’obiettivo di questa tesi è quello di comprendere e rilevare, attraverso l’elaborazione di un

modello, l’adeguatezza del livello di governo delle tecnologie ICT rispetto alla complessità

gestionale di un’impresa, con particolare attenzione alle PMI e ai gruppi di PMI.

Per determinare il livello di governo sono stati identificati fattori quali il patrimonio

applicativo e infrastrutturale, il ruolo e le competenze della direzione IT, il livello

d’innovazione e la rilevanza strategica dell’ICT. La complessità è invece identificata

analizzando l’organizzazione, in termini di complessità interna, e il business in cui l’impresa

opera, ovvero la complessità esterna.

L’applicazione del modello a casi reali, oltre a permettere una prima validazione di

applicabilità del modello, fa emergere un livello di governo delle ICT non adeguato ed

evidenzia le potenziali aree di intervento.

1 Wymenga, Spanikova, Derbyshire, 2011

2 Musso, 2010

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INTRODUZIONE

Obiettivo della presente tesi è comprendere se e come l’Information & Communication

Technology (ICT) possa essere un’importante leva strategica per le PMI italiane predisporre

uno strumento di supporto alle decisioni che possa essere utilizzato da chi, all’interno di

queste imprese, è chiamato a decidere in materia tecnologica per promuovere il cosiddetto

“allineamento al business”.

In particolare l’attenzione del lavoro è stata posta sui gruppi di Piccole e Medie Imprese

(PMI) appartenenti al settore manifatturiero. Questa tipologia d’impresa, dopo un periodo

relativamente ampio di crescita caratterizzato dal fiorire dei cosiddetti distretti industriali, sta

soffrendo negli ultimi anni un ridimensionamento del proprio business, dovuto principalmente

all’aumento di competitività del mercato, ai maggiori costi per unità di prodotto ed alla

carenza di innovazione. Le grandi aziende, che si sono affermate negli ultimi dieci anni,

hanno ormai compreso quali siano i vantaggi di un adeguato governo delle ICT e sono in

grado, almeno per quanto riguarda le imprese più innovative, di sfruttare le nuove tecnologie

come leva strategica. Il dibattito aperto da anni nella letteratura strategica internazionale

evidenzia chiaramente il ruolo delle ICT a supporto del posizionamento competitivo di

un’impresa come fonte di vantaggio competitivo3. Tuttavia, le tecnologie ICT a supporto del

business e dei processi industriali possono rappresentare una leva di differenziazione

strategica anche per le PMI, poiché l’offerta da parte del mercato è sempre più aderente alle

necessità delle piccole e medie imprese.

A causa anche della recente crisi economica, molte aziende si sono dovute riorganizzare non

solo dal punto di vista delle attività correnti. Le più reattive hanno approfittato di tale

cambiamento per rivedere e innovare il proprio parco applicativo e infrastrutturale, sempre

più obsoleto e, di conseguenza, inadatto alle nuove esigenze in termini di completezza

funzionale, stabilità e performance. Queste esigenze sono sempre più in aumento anche a

causa della crescente necessità di integrarsi con molteplici partner esterni e gestire una

maggior intensità informativa, sia di processo che di prodotto.

I player del mercato dell’ICT hanno peraltro compreso queste necessità delle PMI e, sulla

base dell’esperienza accumulata negli anni con i grandi clienti, sono in grado oggi di proporre

una adeguata offerta di soluzioni flessibili e scalabili, contenendo i costi di investimento e

incrementando la produttività delle imprese di dimensioni inferiori.

3 Porter, 2001

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L’attuale offerta tecnologica e la maggior sensibilità ai temi dell’ICT da parte delle Direzioni

più evolute sono presupposti che, negli ultimi anni, si stanno affermando in maniera più

concreta nel tessuto delle PMI. Affinché l’ICT possa realmente rappresentare una leva

strategica è necessario che le PMI abbiano una chiara fotografia della propria situazione

organizzativa e di business, per poter individuare in maniera mirata quali siano le strategie e

le tecnologie ICT effettivamente adatte alla loro particolare configurazione.

Compresa la situazione in cui gravano le piccole e medie imprese italiane, l’obiettivo di

questo lavoro è elaborare un modello in grado di rilevare l’adeguatezza del livello di governo

delle ICT e degli strumenti ICT rispetto alla complessità gestionale di una PMI o di un gruppo

di PMI, complessità da interpretare come risultato delle esigenze organizzative e del business,

e quindi in termini di complessità interna ed esterna.

Il primo passo nella stesura del modello è stato quello di identificare i fattori che influenzano

tali dimensioni di complessità. L’analisi della letteratura ha permesso di identificare un

insieme di determinanti che descrivono il fenomeno delle PMI italiane sia dal punto di vista

organizzativo che da quello del business. Successivamente sono stati identificati i fattori di

analisi che permettono di rilevare per una data organizzazione, il livello di governo delle ICT

di cui si è dotata, in termini di configurazione organizzativa, stato dell’arte del portafoglio

applicativo ed infrastrutturale.

Dalla fotografia di sintesi che il modello fornisce, emerge se l’impresa ha attualmente un

livello di governo delle ICT sufficiente a gestire la complessità rilevata e, qualora non sia

adeguato, mette in luce le potenziali aree di intervento sulle quali l’impresa deve intervenire,

per incrementare la propria capacità di gestire la complessità gestionale di cui è caratterizzata.

Infine il lavoro si propone di validare l’applicabilità del modello proposto su due casi reali di

gruppi di PMI. Entrambi sono attivi nel contesto manifatturiero, ma presentano livelli di

complessità organizzativa e del business differenti per le singole imprese costituenti il gruppo,

pur avendo un'unica struttura IT all’interno di ciascuna aggregazione. Una volta conclusa

l’analisi si identificheranno i possibili limiti del modello e le opportunità di evoluzione dello

stesso.

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Struttura dei capitoli

Nel Capitolo 1 viene descritto il contesto competitivo e imprenditoriale in cui si trovano oggi

le PMI italiane del settore manifatturiero. Si analizza, inoltre, il fenomeno aggregativo delle

PMI e le strategie che permettono alle imprese in questione di mantenere la competitività.

Nel Capitolo 2 viene descritto lo stato dell’arte rispetto all’apporto che le ICT oggi possono

dare alle imprese, sia in termini di supporto operativo che in termini di supporto strategico. A

tal proposito nel capitolo si approfondirà il ruolo ricoperto dall’ICT nelle piccole e medie

imprese.

Nel Capitolo 3 viene fornita una fotografia rispetto all’attuale offerta tecnologica in termini di

strumenti, metodologie e applicazioni che l’ICT mette a disposizione delle imprese per il

supporto delle attività e dei processi aziendali.

Nel Capitolo 4 viene illustrata la proposta del modello frutto del presente lavoro di tesi, il cui

scopo è quello di mappare la capacità di una PMI (o di un gruppo di PMI) di gestire

configurazioni più o meno complesse attraverso le tecnologie dell’informazione presenti in

azienda.

Nel Capitolo 5 saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un primo

caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo F-B composto da due aziende: F che produce

impianti per pastifici secondo un modello di produzione su commessa (ETO) e B operante sul

mercato delle soluzioni per il clima in ambito residenziale e industriale, con logiche di

produzione a catalogo (MTS).

Nel Capitolo 6 verranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un

secondo caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo M-I, composto da M, impresa

rivenditrice di motori Diesel per impieghi industriali e stazionari, e da I che si occupa di

produrre impianti per la produzione di energia e parcheggi automatizzati. Anche in questo

secondo caso di applicazione il modello di produzione è nel primo caso a catalogo (MTS)

mentre nel secondo è di produzione su commessa (ETO).

Le Conclusioni finali chiudono la trattazione di questa tesi e hanno l’obiettivo di sintetizzare i

risultati ottenuti, sia in ambito teorico che pratico, sottolineando i limiti e le possibilità

evolutive del modello.

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1. Capitolo 1

1. Piccole e medie imprese in Italia

Questo capitolo ha l’obiettivo di descrivere il contesto competitivo e imprenditoriale in cui si

trovano oggi le PMI italiane del settore manifatturiero. Si andrà ad analizzare, in primo luogo,

il mercato manifatturiero italiano ed i suoi trend, per poi passare ad una descrizione delle

caratteristiche e delle criticità tipiche delle PMI nel nostro paese. Grazie a queste analisi, sarà

quindi possibile delineare le strategie che permettono alle imprese in questione di mantenere

competitività. Nel capitolo, verrà posta particolare attenzione ai gruppi di PMI, un fenomeno

in espansione che va considerato sia come soluzione ad alcune problematiche tipiche della

piccola e media impresa sia come importante elemento di complessità gestionale. Verrà,

inoltre, fornita una classificazione delle PMI italiane in base all’attrattività del business in cui

operano ed alla posizione competitiva in cui si trovano.

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1.1 Definizione di PMI e contesto italiano

Prima di entrare nel dettaglio della situazione italiana è necessario definire cosa si intende per

Piccole e Medie Imprese (PMI). In passato vi era discordanza tra la definizione di PMI nei

diversi paesi europei; in Italia si è sempre considerata come PMI un’impresa con meno di 250

dipendenti, ma, ad esempio, in Germania il limite era fissato a 500, mentre in Belgio lo

spartiacque era fissato a soli 100 dipendenti. Per questo motivo è emersa la necessità di una

definizione a livello comunitario che permettesse di classificare le imprese in modo univoco.

Dal 2005, in tutta Europa, per PMI s’intendono tutte quelle imprese con meno di

duecentocinquanta dipendenti ed un fatturato inferiore a cinquanta milioni di euro4. La

definizione non è tuttavia globalmente condivisa; in USA, ad esempio, non vi è una

definizione univoca ma esistono limiti differenti da settore a settore e, per il settore

manifatturiero, il limite è fissato a 500 dipendenti.

Il numero di addetti per impresa rappresenta una misura di sintesi della grandezza media delle

realtà produttive di un sistema economico. Secondo molti esperti una ridotta dimensione

media d’impresa può costituire un freno alla competitività dell’intero sistema produttivo.

Secondo altri, invece, i vincoli dimensionali costituiscono un ostacolo solo se uniti ad altri

fattori di contesto, quali i freni alla concorrenza oppure la debolezza delle reti infrastrutturali.

Peraltro, il persistere sui mercati di un numero elevato di micro imprese (con meno di 10

addetti), pur abbassando la dimensione media dell’intero sistema produttivo, assegna a questo

segmento d’impresa un ruolo non trascurabile. È quello che accade in alcune economie

europee, compresa l’Italia, la cui dimensione media d’impresa, pari a circa 4 addetti, è

superiore solo a quella di Portogallo e Grecia (Figura 1).

4 Raccomandazione della Commissione, 2003/361/CE

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Figura 1 - Numero medio di addetti delle imprese (ISTAT, 2010)

Questo dato appena presentato è una perfetta sintesi della realtà: al 30 giugno 2010, infatti,

erano attive in Italia 5.280.743 piccole e medie imprese5. La parte del leone la fa la

Lombardia (826.672 PMI registrate, pari al 15,7% del totale nazionale), seguita da Campania

(473.899), Lazio (459.710), Veneto (458.090), Emilia Romagna (429.206), Piemonte

(421.166) e Toscana (366.117). Secondo Piero Antonio Cinti, direttore generale Piccole e

medie imprese ed Enti Cooperativi del ministero dello Sviluppo economico, “Il dato di una

crescita di oltre mezzo punto percentuale, dopo un trimestre negativo, conferma che è in atto

l'uscita, lenta ma costante, dalla crisi dell'economia italiana”.

Le PMI ricoprono nel mercato italiano un ruolo fondamentale; basti pensare che le grandi

imprese, nel nostro paese, sono circa un millesimo delle imprese totali e coprono il 18%

dell’occupazione. In Figura 2 è rappresentata la posizione dell’Italia nel contesto europeo per

quanto riguarda gli addetti per settore di attività e dimensione delle imprese. I dati relativi al

2007 mostrano come, sia per i servizi sia, e soprattutto, per l’industria, la percentuale di

piccola e media impresa risulti dominante.

5Il Sole 24 Ore, 2010

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Figura 2 - Addetti per settore di attività e dimensione delle imprese Ue (ISTAT, 2010)

1.1.1 Caratteristiche delle PMI e peculiarità organizzative

Le PMI iniziano ad assumere una grande rilevanza nel mercato italiano negli anni settanta e

ottanta. La grande industria vive in quel periodo un forte ridimensionamento dopo

l’esplosione degli anni cinquanta e, di conseguenza, le PMI trovano spazio per affermarsi e

consolidarsi. Le leve sulle quali si basa questa progressiva scalata nell’economia italiana sono

principalmente la diffusione dei distretti industriali, il “Made in Italy” e l’aumentare del peso

economico dei centri urbani medi rispetto alle grandi città.

Nel più recente passato, complice la crisi che sta colpendo l’economia internazionale, si è

assistito ad un grave ridimensionamento della posizione competitiva delle PMI. Vengono qui

sintetizzate per punti le cause che determinano questa situazione:

1. Frammentazione sul territorio (Nanismo d’impresa6): la frammentazione delle imprese

porta con sé difficoltà nel sostenere processi d’innovazione e d’internazionalizzazione.

Tali processi, nel mercato odierno, sono necessari per la sopravvivenza dell’impresa,

ma richiedono investimenti importanti che imprese di piccole dimensioni faticano a

sostenere. Per comprendere quantitativamente il problema, si pensi che l’Italia è il

6 Mocchi, 2008

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quarto paese d’Europa per numero di imprese rispetto al numero di abitanti. Nel 2007

l’ISTAT 7 calcolava 66 imprese per mille abitanti (tre volte più della Germania) con

un numero medio di addetti pari a 4. Imprese di così piccole dimensioni, oltre ad avere

problemi di internazionalizzazione e innovazione, frammentano la filiera e

introducono numerose inefficienze nel coordinamento e nella gestione della stessa.

2. Bassa produttività: si è già parlato del problema di scarsa produttività delle imprese

italiane rispetto alle imprese estere. Le PMI italiane, oltre a dover scontare questa

caratteristica del sistema paese, presentano delle criticità che riducono ulteriormente la

produttività rispetto alle grandi imprese. Quest’ultime possono infatti contare sulle

economie di scala e sulla possibilità di effettuare investimenti maggiori,

incrementando così innovazione ed efficienza dei processi. Una possibile soluzione

potrebbe essere costituita dalla fortificazione dei distretti industriali finalizzati

all’aumento di efficienza, ma in questo momento il gap è ampio, soprattutto

considerando che le grandi imprese possono ora contare su principi organizzativi e

tecnologie evoluti, capaci di aumentare il grado di flessibilità, principale differenziale

delle imprese di piccole dimensioni. I fronti su cui le PMI possono competere si

stanno, dunque, ulteriormente assottigliando.

3. Investimenti e spesa R&S ridotti: in Italia gli investimenti in ricerca e sviluppo sono

tra i più bassi d’Europa. Rilevazioni statistiche relative al 2008 riportano investimenti

in R&S pari all’1,23% del PIL8 e previsioni di riduzione per il 2009 ed il 2010. Tale

dato è in netto contrasto con la tendenza europea. Nel 2002 il Consiglio Europeo ha,

infatti, indirizzato i paesi della OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo

Sviluppo Economico) ad arrivare ad investire in R&S il 3% del PIL, mentre le medie

europee si aggirano intorno al 2%. Analizzando ulteriormente i dati si evince che, a

parità di dimensioni, le imprese italiane spendono in R&S come quelle europee; il

problema è dunque da ricercarsi nel fatto che le imprese italiane sono mediamente più

piccole e la spesa totale risulta dunque inferiore.

4. Nuovi concorrenti: localizzati in particolare in paesi in via di sviluppo dove il costo

della manodopera è notevolmente inferiore. La presenza di questi nuovi competitor

accresce la concorrenza nei mercati di riferimento, rendendo ancora più complessa la

ricerca di nuovi mercati.

5. Bassa percentuale di personale qualificato: le PMI italiane, specialmente nel settore

manifatturiero, operano su mercati a bassa redditività; come visto, la produttività di

un’impresa di piccole dimensioni è ridotta e ciò comporta che anche stipendi ed

7 ISTAT, Noi Italia, 2011

8 ISTAT, La ricerca e sviluppo in Italia, 2010

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investimenti sulle risorse umane non possano essere elevati. Logica conseguenza è la

scarsa attrattività che queste imprese esercitano sul mercato del lavoro e la bassa

percentuale di personale qualificato che si riscontra nelle PMI.

6. Difficoltà di accesso al credito: l’accesso al credito per le PMI è uno dei problemi

fondamentali di questi periodo; rilevazioni statistiche9 evidenziano come, nel 2010,

un’impresa su due non abbia ottenuto i finanziamenti richiesti. Senza finanziamenti è

ovviamente impensabile avviare un processo d’innovazione che comporta alti

investimenti iniziali e benefici di medio lungo termine; il governo si è mosso e si sta

muovendo per risolvere questo problema (sono stati ad esempio aperti fondi di

garanzia statali) però si è ancora lontani da una soluzione. La criticità di questo

problema è ovviamente accresciuta dalla crisi economica e finanziaria di questo

periodo.

7. Crisi del modello delle imprese famigliari: lo scenario attuale richiede organizzazioni

e assetti societari più moderni e aperti. Il processo decisionale di un’impresa familiare,

che secondo il Cerif (Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia) rappresentano il

92% delle imprese italiane, si basa principalmente sull’intuito dell’imprenditore, che

seppur illuminante, risulta spesso privo di una programmazione strutturata e ben

definita a priori. La mancanza di formalizzazione e l’accentramento del potere

decisionale sono sempre stati considerati importanti elementi di flessibilità, che hanno

contribuito allo sviluppo di questa forma d’impresa. Allo stesso tempo, però,

un’eccessiva libertà d’azione, basata su un approccio di tipo “Shot-gun”10

, può

introdurre elementi di rigidità e criticità nel processo d’innovazione e sviluppo,

sfavorendo in particolar modo i cambiamenti nel business e nella successione

imprenditoriale11

. In questi anni, inoltre, è in corso un massiccio ricambio

generazionale, ovvero un passaggio di consegne tra gli imprenditori che hanno creato

e sviluppato le PMI negli anni ’70 e ’80 e chi si trova a dover garantire il

proseguimento dell’attività negli anni a venire. Nelle aziende famigliari, tipicamente,

il cambio di gestione avviene tra l’imprenditore ed i propri figli e ciò non sempre

garantisce all’azienda una guida adeguata. Questo modello d’impresa è, infatti,

caratterizzato da una leadership carismatica e competente; una successione ereditaria

offre una scelta limitata, per non dire obbligata, rendendo così difficoltosa la ricerca di

una distribuzione efficiente del potere. Solo il 25% delle imprese, infatti, sopravvive

alla seconda generazione d’imprenditori (il 15% alla terza)12

. Un’altra criticità nel

9 Ricci, 2011

10 Verganti, 2009

11Berardi, 2010

12 Bianchi, 2010

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processo di successione è rappresentata dalla frammentazione della proprietà; se

l’imprenditore sceglie di spartire l’impresa tra i vari eredi si corre il rischio di ottenere

una proprietà frammentata che provoca la perdita di flessibilità e reattività,

caratteristiche fondamentali per le PMI di stampo imprenditoriale.

8. Utilizzo dell’ICT: l’ICT nelle PMI assume spesso un ruolo di modesta importanza.

Introdurre un’innovazione tecnologica rappresenta un investimento importante e, a

causa delle criticità del periodo corrente, poche imprese scelgono di intraprendere

questa strada. Il problema principale è di tipo culturale, ma va anche sottolineato il

fatto che spesso le ridotte dimensioni di un’impresa non permettono di sfruttare le

potenzialità delle tecnologie ICT in termini di efficienza. Un software gestionale, ad

esempio, rende più precisi ed efficienti i flussi informativi tanto più incisivamente

quanto più l’organismo a cui si applica è grande, complesso e sofisticato. Un ulteriore

ostacolo è rappresentato dalla profonda specializzazione e personalizzazione dei

processi delle imprese manifatturiere italiane; la mancanza di standardizzazione rende

complesso l’inserimento di software per gestire i processi. Come più volte ripetuto, la

flessibilità è uno dei più importanti fattori critici di successo di una PMI ed è

fondamentale che un utilizzo maggiore di tecnologie ICT non introduca rigidità nei

processi. Nel capitolo 3 verranno illustrate le principali tecnologie ICT per le PMI, al

fine di comprendere come il mercato dell’ICT risponde alle problematiche esposte.

9. La gestione della conoscenza: il problema è rappresentato dal fatto che, in molte

imprese, le conoscenze e le competenze non sono asset propri dell’impresa, ma

risiedono negli individui e costoro non hanno interesse nel trasferire e condividere

queste conoscenze perché esse li rendono indispensabili per l’impresa. Per il buon

funzionamento dei processi aziendali è tuttavia necessario che le competenze e le

conoscenze siano dominate dall’impresa e risiedano nei processi. Per questo motivo è

fondamentale che le imprese stimolino gli individui con grande esperienza e grande

know-how a condividerli, ampliando la visione di questi ultimi e incentivandoli sui

giusti driver.

Le peculiarità sopra elencate aiutano a comprendere quanto sia complesso il contesto in cui si

trovano attualmente le PMI italiane e quali siano le criticità che un’impresa deve essere in

grado di gestire per poter sopravvivere.

1.1.2 Gruppi di PMI

Per gruppo di impresa si intende una associazione di unità legali controllate da una unità

vertice; il Regolamento comunitario n. 696/1993 definisce il gruppo di impresa come

“un’associazione di imprese retta da legami di tipo finanziario e non”, avente “diversi centri

decisionali, in particolare per quel che concerne la politica della produzione, della vendita,

degli utili” e in grado di “unificare alcuni aspetti della gestione finanziaria e della fiscalità”. Il

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gruppo si caratterizza come “l’entità economica che può effettuare scelte con particolare

riguardo alle unità alleate che lo compongono”13

.

Il Legislatore italiano non fornisce una definizione organica di Gruppo Aziendale, bensì

sviluppa l'argomento trattando il tema del controllo, definendo quindi cosa si intende per

società controllante, ovvero:

Le società che detengono in un'altra società la maggioranza dei voti dell'assemblea

ordinaria;

Le società che dispongono di voti sufficienti per esercitare l'influenza dominante

sempre in assemblea ordinaria;

Le società che controllano un'altra società per vincoli contrattuali.

Spesso si fa confusione tra il termine gruppo e holding. Un gruppo è un insieme di società con

a capo una holding finanziaria, che è una società essa stessa, con oggetto sociale l'assunzione

di partecipazioni. Esistono diverse classificazioni dei gruppi societari, le quali a loro volta

contengono diverse tipologie di gruppi, individuati da vari autori economisti e giuristi. Quelle

più comuni sono le seguenti:

Gruppo Finanziario: tipologia di gruppo nel quale i rapporti sviluppati tra le

consociate e la Holding sono di carattere meramente finanziario;

Gruppo Economico: gruppo nel quale i rapporti tra le diverse unità sono di tipo

economico-tecnico;

Gruppo Pubblico: gruppo caratterizzato dall'esercizio dell'attività di controllo,

gestione e pianificazione da parte di un soggetto pubblico (Stato o Ente Pubblico);

Gruppo Privato: gruppo caratterizzato dall'esercizio dell'attività di controllo, gestione

e pianificazione da parte di un soggetto di diritto privato;

Gruppo ad azionariato diffuso: gruppo nel quale il capitale della Holding è

caratterizzato da un numero elevato di azionisti, i quali detengono una percentuale

irrisoria. In questo modo essi non possono esercitare il controllo (tipico il caso delle

Public company).

Avendo compreso il significato di ciò che è classificabile come “Gruppo di imprese”, è

possibile analizzarne le caratteristiche tipiche di tale configurazione. L’attenzione verrà posta

sul contesto in esame, ovvero quello dei Gruppi di Piccole e Medie Imprese, evidenziando

13 ISTAT, I gruppi di impresa in Italia, Agosto 2011

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benefici e fattori di complessità che questa struttura attribuisce all’organizzazione e alla

gestione di un’impresa.

Il fenomeno, infatti, è sempre più rilevante e lo dimostra l’incremento del 5% nella

formazione di nuovi gruppi d’imprese, rilevato dall’ISTAT tra il 2008 e il 2009. Nel 2009 i

gruppi di impresa in Italia sono oltre 80 mila, comprendono più di 183 mila imprese attive

residenti e occupano oltre 5,7 milioni di persone. Tuttavia gli addetti in essi coinvolti, sempre

nel 2009, sono lo 0,5% in meno rispetto al 2008, concentrato nelle classi di maggiori

dimensioni e riflette il calo di addetti del 2% rilevato per il totale delle imprese attive. I gruppi

coinvolgono circa un terzo degli occupati delle imprese attive di Asia (l’archivio statistico

delle imprese). Il peso dei gruppi (sempre in termini di occupati) sale al 55,8% se calcolato

rispetto alle sole società di capitali.

I gruppi di impresa presentano caratteristiche marcatamente polarizzate tra poche strutture di

grandi dimensioni con rilevante peso economico e molti gruppi di piccola e piccolissima

dimensione (Figura 3). Il 76% dei gruppi è composto da strutture molto semplici (1-2 imprese

attive); quelli con strutture più articolate (più di 10 imprese residenti), sono la minoranza, ma

rivestono un ruolo decisivo dal punto di vista occupazionale: ad esse afferiscono quasi due

milioni di addetti.

Figura 3 - Gruppi (a) e addetti (b) per classe di addetti (ISTAT, 2011)

I motivi per cui può nascere un gruppo sono di varia natura. Un’impresa può acquisire un

proprio fornitore o un proprio cliente integrando verticalmente lungo la filiera; in questo

modo l’impresa beneficerà di una riduzione dei costi di transazione ed il business potrà

risultare più efficiente e profittevole. Un’impresa può altresì decidere di utilizzare delle

competenze interne per diversificare il proprio business, facendo nascere imprese collegate

per prodotti e/o servizi differenti ma che, grazie agli asset (competenze, attrezzature, spazi,

accordi commerciali, etc.) presenti nell’impresa madre, godono di vantaggi competitivi

importanti che permettono di rendere il nuovo business profittevole. Come visto in

precedenza, l’internazionalizzazione è un tema ricorrente negli ultimi anni e un modo per

realizzare questo processo è quello di creare imprese collegate in altri paesi, andando così a

creare un gruppo di imprese di carattere internazionale. Un’altra possibilità è invece

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rappresentata dalla creazioni di gruppi eterogenei; l’imprenditore può decidere di acquisire

altre aziende o iniziare nuove attività anche non inerenti all’attività originaria con il semplice

obiettivo di incrementare le fonti di profitto.

Indipendentemente dalle modalità di aggregazione, la complessità di un gruppo è superiore a

quella di una singola impresa ed il governo dei processi, così come quello dei sistemi ICT,

risulta più articolato. Allo stesso tempo però, una buona gestione dei processi ed un sistema

informativo ben costruito e mantenuto risulta un elemento fondamentale, in grado di

semplificare notevolmente la gestione, in particolare quella riguardante gli asset comuni. Un

buon governo dei processi, ovvero una visione d’insieme sui processi del gruppo permette,

infatti, di identificare le attività che possono essere svolte a livello centrale e le attività che

invece devono essere svolte da funzioni specializzate delle diverse imprese, evitando così, ove

possibile, lo sdoppiamento delle attività, a vantaggio dell’efficienza.

Anche sotto il profilo finanziario esistono notevoli vantaggi per i gruppi d’imprese; dal 2004,

infatti, è possibile redigere un bilancio consolidato fiscale permettendo così ai gruppi di avere

una tassazione sugli utili totali, compensando eventuali attività in perdita con attività in utile,

prima della tassazione. Un altro vantaggio caratteristico dei gruppi è la migliore posizione nei

confronti degli istituti di credito dovuta alla gestione comune dei flussi di cassa. Se l’aspetto

finanziario del gruppo è gestito a livello centrale, infatti, si potranno compiere compensazioni

in tempo reale con i flussi di cassa in ingresso e in uscita delle varie imprese, gestendo il

gruppo come un’entità unica e riducendo notevolmente il costo legato alla gestione

finanziaria.

Ai vantaggi finora elencati va aggiunta sicuramente la possibilità di sostenere investimenti

comuni. Si pensi ad un progetto di innovazione ICT: se la spesa viene ripartita su più imprese,

sarà possibile implementare progetti di maggior portata che altrimenti sarebbero fuori budget.

1.2 Il mercato manifatturiero italiano

Negli ultimi anni la competizione nel mercato manifatturiero italiano è notevolmente

aumentata; il motivo principale di questo aumento è da attribuirsi all’ingresso sul mercato di

competitori internazionali, in particolare provenienti dai paesi emergenti dell’Asia orientale

quali Cina, Vietnam, Tailandia, etc.

Il fattore che più di tutti ha favorito l’inserimento di queste imprese sul mercato è il basso

costo del lavoro e delle materie prime nei suddetti paesi. Una piccola o media impresa italiana

che vuole sopravvivere in un mercato di questo tipo deve quindi essere in grado di

Page 25: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

15

riorganizzarsi e cambiare strategia dato che il divario tra i costi di produzione in paesi in via

di sviluppo e i costi di produzione in Italia è, attualmente, incolmabile. Anche rispetto ai

competitor europei, il settore manifatturiero italiano è in grave difficoltà; i dati diffusi

dall’Area Research & Intelligence di Monte dei Paschi di Siena14

evidenzia come, in Italia, tra

il 2000 e il 2008, il costo del lavoro sia aumentato del 20% lasciando la produttività

sostanzialmente invariata (+0,5%). Osservando, invece, i dati della Germania, si nota come a

fronte di un aumento dei salari di circa il 18%, la produttività sia aumentata del 10%

permettendo al paese di restare competitivo e addirittura di migliorare la propria quota di

esportazioni del 23%. Se si restringe il campo al mercato manifatturiero i dati sono ancora più

penalizzanti per l’Italia, che supera di gran lunga la media europea per quanto riguarda

l’aumento del costo del lavoro per unità di prodotto, arrivando ad un aumento del 40%. Dati

più confortanti arrivano dal centro studi di Confindustria il quale riporta un significativo

aumento della produttività nel 2010 (+6,8%) che solo in parte compensa il calo del biennio

2008/2009 (-8,2%).

Al fine di contenere i costi di produzione, una soluzione adottata è stata quella di

delocalizzare fasi del processo produttivo. La maggior parte delle imprese che ha intrapreso il

processo di delocalizzazione ha scelto il paese ospite per il minor costo della manodopera che

questo era in grado di offrire; un parte più limitata, invece, ha cercato di avvicinarsi alle

risorse produttive così da eliminare i costi di trasporto. Un importante ruolo è poi giocato dal

fenomeno aggregativo delle PMI. Per le PMI aggregarsi in gruppi, in distretti industriali o in

reti d’imprese significa, infatti, poter ridurre i costi e aumentare la produttività.

Ridurre i costi però, non è l’unica soluzione che le imprese manifatturiere italiane hanno per

sopravvivere; un’altra soluzione è, infatti, quella di cambiare i differenziali competitivi

spostando la leva dai differenziali di costo ai differenziali di attrattività. Molte aziende hanno

dunque puntato sulla produzione “Made in Italy” cercando di sfruttare la reputazione della

qualità dei prodotti italiani. I settori nei quali il “Made in Italy” gode di maggiore stima e

riconoscimento all’estero sono: tessile e abbigliamento, calzature, mobili e arredo, vetro e

ceramica, gioielleria. Questi prodotti si vanno a collocare in una fascia alta. Si tratta, infatti, di

prodotti caratterizzati da elevata qualità ed elevato valore unitario. I dati forniti dall’Eurostat

ed elaborati da Banca Intesa San Paolo15

(Figura 4) per quanto riguarda il periodo tra il 2000

ed il 2005 mostrano come la quota delle esportazioni italiane, rispetto a quelle europee, sia in

continua contrazione ma il valore medio unitario (VMU) dei prodotti esportati subisca il trend

opposto, lasciando approssimativamente invariato il valore totale delle esportazioni.

14 Area Research, Intelligence & Investor Relations Monte dei Paschi di Siena, 2010

15 Quintieri, 2007

Page 26: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

16

Figura 4 - Valore delle esportazioni italiane dal 2000 al 2005 (Quinteri, 2007)

In un confronto statistico riportato dell’ISTAT16

relativo alle esportazioni dell’Italia tra il

2010 e il 2011, si trova la prova che il trend continua ad essere lo stesso. Nelle statistiche si

riporta, infatti, che nel 2011 le esportazioni sono aumentate in valore sebbene la quantità dei

beni esportati sia inferiore. Se si confrontano i dati delle esportazioni del 2000 e del 2009 si

scopre che l’Italia ha subito l’impatto della crisi e non è riuscita a mantenere la propria

posizione nelle esportazioni e, sul suolo europeo, ha perso quote anche in valore assoluto. In

campo Extra-Ue la quota è invece rimasta praticamente invariata, segno che il “Made in Italy”

ha più appeal al di fuori del nostro continente.

Il “Made in Italy” è però una soluzione esclusivamente italiana e non applicabile a tutti gli

ambiti del settore manifatturiero. Per le imprese dei paesi industrializzati la via principale è

rappresentata da una nuova concezione del settore manifatturiero, un settore manifatturiero

competitivo e sostenibile in senso sociale, economico e ambientale. Le persone sono sempre

più sensibili a questi temi e spesso sono disposte a pagare un prezzo maggiore per beni che

rispettino determinati requisiti di sostenibilità. Le imprese che aderiscono a questa strategia

tendono ad ampliare la parte dei servizi associati al prodotto in modo da differenziarsi e

fidelizzare i propri clienti attraverso l’immagine aziendale.

Vi sono poi altri fattori tipici del sistema economico italiano che complicano ulteriormente lo

scenario in cui le imprese manifatturiere si trovano a dover competere: l’Italia è, infatti, tra le

prime in Europa per quanto riguarda la pressione fiscale. I dati forniti dall’ISTAT, relativi al

2009, dicono che il livello di tassazione medio europeo era del 37,6% sul PIL mentre in Italia

raggiungeva il 43,2%. Ad aggravare la situazione sono le previsioni per il futuro; se la

tendenza europea è quella di ridurre la pressione fiscale, in Italia la previsione è quella di

aumentarla, fino a raggiungere la cifra record del 43,9% nel 201317

. Ulteriori fattori di criticità

sono rappresentati dal mercato del lavoro italiano, molto rigido e regolato da forti accordi

sindacali. Va poi considerata la frammentazione delle imprese, ovvero la presenza di

16 ISTAT, Noi Italia, 2011

17 Pesole, 2011

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17

numerose aziende di piccole dimensioni; tale fenomeno è interpretato dagli esperti in diversi

modi: secondo alcuni economisti rappresenta un freno alla crescita del paese mentre, secondo

altri, è da sottolineare come la frammentazione e le piccole dimensioni garantiscano un grado

di flessibilità superiore, elemento differenziale in questo contesto.

Lo scenario, già di per se complesso, è poi soggetto alla crisi internazionale che dal 2008

affligge il mondo economico e finanziario. La crisi ha colpito duramente le PMI italiane; dati

pubblicati da una ricerca di Iperion Corporate Finance, condotta su circa 430mila imprese,

emerge che il 59% delle PMI ha chiuso con il segno negativo il bilancio dell’esercizio 2008,

dunque solo il 41% ha presentato un bilancio in utile contro il 54% del 2007.

Queste caratteristiche delineano uno scenario molto complesso, in cui competenze di gestione

economica e di business risultano fondamentali per le PMI italiane, al fine di rimanere

competitive in campo sia nazionale che internazionale.

1.3 Il posizionamento competitivo delle PMI italiane

Sì è finora analizzato il fenomeno delle PMI in senso generale, tuttavia, dato il numero e la

varietà d’imprese che popolano il mercato italiano, è opportuno comprendere quali tipologie

di PMI si possono trovare e, in particolare, come queste si muovono per mantenere

competitività. La classificazione a seguire è stata proposta nel 2006 dai docenti del

Politecnico di Milano nel libro: “Innovare e competere con le ICT”18

. La matrice

rappresentata in Figura 5 permette di comprendere il livello competitivo di un’impresa sulla

base dell’attrattività dell’area di business in cui opera e della posizione competitiva rispetto ai

propri competitor. Due buone proxy per misurare queste variabili possono essere,

rispettivamente, il tasso di crescita del mercato e la quota di mercato posseduta dall’impresa.

La matrice consente di individuare cinque cluster con i quali classificare le PMI:

18 Balocco, Mainetti, e Rangone 2006

Page 28: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

18

Figura 5 - Classificazione delle PMI (Balocco, 2009)

Leader di nicchia: il mercato è caratterizzato da una buona attrattività ed il limitato

numero di competitor permette anche ad una PMI di mantenere una posizione di

leadership;

Davide contro Golia: il mercato è caratterizzato da una buona attrattività ma la

presenza di grandi imprese limita notevolmente la posizione competitiva della PMI;

Vecchie glorie: il mercato è caratterizzato da un calo di attrattività ma l’impresa

eredita una buona posizione competitiva dal passato;

In balie delle onde: il mercato è caratterizzato da una scarsa attrattività e l’impresa

non gode di una buona posizione competitiva;

Subfornitori: è un particolare cluster che include imprese che non realizzano prodotti

finiti e/o non si rivolgono direttamente al mercato ma hanno pochi grandi clienti. Le

caratteristiche e le performance di queste PMI dipendono dalla tipologia di azienda

alla quale si rivolgono.

Questa classificazione permette anche di evidenziare i principali rischi che corrono le PMI.

L’impresa, infatti, raggiunto un buon livello competitivo, deve continuare ad agire per

mantenerlo.

La contrazione improvvisa di un mercato, cosa molto frequente nel contesto attuale, può

velocemente trasformare un’impresa da Davide contro Golia in un’impresa In balia delle

onde se essa non ha provveduto a consolidare la propria posizione. Ancora più probabile è che

un’impresa classificata come Vecchia gloria, forte del proprio passato, non si preoccupi di

innovare e perda la propria posizione competitiva, finendo così per rientrare nel cluster In

balia delle onde.

La classificazione risulta utile in questa tesi in quanto esiste una correlazione positiva tra il

posizionamento strategico delle imprese e la loro maturità ICT, trattata nel Paragrafo 2.4. I

dati forniti dall’Osservatorio del Politecnico mettono in evidenza come le imprese che

competono in business con alta attrattività abbiano una buona maturità ICT mentre le imprese

Page 29: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

19

operanti in business meno attrattivi presentino una maturità notevolmente inferiore. Questo

fenomeno può essere così interpretato: le imprese che si sono trovate ad operare in business

attrattivi e in crescita hanno saputo sfruttare l’innovazione per aumentare la propria

competitività, utilizzando l’ICT come vera e propria leva strategica. Le imprese che, al

contrario, si sono trovate a operare in business con attrattività in calo hanno prestato molta

meno attenzione all’innovazione, dando maggiore priorità ad interventi volti al breve periodo

per fronteggiare la difficile situazione.

1.4 Strategie per mantenere la competitività

Per quanto riguarda il mantenimento della posizione competitiva attraverso l’organizzazione

interna di un’impresa, si fa riferimento ad un modello di Bartezzaghi, Spina e Verganti19

. Tale

modello afferma che siano tre le capacità interne che un’impresa deve sviluppare per avere la

capacità esterna di soddisfare il cliente con livelli di performance adeguati. La prima capacità

riguarda la gestione dei processi aziendali e per far si che questo accada è fondamentale che

l’impresa abbia una visione complessiva dei principali processi aziendali e delle

interdipendenze tra le attività che li compongono. Governare i propri processi è il primo passo

per ridurre inefficienze e attività non a valore aggiunto e comprendere i propri fattori critici di

successo. La seconda caratteristica che deve essere riscontrata in un’impresa è la capacità di

lavorare per progetti; questa capacità abilita i processi d’innovazione e l’ottenimento di un

certo grado di flessibilità e livello di servizio verso il cliente. È immediato comprendere come

il processo d’innovazione vada gestito in maniera straordinaria ma lavorare per progetti è

innanzitutto necessario per venire incontro alle specifiche richieste del cliente per lo sviluppo

di nuovi prodotti o la personalizzazione di quelli esistenti. Ultima capacità interna che il

modello presenta è la capacità di sviluppare, a tutti i livelli in azienda, le competenze delle

risorse umane. Sono stati descritti in precedenza i problemi riguardanti le risorse umane

(punti 5 e 9 nel Paragrafo 1.1.1); i professori del Politecnico affermano che ciò è

fondamentale per raggiungere performance adeguate, ma lo sviluppo e il mantenimento delle

competenze vanno accompagnati dalla capacità di stimolare nei membri dell’organizzazione

comportamenti organizzativi coerenti, tali cioè da canalizzare le competenze verso gli

obiettivi dell’azienda.

Una volta approfondite le caratteristiche organizzative interne, abilitanti al mantenimento

della competitività, rimane da comprendere quali siano le strategie esterne che le PMI

possono adottare per mantenere un ruolo attivo nelle attuali dinamiche economiche. I

paragrafi successi saranno dedicati all’approfondimento delle tematiche della differenziazione

19 Bartezzaghi, Spina, Vergianti 1999

Page 30: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

20

- con particolare attenzione al “Made in Italy” ed all’innovazione - dell’aggregazione e

dell’internazionalizzazione delle PMI nel settore manifatturiero, identificate come le possibili

vie per mantenere la competitività.

1.4.1 La differenziazione

Una possibilità per le PMI di mantenere la competitività nel contesto attuale è rappresentata

dalle strategie di differenziazione. Queste strategie si fondano su elementi distintivi che

possono riguardare sia le caratteristiche dei prodotti (qualità, innovazione, materiali o marca)

sia caratteristiche del servizio ad essi abbinato. Per avere successo, la differenziazione deve

avere un approccio di nicchia ma dinamico; l’impresa, dunque, una volta identificato il micro-

settore nel quale specializzarsi, deve cercare i suoi possibili sbocchi in modo creativo e

innovativo.

Fino agli anni settanta questa strategia prendeva il significato di una restrizione del campo

d’azione dell’impresa ad una porzione di mercato meglio presidiabile. Recentemente invece

tale approccio è cambiato; ora l’azienda non si deve limitare a selezionare il segmento di

mercato ma deve contribuire alla sua creazione, ritagliandosi il proprio spazio nel contesto

competitivo. L’unicità dell’offerta riduce la complessità dei mercati e consente di acquisire

posizioni di leadership anche a imprese di piccole dimensioni (Leader di nicchia).

Perché questa strategia abbia successo è necessario un approccio dinamico, l’impresa deve

quindi costruire il proprio vantaggio competitivo sul continuo spostamento del fronte

dell’offerta attraverso processi di innovazione, mirati a mantenere la propria unicità di

prodotto/servizio, o attraverso leve di marketing.

Per le imprese manifatturiere italiane puntare su strategie di differenziazione è fondamentale;

il marchio “Made in Italy”, infatti, gode di notevole considerazione in particolar modo al di

fuori del mercato nazionale. Sotto questo punto di vista arrivano segnali confortanti

dall’ultimo report di Prometeia e Intesa San Paolo che riscontrano una crescita del 17% nei

primi quattro mesi del 2011; anche il 2010 è stato un anno positivo ma ciò non è bastato a

recuperare il ridimensionamento subito dalle esportazioni italiane nel biennio 2008-200920

.

Per proteggere e garantire la qualità dei prodotti italiani, nel 2009 è stato emesso un decreto

legge21

che consente di fregiare con il “Made in Italy” quei prodotti o quelle merci per i quali

il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti

esclusivamente sul territorio italiano.

20 Demartis 2011

21 Decreto legge 135 del 25 settembre 2009

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21

Ma la differenziazione non è solo “Made in Italy”. L’Europa ha trovato un'altra via per

rispondere alla perdita di competitività del sistema manifatturiero: l’innovazione. Innovare i

processi e le tecnologie produttive al fine di ottenere prodotti avanzati e sostenibili dal punto

di vista sociale, economico e ambientale; questo è ciò che sostiene e diffonde la Commissione

Europea attraverso il programma Factory of the Future. Si tratta di implementare un nuovo

paradigma (Il Manifatturiero Competitivo e Sostenibile22

) che tende a fornire soluzioni con

elevate prestazioni in risposta a tipologie complesse di esigenze dei cittadini e della società

nelle sue varie articolazioni, sottraendo così l’industria manifatturiera alla concorrenza dei

nuovi competitor.

Anche in questo caso si tratta di un cambio dei differenziali competitivi; la tendenza è infatti

quella di diversificare sempre meno il prodotto e creare differenziale attraverso i servizi ad

esso associati. Ridurre l’inquinamento causato dalla produzione, garantire trasparenza nei

bilanci, contribuire attivamente al benessere della società sono alcuni dei fattori differenziali

che un’impresa può sfruttare per accrescere la propria quota di mercato.

Per poter intraprendere questa strada sono necessarie competenze elevate e deve esserci la

forza economica e finanziaria sufficiente a sostenere gli investimenti per le nuove tecnologie a

supporto della crescita e del controllo dei processi. A queste condizioni si deve

necessariamente aggiungere la cultura dell’innovazione; il vertice strategico deve essere

consapevole e sensibile verso i nuovi trend di mercato (come la sostenibilità) e le nuove

tecnologie. Verificate queste condizioni è possibile implementare un processo d’innovazione

sia tecnologica che organizzativa che porti l’impresa a essere competitiva ed efficiente.

1.4.2 I distretti industriali e le reti d’imprese

In letteratura23

, quando si parla di distretti industriali si fa riferimento alla diffusa presenza di

competenze, esperienze e capacità la cui condivisione concorre a rafforzare la

specializzazione e l’innovazione nei processi produttivi, generando vantaggio competitivo in

termini di differenziazione/unicità nell’offerta di prodotto, di qualità delle lavorazioni o di

prezzo.

I distretti industriali sono stati fondamentali per la diffusione delle PMI in Italia negli anni

settanta e tuttora sono molto diffusi. I distretti industriali permettono alle piccole e medie

imprese di restare autonome, ma di presentarsi alle banche, ai mercati ed agli stessi fornitori

con una massa critica più grande. Ciò comporta una riduzione dei costi di acquisto ed una

22 Roveda, 2010

23 Musso, 2010

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22

parziale soluzione a uno dei problemi fondamentali delle PMI ovvero l’accesso al credito.

Organizzandosi in distretti, inoltre, è possibile aumentare l’efficienza delle singole imprese.

Ogni impresa si può, infatti, specializzare in una determinata parte del processo produttivo; in

questo modo le PMI, aggregandosi, possono risolvere un altro problema che le affligge

ovvero quello della scarsa produttività, dovuto sia alla mancanza di specializzazione sia

all’impossibilità di ricorrere ad economie di scala. Vedremo poi come

l’internazionalizzazione e la competizione su mercati globali è ormai un processo da

affrontare se si vuole restare competitivi. La collaborazione risulta ancora una volta la

soluzione ideale per le PMI che vogliono affacciarsi sul mercato internazionale.

Negli ultimi anni la forma del distretto industriale è risultata, tuttavia, obsoleta ed ha preso

vita una nuova forma di aggregazione: le reti d’imprese. Le reti d’imprese non hanno più

carattere territoriale né mono settoriale, costituiscono l’evoluzione dei distretti industriali, una

forma nuova di aggregazione finalizzata a formare massa critica e accrescere la posizione

contrattuale, favorire l’internazionalizzazione e aumentare la dimensione complessiva del

business delle PMI che aderiscono alla rete. L’evoluzione delle reti d’imprese è da collocarsi

nell’ultimo anno; sì è infatti passati dai 42 contratti di aprile ai 117 contratti di agosto24

; il

trend è in continuo aumento ed anche gli enti statali e governativi riconoscono le reti

d’impresa come la principale leva per uscire dalla crisi.

1.4.3 Internazionalizzazione

Fino alla fine degli anni ottanta l’internazionalizzazione del business delle PMI ha avuto

prevalentemente una dimensione di tipo indiretto ovvero le PMI si sono limitate ad esportare i

propri prodotti. Inoltre si è riscontrata un’elevata variabilità geografica che, col tempo, si è

trasformata da vantaggio a fattore di debolezza in quanto la mancanza di conoscenze

specifiche sul singolo mercato comporta spesso la perdita di opportunità.

Ad oggi il carattere dell’internazionalizzazione delle imprese italiane è ancora fortemente

incentrato sull’export con una limitata propensione agli investimenti diretti all’estero (IDE). I

dati elaborati dall’UNCTAD nel 2009 mostrano, infatti, un eloquente ritardo rispetto agli altri

paesi europei: il rapporto tra lo stock di investimenti diretti esteri ed il PIL in Italia arriva al

27% contro il 65% della Francia ed il 76% del Regno Unito. Ciò nonostante, nel biennio

2008-2009 i flussi di IDE italiani hanno subito una contrazione minore rispetto agli altri paesi

europei; la tendenza è dunque quella di avvicinare le principali economie europee per quanto

riguarda l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Andando ad analizzare la

24Reggio, 2011

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23

composizione delle imprese che internazionalizzano il proprio business si trova che le PMI

costituiscono il 38,7%25

. Internazionalizzare per le PMI è importante non solo per ridurre i

costi di produzione, ma anche per ampliare il proprio business e trovare nuovi sbocchi sui

mercati internazionali. Esistono poi alcuni casi di differenti scelte d’internazionalizzazione

che riguardano aspetti commerciali come lo sviluppo di rapporti di fornitura e subfornitura.

