L’autunno Tanta melina niente progetto I · feriore a quella nazionale, come la capacità di...

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a politica in Umbria rotola senza em- piti verso le elezioni regionali. Siamo ai preliminari. I partiti sono chiusi in se stessi a discutere di allenze e schieramenti. La legge elettorale è ancora di là da venire, se ne parla in commissione regionale. L’unico che è all’attaco è Claudio Ricci, l’outsider civico, ma di destra, che vuol rivoluzionare la politica umbra. Nel Pd pare ci si orienti verso la ricon- ferma di Catiuscia Marini, dichiaratasi dispo- nibile. E’ la scelta meno pericolosa. Se la Marini vince vincono tutti, se per avventura dovesse perdere, come nel caso di Boccali, perde solo lei e i “rinnovatori” potranno rotta- marla senza colpo ferire. La destra pensa come ripetere il miracolo Romizi, senza soverchie il- lusioni, ma – si sa – la speranza è sempre l’ul- tima a morire. Insomma si discute sul nulla, ed è emblematico a tale proposito il dibattito nella sinistra-sini- stra. Invece ci sarebbe molto di cui discutere, anzi lo imporrebbero i mutamenti intervenuti nella società umbra negli ultimi decenni. Se gli indicatori economici italiani sono disastrosi, quelli umbri sono tragici. La produttività del sistema regionale è da quasi un trentennio in- feriore a quella nazionale, come la capacità di attrarre investimenti e di penetrare nei mercati esteri. Né c’è da confidare circa le capacità delle multinazionali di svolgere un ruolo trainante. Le vicende della Thyssenkrupp sono da questo punto di vista emblematiche. Ma più in gene- rale quella che chiamiamo crisi sembra essersi trasformata in uno stato permanente che può avere un trend destinato a durare se non un se- colo – come sostiene il Fmi – almeno qualche decennio. Come ciò è destinato a ripercuotersi in un contesto locale dove aumentano disoc- cupazione, cassa integrazione e decadenza cul- turale, con la difficoltà ormai endemica di tutte le agenzie formative, università in primo luogo? Occorrerebbe un progetto, lo ha detto alla festa dell’Unità di Umbertide anche la governatrice, ma non se individuano le coordinate né pen- siamo si riuscirà a dire molto di più di quello che oggi sentiamo. O si comincia a ragionare contro tendenza, evitando di ripetere le ricette del liberismo temperato o del keynesismo edul- corato, e si prende atto che siamo entrati in un fase in cui il processo di accumulazione appare bloccato e che la stagnazione è destinata – al- meno in occidente – a durare , oppure non esi- ste soluzione. Ciò pone alcune questioni che meritano qualche approfondimento. In una re- gione dove le multinazionali posseggono tutte le imprese maggiori e tendono a ridurle a sta- bilimenti di produzione senza nessuna volontà di indurre innovazione e ricerca, quali percorsi è possibile battere per indurre processi di con- trollo, di ricerca e di regolamentazione? E’ la questione di come il settore pubblico possa de- terminare politiche industriali e segnatamente di come le strutture decentrate dello Stato pos- sano pesare nelle scelte. La seconda questione da considerare è come intervenire a favore della piccola e piccolissima impresa, quali siano i set- tori da incentivare, con quali politiche e con quali strumenti di supporto. Accanto a ciò si pone il tema dei servizi a rete e delle strutture di welfare e di servizio, del loro costo, delle forme organizzative, della possibilità di pro- durre energia pulita che assuma un ruolo inte- grativo a quella distribuita attraverso la rete, del riciclo dei rifiuti, ecc. Infine la questione del- l’innovazione nelle sue molteplici sfaccettature (creazione di reti di commercializzaione, nuovi percorsi tecnologici, nuovi cicli e prodotti e via di seguito) utilizzando le agenzie di ricerca, in- centivando start up, garantendo la diffusione e lo sfruttamento dei brevetti. In sintesi si tratta di dare una nuova dinamicità alla rete degli enti locali ed in primo luogo alla regione, ri- collocandola al centro della vita dei territori e restituendole un ruolo politico e di indirizzo e non solo amministrativo di regolazione del flusso della spesa. Va da sé che questo implica una dialettica con i poteri centrali in cui coesi- stano sinergie e conflitti, itinerari da cui non vengano esclusi momenti di vertenzialità. Si tratta in altri termini di ridefinire i tratti del re- gionalismo, di ricostruire quel nesso tra istitu- zione e programmazione