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Utopia21 – Novembre 2016 Fulvio Fagiani – L’educazione alla sostenibilità 1
ARTICOLO - NOVEMBRE 2016
L’EDUCAZIONE ALLA SOSTENIBILITA’
di Fulvio Fagiani
Per poter esercitare pienamente i diritti di cittadinanza gli
adolescenti di oggi dovranno avere gli strumenti conoscitivi per la
comprensione dei fenomeni naturali e sociali. Di qui la necessità di
una costante e sistematica elaborazione su obiettivi, metodi e
strumenti dell’educazione alla sostenibilità.
Riassunto – L’obiettivo della sostenibilità pone sfide difficili agli educatori. Si tratta
d’insegnare una scienza giovane ed in rapidissimo sviluppo, in cui s’intrecciano
competenze delle più disparate discipline, e che deve mantenere vivo il legame tra
conoscenza ed azione. Non può essere una semplice trasmissione di informazioni,
ma deve muoversi su piani che tengano conto di cosa significa apprendere e di quali
sono le determinanti, non solo cognitive, dell’agire. E’ principalmente un’opera di
costruzione di capacità che si deve avvalere di approcci metodologici e pedagogici
attivi, come comprovano alcune esperienze concrete.
Premessa – Le esperienze di educazione alla sostenibilità sono, anche in Italia, ormai molto
numerose, nate e sviluppate per lo più per iniziativa di singoli docenti appassionati e di
associazioni no-profit, prevalentemente del mondo ambientalista o del mondo cooperativo,
prive però di un coordinamento e di una comune base di riflessione teorica. Mancano luoghi
riconosciuti di rielaborazione e confronto, di consolidamento nelle prassi istituzionali e di
collegamento con le reti internazionali.
Secondo l’impostazione editoriale di Utopia21, il presente articolo propone una rassegna di
riflessioni tratte da documenti prodotti da Organizzazioni internazionali, tra cui UNESCO e
European Science Foundation, e da gruppi di ricercatori di Istituti universitari e di ricerca di
paesi europei ed extraeuropei, con l’obiettivo di rendere espliciti gli orientamenti di ricerca e
studio, per costituire una base di riflessione per gli operatori impegnati a vario titolo in questo
campo, fornendo spunti per la razionalizzazione e maggiore strutturazione dell’educazione
alla sostenibilità nella scuola italiana.
La domanda che pervade molti degli scritti presi in considerazione, e spesso ricorrente
anche nelle discussioni in materia, è se l’educazione alla sostenibilità sia compatibile con
l’organizzazione didattica della scuola attuale, dal momento che l’impostazione qui delineata
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è in evidente antitesi, sia per l’impostazione metodologica che per l’impronta fortemente
transdisciplinare.
Dalla lettura emergerà che non esiste ancora né un’architettura condivisa e completa
dell’educazione alla sostenibilità, né un corpo di acquisizioni teoriche sufficientemente
coprente, immediatamente traducibili in programmi didattici. Probabilmente a questi si
arriverà attraverso l’interazione tra esperienze concrete e loro rielaborazione scientifica, in
un processo aperto.
Lo sfondo – La necessità di approntare percorsi di educazione alla sostenibilità nasce dalla
crisi ambientale1, come si sta manifestando oggi nelle sue molteplici forme. Gli studenti che
frequentano oggi le scuole subiranno, ben più delle generazioni che li hanno preceduti, le
conseguenze dei cambiamenti climatici, della perdita di biodiversità, della scarsità di suoli
fertili, acqua dolce, materiali, dell’inquinamento. La loro vita adulta li metterà costantemente
a confronto con conflitti per le risorse critiche, probabili turbolenze sociali, ondate migratorie,
pressioni sulle strutture politiche e democratiche, causati dalla crisi ambientale.
E’ dunque loro diritto fondamentale disporre degli strumenti culturali adeguati per
comprendere, ora e nel futuro, i complessi intrecci causali di questi fenomeni e come si
potrebbero costruire soluzioni, anche parziali, nelle condizioni del mondo in cui vivono e
vivranno. L’educazione alla sostenibilità non è perciò una nuova disciplina che arricchisce il
curriculum scolastico, una tra le tante, ma il fondamento stesso della democrazia di domani.