Nell’industria italiana la pratica della subfornitura (cioè della produzione di beni intermedi

sulla base di specifiche tecniche del committente) è storicamente molto diffusa. Spesso si è

temuto che essa si caratterizzasse tipicamente come un rapporto squilibrato dal punto di vista

del potere di mercato, fra un committente forte e un subfornitore debole e “catturato”. È,

questo, un campo di ricerca sorprendentemente poco arato. Alcuni lavori hanno documentato

come alcune imprese manifatturiere italiane abbiano preso parte nel ruolo di impresa

committente ai processi di dispersione internazionale della produzione, con benefici per la

performance complessiva del sistema industriale26,27

. Altri autori hanno mostrato28

, con dati

riferiti a un campione rappresentativo di imprese manifatturiere italiane, come la più ridotta

dimensione media d’impresa e una specializzazione produttiva a più bassa intensità di capitale

si riflettano, in confronto con altri paesi, in scelte organizzative che privilegiano l’outsourcing

verso fornitori (anche esteri) rispetto agli investimenti diretti all’estero.

Le caratteristiche viste in precedenza, ovvero dinamismo, forte capacità di adattamento e

tendenza a sviluppare relazioni interaziendali di tipo reticolare, si possono rivelare utili anche

nel processo di internazionalizzazione. La flessibilità e la duttilità possono, infatti, essere

considerate un punto di forza nel cogliere rapidamente opportunità sui mercati esteri. In

letteratura si trovano tesi secondo cui l’asset primario sul quale si basa il successo di un

processo d’internazionalizzazione è un’adeguata struttura e professionalità delle risorse

umane, capace di raccogliere, sedimentare e sviluppare la maggiore capacità di

apprendimento che deriva dall’operare in contesti di mercato più ampi29

. Un altro aspetto

importante per l’impresa che vuole internazionalizzare il proprio business è sicuramente avere

un buon governo dei processi; il supporto dato dai sistemi ICT diventa quindi una variabile

fondamentale per il successo.

25 Fonte: Banca dati Reprint, ICE-Politecnico di Milano

26 Daveri, Jona-Lasinio, 2007

27 Falzoni, Tajoli, 2008

28 Federico, 2010

29 Esposito, 2003

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24

2. Capitolo 2

2. ICT nelle PMI italiane

L’obiettivo del capitolo è comprendere lo stato dell’arte rispetto all’apporto che le ICT oggi

possono dare alle imprese, sia in termini di supporto operativo che in termini di supporto

strategico. A tal proposito nel capitolo si approfondirà il ruolo ricoperto dall’ICT nelle piccole

e medie imprese. Dopo aver fornito lo stato dell’arte in investimenti ICT nel corso degli

ultimi anni, saranno approfonditi quali elementi debbano necessariamente essere presenti

affinché l’ICT possa rappresentare concretamente una leva efficace nella gestione del

business e della propria organizzazione. Per comprendere al meglio tali elementi chiave

saranno presentati i modelli ad oggi offerti dalla letteratura riguardanti il governo dell’ICT ed

il livello di maturità dei Sistemi Informativi aziendali.

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25

2.1 La situazione dell’ICT in Italia

La fotografia che il Rapporto Assinform 2011 restituisce è quella di un mercato ICT in

profonda transizione, con segmenti che perdono velocità e nuove opportunità emergenti. In un

processo molto più lento e faticoso di quel che realmente accade in natura, l'immagine

utilizzata da Giancarlo Capitani, amministratore delegato di una nota società di consulenza,

per parlare del mercato ICT è quella di un baco da seta che si trasforma in farfalla

“traghettando l'ICT tradizionale, così come la conosciamo, nell'era digitale”.

D’altra parte non potrebbe essere altrimenti visto il contesto economico mondiale, che nei

primi sei mesi del 2011 ha visto svanire nel nulla la speranza di una ripresa seppur lenta,

manifestatasi negli ultimi mesi del 2010. Tendenza negativa che riguarda soprattutto lo

scacchiere occidentale (Usa ed Europa), mentre tengono le economie emergenti. L'Italia va

ancora più piano, con crescite tendenti allo zero, maglia nera dell'eurozona. Un quadro che si

riflette pesantemente sull'andamento del mercato ICT, che a metà 2011 registra un fatturato di

quasi 28 miliardi di euro, con un calo del 2,4%, uguale a quello registrato nel primo semestre

2010.

Disaggregando per mercati, si vede che il mercato dell'IT registra perdite più contenute (-

1,7%) rispetto alla prima parte del 2010 (-2,5%), e soprattutto rispetto al 2009 (-9%),

testimoniando l'impegno delle imprese nel continuare a investire nell'IT anche in condizioni

critiche (Figura 6). Tendenze interessanti si registrano sui fronti delle applicazioni mobili, del

Cloud Computing, dell'informatica personale, dei pagamenti, ma per i ricercatori di

Assinform la fase è e resta “riflessiva”, in altre parole tendente allo stallo.

Figura 6 - Il mercato dell'IT in Italia per semestre (Assinform, 2011)

Modesto il calo dei servizi (-1,2%, contro il -3,7% del corrispondente periodo del 2010),

anche se continua a giocare a sfavore la pressione sulle tariffe, mentre tiene il software che

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26

registra una piccola crescita dello 0,3%, a fronte di un -1,2% nel primo semestre 2010 (Figura

7). Stentano a ripartire i progetti più significativi, ma le imprese cercano comunque di non

trascurare l'IT. Per questo, il software di sistema contiene il calo dello 0,8%, quello

applicativo rimane stabile (-0,2%), il Middleware cresce dell'1,8%. Quest’ultimo si conferma

il più dinamico poiché è la base per il supporto di iniziative quali datacenter trasformation e

implementazione di architetture cloud, che risultano sempre più consistenti ed iniziano ad

erodere terreno alle componenti tradizionali.

Figura 7 - La dinamica del mercato Software per componenti (Assinform 2011)

ICT come leva strategica

La teoria strategica di Porter spiega come il vantaggio competitivo di un’impresa dipenda dai

suoi differenziali competitivi di costo e di attrattività. Per comprendere quali siano questi

differenziali è necessario analizzare la catena del valore, ovvero l’insieme dei processi

dell’impresa, ed estrapolare quelle peculiarità che rendono l’impresa unica, permettendole di

differenziarsi dai concorrenti. In molteplici contributi della letteratura internazionale30,31

viene

riconosciuta all’ICT la possibilità di essere uno di questi differenziali, contribuendo alla

creazione di vantaggio competitivo a tutti i livelli della catena del valore.

Grazie alle più moderne innovazioni hardware e software, infatti, tutti i principali processi

possono essere governati attraverso tecnologie ICT, permettendo di aumentarne efficacia ed

efficienza. Un aspetto sempre più rilevante per quanto riguarda l’ICT come differenziale

competitivo risulta essere il contenuto tecnologico dei prodotti e servizi offerti sul mercato. È

30 Porter, 2001

31 Andal-Ancion, 2003

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27

importante poi sottolineare il valore assunto dalle ICT nel supporto della flessibilità; in

contesti ad alta turbolenza l’ICT può essere utilizzata per abilitare i continui cambiamenti sia

organizzativi sia quelli riguardanti il mercato di riferimento.

Dall’analisi della bibliografia disponibile sull’evoluzione del mondo dell’Information &

Communication Technology (che verrà ampiamente trattata nel Capitolo 3) emerge uno

scenario sempre più complesso e diversificato, frutto, da un lato, della crescente

consapevolezza degli impatti tecnologici sulla gestione delle attività aziendali e, dall’altro, del

maggior ruolo che la scelta di specifiche soluzioni ICT svolge nei confronti delle strategie

aziendali.

È mutato, nel corso del tempo, il modo di intendere il ruolo delle tecnologie all’interno delle

organizzazioni: da semplice strumento per l’acquisizione e gestione delle informazioni, sono

oggi descritte quali vere e proprie leve strategiche. In Figura 8 è raffigurato un grafico che

mappa questo fenomeno evolutivo lungo due direttrici, ovvero il livello di management e la

complessità da gestire32

.

Figura 8 - L'evoluzione del ruolo dell'ICT nelle organizzazioni (Flacco, 2005)

2.2 La predisposizione all’innovazione ICT

Nei paragrafi precedenti è stata trattata la valenza strategica che l’ICT può avere in

un’impresa; è tuttavia importante evidenziare che per far si che l’impresa utilizzi nel modo

corretto questo strumento devono essere presenti alcuni requisiti. L’osservatorio del

Politecnico di Milano propone alcuni modelli di analisi volti a comprendere la maturità delle

32 Flacco, 2005

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imprese nei riguardi dell’ICT. I modelli si basano su tre condizioni fondamentali che insieme

creano le condizioni imprenditoriali, organizzative e gestionali abilitanti ad un adeguato

utilizzo delle ICT:

Commitment del vertice strategico;

Pivot ICT, ovvero una figura in grado di comprendere e coordinare esigenze di

business ed esigenze tecnologiche;

Presidio gestionale dei processi ICT.

La prima condizione implica che il vertice dell’impresa abbia una certa sensibilità verso le

tematiche dell’ICT e sia consapevole degli effetti che le tecnologie possono portare sul

business: solo in questo modo le ICT avranno il giusto spazio nei processi decisionali e nei

budget. La figura del Pivot ICT nasce per risolvere uno dei problemi storici delle ICT: ovvero

la difficoltà di comunicazione tra tecnici informatici della Direzione IT e manager di business.

Questa mancanza di comunicazione non permette di sfruttare appieno le potenzialità delle

ICT, per questo motivo il Pivot ICT deve essere una persona con un’elevata sensibilità

tecnologica (non necessariamente accompagnata da elevate competenze tecniche),

propensione all’innovazione e ottime capacità di project management. Questa figura sarà il

promotore dell’ICT in azienda, dovrà essere proattivo nel portare innovazione e aumentare la

visibilità e la rilevanza dell’ICT. Una volta accertato il Commitment del vertice strategico e

verificata la presenza di un Pivot ICT, il tassello mancante è rappresentato dal Presidio

gestionale dei processi ICT ovvero la presenza di adeguate competenze (sia gestionali che

sistemistiche) per implementare il processo di innovazione. Nel caso in cui le competenze

richieste non siano presenti in azienda, è comunque possibile affidarsi ad un partner esterno,

con il quale instaurare relazioni di medio-lungo periodo.

L’Osservatorio del Politecnico propone un modello volto a classificare il ruolo della

Direzione IT nell’impresa. Nel modello sono state identificate quattro competenze

fondamentali (sistemistiche, di sviluppo, di acquisto e di project management). Il livello

riscontrato per ognuna di queste competenza va a delineare differenti ruoli che la Direzione IT

occupa nell’impresa:

IT Help desk: fornisce un supporto agli utenti per i servizi elementari, viene attribuito

un basso livello in tutte le competenze, in alcuni casi vi sono competenze di sviluppo

software sufficienti per interventi di manutenzione (“help desk manutentore”);

IT Sviluppatore: fornisce un servizio di sviluppo software su applicazioni chiave per

l’impresa, spesso sono associate buone capacità sistemistiche e di parametrizzazione e

personalizzazione del sistema gestionale, latitano le competenze di acquisto e quelle di

project management;

IT Buyer e project manager: caratterizza una Direzione IT con competenze complete,

in grado di sostenere autonomamente la gestione di progetti ICT complessi.

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29

Il presidio gestionale richiesto per abilitare l’innovazione ICT è garantito solamente

dall’ultima tipologia di Direzione IT. Sono molteplici i casi in cui la Direzione IT è il primo

blocco all’innovazione; il motivo principale è l’obsolescenza delle competenze dei direttori IT

che vedono l’innovazione come una minaccia alla propria posizione all’interno dell’impresa.

Analizzate le tre condizioni (Commitment del vertice, Pivot ICT e presidio gestionale), il

modello propone una classificazione delle imprese, rappresentata dalla matrice di Figura 9.

Figura 9 - La predisposizione all'innovazione ICT, i diversi archetipi di PMI (Balocco, 2009)

I cluster identificati dal modello assumono i seguenti significati:

Pronte: sono imprese in cui sono presenti le tre condizioni, ciò comporta che le

imprese potranno sfruttare l’ICT come leva strategica, creando differenziale

competitivo.

Belle addormentate: sono imprese in cui non viene riscontrata nessuna delle tre

condizioni identificate come abilitanti all’innovazione ICT;

Incipienti: in queste imprese il vertice dimostra sensibilità e commitment ma

l’organizzazione non è adatta, viene meno la figura del Pivot e manca il presidio

gestionale necessario ad abilitare l’innovazione ICT;

A metà del guado: sono imprese con un buon commitment da parte del vertice

strategico e che hanno iniziato il processo di preparazione organizzativa e gestionale

ma non lo hanno ancora terminato. Tipicamente viene riscontrata una sola delle

condizioni organizzative ovvero o la figura del Pivot o la presenza di presidio

gestionale dei processi ICT.

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30

Le ricerche empiriche dell’Osservatorio hanno evidenziato come la predisposizione

all’innovazione sia fortemente correlata con la Maturità ICT (cfr. Paragrafo 2.4); imprese

Pronte sono, nella maggior parte dei casi, imprese con un elevato livello di Maturità ICT. La

predisposizione all’innovazione non è risultata correlata né alle dimensioni d’impresa né al

settore merceologico a cui l’impresa fa riferimento, bensì è risultato correlato il

posizionamento competitivo dell’impresa. Il posizionamento competitivo delle PMI è stato

analizzato nel Paragrafo 1.3; l’analisi dell’Osservatorio rileva come la maggior parte delle

imprese classificate come Leader di nicchia e Davide contro Golia evidenzino una buona

predisposizione all’innovazione ICT mentre le imprese definite come Vecchie glorie e In

balia delle onde siano tipicamente caratterizzate da una bassa predisposizione all’innovazione

ICT.

2.3 Modello dell’allineamento strategico (MIT)

Questo modello ha origine negli anni ottanta nella rinomata università del Massachusetts

(MIT); il modello, rappresentato in Figura 10, tratta l’allineamento tra strategie di business e

strategie ICT. L’ipotesi fondamentale proposta è che la mancanza d’incremento del vantaggio

competitivo a seguito di un processo d’innovazione ICT, sia da attribuirsi all’insufficiente

allineamento tra le strategie di business e le strategie IT durante la fase di implementazione

del progetto.

Il modello mette dunque in relazione la performance economica con l’abilità del management

di creare condizioni chiamate: “Dynamic fit” (allineamento dinamico) tra le strategie decise e

attuate, le evoluzioni degli ambienti strategici rilevanti e le risposte strategiche dei

concorrenti. Il differenziale competitivo è dunque dato dalla capacità dell’impresa di

utilizzare l’ICT, non dalle tecnologie stesse33

.

33 Venkatraman, Camillus, 1984

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31

Figura 10 - L’allineamento strategico tra business e IT (Boccardelli, 2007)

Il modello identifica tre dimensioni che caratterizzano il posizionamento delle imprese nel

mercato IT; la classificazione34

ha la peculiarità di analizzare l’ICT con caratteristiche e

fattori tipici del business. I fattori sono:

Ampiezza dell’ICT: questa dimensione riprende il concetto di ampiezza del business in

termini di scelte sul prodotto o sul mercato verso su cui posizionarsi; la sua traduzione

in termini ICT consiste nella scelta delle applicazioni (ad esempio, Lan, Wan, sistemi

esperti, servizi digitalizzati, etc.) che supportano le strategie di business specifiche, o

che potenzialmente possono contribuire alla riconfigurazione del business stesso;

Competenze ICT: si riferisce ai particolari attributi delle tecnologie ICT per il supporto

delle strategie di business (interconnettività, flessibilità, disponibilità, standard etc.);

Governo dell’ICT: basato sull’idea che come nella gestione dei business, anche per

l’ICT sia possibile ricorrere a particolare politiche di governance (joint venture,

alleanze strategiche, attività congiunte di R&D, licenze tecnologiche) al fine di

acquisire le competenze richieste.

34 Henderson e Venkatraman, 1993

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32

Il modello dell’allineamento strategico proposto da Henderson e Venkatraman (1993, 1999) si

basa su due dimensioni analitiche: Strategic fit e Integrazione funzionale.

2.3.1 Strategic fit

Lo Strategic fit, ossia l’allineamento tra ambiente, strategie e contesto organizzativo, può

essere a sua volta analizzato secondo due dimensioni: quella interna e quella esterna35

. Fanno

parte del dominio esterno: l’ambito competitivo dell’impresa, le alternative strategiche che

questa può mettere in atto sia a livello business che corporate, l’ampiezza della gamma dei

prodotti, le scelte di make or buy e le eventuali partnership e alleanze strategiche. Il dominio

interno, al contrario, comprende: le scelte sulla struttura organizzativa, il disegno dei processi

di business ed i processi di acquisizione di competenze organizzative.

Il rapporto tra i due domini si può leggere in chiave di business come problema tra strategia

(dominio esterno) e struttura organizzativa (dominio interno). Spostando il focus dal business

all’IT i concetti di dominio interno e dominio esterno sono rappresentati, rispettivamente, dai

Sistemi Informativi aziendali (IS infrastructure) e dal posizionamento dell’azienda rispetto al

mercato IT (strategia IT).

A caratterizzare la configurazione del dominio interno dell’ICT, ovvero le caratteristiche di un

sistema informativo aziendale sono:

Struttura: infrastruttura hardware e portafoglio applicativo;

Processi: strutturazione delle attività e delle operazioni connesse alla gestione dei

Sistemi Informativi e dell’infrastruttura tecnica;

Competenze: acquisizione e sviluppo di conoscenze individuali e collettive per la

gestione l’operatività dei Sistemi Informativi.

Si può dunque affermare che, anche in ambito ICT, la creazione del valore può essere

ragionevolmente ricondotta all’esistenza di un allineamento tra dominio esterno (ICT

strategy) e dominio interno36

(IS infrastructure).

2.3.2 Integrazione funzionale

L’Integrazione funzionale ricalca il problema dell’integrazione tra ambiti ICT e di business. A

livello strategico, si pone il problema di comprendere il rapporto tra strategie ICT e strategia

di business come caso particolare della tematica più ampia del rapporto tra ICT e

35 Hax, Majluf, 1991

36 Parker, Benson, Trainor, 1988;

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33

organizzazione. Su questo problema, lo Strategic alignment trae spunto dal filone dello

Strategic planning dei Sistemi Informativi37

, un modello focalizzato sull’impatto reciproco tra

dominio ICT e dominio di business in termini di agevolazione o minaccia alle scelte effettuate

nell’uno o nell’altro campo. Lo Strategic alignment riconosce la reciprocità del rapporto tra

business e ICT e risponde alla necessità d’integrazione tra le due, ricercando la coerenza tra i

rispettivi domini interni ed esterni.

Lo Strategic alignment vede dunque come condizioni abilitanti al successo, sia l’integrazione

strategica tra business e ICT, finalizzata alla selezione delle funzionalità ICT che meglio

riescono a definire e supportare le strategie di business, sia l’integrazione operazionale

ovvero la coerenza tra struttura organizzativa dei processi di business e infrastruttura dei

Sistemi Informativi. Il modello suggerisce, dunque, che si vada a bilanciare le scelte effettuate

in tutte e quattro le aree identificate dal modello.

2.3.3 Le prospettive dello Strategic alignment

Per raggiungere l’allineamento tra le quattro componenti descritte in precedenza (Strategia di

bussines, Strategia ICT, Strutture e processi e Infrastruttura dei SI) vengono proposte quattro

diverse prospettive38

:

Strategy execution: si basa sull’assunzione che la strategia di business, una volta

formulata, sia il driver principale per la configurazione degli assetti organizzativi e per

il disegno della infrastruttura ICT. In questo contesto, quindi, le strutture organizzative

ed i sistemi informativi, allineandosi alla strategia formulata, assumono il compito di

implementare, attraverso la definizione dei processi, le fasi che portano al

perseguimento degli obiettivi aziendali;

Technology transformation: si basa sul raggiungimento di una leadership tecnologica

nell’ambito del mercato dell’ICT; ciò implica che la strategia di business trovi la sua

implementazione attraverso la formulazione di una strategia IT che identifichi un

portafoglio di applicazioni ICT e strutturi i processi così come previsto nei Sistemi

Informativi. In tale prospettiva la dimensione organizzativa interna non viene

considerata come un fattore che possa influenzare l’attuazione delle strategie. Il buon

impiego di questa prospettiva è legato all’acquisizione delle competenze ICT che

meglio riflettono i fattori critici di successo dell’impresa, e dalla definizione di una

infrastruttura tecnica dei Sistemi Informativi che risulti allineata con il posizionamento

nel mercato ICT. Una visione dell’allineamento strategico di questo tipo risulta essere

37 King, 1978

38 Henderson, Venkatraman, 1993

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34

adatta per imprese ad elevata intensità informativa. Secondo questa modalità di

allineamento il ruolo della Direzione IT è quello di operare come designer nella

identificazione e nella strutturazione dell’infrastruttura informatica che meglio

rispecchi la visione dell’ICT in termini di ampiezza, competenze e governo;

Competitive potential: in questa prospettiva, l’analisi strategica parte dalla strategia

ICT; la strategia di business e i corrispondenti assetti organizzativi vengono quindi

modellati sulla base della strategia ICT tracciata. La visione si basa sullo sfruttamento

delle capacità ICT emergenti che possono impattare sulle strategie di business

mediante l’introduzione di nuovi prodotti e servizi, che modificano l’ampiezza del

business, e abilitano nuove forme di relazioni inter-organizzative. Si sceglie dunque di

modificare le strutture di business e le competenze distintive dell’impresa sulla base

delle nuove possibilità aperte dell’innovazione ICT.

Service level: il punto di partenza, in questa prospettiva, è la strategia ICT. Definita

tale strategia si andrà a creare un’infrastruttura interna dei Sistemi Informativi che sia

in grado di rispondere nella maniera più efficace possibile alle esigenze informative

dei processi organizzativi; all’infrastruttura dei Sistemi Informativi si cercherà poi di

adattare la configurazione organizzativa interna dell’impresa. In questa visione dello

Strategic alignment, la capacità d’innovazione nell’ICT viene considerata come una

competenza distintiva e l’obiettivo è quello di garantire il massimo livello di servizio

dei Sistemi Informativi raggiungibile. Maggiori risultati sono ottenibili laddove

l’organizzazione dei Sistemi Informativi sia coerente (in termini di strutturazione dei

processi e di allocazione delle risorse) con le altre dimensioni organizzative.

Lo Strategic alignment può quindi essere considerato come un’analisi del rapporto tra ICT e

organizzazione di tipo multivariato, in cui vengono identificati due possibili fattori

contingenti, che sono le strategie di business (che agiscono come driver nei casi di strategy

execution e technology transformation) o le strategie ICT (che agiscono come enabler nei casi

di competitive potential e service level).

La differenza fondamentale tra le due classi di prospettive (allineamento e contingenze) si

basa sul fatto che nel primo caso le strategie di business vengono considerate come date, e

quindi rappresentano una condizione di vincolo per la trasformazione degli assetti

organizzativi, mentre nel secondo caso è previsto un adattamento delle stesse all’emergere di

nuove capacità ICT.

Il modello va poi oltre la semplice classificazione delle prospettive perseguibili dalle imprese

in materia di allineamento strategico; vengono, infatti, proposti alcuni indicatori di

performance che dovrebbero esprimere l’efficacia delle soluzioni adottate. In Tabella 1

vengono riportati i principali indicatori per le prospettive di allineamento strategico.

Page 45: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

35

Prospettiva di allineamento strategico Parametri per la valutazione

delle performance

Strategy-driven Strategy execution Valutazioni economico-finanziarie basati sui costi

della funzione SI, focalizzate prevalentemente su

indicatori di efficienza e produttività interna

Technology

transformation

Misurazione del grado di leadership tecnologica

nell’ambito IT, anche mediante il ricorso a tecniche

di benchmarking

Technology-

enabled

Competitive potential Misurazione del grado di leadership di business, in

termini di quota di mercato, crescita e sviluppo nuovi

prodotti

Service level Misurazione della customer satisfaction (interna),

anche mediante raffronti di benchmarking interno ed

esterno

Tabella 1 - Valutazione delle performance delle soluzioni di allineamento adottate (Henderson e Venkatraman, 1999)

Anche la misurazione delle performance rivela il carattere contingente multivariato del

modello dello Strategic alignment. Infatti, dove la strategia di business è considerata come

driver principale, le performance vengono misurate nell’ambito dei Sistemi Informativi,

mentre laddove è l’ICT il principale enabler, sono i risultati ottenuti in termini di business ad

essere valutati.

2.4 Modello di rilevazione della Maturità ICT di un’impresa

Per analizzare la Maturità ICT delle PMI italiane si ricorre ad un modello elaborato

dall’Osservatorio del Politecnico di Milano. Questa rappresentazione ha l’obiettivo di valutare

e classificare le PMI italiane in base allo stato dei relativi Sistemi Informativi. Le variabili

prese in esame dal modello riguardano la maturità applicativa ed infrastrutturale che

concorrono a determinate il livello di Maturità ICT complessivo dell’impresa e la

conseguente classificazione. Il Sistema Informativo aziendale, descritto ampiamente nel

Capitolo 2.6, è costituito dall'insieme delle informazioni utilizzate, prodotte e trasformate da

un'azienda durante l'esecuzione dei processi aziendali, dalle modalità in cui esse sono gestite e

dalle risorse coinvolte, sia umane che tecnologiche. Non va confuso con il sistema

informatico, che indica la porzione di sistema informativo che fa uso di tecnologie

informatiche e automazione. Parlare di Maturità ICT estende il perimetro non solo alla

gestione delle informazioni, ma anche a come queste vengono messe in connessione tra loro,

sia lato Software che dal punto di vista Hardware.

Il concetto di maturità non prende solo in considerazione lo stato dell’arte dei sistemi, ma

anche come questi vengono utilizzati e integrati nei processi operativi quotidiani.

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36

2.4.1 La Maturità applicativa

Per valutare la Maturità applicativa dell’azienda, l’Osservatorio del Politecnico di Milano

fornisce una classificazione basata su due parametri di valutazione: la flessibilità e il livello di

supporto integrato ai processi. Quest’ultimo parametro indica il livello di supporto fornito

dalle applicazioni software ai processi ed alle attività dell’impresa e viene valutato attraverso

due voci: la Copertura applicativa e il Livello di integrazione delle applicazioni. La

Copertura applicativa è determinata in base ai processi supportati da applicazioni software;

può essere limitata ai processi amministrativi, estesa a processi riguardanti il mercato o, nei

casi più evoluti, arrivare a coprire processi trasversali, interdisciplinari e interaziendali. Il

Livello di integrazione delle applicazioni è, invece, valutato in termini di integrazione fra i

processi dell’impresa. Può essere Assente o limitato, come nei casi di patrimoni applicativi

composti da pacchetti di limitata complessità o sviluppati mediante strumenti di informatica

personale che non presentano alcuna integrazione; Intermedio, come nel caso di applicazioni

integrate mediante connettori o sistemi di replica asincrona dei dati; Nativo, come nei casi dei

sistemi gestionali integrati o dei sistemi ad alta copertura funzionale sviluppati interamente ad

hoc.

Viene dunque proposta una classificazione a matrice (Figura 11) che identifica le differenti

tipologie di patrimonio applicativo in base al supporto integrato ai processi. I Pacchetti

elementari sono configurazioni semplici con limitata copertura funzionale e non integrate, le

Isole applicative hanno una copertura funzionale più estesa che può includere anche alcuni

processi esterni ma le applicazioni sono poco integrate tra loro. I Portafogli integrati, invece,

sono sistemi gestionali (ERP internazionali o sistemi ad hoc) che garantiscono una copertura

funzionale completa e un’integrazione tra i processi nativa.

Per valutare la componente flessibilità; viene considerato il livello di aggiornamento,

standardizzazione e diffusione delle applicazioni. La possibilità di evoluzione è, infatti, una

diretta conseguenza del livello di aggiornamento, standardizzazione e diffusione delle

applicazioni dell’impresa.

Nella matrice sono riportati i dati della ricerca dell’Osservatorio sul patrimonio applicativo

delle imprese lombarde nel 2009, mentre i dati tra parentesi si riferiscono alle percentuali

delle imprese italiane.

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37

Figura 11 - Matrice di classificazione del patrimonio applicativo (Osservatorio ICT& PMI, 2009)

Dalla matrice si evince che, all’interno delle Isole applicative si possono distinguere due

diverse tipologie di portafogli: i Pacchetti semplici con sviluppo ad hoc che presentano una

bassa flessibilità, ottenuta tipicamente con il trasferimento manuale dei dati e Best Of Breed in

cui la maggior flessibilità è data da connettori software realizzati ad hoc per le importazioni

ed esportazioni di dati. Il cluster Portafoglio integrato si riferisce a sistemi nativamente

caratterizzati da un elevato livello di completezza e integrazione dei processi supportati, anche

se presentano diversi livelli di flessibilità (crescente, passando dallo sviluppo ad hoc al

gestionale verticale, al gestionale nazionale all’ERP internazionale). Il massimo livello di

maturità applicativa è rappresentato dal Portafoglio integrato “esteso” ovvero imprese che

utilizzano come applicazione principale il sistema gestionale, “esteso” attraverso l’utilizzo di

altre applicazioni.

2.4.2 La Maturità infrastrutturale

Per infrastruttura aziendale s’intende l’insieme delle componenti hardware di rete e per le

telecomunicazioni ed i relativi sistemi di base quali sistemi operativi e sistemi per la gestione

dei dati. Tale infrastruttura costituisce la base per l’evoluzione del patrimonio applicativo.

La Maturità infrastrutturale misura il livello di evoluzione dell’infrastruttura ICT dell’impresa

in termini di efficienza, di efficacia e di flessibilità. In particolare, per la determinazione del

livello di maturità dell’infrastruttura ICT sono stati valutati la completezza dell’infrastruttura

ICT, in termini di adeguatezza dei componenti elementari utilizzati (risorse client e server,

centralini basati su tecnologie VoIP, sistemi di storage, sistemi di sicurezza lato server e lato

client, etc.) ed il livello di aggiornamento dei diversi componenti dell’infrastruttura ICT.

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38

In Figura 12 è rappresentata la matrice di classificazione delle imprese in base alla Maturità

infrastrutturale. In aggiunta sono visibili i dati sulla distribuzione delle imprese lombarde e

sulla distribuzione delle imprese italiane (dato tra parentesi). I dati sono aggiornati ad una

ricerca dell’Osservatorio del Politecnico del 2009.

Figura 12 - La maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)

Si parla di Infrastruttura embrionale nel caso di un’infrastruttura ICT di base in cui il numero

di servizi erogati è molto limitato. In genere, non sono presenti risorse lato server e

l’infrastruttura di rete supporta esclusivamente la connettività delle postazioni client. I sistemi

di storage sono generalmente assenti, mentre i sistemi di sicurezza sono elementari. Le

infrastrutture mappate come Conservative sono il risultato di un processo evolutivo lento ma

razionale, mirato a mantenere omogeneità e contenere i costi. Si tratta di infrastrutture basate

quasi completamente su tecnologie proprietarie, in cui la completezza e la coerenza dei servizi

possono presentare diversi livelli di evoluzione (in alcuni casi possono essere particolarmente

elevate), ma che manifesta limiti di flessibilità a fronte di necessità future di evoluzione.

Un’Infrastruttura in evoluzione, all’opposto rispetto a quella conservativa, presenta un buon

livello di flessibilità (le componenti tecnologiche sono in buona parte allo stato dell’arte,

anche se in alcuni casi affiancate da sistemi proprietari), ma dal punto di vista della

completezza presenta alcuni limiti. Più nel dettaglio, appartengono a questa categoria due

principali tipologie di infrastruttura:

Infrastruttura patchwork: derivano da un processo di apertura di sistemi proprietari

precedentemente adottati e, quindi, combinano le due tipologie di architettura. Sono

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39

architetture complesse, presenti in prevalenza nelle imprese di dimensioni maggiori,

frutto dell’evoluzione nel tempo del sistema informativo aziendale;

Elementari aggiornate: sono basate su architetture aperte (non proprietarie) che,

tuttavia, non hanno ancora raggiunto un adeguato livello di completezza.

Le imprese con il massimo livello di maturità infrastrutturale sono mappate come imprese con

Infrastruttura evoluta. Si tratta di un’infrastruttura completa e aggiornata, in grado, quindi, di

garantire un buon livello di flessibilità rispetto a necessità di cambiamento future. Può

comprendere anche architetture proprietarie ma, nel complesso, l’infrastruttura risulta aperta e

le scelte razionali ed omogenee.

2.4.3 La maturità ICT: una visione d’insieme

Abbiamo spiegato, nei precedenti paragrafi, cosa si intende per maturità infrastrutturale e

maturità applicativa, e fornito i modelli di valutazione per questi due parametri. Ora,

incrociando i due tipi di maturità studiati è possibile classificare le imprese in base alla

Maturità ICT (Figura 13). I dati riportati in figura forniscono un confronto sul livello di

maturità riscontrato nelle imprese Lombarde nel 2009 e quello riscontrato a livello nazionale

(dato tra parentesi)39

.

Figura 13 - Classificazione della Maturità ICT (Osservatorio ICT & PMI, 2009)

39 Osservatorio ICT&PMI, 2009

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40

Dalla matrice emergono quattro macro-tipologie di imprese:

Imprese Immature: appartengono a questo gruppo imprese che non hanno particolari

requisiti di intensità informativa da soddisfare e che quindi deliberatamente scelgono

di utilizzare le ICT in modo limitato o imprese poco consapevoli delle opportunità

offerte dalle ICT;

Imprese Miopi o statiche: fanno parte di questo cluster imprese con un patrimonio

infrastrutturale di tipo Patchwork o un’infrastruttura proprietaria obsoleta. Queste

imprese devono fare i conti con i limiti tecnologici che comportano queste tipologie di

infrastrutture, in particolare i vincoli che si presentano nella scelta delle applicazioni

software;

Imprese Impostate: tipicamente le imprese così classificate sono di recente

costituzione; questa configurazione caratterizza un’evoluzione razionale del

portafoglio applicativo. Sono imprese che hanno intrapreso un graduale cammino di

evoluzione del proprio Sistema Informativo;

Imprese Lungimiranti: sono imprese ad alta intensità informativa che hanno

pianificato e realizzato razionalmente il processo evolutivo del proprio Sistema

Informativo e possiedono dunque tutte le caratteristiche per proseguire nella crescita

delle ICT coerentemente alla crescita dei requisiti di business dell’impresa, in

particolare verso l’integrazione esterna.

2.5 Considerazioni di sintesi sui modelli consultati

I modelli descritti in questo capitolo forniscono un set completo di strumenti per analizzare il

livello del governo delle ICT in un’impresa. Il modello della Maturità ICT consente di avere

una precisa fotografia dei Sistemi Informativi allo stato dell’arte e restituisce come output una

classificazione degli stessi. Questo modello non è però sufficiente ad analizzare l’impatto che

le ICT hanno in un’impresa; all’interno del modello non vengono infatti considerate le

competenze degli addetti all’ICT in azienda né la valenza strategica che l’impresa riconosce

all’ICT. I modelli riportati nei paragrafi precedenti riempiono queste mancanze permettendo

di delineare il ruolo specifico della Direzione IT all’interno dell’organizzazione. Il modello

dell’Osservatorio del Politecnico sulla Predisposizione all’innovazione ICT ha come obiettivo

il rilevamento delle condizioni fondamentali affinché un’impresa utilizzi in modo efficiente le

ICT; tuttavia la parte del modello di maggiore interesse ai fini di questa tesi è la tassonomia

delle imprese in base alle competenze della Direzione IT. L’identificazione delle competenze

e la clusterizzazione in base al livello riscontrato nella PMI in esame risulterà, infatti, molto

utile nel modello proposto nel capitolo 4.

Il modello dello Strategic alignment, invece, è molto utile per capire la valenza strategica

delle ICT a livello teorico ma comporta alcune difficoltà nell’applicazione al caso pratico.

Tali difficoltà sorgono non tanto per quanto riguarda l’Integrazione funzionale, che può in

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41

qualche modo essere ricondotta ad una copertura funzionale dei processi, quanto per lo

Strategic fit che impone l’allineamento tra strategia di business e strategia IT. Cosa s’intende

per strategia IT? Chi sono gli attori che la definiscono? Qual è il processo decisionale

standard? La difficoltà nel rispondere a queste domande associate ad un caso di PMI italiana

sorge dal fatto che il modello non è pensato specificatamente per le PMI (come invece lo sono

gli altri modelli del capitolo) ma per imprese di grandi dimensioni dove i processi decisionali

sono maggiormente definiti e standardizzati, così come tutta la struttura aziendale, e queste

domande trovano più facilmente risposta. Il modello risulta comunque utile per comprendere

la rilevanza che l’IT assume nei processi decisionali dell’impresa ma va applicato ad un

livello più alto rispetto a quello previsto dagli autori, in modo da cogliere l’influenza dell’IT

nei processi decisionali anche se questa non è formalizzata. Il modello della Maturità ICT è

un modello di assessment circoscritto all’analisi as-is dei Sistemi Informativi di un’impresa:

questa caratteristica lo rende coerente con gli obiettivi del modello presentato nel Capitolo 4

dove, infatti, troverà impiego senza necessità di particolare reinterpretazioni.

2.6 L’ICT è ancora una risorsa strategica?

L’articolo di Carr40

ha scatenato un acceso dibattito sul ruolo strategico dell’ICT; il processo

evolutivo delle governance (i cui principali modelli sono stati analizzati nei paragrafi

precedenti) ha evidenziato un peso sempre maggiore dell’ICT nelle scelte strategiche delle

aziende. Tuttavia Carr, nel suo articolo, sostiene l’ipotesi che la pervasività delle tecnologie e

la loro conseguente omogeneizzazione ha condotto ad una situazione in cui le tecnologie sono

sì fondamentali nella gestione del business, ma non rappresentano più una discriminante in

grado di assicurare un vantaggio competitivo solido e difendibile nel tempo. Le tecnologie,

quindi, si sono ridotte, secondo l’autore, al ruolo di commodity. Ciò è accaduto soprattutto a

causa del notevole abbassamento dei prezzi di accesso alle tecnologie, che ha consentito ad un

numero sempre maggiore di organizzazioni di accedere a risorse che un tempo erano

disponibili solo a pochi leader. Carr risponde direttamente anche a chi sostiene che il

differenziale delle ICT non sia nel possesso della tecnologia ma nel suo utilizzo; afferma,

infatti, che anche le best practice legate all’impiego delle ICT nelle organizzazioni sono

diventate facili da replicare e quindi non più differenziali.

Tra i pareri più autorevoli, nel dibattito sul ruolo strategico delle ICT, troviamo Brown e

Hagel III. Nel loro contributo41

affermano che per ottenere valore dalle ICT è necessario

innovare i propri processi di busines;, sarebbe, infatti, una perdita di valore inserire l’ICT nei

40 Carr, 2003

41 Brown, Hagel, 2003

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42

processi senza considerare le opportunità di miglioramento che le tecnologie offrono.

Affermano inoltre che il motivo per cui l’ICT viene, da alcuni, considerato una commodity, è

la mancanza d’informazione sui vantaggi che un corretto utilizzo dell’ICT può portare. Il

ruolo fondamentale dell’ICT è, infatti, quello di abilitare nuove pratiche e nuove opportunità,

all’impresa spetta il compito di trovarle e utilizzarle per differenziarsi.

Trova consensi anche una replica di Nolan & McFarlan’s42

per la quale le affermazioni di

Carr sono valide; il vantaggio dell’innovazione ICT non è difendibile nel lungo periodo ma

comunque tale da concedere al first mover un importante vantaggio nel breve periodo.

Il dibattito evidenzia, a prescindere dall’adesione alle diverse fazioni, che il ruolo dell’ICT

nell’organizzazione è giunto ad un fondamentale punto di svolta. Clienti e fornitori di questo

mercato sono dunque chiamati a mutare il proprio atteggiamento. Agli utenti di soluzioni e

servizi ICT è richiesta un’analisi più approfondita dei reali bisogni tecnologici delle proprie

imprese e degli impatti che le soluzioni ICT porterebbero una volta implementate. Ai fornitori

di soluzioni ICT è invece richiesto di rileggere la propria posizione sul mercato, soprattutto in

riferimento al ruolo di supporto nei confronti del cliente.

Si può dunque sostenere che le scelte ICT non si giustificano di per sé, ma che si motivano

solo in funzione del loro stretto legame al business, alle strategie ed alla cultura dell’impresa.

42 Nolan, McFarlan, 2003

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43

3. Capitolo 3

3. I Sistemi Informativi aziendali

Questo capitolo ha l’obiettivo di fornire una fotografia rispetto all’attuale offerta tecnologica

in termini di strumenti, metodologie e applicazioni che l’ICT mette a disposizione delle

imprese per il supporto delle attività e dei processi aziendali.

Nella prima parte si ripercorreranno i passi fondamentali che hanno trasformato le attività e il

modus operandi delle imprese in questi ultimi sessant’anni, grazie proprio alla progressiva

introduzione dell’ICT, con un’accelerazione particolare nell’ultimo decennio. Tale evoluzione

è significativa soprattutto dopo la comparsa di internet, poiché le aziende hanno “aperto le

porte” a fornitori e partner esterni, accrescendo notevolmente il numero di relazioni da gestire.

A seguire si introdurranno alcune metodologie, ampiamente condivise in letteratura, per

analizzare la struttura e la composizione dei SI presenti in azienda. Tali metodologie offrono

utili linee guida alle fasi di assessment tecnologico necessarie per la rilevazione del supporto

fornito ai processi operativi. In questa fase verranno approfondite le caratteristiche dei sistemi

gestionali, tra cui gli Enterprise Resource Planning (ERP), includendo nella trattazione anche

i pacchetti applicativi a supporto del business, che costituiscono ormai l’offerta degli ERP a

supporto all’azienda estesa.

Infine si illustreranno i trend principali che stanno avendo sempre più successo e che saranno

fondamentali per rimanere competitivi nell’attuale sistema economico, sempre più dinamico e

turbolento.

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44

3.1 Il percorso evolutivo dell’ICT

Il mondo dell’informatica, seppur si possa ritenere una disciplina scientifica abbastanza

recente (risale, infatti, al 1953 presso lo University of Cambridge Computer Laboratory con il

nome di Diploma in Numerical Analysis & Automatic Computing)43

, ha subito profonde

rivoluzioni, in termini di importanza e frequenza, che nessun altro settore ha mai visto in un

arco di tempo così ristretto.

Lo dimostra anche il fatto che in questi decenni è cambiato frequentemente il modo di

definire tutte le teorie, i modelli e le pratiche susseguitesi in questi ultimi 60 anni di

evoluzioni. Oggi si preferisce identificare con ICT, acronimo di Information &

Communication Technology, l'insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi

di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni (tecnologie digitali comprese),

espressione sempre più spinta verso la convergenza in un unico grande ambito

dell'informatica e delle telecomunicazioni, sia pure con obiettivi e compiti ancora separati: la

prima sul piano applicazioni, la seconda sul piano infrastrutturale44

.

La domanda che sorge spontanea allora è: che cosa, dagli anni ’50 a oggi, è cambiato e in che

modo queste innovazioni hanno influito sulle aziende e sulle persone? Dare una risposta a

questo quesito è l’obiettivo e la sfida di questo capitolo.

Per analizzare tale evoluzione è utile partire dallo studio che Richard L. Nolan e C. Croson

pubblicarono45

sulla prestigiosa rivista di Harvard. I due ricercatori sostengono che dalla

nascita dell’IT ad oggi si possono distinguere tre “momenti” principali (l’Era Data

Processing, l’Era Micro e l’Era Network), durante i quali le imprese hanno assimilato tre

forme diverse di IT nelle varie funzioni dirigenziali. Secondo gli autori, le aziende hanno

sperimentato tre “curve a S” di apprendimento, ciascuna caratterizzata da un target

particolare, per quanto riguarda il mercato e il paradigma applicativo.

Durante quella che è stata definita l’era del trattamento dei dati, dal 1955 al 1970, l'attenzione

si è concentrata sull’automatizzazione dei sistemi di elaborazione delle transazioni manuali, in

quella dei microcomputer, dal 1970 al 1990, si fece leva sui lavoratori professionali (ad es.:

ingegneri, analisti finanziari e dirigenti) al fine di utilizzare i computer per accedere,

analizzare e presentare i dati. Entrambi questi orientamenti applicativi, automazione e ciò che

è stato definito come “informazione”, aveva un focus e un target di riferimento interno.

43 Gambino, 2009

44 Leggio, 2001

45 Nolan, Croson, 1995

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45

L'era della rete, invece, dal 1990 circa, è una conseguenza diretta della fusione delle

tecnologie informatiche con quelle di telecomunicazioni. L’integrazione tra le aziende di

queste tecnologie permise la formazione di un nuovo modo di lavorare, più adatto alla

concorrenza del mercato globale.

L’IT si è diffusa inesorabilmente in ogni angolo delle organizzazioni. In alcuni casi, ha

completamente sostituito attività eseguite inizialmente da dipendenti (es.: buste paga,

fatturazione, posta, etc.), in altri, invece, ha cambiato o migliorato interi processi aziendali

(es.: progettazione nuovo prodotto, gestione del rapporto col cliente, assistenza post vendita,

attività di marketing, pianificazione della produzione, etc.). Per molte organizzazioni le

applicazioni informatiche (alcune delle quali sviluppate internamente, ma la maggior parte

acquistate e implementate da fornitori esterni) sono divenute un requisito indispensabile per

svolgere le attività correnti e per aprire nuove opportunità di business.

Per completare lo studio di Nolan e Croson è necessario descrivere cosa è cambiato in questi

sedici anni, ovvero dalla pubblicazione del modello ad oggi, periodo in cui si è entrati in una

nuova epoca: l’Era Internet. Se prima le connessioni tra le aziende e le varie funzioni

aziendali erano centralizzate secondo un preciso schema punto-a-punto (es.: EDI, Mainframe,

etc.), oggi la realtà è ben diversa. Il confine, infatti, si è così allargato che è uscito dalla

singola azienda, spostandosi su una architettura distribuita, dove i dati, gli utenti, le

applicazioni e le aziende stesse sono parte di un'unica rete interconnessa a 365 gradi con il

mondo intero: il World Wide Web. Infatti, se i nodi che costituiscono la rete sono n, allora

tutti gli utenti che ne fanno parte possono potenzialmente comunicare con ognuno di essi, con

un numero di connessioni possibili pari a

, poiché fanno parte tutti della stessa rete:

Internet.

Figura 14 - Rielaborazione del modello “Three S-shaped learning curves” (Nolan e Croson, 1995)

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In Figura 14 è illustrata graficamente l’evoluzione dell’ICT dalle origini ad oggi, così come è

stata presentata nel modello di Nolan e Croson, con l’introduzione della quarta era e

includendo inoltre la trasformazione che le tecnologie dell’informazione hanno impresso alla

struttura organizzativa aziendale. Si possono distinguere, infatti, quattro tipologie di struttura

aziendale, che sono caratteristiche di ogni era:

1. Gerarchia centralizzata: nata principalmente dall’economia industriale e basata su una

gran quantità di forza lavoro nettamente separata dal top management. In questo caso

l’IT ha avuto un ruolo prettamente operativo/produttivo, piuttosto che di condivisione

e collaborazione. Il modello dominante, infatti, si fonda sui principi del controllo

gerarchico e della gestione centralizzata delle informazioni: il “sapere tecnologico”,

ovvero la gestione degli strumenti, è presidio di un numero ristretto di specialisti (i

cosiddetti “colletti bianchi”) ai quali è dato il potere di stabilire “cosa si può e cosa

non si può”. All’utente (“colletti blu”) è di fatto negata la possibilità di accedere alla

gestione del dato, ma può al massimo richiedere la presentazione delle informazioni

elaborate altrove, da un calcolatore centrale, attraverso un cosiddetto “terminale

stupido”, privo cioè di logica computazionale propria, ma utilizzato solamente come

periferica di input/output delle istruzioni.

2. Organizzazione a diamante: orientata alle funzioni aziendali, dove è presente un

nuovo strato intermedio di collegamento tra i “colletti bianchi” e quelli “blu”, ovvero i

“knowledge worker”. Il termine fu coniato per la prima volta nel 1969 da Peter

Drucker, nel suo libro “The Age of Discontinuity”, intendendo con esso “colui che

lavora principalmente con le informazioni o chi sviluppa e usa la conoscenza

nell’ambiente di lavoro” 46

. È questa l’era in cui avviene il trasferimento top-down

delle informazioni aziendali per essere utilizzate e rielaborate secondo il modello dello

“Stand Alone”. Dalla fine degli anni ’60, infatti, i terminali iniziano a diventare

“intelligenti, ovvero dotati di una propria capacità di elaborazione, rispondendo al

bisogno di una maggior autonomia nella gestione dei dati e del know-how aziendale.