che all’origine ne costituì l’elemento distintivo, ma soprattutto rompere con i tabù del ventennio trascorso il cui tratto culturale è stato la negazione di ogni forma di intervento pubblico nella società e nell’economia. Tutto ciò implica una domanda non banale. Un’ipotesi di questo tipo, ma più in generale il futuro delle comunità locali, può transitare attraverso l’attuale rete istituzionale? Non è solo la questione degli enti di area vasta o del- l’accorpamento in qualche forma delle unità amministrative minori. Il problema è molto più radicale e riguarda l’adeguatezza delle at- tuali regioni italiane a rispondere a compiti di progettazione politica. Più semplicemente si tratta di stabilire se occorra ridurre e come le attuali regioni italiane, costituendo unità più grandi che permettano di resistere ai rigurgiti centralistici che, dopo l’orgia federalista dell’ul- timo ventennio, permeano la politica italiana. Comprendiamo che porre con chiarezza questo tema, evitando le fumosità delle politiche in- terregionali, sempre predicate e mai fatte, sia spinoso. Chi dovrebbe decidere sono i consigli regionali e parlare in queste sedi di accorpa- menti è come festeggiare il Natale a casa dei tacchini. Eppure è più urgente di quanto ap- paia: il discredito che oggi circonda le regioni è, a torto o a ragione, sempre più diffuso ed il rischio è che, alla fine, le decisioni vengano prese sulla testa delle comunità locali, senza che nessuno si levi a difendere l’istituto regionale. Quanto è avvenuto per le province è, da questo punto di vista, significativo. mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” commenti Bersagliere bis Derive estremiste Gli occhiali del conte Il sopracciglio della Severini Il mercato politico come professione La biblioteca di Capitini Assisi underground 2 politica La solitudine degli operai di Renato Covino Pessima la prima 3 di Miss Jane Marple C’è la crisi? Parliamo d’altro 4 di Franco Calistri Vuoti a perdere 5 di Re.Co. Il tempo della vendetta (e delle tasse) 6 di Jacopo Giovagnoni Quanto vale il Bes di Anna Rita Guarducci I dolori del giovane Sergio 7 di Paolo Lupattelli Renzi in cattedra 8 di Stefano De Cenzo, Roberto Monicchia Tutto è cambiato eppure è uguale 9 di Aurora Caporali Noi lo paghiamo, per noi deve lavorare! 10 di Carlo Romagnoli società Il business dell’emergenza 11 di Alessandra Caraffa Apoteosi di un Don 12 di Salvatore Lo Leggio cultura Regimi familiari di Roberto Monicchia 13 La primavera di Valter Corelli di E.Q. La Perugia di Anna Maria Farabbi 14 di Lanfranco Binni Avanguardie post di Rosario Russo Grazie Primetto! 15 di P.L. Libri e idee 16 settembre 2014 - Anno XIX - numero 9 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio L’autunno del premier l giovane statista fiorentino ha passato un’estate tempestosa. I dati economici in- dicano stagnazione e le politiche dell’Ue insistono sul rigore. Quindi i soldi per “riforme” e politiche di bilancio verranno dagli italiani. Contemporaneamente Renzi deve mantenere il patto del Nazareno con Berlusconi, affrontando temi delicati come la giustizia. Così, messe in stand by le riforme costituzionali, il premier si proietta su tre temi assai controversi: giustizia, pubblica amministrazione e lavoro. Per ora ci si limiterà alla giustizia civile e all’attacco alla ma- gistratura: sul penale infatti le destre si sono messe di traverso su prescrizione e falso in bi- lancio. Si riapre lo scontro con i giudici, consi- derati un ostacolo all’azione politica, e Renzi rispolvera il ritornello berlusconiano dell’inno- cenza fino al terzo grado di giudizio, specie se l’imputato è un politico o un suo parente. Nella pubblica amministrazione si bloccano i con- tratti, riservando gli aumenti alla magnanimità del premier (vedi gli 80 euro). Solo davanti al paventato sciopero delle forze di polizia si tro- vano un po’ di soldi. Quanto al lavoro la ripresa economica viene legata ai diritti: il lavoro non manca perché l’economia è in crisi, ma perché ci sono tutele eccessive. La questione dell’art. 18 non è solo simbolica: si usa la crisi per diminuire le garanzie, schierandosi esplicitamente dalla parte degli imprenditori. Così quando arriverà la ripresa, tutti i lavoratori avranno meno tutele. Intanto si fa polvere, additando sindacati e sini- stra Pd al pubblico ludibrio, come conservatori e responsabili della crisi. L’evidente continuità con Berlusconi, Monti, Letta è in parte legata ai