“Knowledge democracy”2 è il termine che molti studiosi usano per designare la forma
incipiente della democrazia, in un mondo caratterizzato dalla “scientizzazione della politica
e politicizzazione della scienza”, un modello di democrazia partecipata dove la presa di
decisioni deve necessariamente fare ricorso alla conoscenza scientifica, non rinchiusa nel
parere indiscutibile degli esperti, ma sottoposta al vaglio competente di cittadini informati.
Il diritto a conoscere non è però sufficiente. In questi anni abbiamo dovuto constatare che
c’è un grande divario tra ciò che conosciamo e ciò che stiamo facendo3 ed il diritto si
configura dunque come diritto a conoscere per decidere perché si faccia e perché il
cambiamento sociale abbia davvero luogo. L’educazione s’impernierà sul nesso tra
conoscenza, apprendimento e cambiamento: per quali ragioni il cambiamento
comportamentale attraverso la conoscenza e l’apprendimento avviene o non avviene e
come può investire tutte le scale, individuale, sociale e globale.
Se al centro dell’attenzione si pone la relazione tra conoscenza ed azione, la ricerca e la
formazione devono guardare all’interfaccia tra scienza e politica e tra scienza e società4.
La cittadinanza si arricchisce così di nuove qualificazioni, attiva, ambientale, etica e globale,
nella prospettiva di una ventilata costituzionalizzazione del principio “un uomo, un voto,
un’impronta carbonica”2 che inscrive la responsabilità verso il pianeta nel repertorio dei diritti
e doveri fondamentali.
Questa è la ragione, che riprenderemo più avanti, per cui usiamo il termine di “educazione
alla sostenibilità”, intendendola nella sua accezione più ampia e comprendente la
sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Ha come oggetto di studio sistemi complessi, cioè sistemi che “comprendono un gran
numero di componenti interagenti (agenti, processi, ecc.), la cui attività aggregata è non
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lineare (non derivabile dalla somma delle attività delle componenti individuali) e che sono
caratterizzati da auto-organizzazione”5. La dinamica non lineare dei sistemi complessi è
studiata attraverso concetti come “punti critici”, irreversibilità, retroazione, multiscalarità, che
non fanno parte del patrimonio conoscitivo usuale, neanche nelle persone più colte.
E’ una grammatica che deve essere conosciuta, anche per comprendere che la conoscenza
dei sistemi complessi ha sempre ampi margini d’incertezza e d’imprevedibilità,
diversamente dal determinismo che si insegna prevalentemente nelle discipline scientifiche
dei curricula scolastici (la fisica, la chimica, la biologia) e che vediamo confermato nella vita
di ogni giorno dalla certezza che ci viene trasmessa dalla tecnologia.
Siamo dinnanzi ad una nuova scienza che usa gli strumenti concettuali della complessità
ed indaga sistemi di larga scala e su ampi svolgimenti temporali. Questa scienza si è
sviluppata negli ultimi decenni con straordinaria progressione e promette negli anni a venire
la produzione di nuove conoscenze.
L’educazione alla sostenibilità, di conseguenza, non può essere limitata alla sola età
giovanile, ma deve prolungarsi nel corso di tutta la vita secondo il principio dell’educazione
permanente, inventando modalità e strumenti per aggiornare anche la popolazione adulta.
Alcuni ipotizzano la formazione di “open knowledge systems”4 costituiti da “agenti, pratiche
ed istituzioni che organizzano la produzione, il trasferimento e l’uso della conoscenza” 4,
intensificando le relazioni tra la comunità scientifica e gli altri attori che diventeranno parte
attiva nella formulazione della stessa agenda della ricerca e nell’inquadramento dei
problemi, agendo in “knowledge arenas”, le agorà della “knowledge democracy”,
contribuendo alla co-produzione della conoscenza, così che si tenga conto delle molteplici
sfide sociali, economiche ed ambientali, in un processo continuo di apprendimento sociale.