La maggior accessibilità ai dati e agli strumenti per la loro gestione sensibilizza

maggiormente l’attenzione delle aziende nei confronti di una più diffusa conoscenza

dell’IT. Cambia dunque la percezione che si ha delle due aree del sapere, quella

manageriale e quella tecnologica, che non possono più essere considerate come due

realtà distinte e lontane. Tecnologia e strategia hanno, infatti, bisogno di comunicare

per perseguire gli obiettivi comuni; il manager ha la necessità di interagire con il

46 Drucker, 1969

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personale tecnico per lavorare in modo più efficace ed efficiente, secondo le proprie

esigenze e le proprie aspettative, al fine di ottenere prestazioni migliori.

3. Organizzazione a matrice: si sposta il focus dell’organizzazione, che non è più

incentrato sulle singole funzioni aziendali, ma si predilige adottare una modalità di

lavoro orientata più ai processi, che alle singole Business Unit. Nella seconda metà

degli anni ottanta questo metodo di lavoro fu adottato anche grazie alla possibilità di

connettere in rete i personal computer distribuiti all’interno dell’organizzazione. La

modalità che si diffuse maggiormente all’interno delle imprese fu l’architettura

client/server, che offrì sia una maggior autonomia decisionale all’utente finale, sia una

concreta possibilità di crescita alle aziende con meno risorse finanziarie, che non

potevano permettersi i costosissimi Mainframe. Ma la Rete che conosciamo oggi,

nella forma aperta e mai realmente controllabile, inizia a diffondersi dai primi anni ’90

con l’esplosione del fenomeno Internet e delle Web Technologies. Tale espansione ha

accelerato il processo di integrazione tra tecnologia e strategia aziendale, reso d’altra

parte sempre più complesso, e mai ben definito a priori, dalla frequente introduzione

sul mercato di nuovi prodotti e servizi, sviluppati da molteplici aziende.

4. Organizzazione a stella: l’ultima Era, che è quella in cui ci troviamo ora, rappresenta

di fatto un cambiamento meno netto e radicale rispetto all’evoluzione tecnologica in

sé, poiché figlia di successive innovazioni incrementali. La vera dicotomia risiede

nell’ulteriore trasformazione ed evoluzione che le imprese si trovano ad affrontare,

costrette a riorganizzarsi velocemente per adattarsi alle necessità del business. Perdono

sempre più importanza le attività di standardizzazione dell’organizzazione, di

realizzazione di mansionari e di creazione di organigrammi con posizioni lavorative

fisse, poiché utili solamente a livello teorico ma che, dal lato pratico, non trovano un

riscontro effettivo. Le strutture pesanti, gerarchizzate e lente a riorganizzarsi faticano,

oggi, a rimanere sul mercato mantenendo un adeguato livello di profitto. Le piccole-

medie imprese che, invece, adottano strutture più snelle e flessibili, rese possibili dai

recenti mezzi di comunicazione, collaborazione e condivisione, fanno del networking

la vera forza per competere sul mercato nazionale e internazionale. Si predilige il

lavoro in team interdisciplinari, costituiti ad hoc per rispondere al meglio ai bisogni

provenienti dal mercato, piuttosto che strutturarsi solamente su processi e prodotti

prestabiliti. Questa modalità operativa permette di ridurre il TTM (Time-To-Market),

rimanendo ancor più competitivi e flessibili nel soddisfare le esigenze del mercato

moderno, sempre più incerto e mutevole. Il flusso del lavoro, inoltre, esce e rientra

dall’organizzazione più volte, facendo sparire il confine tra ciò che è impresa e ciò che

non lo è. Vengono coinvolte contemporaneamente più Business Unit alla volta e la

collaborazione intra ed extra aziendale è ormai fondamentale per rimanere competitivi

sul mercato, dato l’utilizzo sempre maggiore di outsourcing, conto lavoro, terzisti,

subappaltatori, etc. Il flusso segue una sua logica e “corre” in un’unica direzione ed è

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compito delle imprese adeguare e preparare la struttura a riorganizzarsi velocemente.

Il concetto di gestione accentrata delle informazioni ed elaborazione dei dati è oggi

totalmente ribaltato. La logica dell’interconnessione, che rende tutti gli individui nodi

di un’unica Rete, impone un ripensamento del ruolo dell’Information &

Communication Technology all’interno delle aziende. La tecnologia non è più solo

uno strumento attraverso il quale l’azienda ricerca una più efficace gestione delle

proprie attività (ovvero una risposta alle sue esigenze di governo della complessità

interna, obiettivo che ha nella grande diffusione dei sistemi di Enterprise Resource

Planning la sua principale dimostrazione), ma diventa anche la leva attraverso la quale

l’azienda ripensa in maniera radicale il modo in cui gestisce il proprio business,

rileggendo la propria catena del valore disgregandola e riaggregandola in modalità del

tutto nuove.

Descrizione di un sistema informativo

Nell’era dei personal computer e di Internet le informazioni da gestire sono sempre più

innumerevoli, sia nelle organizzazioni complesse, che in quelle di dimensioni inferiori. Saper

governare, controllare e utilizzare efficacemente il know-how presente all’interno e

all’esterno della propria impresa, può essere uno dei differenziali competitivi su cui

un’impresa può far leva. Sia che si tratti di imprese di servizi o di prodotto, le informazioni

sono diventate una risorsa fondamentale per il funzionamento delle organizzazioni, poiché

permetto di pianificare/controllare le attività, documentare/condividere le operazioni e

programmare/valutare le prestazioni.

I Sistemi Informativi (SI) hanno trovato il loro scopo proprio in queste fasi del processo

produttivo, fornendo gli strumenti adeguati per automatizzare l’acquisizione, l’elaborazione e

l’archiviazione delle informazioni. Prima di procedere con l’analisi di quest’ultimi è

necessario distinguere il Sistema Informativo dal sistema informatico, che “è solo una

porzione dei SI, in quanto è costruito dalle sole applicazioni informatiche destinate a

elaborare le informazioni utilizzate nel funzionamento delle organizzazioni”(Bracchi, Francalanci,

e Motta 2005).

A questo punto, per analizzare e comprendere i diversi aspetti di un Sistema Informativo, è

necessario esaminare le componenti da più punti di vista, a seconda delle unità organizzative

interessate, delle funzionalità ricoperte o dei sistemi Hardware e Software che li compongono.

Si farà riferimento al Modello dei Sistemi Informativi proposto per la prima volta nel 2005 da

G. Bracchi, C. Francalanci e G. Motta.

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Figura 15 - Modello dei Sistemi Informativi (Bracchi, Francalanci, Motta, 2005)

Il modello che si andrà a presentare, riassunto sinteticamente in Figura 15, definisce alcuni

elementi fondamentali per la progettazione di un Sistema Informativo aziendale.

L’implementazione di un SI, infatti, riflette vari ordini di scelte, che devono essere

complementari e sinergiche tra loro, a partire dalle decisioni strategiche fino a quelle più

specifiche di HW e SW, passando per le caratteristiche funzionali che tale sistema deve

soddisfare.

Modello Organizzativo

Il primo ramo da esaminare del modello schematizzato in Figura 15 è sicuramente quello del

Modello Organizzativo, non per importanza relativa rispetto agli altri due (egualmente

rilevanti), ma per ordine logico con il quale si dovrebbe affrontare tale analisi. Questo perché

nella pratica comune si è soliti iniziare dal prodotto finito che un fornitore tenta di proporre,

individuando successivamente le funzionalità che potrebbero essere utili al cliente e solo in

ultima analisi si identificano gli utenti dell’organizzazione che lo utilizzeranno.

A volte questo modo di operare può portare dei benefici concreti, quando ad esempio si vuole

uniformare un proprio processo a qualche Best Practice riconosciuta a livello internazionale.

Il più delle volte, invece, è una metodologia che risulta, purtroppo solamente alla fine,

completamente errata e che porta al fallimento del progetto stesso.

Per portare a termine con successo, invece, un cambiamento o un miglioramento del proprio

Sistema Informativo, si dovrebbe individuare dapprima l’area di intervento e le persone

coinvolte, andando successivamente a individuare le attività che necessitano un

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miglioramento dal punto di vista funzionale e solo alla fine individuare quale sia

l’applicazione o il sistema, tra i vari disponibili sul mercato, che meglio risponda alle

conclusioni tratte dalle due analisi precedenti.

Figura 16 - Organizzazione aziendale e attività tipiche di una impresa manifatturiera (Porter, 1985)

Fatta questa doverosa premessa, si illustra il modello a partire da una tipica organizzazione

aziendale di una industria manifatturiera, rappresentabile con un organigramma

esemplificativo delle gerarchie e delle aree di competenza (Figura 16). Come

precedentemente illustrato nel Paragrafo 3.1, oggigiorno questa descrizione aziendale ha

confini molto più labili rispetto a qualche decennio fa, a causa delle recenti tecnologie che

spostano il confine aziendale al di fuori dell’azienda stessa. Ciò è vero maggiormente nelle

società di servizi, un po’ meno in quelle di prodotto, dove i processi operativi sono

quantomeno ben definiti.

Le attività aziendali, invece, possono essere ancor oggi rappresentate come furono analizzate

da M. Porter nel 1985, nel noto schema della catena del valore47

. Anche se il modo di lavorare

di oggi è sensibilmente diverso da quello di vent’anni fa, le tipiche operazioni aziendali

possono essere facilmente ricondotte a questa suddivisione. Di conseguenza anche i SI che

sono stati sviluppati negli anni integrano e governano sia le attività di supporto (Infrastruttura

47 Porter, 1985

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dell’impresa, Gestione delle risorse umane, Sviluppo della tecnologia e Approvvigionamenti),

che i processi primari (Logistica interna, Produzione, Logistica esterna, Marketing e Vendite

e Servizio post-vendita).

Come riportato all’inizio di questo paragrafo, a seconda del livello organizzativo che si

considera nell’analisi, deve cambiare l’approccio da adottare e i sistemi da implementare. Una

buona distinzione è fornita dal modello della Piramide Manageriale48

presentato da Robert

Anthony, nel quale ogni organizzazione può essere vista come un'entità più livelli, ove

ognuno rappresenta un diverso livello di controllo. Inoltre, il livello inferiore ha un ambito

diverso di dati richiesti e una vista dell’organizzazione meno estesa rispetto a quello

superiore. Infatti, più è alto il livello, più le funzioni aziendali diventano interconnesse tra

loro, fino ad arrivare al vertice aziendale, dove la visione dell’organizzazione è globale e

percepita come un flusso continuo di dati. In Figura 17 è schematizzata la piramide con la

distinzione per ogni livello gerarchico la tipologia di SI da adottare: Analitici, Direzionali e

Operativi.

Figura 17 - Piramide di Anthony e SI (Anthony, 1965)

Le caratteristiche di ognuno possono essere così riassunte:

SI Operativi: supportano la pianificazione e l’esecuzione delle attività operative, sia

primarie che di supporto, e sono orientati alla elaborazione dei dati. Gli input sono

specifici e derivano dagli eventi delle attività correnti; mentre i flussi gestionali

passano attraverso l’organizzazione dall’alto verso il basso, la maggior parte dei flussi

informativi viaggiano in senso contrario. A livello operativo tutto il lavoro si verifica a

causa di una transazione o in una risposta alla gran quantità di dati esterni da inserire o

al compimento di altre attività interne che hanno provocato un cambiamento di stato.

48 Anthony, 1965

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Il destinatario principale dei dati è il livello operativo, di conseguenza le applicazioni e

i sistemi rivolti a questo gruppo sono, necessariamente, limitati. Il livello operativo è

principalmente orientato all’elaborazione e al compito, piuttosto che alle funzioni.

Ogni area operativa orientata in verticale può includere al livello più basso molte

applicazioni specializzate. L'area può avere un grado di automazione qualsiasi e può

essere integrata in se stessa in qualsiasi grado. Queste aree operative sono state le

prime ad essere sistematizzate e di solito sono anche quelle più facili da

automatizzare. Le loro attività sono particolarmente adatte alla proceduralizzazione e

sono solite avere un alto grado di standardizzazione e di regolamentazione definita a

priori.

SI Direzionali: i livelli manageriali o amministrativi controllano e organizzano non

solo le azioni della società sulla base di input organizzativi, ma svolgono anche

l'attività di vigilanza volta a garantire il corretto funzionamento dell’azienda stessa. Il

livello gestionale controlla anche le performance di lavorazione e di qualità ed è

responsabile dell'attuazione tattica delle politiche e delle indicazioni ricevute dal

livello strategico. Il livello gestionale, a differenza di quello operativo, è orientato alle

funzioni e ai processi. I dati gestionali sono più fluidi e limitati rispetto al livello

gerarchicamente inferiore, ove le persone dipendono maggiormente dai dati

quantitativi. I dati gestionali e amministrativi, invece, provengono quasi

esclusivamente da fonti interne e riflettono la salute operativa della società. I SI

Direzionali controllano le operazioni quotidiane e possono essere utilizzati sia a livello

di sintesi, che di dettaglio. Nella maggior parte dei casi i dati vengono estratti da

report operativi, con una frequenza inferiore rispetto al livello sottostante (Figura 18).

Figura 18 - Interazione tra i SI Operativi e quelli Direzionali (Ficagna, 2006)

SI Analitici: hanno come obiettivo la presentazione rielaborata dei dati aziendali sulle

performance economico/operative della azienda (Figura 19). I requisiti informativi

derivano da eventi passati e da attività esterne, in modo tale da fornire la più ampia

visione possibile della società. Il livello strategico è il responsabile globale della

politica e della direzione aziendale ed è principalmente orientato alle funzioni

piuttosto che ai singoli processi/attività. In questo caso i sistemi più comuni rientrano

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sotto il nome di Business Intelligence (approfonditi successivamente nel Paragrafo

3.4) che operano utilizzando tecniche quali ETL, Datawarehouse, statistica classica,

profilatura/segmentazione, Data/Text Mining, etc. In questo modo i dati strategici

sono altamente concentrati, contenendo solamente quei pochi dettagli fondamentali

che focalizzano l’attenzione sulle leve a disposizione del Top Management. Spesso le

informazioni sono riassunte da indicatori sintetici, i cosiddetti Key Performance

Indicators (KPI), presentati attraverso cruscotti visivi che indicano la salute operativa

dell'azienda e che permettono di confrontare velocemente le alternative disponibili. La

gran parte dei dati a questo livello è di natura finanziaria e riguarda direttamente i

bilanci e i risultati economici dell'azienda. Dati strategici sono quindi un mix di

informazioni generate internamente per essere utilizzate come benchmark quantitativi

con i propri competitors e con l'economia nazionale/internazionale nel complesso.

Figura 19 - Interazione tra i vari livelli aziendali (Ficagna, 2006)

Modello Funzionale

Il modello funzionale descrive nel dettaglio le esigenze gestionali di elaborazione della

informazione a cui rispondono i SI. Tale modello definisce “che cosa” il SI deve fare, a

prescindere dalla sua implementazione informatica, cioè dal “come”) e si suddivide in tre

prospettive:

Modello dei processi: descrive per ciascuna procedura il flusso delle attività aziendali

che il SI supporta, per informatizzare i processi gestionali, ovvero i cicli di attività

attraverso cui una organizzazione opera. Un processo gestionale è definibile, in prima

approssimazione, come un flusso di attività collegate. In maniera più precisa e

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articolata, un processo gestionale può essere definito come una successione di attività

(flusso), svolte da una o più organizzazioni in una o più località, che utilizzano una

gamma di risorse (materie prime, persone, informazioni, impianti, etc.), su oggetti

materiali (oggetti fisici) e/o immateriali (oggetti informativi), che risponde alle

richieste di servizio o prodotto di uno o più clienti, producendo uno o più prodotti e/o

servizi materiali e/o immateriali. Le caratteristiche elencate definiscono la

configurazione di un processo e, inoltre, permettono di classificare i processi rispetto

ad una serie di punti di vista rilevanti per i SI: complessità, localizzazione e materialità

degli oggetti. La complessità del processo può essere considerata proporzionale al

numero di attività e alle relazioni fra le attività. La inter-aziendalità del processo

rispecchia il numero delle organizzazioni coinvolte. La localizzazione distingue fra

processi locali, interamente svolti in una sola località e processi de-localizzati, le cui

attività svolte sono distribuite su più sedi. La materialità degli oggetti distingue fra

processi fisici e processi informativi. Per la modellazione di un processo gestionale è

solitamente utilizzato il diagramma delle attività in UML (Unified Modeling

Language), poiché permette di descrivere, in un linguaggio semplice e standardizzato,

ogni procedura funzionale corrispondente ad una porzione di processo come una

sequenza di task e di decisioni che specificano quando e come tali task vengono

eseguiti. In Figura 20 è rappresentata la modellazione di un processo di “Gestione

degli acquisti e approvvigionamento” utilizzando tale linguaggio. Il diagramma

utilizza frecce orientate per specificare la direzione del flusso delle attività all’interno

del processo e inoltre tramite le cosiddette “swimlanes” permette di associare le

attività all’attore che ne è direttamente responsabile. È possibile, inoltre, rappresentare

i punti di decisione, detti “branch”, tramite rombi in cui il processo, a fronte di

controlli su specifiche variabili o in corrispondenza di un evento, decide quale flusso

percorrere tra quelli alternativi.

Figura 20 - Esempio diagramma delle attività

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Modello dei casi d’uso (Use-Case): definisce i requisiti delle singole elaborazioni,

specificando le procedure da informatizzare e le loro interazioni con attori e sistemi

coinvolti. Sono impiegati soprattutto nel contesto della Use Case View (vista dei casi

d'uso) di un modello e, in tal caso, si possono considerare come uno strumento di

rappresentazione dei requisiti funzionali di un sistema. Tuttavia, non è impossibile

ipotizzare l'uso degli UC in altri contesti; durante la progettazione, per esempio,

potrebbero essere usati per modellare i servizi offerti da un determinato modulo o

sottosistema ad altri moduli o sottosistemi. In molti modelli di processo software

basati su UML, la Use Case View e gli Use Case Diagram che essa contiene

rappresentano la vista più importante, attorno a cui si sviluppano tutte le altre attività

del ciclo di vita del software (processi del genere prendono l'appellativo di processi

Use Case Driven).

Modello dei dati: individua i dati scambiati e manipolati nelle diverse attività e

definisce la struttura e i contenuti della base dati. Il modello, detto anche relazionale, è

un modello logico di rappresentazione dei dati implementato su sistemi di gestione di

basi di dati (DBMS), detti perciò sistemi di gestione di basi di dati relazionali

(RDBMS). Esso si basa sulla teoria degli insiemi e sulla logica del primo ordine ed è

strutturato attorno al concetto di relazione (detta anche tabella). Per il suo trattamento

ci si avvale di strumenti quali il calcolo relazionale e l'algebra relazionale. Venne

proposto da Edgar F. Codd nel 1970 per semplificare la scrittura di interrogazioni sui

database e per favorire l’indipendenza dei dati; venne reso disponibile come modello

logico in DBMS reali nel 1981. Oggi è uno dei modelli logici più utilizzati,

implementato su moltissimi DBMS sia commerciali che open source. L'assunto

fondamentale del modello relazionale è che tutti i dati sono rappresentati come

relazioni e manipolati con gli operatori dell'algebra relazionale o del calcolo

relazionale. Il modello relazionale consente al progettista di database di creare una

rappresentazione consistente e logica dell'informazione. La consistenza viene ottenuta

inserendo nel progetto del database appropriati vincoli, normalmente chiamati schema

logico. La teoria comprende anche un processo di normalizzazione in base al quale

viene selezionato tra le diverse alternative lo schema maggiormente “desiderabile”. Il

piano di accesso e altri dettagli operativi vengono gestiti dal motore del DBMS e non

dovrebbero trovare spazio nello schema logico: questo è in contrasto con la pratica

corrente in molti DBMS di ottenere miglioramenti delle prestazioni attraverso

modifiche dello schema logico. La struttura base del modello relazionale è il dominio

o tipo di dato, definito come l'insieme dei valori che può assumere un determinato

attributo. Una tupla è un insieme non ordinato di valori degli attributi. Un attributo è

una coppia ordinata di "nome di attributo" e "nome di tipo", mentre un valore di

attributo è un valore specifico valido per quel tipo di dato. Una relazione consiste di

una testata e di un corpo, dove la testata è un insieme di attributi e il corpo è un

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insieme di n tuple. La testata di una relazione è anche la testata di ciascuna delle sue

tuple. La tabella è la rappresentazione grafica normalmente accettata per rappresentare

la relazione. Il principio base del modello relazionale è che tutte le informazioni siano

rappresentate da valori inseriti in relazioni (tabelle); dunque un database relazionale è

un insieme di relazioni contenenti valori e il risultato di qualunque interrogazione (o

manipolazione) dei dati può essere rappresentato anch'esso da relazioni (tabelle).

Modello Informatico

Rispetto alla Figura 15, che rappresenta il modello complessivo dei Sistemi Informativi, sono

state fin qui descritte due delle tre componenti che lo caratterizzano, ovvero il modello

organizzativo, che definisce le caratteristiche del SI sulla base degli utenti e dei loro requisiti

informativi, e quello funzionale, che stabilisce le funzionalità da realizzare per soddisfare le

richieste.

A questo punto si pone l’attenzione sull’ultimo ramo rappresentato, ovvero il modello

informatico, che si pone l’obiettivo di descrivere “come” i SI sono realizzati. Nell’ambito di

tale modello si distinguono due punti fondamentali:

Modello applicativo: descrive l’architettura del software applicativo, che

concettualmente può essere scomposto in tre strati (layer o tier) fondamentali: lo

strato di presentazione, che gestisce l’interfaccia utente e il dialogo con quest’ultimi,

lo strato delle regole, che gestisce i calcoli, le operazioni e i controlli che devono

essere eseguiti dal sistema e infine dallo strato dei dati, che gestisce le strutture

destinate ad ospitare i dati e le operazioni di accesso a quest’ultimi.

Modello tecnologico: si focalizza sull’infrastruttura fisica di supporto alle elaborazioni

e si distingue in architetture hardware e di rete. Tale modello deve rispondere ad una

serie di requisiti non funzionali del SI quali il tempo di risposta (tempo per

visualizzare la risposta ad una operazione), la disponibilità (percentuale di tempo con

sistema in servizio e utilizzabile), carico (elaborazioni e utenze concorrenti che il

sistema è in grado di sopportare), scalabilità (possibilità di incrementare il carico a

costi contenuti), sicurezza (protezione del sistema rispetto ad azioni volte a impedirne

il funzionamento, sottrarne indebitamente le informazione, manipolarne il

funzionamento o i dati), etc.

3.2 Mappatura dei SI aziendali

Come ogni organizzazione umana le imprese sono realtà molto complesse, di non facile

scomposizione e di difficile “mappatura”. A questa ovvia regola generale non si sottraggono

le informazioni ed i sistemi chiamati ad organizzarle. Nell'impresa digitale sono molti i

Sistemi Informativi che supportano le attività necessarie al funzionamento dei processi: dai

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sistemi di posta elettronica, all'automazione della produzione, dalla gestione della fatturazione

ai sistemi di gestione della relazione con il cliente.

In definitiva, prima ancora della scelta relativa al migliore software tra i vari ERP, PLM,

CRM, e così via, ci si dovrebbe domandare quali siano i software a disposizione e quali

compiti essi assolvano. Il fattore chiave è capire esattamente come si articolano i Sistemi

Informativi, al fine di poter pianificare e progettare in modo consapevole i propri sistemi.

Le suddivisioni e le interpretazioni che si possono dare ad un SI sono molteplici e tutte

fondamentali, come visto nel Paragrafo 3.1, ma generalmente parlando si riducono a tre filoni

interpretativi: economico, tecnico e organizzativo. Il primo tipo di analisi si concretizza

nell'esame dei bisogni che spingono un'impresa a dotarsi degli strumenti informatici, l’aspetto

tecnico delinea le componenti del sistema e come queste saranno utilizzate e, infine, la

componente organizzativa studia i processi e le risorse necessarie.

Come è facilmente intuibile, non è possibile supportare tutte le attività, le funzioni e i processi

visti nel Paragrafo 3.1, con un unico grande software. La presenza di molte applicazioni

nell’azienda, che permettono di realizzare processi su domini diversi, devono allo stesso

tempo poter interagire fra loro, sia nel contesto interno dell’azienda, che con partner esterni e

a volte anche fra sedi diverse della stessa società. Storicamente, infatti, le aziende si sono

dotate di una molteplicità di strumenti che, col tempo, hanno avuto la necessità di cooperare e

comunicare, creando inevitabilmente la cosiddetta “spaghetti architecture” (Figura 21). Con

questo termine si identifica un tipico SI composto da una struttura complessa, che connette

piattaforme e applicativi di vendor diversi tra loro e con basi di dati separate, ma che devono

poter operare sugli stessi set di dati.

Figura 21 - Esempio di una architettura a spaghetti (Storr, 2007)

L’utilizzo di comunicazioni Point-to-Point, di protocolli non standard e la realizzazioni di

interfacce non omogenee, portano inevitabilmente a una sovrapposizione funzionale e ad un

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maggiore costo sia delle evoluzioni che della normale manutenzione dell’architettura

complessiva. Questi elementi comportano ad aumentare la complessità del SI, che risulta

ancora più complesso nel momento in cui si necessita una razionalizzazione o una descrizione

degli elementi che compongono l’architettura globale dell’azienda. Inoltre rende più difficile

il lavoro dei dipendenti che si trovano a dover interagire e apprendere sistemi differenti tra

loro, rendendone difficoltoso il capire “cosa succede” quando si vogliono tracciare i processi

che coinvolgono più componenti, anche a causa di una documentazione assente o

insufficiente.

In questo decennio, per risolvere totalmente o parzialmente questi problemi, si è ricorsi ad una

architettura che si è largamente diffusa nella creazione dei moderni Sistemi Informativi

aziendali: la Service Oriented Architecture (SOA). Una SOA è progettata per il collegamento

a richiesta di risorse computazionali (principalmente applicazioni e dati), per ottenere un dato

risultato per gli utenti, che possono essere utenti finali o altri servizi. L'OASIS

(Organizzazione per lo sviluppo di standard sull'informazione strutturata) definisce la SOA

così: “un paradigma per l'organizzazione e l'utilizzazione delle risorse distribuite che possono

essere sotto il controllo di domini di proprietà differenti. Fornisce un mezzo uniforme per

offrire, scoprire, interagire ed usare le capacità di produrre gli effetti voluti consistentemente

con presupposti e aspettative misurabili”.

In sostanza è una un'architettura software (Figura 22) che consente di supportare l'uso di

servizi Web per garantire l'interoperabilità tra diversi sistemi, in modo da consentire l'utilizzo

delle singole applicazioni come componenti del processo di business e soddisfare le richieste

degli utenti in modo integrato e trasparente. Questa architettura consente quindi di pensare

all'interconnessione tra soggetti economici, come le aziende, come un processo dinamico, non

predeterminato.

Figura 22 - Architettura di riferimento di una SOA (Mainetti, 2010)

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3.2.1 Introduzione: gli Enterprise Systems

Gli Enterprise Systems (ES) sono l’insieme degli applicativi che compongono il sistema

informatico dell’azienda, con il compito di supportare le attività operative (transazionali)

dell’azienda. Più precisamente, sono composti da applicazioni software, più o meno integrate

tra loro, che utilizzano risorse computazionali, di memorizzazione e di trasmissione dei dati

delle moderne tecnologie informatiche a supporto dei processi di business, dei flussi

informativi, della reportistica e dell’analisi dei dati. Solitamente si confondono (o meglio si

equiparano) gli ES con gli Enterprise Resource Planning (ERP), a causa dell’espansione di

quest’ultimi in termini di importanza e di copertura funzionale, poiché riescono a supportare

la maggior parte dei processi aziendali. In realtà con il termine ES si intendono non solo la

suite ERP (approfondita successivamente nel Paragrafo 3.3), ma anche quegli applicativi più

o meno “stand alone” che supportano particolari processi in determinate attività/settori (Office

Automation, CNC, CAD, etc.).

Gli ES, o meglio gli Information Systems, possono essere suddivisi in 6 macro categorie

(Figura 23):

Executive Support System (ESS): sono dei sistemi di reporting che permettono di

trasformare i dati dell’organizzazione in riassunti utili report. Quest’ultimi sono

generalmente usati dal Top Management aziendale per accedere velocemente alle

informazioni provenienti da tutti i livelli e le Business Unit dell’organizzazione,

contenenti rapporti sullo stato delle vendite, sulla contabilità dei costi, sul personale,

sulla concorrenza, sul mercato e altro ancora. Oltre a rielaborare e a presentare in

maniera aggregata i dati, alcuni ESS forniscono anche delle proiezioni su una serie di

performance e risultati derivanti dagli input inseriti dal decisore.

Management Information System (MIS): producono rapporti fissi e programmati

regolarmente sulla base dei dati estratti e sintetizzati dai sistemi di transazione (TPS),

per i dirigenti di livello medio e talvolta per le unità operative, al fine di fornire

risposte tempestive a problemi decisionali strutturati e semi-strutturati. Possono

includere software che aiutano nel processo decisionale, database, project management

e tutti quei sistemi automatici che permettono al reparto di operare in modo efficiente.

Decision Support System (DSS): si riferisce ai sistemi automatici interattivi che

prelevano e presentano i dati provenienti da un ampio range di risorse per permettere

al management di prendere decisioni nei vari dipartimenti; utilizzando strumenti di

simulazione, analisi degli scenari, tecniche “what-if”, ottimizzazione delle scelte, serie

storiche, correlazioni, data mining, etc.

Knowledge Management Systems (KMS): esistono per aiutare le aziende a creare e

condividere le informazioni. Questi sono tipicamente utilizzati nei settori dove la

creazione e la conservazione di nuove conoscenze e competenze risulta essere un

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fattore chiave di successo. Non solo facilitano la generazione di nuove idee, ma

permettono di condividerle con le altre persone dell'organizzazione, di creare ulteriori

opportunità commerciali e di poter essere riutilizzate nel tempo. Buoni esempi sono

studi di avvocati, commercialisti e consulenti aziendali. I KMS sono costruiti attorno a

sistemi che consentono una categorizzazione e una distribuzione efficiente della

conoscenza. Quest’ultima, ad esempio, può essere contenuta in documenti di testo,

fogli di calcolo, presentazioni di PowerPoint, pagine Internet o su qualsiasi altro DB

aziendale. Per connettere tutte queste risorse è necessario una Intranet a disposizione

dei dipendenti dell’azienda.

Office Automation Systems (OAS): sono sistemi che cercano di migliorare la

produttività dei dipendenti che hanno bisogno di elaborare dati e informazioni.

L’esempio migliore è la vasta gamma di pacchetti software che esistono supportare le

tipiche attività che si svolgono in un ufficio, dei quali in più diffuso è sicuramente la

suite Microsoft Office.

Transaction Processing System (TPS): permettono di automatizzare e rendere più

efficienti procedure quotidiane quali l'emissione di fatture, la gestione delle presenze

del personale, il controllo delle movimentazioni a magazzino, la contabilità generale,

l’aggiornamento e la manutenzione delle anagrafiche, la stampa della documentazione

di trasporto, etc. Sono sistemi pensati per il personale operativo e tendono ad

automatizzare i processi semplici e standardizzati; tant’è vero che nelle PMI si tende

ad esternalizzare alcune di queste attività, quali la gestione delle paghe, per ridurne i

costi.

Figura 23 - Tipologie di Information Systems (Ficagna, 2006)

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Anche in un mondo in cui si sta andando sempre più verso la convergenza digitale, si è visto

come ad una azienda non possa bastare un singola applicazione su una singola architettura,

ma è necessario un insieme coerente e integrato di soluzioni tecnologiche. Spesso, infatti, è

proprio il livello di integrazione dei dati aziendali a far la differenza tra una gestione efficace

e efficiente delle informazioni e una poco produttiva.

Oramai i trend dettati dai grandi vendor sono quelli di fornire piattaforme già capaci di

integrare e interagire nativamente con i sistemi più diffusi in commercio, attraverso linguaggi

standard di comunicazione e interfacciamento (XML, HTTP, API, etc.). Spesso, però, tali

sistemi sono prerogativa delle grandi imprese, in quanto necessitano sia di investimenti

importanti che di una struttura IT interna adeguata per il mantenimento dei SI aziendali

(fattore non irrilevante per quanto riguarda le PMI). Le società di dimensioni inferiori ai 250-

500 dipendenti preferiscono evolvere per gradi ed implementare progressivamente parti di

soluzioni più complesse, dette moduli.

Un modulo è un insieme di funzionalità implementate mediante software che supportano una

fase del processo aziendale. I moduli sono a loro volta classificati in due tipi, orizzontali e

verticali (Figura 24). I primi sono generalmente invarianti rispetto al settore e, infatti,

supportano tutte quelle attività definite come staff nella classificazione di Porter (ad es.:

contabilità, bilancio, controllo di gestione, HR, cespiti, etc.); quelli verticali, invece, sono

solitamente specifici per ciascun settore e ricoprono tutte le fasi principali della

trasformazione dell’input in output, identificabili come line (ad es.: produzione, marketing,

magazzino, logistica, etc.).

Figura 24 - Moduli ES (Ficagna, 2006)

Questa mappatura, inoltre, è solitamente usata per rappresentare la copertura di un SI o per

confrontare tra loro due o più soluzioni alternative, andando ad esempio ad individuare quali

funzionalità/moduli sono presenti o meno nelle varie applicazioni analizzate (Figura 25).

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Figura 25 - Copertura e confronto di ES (Ficagna, 2006)

3.2.2 La segmentazione degli Enterprise Systems

La segmentazione degli ES può essere a scopo conoscitivo, per analizzare le esigenze

informative di una azienda o di un gruppo di imprese di un dato settore, o per confrontare le

offerte di ES da parte dei player del mercato. Individuare i vari moduli, inoltre, ha anche una

finalità progettuale, per definire una strategia di evoluzione nel tempo dei propri Sistemi

Informativi, oppure a scopo di benchmark, per paragonare tra loro soluzioni ES alternative e

individuare il pacchetto che meglio si adatta alle esigenze attuali e future (software selection).

Esistono numerose metodologie per definire la segmentazione del proprio portafoglio

applicativo e tra queste si riportano:

Business System Planning (BPS): metodo per analizzare, definire e disegnare

l’architettura dell’informazione di una organizzazione. Fu per la prima volta proposto

da IBM nel 1971, inizialmente a uso interno e successivamente proposto ai propri

clienti, al fine di identificare fabbisogni, funzionalità e aree di intervento. Il risultato di

un progetto di BSP è una tabella di marcia che permette di allineare gli investimenti

tecnologici alla strategia di business, attraverso la realizzazione di matrici che mettono

in relazione elementi diversi dell’organizzazione e/o del sistema informativo.

o Vantaggi: è un metodo “completo” e articolato (analisi dei sistemi), coerente

con l’impostazione “dall’organizzazione al sistema informativo”. L’input è

chiaro e ben definito e l’output è utile per tradurre immediatamente l’analisi in

termini progettuali. È possibile applicare il modello con diversi gradi di

dettaglio, a seconda del perimetro di analisi, ad esempio al sistema completo di

un’azienda oppure alle singole porzioni o applicazioni. Si analizza il sistema

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attuale mettendolo in relazione con gli obiettivi di medio/lungo termine (analisi

statica);

o Criticità: approccio “costoso”, in quanto molto approfondito e caratterizzato da

un processo analitico lungo e articolato. Risulta essere troppo oneroso per un

progetto di mappatura del SI o di software selection, è più adatto ad una

progettazione di dettaglio di un SI proprietario. Si riscontra una difficoltà

nell’analizzare contesti indeterminati e non definisce un percorso evolutivo per

arrivare al risultato finale.

Modello del Portafoglio Applicativo (PA): segmenta gli ES delle imprese industriali,

incrociando le fasi del ciclo di trasformazione (dalla logistica in ingresso fino

all’assistenza post-vendita) con la tipologia dei processi operativi (pianificazione e

esecuzione). Il confronto tra queste due classificazioni individua la griglia del

portafoglio applicativo, che di conseguenza permette di identificare la mappa degli ES

aziendali esistenti e/o potenzialmente impiegabili (Figura 26). i moduli ES, le fasi

rispecchiano il ciclo di trasformazione delle imprese industriali (progettazione,

approvvigionamenti, produzione, distribuzione), mentre le attività operative

rispecchiano il ciclo di pianificazione e esecuzione tipiche di quasi tutti i settori

industriali.

Figura 26 - Modello del Portafoglio Applicativo (Ficagna, 2006)

Modello SCOR (Supply Chain Operation Reference): fornisce una mappa di

riferimento per i processi inter-aziendali lungo la Supply Chain, ovvero la catena di

fornitura che coinvolge più aziende per la trasformazione da materie

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prime/semilavorati a prodotti finiti. Questo modello definisce una classificazione delle

diverse modalità di gestione della Supply Chain (derivati dall’analisi di numerosi casi

aziendali), a vari livelli di dettaglio (Figura 27):

o Top Level: classificazione dei macro-processi della Supply Chain (plan,

source, make, deliver, return, enable);

o Configuration Level: specializzazione dei macro-processi, scegliendo quali

applicare tra le possibili alternative (es: il macro-processo “make” può essere

gestito in modalità: “Make To Order”, “Make To Stock” o “Engineering To

Order”);

o Process Element Level: descrizione di alto livello dei processi indicati al

livello 2; a questo livello vengono anche identificate le esigenze di Sistemi

Informativi, mediante identificazione dei moduli ES necessari per supportare i

processi identificati;

o Implementation Level: non è normato dal modello SCOR, in quanto specifico

della singola azienda e della singola Supply Chain.

Figura 27 - Modello SCOR (Bracchi, 2010)

Best Practices: invece di analizzare puntualmente i processi della singola azienda è

possibile utilizzare, come “base di partenza”, le metodologie operative adottate dalle

aziende leader nel settore di appartenenza, le cosiddette Best Practices, utilizzando le

relative mappe di riferimento dei i moduli ES implementati. I processi e le mappe ES

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relative alle Best Practice possono eventualmente essere adattate “per differenza” alle

caratteristiche della singola realtà aziendale. Le Best Practice sono tipicamente

proprietarie delle società di consulenza, poiché hanno una vasta visibilità sui processi

e un portafoglio clienti molto diversificato, riuscendo così a coglierne i pregi da

ciascuno e a mettere a “fattor comune” le eccellenze.

Mappe dei fornitori di package: i principali produttori di software per le aziende

propongono mappe analoghe ai modelli illustrati precedentemente (SCOR, PA, etc.),

per descrivere l’offerta dei moduli ES a disposizione. Queste rappresentazioni sono

spesso utilizzate per posizionare le varie soluzioni, ma non danno le garanzie di

oggettività delle mappe realizzate da soggetti indipendenti, a causa dell’influenza

commerciale che vogliono perseguire.

Queste metodologie sono utili per condurre l’analisi dei requisiti funzionali e applicativi di

un’impresa, sia per rappresentare lo stato attuale, sia per definire la strategia evolutiva del

Sistema Informativo aziendale (cfr. Paragrafo 3.3). Nei Capitoli 5 e 6, dove verranno illustrati

i casi studio, si utilizzeranno uno o più modelli di quelli sopra riportati per realizzare la mappa

degli ES dell’impresa in esame e per studiare i processi che supportano.

3.2.3 Il portafoglio applicativo delle imprese manifatturiere

Nel paragrafo precedete è stata data la definizione di moduli ES, distinguendo tra quelli

verticali e quelli orizzontali. In questa sezione si vuole porre l’attenzione sul settore

manifatturiero che, com’è noto, comprende una gamma molto ampia di tipologie aziendali,

spaziando dai produttori di automobili e frigoriferi, alle industrie aeronautiche ed elettriche,

passando per i fabbricanti di componenti meccanici. Questa eterogeneità interna dal punto di

vista della varietà di settori, presenta tuttavia delle omogeneità e delle caratteristiche comuni

quali la struttura della catena del valore, che può essere rappresentata da una griglia che

incrocia le fasi standard della catena del valore con i livelli di elaborazione delle informazioni

delle informazioni. Gli incroci tra fasi e livelli decisionali individuano le potenziali

opportunità di applicazione dell’informatica (Tabella 2).

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Progettazione e

Industrializzazione Approvvigionamenti Fabbricazione

Distribuzione

e Vendita

Analisi

strategica e

ambientale

Osservatorio

tecnologico Marketing e acquisti (irrilevante) Marketing

Pianificazione Piano dei progetti Piano degli acquisti Piano della

produzione

Previsioni di

vendita

Gestione dei dati

tecnici

Archivio disegni

Distinta base di

progettazione

Anagrafica fornitori

Distinta base di

produzione

Anagrafica

impianti

Cicli lavorazione

Portafoglio

clienti

Catalogo

prodotti

Programmazione

operativa

Pianificazione

progetti

Programmazione

forniture

Programmazione

stabilimenti

Programmazione

logistica

Schedulazione Schedulazione

progetti e reparti

Schedulazione delle

consegne e solleciti

Schedulazione

dei reparti

Schedulazione

dei trasportatori

Flusso degli

ordini Schede di lavoro

Gestione ordini ai

fornitori

Gestione ordini

alla produzione

Gestione ordini

dei clienti

Flusso dei

materiali e

operazioni

Gestione laboratori

Ricezione e collaudo

Magazzini MP

Conto lavoro

Gestione stock

Avanzamento

della produzione

Spedizioni e

trasporto

Magazzini

prodotti finiti

Tabella 2 - La griglia del portafoglio applicativo di una tipica azienda manifatturiera (Bracchi, 2005)

Lo scopo generale dell’informatizzazione dei processi operativi è l’integrazione dei processi

sia orizzontale (vendite con produzione, produzione con fornitori), sia verticale

(pianificazione delle operazioni con il controllo di avanzamento delle operazioni). Lo

strumento fondamentale dell’integrazione sono stati, e continuano ad esserlo, i sistemi MRP-

ERP e i sistemi CIM.

Qui di seguito verrà illustrata sinteticamente l’impalcatura logica del portafoglio operativo di

una impresa manifatturiera, considerando sia le fasi e i processi sopra riportati, che i livelli di

elaborazione delle informazioni (pianificazione delle operazioni, elaborazione delle

transazioni e gestione dei dati tecnici). In questo modo è possibile ripercorrere brevemente sia

l’evoluzione dei sistemi a supporto di tali attività che il livello di integrazione che hanno

raggiunto, sia internamente che esternamente, rispetto ai confini aziendali.

La catena del valore è articolata nei seguenti macro-processi:

Ciclo di sviluppo: che comprende le fasi attraverso cui sono progettati e

industrializzati i prodotti e i processi produttivi;

Ciclo di trasformazione: attraverso cui l’azienda risponde agli ordini dei clienti,

attraverso gli approvvigionamenti, la fabbricazione e la vendita e distribuzione dei

prodotti.

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Ciascuno di questi processi comprende attività di livello decisionale, finalizzate alla

pianificazione e al controllo delle operazioni e attività a livello esecutivo, finalizzate

all’esecuzione delle operazioni. A queste è necessario aggiungere un terzo livello, unicamente

informativo, di attività finalizzate alla gestione dei dati tecnici aziendali, quali anagrafiche sui

prodotti, processi tecnologici, portafoglio fornitori e clienti, etc. Tali informazioni sono

trasversali e condivise da più processi, ma ciascuno di questi livelli di attività è caratterizzato

da un profilo informativo specifico e costituisce perciò un livello di elaborazione delle

informazioni. Se per quanto riguarda i primi due livelli la trattazione da settore a settore è

abbastanza similare, è necessario approfondire in questa sezione la gestione dei dati tecnici,

poiché caratteristica del settore in esame.

Le anagrafiche solitamente risiedono in sistemi più o meno complessi di Data Warehouse, dal

puro foglio di calcolo in Excel ai DBMS evoluti dei vari produttori quali Oracle, IBM,

Microsoft, etc. Lo scopo principale di questi sistemi è quello di condividere queste

informazioni tra le risorse aziendali, in termini sia di persone che di applicazioni, evitando le

isole di automazione che non comunicano tra loro. In ambito manifatturiero la principale

risorsa da gestire è sicuramente la distinta base, ovvero la cosiddetta Bill Of Material (BOM)

in inglese, a partire dalla creazione in fase di progettazione fino alla conservazione per

l’assistenza post-vendita, passando per la BOM di produzione. Essa specifica l’ossatura del

prodotto scomponendolo nelle sue parti più elementari secondo la sequenza con cui è

fabbricato/assemblato e serve come riferimento per beni strutturalmente complessi, per i quali

è necessario documentare la descrizione e la gerarchia dei componenti (Figura 28). La distinta

base, infatti, contiene anche informazioni descrittive, come testi di commento, grafici, disegni

tecnici e illustrazioni. Le informazioni contenute in essa vengono riorganizzate a seconda

della destinazione di utilizzo e in particolare si possono identificare tre tipologie standard: la

distinta di progettazione, i cicli di lavorazione e il catalogo prodotti. Questi tre elementi hanno

in comune l’origine dei dati, ma presentano a chi li utilizza informazioni diverse per

permettergli di svolgere la propria attività.

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Figura 28 - Schema orientativo di una distinta base di prodotto (Martawirya, 2008)

A questo punto è facile comprendere come la gestione di queste informazioni, in maniera

univoca all’interno della stessa azienda (o gruppo di imprese), diventa mission critical ed è

per questo che l’avvento delle basi dati uniche o integrate negli ERP ha permesso la

sincronizzazione dei dati aziendali, riducendo drasticamente il rischio di errori e migliorando

la produttività.

L’informatizzazione delle applicazioni operative nelle aziende manifatturiere ha una storia di

oltre cinquant’anni. Inizialmente sono state sviluppate procedure su misura, incentrate

sull’automazione di singole attività produttive e solo successivamente, verso gli anni settanta,

si sono diffusi i pacchetti MRP I (Material Requirements Planning) per la pianificazione del

fabbisogno dei materiali a partire dalla distinta base. Negli anni ottanta si sono evoluti in

MRP II (Manufacturing Resource Planning), che riceve in input dall’MRP I gli ordini ed i

cicli di produzione e fa una analisi a capacità finita, ovvero verifica che il fabbisogno di ore di

produzione sia per il lavoro umano che per quello delle macchine non superi la disponibilità.

In tal modo si ottiene un piano di produzione più fattibile e realistico, rendendo operativa e

funzionale la risposta alla domanda di mercato. Lo scopo di questa tecnica è la pianificazione

degli acquisti e della produzione, tenendo conto dei vincoli di risorse presenti nello

stabilimento, come ad esempio la forza lavoro e le macchine.

Infine, negli anni novanta, hanno preso piede i pacchetti più estesi, ovvero gli ERP

(Enterprise Resource Planning), che integrano in una soluzione tutti i processi di business

rilevanti di un'azienda; nel Paragrafo 3.3 verrà approfondita questa soluzione applicativa,

largamente utilizzata sia dalle imprese italiane e che da quelle straniere.

L’automazione di fabbrica, che include l’automazione fisica delle operazioni e l’informatica a

supporto della pianificazione delle operazioni, è l’obiettivo del CIM (Computer Integrated

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69

Manufacturing), che non corrisponde in realtà ad un pacchetto, ma rappresenta uno schema di

riferimento concettuale (Figura 29) per lo sviluppo di un approccio unitario alla gestione della

produzione che è precondizione per l’implementazione di pacchetti ERP.

Figura 29 - Computer Integrated Manufacturing (CIM) (Waldner, 1992)

La crescente attenzione al cliente ha promosso lo sviluppo dei sistemi CRM (Customer

Relationship Management), che sono finalizzati ad abbattere i costi di transazione tra azienda

e cliente. Nel caso delle aziende manifatturiere i sistemi CRM supportano, in parziale

sovrapposizione con i sistemi ERP, i processi di vendita via web, il call center, gli agenti e

alcuni processi di assistenza post-vendita; nel Paragrafo 3.4 verrà approfondita questa

funzionalità, unitamente ai sistemi di BI (Business Intelligence), diventati sempre più

indispensabili per rimanere sul mercato con continuità.

Un’altra attività che ha sicuramente beneficiato dell’evoluzione dei Sistemi Informativi,

soprattutto nell’industria di prodotto e di processo, è la fase di progettazione, che influenza in

modo determinante le prestazioni delle aziende manifatturiere. I sistemi ad oggi disponibili

possono essere riuniti in tre famiglie principali: Computer-Aided Design (CAD), Computer-

Aided Engineering (CAE) e Computer-Aided Manufacturing (CAM); nel Paragrafo 3.4 questi

applicativi verranno presentati in maniera dettagliata.

Da ultimo, non per importanza ma per cronologia, l’entrata di Internet nelle aziende ha

favorito lo sviluppo di sistemi di UC&C (Unified Communication & Collaboration). In

ambito manufacturing la maggior penetrazione si è registrata nelle attività di

approvvigionamento, con l’introduzione di sistemi quali eProcurement e eSourcing,

unitamente ad una vasta gamma di applicazioni riconducibili sotto il termine di eBusiness; nel

Paragrafo 3.5 verranno illustrati questi trend in continua evoluzione, alcuni già affermati altri

in rapida ascesa.

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70

3.3 I sistemi gestionali: gli ERP

La crescente consapevolezza dei grandi vantaggi derivanti dall’integrazione del software ha

favorito la nascita e la diffusione, soprattutto fra le grandi aziende manifatturiere, dei sistemi

Enterprise Resource Planning (ERP). L’acronimo ERP è stato coniato agli inizi degli anni

novanta dal Gartner Group per indicare una suite di moduli applicativi integrati che

supportano l’intera gamma dei processi di un’impresa. Questi sistemi sono composti da un

insieme di moduli software, integrati più o meno nativamente tra loro, che supportano la

pianificazione e il controllo di tutte le risorse di un’impresa (umane, impiantistiche,

finanziarie e materiali), integrando sia il ciclo operativo che quello amministrativo delle

aziende.

Le suite ERP sono caratterizzate da una serie di elementi distintivi. In primo luogo le

soluzioni ERP supportano la catena del valore dell'impresa, che include sia le attività primarie

di produzione e vendita di beni e servizi, sia le attività di supporto al core business aziendale,

come la gestione amministrativa e delle risorse umane. In secondo luogo, il supporto è

integrato, ovvero la stessa base dati è condivisa da tutti i moduli che compongono le soluzioni

ERP. Non sono quindi classificabili come ERP alcuni software diffusi nelle piccole e medie

imprese, in quanto coprono solo una parte della catena del valore e sono spesso frutto di

personalizzazioni e aggregazioni “spot” di singoli pacchetti applicativi per la maggior parte

indipendenti tra loro.

Il vantaggio fondamentale degli ERP, invece, è quello fornire una piattaforma unica e

integrata, che permetta il completo controllo dell'impresa da tutti i punti di vista. Come verrà

illustrato successivamente, il governo dell’azienda a 360° porta vantaggi strategici rilevanti e

qualche volta decisivi. Una suite ERP è un sistema software piuttosto ampio e dal punto di

vista funzionale è necessario distinguere tre livelli: suite, modulo, funzione. Le suite indicano

un certo numero di moduli, ciascuno dei quali informatizza un processo aziendale (o una sua

parte). Per esempio, un generico modulo Magazzino Materie Prime informatizza le operazioni

di quel magazzino (ricezione merce, collaudo, arrivo, versamento, inventario e altre

transazioni). Ogni modulo comprende un certo numero di funzioni, che tipicamente servono le

attività elementari di un processo aziendale. Per esempio, la registrazione di un prelievo dal

magazzino è una funzione del modulo magazzino materie prime che serve appunto l'attività di

prelievo. Lo scopo di questo paragrafo è evidenziare le caratteristiche distintive della suite

ERP. In primo luogo si considera brevemente la mappa funzionale e, successivamente, si

esaminano alcuni elementi dei software ERP. In terzo luogo si considera l'evoluzione dei

sistemi ERP e la trasformazione che possono favorire nelle imprese.

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71

Uno schema generale della suite ERP è in Figura 30, dove la suite ERP è rappresentata da uno

schema a T49

. I moduli settoriali sono la gamba della T, in quanto rappresentano la

verticalizzazione delle applicazioni in ogni singolo settore industriale. La barra è formata dai

moduli intersettoriali, in quanto orizzontali rispetto ai settori industriali, e dai moduli

extended, che integrano l’azione degli ERP verso i mondi dei clienti e dei fornitori. Lo

schema riporta anche un sommario elenco dei titoli dei principali moduli, che sono illustrati

qui di seguito.

Figura 30 - La mappa della suite ERP (Bracchi, 2010)

I moduli core intersettoriali, qui evidenziati in arancione, sono sostanzialmente invarianti

rispetto ai singoli settori industriali; in generale, informatizzano le attività aziendali di

supporto. I moduli istituzionali, così detti in quanto riflettono la regolamentazione pubblica,

servono le attività amministrative, come la contabilità civilistica, la contabilità gestionale e la

finanza aziendale, e la gestione delle risorse umane, che include sia le procedure contabili

delle paghe sia i processi di gestione e sviluppo del personale. I sistemi direzionali

comprendono una serie di moduli che servono i processi, appunto, di conduzione manageriale

dell’impresa, come la pianificazione strategica, la programmazione ed il controllo del budget,

l’analisi dei costi e, più in generale, il reporting aziendale. Sono intersettoriali, in quanto

trasversali ai settori industriali, anche i moduli applicativi che pianificano e controllano le

attività dei progetti ed elaborano la contabilità degli investimenti. Fra i moduli intersettoriali

49 Bracchi, 2010

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includiamo anche il portale aziendale. Apparso alla fine degli anni Novanta, offre un accesso

via Web alle informazioni aziendali. L’alta uniformità dei moduli intersettoriali ha favorito

l’industrializzazione dell’offerta ERP in termini di qualità/costo; per contro, il cuore del

sistema informativo aziendale, quindi il mercato maggiore, è dato dai moduli settoriali.

Le suite settoriali, evidenziate in rosso, comprendono normalmente i moduli che supportano

le attività primarie dell’azienda, tipiche del settore; sono molto diversificate, poiché riflettono

le peculiarità d’ogni settore. Nella Figura 30 è esemplificata, in sintesi estrema, la suite del

settore automobilistico. Essa comprende una serie di moduli, che servono i processi

d’approvvigionamento, produzione e vendita ai livelli di pianificazione, gestione degli ordini,

attività fisiche. La suite del settore automotoristico è diversa da quella del settore elettrico,

che invece comprenderà moduli per la programmazione e controllo dei lavori (allacciamenti,

nuovi impianti, dismissioni etc.) e per la bollettazione. Le suite settoriali sono numerose (per

esempio il vendor SAP ne elenca una ventina) ed è conseguentemente elevato il costo

sostenuto dai vendor per concepirle, realizzarle e mantenerle nel tempo. Non

sorprendentemente, l’effettiva completezza delle suite settoriali è piuttosto variabile. In

generale, è massima nel settore automotoristico, terra d’origine degli ERP, mentre è più

limitata in altri settori, come banche o pubblica amministrazione, dove le suite includono

ancora un limitato numero di moduli.

L’extended ERP è formato da una serie di moduli, evidenziati in arancione in Figura 30, che

gestiscono le transazioni interaziendali e, più in generale, l’interazione fra più aziende o fra

una singola azienda e clienti o fornitori. In generale, queste suite supportano il ciclo di vita del

prodotto (PLM, Product Lifecycle Management), la catena d’approvvigionamento (nota come

SCM, Supply Chain Management), le interazioni con il cliente (CRM, Customer Relationship

Management), l’E-Procurement e forniscono infrastrutture informatiche ai cosiddetti Market

Place. Queste suite sono apparse sul mercato a partire dal 1995 come applicazioni

indipendenti e separate dagli ERP core; con gli anni 2000, sono state integrate. Valore

distintivo dello schema ERP extended è l’integrazione fra transazioni interaziendali e

transazioni interne. Per esempio, le suite ERP core sono integrate con i moduli CRM, che

gestiscono i canali di contatto con il cliente (call center, internet, agenti, negozi).

L’integrazione fra CRM ed ERP core assicura l’effettiva esecuzione delle richieste del cliente

(p.e. l’ordine di un’automobile, raccolto dai sistemi CRM, è programmato e controllato dai

sistemi ERP core che gestiscono la produzione e la distribuzione). In altri termini, i sistemi

CRM e, in generale, i sistemi d’interazione formano il front end della azienda verso clienti e

fornitori, mentre i sistemi ERP core formano il back-end.

Nel Paragrafo 3.4 verranno trattati questi applicativi, illustrandone le principali caratteristiche

e alcuni dati di mercato significativi, mentre in questa sezione si approfondiranno gli aspetti

degli ERP core.

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73

La classificazione dei sistemi gestionali

I sistemi ERP possono essere classificati in più categorie50

, a seconda del livello di supporto

integrato ai processi e al livello di flessibilità delle applicazioni. In particolare è possibile

identificare sei tipologie di sistemi gestionali, dal più integrato e flessibile a quello più

elementare:

ERP internazionali: si tratta di applicazioni caratterizzate da un’elevata copertura

funzionale realizzata attraverso moduli, ovvero insiemi di funzionalità destinate a

supportare uno specifico processo o funzione aziendale (quali ad esempio

l’amministrazione, la produzione, la logistica, etc.), che condividono un’unica base

dati. In tale modo l’integrazione tra le varie funzionalità è garantita. Sono realizzate da

software house internazionali, in grado quindi di acquisire esperienza sulle modalità

migliori di lavoro delle aziende, le cosiddette best practice, e di codificarla nelle

modalità di utilizzo delle funzionalità del software.

Gestionali nazionali: si tratta di applicazioni che garantiscono un buon livello di

supporto integrato ai processi, anche se in generale non al livello degli ERP

internazionali. Sono realizzati principalmente da software house nazionali, anche se

alcune di esse fanno oggi parte di gruppi internazionali, che, sebbene non abbiano

accesso ad un casistica di studio così ampia come nel caso dei fornitori di ERP

internazionali, conoscono molto bene la realtà nazionale e sono quindi in grado di

fornire un prodotto altamente localizzato al contesto (si pensi alle specificità dei

processi nei settori tessile, alimentare o arredo italiani, alle particolarità normative,

etc.).

Gestionali verticali: si tratta di applicazioni che presentano un’elevata

personalizzazione, in termini di tipologie di informazioni gestite, funzionalità messe a

disposizione, tipologie di interfacce, per un determinato settore industriale. Sono

spesso derivati da ERP internazionali o gestionali nazionali e rappresentano una

soluzione utile per le imprese che operano in contesti molto particolari e che sono

interessate a contenere i tempi e i costi di adattamento del software gestionale

all’impresa durante la fase di introduzione.

Sistemi sviluppati ad hoc: si tratta di applicazioni software sviluppate per soddisfare le

esigenze dell’impresa. Possono essere realizzate interamente ex novo o a partire da un

nucleo di funzionalità di base di un prodotto gestionale. In relazione alla modalità di

realizzazione, possono essere sviluppate internamente all’impresa o da parte di una

50 Mainetti et al., 2006

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software house. Anche se queste soluzioni garantiscono la maggiore rispondenza alle

specifiche esigenze delle imprese, sono di frequente realizzate su tecnologie

proprietarie e non allo stato dell’arte, determinando spesso vincoli all’evoluzione

futura, in termini di sviluppo di nuove funzionalità o di integrazione con altre

applicazioni.

Pacchetti semplici: sono applicazioni in grado di supportare un numero limitato di

funzionalità (ad esempio, le funzionalità amministrative), basate su tecnologie

relativamente allo stato dell’arte e sono realizzate da società di informatica locali o da

Software Vendor nazionali. Rappresentano solitamente il primo passo di

implementazione per le imprese di dimensioni inferiori. Nel caso emerga l’esigenza di

ampliare la copertura funzionale, tali applicazioni vengono spesso completate

mediante sviluppo ad hoc di nuove funzionalità.

Il paradigma ERP

La suite ERP rispecchia una precisa concezione del sistema informativo aziendale e presenta

tre caratteristiche distintive, che identificano che cosa è definibile come suite ERP. Queste

proprietà messe insieme formano il seguente paradigma funzionale51

:

Unicità dell’informazione: gli ERP sono caratterizzati da una base dati unica. Unica

fisicamente od unificata attraverso un comune repository dei dati e servizi di replica

automatica, memorizza i dati condivisi intorno alla quale ruotano i moduli. La base

dati unica è una conquista sostanziale degli ERP che ha molti ed importanti vantaggi.

In primo luogo, l’aggiornamento unificato delle basi dati abilita la sincronizzazione di

processi gestionali interdipendenti: p.e. l’arrivo di un materiale al magazzino aggiorna

la situazione delle scorte, degli ordini ai fornitori e della contabilità dei fornitori,

dando ai corrispondenti processi un’informazione unica e sincronizzata. Ciò non è

possibile nelle tradizionali architetture ad isole, dove le basi dati sono separate e i dati

comuni sono sincronizzati attraverso periodici processi d’allineamento o addirittura

attraverso aggiornamenti manuali, con notevoli possibilità di errore nel data entry.

Nell’architettura ad isole, le informazioni sullo stesso oggetto (cliente, fornitore o

materiale) sono temporalmente sfasate e ridondanti: il mancato pagamento di un

cliente può non essere notificato in tempo alla gestione degli ordini, così che la

situazione del cliente alla gestione degli ordini contrasta con quella della contabilità

clienti. In secondo luogo, l‘architettura ERP certifica l’informazione e ne garantisce la

tracciabilità: ogni evento di un processo, per esempio la gestione di un magazzino, è

51 Bracchi, 2010

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testimoniato da un documento, per esempio una bolla di prelievo, che è

specificatamente registrato nella base dati; ogni evento gestionale si riflette in una

variazione di stato della base dati e la variazione è certificata da un documento. Infine,

l’unicità della base dati a livello operativo favorisce, in modo del tutto naturale,

l’unicità dei dati per la direzione aziendale. L’unicità è ottenuta attraverso

l’integrazione verticale dell’informazione operativa e dell’informazione manageriale.

L’integrazione verticale si basa su un Data Warehouse, che memorizza i dati,

aggregati e trasformati, estratti dalla base dati operativa (e da altre fonti). I dati sono

elaborati da una suite di applicazioni, dette SEM (Strategic Enterprise Management)

od EPM (Enterprise Performance Management), che assistono il management nella

formulazione della strategia, nel budgeting, nell’analisi dei risultati. L’integrazione

rende disponibili informazioni sintetiche univoche (in quanto basate su dati operativi

univoci ed unici), con un vantaggio rilevante per il management. Come molti studi

hanno notato, la qualità dei dati è fra i vantaggi più apprezzati delle soluzioni ERP.

Estensione e modularità funzionale: grazie all’estensione molto ampia, la suite ERP si

propone come soluzione di riferimento per il sistema informativo aziendale, nelle sue

componenti intra-aziendale, operativa direzionale, ed inter-aziendale. Tuttavia,

l’estensione funzionale sarebbe vana se la suite non fosse composta da moduli

autosufficienti. Grazie alla modularità, l’azienda può scegliere una strategia

d’implementazione coerente con la situazione dei sistemi e con il grado di rischio che

è in grado di sostenere. Una diffusa strategia semplice ed a basso rischio è

l’implementazione parziale: l’azienda, cioè, sceglie di realizzare un piccolo numero di

moduli, che vanno a sostituire preesistenti sistemi legacy. La strategia, più ambiziosa,

di implementare un elevato numero di moduli può essere attuata in due varianti, one

stop shopping e best best of the breed. Nel primo caso, privilegiando linearità e

semplicità, l’azienda usa i moduli di un solo vendor, mentre, nel secondo, mette

insieme moduli di più vendor, alla ricerca della soluzione ottimale per ogni processo

aziendale, p.e. scegliendo il vendor A per la gestione del personale ed il vendor B per

la gestione amministrativa. Osserviamo che, data la modularità e l‘ampia estensione

funzionale degli ERP, la progettazione diventa simile ad una specie di LEGO, in cui è

critico l’incastro fra i diversi moduli ERP, magari di più fornitori, e fra i moduli ERP e

gli eventuali moduli legacy. Infatti, vanno garantite l’unicità e la sincronizzazione

delle informazioni, attraverso interfacce standard, API (Application Programming

Interface) e software di workflow o d’integrazione.

Prescrittività: intesa come la normazione dei processi gestionali derivante dal modello

funzionale incorporato nella suite ERP, a sua volta conseguito dalle best practice

orizzontali e verticali. Per esempio, la transazione di ricevimento dei materiali a

magazzino presuppone un ordine al fornitore: un materiale non entra in azienda se non

è stato ordinato e non può essere ordinato se non è stato richiesto da un ente aziendale

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autorizzato. Il software quindi norma il comportamento dell’utente aziendale,

ribaltando la tradizionale concezione secondo cui è il software che si deve adattare

all’utente. La prescrittività ha importanti implicazioni. In primo luogo, semplifica

l’analisi dei requisiti. L’analista, infatti, non deve specificare tutto il processo

gestionale e tutto il sistema, ma si concentra sulle differenze rispetto al modello

standard: definisce il processo ottimale, lo incrocia con le funzioni del sistema e

sceglie le funzionalità del sistema. La progettazione funzionale diventa quindi una

sorta di attività “taglia ed incolla” su di un menu di opzioni predefinite. In secondo

luogo, la prescrittività favorisce la standardizzazione dei processi ed uniforma i

comportamenti, un vantaggio rilevante per le aziende distribuite territorialmente e le

multinazionali. Infine, la prescrittività può favorire una razionalizzazione dei processi,

facendo coincidere il progetto informatico ERP con un progetto di razionalizzazione

organizzativa, meglio noto sotto la sigla BPR (Business Process Reengineering).

Tuttavia, la prescrittività comporta anche una certa rigidità, che può rendere gli ERP

incompatibili con le specificità dell’utente. Infatti, se la razionalizzazione

organizzativa richiesta è vasta e profonda, il progetto implica un costoso e rischioso

intervento sul tessuto organizzativo dell’impresa. L’intervento può risultare infattibile

per i tempi, troppo stretti, per i contenuti dei processi, incompatibili con il sistema dei

valori esistente nell’azienda, per il rischio della trasformazione, troppo ampia, o,

infine, per la mancanza di un gruppo di lavoro di quantità e qualità adeguata o,

equivalentemente, per limiti di budget. L’alternativa ad adattare l’azienda al sistema è

quella, piuttosto costosa e di un certo rischio tecnico, di adattare il sistema all’azienda,

riscrivendo e/o modificando i moduli software.

Impatto sulle aziende dell’introduzione di una suite ERP

La diffusione degli ERP è evidente dai numeri ed è evidente la trasformazione delle imprese.

Una volta lente, con una produzione inflessibile ed approvvigionamenti rigidi, in due decenni

sono diventate capaci di gestire ordini personalizzati, lungo tutto il ciclo dal cliente finale al

fornitore. E questo con scorte molto minori e una produttività molto maggiore. In generale, le

caratteristiche degli ERP hanno contribuito a una serie di trasformazioni e queste

trasformazioni, a loro volta, hanno generato, in varia misura, alcuni vantaggi. Le

trasformazioni rilevabili appaiono riguardare i processi gestionali a diversi livelli (Figura 31):

Processi operativi: l’impatto dell’introduzione dell’ERP sui processi operativi

dovrebbe portare ad un cambiamento dei processi che ne migliora l’efficienza e

l’efficacia, portando l’organizzazione aziendale verso una struttura processiva. In

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77

realtà diversi studi dimostrano che l’evoluzione processiva esiste, ma parziale e

condizionata da una serie di fattori. Più precisamente: la trasformazione dei processi

avviene e ne riguarda sia l’efficienza sia l’efficacia52

; un approccio sistemico al

cambiamento, insieme con un iter di progettazione cauto, graduale, burocratico

possono portare al successo, in quanto minimizzano il rischio53

; per ottenere

veramente la trasformazione sono necessari un orientamento informatico appropriato

del management e un ben orchestrato lavoro d’attori organizzativi che facilitino il

cambiamento54; l’organizzazione e la gestione, nel senso più ampio, del progetto sono

cruciali per il successo o il fallimento dei progetti ERP: il presidio deve essere esteso a

tutte le fasi dei progetti ERP, dal lancio all’accettazione ed alla stabilizzazione55

;

un’elevata trasformazione dei processi, connessa all’adozione di ERP, aumenta il

rischio del progetto, e richiede il presidio di un’ampia gamma di fattori di successo56

.

Processi direzionali: Il contributo degli ERP alla trasformazione dei processi

direzionali sta appunto nel loro contributo a rendere più efficiente e/o efficace

l’informazione in input al processo decisionale e/o il processo decisionale stesso. Un

concetto rilevante per posizionare il contributo degli ERP è quello di IPC (Information

Processing Capacity), che esprime l’adeguatezza di una organizzazione ad elaborare le

informazioni richieste dai propri obiettivi e dal contesto in cui opera57

. La capacità di

un’azienda di operare in situazioni d’incertezza ambientale e di gestire strutture

complesse è proporzionale alla sua IPC. In alternativa, l’azienda può investire in

“risorse cuscinetto” (slack resources) come le scorte, che assorbono l’incertezza e

diminuiscono il fabbisogno informativo, ma peggiorano le prestazioni d’efficienza e

d’efficacia58

.

Processi interaziendali: tale ambito di trasformazione riguarda primariamente i

moduli extended ERP, argomento che verrà trattato nel Paragrafo 3.4. In questa

sezione si sottolinea solamente che, poiché la risposta alle transazioni con i clienti e i

fornitori è data dai processi interni, l’integrazione fra moduli ERP core e moduli di

interazione è un requisito d‘efficacia altrettanto importante della funzionalità dei

moduli CRM, SCM, PDM, etc., che informatizzano il front-end verso clienti (interni

ed esterni) e fornitori.

52 Deloitte Consulting, 1999

53 Motwani, Mircahandani, Madan, Gunasekaran, 2002

54 Benjamin, Markus, 1997.

55 Ross, Vitale, 2000

56 Somers, Nelson, 2001.

57 Bracchi, Francalanci, Motta, 2001.

58 Galbraith, 1973.

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78

Modello di business: una trasformazione del modello di business implica la

sostanziale innovazione del modello esistente. In sintesi, l’IT: rende possibili nuove

attività con conseguenti nuovi ricavi; determina una domanda di nuovi prodotti e

servizi; permette di sviluppare nuovi business a partire dai business esistenti.

L’impatto strategico degli ERP è quindi, in genere, indiretto e tanto più rilevante

quanto più il settore è ad alta intensità informativa di prodotto o di processo

Le prime ricerche sulle trasformazioni aziendali indotte dalla IT sono degli anni Ottanta, con

il riconoscimento del duplice ruolo della IT come tecnologia di produzione e come tecnologia

di coordinamento59

. La capacità delle IT, e degli ERP in particolare, di trasformare i processi

gestionali è discussa nella vastissima letteratura del Business Process Reengineering (BPR),

che segue lo storico articolo di Hammer “Don’t automate, obliterate”60

e si può dire conclusa

da un articolo di Davenport dal significativo titolo “Putting the enterprise into the enterprise

system”61

.

Figura 31 - ERP e trasformazione dell'impresa (Ficagna, 2007)

Benefici e criticità dei progetti ERP

L’introduzione di un sistema ERP in una azienda, grande o piccola che sia, porta con se dei

benefici che a volte non si realizzano pienamente a causa di alcune criticità da superare, a

prescindere dal punto di partenza (sistema parzialmente evoluto o inesistente). In generale,

l’esperienza di quest’ultimo decennio ha evidenziato i seguenti punti di forza delle suite ERP:

è una soluzione completa ed integrata che supporta e integra la maggior parte dei processi di

59 Porter, Millar, 1985

60 Hammer, 1990

61 Davenport, 1998

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business, in linea con un modello dei processi generale e standardizzato, plasmato sullo studio

delle Best Practice (cfr. Paragrafo 3.2.2); supporta i processi di pianificazione e controllo,

rende l’azienda “trasparente”, favorendo il fluire delle informazioni; garantisce una discreta

flessibilità attraverso la parametrizzazione, disponibilità immediata, progetti chiavi in mano e

spesso è meno costoso di un progetto “custom”, a parità di condizioni.

Naturalmente questi vantaggi non sempre sono tutti presenti e in egual misura, dipende da

caso a caso e spesso il successo di un progetto ERP è strettamente correlato al commitment e

alla sponsorizzazione del top management. Per questi e altri motivi è possibile incorrere in

alcune criticità quali il superamento degli obiettivi di budget, l’allungamento dei tempi in

corso di implementazione, problemi di accettazione e comunicazione del progetto,

disponibilità dei key-user, riduzione dell’operatività durante il transitorio, complessità della

soluzione ERP e know-how aziendale inadeguato a gestire i nuovi processi di business.

Oltre a queste problematiche occasionali, i sistemi ERP hanno dei limiti noti (o più

propriamente dei punti di debolezza), che è difficile arginare se non con sforzi mirati in

termini di project e change management.

Individuazione e implementazione dell’ERP in azienda

Il primo passo in un progetto di sostituzione totale del sistema gestionale aziendale, o di una

sua parte, consiste nella definizione dei requisiti che il nuovo sistema deve soddisfare. Una

volta individuate le necessità e i bisogni da soddisfare, è necessario individuare la soluzione

da adottare attraverso una processo di software e partner selection. Quest’ultimo supporterà

l’azienda nell’ultima fase, quella dell’implementazione vera e propria (Figura 32).

Figura 32 - Dai processi al sistema in esercizio

Definizione

dei requisiti

Individuazione della soluzione

Implementazione della suite ERP

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3.3.1 Definizione dei requisiti

I requisiti possono essere definiti a diversi livelli di approfondimento, partendo dal più

elevato, legato alle caratteristiche generali dell’azienda in cui il sistema informatico dovrà

operare, per arrivare ai requisiti di dettaglio sulle singole funzionalità (per esempio di gestione

della codifica di prodotto) e sulle caratteristiche tecnologiche del sistema (per esempio di

compatibilità con altri sistemi informatici presenti in azienda).

Partendo dal livello di dettaglio più alto, è importante, per scegliere la soluzione ERP più

adeguata, segmentare l'offerta di mercato in base al settore di attività dell'azienda o, in modo

più articolato, in base al profilo aziendale (es.: settore di attività e posizionamento nella

catena del valore di settore, dimensioni dell'azienda e della sua operatività, presenza sul

territorio dell'azienda, struttura interna dell'azienda, principali obiettivi di business che

l'azienda intende perseguire, etc.)

Il passo successivo riguarda invece i processi aziendali e, in particolare, l'identificazione di

quelli che costituiscono l'attività dell’azienda, ridefinendo in particolar modo quali sono critici

per l'azienda in termini di generazione del vantaggio competitivo e di esigenze di flessibilità e

agilità del supporto al funzionamento del processo.

Parallelamente alle attività di approfondimento dei requisiti in termini di funzionalità, svolte

con l'analisi e la mappatura dei processi, è necessario indagare anche le caratteristiche

tecnologiche che il nuovo sistema dovrà avere. Coniugando questi tre livelli di analisi è

possibile delineare degli scenari evolutivi in termini di supporto informatico ai processi, con

un orizzonte temporale di medio/lungo termine, per definire un vero e proprio piano strategico

di evoluzione del sistema informativo attuale (Figura 33).

Figura 33 - Evoluzione del sistema informativo (Ficagna, 2007)

Individuazione della soluzione

A questo punto è possibile affrontare la fase due del piano di azione, ovvero il processo di

selezione della soluzione (Figura 34). È buona norma articolare tale fase in due attività

fondamentali: una prima selezione per individuare un insieme ristretto di soluzioni di mercato

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81

candidate (short list) e una seconda analisi più approfondita, solamente su quelli individuati,

per scegliere la soluzione più adeguata rispetto alle esigenze dell’azienda (software and

vendor selection).

In quest’ultima fase è importante valutare un aspetto che raramente viene tenuto in

considerazione nella scelta del pacchetto da implementare, ovvero l’allineamento tra i bisogni

futuri dell’azienda e cosa il fornitore può offrire negli anni a venire, in termini di evoluzione,

assistenza e innovatività.

Gartner ha definito un framework62

per sviluppare questa “Road Map” per ogni area di

business, al fine di definire un insieme di progetti e iniziative per mantenere l'allineamento.

L’analisi prevede cinque step sequenziali:

1. Determinare la strategia aziendale rispetto al business

2. Compilare l’inventario delle applicazioni e dell’architettura attuale

3. Collezionare le Road Map stilate da Gartner per ogni vendor e comprendere la vision

che si ha di ognuno rispetto alla sua Road Map applicativa

4. Creare la propria Road Map tenendo in considerazione i tre step precedenti

5. Rivedere e aggiustare la Road Map periodicamente

Figura 34 - Individuazione della soluzione

62 Gartner, 2011

Page 92: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

82

Il progetto di implementazione

La fase di implementazione è costituita da un insieme articolato di attività, ben codificata

nella metodologia proposta dai vari fornitori e dai loro partner per l’implementazione (system

integrator). Il ruolo dell’azienda in questa fase è quello di supporto, per fornire tutte le

informazioni necessarie, e di presidio del fornitore che svolge l’implementazione, per

mantenere una adeguata motivazione e qualità di lavoro.

Il presidio del progetto può avvenire attraverso una struttura di gestione e controllo, formata

dal Project Manager aziendale, che si occupa di coordinare le attività tra il personale interno e

il partner, dal comitato di utenti chiave del sistema, che sono il riferimento principale per

l’analisi dei requisiti, e infine lo Steering Committee, che supervisiona e sponsorizza il

progetto, coinvolgendo il vertice aziendale.

Il mercato dei sistemi gestionali: la domanda

Dopo aver valutato cosa è un ERP, quali sono le sue caratteristiche e cosa significa mettere in

piedi un progetto di ristrutturazione del proprio sistema gestionale, è opportuno analizzare la

domanda del mercato di tali sistemi. A questo scopo si riportano sinteticamente i principali

risultati di una ricerca, condotta dell’Osservatorio del Politecnico di Milano63

, basata su una

survey statisticamente significativa estesa ad oltre 1.000 PMI, con numero di addetti

compreso tra 10 e 500, che si è posta l’obiettivo di rilevare lo stato di adozione delle

principali applicazioni software (Figura 35).

Dall’analisi emerge che circa un’impresa su tre utilizza sistemi gestionali evoluti, ovvero ERP

internazionali, gestionali nazionali o gestionali verticali. In particolare, gli ERP internazionali

vengono utilizzati dal 6% delle imprese: nelle imprese con un numero di addetti compreso tra

250 e 500, tale percentuale è pari a circa il 28%, ma cominciano ad essere presenti anche nelle

piccole imprese da 10 a 49. I gestionali nazionali sono utilizzati dal 16% delle PMI italiane,

mentre il 9% delle imprese utilizza sistemi gestionali verticali.

63 Balocco, R. 2010

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83

Figura 35 - Imprese che utilizzano le diverse tipologie di sistemi gestionali (Osservatorio ICT&PMI, 2010)

Oltre il 50% delle imprese è, invece, caratterizzato da un parco applicativo “elementare” o,

addirittura, assente. In particolare, il 42% delle imprese utilizza un sistema gestionale che

copre le sole funzioni di base: amministrazione e contabilità e, talvolta, gestione del

magazzino o gestione della relazione con i fornitori. In alcuni casi, tale sistema viene esteso

tramite lo sviluppo ad hoc di nuove funzionalità. Il 9% delle imprese, invece, non utilizza

alcun tipo di sistema gestionale, nemmeno per supportare le attività amministrative più

semplici (contabilità, amministrazione, etc.), che vengono demandate a professionisti esterni.

Il parco applicativo di queste imprese è, quindi, composto esclusivamente da pacchetti di

office automation. In entrambi i casi (utilizzo di pacchetti elementari o assenza del sistema

gestionale) si tratta prevalentemente di imprese di piccole dimensioni, con un numero di

addetti compreso tra 10 e 49, mentre sono molto rari i casi di mancata adozione di un sistema

gestionale in imprese con più di 50 addetti.

Circa il 18% delle imprese utilizza un sistema gestionale sviluppato ad hoc internamente o da

parte di una software house locale o nazionale. Spesso tali sistemi nascono a partire da un

nucleo di funzionalità standard, generalmente a supporto dei processi contabili e

amministrativi, per essere poi fortemente personalizzati.

Se si confrontano i dati rispetto alla ricerca condotta nel corso del 2007 sull’utilizzo delle ICT

nelle PMI, emerge una maggiore maturità delle PMI italiane nell’utilizzo delle diverse

tipologie di sistemi gestionali. In particolare, le imprese che non possiedono nessun gestionale

si riducono dal 12% al 9%, mentre non varia la percentuale di imprese che utilizzano

pacchetti semplici. Aumenta del 3% la diffusione di sistemi ERP internazionali, a scapito

della diffusione di gestionali nazionali, che si riducono della stessa percentuale. Aumenta

lievemente la diffusione dei sistemi sviluppati ad hoc e di sistemi gestionali verticali.

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84

Il mercato dei sistemi gestionali: l’offerta

Per quanto riguarda l’offerta dei sistemi gestionali, il mercato ERP è sostanzialmente

dominato da due big player, SAP e Oracle, con la terza piazza occupata discretamente da

Microsoft. Per analizzare la situazione del mercato dei sistemi ERP nel 2011 si prenderà in

esame un interessante ricerca di mercato condotta da Panorama Consulting Group64

, una

società di consulenza leader per quanto riguarda il mercato ERP, in termini si software

selection, implementazione e gestione del cambiamento. Le informazioni del rapporto si

basano su una indagine che ha coinvolto oltre 1.600 aziende che hanno selezionato e

implementato soluzioni ERP negli ultimi 5 anni, ma associando un peso maggiore ai progetti

ERP realizzati nel 2010. Il rapporto si basa su dati riguardanti le implementazioni ERP

appartenenti a tre gruppi di imprese: Tier I, Tier II e Tier III, come si può vedere in Figura 36.

Figura 36 - Il raggruppamento dei vendor di ERP (Neely, B., 2011)

Proprio come negli anni precedenti, i vendor appartenenti ai primi due Tier dominano ancora

la quota di mercato delle implementazioni di ERP (Figura 37). L'unione di questi due gruppi

rappresenta il 64% del mercato, con il Tier I che da solo cuba il 53% del totale, mentre il resto

del mercato si spartisce solamente il 36% dell'offerta ERP. I tre big del Tier I, tuttavia, hanno

mostrato un calo pesante della quota di mercato rispetto al 2010, con la perdita di 7 punti

percentuali sia del leader SAP che del follower Oracle e anche Microsoft ha visto ridursi la

sua market share di 4 punti. Questo significa che tutto il resto del mercato ha raddoppiato

l'indice, passando al 18% al 36% attuale.

64 Neely, B. 2011

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85

Figura 37 - Quote di mercato degli ERP (grafico da rifare con le QM 2009, 2008 e 2006)

Il grafico in Figura 38 mostra il tasso di selezione dei principali vendor appartenenti al Tier I,

Tier II e Tier III, raggruppati in base alle dimensioni delle imprese clienti in termini di

fatturato. Dall'analisi emerge che sia SAP che Oracle sono attivi in tutti i segmenti, ma l'ERP

del leader è ovviamente quello più selezionato per quanto riguarda le aziende con un fatturato

annuale tra i 25 e i 500 milioni di dollari, mentre Microsoft fatica a penetrare (solo il 4%)

nelle grandi aziende, ovvero quelle con un fatturato superiore ai 500 milioni di dollari. Di

contro, questo ERP ha più successo nelle PMI così come per i vendor del Tier III.

Figura 38 - Tasso di selezione rispetto al fatturato dei clienti (Neely, B., 2011)

La Figura 39 mostra la distribuzione delle vendite dei tre big player (Tier I), a seconda del

segmento di mercato a cui si rivolgono. Le percentuali riportate rappresentano la distribuzione

delle vendite di ciascuna azienda e non le quote di mercato totali:

Produzione e distribuzione

Trasporti, comunicazioni, energia e servizi sanitari

35% 31% 24%

28% 25%

18%

14% 15%

11%

23% 30% 47%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

2008 2009 2010

Ve

nd

or

Mar

ket

Shar

e

Tier II and Tier III

MS Dynamics

Oracle

SAP

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86

Servizi

Retail

Figura 39 - Scomposizione del fatturato del Tier I rispetto ai settori (Neely, B., 2011)

La Figura 40 rappresenta le quote di mercato di tutti i Tier e anche del resto del mercato ERP,

in ognuna delle quattro industrie rappresentate nel sondaggio (produzione e distribuzione,

trasporti, comunicazioni, energia e servizi sanitari, nei servizi e nel retail).

SAP è il leader di mercato in ognuno dei quattro settori, con quote che vanno dal 28% al 35%.

Anche Oracle gioca un ruolo significativo, con quote comprese tra il 15% per quanto riguarda

il settore produzione e distribuzione, fino al 23% dei trasporti, comunicazioni, energia e

servizi sanitari.

Il presidio di Microsoft nel segmento manifatturiero (12%) insidia maggiormente la seconda

posizione, occupata da Oracle (15%), mentre nel settore retail i due player occupano entrambi

la seconda piazza (22%). Sono gli altri due segmenti dove Microsoft soffre maggiormente la

presenza di SAP e Oracle, distanziato da quest'ultimo di 6 punti percentuali e ancor di più nel

settore dei trasporti&co., dove è distaccata di 8 punti percentuali rispetto a Oracle. Il resto dei

player è concentrato nel restante 25% circa, ad eccezione del settore Produzione e

Distribuzione, dove riescono a occupare una buona posizione (45%), anche perché è il

segmento di mercato più maturo dal punto di vista degli ERP, essendo il punto di partenza

storico dei sistemi gestionali evoluti.

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87

Figura 40 - Quote di mercato totali per settore (Neely, B., 2011)

I dati riportati in Figura 41 indicano che, indipendentemente dal Tier di riferimento, la durata

media effettiva dei progetti è superiore a quella pianificata (Figura 42).

Figura 41 - Tempi medi di implementazione di un ERP (Neely, B., 2011)

Le soluzioni di primo livello (Tier I) sono generalmente più complete e flessibili e ciò

comporta tempi di implementazione maggiori. I fornitori appartenenti alla seconda classe

(Tier II) utilizzano spesso moduli di terze parti come integrazione del proprio prodotto di

base; tali integrazioni provocano l’estensione della durata del progetto oltre le previsioni. Il

motivo per cui i fornitori appartenenti al Tier III impiegano il minor tempo per implementare i

propri software (in media 12 mesi) è l’alto livello di specializzazione che li caratterizza e

dunque la minor necessità di adeguamenti e personalizzazioni. La ragione per cui un progetto

eccede le tempistiche pianificate sono varie, riconducibili principalmente a problemi

organizzativi, di allocazione delle risorse o di formazione dell’utente finale.

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Figura 42 - Durata media pianificata vs. effettiva (Neely, B., 2011)

In Figura 43 è, invece, possibile trovare la media dei costi dettagliata per i fornitori del Tier I

e consolidata per quanto riguarda i fornitori dei Tier I e II. Si nota come i fornitori del Tier I

abbiano un costo medio di progetto molto più elevato rispetto ai fornitori del Tier II. L’unico

player che non rispetta questa tendenza è Ms Dynamics. La piattaforma di Microsoft,

nonostante sia classificata di primo livello, viene implementata in contesti di dimensioni più

ridotte rispetto alle altre due. Lo dimostra il fatto che il 60,3% dei progetti Ms Dynamics

riguarda aziende con un fatturato inferiore ai 500 milioni di dollari.

Figura 43 - Costo medio di un progetto ERP (Neely, B., 2011)

La ricerca evidenzia come i costi medi di implementazione dei progetti, in linea con quanto

visto per i tempi, sforano del 40-45 % i budget previsti in fase di pianificazione (Figura 44).

Le survey svelano, inoltre, che la tendenza comune dei clienti è quella di sottovalutare i costi

del progetto e stilare così budget irrealistici che non includono, oltre alla possibilità di

incorrere in problemi tecnici, voci di costo rilevanti come i costi di formazione e quelli per la

stesura della documentazione progettuale. Risulta quindi un passo fondamentale per la

minimizzazione dei costi e della durata dei progetti di implementazione ERP la definizione

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realistica di obiettivi tecnici e di business quali: processi, flussi di lavoro punti di

miglioramento e requisiti specifici di rendimento dei sistemi.

Figura 44 - Cause di extra budget (Neely, B., 2011)

Infine, decidere il giusto livello di personalizzazione per i processi di business di un'azienda è

fondamentale per il successo di un progetto ERP. Mentre la personalizzazione è in grado di

migliorare il valore out-of-the-box del software acquistato e permette di massimizzare

l'aderenza alle proprie specificità, può anche comportare alti costi di implementazione senza

la realizzazione delle prestazioni attese. E' per questo che la questione di quanto e come una

società deve bilanciare obiettivi di programma e di bilancio in relazione ai benefici di

personalizzazione della propria suite ERP è sempre stata fonte di grande dibattito in fase di

selezione e implementazione della soluzione ERP. In Figura 45 è possibile vedere come si

comportano le aziende intervistate.

Figura 45 - Livello medio di customizzazione richiesto (Kimberling, 2011)

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Per riassumere quanto emerso fin ora sul mercato dell’offerta delle suite ERP è possibile

utilizzare il noto Magic Quadrant65

(Figura 46) stilato annualmente da Gartner, una delle

principali società di analisi. L’analisi rileva che durante la crisi economica, il mercato ERP ha

dimostrato di essere stabile, senza gravi perturbazioni che interessano i principali attori. Tale

Magic Quadrant valuta i prodotti che hanno una presenza globale e che sono progettati

specificamente per le medie imprese commerciali e manifatturiere. La mappatura identifica il

posizionamento delle soluzioni ERP secondo quattro cluster (Leaders, Challengers,

Visionaries e Niche players) ed è effettuata secondo due parametri:

Capacità di esecuzione (Ability to Execute): l’ampiezza e la profondità delle

funzionalità e la tecnologia dei prodotti dei prodotti ERP rivolti alla fascia media del

mercato (midmarket) sono caratteristiche altamente indicative per valutare la capacità

di esecuzione di un fornitore. Tuttavia i sistemi più completi non sono

automaticamente la scelta migliore per le medie aziende, che, in molte aree della loro

attività, non hanno né la necessità di funzionalità molto specializzate, né i mezzi per

farvi fronte. Il giusto mix di completezza funzionale nei processi di primari, uniti ad

un ottimo supporto alle attività strategiche dell’azienda, è prioritario. Inoltre, dato che

le medie aziende presentano limitate risorse IT da assegnare al funzionamento di un

sistema ERP, un ridotto Total Cost of Ownership (TCO) per tutto il ciclo di vita

dell'applicazione è un requisito fondamentale, ed è un importante fattore di

differenziazione. Infatti questo è tra i motivi principali del crescente interesse per ERP

in modalità “as a Service”.

Completezza di visione (Completeness of vision): la capacità di comprendere il

mercato valuta l’abilità dei fornitori di ERP di recepire i bisogni e le necessità delle

imprese e trasformarli in prodotti e servizi. Questo vale in generale, ma è ancora più

importante per il midmarket degli ERP. I vendor che dimostrano di avere una vision

migliore, in termini di capacità di comprendere, ascoltare e anticipare i desideri degli

acquirenti, sono quelli che nel lungo periodo otterranno un maggior riscontro positivo

da parte dei clienti. I fornitori che si limitano a rispondere alle attuali esigenze del

mercato, senza anticipare le esigenze future, non saranno probabilmente in grado di

ottenere il successo desiderato, a causa della complessità dei miglioramenti funzionali

e tecnologici che dovranno essere implementati nei propri prodotti, pur operando in

un mercato relativamente lento, qual è quello degli ERP.

65 Gartner, 2010

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Dall’analisi emerge che le due offerte che si qualificano come leader di mercato sono SAP

Business All-in-One e Microsoft Dynamics AX. La prima è una delle soluzioni più ampie e

complete sul mercato, basata sulle best practice mondiali e con il programma fast-start,

studiato e progettato per le medie imprese, consente di ridurre lo sforzo richiesto per le fasi

iniziali di implementazione. Microsoft Dynamics AX, invece, è specificamente destinato a

organizzazioni di medie dimensioni sin dalla sua concezione. Offre numerose funzionalità e si

contraddistingue per la sua robustezza, senza tuttavia appesantire l’onere del Sistema

Informativo, garantendo un basso TCO (se paragonato a soluzioni simili) anche grazie

all’integrazione nativa con gli altri prodotti e tecnologie Microsoft, Office in primis.

Nel Magic Quadrant viene riportato Epicor 9 come il più visionario, poiché sviluppato

attraverso tecnologie allo stato dell’arte quale, ad esempio, la SOA Architecture. È concepito,

inoltre, per ruotare attorno al Business Process Management (BPM), offrendo funzionalità che

presentano un ottimo livello di flessibilità, caratteristica molto sentita dalle medie imprese, e

tale versatilità può essere preservata attraverso aggiornamenti periodici, non richiedendo ogni

volta uno stravolgimento della versione ERP in uso. Epicor 9 offre approcci innovativi per la

mobilità, l'analisi integrata e la distribuzione di una soluzione in modalità “as a Service”.

Epicor, anche se è un vendor ancora relativamente piccolo, sta dimostrando di essere

sufficientemente valido per l’espansione in tutto il mondo, anche se il prodotto non ha una

maturità paragonabile a quella dei leader del mercato.

Per completare il quadro proposto da Gartner sono presenti altre quattro soluzioni nel cluster

Challenger, ovvero coloro che hanno un’ottima maturità, ma che sono condizionati da una

scarsa vision futura, e sette prodotti classificati come Niche players, che include gli attori più

recenti del mercato.

Figura 46 - Magic Quadrant for ERP for Product-Centric Midmarket Companies (Gartner, 2010)

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92

3.4 I sistemi a supporto del business: l’extended ERP

Nel paragrafo precedente si è illustrato il modello a T degli ERP, in cui si specificava la

differenza tra gli ERP “core” e gli ERP “extended”, ovvero quei moduli che si occupano di

gestire le relazioni extra-aziendali, specialmente con clienti e fornitori, o di favorire gli

scambi informativi intra-aziendali. Questi moduli sono rivolti anche ai casi in cui è necessario

agevolare le attività con attori esterni, poiché negli anni si è visto sempre più una elevata

frammentazione della catena del valore. Alcune imprese hanno scomposto la catena del valore

tradizionale, esternalizzando il ciclo produttivo vero e proprio e mantenendo all’interno tre

attività fondamentali: il coordinamento del ciclo produttivo esterno, la commercializzazione

del prodotto e lo sviluppo strategico nuovo prodotto (Figura 47).

Figura 47 - Frammentazione della catena del valore tradizionale (Faini, 2011)

PLM

La parcellizzazione delle attività descritta precedentemente si è espressa, a livello di

produzione, nella trasformazione del “ciclo produttivo” in “processo produttivo”, scandito da

fasi che coinvolgono input e output spesso di competenza di aziende differenti. Questo

cambiamento nel modo di concepire la produzione ha rinforzato la necessità di gestire il

prodotto in modo strutturato lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla concezione al rilascio e

manutenzione, fino al definitivo ritiro dal mercato.

I sistemi di Product Lifecycle Management (PLM) offrono un supporto ala gestione del

prodotto, lungo tutte le fasi della sua vita, attraverso due funzionalità principali:

La gestione distribuita e collaborativa delle attività produttive, in quanto i sistemi

PLM abilitano il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera fin dalla definizione

delle specifiche e dalla progettazione del prodotto, offrendo strumenti di co-design e

co-working distribuito;

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Gestione della conoscenza legata al prodotto, permettendo una gestione complessiva e

costantemente aggiornata della documentazione (tecnica e di processo) legata al

prodotto finale.

Le specifiche tecniche di prodotto realizzate con i sistemi CAD in fase di progettazione, e nei

casi più evoluti, con sistemi CAE, che coprono anche le esigenze di ingegnerizzazione,

vengono poi gestite e arricchite nel sistema PLM per andare quindi ad alimentare la gestione

della produzione supportata dal sistema ERP vero e proprio, che può incorporare o pilotare

eventuali sistemi di controllo automatico delle macchine di produzione chiamati anche CAM

(cfr. Paragrafo 3.2.3).

I vantaggi dei sistemi PLM sono maggiormente evidenti per quelle aziende con alta

personalizzazione dei prodotti o con un modello di business di tipo Engineering To Order

(ETO), che prevede la parziale o totale progettazione del prodotto base per ogni specifico

ordine e con elevati tassi di personalizzazione richiesti dal cliente, o Design To Order (DTO),

cioè la totale progettazione del prodotto per ogni specifico ordine. Il loro utilizzo, infatti,

permette di avere a disposizione dati di costo aggiornati e precisi, mantenendo sotto controllo

le varie configurazioni del prodotto e riducendo al tempo stesso il numero di anomalie

progettuali. I settori in cui vengono utilizzate soluzioni PLM sono molteplici, dal settore

Aereonautico, per il quale questi sistemi sono nati, a settori come la produzione di macchinari

o automobili, per cui il PLM parte dal configuratore di prodotto utilizzato dal punto vendita o

dalla rete di agenti presso il cliente.

I sistemi SCM

Così come le tecnologie Internet e l’ICT in generale hanno abilitato un nuovo modo di gestire

la relazione con il cliente, un percorso simile è avvenuto anche per la gestione della catena di

fornitura. Il sistema di fornitura si è adattato ad un nuovo modo di operare, convertendo la

tradizionale filiera produttiva in una rete di partnership finalizzata alla creazione di valore

attraverso la collaborazione di più soggetti di business.