La scena su cui oggi ci muoviamo è ”un singolo ecosistema planetario costituito da un vasto
insieme di sottosistemi socio-ecologici”6 in cui l’interdipendenza si mostra “orizzontalmente,
attraverso l’impatto di ogni area dell’attività umana – economica, sociale, ambientale – su
tutte le altre, ed anche verticalmente attraverso l’interazione tra i diversi livelli scalari, dal
locale al globale. L’interdipendenza è la funzione chiave del paradigma olistico emergente
delle dinamiche umane sulla Terra”6.
Si tratta di una “più forte fondazione comune delle discipline naturali, sociali ed umane e del
legame più forte tra la ricerca sul cambiamento ambientale globale e la politica e la società”7,
che ridefinisca “le questione del cambiamento ambientale globale fondamentalmente come
sfide sociali ed umane piuttosto che solo questioni ambientali”7.
Se l’impatto delle attività umane è ora dello stesso ordine di grandezza delle forze biofisiche,
ci troviamo in una “situazione del tutto nuova che pone fondamentalmente nuovi problemi,
comprese questioni di natura etica, culturale, religiosa e relativa ai diritti umani e che
richiede nuovi approcci e modi di pensare, capire ed agire”7, una vera e propria
“riconcettualizzazione della condizione umana nell’epoca dell’Antropocene”7.
Una riconcettualizzazione che mette in discussione credenze e comportamenti consolidati.
Sul piano etico, perché i nostri comportamenti ricadono attraverso la catena delle
interdipendenze su persone lontane nello spazio e nel tempo, “there, then and them”7
(laggiù, poi e loro), in particolare sulle generazioni future.
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Sul piano sociale, perché l’dea del benessere costruito attorno alla crescita costante dei
beni materiali non soddisfa i requisiti della sostenibilità ambientale, ma forse nemmeno quelli
della sostenibilità sociale.
Sul piano economico, perché la cittadinanza planetaria, il condividere insieme con gli altri
abitanti della Terra il destino del nostro unico pianeta, ci mette di fronte all’inaccettabilità
delle profonde diseguaglianze esistenti.
Sul piano culturale, perché il fondamento della nostra civilizzazione è il dominio assoluto
della tecnica sulla natura e la natura ci svela che non è infinitamente manipolabile.
La conoscenza e l’apprendimento – “I comportamenti individuali che possono essere
considerati isolatamente ragionevoli e inoffensivi, pongono rischi significativi quando gli
individui interagiscono e si amplifica l’azione collettiva. E’ essenziale una comprensione più
profonda dell’interazione tra conoscenza, apprendimento e cambiamento sociale”3.
E’ questo lo snodo chiave dell’educazione alla sostenibilità, la consapevolezza che nel
mondo globalizzato la somma di tanti comportamenti singolarmente innocenti diventa una
sostanziale alterazione degli equilibri del pianeta e che la semplice conoscenza di questo
nesso non è sufficiente ad indurre le correzioni a livello individuale e collettivo.
I legami tra apprendimento e comportamento e la relazione tra decisioni individuali e
processi di cambiamento collettivo sono il vero nodo problematico da sciogliere.
“L’apprendimento avviene in una varietà di modi e ambientazioni, formali ed informali, come
individui e come gruppi, consapevolmente ed inconsapevolmente…L’apprendimento
include anche l’attiva riflessione sulle esperienze per integrarle nel patrimonio di
conoscenze esistente”3.
Non è quindi una semplice trasmissione di dati dal trasmettitore al ricevitore, che viene
automaticamente incorporata dal secondo, ma una complessa interazione tra il contesto del
trasmettitore, le sue informazioni, la sua credibilità, i valori emotivi, ed il sistema
interpretativo del ricevitore, formato dalla conoscenza preesistente, i valori, le intenzionalità.
La traduzione di informazioni in conoscenza avviene perciò per un atto di selezione del
ricevitore, secondo criteri di accettazione che chiamano in causa non la sola “verità” del
messaggio ricevuto, ma la ragionevole concordanza o compatibilità con le credenze già
acquisite. “Senza stabilire un legame tra la conoscenza precedente e la percezione, è molto
improbabile che nuova conoscenza venga integrata utilmente nella cassetta degli attrezzi
cognitiva di una persona”3.