L’estensione dei processi produttivi oltre i confini fisici dell’impresa, tuttavia, ha significato

un aumento della complessità di gestione dei rapporti tra “business partner”, con l’insorgere

di costi sommersi spesso significativi, che si ripercuotono in termini di efficienza e

produttività sulla profittabilità dell’azienda stessa.

Introdotti sul mercato alla fine degli anni ’90, i sistemi Supply Chain Management (SCM) si

affiancano ai sistemi esistenti (compresi i sistemi ERP) per fornire una visione complessiva

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della supply chain e quindi supportare le decisioni relative alle attività di gestione della stessa.

I sistemi SCM supportano prevalentemente i seguenti processi66

:

Previsione della domanda, che consente di pianificare meglio la produzione e limitare

i rischi d’inadeguatezza delle scorte, che diminuiscono il livello di soddisfazione del

cliente;

Gestione degli ordini, che consente di rispondere in tempi più rapidi alle esigenze del

cliente e quindi migliorare il livello di servizio complessivo;

Pianificazione della produzione, mediante procedure più sofisticate di quelle fornite

dai sistemi MRP, che consentono di pianificare al meglio l’utilizzo delle risorse

produttive: attraverso la configurazione di una serie di parametri (per esempio la

capacità produttiva delle macchine o le diverse combinazioni di turni di lavoro degli

operai) è possibile simulare diverse ipotesi di piani di produzione per individuare la

soluzione migliore in funzione degli obiettivi e dei vincoli imposti; all’interno della

famiglia dei sistemi SCM, i sistemi informatici che offrono questo specifico supporto

alla pianificazione della produzione vengono detti Advanced Planning Systems (APS)

Queste funzionalità sono: Continuous Replenishment Planning (CRP), il programma di

gestione collaborativa delle scorte con gli altri business partner lungo la rete di fornitura, e il

Vendor Managed Inventory (VMI), la variante del CRP in cui l’azienda pianifica con il

fornitore la gestione dei tempi e della qualità della fornitura attraverso la condivisione in

tempo reale dei dati relativi alla situazione del magazzino.

In questo nuovo paradigma operativo dell’azienda estesa, la tecnologia si trasforma si

trasforma da fattore scatenante a elemento abilitante, supportando gli scambi di informazione

tra partner e conferendo rapidità ed efficienza alla relazioni di business. In particolare, le

tecnologie Internet hanno proposto architetture dinamiche e performanti per facilitare

l’adozione di sistemi collaborativi di business anche alle PMI.

BI e CRM

I sistemi di Business Intelligence (BI) permettono di generare informazioni e conoscenze a

partire dai dati presenti nei Sistemi Informativi delle imprese e delle Pubbliche

Amministrazioni, al fine di migliorare la qualità dei processi decisionali67

. In un sistema di BI

trovano collocazione differenti funzionalità, raggruppate in due macro-categorie:

66 Secchi, 2000

67 Managment Accademy for ICT Executives, 2009

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95

Strumenti di Business Performance Management, che permettono di accedere ai dati

contenuti nei data warehouse, secondo visite logiche flessibili e dinamiche e di

visualizzare in modo sintetico e grafico i principali indicatori di prestazioni.

Strumenti di Business Analytics, che consentono di sviluppare analisi più evolute sotto

il profilo metodologico, questi strumenti sono utilizzati a livello strategico al fine di

creare vantaggio competitivo.

Nonostante la crisi economica che ha caratterizzato l’ultimo periodo, le aziende italiane hanno

ritenuto importante continuare ad investire in strumenti di BI; tali investimenti hanno, infatti,

riscontrato una crescita del 7% nel biennio 2009/2010, rispetto al biennio precedente,

superando così i valori medi del mercato ICT68

.

Le indagini condotte dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, hanno posto in luce alcune

evidenze empiriche di notevole interesse, che hanno permesso di evidenziare i principali

vantaggi ma anche le criticità e le barriere all’adozione che caratterizzano il mondo della

Business Intelligence.

Le ricerche hanno innanzitutto evidenziato una maggior efficacia dei sistemi di BI se utilizzati

per ottimizzare i processi core di un’impresa, gli strumenti di Business Performance

Management permettono, infatti, di ridurre i costi ed incrementare i ricavi. Vista la criticità

dell’attuale contesto economico, l’utilizzo di tali strumenti, nel campione, riguarda soprattutto

la riduzione dei costi. Il maggior vantaggio competitivo, che i sistemi di BI sono in grado di

portare ad un’impresa è, in ogni caso, costituito dal supporto alle decisioni. L’immediatezza e

la precisione delle informazioni fornite da un sistema di BI sono, infatti, alla base di un

processo decisionale reattivo ed efficace. A livello organizzativo, i vantaggi più consistenti

nell’utilizzo di questa tecnologia sono la visione univoca delle informazioni e la maggiore

condivisione della conoscenza che esse abilitano. Come qualsiasi innovazione esistono

barriere e criticità nell’implementazione, la resistenza al cambiamento, la mancanza di

commitment da parte del vertice e la difficoltà nel reperire dati di buona qualità sono i

principali ostacoli riscontrati dall’Osservatorio.

Per quanto riguarda le applicazioni Customer Relationship Management (CRM) sono

strumenti finalizzati alla fidelizzazione del cliente. Come abbiamo più volte ripreso, la

competizione nei mercati è notevolmente aumentata nell’ultimo periodo e mantenere i clienti

è diventato sempre più complesso. L’accessibilità delle informazioni, come prezzi e

specifiche tecniche dei prodotti, a cui i clienti hanno accesso attraverso la rete, consente a

tutte le aziende di competere sullo stesso piano. La differenza dunque è data dai servizi

68 Vercellis, Orsenigo, 2010

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aggiuntivi e dall’experience ovvero da ciò che accompagna l’acquisto del prodotto o del

servizio. Gli strumenti di CRM possono aiutare l’impresa principalmente in tre modi69

:

raccogliendo informazioni dettagliate sui bisogni dei singoli clienti e quindi supportare il

marketing nel fornire un’offerta personalizzata in tempi ridotti; compiere analisi real-time e di

tipo predittivo sul comportamento d’acquisto dei clienti, ottimizzando l’efficacia di ogni

interazione con il cliente (up-selling e cross-selling); fornire una visione a 360° gradi del

proprio cliente, tracciando tutte le informazioni a creare un profilo cliente che consenta di

fornire un’offerta mirata.

3.5 I trend attuali dei Sistemi Informativi

In questo paragrafo verranno illustrate quali sono le tecnologie che stanno emergendo o che

verranno adottate nei prossimi anni. Nella prima parte il focus sarà sull’evoluzione dei sistemi

gestionali, mentre nella seconda parte verranno affrontate tematiche attuali di più ampio

respiro, quali il Cloud Computing e l’Enterprise 2.0, valutandone l’adozione da parte delle

PMI.

3.5.1 I trend in atto dei sistemi gestionali

Per analizzare il futuro degli ERP verrà utilizzato il report “Hype Cycle for ERP, 2011”70

elaborato da Gartner Inc., società multinazionale leader mondiale nella consulenza strategica,

ricerca e analisi nel campo dell'Information Technology. L’obiettivo di questa curva è quello

di rappresentare le tecnologie emergenti nei diversi stadi del loro ciclo di vita, con i relativi

tempi previsti in cui raggiungeranno un sufficiente grado di maturità e adozione (Figura 48).

I cicli di vita identificati dalla nota società di consulenza sono cinque, con caratteristiche ben

differenti tra una fase e l’altra, ovvero:

Technology trigger: la prima fase di un ciclo di hype rappresenta il lancio di un

determinato prodotto/servizio che innesca un grande interesse mediatico;

Peak of Inflated Expectations: è la fase in cui iniziano articoli e analisi con commenti

molto favorevoli, che spesso attivano delle aspettative più rosee e sbilanciate rispetto a

quelle reali;

69 Gillin, 2011

70 Gartner, 2011

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97

Trough of Disillusionment: si generano nei media prima una serie di commenti sempre

più negativi, successivamente si registra un progressivo disinteresse per far spazio a

tecnologie maggiormente “in voga”;

Slope of Enlightenment: nonostante la fase di silenzio dei media, le tecnologie che

poggiano su solide basi, a dispetto delle critiche del settore, procedono nello sviluppo;

Plateau of Productivity: dopo la fase di sperimentazione “silente” la tecnologia si

attesta come strumento efficace ed entra a pieno regime nei cicli produttivi.

Figura 48 - Hype Cycle degli ERP (Gartner, 2011)

In questa analisi Gartner evidenzia quali siano le applicazioni ERP che porteranno un

beneficio molto rilevante, indicato come “trasformazionale”, alle aziende. Tra le tecnologie

che impiegheranno dai due ai cinque anni per raggiungere la “mainstream”, ovvero

nell’ultima fase dell’Hype Cycle, si riporta:

“Big Data” and Extreme Information Processing and Management: secondo Gartner,

la quantificazione delle risorse include delle problematiche che emergono dalla

capacità, dall’ampia tipologia di risorse informative e dalla velocità con cui si

generano i dati (che include sia creazione rapida di record, che tariffe altamente

variabili per la creazione dei dati, compreso l’improvviso calo di prestazioni forzando

il problema del ridimensionamento verso il basso). Un ampio array di soluzioni

hardware e software sono emerse per risolvere il problema della capacità parziale. A

questo punto, i grandi dati, o il processamento e la gestione di eccessive informazioni,

è una pratica essenziale che presenta nuove opportunità di business.

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In-Memory Database Management Systems: un In-Memory DataBase Management

System (IMDBMS) è un DBMS che memorizza l’intero database in memoria e accede

al database direttamente, senza l'uso di istruzioni di input/output, consentendo alle

applicazioni di funzionare completamente in memoria.

Platform as a Service (PaaS): una suite completa PaaS, di solito raffigurato nei

diagrammi del Cloud Computing, è una collezione ampia di servizi di infrastruttura

applicativa offerti da un provider di servizi cloud. Tale suite completa PaaS dovrebbe

includere tecnologie di application server, sistemi di gestione di database (DBMS),

prodotti di portale, integrazione delle applicazioni e dei dati, suite di gestione dei

processi di business (BPMSs), messaggistica e molte altre forme di infrastruttura

applicativa, tutti impostati per essere offerti come servizio.

Le applicazioni che rientrano sempre nella stessa categoria di importanza (in termini di

benefici attesi), ma con un “Years to mainstream adoption” che va dai cinque ai dieci anni,

sono:

Collaborative Decision Making: le emergenti piattaforme di Collaborative Decision

Making (CDM) combinano i sistemi di business intelligence (BI) con il social

networking, la collaborazione e gli strumenti/algoritmi di supporto decisionale e i

modelli per aiutare i knowledge workers a prendere decisioni di maggiore qualità.

CDM migliora la qualità, la trasparenza e la verificabilità delle decisioni, riunendo i

corretti responsabili delle decisioni e le informazioni di cui necessitano, assistiti da

strumenti e modelli di decisione pertinenti al fine di esaminare un problema, effettuare

del brainstorming, valutare le opzioni e concordare una linea d'azione, tracciando il

processo decisionale per controllarlo ed estrarne le best practice.

Process Templates: modelli di processo è un termine generale che descrive il disegno

dei processi di business predefiniti, l’esecuzione e la gestione dei manufatti per

accelerare i tempi di arrivo alla soluzione. Tipicamente, i modelli di processo sono

rappresentati tramite grafici e sono basati su flussi di processo, regole o service-

oriented architecture (SOA). I contenuti variano notevolmente da provider a provider.

Alcuni offrono semplici modellazioni grafiche a iniziare le discussioni sul processo

selezionato da migliorare. Altri forniscono dettagliati modelli di processo predefiniti,

modelli tecnici di riferimento, le definizioni dei servizi candidati, biblioteche di

servizio tecnico, set di regole, modelli di interfaccia utente, scenari di simulazione, le

politiche di governance raccomandate, guide per la consegna e la distribuzione e

metodologie di miglioramento dei processi.

Il secondo livello di importanza dei benefici, classificato come “High”, include le seguenti

applicazioni, dalla più matura a quella più innovativa (cfr. Figura 48 per il tempo di

mainstream adoption e il posizionamento specifico sull’Hype Cycle): Business

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Intelligence Platforms, Single-Instance ERP Backbone, Templated Implementation Tools,

ERP Mobility, Master Data Management, Embedded Analytics, Application Portfolio

Management, Value Management Tools, Model-Driven Packaged Applications, User-

Centric ERP Suites e Pace Layering and ERP. Il terzo livello include le applicazioni con

un impatto “moderato” e sono tutte quelle non riportate negli elenchi soprastanti, ma

comunque presenti nell’Hype Cycle. L’ultimo gradino, ovvero con una discontinuità

“low” rispetto ad oggi, non delinea nessuna applicazione ERP.

3.5.2 Enterprise 2.0

La presenza di investimenti in strumenti e tecnologie 2.0 non sempre procede di pari passo

con il livello di “maturità” del loro utilizzo all’interno delle imprese: a fronte di strumenti di

Unified Communication, Project Centric Collaboration e Live Collaboration, utilizzati spesso

in modo sistematico dalle imprese in più processi, ve ne sono altri come blog, forum, wiki,

podcasting, videosharing e social networking che, pur presentando in media interessanti tassi

di diffusione, hanno un livello di maturità inferiore, a testimonianza della difficoltà a uscire da

fasi di sperimentazione e di utilizzo sporadico. A dirlo è una ricerca condotta

dall’Osservatorio Enterprise 2.0 del Politecnico di Milano nel 201071

.

L’analisi mostra che, in molti casi, la loro presenza non si traduce in un reale cambiamento e

in benefici concreti a causa dei gap organizzativi e culturali che non vengono affrontati e

colmati. Per comprendere l’impatto potenziale degli strumenti sulle imprese, dunque, non

basta guardare alla sola diffusione, ma occorre entrare nel merito della loro applicazione nei

processi aziendali. Focalizzando l’attenzione sulle sole aziende del campione che utilizzano in

modo sistematico strumenti e applicazioni 2.0, il terreno più fertile di sviluppo e crescita si

trova in processi quali la gestione dei Sistemi Informativi, il Marketing, la gestione delle

Risorse Umane e la Comunicazione Interna. Meno rilevanti, sia come numero che come

impatto, sono le iniziative a supporto dei processi che riguardano il Commerciale e le Reti di

Vendita, il Customer Service e la Ricerca e Sviluppo. Nella scelta di investimento le imprese

tendono ad orientarsi verso soluzioni che hanno un ritorno economico chiaro e immediato,

trascurando, in fase di valutazione, la componente più intangibile dei benefici, legata

tipicamente a impatti di natura strutturale. Ne deriva che strumenti di Unified

Communication, Project Centric Collaboration e Live Collaboration, che spesso permettono

di ridurre in modo immediato e quantificabile i costi di comunicazione e collaborazione, con

ricadute rilevanti sull’efficienza dei processi, sono considerati un “must have” dalla gran parte

delle imprese e sono quelli utilizzati in modo maggiormente sistematico e pervasivo nelle

71 Corso, 2010

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organizzazioni del campione. La rilevanza delle diverse tipologie di benefici cambia in

funzione dei processi considerati e delle diverse applicazioni utilizzate a supporto delle

attività. Una visione di sintesi mostra come, in modo trasversale rispetto a tutti i processi

analizzati, i principali benefici ottenuti riguardino il miglior supporto alla collaborazione e

alla gestione della conoscenza. Il tema dell’efficienza, invece, per quanto fondamentale nella

valutazione ex-ante dell’investimento, non sempre ha una rilevanza primaria ex-post. Se, ad

esempio, questo beneficio emerge in modo chiaro dall’analisi delle iniziative a supporto della

gestione delle Risorse Umane e dei Sistemi Informativi, al contrario per i processi di

Marketing, Operations e Ricerca e Sviluppo è maggiormente percepito il livello di

soddisfazione dei dipendenti e dei collaboratori esterni all’organizzazione, anche per la natura

molto più “aperta” delle attività di queste specifiche Funzioni.

Strumenti e tecnologie Enterprise 2.0 sono sempre più diffusi nelle aziende del campione che,

in oltre il 90% dei casi, riservano nel 2010 un budget specifico per attivare e potenziare

investimenti nei diversi ambiti dell’Enterprise 2.0. Dall’analisi empirica, tuttavia, emerge

come in molti casi la presenza di strumenti non si sia tradotta in un reale cambiamento. Per

comprendere l’impatto degli strumenti sulle imprese, dunque, non basta guardare alla sola

diffusione, ma occorre entrare nel merito di come questi sono utilizzati all’interno dei diversi

processi aziendali. La sintesi dei risultati ottenuti, in termini di livello di maturità nell’utilizzo

e benefici rilevati sui processi a seguito dell’introduzione degli strumenti 2.0, è rappresentata

in Figura 49.

Figura 49 - I benefici e il livello di maturità degli strumenti 2.0 (Corso, 2010)

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101

Gli strumenti raggruppati sotto il nome di Unified Communication (chat, instant messaging,

presence, call, web/videoconference), Project Centric Collaboration (collaborazione asincrona

su documenti, groupware, project management tools) e Live Collaboration (condivisione e

coediting in real time di slide e documenti, strumenti di collaborazione sincrona) sono stati

introdotti nella quasi totalità delle aziende del campione, e, laddove presenti, vengono spesso

utilizzati in modo sistematico in alcuni ambiti aziendali o in tutta l’organizzazione.

Altri strumenti come blog, forum, wiki, podcasting1 e videosharing, invece, pur presentando

alti tassi di diffusione (oltre la metà del campione) hanno un livello di maturità limitato,

elemento che evidenzia un interesse crescente nelle aziende a fronte però di una marcata

difficoltà ad estenderne l’uso in modo sistematico. Infine, vi è un gruppo di strumenti ancora

poco utilizzati, come microblogging, rating & folksonomy (social voting, tagging, social

bookmarking), semantic search6 e social networking services. Tra questi, è interessante

evidenziare un discreto numero di sperimentazioni attive sul tema della semantic search (18%

delle aziende del campione), a testimonianza di come il tema dell’information overload e

della ricerca delle informazioni sia centrale per molte aziende.

3.5.3 Cloud Computing e Software as a Service

L’utilizzo di sistemi gestionali in modalità “as a Service”, da parte delle PMI italiane risulta,

ad oggi, confinato ad alcuni ambiti specifici. A sostenerlo è una ricerca condotta dall’

Osservatorio ICT & PMI del Politecnico di Milano nel 201072

. In particolare, sono stati

individuati casi interessanti di adozione da parte di imprese di piccole o micro dimensioni

operanti, in prevalenza, nel settore dei servizi, con esigenze ICT limitate. I sistemi adottati si

configurano come “pacchetti semplici” e supportano prevalentemente attività di natura

amministrativa e contabile e, solo in pochi casi, attività di gestione del magazzino. In alcuni

casi, il fornitore dell’applicazione offre l’accesso, in modalità “as a Service”, a servizi

informativi (ad esempio, banche dati, etc.) ad integrazione delle funzionalità

dell’applicazione. Tali applicazioni sono particolarmente utilizzate da imprese e/o

professionisti (ad esempio, consulenti del lavoro, studi professionali, etc.) a supporto di

attività di natura finanziaria. Rari i casi di utilizzo di gestionali in modalità “as a Service” da

parte di imprese del manifatturiero, soprattutto se caratterizzate da esigenze applicative

“evolute” (in relazione, ad esempio, alla gestione della produzione, alla gestione del ciclo

attivo e passivo, alla gestione del magazzino, etc.) a causa dell’elevato livello di

personalizzazione richiesto e, in alcuni casi, della necessità di integrazione con altre

applicazioni software utilizzate dall’impresa.

72 Balocco, 2010

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Per quanto riguarda le applicazioni di Business Intelligence in modalità “as a Service”, da

parte delle PMI italiane, si rileva un livello di adozione marginale. Il principale ostacolo

all’utilizzo della Business Intelligence in modalità “as a Service” risiede nella difficoltà di

integrazione dell’applicazione con i molteplici database aziendali, dai quali vengono estratti i

dati per effettuare le elaborazioni e generare report o cruscotti. Tale difficoltà è aggravata

dall’elevato livello di frammentazione e disaggregazione dei dati che caratterizza

l’architettura IT di molte PMI italiane. La Ricerca ha infatti messo in evidenza come una

elevata percentuale di PMI sia caratterizzata da un’infrastruttura “patchwork”, frutto

dell’evoluzione del sistema informativo nel corso degli anni e quindi caratterizzata da un

elevato livello di disomogeneità dei sistemi (risorse server, ai sistemi operativi, ai database,

etc.) e di dispersione dei dati. Se guardiamo all’offerta, anche la maggior parte dei fornitori di

applicazioni di Business Intelligence sta indirizzando le proprie soluzioni in modalità “as a

Service” (quando presenti) verso il mercato delle grandi imprese. Per il futuro si intravvede

un potenziale di diffusione per applicazioni verticali che non richiedano un’eccessiva

personalizzazione e che consentano di minimizzare lo scambio di dati con il sistema

informativo dell’impresa (ad esempio, applicazioni per la reportistica, sistemi per l’analisi

delle prestazioni dei siti Web, etc.).

Altro dato rilevante è che solamente il 3% delle PMI italiane ha adottato un’applicazione di

CRM in modalità “as a Service”. Nella maggior parte dei casi si tratta di imprese di medie

dimensioni operanti nel comparto dei Servizi alle Imprese (ad esempio, Servizi di

Consulenza, Media, etc.) e della Distribuzione Commerciale all’ingrosso, mentre sono minori

i casi di imprese operanti nel comparto manifatturiero. Il livello di adozione, superiore

rispetto alle altre applicazioni analizzate, dipende da alcuni fattori, che proviamo ad elencare

di seguito: basso livello di personalizzazione richiesto dalle imprese nell’adozione di tali

applicazioni. Spesso le PMI che hanno adottato soluzioni di CRM in modalità “as a Service”

non hanno richiesto interventi di customizzazione delle funzionalità particolarmente rilevanti,

anche in considerazione del fatto che, in molti casi, l’introduzione dell’applicazione non ha

sostituito un’applicazione esistente ma è andata ad informatizzare un insieme di attività

(quelle di relazione con i clienti) non ancora supportate da applicazioni software; maggiore

facilità di integrazione con le altre applicazioni del sistema informativo aziendale. Nella

maggior parte dei casi di adozione, il CRM non ha comportato uno scambio di dati

particolarmente intenso con le altre applicazioni del sistema informativo aziendale. Da notare,

comunque, come il CRM in modalità “as a Service” sia stato adottato prevalentemente da

imprese dotate di un sistema gestionale basato su tecnologie standard e allo stato dell’arte e,

quindi, facilmente integrabile.

La diffusione di tali applicazioni in modalità “as a Service” tra le PMI italiane si attesta

attorno al 2% e si focalizza, in particolare, su sistemi di videoconferenza che integrano voce,

video e chat. Tali applicazioni non richiedono personalizzazione ed integrazione con il

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sistema informativo aziendale e, per questo, la modalità di utilizzo “as a Service” appare

particolarmente attrattiva. Infatti viene preferita alla modalità di adozione tradizionale,

soprattutto nel caso in cui l’impresa intenda testare l’applicazione, con l’obiettivo di

comprendere funzionalità e benefici, oppure nel caso in cui ne faccia un utilizzo sporadico,

che renderebbe economicamente svantaggioso l’acquisto dell’intero sistema.

Per quanto riguarda la Gestione Documentale e la Conservazione Sostitutiva, ad oggi esiste

un certo numero di fornitori di sistemi che sta indirizzando la propria offerta in modalità “as a

Service” verso il mercato delle PMI, le quali non hanno ancora adottato questo tipo di

soluzioni, facendo leva sulla facilità di adozione e sui benefici tangibili immediati che si

possono riscontrare.

Circa il 20% delle PMI italiane si dimostra interessato all’adozione futura di almeno

un’applicazione in modalità “as a Service”. Focalizzandosi sulle sole imprese che hanno

dimostrato interesse per tali soluzioni emerge che (Figura 50), circa il 40% intende valutare

l’adozione di un pacchetto gestionale semplice a supporto dell’amministrazione e della

contabilità. Si tratta in prevalenza di imprese di piccole o micro dimensioni, che stanno

utilizzando pacchetti elementari in modalità tradizionale o sistemi sviluppati ad hoc. Il 25%

circa sta pensando all’adozione futura di una soluzione di CRM e/o di Gestione Documentale

e/o di Unified Communication & Collaboration. Le applicazioni di Gestione delle Risorse

Umane, di Business Intelligence e per la gestione degli acquisti sono state segnalate da un

numero di imprese inferiore al 20%.

Figura 50 - Imprese interessate ad adottare in futuro la soluzione in modalità “as a Service” (Balocco, 2010)

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104

4. Capitolo 4

4. Il modello: ICT per gestire la complessità

In questo capitolo viene illustrata la proposta del modello frutto del presente lavoro di tesi, il

cui scopo è quello di mappare la capacità di una PMI (o di un gruppo di PMI) di gestire

configurazioni più o meno complesse attraverso le tecnologie dell’informazione presenti in

azienda. Per raggiungere tale scopo sono state utilizzate o estese metodologie già consolidate

in passato, analizzate e illustrate nei capitoli precedenti in fase di analisi della letteratura.

Il modello mette in correlazione due variabili: la Complessità gestionale ed il Livello di

governo delle ICT. La Complessità gestionale delle imprese è il risultato di due contributi: la

Complessità organizzativa e quella del business, declinate a loro volta in più fattori che

identificano rispettivamente le caratteristiche interne (struttura organizzativa, know-how,

dimensioni, etc.) e quelle esterne all’azienda (robustezza del business, internazionalizzazione,

caratteristiche del business, etc.). Per quanto riguarda la valorizzazione del Livello di governo

delle ICT, invece, si considera una media tra i contributi forniti, dal ruolo e le competenze

della Direzione IT, l’attenzione posta dall’impresa all’innovazione e il livello di maturità

applicativa e infrastrutturale del sistema informativo.

Al fine di comprendere meglio i concetti sottesi dal modello verranno riportate, nella prima

parte di questo capitolo, alcune definizioni di complessità condivise in letteratura e che sono

state usate come riferimento per la costruzione del modello. Successivamente verranno

approfondite tutte le componenti ed i dettagli che compongono l’analisi appena sintetizzata.

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4.1 Principi guida per la strutturazione del modello

Definire e delimitare in maniera univoca il significato che la parola complessità assume non è

sicuramente semplice, poiché le definizioni che si possono trovare in letteratura sono

molteplici e dipendono fortemente dal contesto di riferimento. I contributi di stampo

tecnico/scientifico tendono ad associare alla parola complessità il concetto di non linearità.

Un problema è detto non lineare quando non è possibile risolverlo attraverso un’analisi delle

diverse componenti in forma scomposta, in quanto esse interagiscono tra loro73

. Partendo da

questo presupposto è possibile definire un’organizzazione complessa come74

:

“un’organizzazione fatta da un’eterogeneità di parti distinte che hanno specificità,

autonomie, che richiedono anche sguardi dedicati per poterli comprendere, ma che sono

tessuti insieme e ricongiunti per cui non è più possibile comprendere le singole parti se non

nelle relazioni con le altre e con l’ambiente in cui sono immerse”.

Un ulteriore contributo, a supporto di questa definizione, è possibile trovarlo nel libro “Le

PMI nel Sistema Globale”75

, che introduce il concetto di grado di complessità di un sistema,

spiegando come sia impossibile dedurre tale grandezza senza contestualizzare il sistema

nell’ambito delle interconnessione ed interdipendenze con l’ambiente esterno.

In questo lavoro verrà presa, come riferimento, quest’ultima definizione, considerata la più

adatta in quanto ben collocabile all’interno del contesto imprenditoriale delle PMI.

Pertanto il primo passo è stato quello di delineare una metrica preposta alla valutazione della

complessità, basata su una lista di driver significativi, che potessero rappresentare alcune

configurazioni chiave dell’impresa, del mercato in cui opera e delle tecnologie adottate. Una

volta completato il quadro generale per ogni area (interna ed esterna), si è analizzato come

questi driver, presi singolarmente o attraverso combinazioni lineari, potessero interagire tra

loro in modo tale da identificare dei fattori specifici. Questi ultimi si basano su modelli e

definizioni consolidati in letteratura, interpretati in modo tale da valorizzare univocamente il

relativo contributo alla complessità dell’impresa.

È stato necessario escludere dalle metriche del modello alcuni fattori quali la leadership, lo

stile imprenditoriale o il clima aziendale poiché non adatti a rappresentare una proxy diretta

della complessità o dipendenti prevalentemente da analisi interpretative/soggettive.

73Magrassi, 2010

74 Brunod, 2008

75 Berardi, 2010

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Tali fattori, infatti, influenzano e permeano in maniera “soft” tutti i processi e le attività

dell’impresa, per cui non è possibile linearizzare l’analisi su caratteristiche indipendenti e, di

conseguenza, includerli nel modello. Altri fattori, invece, come ad esempio la complessità

introdotta dalla gestione di un business internazionale o la complessità derivante dalla macro-

struttura aziendale, possono essere misurati grazie all’intersezione di più driver, più o meno

facili da individuare in maniera oggettiva e standardizzabile.

I fattori di disturbo individuati rappresentano, tuttavia, una minoranza circoscritta a pochi

elementi e per questo motivo sono stati trattati separatamente in una sezione dedicata (cfr.

Paragrafo 4.4). Essi influiscono certamente sul grado di complessità totale dell’impresa, ma

sono stati considerati come condizioni di contorno che, sotto opportune ipotesi, possono

essere esclusi dai confini del modello, dato che l’obiettivo di quest’ultimo è quello di fornire

una rappresentazione semplificata della realtà, senza tuttavia perdere di valenza generale.

4.2 Sintesi concettuale del modello proposto

4.2.1 Obiettivi del modello

L’obiettivo di questo modello è quello di comprendere e rilevare l’adeguatezza del livello di

governo delle ICT che un’organizzazione si è data, rispetto alla complessità gestionale che la

caratterizza. Lo sguardo è rivolto in particolare alle realtà di PMI e gruppi di PMI. Tale

complessità è identificata analizzando l’organizzazione (complessità interna) ed il business in

cui opera (complessità esterna).

Il modello ha una funzione prescrittiva, ovvero definisce quale sia la situazione attuale

dell’impresa; tuttavia può essere applicato anche nel caso in cui sia già stata individuata dal

management una strategia evolutiva o se è già in corso un cambiamento. In questo caso

l’analisi dovrà essere riadattata, considerando come attuale la configurazione futura stabilita

dall’impresa.

4.2.2 Metodologia d’analisi

Il modello si sviluppa a partire dall’identificazione della complessità dell’impresa secondo

due punti di vista: quello organizzativo e quello business, ottenuti rispettivamente da analisi

interne ed esterne all’impresa. La sintesi del risultato di queste due analisi porterà a stabilire il

livello di complessità gestionale che caratterizza la PMI (o il gruppo) in esame.

Il secondo passo sarà quello di identificare la capacità dell’impresa di gestire la complessità

attraverso il governo delle ICT e tale capacità verrà ricavata sulla base di fattori relativi ai SI

aziendali ed alla Direzione IT nel suo complesso.

Per l’applicazione del modello è necessaria una conoscenza approfondita dell’impresa in

esame; in particolare per quanto riguarda l’analisi interna ed il rilevamento del livello delle

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ICT aziendali, è necessario coinvolgere utenti che conoscano i processi dell’impresa e

abbiano accesso a dati ed informazioni riservate. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile

ottenere un buon grado di precisione sui fattori di complessità. Per quanto riguarda l’analisi

esterna, invece, è semplicemente necessaria la padronanza dei principi di mercato e

dell’economia industriale; tutti i dati sono, di fatto, disponibili all’esterno dell’impresa ma è

fondamentale che essi siano correttamente interpretati e correlati.

4.2.3 Struttura del modello

Come già illustrato, il modello è composto da due assi fondamentali: la Complessità

gestionale ed il Livello di governo delle ICT. Il risultato che si ottiene è da interpretare in

funzione del posizionamento del punto rispetto alla diagonale della matrice. In Figura 51

vediamo la matrice che sintetizza il modello e presenta posizionamenti fittizi di ipotetiche

realtà di PMI. L’impresa X ad esempio sarebbe un’impresa ad alta complessità gestionale che

non ha un’adeguata capacità di governo delle ICT e viene quindi classificata come Impresa

arretrata; queste imprese necessitano di innovare i propri sistemi e riconsiderare il ruolo delle

ICT al fine di gestire correttamente la propria complessità. L’impresa Y sarebbe un’impresa

ben posizionata (Allineata) in quanto presenta alta complessità gestionale ma un adeguato

livello di governo delle ICT. L’impresa Z, invece, rappresenta il caso di Imprese in

espansione, in cui il livello di governo delle ICT non si limita ad essere adeguato al livello di

complessità dell’impresa ma è addirittura superiore, questa situazione è tipica di start-up.

Figura 51 - Matrice di sintesi del modello

Il posizionamento sull’asse della Complessità gestionale deriva dalla sintesi di due valori: La

Complessità organizzativa e la Complessità del business. Le due analisi portano a due risultati

di complessità indipendenti ma confrontabili, essendo tarati su una stessa scala. Il valore

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riportato sull’asse della Complessità gestionale sarà il massimo valore riscontrato tra le due

variabili. Utilizzare un’altra metodologia di sintesi potrebbe risultare errato; se, ad esempio, ci

si trovasse in un caso in cui la complessità interna è molto elevata mentre la complessità

esterna è limitata e si sintetizzassero i risultati attraverso una media o un posizionamento sulla

diagonale, si considererebbe opportuno un livello medio di governo delle ICT. Ciò però non

corrisponde alla realtà; un livello medio di governo delle ICT non è, infatti, secondo i

presupposti del modello, sufficiente per gestire una complessità organizzativa elevata.

Il livello di complessità che è assegnato a ciascuna area di analisi (interna ed esterna) è dato

dalla configurazione assunta dai singoli fattori di analisi. Ognuno di questi fattori verrà

analizzato singolarmente (dettaglio nel paragrafo 4.3) e verrà assegnato un valore di

complessità da 1 a 4, rappresentato da una scala cromatica: verde (1), giallo (2), arancione (3),

rosso (4). Questi fattori sono da considerarsi contributi indipendenti alla complessità

(organizzativa o del business): per questo motivo la complessità finale di un’area si calcola

come media dei fattori facenti parte della stessa.

Una struttura di questo tipo è stata definita anche per l’asse: Livello di governo delle ICT;

relativamente a quest’asse sono stati individuati dei fattori e su ognuno di essi verrà espressa

una valutazione da 1 a 4 sull’impresa in esame. Il posizionamento sull’asse è caratterizzato

dalla media di questi contributi.

4.3 Descrizione di dettaglio del modello

4.3.1 Complessità organizzativa

Per Complessità organizzativa s’intende la complessità derivante da fattori interni

all’impresa. In Tabella 3 sono riassunti i fattori che caratterizzano quest’area; per ogni fattore

sono stati specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che vanno osservate in

azienda e che incidono sul valore di complessità introdotto dal fattore in questione. La tabella

contiene, inoltre, le configurazioni a cui l’impresa va ricondotta e dalle quali dipendono i

valori di complessità. L’ultima colonna, invece, contiene i modelli di letteratura cui si fa

riferimento per l’analisi del fattore.

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Tabella 3 - Dettaglio dei fattori dell’area organizzativa

Macrostruttura

Il primo fattore dell’area organizzativa che si vuole rappresentare è quello che indaga la

complessità derivante dalla Macrostruttura, ovvero come l’azienda si è organizzata dal punto

di vista strutturale per rispondere alle esigenze operative richieste dal business. A tal scopo i

driver selezionati sono la modalità di lavoro e la struttura dell’organigramma.

Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano tre configurazioni principali, ovvero se

l’azienda opera prevalentemente per progetti, con logiche quali ETO, DTO, etc. (cfr.

Paragrafo 3.4), se è più focalizzata su processi ripetitivi e trasversali all’azienda o se è

prevalentemente orientata al prodotto.

Il secondo driver è rappresentativo della struttura gerarchica aziendale, ovvero se l’impresa è

focalizzata all’output in termini di prodotto, cliente o mercato (struttura divisionale), se è

orientata alle attività (struttura funzionale) o se è una composizione delle due (struttura a

matrice).

In letteratura è ampiamente discussa quale sia la configurazione organizzativa preferibile, a

seconda della tipologia di attività e degli obiettivi da raggiungere. La struttura divisionale è,

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infatti, più adatta per gestire un orientamento al prodotto, quella funzionale è generalmente

indicata per supportare i processi extra-funzionali e quella a matrice per la gestione di progetti

più o meno complessi76

. Questa distinzione è abbastanza condivisa, ma nella realtà è possibile

trovare situazioni ibride o miste che chiaramente ampliano lo spettro di soluzioni percorribili.

Questa scomposizione si limita a considerare i raggruppamenti standard, a prescindere dalla

moltitudine di realtà esistenti più o meno ibride, senza comunque perdere di validità generale.

I driver sono stati utilizzati come assi per creare la matrice della Macrostruttura, al fine di

identificare una proxy diretta della complessità per questo fattore: come si può vedere in

Figura 52, sono state identificati nove posizionamenti possibili, ovvero la combinazione

lineare di tutte le situazioni descritte precedentemente. La diagonale identifica il

posizionamento ottimale, mentre nelle rimanenti casistiche la complessità è massima (zona

rossa), a causa di un disallineamento tra la struttura e la gestione delle operations. Da notare,

inoltre, che la complessità aumenta ugualmente nel senso indicato dalla freccia, anche nei casi

di perfetto allineamento. Questo perché la gestione di organizzazioni a matrice che operano

per progetti devono dotarsi di sistemi di controllo e di coordinamento articolati e sofisticati77

.

Figura 52 - Macrostruttura

76 Spina, 2008

77 Spina, 2008

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Microstruttura

Il secondo fattore che si vuole rappresentare è quello che indaga la complessità derivante dalla

Microstruttura, ovvero come l’azienda si è organizzata dal punto di vista organico per

rispondere alle esigenze operative richieste dal business. A tal scopo i driver selezionati sono

la dimensione aziendale ed il tipo di mansione, inteso come il rapporto (%) tra i Knowledge

Worker (cfr. Paragrafo 3.1) ed il numero totale dei dipendenti.

Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano due configurazioni principali, ovvero se

l’azienda è di piccole o medie dimensioni. Per stabilire in quale delle due posizioni si trovi

una impresa, nel presente lavoro si fa riferimento alla nuova definizione delle microimprese

dettata dalla Commissione Europea, che sostituisce a decorrere dal 1° gennaio 2005 la

definizione stabilita tramite la raccomandazione 96/280/CE. In particolare una media impresa

è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone ed il cui fatturato non

superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di

euro. Una piccola impresa, invece, è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a

50 persone ed il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro (cfr.

Paragrafo 1.1 per un approfondimento sulle PMI Italiane).

Il secondo driver è rappresentativo della tipologia di lavoratori presenti in azienda ed il

discriminante è effettuato sul numero di Knowledge Worker presenti in azienda. Questi ultimi

sono tutte quelle persone che hanno ruoli quali supervisore, aiutante, ricercatore, connettore,

gestore, organizzatore, collettore, diffusore, risolutore e controllore78

.

Maggiore è il numero di queste figure, maggiore è la possibilità che esse necessitino di

interagire tra loro e con il resto dell’azienda, creando di fatto una moltitudine di relazioni che

complicano la gestione dell’impresa stessa al crescere delle sue dimensioni, in modo più che

proporzionale79

. La soglia del 50% è stata stabilita sulla base di studi empirici di settore, in

quanto vi sono business che storicamente si aggirano intorno al 10% di Knowledge Worker,

prevalentemente appartenenti al settore primario, fino a punte dell’85% di aziende che

operano in quello terziario80

.

78 Reinhardt, 2011

79 Drucker, 1954

80 Beckstead, Gellatly, 2009

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Figura 53 - Microstruttura

Scambi informativi

Questo fattore si basa sulla matrice Information Intensity introdotta da Porter e Millar nel

198581. L’obiettivo per il quale questa matrice è stata creata è introdurre una metodologia

d’analisi dell’organizzazione finalizzata a valutare l’opportunità di sfruttamento delle ICT per

ottenere un vantaggio competitivo. Porter e Millar suggeriscono di valutare l’intensità

d’informazione nei prodotti e nei processi dell’organizzazione, ipotizzando che al crescere di

tale intensità cresca anche il potenziale vantaggio derivante dall’utilizzo delle ICT a supporto

del prodotto o processo stesso. L’analisi dell’intensità informativa di prodotti e processi

permette di posizionare l’organizzazione in una matrice (Figura 54). Dato che lo scambio

d’informazioni influenza fortemente la complessità dell’impresa, tale posizionamento può

essere considerato una proxy diretta della complessità; al crescere dell’intensità di tali scambi,

infatti, si ha un aumento della complessità organizzativa dovuto alla difficoltà della gestione

delle stesse. Ogni quadrante della matrice può essere dunque ricondotto ad un livello di

complessità secondo la nota scala cromatica ed evidenziare così il contributo che gli scambi

informativi hanno nella definizione della complessità organizzativa.

81 Porter, Millar, 1985

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Figura 54 - Matrice Information intensity, livello di complessità per il fattore: Scambi informativi

Le caratteristiche principali che si osservano per rilevare l’intensità informativa di processo

sono: la quantità d’informazioni e di componenti incluse negli ordini, la quantità di fornitori

diretti, la durata dei cicli di lavoro, la complessità del processo produttivo ed il numero di

reparti coinvolti. Per quanto riguarda l’intensità informativa di prodotto, invece, le

caratteristiche primarie analizzate sono: la numerosità di informazioni intrinseche nel

prodotto, la numerosità dei codici della distinta base ed il numero di utilizzi del prodotto.

Gruppo

Nel Paragrafo 1.1.2 è stato trattato il fenomeno aggregativo delle imprese. Se si prendono in

esame PMI facenti parte di un gruppo è doveroso considerare nel modello la complessità che

questa particolare configurazione implica. In Figura 55 è rappresentata la matrice di

riferimento per questo fattore. Come per i precedenti fattori, il colore del quadrante in cui si

posiziona l’impresa ne indica il livello di complessità per quanto riguarda il fattore Gruppo.

I driver individuati per esplicitare la complessità di questo fattore sono l’entità degli scambi

informativi tra le imprese facenti parte del gruppo e la numerosità del gruppo stesso. Per

quanto riguarda la numerosità è stata scelta una soglia di riferimento. Si considerano come

gruppi di piccole dimensioni aggregazioni con al massimo tre imprese operative (escluso

holding o finanziarie), mentre gruppi con quattro o più imprese sono da considerarsi estesi.

Questa scelta si è basata su dati forniti dall’ISTAT82

nei quali si legge che il 76% dei gruppi è

composta da meno di due imprese; data l’alta popolazione di gruppi di così piccole

82 ISTAT, 2011

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dimensioni si è scelta una soglia bassa in modo da distribuire i gruppi lungo l’asse in maniera

quantomeno accettabile. Diversamente, per misurare l’entità degli scambi di informazioni tra

le società del gruppo è necessario individuare i processi trasversali alle due imprese e le

funzioni centralizzate. Analizzando tali processi si possono classificare i gruppi in due macro-

classi: gruppi con rari scambi informativi e gruppi con scambi informativi frequenti. Nella

macro-classe scambi informativi frequenti rientrano anche gruppi con diverse funzioni

operanti a livello centrale come ad esempio le funzioni amministrative, finanziarie o di

controllo.

Figura 55 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Gruppo

Conoscenza dei processi

Il quinto fattore che si vuole rappresentare è quello che indaga la complessità derivante dalla

Conoscenza dei processi, ovvero in che modo il know-how aziendale è sviluppato, conservato

e condiviso all’interno dell’azienda. A tal scopo i driver selezionati sono la formalizzazione

delle attività, ovvero se è possibile standardizzare o meno le fasi del processo di

trasformazione dell’input in output, e la gestione della conoscenza, intesa come la natura di

tale risorsa.

Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano due configurazioni principali, ovvero se

la maggior parte delle operazioni sono estrapolabili dal processo stesso e formalizzabili

(attività standardizzabile) o se il know-how per eseguire la maggior parte delle attività non è

circoscrivibile, rendendo difficile, se non impossibile, una formalizzazione duratura nel tempo

(attività non standardizzabili).

Il secondo driver è rappresentativo della natura della conoscenza, ovvero se è tacita o

esplicita. La prima, definibile anche come implicita, si basa sull’esperienza personale, su

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regole approssimative, intuizione e giudizi soggettivi. Comprende il know-how professionale,

le competenze pratiche, le conoscenze e le esperienze individuali, le soluzioni creative.

Risulta difficile da tradurre in parole, comunicare o trasmettere agli altri e generalmente

riguarda il “come” si esegue qualcosa. La conoscenza esplicita (o formale), invece, può essere

codificata, messa in forma scritta e trasmessa agli altri mediante documenti o istruzioni e

riguarda solitamente il “cosa”.

Per capire quanto sia rilevante la conoscenza è sufficiente soffermarsi su alcune dichiarazioni:

per Drucker rappresenta “la sola risorsa significativa del nostro tempo”, per Toffler è “la fonte

di ogni potere economico”, mentre Quinn afferma che è “la base di ogni prodotto/servizio di

successo”. La competizione, il contesto turbolento e l’innovazione continua portano a vedere

la conoscenza come una risorsa tanto importante quanto le risorse economiche. Come visto

precedentemente (cfr. Paragrafo 3.1), la conoscenza nasce e risiede tipicamente nei

Knowledge Worker e non è propria dell’organizzazione di cui fanno parte. Per questo motivo,

spesso, risulta difficile condividere e capitalizzare ciò che si sa, tendendo a “reinventare la

ruota” poiché semplicemente non si sa che esiste. Come se non bastasse, la conoscenza

diventa rapidamente obsoleta se non viene messa continuamente in discussione e sviluppata (è

una delle sfide a cui sono chiamate le nuove tecnologie). Occorre uno sforzo sistematico di

trovare, organizzare, rendere disponibile il capitale intellettuale che serve all’organizzazione.

La conoscenza passa da individuo a gruppo a organizzazione e viceversa attraverso diversi

possibili percorsi che si intrecciano e si susseguono: socializzazione, esteriorizzazione,

combinazione e interiorizzazione. Per favorire e influenzare questi processi il management ha

a disposizione diverse leve di intervento, riunibili sotto il cappello di Knowledge

Management. Dal punto di vista dell’organizzazione il know-how può essere gestito, dalla

generazione alla conservazione, seguendo il ciclo di vita rappresentato in Figura 56.

Figura 56 - Spirale della conoscenza (Nonaka e Takeuchi, 1995)

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In genere le attività non standardizzabili sono proprie dei progetti, contrariamente a quelle dei

processi. In riferimento alla matrice di Figura 57, se la conoscenza per realizzare quelle

attività è esplicita, sia il progetto che il processo sono sotto controllo, ovvero l’impresa è in

grado di sostituire le risorse senza gravi conseguenze (zona verde). Contrariamente, nel caso

di conoscenza tacita, l’impresa non ha il pieno possesso del know-how necessario, in quanto

le risorse sono difficilmente rimpiazzabili o sostituibili, a meno di sostenere alti costi (perdita

di produttività temporanea, formazione del personale, aumento del potere dei competitor se

entrano in possesso di tale conoscenza, etc.). Di conseguenza gestire un business in cui la

conoscenza risiede prettamente nel processo o nelle persone (conoscenza tacita) è più

complesso di attività in cui il know-how è esplicito o, in ogni caso, implica una maggiore

esigenza di strumenti e modalità di comunicazione che abilitino il trasferimento di tale know

how. A questo si aggiunge la possibilità o meno di standardizzare le attività, che riduce la

complessità qualora sia possibile perseguire qualche sorta di formalizzazione.

Figura 57 - Conoscenza dei processi

4.3.2 Complessità del Business

Per Complessità del business s’intende la complessità derivante da fattori esterni all’impresa.

In Tabella 3 sono riassunti i fattori che caratterizzano quest’area; per ogni fattore sono stati

specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che vanno osservate in azienda e

che incidono sul valore di complessità introdotti dal fattore in questione e le configurazioni di

riferimento per la valutazione. L’ultima colonna della tabella, invece, contiene i modelli di

letteratura cui si fa riferimento per l’analisi del fattore.

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Tabella 4 - Dettaglio dei fattori dell’area del business

Robustezza del business

Il primo fattore dell’area del business che si vuole rappresentare è quello che indaga la

complessità derivante dalla Robustezza del business, che nel presente lavoro è da intendersi

come capacità dell’impresa di resistere alle difficoltà intrinseche del settore grazie al suo

posizionamento rispetto alla totalità del mercato. Tale fattore è ricavato sulla base di due

driver, ovvero la quota di mercato, definita come la percentuale di fatturato rispetto al volume

complessivo del business, e lo stato di salute del settore, valutato secondo diversi aspetti da

noti studi di categoria.

Per quanto riguarda il primo indicatore si identificano tre configurazioni principali, ovvero se

l’azienda occupa una posizione da leader ove le sue scelte strategiche influenzano il mercato

(QM Alta), oppure se è una impresa follower, giocando comunque un ruolo rilevante nel

settore (QM Media) o se la sua presenza è marginale e confinata prevalentemente a livello

locale (QM Bassa).

Il secondo driver è rappresentativo dello stato di salute del settore e si basa su tre parametri

rilevati dalla nota società Euler Hermes Siac (multinazionale per l'assicurazione di crediti

commerciali, recupero crediti, valutazione commerciale dei clienti ed indennizzo per mancato

pagamento). Queste tre misure sono l’indice di rischiosità, la difficoltà di pagamento e le

insolvenze di pagamento, che riuniti in un unico indicatore costituiscono le tre configurazioni

possibili dello stato di salute del settore (Ottimo, Discreto e Critico). Il vantaggio che deriva

dall’utilizzare questo studio piuttosto che altri è che si suddivide per classificazione Ateco

2007 e in particolare discrimina tra i vari settori (prime due cifre della codifica). In questo

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modo è facilmente classificabile il contesto di ogni impresa poiché è sufficiente risalire al

codice con il quale è stata registrata alla camera di commercio. A questo punto è necessaria

una precisazione, che riguarda la possibilità dell’impresa di essere molto diversificata e di

operare in più settori. Chiaramente questa situazione è molto rara per le PMI (oggetto di

questa tesi), ma qualora una piccola azienda dovesse offrire i propri prodotti e servizi verso

due o più mercati scollegati tra loro si potrebbero verificare le seguenti situazioni:

Se l’impresa ha almeno il 70% delle sue attività in un singolo settore (legge di Pareto)

si considera quest’ultimo come dominante e di conseguenza è corretto effettuare

l’analisi come se operasse solo in quel dato contesto di mercato;

Se l’azienda è perfettamente diversificata (da 70%-30% a 50%-50%) allora è

necessario considerare il contributo di ciascuno pesando l’indice di salute dei singoli

settori con la percentuale del fatturato ricavato in ognuno di essi.

Dalle precedenti analisi è possibile arrivare a definire il livello di complessità di ogni

quadrante. A differenza di altre matrici la granularità di questa è leggermente superiore,

poiché identifica nove situazioni possibili. Se il settore è in crescita o è stabile, con buone

prospettive future, sarà considerato come ottimo e possedere una quota di mercato rilevante

facilita la permanenza in questo settore anche nei prossimi anni. Simmetricamente è

sicuramente più complesso gestire un business critico con una QM bassa o media, in quanto

una strategia errata può rivelarsi fatale per la sopravvivenza dell’impresa nel lungo periodo.

Nelle situazioni intermedie il ventaglio di possibilità è estremamente ampio, ma in questa

trattazione si limita a considerare delle zone meno complesse quando la QM è solida rispetto

a situazioni di mercato più o meno critiche.

Figura 58 - Robustezza del business

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Internazionalizzazione

La componente di internazionalizzazione è un fattore fondamentale per misurare la

complessità del business delle imprese. Se un’impresa ha un forte carattere internazionale,

infatti, sarà necessario gestire informazioni multi-lingua, governare e tenere sotto

osservazione legislature, convenzioni e monete differenti. Andrà inoltre gestita la distanza

fisica e la dispersione sul territorio.

I driver individuati per valutare la componente internazionale delle imprese sono la criticità

dei mercati serviti e la profondità negli stessi. La criticità dei mercati serviti, che vediamo

illustrata in Figura 59 è una combinazione di numero, estensione e distanza geografica e

culturale degli stessi rispetto al mercato di riferimento. È doveroso, infatti, considerare sia su

quanti mercati si affaccia l’impresa sia lo sforzo che questi mercati comportano. Non può, ad

esempio, avere lo stesso impatto sulla complessità la presenza su un mercato vasto e distante

come quello cinese rispetto ad un mercato ridotto, simile e vicino come potrebbe essere il

mercato svizzero.

Figura 59 - Driver per l’identificazione della criticità dei mercati serviti

Per avere una proxy completa della complessità, la criticità dei mercati va incrociata con la

profondità con cui l’impresa è presente in essi. Le possibili configurazioni identificate e

condivise in letteratura sono:

• Internazionalizzazione passiva: i prodotti dell’azienda vengono acquistati da operatori

economici esteri. L’azienda non offre sul mercato estero i propri prodotti ma sono le

aziende estere che s’interessano a essi, i rapporti sono quindi, spesso, occasionali.

• Internazionalizzazione attiva: l’impresa si pone sul mercato internazionale con

campagne di marketing promozionale, i rapporti internazionali sono dunque ricercati e

continui nel tempo.

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• Delocalizzazione: l’impresa sposta i propri processi, o parte di essi, in un altro paese.

In Figura 60 è rappresentata la matrice che si ottiene dall’incrocio dei due driver sopra

definiti; la scala cromatica indica come la complessità relativa al fattore

internazionalizzazione cresca linearmente con i due assi. Imprese prive di attività

internazionali sono da collocarsi nel quadrante in basso a sinistra, introducendo in questo

modo un livello minimo di complessità.

Figura 60 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Internazionalizzazione

Portafoglio prodotti

Questo fattore prende in analisi la complessità introdotta dalla tipologia di offerta

dell’impresa. I driver presi in considerazione per tale analisi sono ampiezza e profondità di

gamma dell’impresa. Un’impresa può, infatti, produrre svariati prodotti (multi-prodotto) o

essere specializzata in un unico prodotto (mono-prodotto) ma allo stesso tempo può produrre

un numero limitato o elevato di varianti di ogni singolo prodotto. Combinando queste

caratteristiche si ottiene la matrice di Figura 61 che indica, attraverso il colore del quadrante,

il livello di complessità che caratterizza il Portafoglio prodotti in analisi. Si nota come

l’ampiezza di gamma influisca in modo superiore alla profondità sul livello di complessità del

fattore. Questo è dovuto al fatto che risulta più complesso diversificare l’offerta su più

prodotti, magari molto diversi tra loro, che offrire una gamma di prodotti simili tra loro e

soggetti a piccole variazioni o personalizzazioni.

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Figura 61 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Portafoglio prodotti

Differenziali competitivi

I differenziali competitivi sono ritenuti utili come fattore di analisi poiché permettono di

indicare come l’impresa si distingue dai propri competitor diretti. Il metodo scelto per questo

confronto è identificare numero e difendibilità dei CSF. Il metodo dei CSF si deve ad un

contributo di Rockart che nel 197983

si pose l’obiettivo di selezionare le informazione

prioritarie, relative alle aree determinanti ove l’azienda deve funzionare perfettamente per

avere successo. In Tabella 5 è riportato un esempio dei possibili CSF di un’impresa, la

metrica con la quale devono essere calcolati, la fonte da cui è possibile ottenere i dati e le

motivazioni che portano all’utilizzo dell’indicatore.

83 Rockart, 1979

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Tabella 5 - Esempio CSF (Bracchi, 2005)

Un’impresa con un alto numero di CSF ha una buona posizione rispetto ai propri competitor e

ciò riduce la complessità da gestire, ma il numero dei CSF non è sufficiente e serve includere

nella valutazione anche quanto i fattori differenziali siano difendibili nel tempo. Per

comprendere quale sia il livello di difendibilità dei CSF si può osservare il numero e il valore

dei brevetti posseduti dall’impresa. Altri fattori che influenzano la difendibilità dei fattori

differenziali sono la regolamentazione del mercato ed il ciclo di vita medio dei prodotti. Se le

norme del mercato di riferimento subiscono cambiamenti frequenti, infatti, la difendibilità dei

CSF può ridursi notevolmente. Allo stesso modo se l’impresa punta su fattori differenziali di

prodotto ed il ciclo di vita dello stesso è molto breve, tali fattori sono da considerarsi

difficilmente difendibili nel tempo. Dunque avere alta difendibilità dei propri CSF significa

poter garantire che quest’ultimi permettano di mantenere o migliorare la propria posizione

competitiva nel medio-lungo periodo.

La matrice rappresentata in Figura 62 permette di identificare il livello di complessità da

attribuire all’impresa per quanto riguarda il fattore Differenziali competitivi. La complessità

massima si avrà quando non si identifica un numero rilevante di fattori differenziali e quelli

trovati risultano difficilmente difendibili. In questa situazione l’impresa si trova a dover

competere con le altre aziende senza avere le armi adatte per difendersi nel lungo periodo (i

fattori differenziali) e questo incrementa il livello di complessità totale. D’altra parte, la

complessità risulta minima nel caso in cui l’impresa presenti numerosi fattori differenziali ed

essi siano difendibili nel tempo.

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Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi

Volendo chiarire con un esempio, consideriamo due imprese (A e B): entrambe godono di una

buona posizione competitiva in quanto i propri clienti riconoscono l’alta qualità dei prodotti.

Nell’impresa A la qualità è riconducibile ad un’attenta selezione delle materie prime mentre

l’impresa B può contare su un processo produttivo brevettato che conferisce ai prodotti i

requisiti considerati differenziali dai propri clienti. L’impresa A risulterà caratterizzata da

Bassa Difendibilità dei CSF in quanto le materie prime sono accessibili anche ai diretti

competitor mentre l’impresa B sarà posizionata come ad Alta Difendibilità dei CSF grazie alle

garanzie di unicità conferitegli dal possesso del brevetto.

4.3.3 Livello di governo delle ICT

Per Livello di governo delle ICT s’intende l’insieme degli asset (architetturali e applicativi) di

un Sistema Informativo aziendale e le modalità (organizzative e strategiche) con cui queste

sono gestite, mantenute e ottimizzate, per le quali è possibile declinare delle configurazioni

tipo cui tendere.

I fattori di analisi di riferimento per l’approfondimento di tale area sono riassunti in Tabella 6.

Per ogni fattore sono stati specificati i driver presi in considerazione ovvero le variabili che

determinano le configurazioni di riferimento, sulle quali si basa la valorizzazione della

complessità, relativamente al fattore in esame. Tali configurazioni sono riportate nell’ultima

colonna della tabella.

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Tabella 6 - Dettaglio dei fattori dell’area di governo delle ICT

Maturità applicativa

Quando si parla di governo delle ICT il primo pensiero è sicuramente rivolto ai sistemi

software che l’impresa utilizza per gestire i propri processi. Il primo fattore di quest’area

riguarda, quindi, il patrimonio applicativo dell’impresa e quanto esso risulti adeguato a gestire

la complessità. Il modello identificato per valutare il patrimonio applicativo delle imprese è il

modello della Maturità applicativa dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Tale modello

è già stato approfondito nel Paragrafo 2.4.1 ed in questo fattore ci si limiterà a interpretarlo al

fine di identificare il livello di complessità gestibile attraverso il governo dell’ICT relativo ad

ogni cluster (identificati in Figura 63).

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Figura 63 - Matrice della Maturità applicativa (Osservatorio ICT & PMI, 2009)

Come si può vedere in Figura 64 al crescere del livello di Maturità applicativa, cresce il

livello di complessità gestibile. Le quattro configurazioni identificate dall’Osservatorio del

Politecnico risultano perfettamente coerenti con la scala cromatica che identifica il livello di

complessità che una data configurazione del portafoglio applicativo permette di gestire (es.: il

portafoglio integrato esteso abilita alla gestione di un alto livello di complessità organizzativa

– livello rosso).

Figura 64 - Associazione: Maturità applicativa / livello di complessità gestibile

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Maturità infrastrutturale

Analizzati i sistemi software dell’impresa, per avere una panoramica completa sul sistema

informativo aziendale è necessario considerare i sistemi hardware su cui essi risiedono. Il

fattore infrastruttura ha quindi l’obiettivo di analizzare quale sia il livello delle infrastrutture

aziendali e quale sia il loro contributo alla gestione della complessità. Come per il precedente

fattore, è possibile utilizzare il modello della Maturità infrastrutturale dell’Osservatorio del

Politecnico (Figura 65) in quanto propone una classificazione del tutto associabile alla scala

cromatica atta a misurare la capacità di gestire la complessità da parte delle ICT dell’impresa;

tale associazione è raffigurata in Figura 66. Per eventuali approfondimenti si faccia

riferimento al Paragrafo 2.4.2. nel quale il modello è già stato illustrato nel dettaglio.

Figura 65 - Matrice della Maturità infrastrutturale (Osservatorio ICT & PMI, 2009)

Dalla matrice rappresentata in figura emerge come Infrastrutture evolute presentino alti livelli

sia di Completezza che di Livello di aggiornamento. Questa configurazione, come si vede in

Figura 66, identifica un’infrastruttura in grado di rispondere a livelli di complessità molto

elevati (livello 4). Un livello sotto si collocano le infrastrutture classificate come

Infrastrutture in evoluzione, nonostante risultino meno complete delle precedenti; il livello di

aggiornamento elevato le rende flessibili e, di conseguenza, facilmente espandibili nel caso

sia necessario. Le Infrastrutture conservative, invece, seppur complete dal punto di vista

funzionale, sono tuttavia limitate nell’aggiornamento, causando notevoli problemi di

obsolescenza e poca flessibilità. La classificazione si chiude con le Infrastrutture embrionali

che, poco aggiornate e incomplete, sono adatte esclusivamente a contesti poco complessi.

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Figura 66 - Associazione Maturità infrastrutturale / livello di complessità gestibile

Innovazione ICT

Il fattore tiene in considerazione sia la spinta innovativa dell’impresa, ovvero quanto

l’impresa sia orientata ad implementare le nuove tecnologie proposte dal mercato, sia il fatto

che il miglior modo di innovare è bilanciare tecnologie all’avanguardia con tecnologie

consolidate. Essere troppo innovativi e puntare solo su tecnologie nuove, infatti, comporta alti

rischi mentre essere poco innovativi e utilizzare solo tecnologie consolidate porta, nel lungo

periodo, all’obsolescenza dell’ICT dell’impresa ovvero all’impossibilità di mantenere la

propria posizione competitiva.

L’indicatore proposto si basa sugli studi di Gartner riguardanti le tecnologie di settore: la

curva è rappresentata in Figura 67. In questo caso si utilizza la curva già declinata sul settore

manifatturiero, mentre, nel caso in cui si voglia applicare il modello ad altre tipologie

d’imprese, Gartner fornisce report dedicato per ogni settore. Gartner fornisce il

posizionamento delle tecnologie di ogni settore su una curva, detta Hype Cycle (cfr. Paragrafo

3.5). La curva si sviluppa su due assi: l’asse temporale e l’asse delle aspettative. L’asse di

interesse per questa analisi è l’asse temporale; si andranno ad utilizzare le cinque classi in cui

le tecnologie sono suddivise sull’asse temporale. Per la precisione si attribuisce un peso

differente ad ogni tecnologia in base alla classe a cui essa appartiene. I pesi come riportato in

Figura 67, vanno da 1 a 5; attribuendo un peso minore alle classi che rappresentano tecnologie

meno innovative. La classe On the rise, quindi, avrà peso 5, la classe At the peak peso 4 e così

via fino ad arrivare alla classe Entering the plateau cui verrà attribuito peso 1.

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128

Dato l’insieme di tecnologie M (Gartner) ed i pesi associati ad ognuna di queste tecnologie

compresi tra 1 e 5 si definiscono:

: { }

: { }

{ }

{ }

{ }

{ }

L’indicatore percentuale v sull’innovatività dell’imprese viene dunque scalato in funzione

della distribuzione delle tecnologie presenti lungo l’asse temporale di Gartner. Nel caso in cui

questa distribuzione non risulti equa e ci si trovi dunque di fronte ad imprese o troppo

innovative o troppo poco innovative, l’indicatore di innovazione consapevole k risulterà

inferiore rispetto a v. Il fattore risulta quindi alto quando numerose tecnologie dell’elenco

fornito da Gartner risultano adottate e contemporaneamente, innovazione (pesi alti) e stabilità

delle tecnologie (pesi bassi) trovano un compromesso minimizzando la distorsione tra media

effettiva e media ideale m.

Il fattore k deve poi essere interpretato attraverso dei valori soglia che stabiliscano il livello di

capacità di gestione della complessità dei diversi range. Si consideri un fattore innovativo

nullo o insufficiente per valori di k compresi tra 0 e 10%: sono imprese a basso contenuto

innovativo aziende con k compreso tra l’11% e il 20%, realtà con k tra il 21% e il 30% sono

da considerarsi a medio contenuto innovativo mentre organizzazioni con k superiore al 30%

possono essere considerate ad alto contenuto d’innovatività. In Figura 67 è possibile vedere

l’associazione dei range alla scala cromatica caratteristica di questo modello.

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129

Figura 67- Curva di Gartner, pesi delle classi di tecnologie e legenda dell'indicatore k (Gartner, 2010)

Rilevanza strategica delle ICT

Il fattore analizzato in questo paragrafo si riferisce al coinvolgimento della Direzione IT nei

processi decisionali dell’impresa, in particolare nel processo di definizione della strategia. Nel

Capitolo 2 è stato ampiamente descritto il ruolo strategico che l’ICT può assumere a supporto

del business dell’impresa. Perché ciò si avveri è però necessario che gli attori che governano

il business siano consapevoli delle potenzialità dell’ICT. Il modello proposto dal MIT, trattato

nel Paragrafo 2.3 fornisce un riferimento per poter individuare quale sia la visione che il

business ha delle ICT. Analizzando le prospettive, descritte nel Paragrafo 2.3.3, è possibile

individuare l’influenza che la divisione ICT ha all’interno dei processi decisionali e collocare

così l’impresa all’interno della classificazione rappresentata in Figura 68. Le quattro visioni

possibili si ispirano ad un modello di Forrester Research; il modello suggerisce che le

imprese, per utilizzare efficacemente le ICT, devono risultare allineate rispetto alle quattro

colonne rappresentate in Figura 69.

All’interno del fattore Rilevanza strategica delle ICT si prende in considerazione la sola

colonna Business view of IT poichè le altre colonne andrebbero a considerare caratteristiche

dell’impresa che sono oggetto d’analisi di altri fattori. È necessario limitare questo tipo di

sovrapposizioni in quanto si andrebbe a mischiare i campi d’analisi dando così troppa

rilevanza a queste caratteristiche e rischiando di uscire dalla logica lineare su cui è basato il

modello. L’obiettivo è, infatti, quello di valutare la capacità dell’impresa di gestire la

complessità attraverso l’utilizzo delle ICT come risorsa strategica; maggiore sarà la

considerazione di cui l’ICT gode nei processi decisionali, maggiore sarà tale capacità. La

scala cromatica con cui sono rappresentate le possibili visioni dell’IT in Figura 68

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130

rappresentano dunque il livello di complessità che l’impresa potrebbe gestire relativamente a

questo fattore.

Figura 68 - Modalità di valutazione per il fattore: Rilevanza strategica delle ICT(rielaborato da Boccardelli, 2007)

Figura 69 - Alignment IT and business - Forrester research (Castelli, 2010)

Competenze ICT

Per chiudere il quadro dell’area governo delle ICT bisogna necessariamente considerare le

competenze degli addetti IT. Nel Paragrafo 2.2 sono state identificate le competenze

fondamentali di una Direzione IT e vengono evidenziati i possibili profili che il reparto può

assumere all’interno dell’impresa in base al livello riscontrato per ognuna di esse. I profili che

emergono dal modello dell’Osservatorio sono tre, tuttavia il profilo IT buyer e project

manager, ovvero il profilo con competenze più alte, è a sua volta scomponibile in due livelli.

Si identificano nel primo livello Direzioni IT in grado di esercitare la funzione di buyer sotto

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131

stretto controllo da parte di altri attori dell’organizzazione, e risultano in grado di gestire

progetti di entità ridotta, che non coinvolgono risorse di più BU dell’impresa. Il secondo

livello dell’IT buyer e project manager, invece, si differenzia per competenze gestionali più

elevate che consentono alla Direzione IT di essere autonoma e propositiva nei processi di

acquisto di tecnologia e nella gestione di progetti complessi, trasversali all’impresa. I profili

di IT Help Desk e IT sviluppatore, invece, assumono esattamente l’accezione descritta

precedentemente. Si delineano dunque quattro profili possibili; ragionando in ottica di

capacità di gestire la complessità, appare evidente come all’aumentare delle competenze, la

Direzione IT sia in grado di contribuire maggiormente alla gestione della complessità

dell’impresa. L’abbinamento tra i livelli di complessità gestibile ed i profili di competenza,

riassunto in Figura 70 è dunque immediato e del tutto coerente con gli altri fattori visti sinora.

Figura 70 - Associazione profili di competenza ICT / livello di governo delle ICT

4.4 Limiti e opportunità di evoluzione

Il modello ha una funzione prescrittiva, ovvero definisce la situazione attuale dell’impresa,

senza suggerire la configurazione futura rispetto al caso specifico. Tuttavia può essere

adattato al fine di analizzare il punto di arrivo dell’impresa, ma perché ciò sia possibile è

necessario che la visione To-Be sia chiara e dettagliata a chi applica il modello. In questo caso

l’analisi andrebbe condotta valutando ogni fattore secondo i progetti e le ipotesi definite per la

configurazione futura. Utilizzare il modello in quest’ottica aiuterebbe a comprendere se la

Complessità gestionale, che caratterizzerà la nuova configurazione dell’impresa, sarà

adeguatamente supportata dal governo delle ICT che verrà adottato.

Come esposto all’inizio di questo capitolo, una delle caratteristiche del modello “ICT per

gestire la complessità” è quella di partire da framework già presenti e consolidati in

letteratura, che vanno a considerare elementi oggettivamente rappresentabili in termini di

analisi. Tale aspetto porta pertanto ad escludere caratteristiche intrinseche dell’impresa che

condizionano la sua complessità in modo non lineare.

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132

Questo è il motivo per cui nessun fattore prende in considerazione i rapporti tra le persone,

nonostante in un’impresa, specialmente in una PMI, le relazioni tra i dipendenti siano

fondamentali per lo svolgimento delle attività. Gestire un ambiente di lavoro caratterizzato da

un clima di cordialità e cooperazione riduce notevolmente la complessità di un’impresa,

poiché i processi decisionali saranno più snelli e rapidi, diminuendo la probabilità che molti

progetti falliscano o ritardino a causa dell’ostruzionismo di alcuni individui. Il clima

aziendale è un tipico fattore trasversale all’impresa, che non è possibile estrapolare e gestire in

modo indipendente e lineare.

Lo stesso motivo porta ad escludere dal modello la tipologia di gestione che caratterizza

l’impresa. In Italia la forma di gestione più diffusa per quanto riguarda le PMI è la gestione

familiare (cfr. Paragrafo 1.1.1). Si possono identificare due modelli di gestione, quello

famigliare e quello manageriale, ove in quest’ultimo i soci azionisti, proprietari dell’impresa,

delegano al management la gestione operativa dell’impresa. Il modello famigliare, per quanto

snello e largamente adottato in Italia, è caratterizzato da inefficienze riguardanti la

suddivisione del potere e le competenze necessarie per la gestione dell’impresa. Si potrebbe

dunque affermare che questa tipologia di gestione introduce una complessità superiore

rispetto alla gestione manageriale; quest’ultima, tuttavia, presenta alcuni fondamentali

problemi, primo tra tutti l’asimmetria informativa tra proprietà e management (modello

Principale-Agente84

). Se proprietà e management, invece, si concentrano nelle mani dello

stesso gruppo famigliare, si può supporre che esse abbiano i medesimi interessi. Ciò porta ad

una maggior velocità di decisione e flessibilità, caratteristiche fondamentali per una PMI, che

favoriscono una riduzione della complessità. Anche la modalità di gestione, quindi,

rappresenta un fattore da considerare separatamente, poiché non può essere trattato

egualmente agli altri indicatori, nonostante influenzi la complessità dell’impresa.

Il perimetro di analisi su cui agisce il modello non include particolari indicazioni sul modo di

gestire la complessità, una volta individuata, tuttavia fornisce gli elementi fondamentali per

comprendere quali siano i fattori su cui l’impresa può e deve far leva al fine di riposizionarsi

sulla diagonale della matrice di sintesi del modello.

Un’altra assunzione che è stata fatta, che in sostanza non si discosta molto dalla realtà, è che

le caratteristiche analizzate nell’area del business sono da considerarsi fisse nel breve periodo,

mentre quelle presenti nell’area organizzativa suggeriscono un punto di partenza per

effettuare dei miglioramenti anche nel breve periodo, al fine di ridurre la complessità rilevata.

Per quanto riguarda il fattore Macrostruttura, se ad esempio l’impresa presentasse una

84 Rogerson, 1985

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133

complessità di livello 4 (quadranti rossi), potrebbe bastare un adeguamento

dell’organigramma per riallineare la struttura organizzativa alle modalità di lavoro e ridurre di

conseguenza la complessità intrinseca. Nel caso in cui il fattore Conoscenza dei processi

presenti una elevata complessità, sarebbe sufficiente intervenire sulla standardizzazione dei

processi o sulla formalizzazione del know-how che risiede nelle persone (conoscenza tacita),

per ridurre la complessità rilevata da tale indicatore.

Diminuire la complessità resta, ad ogni modo, un’operazione a sua volta complessa, senza la

garanzia di ottenere quanto desiderato, poiché non è semplice intervenire senza

ridimensionare il business dell’azienda (presenza di trade-off). È più indicato, invece,

identificare e intervenire sul Livello di governo delle ICT. Il modello non fornisce indicazioni

specifiche su come intervenire per migliorare il governo delle ICT, ma indica quali siano le

aree di miglioramento individuate. Tuttavia è possibile far riferimento al Capitolo 3 per

quanto riguarda lo stato dell’arte dei propri Sistemi Informativi ed effettuare una “Gap

Analysis” tra il livello attuale e quello necessario richiesto dal modello.

Il modello al momento non prende in esame la strutturazione di percorsi di evoluzione che

possano indicare come, dato un certo posizionamento assunto dall’impresa, questa possa

migliorarsi e assestarsi sul posizionamento suggerito dal modello, secondo linee di sviluppo,

organizzative e tecnologiche ben definite. In tal senso il lavoro potrebbe rappresentare un utile

punto di partenza per la definizione di una Road Map strutturata che, in base alla tipologia di

PMI e al posizionamento sulla matrice di allineamento, definisca e tempifichi i passi per

migliorarne il relativo Livello di governo delle ICT. In questo modo l’impresa, terminata

l’analisi, potrebbe fruire di linee guida che le permetterebbero di raggiungere l’allineamento

con la Complessità gestionale, rispondendo in modo completo alle esigenze emerse.

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134

5. Capitolo 5

5. Il caso di studio del Gruppo F – B

Nel presente capitolo saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un

primo caso di studio. La realtà analizzata è il Gruppo F-B, anonimizzato per ragioni di

privacy, composto solo da due aziende, F e B, che operano in mercati diversi e con modelli di

produzione differenti. L’applicazione su tale realtà si colloca all’interno di un più ampio

progetto condotto dalla Fondazione Politecnico che ha supportato il Gruppo analizzato nella

fase di trasferimento tecnologico.

La prima parte del capitolo sarà dedicata alla descrizione delle imprese, dei loro processi e del

mercato di cui fanno parte. Seguirà una panoramica volta a cogliere lo stato dell’arte dei

Sistemi Informativi, in termini di rilevazione dell’attuale configurazione applicativa e

infrastrutturale del Gruppo.

Infine verrà applicato il modello proposto, valorizzando ciascuno dei fattori indicati come

driver delle macro aree di analisi, con l’obiettivo di comprendere se l’attuale configurazione

ICT è adeguata, in termini organizzativi e di asset tecnologici, alle esigenze di complessità

gestionale rilevate.

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135

5.1 Descrizione del Gruppo F – B

Il Gruppo F-B nasce nel 1960 quando la famiglia F acquisisce parte del capitale di B come

socio esterno, senza incarichi operativi, con una quota del 50%. Dal 1987 la famiglia F

diventa l’unica proprietaria ed effettua i primi interventi strategici, puntando prevalentemente

sulla crescita nei mercati internazionali e investendo in tecnologie informatiche, a partire dal

sistema ERP. Nel 2008 la famiglia F, tramite la sua holding, acquisisce il controllo azionario

di B e F.

L’azienda F (265 dipendenti, 90 Mln € di fatturato), è stata fondata negli anni ’30 ed è

specializzata nella progettazione e realizzazione di grandi impianti alimentari per la

produzione della pasta. Date le specificità richieste dai clienti, opera esclusivamente su

commessa (ETO), dalla fase di ingegnerizzazione all’installazione e collaudo del prodotto

finito. L’impresa B (188 dipendenti, 49 Mln € di fatturato), invece, opera nel settore delle

soluzioni per il clima in ambito residenziale e industriale. Il mercato richiede che il prodotto

sia ordinato e consegnato nel minor tempo possibile, richiedendo di conseguenza una

produzione su base previsionale (MTS).

5.1.1 Le caratteristiche dell’azienda F

L’impresa ha all’attivo circa 150 clienti, che spaziano dai più famosi pastifici sino ai

produttori di pasta di fascia bassa; si distingue dai competitor per gli alti volumi produttivi

garantiti, per la qualità di prodotto e processo e per la costante innovazione proveniente dalla

propria R&D interna. Fin dall’esordio, infatti, sono stati numerosissimi i brevetti depositati,

ma ancora oggi investe importanti risorse nell’innovazione continua.

Il mercato degli impianti per pastifici è in crescita ed in particolare si punta sulle nuove

opportunità rappresentate dai mercati dell’area mediterranea e dell’Africa centrale.

L’espansione evidenziata nell’ultimo lustro (209 dipendenti e 50 Mln € di fatturato nel 2006)

ha portato F a sconfinare dai limiti stabiliti nella definizione europea di PMI (Paragrafo 1.1);

ad ogni modo l’impresa può essere analizzata, per organizzazione e storia, secondo il modello

proposto, tenendo in considerazione tale approssimazione in fase di interpretazione dei

risultati.

In Figura 71 è rappresentato l’andamento del fatturato e del numero di dipendenti negli ultimi

dieci anni. Appare evidente come dal 2004 ad oggi F sia in costante crescita sia a livello di

fatturato che di marginalità. Il numero di dipendenti è, invece, rimasto costante dopo un

brusco calo nei primi anni del decennio. Questi dati rispecchiano l’attenzione che F ha posto

sull’efficienza del processo produttivo, e all’espansione del business su mercati internazionali

in particolare alle zone in sviluppo. Si nota, inoltre, che F non ha subito l’effetto della crisi del

2008 e ciò si deve alla tipologia di prodotto. La pasta, infatti, è un prodotto con domanda

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136

anticiclica per cui, in tempo di crisi la domanda tende ad aumentare; il mercato degli impianti

per la produzione di pasta è conseguentemente caratterizzato dallo stesso andamento.

Figura 71 - Andamento di F negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)

L’offerta di F si differenzia tra la pura vendita del macchinario e la soluzione “chiavi in

mano”, in cui l’azienda si occupa direttamente anche delle attività di installazione e collaudo.

Gli impianti pastifici hanno una durata operativa molto lunga, mediamente compresa tra i 30 e

i 40 anni, e sono caratterizzati da una elevata complessità di prodotto e di processo.

Tipicamente occorrono da sei a otto mesi per l’evasione di un ordine poiché, come accennato

precedentemente, è necessaria una progettazione ad hoc delle specifiche richieste dal cliente.

La distinta base è piuttosto profonda e ramificata (include 7.000-8.000 codici di cui 600-700

specifici per ogni commessa) e il processo produttivo è articolato in molteplici fasi. Il ciclo

produttivo si configura pertanto secondo logiche di produzione per commessa, con volumi

ridotti a valore unitario elevato (1-5 Mln € a macchina).

5.1.2 Le caratteristiche dell’azienda B

Lo scenario competitivo di B è caratterizzato dalla presenza di un elevato numero di player,

che spaziano dalle grandi multinazionali, quali Bosch con 3 Mld € di fatturato, fino ai piccoli

produttori (30-80 Mln €) tra i quali si colloca B. Rispetto ai concorrenti si differenzia sulla

qualità del prodotto, poiché è caratterizzato da un alto contenuto tecnologico e da un’ottima

affidabilità, collocandosi di conseguenza nella fascia medio-alta del mercato. In particolare i

laboratori per la prova di bruciatori e caldaie sono dotati di sofisticati strumenti per la misura

dell'efficienza degli apparecchi, della qualità dei prodotti della combustione e del livello di

rumorosità, secondo le richieste delle più esigenti normative internazionali.

Il settore del riscaldamento ha subito gli effetti della recente recessione, anche se vi sono

segnali di crescita soprattutto all'estero (+30% nel primo semestre del 2010 rispetto allo stesso

periodo del 2009). Il presidio dei mercati è affidato ad una rete commerciale che serve l’intero

territorio italiano (900 fra concessionari, agenti, punti vendita, centri assistenza, etc.) e circa

0

50

100

150

200

250

300

350

0

20

40

60

80

100

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Dip

en

de

nti

Milioni (€)

Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti

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137

quaranta paesi esteri, prevalentemente in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina,

attraverso importatori e distributori specializzati.

In Figura 72 è riportato l’andamento di fatturato e dipendenti di B negli ultimi dieci anni. I

dati evidenziano un trend costante, in leggera crescita nel periodo antecedente alla crisi del

2008 che ha avuto un impatto rilevante. Nell’ultimo esercizio, tuttavia, l’impresa è stata in

grado di recuperare e riportarsi su livelli di fatturato e marginalità che le competevano in

precedenza.

Figura 72 - Andamento di B negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)

Il mercato di riferimento è particolarmente dinamico a seguito della crescente

sensibilizzazione verso tecnologie “Green”: le recenti normative premiano l’innovazione

mirata all’abbattimento dei consumi energetici, favorendo lo sviluppo di prodotti alternativi

prima inesistenti (es.: case di classe A). Il vertice di B intravede, per l’espansione del business

nel prossimo futuro, l’ampliamento della gamma prodotti grazie all’introduzione d’impianti di

micro-generazione e ad una maggiore attenzione verso nuove tecnologie fotovoltaiche. Nel

lungo periodo il focus sarà rivolto alle pompe di calore, che andranno a sostituire le attuali

caldaie.

Il management è sensibile al valore delle tecnologie ed è interessato a sistemi per

l’ottimizzazione del controllo di processo e della programmazione. In particolare è percepita

l’esigenza di aumentare l’efficacia della pianificazione della produzione, migliorando il grado

di affidabilità delle previsioni della domanda.

5.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi

Le due imprese, come riportato precedentemente, operano in contesti molto differenti, sia per

tipologia di prodotti che per modalità di produzione degli stessi. Per questo motivo attività e

strutture sono completamente separate, ad eccezione del Centro Elaborazione Dati (CED), che

risiede fisicamente presso B e serve entrambe le aziende in termini di Help Desk, poiché

alcune applicazioni sono in comune (cfr. Figura 75).

0

50

100

150

200

250

300

350

0

10

20

30

40

50

60

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Dip

en

de

nti

Milioni (€)

Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti

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138

Per comprendere come operano le due aziende sono state effettuate alcune interviste con i

key-user individuati nelle rispettive società. Il lavoro di consulenza svolto presso il Gruppo F-

B ha permesso una mappatura completa dei processi sia dal punto di vista funzionale che da

quello applicativo/infrastrutturale, determinando la catena del valore85

e l’architettura dei SI

delle due imprese.

La Figura 73 rappresenta una sintesi di quanto emerge da tale analisi presso F, poiché lo

schema include i processi primari e quelli di supporto, che attraversano trasversalmente tutta

l’azienda, in quanto rispetto alle diverse attività. L’analisi, volta a far emergere le carenze dei

sistemi attuali e le esigenze dei diversi attori in ambito di supporto ICT (approfonditi nel

Paragrafo successivo), permette anche di individuare i processi più critici, che necessitano di

innovazioni organizzative. In F questi processi sono: il Controllo di Gestione, data la

difficoltà nel reperire tutte le informazioni sui tempi e i costi delle commesse e la poca

precisione con cui essi vengono rilevati; la Gestione del Contatto Commerciale, complessa in

quanto prolungata nel tempo e la fase di montaggio in loco dell’impianto.

Se previsto dal contratto, F si occupa anche del montaggio e del testing dell’impianto presso il

cliente. Data la frequenza di clienti internazionali e le dimensioni degli impianti, la gestione di

eventuali eccezioni e rilavorazioni da effettuare in fabbrica risulta particolarmente critica.

Figura 73 - Catena del valore di F

Per quanto riguarda i processi di B, invece, risulta particolarmente critico il rapporto tra

l’Ufficio Commerciale e la Produzione. Il mercato di B richiede velocità, dato il numero di

competitor e la scarsa differenziazione dei prodotti; il tempo con il quale soddisfa le richieste

del cliente, infatti, diventa un elemento fondamentale per mantenere la quota di mercato.

85Porter, 1985

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139

Per avere tempi di risposta brevi è necessario avere un’organizzazione flessibile e perché ciò

sia possibile le informazioni devono sempre essere disponibili a chi ne necessita. In B gli

uffici per la Gestione degli ordini (Italia ed estero) non hanno visibilità sulla schedulazione

della produzione in primo luogo perché non esiste uno Schedulatore a capacità finita integrato

al sistema e in secondo luogo perché Commerciali e Produzione hanno una divergenza di

interessi. Per l’Ufficio Commerciale, infatti, un ordine aggiuntivo significa incrementare il

fatturato e quindi raggiungere i propri obiettivi mentre per la produzione significa extra-

lavoro e riorganizzazione delle attività.

La mancata gestione delle priorità e la scorretta gestione degli incentivi causano una perdita di

flessibilità. L’impresa ha provato a riorganizzarsi inserendo la figura del Planner all’interno

dell’Ufficio Commerciale, con esperienza nella Produzione, che funge da raccordo tra i due

reparti, ottenendo alcuni miglioramenti. Tuttavia questa fase rimane critica ed è necessario

intervenire in modo più consistente per garantire risultati anche nel lungo periodo.

Figura 74 - Catena del valore di B

5.1.4 Assessment sistema informativo

Dall’analisi svolta è stato rilevato uno scenario applicativo vasto ed eterogeneo in cui i

Sistemi Informativi sono cresciuti per aggiunte successive, raggiungendo una buona copertura

dei processi di business, ma con isole applicative parzialmente integrate (spaghetti

integration). In Figura 75 si riporta la mappa del portafoglio applicativo attualmente gestito.

Il patrimonio applicativo F/B è composto da: 22 applicazioni specialistiche non integrate, 19

applicazioni specialistiche integrate con il gestionale, 31 applicazioni dedicate a servizi di

infrastruttura, 6 applicazioni per la gestione dell’infrastruttura virtuale.

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140

Le applicazioni comunicano tra loro attraverso: Integrazioni interne, scambio di flussi dati tra

il gestionale e i diversi software specialistici tramite formati concordati tra le parti,

integrazioni effettuate tramite applicativi ad-hoc, integrazioni con l’esterno, utilizzo di servizi

Java per l’inserimento di alcuni dati nel gestionale oppure integrazioni tramite protocolli

standard.

Figura 75 - Mappa delle applicazioni Gruppo F – B

Descrizione dei software applicativi

Software

applicativo

Descrizione

Gestionale: AS

400

Sistema ERP basato su tecnologia IBM System (AS 400) modello 520

per la copertura dei processi di: amministrazione, produzione, gestione

magazzino, ciclo ordine fornitori, ciclo ordini clienti

Gestione delle

offerte

Specializzato nel supporto per l’offertazione. Supporto alle attività di

censimento e registrazione dell’offerta (Legame anagrafica

cliente,legame anagrafica prodotto, import mail offerta)

Reportistica Supporto ai processi direzionali di controllo di gestione e di

monitoraggio, utilizzato per la produzione di reportistica

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141

Cad 2D /3D Supporto alle attività di progettazione tecnica di singoli

componenti/gruppi. Adottato nella versione 2D e 3D

PDM Supporto alle attività di progettazione tecnica nelle attività di gestione

dei disegni tecnici (dati e documentazione)

Avanzamento

della produzione

Software per il tracciamento della produzione: permette la gestione

informatica delle fasi di lavorazione e la rendicontazione delle ore

uomo effettuate sulla commessa

Posta elettronica Software per la gestione della posta elettronica e per il reperimento

delle informazioni per la gestione della commessa

Business

Intelligence

Software a supporto delle attività direzionali di controllo di gestione, di

analisi di Business Intelligence e produzione di reportistica

Logistica Software per la gestione dei flussi logistici: supporta le fasi di prelievo

e spedizione definendo i “viaggi” per i prelievi dei componenti

aggiornando i relativi livelli di giacenza

Portale Portale extranet per l’immissione degli ordini da parte della rete di

vendita

Collaudi/Controllo

qualità

Software per la gestione dei controlli di qualità a campione e per la

manutenzione degli strumenti di controllo

Progettazione

elettrica

Software per la generazione delle distinte base dei componenti elettrici

(es.: quadri elettrici)

Gestione note

spesa

Software per la gestione delle note spese (costi di trasferta, etc.)

Gestione badge Software per la gestione delle presenze e della mensa

Fatturazione

elettronica

Software per l’archiviazione sostitutiva della fatture attive e passive e

dei libri contabili

Tesoreria Software per la gestione dei pagamenti contributivi, lettere di intento, e

tutto ciò che riguarda l’invio delle informazione all’Agenzia delle

Entrate

Tabella 7 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo F - B

Page 152: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

142

Nonostante l’ampia copertura funzionale sono significative le segnalazioni emerse di esigenze

di integrazione e interoperabilità da parte degli utenti chiave intervistati.

In entrambe le imprese si riscontra la primaria necessità di uno Schedulatore a capacità finita

in grado di coordinare le operazioni produttive e consentire ai commerciali di proporre offerte

ai clienti con tempi di consegna rispettabili. Un’altra necessità comune è costituita da

software per la gestione univoca dei dati di prodotto (PDM), ad oggi assente e molto utile sia

nei casi di prodotti articolati e dal ciclo di vita lungo come gli impianti di F che per la

gestione dell’ampia gamma dei prodotti B. In quest’ultima realtà, in particolare, un

trattamento dei dati di questo tipo consentirebbe un’ottimizzazione nella gestione dei fuori

standard e dei ricambi per articoli fuori produzione.

Le differenti caratteristiche delle due imprese generano bisogni anche di diversa natura. Si

rileva, infatti, la mancanza di due applicazioni fondamentali nel parco applicativo: sistemi di

gestione integrata delle commesse per F e sistemi a supporto delle previsioni di vendita per B.

Data la lunga durata e l’elevato numero di funzioni aziendali coinvolte in ogni commessa di

F; risulta necessario un applicativo che permetta la gestione di costi, tempi e risorse associate

ad una commessa. In questo modo si andrebbe a facilitare il compito dei Project Manager e ad

abilitare un maggiore controllo di quelli che sono i processi core dell’impresa.

B, invece, si basa su una produzione su previsione di vendita e, di conseguenza, la stima della

domanda rappresenta un’attività fondamentale per il business dell’impresa che deve essere

supportata da funzioni dedicate e non, come avviene attualmente, basarsi esclusivamente

sull’esperienza dei commerciali e del responsabile delle vendite.

L’infrastruttura di rete è composta da 10 armadi (7 di B e 3 di F) connessi tra loro

principalmente da connessioni a 100 Mb/s e solo una porzione della rete di B è coperta da

connessioni a 1Gb/s.

La sala server dispone di 28 server fisici (compreso il gestionale AS400) e 48 server virtuali.

In particolare, l’infrastruttura virtuale è costituita da 3 server e 2 storage su cui è installato il

sistema di virtualizzazione VMWare ESX. Tale configurazione (hardware e software)

garantisce un buon livello di affidabilità.

5.2 Applicazione del modello

Dalla descrizione riportata nei paragrafi precedenti, emerge come F e B, seppur facenti parte

dello stesso Gruppo, presentino caratteristiche completamente differenti. Risulta pertanto

opportuna un’analisi disgiunta delle due imprese secondo i fattori delle aree organizzativa e

del business. Nel corso di questo capitolo, si andrà quindi ad analizzare il posizionamento

delle due imprese in maniera indipendente rispetto ai fattori di complessità identificati nel

modello, arrivando a determinare la Complessità gestionale caratteristica delle singole

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143

imprese. Per quanto riguarda l’analisi del Livello di governo delle ICT, invece, si possono

considerare le imprese in maniera congiunta dato che il Gruppo ha scelto di mantenere la

Direzione IT comune tra le due imprese e le caratteristiche tecnologiche sono

conseguentemente le stesse. È comunque importante sottolineare il fatto che esistono delle

lievi differenze tra il patrimonio applicativo di B e quello di F dato che alcuni sistemi sono

stati dotati di personalizzazioni ad hoc per le impresa e che alcuni software sono stati

acquistati ad uso specifico di un’impresa o addirittura di un reparto di questa. La dispersione e

la proliferazione del portafoglio applicativo è dovuta, principalmente, al fatto che il budget IT

non è esclusivamente gestito dalla Direzione IT ma le singole Business Line hanno la

possibilità di utilizzare il proprio senza necessariamente coinvolgere la Direzione IT nella fase

di selezione del software. Questo provoca problemi di compatibilità e integrazione con gli

applicativi già presenti in azienda oltre che la completa assenza di controllo sul portafoglio

applicativo.

Le differenze rilevate non risultano differenziali per la valorizzazione delle variabili di analisi

del modello proposto. Il posizionamento delle due imprese sarà dunque analogo per ogni

fattore che riguarda quest’area.

5.2.1 Complessità organizzativa F – B

Per quanto riguarda la complessità organizzativa, F presenta caratteristiche che la collocano a

un livello nettamente superiore a quello di B. Organizzare un’impresa che lavora per

commesse con lunghi cicli di vita e di notevole articolazione risulta, infatti, più complesso

rispetto a organizzare un’impresa che si basa su prodotti dal ciclo produttivo più breve o

addirittura nullo (nel caso di prodotti commercializzati).

Figura 76 - Complessità organizzativa, risultati complessivi F e B

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144

In Figura 76 si nota, infatti, come F presenti una complessità superiore rispetto a B per ogni

fattore dell’area organizzativa eccezion fatta per il fattore Gruppo dove, necessariamente, le

imprese presentano le stesse caratteristiche.

Nei paragrafi a seguire si entrerà nel dettaglio di ogni fattore, giustificando la scelta fatta

rispetto ai valori riportati.

Macrostruttura F-B

Analizzando le imprese secondo i driver del fattore Macrostruttura, si nota come F, lavorando

su commessa, presenta una modalità di lavoro di progetto. L’azienda, tuttavia, è organizzata

in modo funzionale, con un accenno di struttura a matrice troppo debole per poter affermare

che l’impresa adotta questo tipo di organigramma. Sebbene sia presente la figura del project

manager, infatti, i reparti coinvolti si susseguono con logica di processo sequenziale, come è

possibile notare dalla catena del valore in Figura 73, e non in ottica di team work. La

posizione di F sulla matrice di Figura 77 è dunque fuori dalla diagonale e ciò, secondo le

metriche definite dal modello, implica una complessità elevata, dovuta all’inadeguatezza

dell’organigramma rispetto alla modalità di lavoro.

B, al contrario, risulta posizionata sulla diagonale della matrice Macrostruttura. Ad

un’organizzazione funzionale, visibile anche sulla Catena del valore di Figura 74 corrisponde,

infatti, una modalità di lavoro per processi. Questo giustifica il contributo di complessità

ridotto (livello 2).

Figura 77 - Matrice di complessità della Macrostruttura, posizionamenti di F e B

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145

Microstruttura

Entrambe le imprese del Gruppo sono, per quanto riguarda il numero di dipendenti,

classificabili come Medie imprese. Il differente livello di complessità deriva, come visibile in

Figura 78, da un diverso rapporto tra il numero di Knowledge Worker e il numero di

dipendenti totali.

F presenta una percentuale di Knowledge Worker superiore alla soglia. La produzione di

impianti ingegneristicamente complessi necessita di un Ufficio Tecnico vasto, un Ufficio

Automazione software e persone in grado di mettere insieme le varie parti della commessa

(Project Manager). Ciò comporta che il numero di Knowledge Worker, come emerso dalle

analisi, superi la soglia del 50%.

B, invece, ha una percentuale di Knowledge Worker inferiore alla soglia (42%); ad incidere

su questo dato è soprattutto l’elevato numero di “colletti blu” impegnati nei magazzini e nella

logistica.

Figura 78 - Matrice di Microstruttura, posizionamenti di F e B

Scambi informativi

In Figura 79 sono riportati i posizionamenti delle due imprese sulla Matrice degli Scambi

informativi. Le caratteristiche evidenziate dall’analisi di F, evidenziano un’Intensità

informativa di processo alta. Il processo produttivo è caratterizzato da una lunga durata (dai

sei agli otto mesi) ed è molto complesso e personalizzato per ogni cliente. Inoltre, com’è

possibile dedurre dall’articolazione della catena del valore riportata nel paragrafo 5.1.3, la

commessa coinvolge numerosi reparti.