“L’apprendimento ha luogo su livelli differenti, non solo negli individui, ma anche nelle
organizzazioni, nelle comunità, nelle intere società”3. Quello stesso processo di integrazione
tra messaggio in entrata, selezione del ricevente ed incorporazione è attuato dal corpo
sociale nell’accettazione o rifiuto di nuove conoscenze e nella formazione-variazione della
conoscenza sociale, che a sua volta influenza la conoscenza individuale.
In questa complessa interazione intervengono non solo saperi formali, come la conoscenza
scientifica, ma anche saperi informali e di contesto.
La nuova conoscenza, se acquisita, non si trasforma però meccanicamente in nuovi
comportamenti, ma richiede la contemporanea attivazione di motivazioni ed
incoraggiamenti, di sorgente individuale, ma soprattutto sociale.
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In realtà “la conoscenza cognitiva gioca una parte minore nello spiegare il comportamento
umano, mentre sono in molti casi più rilevanti altri fattori come le abitudini, le norme sociali,
le attitudini, le condizioni infrastrutturali e di contesto in cui nasce la conoscenza”3.
A livello sociale i fattori che influenzano i comportamenti oltre alla conoscenza, sono “le
strutture del potere politico, le pressioni economiche e gli sviluppi tecnologici”3.
Perché vi sia cambiamento individuale e sociale è dunque necessario superare due barriere;
quella rappresentata dal filtro selettivo cognitivo, perché vi sia apprendimento, e quella degli
altri fattori perché l’apprendimento dia origine a cambiamenti nelle azioni.
Se l’educazione alla sostenibilità vuole tradursi in una “conoscenza trasformativa” deve
agire in profondità persuadendo il ricevitore, sia esso un singolo individuo o un gruppo
sociale, a mettere in discussione criticamente le sue convinzioni e motivazioni all’azione, le
assunzioni e le abitudini di pensiero.
Aiuta a comprendere meglio questo passaggio critico la schematizzazione dei livelli di
conoscenza e di apprendimento proposti da Stephen Sterling9:
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Il soggetto che apprende è chiamato ad “imparare ad imparare” o “imparare su come si
impara”, mettendosi nella condizione di “creare nuove possibilità” e “trasformare il modo di
pensare e di agire”9, con un riesame delle assunzioni e delle abitudini grazie ad una
particolare esperienza di apprendimento poggiata sullo spirito critico e sulla creatività, una
capacità che è spesso chiamata “riflessività” per mettere in luce come il soggetto debba
mettere in discussione quadri cognitivi dati per certi, agendo sui livelli più profondi della
conoscenza e dell’apprendimento.
Sterling riprende una classificazione di Bateson in tre ordini di apprendimento e
cambiamento9, in cui
Il cambiamento di primo ordine si riferisce a ‘fare lo stesso di più’, cioè “senza
esaminare e cambiare le assunzioni ed i valori che ispirano l’azione ed il pensiero”9;
Il cambiamento di secondo ordine si riferisce ad un “cambiamento significativo nel
pensiero o in ciò che si fa come risultato dell’esame delle assunzioni e dei valori, e
corrisponde alla comprensione del mondo profondo o soggettivo”9;
Il terzo livello, detto anche apprendimento epistemico, implica “uno spostamento
epistemologico o del modo operativo di conoscere e pensare”9 e “vedere la propria
visione del mondo piuttosto che vedere con la propria visione del mondo”9.
La crisi della sostenibilità suggerisce che per cambiare la visione del mondo è necessario il
livello di apprendimento più alto, che è il modo più difficile perché incontra la resistenza di
chi apprende, conscio dell’incoerenza della nuova conoscenza con le assunzioni.
Nella tabella seguente Sterling riassume i tre ordini del cambiamento/apprendimento:
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Citando un altro ricercatore, Sterling suggerisce che l’apprendimento ha numerose
dimensioni: cognitiva, affettiva, esistenziale – in cui “gli studenti si confrontano con la messa
in discussione dei valori e degli stili di vita e con la sfida di ricostruire il proprio senso del
sé”9 – una dimensione di responsabilizzazione.