Page 156: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

146

F deve essere posizionata nella parte alta della matrice anche sull’asse dell’Intensità

informativa di prodotto in quanto i codici da gestire in una commessa sono numerosi

(7000/8000) e il prodotto è fortemente personalizzato, sia per dimensioni che per specifiche

tecniche. L’impianto pastificio, inoltre, include componenti sia meccaniche che software ed è

da considerarsi ad alto contenuto tecnologico. Queste caratteristiche concorrono ad attribuire

a F una complessità per il fattore Scambi informativi molto elevata (livello 4).

L’Intensità informativa di processo di B, invece, è da considerarsi bassa. Il processo

produttivo è di breve durata e una parte del fatturato è composto esclusivamente da prodotti

commercializzati, che non richiedono lavorazioni da parte dell’impresa. Inoltre, come si può

osservare nella Catena del valore di Figura 74, B presenta un numero limitato di aree

funzionali. Anche se B, per quanto riguarda questo driver risulta complessivamente

posizionata come bassa, ciò non vuol dire che non ci siano aree specifiche tali da richiedere

una particolare attenzione nella gestione delle informazioni. Le maggiori necessità riscontrate

in questo senso riguardano gli scambi tra l’area Commerciale e la Produzione. Il rapporto tra

queste funzioni aziendali risulta critico in quanto manca una schedulazione della produzione

formalizzata e risulta quindi difficoltoso per il Commerciale definire date di consegna

rispettabili. I brevi cicli di lavoro comportano, inoltre, criticità nella gestione delle priorità,

dato l’alto numero di articoli che transitano quotidianamente.

L’Intensità informativa di prodotto, al contrario, è di notevole entità. Il prodotto principale

(caldaie e bruciatori per impianti) è un articolo complesso, composto da numerosi codici.

Inoltre le specifiche tecniche di ogni articolo devono necessariamente essere dettagliate dato il

contesto di applicazione e l’alto contenuto tecnologico.

Figura 79 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento di F e B

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147

Gruppo

Le imprese operative del Gruppo sono esclusivamente F e B; le due imprese presentano una

limitata integrazione e gli scambi informativi intra-gruppo sono limitati alla funzione Help

Desk IT della Direzione IT che risiede in B e ha comunque limitate conoscenze del mondo F.

I processi di supporto delle due imprese sono distinti e non è stata rilevata alcuna ulteriore

attività svolta in modo centralizzato.

Per quanto riguarda lo scambio di prodotti, F acquista i bruciatori per gli impianti da B.

Questi scambi sono comunque d’importanza limitata considerando che per B non

rappresentano una parte significativa del fatturato e per F, l’acquisto dei bruciatori rappresenta

una minima parte rispetto al costo complessivo della commessa.

Gli Scambi informativi intra-gruppo risultano quindi Rari e grazie anche al numero delle

imprese facenti parte del Gruppo, inferiore alla soglia prestabilita, è possibile affermare che la

complessità introdotta dalla componente aggregativa è minima (Figura 80).

Figura 80 - Matrice Gruppo, posizionamento F e B

Conoscenza dei processi

Sia B che F sono caratterizzate da una Gestione della conoscenza di tipo tacito. È possibile

affermare ciò poiché le imprese non utilizzano altri strumenti, oltre ai manuali di qualità

imposti dalla normativa vigente. Alcuni processi, in modo particolare quelli che includono

attori esterni o ricicli su attività già eseguite, sono destrutturati e necessiterebbero di maggior

formalizzazione. Ne sono un esempio i processi di assistenza tecnica sia sugli Impianti di F

che per i prodotti installati di B. I dati, inoltre, non sono gestiti in maniera univoca, dato che

non esiste un DB condiviso che consenta l’accesso ai dati storici delle commesse e dei

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148

prodotti. I dati sono, infatti, gestiti attraverso svariati DB, sotto il controllo di più reparti non

integrati tra loro.

Le imprese si distinguono, invece, per quanto riguarda il driver: Formalizzazione delle

attività. La modalità di lavoro ETO di F non consente una completa formalizzazione delle

attività che risultano dunque, nella maggior parte dei casi non standardizzabili. B, al

contrario, lavora prevalentemente su previsione (MTS), con prodotti che richiedono

personalizzazioni di entità contenuta; i processi risultano dunque standardizzabili.

In Figura 81 è raffigurato il posizonamento delle imprese sulla Matrice della Conoscenza dei

processi da cui deriva il relativo livello di complessità, massimo per F (livello 4) e medio-alto

(livello 3) per B.

Figura 81 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamenti di F e B

5.2.2 Complessità del Business F – B

Per quanto riguarda il business delle due imprese, prendendo in considerazione i prodotti, i

mercati e la posizione competitiva che le imprese occupano, B risulta caratterizzata da una

complessità notevolmente superiore a quella di F.

F è un’impresa mono-prodotto, tra i leader mondiali in un mercato di nicchia con numerose

barriere all’ingresso; la posizione competitiva di F è solida e in costante crescita negli ultimi

anni; basti pensare che l’impresa ha già saturato la propria capacità produttiva per i prossimi

due anni.

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149

B al contrario compete con più prodotti su mercati globali, popolati da numerosi competitor,

molti dei quali di dimensioni largamente superiori (Bosh ad esempio). La competizione su

questo tipo di mercati è basata, data l’alta standardizzazione dei prodotti e la conseguente

difficoltà nel differenziarsi per qualità, principalmente sul prezzo. Le apparecchiature per il

condizionamento climatico, sono inoltre soggette a norme restrittive che, in questo periodo in

particolare, sono in continuo cambiamento data la crescente attenzione all’impatto ambientale

da parte degli enti legislatori. Per questi motivi, in Figura 82, troviamo una profonda

divergenza tra le due Complessità di Business. Nei paragrafi a seguire verranno approfondite

le analisi dei singoli fattori che compongono tale complessità.

Figura 82 - Complessità del business, risultati complessivi F e B

Robustezza del business

Per valutare lo stato di salute del settore in cui opera F, ovvero nella fabbricazione di

macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29), si può mettere in relazione l’indice di

rischiosità e l’andamento delle difficoltà di pagamento, rilevati nel rapporto “Barometro dei

pagamenti”86

. Nella mappatura di Figura 83 è possibile analizzare l’andamento del settore nel

periodo 2004-2008 e, per un confronto, nel riquadro in blu è presentato anche l’andamento

complessivo dell’insieme dei settori che compongono il Barometro dei pagamenti.

L’evoluzione del settore mostra una fase di moderata difficoltà nel corso del 2005, seguita,

nei due anni successivi, da una ripresa guidata dai miglioramenti sul fronte dei pagamenti. Il

86 Heuler Hermes, 2010

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150

2008, invece, evidenzia un nuovo momento di criticità del settore: le difficoltà di pagamento

raggiungono livelli preoccupanti, così come la rischiosità; l’analisi della solidità del settore

della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici rivela uno stato di salute in rapido

deterioramento anche per il 2009, su entrambi gli indicatori considerati. Per il primo semestre

2010 era stata tuttavia prevista una ripresa, almeno sul fronte dei pagamenti.

Figura 83 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifattura e costruzioni (Ateco,

2011)

Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal

Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 84, che è costruita intersecando

le variazioni della rischiosità intervenute nel 2008 con le variazioni della difficoltà di

pagamento avutesi nello stesso arco temporale. Il comparto si caratterizza per un

peggioramento rilevante sul lato della rischiosità, ma denota stabilità sul versante dei

pagamenti.

Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore

fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29) stia attraversando un periodo

problematico, sia sul versante rischiosità che su quello pagamenti, soprattutto in riferimento al

numero di aziende insolventi; per questi motivi è identificato come critico nella matrice di

Figura 87.

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Figura 84 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 29)

(Ateco, 2011)

Il secondo driver per valutare la complessità di F, relativamente alla robustezza del settore, è

la quota di mercato, che risulta essere alta, dato che il mercato degli impianti pastifici è

considerato “nicchia”, contando solamente tre grandi competitor, di cui F fa parte. Inoltre,

come riportato nelle caratteristiche di F viste precedentemente (cfr. Paragrafo 5.1.1), il

fatturato dell’impresa è in costante aumento negli ultimi anni, segno che il suo

posizionamento è in continua affermazione.

Per quanto riguarda il settore in cui opera B, ovvero nella fabbricazione e lavorazione dei

prodotti in metallo (Ateco 28), l’Indice di rischiosità presenta un trend negativo in tutto il

periodo considerato, ma è soprattutto a partire dal terzo trimestre del 2008 che l’indicatore

registra un forte peggioramento. Nel corso del 2009, la rischiosità del comparto, pur

continuando la fase peggiorativa dell’ultimo biennio, cresce ad un tasso inferiore rispetto a

quello registrato a fine 2008.

L’evoluzione delle difficoltà di pagamento, intese come incapacità di rispettare le scadenze

contrattuali, presenta un andamento sostanzialmente stabile fino alla prima metà del 2007. A

partire dal secondo semestre del 2007 l’indicatore peggiora notevolmente, fino ad assestarsi,

nel 2009, intorno a 250 punti indice. L’andamento di questi due indicatori è riassunto nella

mappatura di Figura 85.

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152

Figura 85 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura e costruzioni (Ateco,

2011)

Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal

Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 86, che è costruita intersecando

le variazioni della rischiosità intervenute tra il 2008 con le variazioni della difficoltà di

pagamento avutesi nello stesso arco temporale. È possibile osservare che la performance del

settore è negativa per entrambi gli indicatori: difficoltà di pagamento in aumento e

innalzamento della rischiosità collocano il comparto tra i settori maggiormente a rischio del

Barometro dei pagamenti.

Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore della

fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (Ateco 28) sia entrato nel 2009 in una fase

problematica. Le attese per il primo semestre 2010 sono di ripresa per quanto riguarda le

difficoltà di pagamento, mentre continua un incremento della rischiosità di pagamento.

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Figura 86 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 28)

Il secondo driver per valutare la complessità di B, relativamente alla robustezza del settore, è

la quota di mercato, che risulta essere bassa, dato che il mercato delle soluzioni per il clima in

ambito residenziale e industriale è popolato da numerosi competitor, molti dei quali di

dimensioni notevolmente maggiori e operanti su scala mondiale. Infatti la competizione non è

limitata solamente al contesto regionale o nazionale, ma il mercato è globalizzato privo di

barriere territoriali.

Inoltre, come riportato nelle caratteristiche di B viste precedentemente (cfr. Paragrafo 5.1.2),

il fatturato dell’impresa è stato sempre costante nell’ultimo decennio, ad eccezione del 2009

(-11,7% sul 2008), ove tutto il settore ha risentito degli effetti della crisi. Effetti che B ha

saputo smaltire rapidamente, recuperando già nel 2010 quasi l’80% di quanto perduto e

riuscendo a mantenere il suo posizionamento all’interno del settore.

A questo punto è possibile traguardare la complessità delle due imprese sulla matrice di

Robustezza del business, che per quanto riguarda lo Stato di salute del settore la situazione

delle due imprese è similarmente critica, mentre la posizione competitiva delle due imprese è,

invece, completamente opposta. F è tra i leader di mercato, mentre B opera nella fascia bassa,

anche se commercializza prodotti ad alto contenuto tecnologico e qualitativo. Per questi

motivi la complessità da fronteggiare per B è maggiore rispetto a quella F (Figura 87).

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Figura 87 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di F e B

Internazionalizzazione

La profondità con la quale F è presente sui mercati internazionali è definibile Passiva. F è,

infatti, leader mondiale nel suo settore e i suoi prodotti sono richiesti senza che l’impresa si

presenti attraverso campagne di marketing che necessitano una profonda conoscenza del

mercato.

La criticità dei mercati serviti è, invece, alta. F riceve richieste da tutto il mondo e, in modo

particolarmente frequente dall’Africa del Nord. I mercati sono dunque numerosi, estesi e

lontani sia geograficamente sia culturalmente dal mercato italiano. I mercati del Nord Africa

sono, come dimostrano le guerre dell’ultimo periodo, caratterizzati da una forte instabilità

politica che accresce la criticità nel servirli. Ulteriore elemento da prendere in considerazione

risulta la mancanza di un presidio operativo all’estero che renda le operazioni di esportazioni,

già complicate date le dimensioni degli impianti, ulteriormente critiche.

La presenza di B sui mercati internazionali è, invece, da considerarsi Attiva. Per arrivare a

ottenere una quota in un mercato estero, l’impresa deve necessariamente porsi sul mercato in

modo da farsi conoscere, data la poca differenziazione dei prodotti e la notorietà ridotta

rispetto ai competitor. La presenza di un presidio commerciale in Cina, mercato principale per

l’acquisto e la vendita dei prodotti di B, rafforza tale ipotesi di posizionamento.

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155

Proprio considerando che il mercato principale risulta quello cinese e che comunque l’impresa

vanta presenze su altri mercati europei, la criticità dei mercati serviti è alta. In Figura 88 è

possibile individuare il posizionamento delle imprese sulla Matrice d’Internazionalizzazione e

rilevarne il corrispondente livello di complessità.

Figura 88 - Matrice di Internazionalizzazione, posizionamento di Fave e B

Portafoglio prodotti

F è un’impresa mono-prodotto in quanto produce esclusivamente impianti pastifici,

quest’ultimi hanno comunque un elevatissimo grado di personalizzazione che rende pressoché

illimitata (ampia) la profondità di gamma.

Per quanto riguarda il portafoglio prodotti di B, invece, si contano undici differenti famiglie,

per un totale di 43 prodotti (multi-prodotto), ognuno dei quali presenta numerose varianti

(profondità di gamma ampia) e la possibilità di personalizzazioni fuori standard che

espandono ulteriormente i confini del portafoglio.

La complessità relativa a questo fattore è, come raffigurato in Figura 89, superiore in B

(livello 4). Questa impresa, infatti, punta molto sulla varietà dell’offerta e meno sulla

specializzazione, caratteristica invece del portafoglio prodotti di F (livello 2).

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Figura 89 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento F e B

Differenziali competitivi

I principali differenziali competitivi di F risultano essere il vasto e consolidato portafoglio

clienti e l’elevato numero di brevetti, tra cui spicca il metodo di essiccazione della pasta. F,

dunque, presenta un patrimonio di CSF esteso (numerosi CSF). L’impresa opera in un

mercato sostanzialmente chiuso, con barriere all’ingresso molto forti che rendono difficile

l’ingresso di nuovi competitor; inoltre i brevetti e la fidelizzazione del parco clienti, blindano

la posizione competitiva di F per il medio-lungo periodo (alta difendibilità). Come

rappresentato in Figura 90, data l’ottima posizione di F, la complessità per quanto riguarda

questo fattore è minima (livello 1).

L’impresa B, invece, opera in un contesto competitivo molto allargato, ove la qualità del

“Made in Italy” non è sempre preferita ad un prezzo minore e i prodotti sono facilmente

paragonabili tra loro causando una notevole pressione sui prezzi. Va fatta una distinzione

sulle due famiglie di prodotti di B: per quanto riguarda il commercio di impianti di

condizionamento, il mercato è in fase di saturazione e B agisce solo da rivenditore. L’impresa

è dunque priva di differenziali competitivi difendibili, in grado di garantire la quota di

mercato nel medio-lungo periodo; i bruciatori, invece, sono una produzione interna di B per la

quale l’impresa detiene alcuni brevetti importanti e sulla quale le competenze interne sono

molto elevate. Facendo una sintesi complessiva, tuttavia, si riscontra un numero ridotto di

CSF, con una difendibilità piuttosto limitata. Tali valutazioni comportano il posizionamento

di B nel quadrante con complessità massima (livello 4).

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Figura 90 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento di F e B

5.2.3 Livello di governo delle ICT F – B

Le valutazioni sul Livello di governo delle ICT si basano sull’analisi del Sistema Informativo

aziendale descritta nel Paragrafo 5.1.4 e su studi riguardanti competenze e responsabilità della

Funzione IT del Gruppo.

Come descritto precedentemente, la Funzione IT è trasversale alle due imprese e per questo

motivo le analisi verranno svolte in parallelo. Dai risultati sintetizzati in Figura 91, emerge la

presenza di un’infrastruttura solida e affidabile. Tuttavia la ridotta Maturità applicativa e la

bassa componente d’Innovazione, provocate da carenze nel portafoglio software, in aggiunta

ai ridotti valori per i fattori di Rilevanza strategica delle ICT e Competenze ICT portano ad

uno scarso livello finale di governo delle ICT.

Questa situazione è figlia del ruolo marginale che l’ICT ha all’interno dell’organizzazione,

poiché la Direzione IT non è coinvolta nei processi decisionali che riguardano il futuro

dell’azienda. Questa situazione è in parte dovuta alle limitate competenze tecniche e

gestionali proprie della funzione IT, e in parte ad una struttura organizzativa non adeguata,

che ne limita il campo d’azione.

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Figura 91 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di F e B

Maturità applicativa

Il patrimonio applicativo del Gruppo F-B è costituito da un corpo centrale rappresentato

dal gestionale AS/400 a cui sono da affiancarsi numerose applicazioni stand alone o

integrate attraverso forti personalizzazioni. Dalla descrizione del patrimonio applicativo

approfondita nel Paragrafo 5.1.4 emerge un tipico esempio di Isole applicative il che

implica una maturità applicativa medio-bassa. Le applicazioni di F e B, infatti,

garantiscono un buon livello di copertura dei processi ma un limitato livello di

integrazione degli applicativi e questo impatta sull’efficienza delle attività. Dal

posizionamento del Gruppo nella classificazione di Figura 92 si deduce il livello di

governo della complessità introdotto da questo fattore.

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Figura 92 - La Maturità applicativa del Gruppo F - B

Maturità infrastrutturale

L’infrastruttura, descritta nel Paragrafo 5.1.4, garantisce un buon livello di affidabilità. È

costituita da architetture miste, caratterizzate però da una buona omogeneità. Queste

caratteristiche, insieme al sistema di virtualizzazione dei server sufficientemente evoluto e la

buona velocità delle connessioni intra-gruppo (100 Mb/s – 1 Gb/s) fanno si che il livello

riscontrato per quanto riguarda la Maturità infrastrutturale permette una classificazione

(Figura 93) nel cluster: Imprese in evoluzione. Conseguenza diretta di ciò è un livello medio-

alto di complessità, introdotto dal questo fattore.

Figura 93 - la Maturità infrastrutturale del Gruppo F – B

Page 170: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

160

Innovazione ICT

Il Gruppo F-B ha un livello d’Innovazione ICT che ricade nel range: nullo; si nota come

nell’elenco delle tecnologie adottabili da una PMI manifatturiera di Tabella 8, ci siano poche

tecnologie (2) adottate dal Gruppo. La media dei pesi ad esse correlate (2,50) indica, inoltre,

che non si tratta di tecnologie particolarmente all’avanguardia.

Le tecnologie presenti nel portafoglio applicativo del Gruppo sono tecnologie di Modeling,

Simulation and Virtual Prototyping utilizzate dall’Ufficio Tecnico di B per la progettazione

dei Bruciatori e tecnologie CAD sempre usate per la progettazione in B e in F. Il valore

dell’indice (3,58%) evidenzia quello che già era possibile intuire dall’assessment dei Sistemi

Informativi, ovvero che il Gruppo necessita di un maggior livello di innovazione.

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161

Stato Tecnologia Idoneit

à

Adottat

o

Peso Idoneit

à pesate

adottate

pesate

On the rise Cloud Computing in PLM and

Manufacturing

SI NO 5 5 0

Two-Tier ERP Strategy for Manufacturing

Operations

NO NO 5 0 0

IT/OT Convergence in Manufacturing SI NO 5 5 0

Synchronized Bills of Materials SI NO 5 5 0

At the Peak Manufacturing Process Management

Framework

SI NO 4 4 0

MRO PLM Functionality SI NO 4 4 0

SOA in Manufacturing SI NO 4 4 0

Operations Intelligence SI NO 4 4 0

System Engineering Software NO NO 4 0 0

Energy Management in Manufacturing SI NO 4 4 0

Sustainable Design PLM SI NO 4 4 0

Asset Performance Management SI NO 4 4 0

Product Cost Management SI NO 4 4 0

Sliding Into the

Trough

Modeling, Simulation and Virtual

Prototyping

SI SI 3 3 3

Enterprise Manufacturing Intelligence SI NO 3 3 0

Process Analytical Technology NO NO 3 0 0

Customer Needs Management SI NO 3 3 0

Manufacturing Process Validation SI NO 3 3 0

Regulatory Compliance Functionality

Within PLM

SI NO 3 3 0

ISA-95 Integration Standards NO NO 3 0 0

Virtual Factories SI NO 3 3 0

EH&S Applications NO NO 3 0 0

Simulation and Test Data Management SI NO 3 3 0

LIMS NO NO 3 0 0

Climbing the

Slope

Quality Management Systems SI NO 2 2 0

Product Portfolio and Program Management SI NO 2 2 0

Factory Scheduling SI NO 2 2 0

Formula/Recipe Management NO NO 2 0 0

Parts and Materials Search and Selection SI NO 2 2 0

PLM-Centric Team Collaboration SI NO 2 2 0

Value-Chain-Centric PDM SI NO 2 2 0

Process Data Historians SI NO 2 2 0

CAD-Centric Design Data Management SI SI 2 2 2

MES Applications SI NO 2 2 0

Entering the

Plateau

Enterprise Asset Management SI NO 1 1 0

SI 28 2 87 5

Indicatore Valore Ottimo Range

v: Livello innovativo aziendale (pesato) 6% 100% Nullo 0-10

e: media dei pesi di v 2,50 m Basso 11-20

m: media dei pesi adottabili 3,11 Medio 21-30

K: livello innovazione consapevole 3,58% 100,00

%

Alto >30

Tabella 8 - Livello di Innovazione consapevole di F e B

Page 172: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

162

L’indice di Innovazione consapevole, risultato delle analisi sintetizzate in Tabella 11 è

inferiore al 10% (3,58%) e comporta un livello 1 per quanto riguarda il fattore: Innovazione

ICT. Tale livello è da attribuirsi sia al livello di innovazione molto basso (6%) e, inoltre, ad

una media inferiore al dovuto (2,50 al posto che 3,11).

Rilevanza strategica delle ICT

Il coinvolgimento del reparto IT, nel processo di elaborazione della strategia del Gruppo è

praticamente assente. Il ruolo dell’IT è, infatti, limitato alle sole fasi di richiesta di risoluzione

delle problematiche. L’interazione tra Direzione IT e clienti interni è prevalentemente di

natura operativa. Le richieste d’intervento (installazione, configurazione, etc.) prevalgono sui

momenti di coordinamento/indirizzamento che si riducono ad un coinvolgimento in fase di

selezione delle soluzioni hardware e software sulle quali comunque l’IT non ha completa

discrezionalità. Come visibile in Figura 94 la Funzione IT del Gruppo B – F è riconducibile

alla classe: Trusted individuals and help desk a cui corrisponde un livello di governo della

complessità medio basso.

Figura 94 - Matrice Rilevanza strategica delle ICT, posizionamento di F e B (rielaborato da Boccardelli, 2007)

Competenze ICT

Le competenze del reparto IT sono limitate a quelle tipiche di un IT Help Desk manutentore a

cui corrisponde un livello 1 di governo delle ICT (come raffigurato in Figura 95). L’ufficio è

composto da quattro persone, una delle quali possiede competenze sul linguaggio di

programmazione del gestionale in uso (Proj) per personalizzazioni del sistema. La limitata

dimensione dell’ufficio consente comunque solo il mantenimento in funzione dei Sistemi

Informativi ad oggi presenti. I quattro elementi della Funzione IT occupano, infatti, in media

il 60% del loro tempo a supportare utenti interni; nelle ore rimanenti, in base alle competenze

specifiche di ognuno, operano per il mantenimento dei sistemi e delle infrastrutture.

Page 173: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

163

Figura 95 - Competenze ICT del Gruppo F - B

5.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo F – B

Una volta discussi e stabiliti i fattori di complessità interni ed esterni, è possibile determinare

la Complessità gestionale, ovvero il valore massimo tra quelli ricavati per la Complessità

organizzativa e quella del business. In Tabella 9 sono riportati i valori riscontrati per i fattori e

quelli calcolati per le relative aree, in modo da consentire un confronto e dare spunto per

alcune riflessioni importanti.

F B

Asse

organizzativo

Macrostruttura 4 2

Microstruttura 4 2

Scambi informativi 4 2

Gruppo 1 1

Conoscenza dei processi 4 3

Complessità organizzativa 3,4 2

Asse del

business

Criticità del mercato 3 4

Internazionalizzazione 2 3

Prodotti 2 4

Benchmarck 1 4

Complessità del business 2 3,75

Complessità gestionale 3,4 3,75

Area ICT

gestionale

Maturità applicativa 2 2

Maturità infrastrutturale 3 3

Competenze ICT 1 1

Innovazione SI 1 1

Rilevanza strategica delle ICT 2 2

Livello ICT gestionale 1,8 1,8

Tabella 9 - Sintesi analitica del modello

Page 174: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

164

Nella suddetta tabella si può notare come i valori finali di Complessità gestionale per le due

imprese siano entrambi molto alti, nonostante i contributi di complessità esterna ed interna

siano molto diversi tra loro. B e F sono un esempio di PMI con organizzazione complessa (F)

e PMI con business complesso (B). Poiché le due imprese sono vicine alla soglia per rientrare

nella categoria “PMI” e che il modello è impostato su parametri valutativi per piccole e medie

imprese, è opportuno aspettarsi livelli di complessità superiori alla media.

La particolarità di questo Gruppo è che il valore di Complessità gestionale è elevato per

entrambe le imprese, nonostante esse presentino caratteristiche molto diverse tra loro. Dai dati

della tabella, infatti, si nota come F deve la sua elevata Complessità gestionale al contributo

interno, da attribuire a sua volta alla complessa struttura organizzativa, necessaria alla

tipologia di produzione di cui si occupa. B, al contrario, è caratterizzata da un’alta complessità

esterna dovuta al suo modello di business, che la porta a dover affrontare criticità legate ai

numerosi prodotti commercializzati ed ai molteplici mercati serviti (nazionali e non).

Il Gruppo presenta dunque un modello di business estremamente eterogeneo che, per

specificità organizzative, articolazione della filiera e respiro internazionale, necessita di un

governo delle ICT in grado di orchestrare tutti questi elementi attraverso un linguaggio

comune.

Figura 96 - Allineamento tra la Complessità gestionale ed il Livello ICT gestionale

Nella matrice di sintesi del modello proposto (Figura 96) B e F sono entrambe posizionate al

di sotto della diagonale, a causa del governo delle ICT inadeguato alla Complessità gestionale

da fronteggiare, collocando le due imprese nel cluster Imprese arretrate. Al fine di ottenere

Page 175: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

165

un allineamento e spostarsi dalla situazione attuale alla zona “verde”, il Gruppo necessita,

oltre ad investimenti mirati al fine di innovare l’area ICT a supporto della gestione d’impresa,

anche di un ripensamento della propria struttura organizzativa in modo da dare maggiore

rilevanza alla Direzione IT.

L’analisi effettuata sui fattori che determinano questo livello di complessità consente di

comprenderne i motivi e, in alcuni casi, permette di individuare le leve su cui agire, al fine di

ridurre tale complessità. F, ad esempio, presenta un livello di complessità paria a 4 per il

fattore Macrostruttura, in quanto risulta disallineata la modalità di lavoro con la tipologia di

organigramma utilizzato; la complessità identificata da questo fattore può essere parzialmente

ridotta se l’impresa si riorganizzasse adottando una struttura a matrice. Il fattore di

complessità, quindi, può e deve essere inteso come “campanello d’allarme” per l’impresa.

Tuttavia, per ritrovare l’allineamento nel breve periodo, il Gruppo F-B non dovrà concentrarsi

sulla Complessità gestionale, in quanto essa risulta difficilmente riducibile, ma sui fattori che

determinano il limitato Livello di governo delle ICT.

La Direzione IT di questo Gruppo è sottodimensionata, costituita solamente da quattro addetti

su un totale di circa 450 dipendenti. Questa situazione obbliga il team ad occuparsi

esclusivamente del mantenimento del Sistema Informativo, rendendo impraticabile un

coinvolgimento proattivo, da parte della Direzione IT, nei processi decisionali. Tale

sottodimensionamento influisce direttamente sia sulle Competenze ICT, che non possono

essere sviluppate adeguatamente per mancanza di tempo, che sulla Rilevanza strategica delle

ICT. Un’altra problematica che è stata riscontrata e che incide in modo significativo sulla

complessità, è la suddivisione del budget: la Direzione IT non ha un proprio budget da

spendere, ma ad ogni Business Unit viene allocato un budget IT da gestire in autonomia. È

inevitabile che questa modalità porti ad una proliferazione incontrollata del parco applicativo,

incrementando il numero di connessioni “custom” tra i vari sistemi, complicandone la

gestione e la manutenzione nel tempo (“spaghetti architecture”). La Maturità applicativa e

infrastrutturale, infatti, sono condizionate da questo congelamento forzato che limita la

componente di Innovazione ICT, poiché rende oneroso l’aggiornamento costante e disperde il

budget IT in molteplici interventi correttivi, invece di sfruttarlo per uno sviluppo orientato e

razionale.

Il mercato dell’ICT mette a disposizione del Gruppo un’ampia gamma di tecnologie cui

affidarsi per gestire al meglio la complessità (cfr. Capitolo 3). Gli interventi possono essere

indirizzati dalle analisi svolte, dalle quali si evince la necessità di migliorare la Maturità

applicativa, investendo in tecnologie più innovative, ma soprattutto omogeneizzando e

razionalizzando gli applicativi presenti. Un’ulteriore necessità, evidenziata dalle analisi, è

quella di rivalutare la funzione della Direzione IT all’interno dell’organizzazione,

Page 176: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

166

permettendole di conseguire competenze di livello superiore che consentirebbero anche di

acquisire rilevanza all’interno delle strategie di business.

A valle dell’applicazione del modello, una volta circoscritte le aree d’intervento, è possibile

identificare alcune opzioni che potrebbero rispondere alle problematiche emerse, migliorando

il Livello di governo delle ICT. Un esempio sul caso analizzato è rappresentato

dall’introduzione di un Enterprise Service Bus e di applicativi specifici per coprire le aree

funzionali non gestite attualmente (gestione della commessa, previsione delle vendite,

schedulatore di produzione, etc.). Questa soluzione consentirebbe l’integrazione delle varie

applicazioni, porterebbe ad una razionalizzazione delle stesse e aumenterebbe, seppur in

modo limitato, la copertura funzionale e l’innovatività (nel caso si scelga di investire in

software di nuova generazione per coprire le aree mancanti).

Una seconda possibilità è invece quella di introdurre un nuovo sistema gestionale che

sostituisca l’AS 400 e la maggior parte delle applicazioni stand alone attualmente in uso.

Questa soluzione, nel caso in cui sia applicabile economicamente, è senz’altro preferibile

sotto tutti gli aspetti (estensione della copertura funzionale, innovazione, integrazione, etc.).

Progetti di questo tipo possono essere anche l’occasione per rivalutare il ruolo della Direzione

IT cogliendo l’occasione per coinvolgerla e supportarla (ad esempio attraverso l’aiuto di

consulenti esterni) nel processo di selezione della soluzione e di analisi delle imprese, in

modo da ampliarne le competenze gestionali.

Page 177: L’ICT COME LEVA STRATEGICA PER LA GESTIONE · Figura 62 - Matrice per il livello di complessità del fattore: Differenziali competitivi..... 123 Figura 63 - Matrice della Maturità

167

6. Capitolo 6

6. Il caso di studio del Gruppo M-I

Nel presente capitolo saranno illustrati i risultati emersi dall’applicazione del modello ad un

secondo caso di studio. La realtà analizzata è, anche per questo caso applicativo, un Gruppo

costituito da due aziende. Il Gruppo M-I, anonimizzato per ragioni di privacy, presenta

caratteristiche organizzative e di business molto differenti tre le aziende M e I che lo

costituiscono. Come per il precedente caso di applicazione l’opportunità di approfondire la

realtà M-I è emersa nell’ambito di un’iniziativa progettuale della Fondazione Politecnico di

Milano.

La prima parte del capitolo sarà dedicata alla descrizione delle imprese, dei loro processi e del

mercato di cui fanno parte. Seguirà una panoramica volta a cogliere lo stato dell’arte dei

Sistemi Informativi, in termini di rilevazione dell’attuale configurazione applicativa e

infrastrutturale del Gruppo.

Infine verrà applicato il modello proposto, valorizzando ciascuno dei fattori indicati come

driver delle macro aree di analisi, con l’obiettivo di comprendere se l’attuale configurazione

ICT, in termini organizzativi e di asset tecnologici, è adeguata alle esigenze di complessità

gestionale rilevate.

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168

6.1 Descrizione del Gruppo M-I

Il Gruppo nasce nei primi anni del ‘900 come importatore di prodotti dalla Germania,

l’impresa viene fondata negli anni ‘40 commercializzando in l’Italia motori e trattori

provenienti dall’estero. Da poco più di vent’anni il Gruppo ha espanso il proprio business

fondando prima I, azienda dedicata all’energia e all’automazione e l’anno successivo M,

partner in l’Italia di un’importante produttrice tedesca di motori diesel per impieghi industriali

e stazionari. Il Gruppo ha poi continuato il processo di diversificazione del proprio portafoglio

prodotti, entrando con I nel mercato dei parcheggi meccanici automatizzati.

Il Gruppo M-I supera i confini territoriali nel 2007 aprendo in Romania MR, rivenditore unico

per il paese di motori prodotti dalla casa tedesca e nel 2008 con l’apertura di I-Cina per la

produzione di parcheggi automatizzati.

La crescente complessità ed internazionalizzazione del Gruppo degli ultimi anni, ha fatto sì

che si riscontrasse la necessità di una revisione del Sistema Informativo (descritta nel

Paragrafo 6.1.3) attualmente in uso.

6.1.1 Le caratteristiche dell’azienda M

M è il rivenditore unico in Italia per una nota produttrice di motori tedesca. È composta da 54

dipendenti e nel 2010 ha dichiarato un fatturato di 43,7 Mln €. Come è possibile vedere in

Figura 97, l’azienda ha saputo espandere il suo business (e la sua marginalità) negli anni tra il

2001 e il 2008 (CAGR pari a 6,7%). Tuttavia il crollo registrato nel 2009 (-41,6%), dovuto

sostanzialmente alla crisi del sistema economico, è molto significativo, anche se i segnali di

ripresa registrati nel 2010 sono confortanti per il futuro dell’azienda (+12,3%).

Figura 97 - Andamento di M negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)

Il modello di Supply Chain riscontrato è un Dual Sourcing, dato che il 95% degli acquisti

vengono effettuati presso un unico fornitore tedesco. La produzione è prevalentemente su

commessa, anche se è presente una buona componente previsionale che viene effettuata,

0

50

100

150

200

250

300

350

0

20

40

60

80

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Dip

en

de

nti

Milioni (€)

Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti

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169

partendo dai modelli di motore a listino, per condividere il forecasting con i fornitori. I cicli di

lavorazione sono contenuti, infatti possono richiedere dai quindici minuti, nel caso di

lavorazioni semplici, alle quattro ore se le richieste di personalizzazione sono rilevanti.

L’offerta al cliente è legata a configurazioni predefinite dei motori (listino fornitori) su cui i

clienti possono richiedere eventuali modifiche e personalizzazioni. La strategia di pricing

utilizzata è basata sul modello di markup sul costo, ovvero partendo dai listini del fornitore,

considera i costi sostenuti da M-I e viene applicato il margine desiderato. Su questo vengono

poi attuate le politiche di sconto.

La puntualità alla consegna e la rapidità di risposta alle richieste del cliente sono due fattori di

complessità rilevanti a cui la M deve far fronte. A ciò si unisce il livello di servizio per le

attività di post vendita che diventa, insieme ai precedenti, ulteriore fattore critico di successo.

All’interno di M è presenta una particolare area di business che si occupa della vendita di

ricambi. Questa area di business presenta il medesimo modello di Supply Chain (Dual

Sourcing) e, così come per il business dei motori, anche per questa area, la collaborazione con

la casa tedesca è predominante nei rapporti di fornitura.

L’attività core per quanto riguarda i ricambi riguarda la commercializzazione dei kit di

ricambio piuttosto che il singolo componente. La strategia di pricing utilizzata è riconducibile

a quella del target pricing, ovvero variando il prezzo in funzione del valore attribuito dal

mercato. Oltre alla gestione delle richieste di ricambio provenienti direttamente dai centri di

assistenza o dal cliente finale, nella strategia commerciale è prevista anche l’attivazione

periodica di azioni di promozione (validità temporanea) per incentivare l’acquisto dei kit di

ricambio (es.: azioni volta ad aumentare vendite per gli slow moving, etc.).

I processi di supporto (Amministrazione, Controllo di gestione, Controllo qualità, etc.) sono

gestiti, al contrario di quanto visto per il Gruppo F-B, a livello di Gruppo presentando dunque

le medesime caratteristiche sia per M che per I.

6.1.2 Le caratteristiche dell’azienda I

L’azienda I è ripartita in due divisioni: la prima opera prevalentemente nel settore degli

impianti per la produzione di energia, mentre la seconda si occupa di produrre ed installare

parcheggi meccanici automatizzati. L’impresa nel 2010 conta 61 dipendenti, con un giro

d’affari pari a 28,8 Mln €. Se si osserva l’andamento di I negli ultimi dieci anni (Figura 98), è

interessante notare come nel periodo dal 2001 al 2008 sia raddoppiato il fatturato (CAGR pari

a 10,7%). La crisi ha colpito duramente il settore (cfr. Paragrafo 6.2.2) e, di conseguenza, gli

effetti si sono riversati anche su I, che nel 2009 ha perso il 12,8%. Al contrario di M, il 2010

non restituisce segnali confortanti, registrando un crollo ancora più importante (-20% circa

rispetto al 2009), segno che per gli impianti automatizzati la ripresa sarà più difficile e lenta.

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170

Figura 98 - Andamento di I negli ultimi 10 anni (rielaborazione dati AIDA, 2011)

I produce interamente su commessa. Le tempistiche delle fasi di gestione della commessa

sono molto lunghe a partire dai tempi di acquisizione dell’ordine. Data la complessità ed il

valore dei prodotti commercializzati (dai 2 a 6 milioni di euro) è necessaria, infatti, una lunga

fase di negoziazione e contrattazione. I cicli di lavorazione sono lunghi con durate che

possono essere da 6 a 8 mesi. Il rispetto di queste tempistiche è comunque fondamentale per

non incorrere in penali, definite in fase di contrattazione. Una volta definita la configurazione

di riferimento è necessario gestire le frequenti richieste di modifica che il cliente richiede in

fase di progettazione.

Alla realizzazione del prodotto finito si giunge sia attraverso le lavorazioni interne sia per

mezzo di attività di conto lavoro per alcuni semilavorati. Il ricorso al conto lavoro è

abbastanza frequente (es.: per accedere a competenze specifiche possedute da officine

esterne) e riguarda sia officine esterne che personale esterno attivato all’occorrenza presso le

officine M-I. Sono molteplici anche i fornitori da gestire per l’approvvigionamento dei

materiali necessari alla realizzazione dell’impianto.

Ulteriore elemento di complessità organizzativa è la messa in servizio dell’impianto; alle

prove in azienda, infatti, segue il montaggio ed il collaudo presso il cliente. Prima della

consegna conclusiva infatti, M-I è chiamata a gestire attività di commissioning per la messa in

esercizio dell’impianto.

6.1.3 Catena del valore e analisi critica dei processi

Per comprendere come operano le due aziende sono state effettuate alcune interviste con i

key-user individuati nelle rispettive società. Il lavoro di consulenza svolto presso il Gruppo

M-I ha permesso una mappatura completa dei processi, sia dal punto di vista funzionale che

0

50

100

150

200

250

300

350

0

10

20

30

40

50

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Dip

en

de

nti

Milioni (€)

Costi della produzione (CdT) Margine Operativo Lordo (MOL) Dipendenti

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171

da quello applicativo/infrastrutturale, determinando la Catena del valore87

(Figura 99) e

l’architettura dei SI delle due imprese.

Questo tipo di analisi è stata necessaria innanzitutto per comprendere il modello di business

dell’azienda e le aree di business che la caratterizzano (analisi interna), e in secondo luogo a

far emergere le carenze dei sistemi attuali e le esigenze dei diversi attori in ambito di supporto

ICT (approfonditi nel Paragrafo successivo) grazie all’individuazione dei processi più critici,

che necessitano di innovazioni organizzative.

La Catena del Valore di M-I, al contrario di quella vista per il Gruppo F-B, deve

necessariamente essere rappresentata a livello di Gruppo. Le aree funzionali che svolgono i

processi di supporto operano, infatti, in maniera centralizzata, mentre i processi primari sono

propri di ogni impresa.

Figura 99 - Catena del valore del Gruppo M-I

Le sinergie che nascono dall’unione delle funzioni di staff delle due imprese riguardano il

miglioramento della gestione delle transazioni inter-societarie, relativamente alla gestione

finanziaria, e alla ottimizzazione degli scambi di prodotti intra-gruppo, in quanto frequenti e

di notevole consistenza.

Entrando nel dettaglio delle due imprese, le primarie necessità emerse per M sono il maggiore

supporto ai processi di post vendita e assistenza tecnica e l’ottimizzazione della gestione del

87Porter, 1985

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172

portafoglio clienti. Anche per I risulta fondamentale il miglioramento del servizio di vendita e

post vendita, attualmente poco strutturati; si riscontra, inoltre, la necessità di ottimizzare sia la

pianificazione (commerciale e della produzione), che la gestione dei dati di prodotto.

6.1.4 Assessment sistema informativo

L’analisi condotta ha permesso di approfondire l’attuale situazione di copertura funzionale e

omogeneità del portafoglio applicativo. Complessivamente la copertura funzionale rilevata si

ritiene buona, ma con alcuni limiti d’integrazione e di estensione funzionale. Sono numerose,

infatti, le attività svolte esternamente al sistema gestionale con il supporto di fogli di calcolo o

di altri applicativi esterni.

L’attuale copertura funzionale è garantita maggiormente dai numerosi interventi di

customizzazione del sistema gestionale effettuate negli anni. In Figura 100 si riporta la mappa

del portafoglio applicativo rilevato, descritta sinteticamente in Tabella 10.

Figura 100 - Mappa applicativa del Gruppo M-I

Descrizione dei software applicativi

Software

applicativo Descrizione

PDM 3D Supporto alle attività di progettazione tecnica 3D di singoli

componenti/gruppi.

PDM 2D Supporto alle attività di progettazione tecnica nelle attività di gestione

dei disegni tecnici (dati e documentazione)

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173

BI Software a supporto delle attività direzionali di controllo di gestione,

di analisi di Business Intelligence e produzione di reportistica

CAD 2D Supporto alle attività di progettazione tecnica 2D di singoli

componenti/gruppi.

Progettazione

elettronica Supporto alle attività di progettazione elettrica

Gestionale

Sistema ERP per la copertura dei processi di:

produzione, logistica, amministrazione, controllo di commessa, ciclo

ordini fornitori, ciclo ordini clienti.

Gestione paghe Software a supporto della gestione paghe

Fogli di calcolo Fogli di calcolo elettronico

Project Software a supporto della gestione di costi, risorse e tempistiche

legate a progetti.

Email Software per la gestione della posta elettronica

Portale

Sistema di comunicazione con l’esterno (siti istituzionali, CMS per

comunicati stampa, eCommerce, documentazione, gestione rete agenti

e installatori, garanzie) e di gestione interna (catalogo prodotti,

organigramma, documentale)

Tabella 10 - Elenco e spiegazione degli applicativi del Gruppo M-I

Il Gruppo M-I dispone inoltre dei servizi informativi erogati tramite i Portali Internet ed

Extranet e delle funzionalità di gestione documentale attualmente supportate dal sistema

gestionale.

Nonostante la buona copertura funzionale sono significative le segnalazioni emerse durante

l’analisi dei processi, di esigenze di integrazione e interoperabilità. Il motivo scatenante è

stato individuato nella mancata gestione, univoca e integrata, dei dati e dei progetti.

Una buona gestione dei dati è necessaria in imprese di questo tipo, ove la progettazione

costituisce una parte significativa del processo produttivo. In particolare, per quanto riguarda

I, la notevole quantità di informazioni necessarie (specifiche tecniche, disegni di progetto,

offerte commerciali, supporto alla fase critica di negoziazione, etc.), sono caratteristiche che

identificano il bisogno di un sistema integrato, che renda disponibili le informazioni generate

dall’Ufficio Tecnico a chi le deve effettivamente utilizzare (PM, Commerciali, etc.) e che le

gestisca in maniera autonoma e centralizzata.

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174

Anche M, data l’ampia distinta base dei prodotti offerti, necessita di un miglior supporto per

la gestione dei dati di prodotto (PDM), che tenga traccia delle personalizzazioni fatte in

passato al fine di ottimizzare il lavoro dei disegnatori tecnici.

Un’altra necessità comune è quella di contenere il numero di personalizzazioni (908

applicativi del gestionale e 74 del portale, su un totale di circa 2.000 funzionalità) dell’attuale

sistema gestionale.

Caratteristico di I è, invece, il bisogno di un sistema di gestione dei progetti. Attualmente

viene utilizzata la metodologia Scrum88

, senza alcun supporto software, per organizzare il

lavoro dell’Ufficio Tecnico, mentre il Controllo di Gestione utilizza Project e la BI per il

controllo di tempi e costi. È opportuno quindi dotarsi di un supporto adeguato per lavorare in

maniera coordinata e collaborativa sulle varie commesse attive.

Dalle analisi emerge anche una criticità riguardante l’integrazione sulla catena di fornitura di

M. La casa tedesca richiede la gestione degli ordini e dei listini prezzi attraverso l’ERP

internazionale; queste operazioni sono da inserire successivamente nel gestionale del Gruppo,

tuttavia, non essendoci una procedura di integrazione nativa, risulta una attività onerosa e non

priva di errori “umani” collegabili al data entry delle informazioni.

L’infrastruttura di rete è composta da 25 server, di cui 12 virtuali, e la maggior parte dei quali

girano con sistemi operativi proprietari come Windows 2003 (nove) e Windows 2008

(cinque) mentre una piccola parte su sistemi open source (sei server Linux). Il parco client è

composto da circa settanta macchine equamente distribuite tra PC fissi e portatili; circa il 50%

dei PC portatili e il 40% di quelli fissi ha installato un sistema operativo Windows 7, i restanti

hanno installato Windows XP. L’infrastruttura è dunque abbastanza omogenea, orientata su

sistemi Microsoft, con un parco macchine costituito da calcolatori più o meno moderni.

Il throughput di rete è di 100 Mb/s tra i client e di 1 Gigabit tra i nodi del server, evidenziando

un ottimo livello di connettività per quanto riguarda la LAN. Non è invece ugualmente

preformante la rete internet, che presenta problemi di latenza e di interruzione di linea,

creando il vero collo di bottiglia del sistema.

6.2 Applicazione del modello

In questa sezione si presenterà la valutazione della situazione attuale, emersa dagli incontri

con i key-user del Gruppo M-I, secondo le metriche del modello illustrato nel Capitolo 4.

L’analisi verrà proposta, come nel caso del Gruppo F-B, in maniera disgiunta per quanto

88Schwaber, 2010

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175

riguarda la complessità organizzativa e di business e in maniera congiunta per il livello di

governo delle ICT.

M e I presentano, infatti, alcune caratteristiche differenti sia per quanto riguarda

l’organizzazione interna, nonostante alcuni processi siano centralizzati, sia per le peculiarità

del modello di business, molto diverso tra una realtà e l’altra. La Direzione IT è la stessa per

tutto il Gruppo, rendendo difficile, se non impossibile, la distinzione dei Sistemi Informativi

delle due imprese.

6.2.1 Complessità organizzativa

Secondo le valutazioni eseguite per i fattori che compongono la Complessità organizzativa

delle due imprese (sintetizzati in Figura 101), il valore di M risulta notevolmente inferiore

rispetto a quello di I. Il motivo di tale differenza è la tipologia di attività delle due imprese: I

lavora per commesse di lunga durata e di consistente articolazione e difficoltà tecnologica e

realizzativa, nonché di elevato costo unitario (dai due ai sei milioni di euro). Caratteristiche

simili risultano coerenti con una Complessità organizzativa di alto livello mentre

l’organizzazione di M risulta più snella e meno complessa dato che deve supportare processi

operativi orientati principalmente alla gestione di prodotti commercializzati.

Figura 101 - Complessità organizzativa, risultati complessivi M-I

Macrostruttura M – I

Entrambe le imprese presentano un organigramma di tipo funzionale. M ha cicli produttivi di

durata molto contenuta ma i processi di acquisto, ordine, vendita e post-vendita sono molto

articolati e complessi e ciò porta ad identificare una modalità operativa di processo. La

complessità derivante dall’incrocio di queste caratteristiche nella matrice di Figura 102 è,

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176

quindi, contenuta (livello 2) dato che l’organigramma scelto dall’impresa risulta coerente alla

modalità di lavoro impiegata.

Figura 102 - Matrice della Macrostruttura, posizionamento di M e I

Al contrario, I ha un modello di produzione su commessa (ETO), infatti sia i parcheggi che gli

impianti di cogenerazione sono prodotti fortemente personalizzati e necessitano di tempi

lunghi sia per la contrattazione che per la progettazione e realizzazione. Se per M

l’organizzazione funzionale è la soluzione ottimale, così non è per I, alla quale gioverebbe

un’organizzazione a matrice, più flessibile e adatta a modalità di lavoro per progetti. È

necessario sottolineare che le operazioni di progetto sono coordinate da project manager,

responsabili di tempi, costi e gestione dei rapporti col cliente. Tuttavia l’organizzazione non è

sufficientemente evoluta da poter essere considerata una struttura a matrice e ciò comporta un

disallineamento rispetto alla diagonale del fattore Macrostruttura e una conseguente

complessità di livello 4.

Microstruttura M – I

È difficile distinguere il numero di Knowledge Worker per singola impresa dato che, come

emerge dalle analisi, numerosi processi di supporto sono comuni e il personale direzionale è

coinvolto in entrambe le aziende in diverse posizioni. Osservando il numero di colletti blu

delle due imprese, inoltre, si nota come esso sia simile sebbene cambi notevolmente la

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177

tipologia di lavoro che essi svolgono (in I l’attività principale è quella produttiva, in M quella

logistica).

Si può dunque calcolare la percentuale di Knowledge Worker totale delle due imprese,

considerando il numero di dipendenti totali esclusi quelli dei reparti: Logistica, Produzione e

Servizio Assistenza Tecnica. Il valore che si ottiene è superiore alla soglia (68%).

Dato che entrambe le imprese superano i cinquanta dipendenti e sono, quindi, da classificarsi

come Medie89

, la complessità introdotta dal fattore Microstruttura, come rappresentato in

Figura 103 risulta molto elevata (livello 4).

Figura 103 - Matrice della Microstruttura, posizionamento M e I

Scambi informativi M – I

I, come tipicamente accade per le produzioni su commessa, presenta un alto livello di

intensità informativa sia di processo che di prodotto, posizionandosi nell’area di massima

complessità per questo fattore, come si può notare in Figura 104.

89 Raccomandazione della Commissione, 2003/361/CE

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178

Il numero di codici da gestire all’interno della commessa, unitamente all’articolazione e alla

delicatezza dei prodotti (intesa come pericolosità e livello di precisione necessario), fanno sì

che le informazioni da gestire siano una variabile critica, rilevanti in numero e livello di

dettaglio.

Il processo produttivo richiesto dai prodotti di quest’impresa è molto articolato poichè

caratterizzato da una lunga fase di contrattazione e acquisizione della commessa. Questa fase

risulta di particolare rilevanza dato il numero d’informazioni necessarie ad iniziare i lavori e il

costo complessivo del progetto, tipicamente nell’ordine di qualche milione di euro. Anche la

fase di produzione è di notevole durata (almeno 6 mesi) e anche dopo il rilascio, l’impianto va

mantenuto e seguito attraverso il servizio Post-vendita. Conseguenza diretta di queste

caratteristiche è un’intensità informativa di processo estremamente elevata.

M, invece, si distingue per una complessità relativa agli Scambi informativi di basso livello

(livello 2), questo posizionamento è dovuto al fatto che il prodotto viene commercializzato e

solo in pochi casi risulta necessario attuare modifiche, comunque di entità limitata (cicli di

lavoro medi di 15’).

Le informazioni relative al processo sono relativamente poche; va considerato, infatti, che M

si approvvigiona per il 95% da un unico fornitore e il flusso informativo è fortemente

standardizzato attraverso la extranet del sistema gestionale della casa tedesca. Le informazioni

da gestire per quanto riguarda il prodotto sono, invece, elevate. Bisogna infatti considerare la

profondità della distinta base dei motori che è ampia e il fatto che le informazioni che la

riguardano risultano poi fondamentali per il business dei ricambi.

Figura 104 - Matrice degli Scambi informativi, posizionamento M e I

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179

Gruppo M – I

Il Gruppo M-I è composto da tre imprese operative M, I e MR. MR è il distaccamento

commerciale in Romania di M e si occupa della vendita di motori sul mercato rumeno.

L’estensione del Gruppo è dunque da considerarsi Limitata.

Le imprese sono fortemente coese tra loro, condividono lo stesso stabilimento e la maggior

parte delle funzioni di supporto quali: Amministrazione, Sistemi Informativi, Controllo di

Gestione, Risorse Umane e Controllo Qualità (cfr. Figura 99). Esistono, inoltre, frequenti

scambi di prodotti delle due imprese. In particolare M vende i motori che vanno nelle

commesse di I. Si può dunque affermare che gli Scambi informativi intra-gruppo siano

frequenti.

Come si può notare in Figura 105, le caratteristiche riscontrate per i due driver del fattore

Gruppo comportano un contributo di complessità medio (livello 2).

Figura 105 - Matrice del Gruppo, posizionamento M e I

Conoscenza dei processi M – I

Per quanto riguarda il driver Formalizzazione delle attività: I, data la modalità di lavoro che la

caratterizza (ETO), va classificata come impresa con attività non standardizzabili. M, al

contrario, svolge attività tipicamente standardizzabili. I processi logistici, principale attività

operativa dell’impresa, fanno riferimento infatti a fornitori stabili e a procedure consolidate e

ripetitive nel tempo.

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180

Il driver Conoscenza dei processi presenta, invece, le stesse caratteristiche in entrambe le

imprese è da considerarsi esplicita. Il reparto Qualità svolge, in modo trasversale sul Gruppo,

accurate e dettagliate analisi di conformità tra le attività svolte in azienda e quelle riportate nel

manuale di qualità che viene aggiornato e mantenuto dall’apposita funzione aziendale. La

Funzione IT, inoltre, è in possesso di documenti che sintetizzano tutti i processi logici delle

imprese, in modo da poter strutturare e mantenere i software a supporto di tali processi. La

conoscenza dei processi è dunque da considerarsi Esplicita.

In Figura 106, sono posizionate le imprese secondo la matrice della Conoscenza dei processi

ed è possibile leggere i relativi livelli di complessità. M presenta una complessità minima

rispetto a questo fattore il che significa che la conoscenza è gestita in modo ottimale. I, vista

l’impossibilità di standardizzare le attività, presenta un livello di complessità leggermente

superiore (livello 2).

Figura 106 - Matrice della Conoscenza dei processi, posizionamento M e I

6.2.2 Complessità del business M – I

Entrambe le imprese presentano alti livelli per quanto riguarda la Complessità del business.

Come si può vedere in Figura 107 i fattori che comportano tale livello riguardano la criticità

dei mercati, la componente internazionale e il portafoglio prodotti. In netto contrasto, invece,

è il contributo di complessità fornito dal fattore dei Differenziali competitivi.

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181

Figura 107 - Complessità del business, risultati complessivi M e I

I mercati su cui si affacciano M e I sono complessi per diverse ragioni. Il mercato

caratteristico di M: motori ad uso industriale, presenta numerosi competitor e quote

fortemente frammentate, mentre per il mercato di I: impianti per la produzione di energia, è

regolato da norme stringenti e in continua evoluzione. Entrambe le imprese offrono una

gamma di prodotti ampia e puntano fortemente al mercato internazionale. Esistono, tuttavia, i

presupposti per cui esse possano mantenere la propria posizione competitiva: M può contare

su accordi commerciali forti e consolidati mentre I su infrastrutture di elevata qualità e su

un’ottima fiducia da parte della clientela, coltivata nel corso degli anni. Tali peculiarità

portano ad un livello minimo per il fattore dei Differenziali competitivi e, conseguentemente

ad un contenimento della complessità dell’Area del business delle due imprese.

Nei paragrafi successivi verrà approfondita l’analisi di ogni fattore che determina la

complessità del business di M e di I.

Robustezza del business M – I

L’analisi di questo fattore è simmetrica al 50% rispetto a quanto effettuato per il caso F-B del

medesimo fattore, in quanto i macro-settori in cui operano M e I sono i medesimi,

rispettivamente, a quelli di B e F. Per questo motivo il driver Stato di salute del settore

restituisce lo stesso risultato a due a due, mentre l’analisi effettuata sulla Quota di mercato è

indicativa del contesto più prossimo alle aziende e, infatti, è l’elemento discriminante tra i due

casi analizzati.

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182

Per valutare lo stato di salute del settore in cui opera I, ovvero nella fabbricazione di macchine

e apparecchi meccanici (Ateco 29), si può mettere in relazione l’indice di rischiosità e

l’andamento delle difficoltà di pagamento, rilevati nel rapporto “Barometro dei pagamenti”90

.

Nella mappa di Figura 108 è possibile analizzare l’andamento del settore nel periodo 2004-

2008 e, per un confronto, nel riquadro blu è presentato anche l’andamento complessivo

dell’insieme dei settori che compongono il Barometro dei pagamenti.

L’evoluzione del settore mostra una fase di moderata difficoltà nel corso del 2005, seguita,

nei due anni successivi, da una ripresa guidata dai miglioramenti sul fronte dei pagamenti. Il

2008, invece, evidenzia un nuovo momento di criticità del settore: le difficoltà di pagamento

raggiungono livelli preoccupanti, così come la rischiosità; l’analisi della solidità del settore

della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici rivela uno stato di salute in rapido

deterioramento anche per il 2009, su entrambi gli indicatori considerati. Per il primo semestre

2010 è tuttavia prevista una ripresa, almeno sul fronte dei pagamenti.

Figura 108 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 29) e del globale manifatturiera e costruzioni (Ateco,

2011)

Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal

Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 109, che è costruita intersecando

le variazioni della rischiosità intervenute nel 2008 con le variazioni della difficoltà di

pagamento avutesi nello stesso arco temporale. Il comparto si caratterizza per un

peggioramento rilevante sul lato della rischiosità, ma denota stabilità sul versante dei

pagamenti.

90 barometro2010

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183

Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore

fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 29) stia attraversando un periodo

problematico, sia sul versante rischiosità che su quello pagamenti, soprattutto in riferimento al

numero di aziende insolventi; per questi motivi è identificato come critico nella matrice di

Figura 112.

Figura 109 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 29)

(Ateco, 2011)

Il secondo driver per valutare la complessità di I, relativamente alla robustezza del settore, è la

quota di mercato, che risulta essere media, dato che, sia il mercato degli impianti per la

produzione di energia, che quello della produzione ed installazione di parcheggi meccanici

automatizzati, sono popolati da un numero limitato di competitor. La causa principale è che

gli impianti, come riportato precedentemente, sono strutture che richiedono investimenti

iniziali importanti, alta affidabilità del fornitore e una perfetta aderenza agli standard

qualitativi, innalzando di fatto le barriere all’ingresso.

Per quanto riguarda il settore in cui opera M, ovvero nella fabbricazione e lavorazione dei

prodotti in metallo (Ateco 28), l’Indice di rischiosità presenta un trend negativo in tutto il

periodo considerato, ma è soprattutto a partire dal terzo trimestre del 2008 che l’indicatore

registra un forte peggioramento. Nel corso del 2009, la rischiosità del comparto, pur

continuando la fase peggiorativa dell’ultimo biennio, cresce ad un tasso inferiore rispetto a

quello registrato a fine 2008.

L’evoluzione delle difficoltà di pagamento, intese come incapacità di rispettare le scadenze

contrattuali, presenta un andamento sostanzialmente stabile fino alla prima metà del 2007.

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184

A partire dal secondo semestre del 2007 l’indicatore peggiora notevolmente, fino ad

assestarsi, nel 2009, intorno a 250 punti indice. L’andamento di questi due indicatori è

riassunto nella mappatura di Figura 110.

Figura 110 - Analisi di trend e previsione I semestre 2010 (Ateco 28) e del globale manifattura e costruzioni

(Ateco, 2011)

Il posizionamento relativo del settore, all’inizio del 2009, rispetto a quelli tracciati dal

Barometro dei pagamenti, è illustrato nella matrice di Figura 111, che è costruita intersecando

le variazioni della rischiosità intervenute tra il 2008 con le variazioni della difficoltà di

pagamento avutesi nello stesso arco temporale. È possibile osservare che la performance del

settore è negativa per entrambi gli indicatori: difficoltà di pagamento in aumento e

innalzamento della rischiosità collocano il comparto tra i settori maggiormente a rischio del

Barometro dei pagamenti.

Complessivamente, sulla base di quanto esposto fin ora, si può affermare che il settore della

fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (Ateco 28) sia entrato nel 2009 in una fase

problematica. Le attese per il primo semestre 2010 sono di ripresa per quanto riguarda le

difficoltà di pagamento, mentre continua un incremento della rischiosità di pagamento.

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185

Figura 111 - Confronto intersettoriale: variazione 2008-2009 indice di rischiosità e difficoltà di pagamento (Ateco 28)

(Ateco, 2011)

Il secondo driver per valutare la complessità di M, relativamente alla robustezza del settore, è

la quota di mercato, che risulta essere bassa. M, infatti, ha una dimensione ridotta rispetto ai

competitor che operano nel mercato dei motori diesel per impieghi industriali e stazionari.

Tale settore risulta essere largamente globalizzato, privo di barriere territoriali e caratterizzato

da prodotti sostitutivi largamente diffusi (motori elettrici, a benzina, a metano, etc.). Queste

peculiarità che contraddistinguono la realtà di M, contribuiscono a ridurre la sua quota di

mercato.

A questo punto è possibile traguardare la complessità delle due imprese sulla matrice di

Robustezza del business (Figura 112), che per quanto riguarda lo Stato di salute del settore la

situazione delle due imprese è similarmente critica, mentre la posizione competitiva delle due

imprese è, invece, discordante. Secondo le metriche definite dal modello la differenza rilevata

non è sufficiente a giustificare livelli di complessità dissimili. Ciò è visibile anche dagli effetti

che la crisi ha provocato sul fatturato del Gruppo (cfr. Paragrafi 6.1.1 e 6.1.2), evidente

segnale di un mercato poco robusto e di un conseguente contributo elevato di complessità per

questo fattore (livello 4).

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186

Figura 112 - Matrice di Robustezza del business, posizionamento di M e I

Internazionalizzazione M – I

Per quanto riguarda la componente internazionale di M, va considerata l’attività in Romania e

rapporti strettissimi con il fornitore tedesco. MR è un distaccamento di M e funge da

rivenditore unico per la Romania per un’importante casa produttrice di motori tedesca e va

quindi considerata come una Delocalizzazione a tutti gli effetti che comporta un massimo

livello di Profondità nei mercati.

I mercati su cui si registra la presenza di M, oltre a quello italiano, sono esclusivamente quello

rumeno, nelle modalità sopra citate, e quello tedesco, sul quale l’impresa si pone come

acquirente. Entrambi i mercati sono vicini culturalmente e geograficamente, inoltre se si

considera il fatto che il mercato tedesco viene affrontato solo come cliente e che l’estensione

del mercato rumeno è limitata, è possibile affermare che la Criticità dei mercati serviti da M è

bassa.

I esporta i suoi prodotti in Europa e nel mondo, in particolare si evidenzia l’apertura, nel

2008, di I-Cina, una società che si occupa di presidiare il promettente mercato cinese per

quanto riguarda la vendita e la produzione di parcheggi automatizzati. La profondità con cui

l’impresa è presente sui mercati internazionale è quindi massima e da classificare come

Delocalizzazione nella matrice di Figura 113.

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187

I mercati serviti da I sono, oltre che numerosi, anche estesi e lontani sia geograficamente che

culturalmente. Il riferimento non riguarda solo al mercato cinese, coperto da I-Cina, ma anche

alla vendita di impianti che coinvolge mercati come, ad esempio, quello russo. A rendere

maggiormente critica l’internazionalizzazione di questo business, è la posizione rilevante che

assume la normativa nelle specifiche tecniche che devono rispettare gli impianti energetici sia

per i trasporti che per il funzionamento. Ogni paese sottostà a leggi differenti in termini di

sostenibilità ecologica e sicurezza. Per poter esportare questo tipo di prodotti è dunque

necessario conoscere le norme e avere i mezzi indispensabili per soddisfare tutti i requisiti

richiesti dalla legge locale.

I posizionamenti sulla matrice di Internazionalizzazione (Figura 113) attribuiscono alle due

imprese una complessità elevata per quanto riguarda questo fattore (livello 3 per M e livello 4

per I). Pesano in modo particolare in questa valutazione le due recenti delocalizzazioni (2007

MR, 2008 I-Cina) che evidenziano la volontà del Gruppo di intraprendere, in modo

consistente, un processo di internazionalizzazione dei propri business.

Figura 113 - Matrice d’Internazionalizzazione dei processi, posizionamento M e I

Portafoglio prodotti M-I

Il Portafoglio prodotti di M presenta una configurazione Multi-prodotto. Nello specifico

l’impresa presenta tre linee di prodotti: Motori industriali, Motori marini, Ricambi e After

Sales e per ognuna di essi fornisce un’ampia gamma di scelta. Queste caratteristiche

implicano, come rappresentato in Figura 114, una complessità molto elevata (livello 4).

Anche I si trova posizionata nello stesso quadrante sulla matrice del Portafoglio prodotti in

quanto presenta quattro linee di prodotto che riguardano impianti per la generazione di

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188

energia (Cogenerazione, Agroenergia, Gruppi Elettrogeni e UPS Dinamic) e una divisione

che si occupa di produrre e montare parcheggi automatizzati. Ognuno di questi prodotti è poi

personalizzato a seconda delle richieste del cliente e ciò implica un’ampiezza di gamma

pressoché infinita.

Nonostante le due imprese ricadano nello stesso quadrante, è importante sottolineare come la

gamma di prodotti di I implichi una complessità superiore a quella di M. L’elevato livello di

standardizzazione dei prodotti di M, infatti, consente una gestione più semplice del

portafoglio prodotti rispetto a quella caratteristica di I, che prevede uno sviluppo ad hoc per

ogni commessa.

Figura 114 - Matrice del Portafoglio prodotti, posizionamento M e I

Differenziali competitivi M – I

I principali CSF di M riguardano gli accordi commerciali con la casa produttrice di motori

tedesca che garantiscono all’impresa i diritti di rivenditore unico sul mercato italiano. Dato

che questo fornitore rappresenta il 95% degli ordini totali, i rapporti con l’azienda tedesca

possono ormai considerarsi consolidati ed è possibile affermare che l’impresa può godere dei

differenziali competitivi elevati del proprio partner, in termini di qualità, affidabilità e

notorietà del marchio. Tali differenziali possono essere inoltre considerati mantenibili nel

medio-lungo periodo, data la lunga storia del rapporto commerciale tra le due imprese.

Di conseguenza, come emerge dal posizionamento di Figura 115, la complessità relativa a

questo fattore risulta, per M, minima (livello 1). Tuttavia è importante sottolineare che il forte

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189

legame alle strategie commerciali di un’altra azienda può risultare critico, in quanto ciò può

limitare la libertà d’azione di M.

Per quanto riguarda I, invece, i fattori differenziali riguardano in modo particolare le capacità

ingegneristiche di progettazione elevate, l‘aderenza alle normative (in continua evoluzione) e

le infrastrutture evolute di cui I si serve per la produzione dei propri impianti. Questi CSF

permettono all’azienda di collocarsi nella parte alta dell’asse Fattori differenziali.

Il posizionamento sull’asse delle Difendibilità dei CSF, invece, è riconducibile alla necessità

di grandi investimenti per le infrastrutture per costruire e testare gli impianti che costituiscono

una notevole barriera all’ingresso, permettendo di difendere la quota di mercato nel medio-

lungo periodo. Di conseguenza I si colloca nel quadrante di complessità 1 come mostrato in

Figura 115

Figura 115 - Matrice dei Differenziali competitivi, posizionamento M e I

6.2.3 Livello di governo delle ICT M – I

L’Area governo delle ICT si basa sull’assessment dei Sistemi Informativi aziendali (Paragrafo

6.1.4) e su analisi riguardanti ruolo e competenti della Funzione IT del Gruppo. Come già

emerso, poiché la Funzione IT è trasversale alle due imprese, le analisi verranno svolte in

parallelo.

Il Livello di governo delle ICT, ottenuto come media sui contributi dei vari fattori di

quest’area è medio-basso. Dai risultati sintetizzati in Figura 116, emerge la presenza di un

patrimonio applicativo sufficientemente evoluto. Tuttavia la ridotta componente

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190

d’Innovazione, in aggiunta ai bassi valori riscontrati per i fattori di Rilevanza strategica delle

ICT e Competenze ICT (figli di un ruolo marginale della Funzione IT all’interno

dell’organizzazione), giustifica il risultato finale.

Figura 116 - Livello di governo delle ICT, risultati complessivi di M-I

Maturità applicativa M – I

Il portafoglio applicativo di M-I, descritto nel Paragrafo 6.1.4, è costituito da una varietà di

sistemi software, integrati attraverso un unico sistema Gestionale che gestisce le principali

attività aziendali, quali Amministrazione, Commerciale, Approvvigionamenti, Produzione e

Vendite. Grazie a numerose personalizzazioni e all’integrazione con altri sistemi software,

quali la gestione delle commesse, la Business Intelligence per la reportistica di controllo, il

sistema PDM e i sistemi di progettazione 2D e 3D, viene coperta la totalità delle funzioni

aziendali. Inoltre attraverso il portale sono in grado di connettere tra loro diversi sistemi, di

gestire le utenze e di comunicare con l’esterno attraverso la extranet, alla quale si connettono

gli Installatori e gli Agenti di M.

La Flessibilità del sistema gestionale è medio alta; la software house che ha prodotto questo

sistema rende periodicamente disponibili gli aggiornamenti del sistema ma non è

particolarmente celere nel seguire le normative che riguardano la parte contabile, soprattutto

per quando riguarda la contabilità estera. Tuttavia il sistema è predisposto per essere

facilmente modificabile e personalizzabile e a ciò si deve il buon livello di flessibilità.

Queste caratteristiche permettono al Gruppo M-I di posizionarsi nel cluster dei Portafogli

Integrati a cui, come si nota da Figura 117, corrisponde un livello medio-alto (livello 3) di

governo delle ICT.

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191

Figura 117 - Maturità applicativa del Gruppo M-I

Maturità infrastrutturale M – I

L’infrastruttura del Gruppo M-I, descritta nel Paragrafo 6.1.4, è basata su un parco macchine

omogeneo e mediamente aggiornato. La presenza di server Microsoft è predominante e i

sistemi operativi installati sono prevalentemente Windows. La presenza di alcuni server

Windows 2000 e numerosi server Windows 2003 è segnale di un’evoluzione razionale, diluita

nel tempo, mirata a contenere i costi visto che si tende a tenere i sistemi operativi embedded e

i costi si limitano al mantenimento delle licenze.

Come si può vedere in Figura 118 questa tipologia di architettura è classificabile come

Infrastruttura conservativa a cui corrisponde un contributo medio-basso al livello di governo

delle ICT.

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192

Figura 118 - La Maturità infrastrutturale del Gruppo M-I

Innovazione ICT M – I

Le tecnologie innovative facenti parte del patrimonio applicativo del Gruppo M-I riguardano

in modo particolare la progettazione, dovute al recente acquisto di un CAD 3D utilizzato dai

progettisti dell’Ufficio Tecnico di M-I, che permette funzioni di Modeling. Il PDM

attualmente in uso presenta funzionalità limitate e una difficile integrazione con gli altri

sistemi ma è in grado di fornire lo storico delle commesse.

Il sistema gestionale prevede, infine, funzionalità di Enterprise Assets Management in quanto

viene tenuta traccia dell’utilizzo degli strumenti e del loro stato di degrado.

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193

Stato Tecnologia Idoneità Adottato Peso Idoneità

pesate

adottate

pesate

On the rise Cloud Computing in PLM and Manufacturing SI NO 5 5 0

Two-Tier ERP Strategy for Manufacturing

Operations

NO NO 5 0 0

IT/OT Convergence in Manufacturing SI NO 5 5 0

Synchronized Bills of Materials SI NO 5 5 0

At the Peak Manufacturing Process Management Framework SI NO 4 4 0

MRO PLM Functionality SI NO 4 4 0

SOA in Manufacturing SI NO 4 4 0

Operations Intelligence SI NO 4 4 0

System Engineering Software SI NO 4 4 0

Energy Management in Manufacturing SI NO 4 4 0

Sustainable Design PLM SI NO 4 4 0

Asset Performance Management SI NO 4 4 0

Product Cost Management SI NO 4 4 0

Sliding Into the

Trough

Modeling, Simulation and Virtual Prototyping SI SI 3 3 3

Enterprise Manufacturing Intelligence SI NO 3 3 0

Process Analytical Technology NO NO 3 0 0

Customer Needs Management SI NO 3 3 0

Manufacturing Process Validation SI NO 3 3 0

Regulatory Compliance Functionality Within PLM SI NO 3 3 0

ISA-95 Integration Standards NO NO 3 0 0

Virtual Factories SI NO 3 3 0

EH&S Applications NO NO 3 0 0

Simulation and Test Data Management SI SI 3 3 3

LIMS NO NO 3 0 0

Climbing the Slope Quality Management Systems SI NO 2 2 0

Product Portfolio and Program Management SI NO 2 2 0

Factory Scheduling SI SI 2 2 2

Formula/Recipe Management NO NO 2 0 0

Parts and Materials Search and Selection SI NO 2 2 0

PLM-Centric Team Collaboration SI NO 2 2 0

Value-Chain-Centric PDM SI NO 2 2 0

Process Data Historians SI SI 2 2 2

CAD-Centric Design Data Management SI SI 2 2 2

MES Applications SI NO 2 2 0

Entering the

Plateau

Enterprise Asset Management SI SI 1 1 1

SI 29 6 91 13

Indicatore Valore Ottimo Range

v: Livello innovativo aziendale (pesato) 14% 100% Nullo 0-10

e: media dei pesi di v 2,17 m Basso 11-20

m: media dei pesi adottabili 3,14 Medio 21-30

K: livello innovazione consapevole 7,25% 100% Alto >30

Tabella 11 - Livello di Innovazione consapevole di M e I

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194

L’indice di Innovazione consapevole, risultato delle analisi sintetizzate in Tabella 11, è

inferiore al 10% (7,25%) e comporta un livello 1 per quanto riguarda il fattore Innovazione

ICT. Tale livello è da attribuirsi sia al livello di innovazione non particolarmente elevato 14%,

sia ad una media di quasi 1 punto percentuale inferiore (2,17 al posto che 3,14).

Rilevanza strategica delle ICT M – I

All’interno dei processi decisionali strategici dell’impresa, non si riscontra una presenza

rilevante della Direzione IT, se non per aspetti riguardanti l’ambito puramente tecnico.

Sebbene il vertice manifesti un grado di sensibilità significativo riguardo il tema dell’ICT,

resta forte, infatti, il limite organizzativo in termini di riconoscimento del ruolo di chi è

addetto a governarla.

Ad esempio, nel processo di scelta di un nuovo sistema gestionale, il parere della Direzione

IT è stato preso in considerazione solamente in parte, dato che il vertice ha preferito affidarsi

a consulenti esterni, sia per la selezione della soluzione, che per la conduzione del progetto di

implementazione. La Direzione IT gode comunque di un’ottima reputazione per quanto

riguarda la risoluzione dei problemi ordinari e in qualche caso gli è riconosciuta anche la

capacità di incrementare le prestazioni delle aree funzionali, attraverso lo sviluppo di

programmi “custom”. Tuttavia la visione che i referenti del business hanno della funzione IT

non è tale da giustificare un collocamento nel cluster Value provider, ma può essere

classificata come Trusted individual & Help Desk (Figura 119).

Figura 119 - Rilevanza strategica delle ICT in M-I (rielaborato da Boccardelli, 2007)

Competenze ICT M – I

La Direzione IT di M-I è composta da un numero limitato di persone pari a 3, tuttavia le

competenze di sviluppo di alcuni di questi elementi, permettono di fornire un servizio di

sviluppo di applicativi (nello specifico applicativi in codice Sql) che non si limita a una

personalizzazione del gestionale ma che va a coprire funzionalità non gestite dal sistema.

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195

Le capacità di sviluppo sono caratteristiche di un IT sviluppatore che non si limita a

supportare e mantenere i sistemi esistenti ma è in grado di svilupparne di nuovi accrescendo il

patrimonio applicativo dell’impresa. Le capacità di project management e di acquisto sono

tuttavia limitate, per questo motivo la capacità di gestire la complessità introdotta da questo

fattore è, come rappresentato in Figura 120, di livello medio-basso (livello 2). A conferma di

ciò l’impresa si è rivolta a consulenti esterni sia per svolgere attività di Software selection per

un nuovo PDM e un nuovo gestionale, sia per coordinare il progetto di implementazione del

nuovo ERP.

Figura 120 - Competenze ICT in M-I

6.3 Considerazioni conclusive dell’applicazione al Gruppo M – I

Una volta discussi e stabiliti i fattori di complessità interni (organizzativa) ed esterni (del

business), è possibile determinare la Complessità gestionale delle imprese. La Complessità

gestionale è costituita dal massimo tra i due valori di complessità calcolati in precedenza. In

Tabella 12 sono riportati i valori riscontrati per i fattori e quelli calcolati per le relative aree,

in modo da consentire un confronto e dare spunto ad alcune riflessioni importanti.

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196

M I

Asse

organizzativo

Macrostruttura 2 4

Microstruttura 4 4

Scambi informativi 2 4

Gruppo 2 2

Conoscenza dei processi 1 2

Complessità organizzativa 2,2 3,2

Asse del

business

Criticità del mercato 4 4

Internazionalizzazione 3 4

Prodotti 4 4

Differenziali competitivi 1 1

Complessità del business 3 3,25

Complessità gestionale 3 3,25

Area ICT

gestionale

Maturità applicativa 3 3

Maturità infrastrutturale 2 2

Competenze ICT 2 2

Innovazione SI 1 1

Rilevanza strategica delle ICT 2 2

Livello ICT gestionale 2 2

Tabella 12 -Sintesi analitica del modello

Dai dati riportati in tabella, emerge una Complessità gestionale di I, superiore a quella di M.

La differenza tra i due valori è giustificata dalla tipologia di prodotto di I che, influendo su

modalità di lavoro, scambi informativi e portafoglio prodotti, comporta una complessità

superiore. A queste caratteristiche va poi aggiunta la spiccata componente internazionale (che

include una delocalizzazione in Cina).

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197

Figura 121 - Allineamento tra la complessità gestionale e la capacità del Gruppo di gestire la complessità attraverso la

governance delle ICT

Nella matrice di sintesi del modello proposto (Figura 121) I e M sono entrambe posizionate al

di sotto della diagonale; questo significa che la governance delle ICT è in qualche modo

inadeguata alla gestione della complessità delle due imprese. Una delle possibili azioni

percorribili per smuovere l’attuale situazione di complessità sarebbe quella di innovare i

propri Sistemi Informativi in modo da spostarsi lungo l’asse del livello di governance

dell’ICT e ritrovare l’allineamento.

Il focus di questo modello è quello di far emergere l’inadeguatezza del livello di governo delle

ICT a gestire la complessità dell’impresa. Dunque l’impresa deve focalizzarsi sul migliorare

quest’Area poiché, nel medio periodo, la complessità non risulta riducibile. L’unico fattore su

cui potrebbe agire è la Macrostruttura di I, attraverso una riorganizzazione interna che riveda

le logiche alla base della struttura organizzativa, anche se i benefici in termini di riduzione di

complessità sarebbero comunque limitati.

Una prima tipologia di interventi potrebbe riguardare un processo di innovazione volto a

migliorare l’attuale supporto ai processi di business, questa necessità emerge del valore

riscontrato per il fattore di Innovazione ICT che, dalle analisi svolte risulta molto basso.

Proseguendo nell’analisi dei risultati, emerge il bisogno di un riposizionamento della

Direzione IT all’interno dell’organizzazione. Questo deve avvenire attraverso l’ampliamento

delle competenze manageriali, che sono abilitanti ad una rilevanza strategica significativa

nelle gerarchie aziendali. Azioni in tal senso potrebbero essere la formazione manageriale del

responsabile IT e il rafforzamento della struttura operativa dell’area funzionale, in modo da

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198

permettere al responsabile IT di dedicare più tempo alle attività a maggior valore aggiunto

(decisioni strategiche, pianificazione, etc.). Altro passo fondamentale che il Gruppo potrebbe

compiere al fine di migliorare il proprio utilizzo strategico delle ICT è il coinvolgimento

dell’IT manager nei momenti di scelte strategiche riguardanti le evoluzioni del business.

Le due imprese presentano bisogni di diversa natura: M necessita di un maggior supporto

negli scambi informativi con la filiera, mentre I ha la priorità di ottimizzare l’organizzazione

interna. Il modello di business di M è basato sulla commercializzazione di prodotti e su

servizi ad essi correlati. Nello specifico l’impresa, per rispondere al meglio alla propria

complessità, richiederebbe un supporto maggiore per i processi di Post vendita, Assistenza

tecnica, Ricambistica e Gestione del cliente. Il mercato offre numerose soluzioni software e

una di queste potrebbe essere rappresentata da un sistema CRM sufficientemente completo e

affidabile, magari specifico per il settore manifatturiero, per andare incontro a questi bisogni.

I, invece, oltre a gestire una elevata complessità del business, deve mantenere il focus sulla

propria organizzazione, che risulta equamente complessa e necessita di innovarsi dal punto di

vista della modalità di lavoro. Per iniziare ad attuare questo cambiamento un sistema PLM

potrebbe rappresentare una soluzione adatta a migliorare in tempi brevi le performance

dell’organizzazione, in quanto consentirebbe di ottimizzare la gestione di tutte le informazioni

riguardanti gli impianti (disegni tecnici, manutenzioni, fornitori, parti assemblate, etc.).

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199

7. CONCLUSIONI

Il presente lavoro di tesi si è proposto di elaborare un modello in grado di rilevare

l’adeguatezza del Livello di governo degli strumenti ICT di cui un’organizzazione si è dotata,

rispetto alla Complessità gestionale che la caratterizza. Le organizzazioni prese in esame sono

PMI o gruppi di PMI con caratteristiche anche molto differenti in termini di modello di

business. Tale complessità è pertanto da interpretare come risultato delle esigenze

organizzative interne e delle relative configurazioni adottate (complessità interna), unitamente

alle caratteristiche del contesto di business in cui la PMI opera e agli altri fattori esterni che

contribuiscono a determinare livelli di complessità più o meno elevati (complessità esterna).

Per ciascuna delle variabili prese in esame il lavoro condotto ha permesso di identificare un

set esteso di fattori che ne permettono la valorizzazione, suggerendo il posizionamento della

PMI sugli assi della Complessità gestionale e del Livello di governo delle ICT.

La Complessità gestionale delle imprese è determinata dalla Complessità organizzativa e

dalla Complessità del business, in termini di esigenze organizzative interne e peculiarità

esterne del business. Come illustrato nel lavoro queste sono state declinate a loro volta in più

fattori che identificano rispettivamente le caratteristiche interne (struttura organizzativa,

know-how, dimensioni, etc.) e quelle esterne all’azienda (robustezza del business,

internazionalizzazione, caratteristiche del business, etc.). Per quanto riguarda la

valorizzazione del Livello di governo delle ICT, invece, si considera una media tra i contributi

forniti, dal ruolo e le competenze della Direzione IT, l’attenzione posta dall’impresa

all’innovazione e delle maturità applicativa e infrastrutturale del sistema informativo.

L’applicazione ai casi reali ha permesso di osservare alcuni fenomeni che trovano riscontro

nelle conclusioni di stampo teorico infatti, nonostante la differente configurazione, il diverso

contesto e la lontananza geografica, sono emerse aderenze significative.

Dall’analisi del contesto in cui si applica il modello emerge come, per far sì che l’ICT possa

essere considerata una leva strategica nelle PMI, vadano ancora rimossi alcuni limiti

organizzativi, culturali ed economici. Data la rilevanza di questa forma d’impresa nel mercato

italiano, questa operazione rappresenta una necessità primaria per il sistema economico del

Paese.

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200

Secondo i dati forniti da Assinform91

, solo il 10% delle imprese interpellate non percepisce la

rilevanza strategica delle ICT, tuttavia, le evidenze empiriche riguardanti l’attuale stato

dell’arte dei Sistemi Informativi si prestano ad una lettura di diverso tipo.

Il mercato ha recepito questa possibilità di business e sta rispondendo con prodotti sempre più

vicini ai bisogni delle PMI grazie all’esperienza che i vendor hanno acquisito dalle grandi

imprese (best practice). Le imprese intravedono in tali sistemi una nuova possibilità per

incrementare l’efficienza, ad esempio attraverso suite che permettano l’ottimizzazione delle

risorse critiche quali materie prime, risorse umane e impianti produttivi. Attraverso sistemi di

Business Intelligence e CRM evoluti è, inoltre, possibile recuperare efficacia nei processi

decisionali, mantenendo un contatto sempre più diretto e personalizzato con i propri clienti.

Da ultimo, ma non per importanza, anche la necessità di aumentare la flessibilità e la

scalabilità dei processi, contenendo i costi e assorbendo più tempestivamente la volatilità del

mercato, può essere soddisfatta. L’ICT as a service, fenomeno sempre più attuale,

comunemente definita anche come Cloud Computing, è una possibilità concreta che le

imprese possono sfruttare per raggiungere questi obiettivi.

Per quanto riguarda il patrimonio applicativo, il posizionamento delle PMI italiane è buono,

anche se non ottimale. L’analisi svolta nel Capitolo 3, basata sui dati dell’Osservatorio del

Politecnico di Milano, rivela che il 91% delle imprese può contare su un sistema gestionale, e

per più della metà non si tratta di pacchetti elementari ma di sistemi in parzialmente evoluti.

Il motivo principale che impedisce all’ICT di assumere un ruolo strategico all’interno delle

organizzazioni è lo scarso presidio gestionale che viene fornito ai Sistemi Informativi. Le

ricerche dell’Osservatorio del Politecnico92

, condotte su un campione di PMI presenti sul

territorio Lombardo, riportano un numero medio di addetti alla Direzione IT pari a 1,2 per

imprese che impiegano tra i 10 ed i 49 addetti; 1,8 per imprese tra 50 e 99 addetti e 2,4 per

imprese tra 100 e 249 addetti. Se quest’area funzionale viene sottodimensionata è difficile,

infatti, che vi siano competenze, risorse in termini di tempo e budget sufficienti affinché l’ICT

possa diventare concretamente un differenziale competitivo.

Dal quadro complessivo emerge quindi che la sensibilità delle imprese verso l’ICT è

crescente, grazie anche al ricambio generazionale in corso nella classe imprenditoriale, ma

spesso le competenze interne alle imprese non sono sufficienti a supportare un adeguato

processo di turnaround. Per supportare tale cambiamento può quindi risultare necessario

91 Assinform, 2011

92 Osservatorio ICT & PMI, 2009

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201

appoggiarsi ad un partner esterno fidato cui commissionare la comprensione dei bisogni

effettivi dell’azienda al fine di individuare successivamente le tecnologie adatte su cui

investire.

Il modello, oggetto di questa tesi, può risultare uno strumento differenziale proprio in questo

tipo di attività in quanto indirizza le analisi e permette di focalizzare l’attenzione sulle aree in

cui l’impresa deve intervenire.

Dall’applicazione ai casi, data la dimensione (medie imprese) e la tipologia di produzione

(meccanica avanzata) delle imprese analizzate, era lecito aspettarsi livelli di complessità

piuttosto alti che risultano, infatti, compresi tra 3 e 3,75. Il Livello di governo dei due gruppi è

anch’esso simile (1,8 per F-B, 2 per M-I) e non in grado di supportare le esigenze gestionali e

di business rilevate.

Come puntualizzato nelle relative descrizioni, i gruppi nascono in modo differente: il Gruppo

F-B nasce quando l’impresa F decide di espandersi e acquisire l’impresa B, per sinergia

geografica di vicinanza territoriale e rapporti consolidati con la proprietà; il Gruppo M-I,

invece, nasce da un’impresa che decide di differenziare la propria offerta e aprire un nuovo

business. Conseguenza diretta delle suddette strategie è che F e B possono essere considerate

imprese distinte, convergenti solo per i Sistemi Informativi, mentre M e I costituiscono un

Gruppo coeso che si differenzia solo per le attività primarie ma che presenta attività di

supporto comuni (amministrazione, controllo di gestione, etc.). Nonostante questa

configurazione comporti una complessità superiore per il fattore Gruppo, in quanto implica la

gestione di numerosi scambi informativi intra-gruppo, come visibile in Figura 122 la

Complessità gestionale delle imprese del Gruppo M-I risulta inferiore.

Il Gruppo F-B è un caso molto particolare, che mette in evidenza una delle caratteristiche

fondamentali del modello. Entrambe le imprese hanno una Complessità gestionale molto

elevata ma, analizzando i differenti contributi, si scopre che tale valore è da attribuirsi a

motivi differenti. L’impresa F, infatti, si distingue per una Complessità organizzativa alta

(3,4) e per una Complessità del business ridotta (2) mentre quella B presenta caratteristiche

opposte (Complessità organizzativa: 2; Complessità del business: 3,75). Il fatto che Direzione

IT e Sistemi Informativi siano comuni comporta che il Gruppo deve attrezzarsi per gestire le

diverse esigenze che nascono dalle due aziende. Nello specifico dovrà, ad esempio, dotarsi di

strumenti per migliorare il controllo sui progetti per le attività di F e di strumenti di marketing

per migliorare l’approccio al mercato di B. Il posizionamento ideale, per un gruppo di imprese

che condivide i Sistemi Informativi, come rappresentato sulla matrice in figura, è quindi da

ricercare nella proiezione sulla diagonale dell’impresa con la Complessità gestionale

maggiore. Un presupposto per l’applicazione del modello nel caso di un Gruppo di PMI, in

cui la gestione delle ICT risulta centralizzata è che delle singole Complessità gestionale

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202

rilevate per ciascun impresa che lo costituisce è necessario prendere come riferimento quella

di livello maggiore, al fine di garantire il Livello di governo adeguato a ciascuna di esse.

Figura 122 - Sintesi del modello, posizionamenti dei gruppi analizzati

L’output del modello mira a mappare le imprese in base alla situazione as-is. Il perimetro di

analisi su cui agisce il modello non include particolari indicazioni sul modo di gestire la

complessità, una volta individuata, tuttavia fornisce gli elementi fondamentali per

comprendere quali siano i fattori su cui l’impresa può e deve far leva al fine di riposizionarsi

sulla diagonale della matrice di sintesi del modello.

Se si porta questo esercizio sui casi analizzati e si scompongono i fattori che determinano i

livelli di governo delle ICT, rappresentati in Figura 123, emergono due necessità comuni e

fondamentali: incrementare gli investimenti in tecnologie ICT innovative che siano allineate

alla visione strategica di evoluzione del business (es: a supporto della componente

internazionale crescente in entrambi i gruppi) e riposizionare la Direzione IT all’interno delle

organizzazioni.

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203

Figura 123 - Livello di governo delle ICT, posizionamento dei due gruppi analizzati

Il basso livello d’innovazione riscontrato è dovuto al fatto che, una volta raggiunta la

copertura funzionale dei processi, le imprese tendono a non introdurre nuove tecnologie che

spesso comportano una ridiscussione e una revisione dei processi stessi. Se i processi non

vengono messi in discussione però, non è possibile ottenere miglioramenti e ciò può portare

all’obsolescenza e alla perdita di competitività. Per i Gruppi analizzati tale fenomeno è

risultato particolarmente evidente negli incontri con gli utenti e con le direzioni, soprattutto

perché rappresentano due realtà solide e ben funzionanti. Decidere di ripensare le proprie

logiche di business in un contesto di favore, anche se migliorabile, è ancora più difficile che

nei casi in cui la situazione operativa e finanziaria non sia particolarmente serena. Entrambe

hanno continuato ad operare nello stesso modo per anni e la ragione chiave che le ha spinte a

ricercare un nuovo sistema gestionale è l’internazionalizzazione del business.

Affinché l’ICT abbia un ruolo di maggior rilevanza all’interno delle imprese è necessario che

le Direzioni IT prendano parte alla definizione delle strategie. Ad oggi, le due Direzioni IT

non hanno né la considerazione necessaria da parte del business né le competenze per

assumersi queste responsabilità. I profili riscontrati nelle due Direzioni IT sono, infatti,

esclusivamente tecnici e mancano completamente di competenze manageriali.

L’applicazione ai casi di studio presentati ha permesso di validare la struttura del modello in

termini di esaustività delle determinanti individuate e di rilevabilità dei valori per ciascuno dei

fattori di analisi proposti, offrendo spunti di integrazione per quanto riguarda la variabile di

“Gruppo” e l’elemento di “innovazione”.

Il primo elemento permette di rendere valida l’applicazione del modello per quello che è

ormai un fenomeno molto diffuso in Italia ovvero la presenza di gruppi di PMI, il secondo

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204

permette di conferire alla rilevazione una valenza “anche dinamica”, rispetto ai trend che man

mano si presentano nell’offerta tecnologica.

Il modello presenta alcune opportunità di evoluzione e punti di attenzione per successive

rielaborazioni, generate in parte dalle scelte fatte in fase di strutturazione del modello, quindi

presupposti di progettazione, in parte legate ad obiettivi di modellazione non oggetto di tale

lavoro ma per i quali il modello presentato potrebbe rappresentare un valido punto di

partenza.

La prima osservazione che si vuole portare all’attenzione è l’ipotesi esemplificativa adottata

per linearizzare la valutazione della complessità. La complessità è infatti considerata come il

risultato della combinazione lineare tra più variabili, individuabili oggettivamente. Nessun

fattore, ad esempio, prende in considerazione i rapporti tra le persone, nonostante in

un’organizzazione le relazioni tra i dipendenti siano fondamentali per lo svolgimento delle

attività. Gestire un ambiente di lavoro caratterizzato da un clima di cordialità e cooperazione

riduce notevolmente la complessità di un’impresa, poiché i processi decisionali saranno più

snelli e rapidi, diminuendo la probabilità che molti progetti falliscano o ritardino a causa

dell’ostruzionismo di alcuni individui. Il clima aziendale è un tipico fattore trasversale

all’impresa, che non è possibile estrapolare e gestire in modo indipendente e lineare.

Lo stesso motivo porta ad escludere dal modello la tipologia di gestione che caratterizza

l’impresa. Si possono identificare due modelli di gestione, quello famigliare e quello

manageriale, ove in quest’ultimo i soci azionisti, proprietari dell’impresa, delegano al

management la gestione operativa dell’impresa. Il modello famigliare, per quanto snello e

largamente adottato in Italia, è tipicamente caratterizzato da inefficienze riguardanti la

suddivisione del potere e le competenze necessarie per la gestione dell’impresa. La teoria

potrebbe dunque affermare che questa tipologia di gestione introduce una complessità

superiore rispetto alla gestione manageriale, quest’ultima tuttavia, presenta alcuni

fondamentali problemi, primo tra tutti l’asimmetria informativa tra proprietà e management.

Se proprietà e management, invece, si concentrano nelle mani dello stesso gruppo famigliare,

si può supporre che esse abbiano gli stessi interessi. Ciò porta ad una maggior velocità di

decisione e flessibilità, caratteristiche fondamentali per una PMI, che comportano una

riduzione della complessità.

Le imprese analizzate possono costituire un esempio del motivo per cui non è possibile

inserire i suddetti fattori in un modello lineare. Entrambi i gruppi sono, infatti, caratterizzati

da una conduzione familiare sopravvissuta al cambio generazionale. Gli attuali amministratori

delegati, oltre a godere dell’ottima reputazione della famiglia fondatrice, hanno capacità di

leadership e competenze del business, riconosciute dai propri dipendenti.

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Queste caratteristiche aiutano a comprendere il successo che le imprese hanno nei relativi

business e se dovessero essere incluse nel modello, contribuirebbero a ridurre la Complessità

gestionale. Poiché non è possibile generalizzare affermando che ciò sia sempre attuabile in

caso di gestione famigliare è, tuttavia, opportuno estromette questi fattori dal modello.

Altro elemento di riflessione è che il modello al momento non prende in esame la

strutturazione di percorsi di evoluzione che possano indicare come, dato un certo

posizionamento assunto dall’impresa, questa possa migliorarsi e assestarsi sul posizionamento

suggerito dal modello, secondo linee di sviluppo, organizzative e tecnologiche ben definite. In

tal senso tale lavoro potrebbe rappresentare un utile punto di partenza per la definizione di una

Road Map strutturata che, in base alla tipologia di PMI e al posizionamento sulla matrice di

allineamento, definisca e tempifichi i passi per migliorarne il relativo Livello di governo delle

ICT. In questo modo l’impresa, una volta svolta l’analisi, potrebbe fruire di linee guida che le

permetterebbe di raggiungere l’allineamento con la Complessità gestionale, rispondendo in

modo completo alle esigenze emerse.

Infine per il consolidamento dell’applicabilità del modello, si ritiene interessante estendere

l’applicazione ad un numero più ampio di casi reali, in modo da poter consolidare e validare

le metriche e i parametri di valutazione anche in differenti settori.

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206

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