La costruzione delle capacità – Il cambiamento globale ambientale è costituito oggi da
un’enorme estensione di temi, dai cambiamenti climatici alla perdita di biodiversità, dalla
crisi degli ecosistemi e dei servizi ecosistemici ai grandi cicli biogeochimici,
dall’inquinamento al sovrasfruttamento di suoli e fonti d’acqua dolce, dal consumo dei
materiali all’acidificazione degli oceani, solo per citarne alcuni. L’approfondimento di questi
temi richiede conoscenze di fisica, chimica, biologia, ecologia, scienza della complessità.
A loro volta questi fenomeni, anche considerati isolatamente, sono causati da specifiche
pressioni umane e producono effetti sulla vivibilità e la disponibilità di risorse essenziali alla
vita, che richiederebbero l’approfondimento con l’apporto di discipline umanistiche, come la
geografia, la sociologia, l’economia, la filosofia.
Non è immaginabile fornire a studenti del ciclo primario o secondario un quadro
sufficientemente esauriente di materie così vaste ed in cui la ricerca produce continuamente
nuove conoscenze che talvolta sono tanto innovative da rendere obsoleto l’apprendimento
passato.
Più che il dettaglio, destinato ad essere patrimonio degli specialismi, è essenziale maturare
la comprensione del sistema nel suo insieme, acquisendo la capacità di vedere la Terra
come un numero di sistemi interrelati, in cui atmosfera, idrosfera, biosfera e criosfera sono
connessi ed interagenti10 tra loro e con il sistema umano, analizzabili con il concorso di una
molteplicità di apporti disciplinari sia delle scienze fisiche e naturali che dalle scienze sociali
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e dalle discipline umanistiche, uscendo dal tradizionale modo di pensare a compartimenti
per avvicinarsi al pensiero sistemico.
La competenza centrale è l’imparare ad imparare, cioè l’insieme di capacità che permetterà
allo studente di muoversi dai campi già studiati a nuovi campi di studio e durante tutto l’arco
della propria vita, applicando ed aggiornando le capacità acquisite, integrando conoscenze,
la conoscenza e la pratica, ed imparare facendo.
Traiamo da due studi due elenchi di competenze/capacità, con evidenti sovrapposizioni.
Dal rapporto sul decennio della formazione, redatto da UNESCO per conto delle Nazioni
Unite, le competenze di sostenibilità11:
Competenza a pensare in modo proiettato al futuro, per trattare l’incertezza e con
predizioni, aspettative e piani per il futuro;
Competenza a lavorare in modo transdisciplinare;
Competenza a vedere interconnessioni, interdipendenze e relazioni;
Competenza a conseguire percezioni a mente aperta, comprensioni trans-culturali e
cooperazione;
Competenze partecipative;
Competenze di pianificazione e realizzazione;
Abilità a sentire empatia, simpatia e solidarietà;
Competenza a motivare se stessi e gli altri;
Competenza a riflettere in modo distaccato su concetti individuali e culturali.
Dal secondo testo4, scritto da un nutrito di ricercatori prevalentemente europei e orientato a
ricercatori, ricaviamo in aggiunta:
Capacità di negoziazione, facilitazione, gestione e comunicazione;
Umilità a riconoscere i limiti della propria conoscenza.
Approcci metodologici e pedagogici – Il modello per la formazione e la costruzione di
capacità dell’era industriale ne rifletteva le esigenze, fondandosi sulle conoscenze
disciplinari e sulla fiducia meccanicistica nella prevedibilità e nel determinismo12.
L‘educazione sui temi dell’ambiente e della sostenibilità ha avuto diversi approcci secondo
il testo di O’Brien ed altri12:
L’educazione ambientale, che ha largamente trascurato gli aspetti sociali, economici
e politici e considerato gli studenti recipienti passivi;
L’educazione ecologica, che include le scienze sociali ed umane, considera le
relazioni con i valori e le visioni del mondo, incoraggiando gli studenti a sviluppare la
propria comprensione e linea di ragionamento;
L’educazione allo sviluppo sostenibile in cui gli studenti sono impegnati in un
processo di apprendimento attivo ed aiutati a sviluppare l’abilità a valutare
criticamente alternative;
L’educazione per un futuro sostenibile impostata sull’apprendimento continuo e lungo
l’intera vita e con paradigmi educativi radicalmente trasformati.
Anche le forme dell’apprendimento sono state classificate dal report UNESCO11 in vari modi:
L’apprendimento attraverso la scoperta, in cui gli studenti sono sollecitati da elementi
misteriosi che devono esplorare;
L’apprendimento trasmissivo, da docente a discente;
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L’apprendimento su problemi, focalizzato sulla risoluzione di problemi reali o simulati;
L’apprendimento disciplinare, che parte da domande di natura disciplinare;
L’apprendimento interdisciplinare, in cui si esplorano problemi da differenti angoli
disciplinari;
L’apprendimento sociale multiattoriale, in cui il processo di apprendimento è svolto in
collaborazione con attori eterogenei;
L’apprendimento basato sul pensiero critico, che incoraggia la riflessione, la
discussione e la messa in discussione del pensiero;
L’apprendimento basato sul pensiero sistemico, dove si cercano le connessioni, le
relazioni e le interdipendenze.
Si è riconosciuto però che i diversi approcci hanno diverse aree di sovrapposizione e
ricadono in due principali strategie didattiche11:
Una centrata sul contenuto educativo, di natura tradizionalmente disciplinare,
concettualmente astratta e separata dal mondo reale, in via di trasformazione verso
l’interdisciplinarità;
Una centrata sui processi di apprendimento, che si muove verso l’apprendimento
partecipativo.
In generale si preferisce una pedagogia attiva, orientata a combinare conoscenza e azione,
all’esplorazione di valori e stili di vita, ad utilizzare le più diverse forme espressive e modalità
didattiche, a creare una comunità che apprende.
I modi di apprendimento possono essere:
laboratori su esperienze concrete,
teoria, letture, discussioni, dialogo ragionato,
danza, musica, creatività, gioco, e spettacoli,
riflessione, meditazione, rapporto con la natura,
incontri, simposi, seminari,
lavoro di gruppo interattivo, decisioni partecipate.
Conclusioni – Siamo partiti dall’argomentare che l’educazione alla sostenibilità debba
avere come suo obiettivo l’apprendimento di strumenti cognitivi e capacità, più che di
conoscenze in campi settoriali destinate a diventare obsolete in breve tempo, e come suo
oggetto lo studio delle relazioni tra i sistemi naturali ed i sistemi sociali, in una prospettiva di
conoscenza trasformativa ed orientata all’azione.
In situazioni di crisi dei paradigmi vigenti, la nuova conoscenza, si è visto, urta contro
barriere sia nella cognizione che nella trasformazione della conoscenza in azione.
Serve perciò una didattica capace di agire in profondità, per mettere in discussione
assunzioni profonde espresse dal sistema di pensiero che ha causato quella stessa crisi.
L’educazione alla sostenibilità deve essere finalizzata alla costruzione di capacità, operando
con metodi attivi e partecipati.
In conclusione desideriamo segnalare alcune esperienze reali che si muovono nella
direzione indicata.
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In primo luogo il progetto delle “Green school”, avviate da Agenda21Laghi ed in seguito fatte
proprie dalla Provincia di Varese, che s’ispira al principio dell’educare agendo sui
comportamenti, in cui è chiesto agli studenti di ridurre l’impronta carbonica della loro scuola.
Rimandiamo i dettagli al portale delle Green school
https://greenschoolsforum.wordpress.com, dove si possono leggere le linee guida del
progetto, i prodotti realizzati dalle scuole partecipanti ed i materiali didattici utilizzati.
Ci preme qui sottolineare quanto, sia nell’impostazione che nella pratica effettiva, il progetto
si appoggi all’interdisciplinarità e a prassi didattiche di laboratorio, con un coinvolgimento
attivo degli studenti.
L’interdisciplinarità integra molti insegnamenti, variabili a seconda del grado e
dell’orientamento della scuola, dalle materie scientifiche alle lingue, dalle discipline
umanistiche e letterarie a quelle artistiche.
Il progetto si apre alla comunità di appartenenza, sia coinvolgendo attori esperti, come
l’Amministrazione comunale, le società di servizi ambientali, singoli specialisti, che
comunicando esiti e conoscenze acquisite con modalità comunicative che mettono alla
prova gli studenti nell’interagire con soggetti esterni, come le famiglie, i concittadini, le
associazioni, gli esercizi commerciali, confrontandosi talvolta con le barriere di sensibilità ed
attenzione.
Questa esperienza è probabilmente ancora carente nel connettere fenomeni e
comportamenti individuali e di scala locale, come la gestione dei rifiuti o i consumi energetici,
alla scala globale dei problemi, come i cambiamenti climatici o il consumo dei materiali,
rimanendo limitata nell’analisi della dimensione sociale, per esempio le determinanti socio-
economiche causa della produzione dei rifiuti, e gli effetti globali, come il consumo
irreversibile di risorse non rinnovabili e gli impatti dello smaltimento finale.
Degno di attenzione è il sistema di certificazione delle “Green school”, che impone rigorosi
processi di misurazione dell’efficacia delle azioni intraprese e di autovalutazione della bontà
delle scelte operate.
Gli schemi di certificazione sono un modello operativo consigliato anche dalla
documentazione internazionale consultata11.
Altri modelli di esperienza meritevoli di menzione sono anche il “place based course
design”13 (la progettazione di corsi basati sul luogo) attuato in California all’Università di
Stanford ed il “Transdisciplinary case stusies”14 (studi di casi transdisciplinari) praticato
dall’Istituto federale di tecnologia di Zurigo.
Nel primo caso gli studenti sono invitati a comprendere il cambiamento globale attraverso
le lenti di un luogo specifico (la California), con metodi di apprendimento attivo e di inclusione
di attori non-scienziati nella ricerca, per ricostruire le dimensioni umane del cambiamento
globale.
Nel secondo caso si tratta di un approccio più strutturato, con una sua impostazione
ontologica, il fenomeno oggetto di studio, epistemologica, gli approcci cognitivi usati,
metodologica, i metodi di studio, ed una di project management.
Il rapporto della European Science Foundation7 segnala anche un altro modello di grande
interesse e di potenziale applicazione diffusa, il “backcasting”. Consiste nel definire lo
scenario di un futuro desiderabile a lungo termine, per esempio un mondo sostenibile, e
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procedere a ritroso per identificare politiche, programmi che lo potrebbero realizzare ed
eventuali barriere ed ostacoli, al fine di esplorarne la fattibilità e le implicazioni.
Altri11 fanno notare che la maggior parte dei progetti di educazione alla sostenibilità, anche
a livello internazionale, sono intrapresi al di fuori del quadro dei curricula formali,
sottintendendo l’estraneità di contenuti e metodi alle forme tradizionali dell’educazione e la
provenienza delle buone pratiche ispirate soprattutto da soggetti esterni al mondo
scolastico.
Alla luce delle riflessioni e delle esperienze qui descritte, solo una intensa e strutturata
interazione tra esperienze locali e luoghi di elaborazione potrà far avanzare l’educazione
alla sostenibilità, favorendone l’istituzionalizzazione all’interno dei percorsi curricolari come
pratica educativa irrinunciabile nel nostro secolo.
Fulvio Fagiani
Fonti:
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www.universauser.it/images/Ottobre_2016._Editoriale.pdf
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2011 - www.naturwissenschaften.ch/uuid/63eaf5d8-5ccc-5871-a5cc-c216277cce10
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www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1462901112002110
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9. Stephen Sterling – Transformative learning and sustainability: sketching the
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www2.glos.ac.uk/offload/tli/lets/lathe/issue5/Lathe_5_S%20Sterling.pdf
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www.universauser.it/utopia21
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http://unesdoc.unesco.org/images/0021/002166/216606e.pdf
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www.researchgate.net/publication/257588119_You_say_you_want_a_revolution_Tr
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13. Mychajiw e altri – Using the Anthropocene as a teaching, communication and
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14. Sholz e altri – Transdisciplinary case studies as a means of sustainability learning –
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