vincoli europei. Cambia però la qualità della democrazia, con spinte au- toritarie che penalizzano la partecipazione. Da almeno trenta anni le classi dirigenti italiane portano avanti questo disegno, ma Renzi ha la protervia necessaria per realizzarlo. Per il resto deve scegliere se essere un fedele esecutore o un interprete della politiche europee. Può spandere fumo quanto vuole, ma questa è la sostanza. Per ora non ha veri oppositori: chi obietta prima protesta, poi cerca la mediazione al ribasso. L’unico nemico di Renzi è Renzi stesso, la sua supponenza, impreparazione e arroganza, i tanti annunci mai rispettati, il suo cerchio magico. Vedremo se ad autunno si esaurirà la luna di miele. Le regionali saranno un primo test signi- ficativo. Ma se non emerge una protesta di massa e un’opposizione che non si limiti a resi- stere, il nostro resterà in sella, forse con meno ambizioni, ma con identiche sicumera e capacità di contar balle. I Tanta melina niente progetto L

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a politica in Umbria rotola senza em-piti verso le elezioni regionali. Siamoai preliminari. I partiti sono chiusi in

se stessi a discutere di allenze e schieramenti.La legge elettorale è ancora di là da venire, sene parla in commissione regionale. L’unico cheè all’attaco è Claudio Ricci, l’outsider civico,ma di destra, che vuol rivoluzionare la politicaumbra. Nel Pd pare ci si orienti verso la ricon-ferma di Catiuscia Marini, dichiaratasi dispo-nibile. E’ la scelta meno pericolosa. Se laMarini vince vincono tutti, se per avventuradovesse perdere, come nel caso di Boccali,perde solo lei e i “rinnovatori” potranno rotta-marla senza colpo ferire. La destra pensa comeripetere il miracolo Romizi, senza soverchie il-lusioni, ma – si sa – la speranza è sempre l’ul-tima a morire.Insomma si discute sul nulla, ed è emblematicoa tale proposito il dibattito nella sinistra-sini-stra. Invece ci sarebbe molto di cui discutere,anzi lo imporrebbero i mutamenti intervenutinella società umbra negli ultimi decenni. Se gliindicatori economici italiani sono disastrosi,quelli umbri sono tragici. La produttività delsistema regionale è da quasi un trentennio in-feriore a quella nazionale, come la capacità diattrarre investimenti e di penetrare nei mercatiesteri. Né c’è da confidare circa le capacità dellemultinazionali di svolgere un ruolo trainante.Le vicende della Thyssenkrupp sono da questopunto di vista emblematiche. Ma più in gene-rale quella che chiamiamo crisi sembra essersitrasformata in uno stato permanente che puòavere un trend destinato a durare se non un se-colo – come sostiene il Fmi – almeno qualchedecennio. Come ciò è destinato a ripercuotersiin un contesto locale dove aumentano disoc-cupazione, cassa integrazione e decadenza cul-turale, con la difficoltà ormai endemica di tuttele agenzie formative, università in primo luogo?Occorrerebbe un progetto, lo ha detto alla festa

dell’Unità di Umbertide anche la governatrice,ma non se individuano le coordinate né pen-siamo si riuscirà a dire molto di più di quelloche oggi sentiamo. O si comincia a ragionarecontro tendenza, evitando di ripetere le ricettedel liberismo temperato o del keynesismo edul-corato, e si prende atto che siamo entrati in unfase in cui il processo di accumulazione apparebloccato e che la stagnazione è destinata – al-meno in occidente – a durare , oppure non esi-ste soluzione. Ciò pone alcune questioni chemeritano qualche approfondimento. In una re-gione dove le multinazionali posseggono tuttele imprese maggiori e tendono a ridurle a sta-bilimenti di produzione senza nessuna volontàdi indurre innovazione e ricerca, quali percorsiè possibile battere per indurre processi di con-trollo, di ricerca e di regolamentazione? E’ laquestione di come il settore pubblico possa de-terminare politiche industriali e segnatamentedi come le strutture decentrate dello Stato pos-sano pesare nelle scelte. La seconda questioneda considerare è come intervenire a favore dellapiccola e piccolissima impresa, quali siano i set-tori da incentivare, con quali politiche e conquali strumenti di supporto. Accanto a ciò sipone il tema dei servizi a rete e delle strutturedi welfare e di servizio, del loro costo, delleforme organizzative, della possibilità di pro-durre energia pulita che assuma un ruolo inte-grativo a quella distribuita attraverso la rete, delriciclo dei rifiuti, ecc. Infine la questione del-l’innovazione nelle sue molteplici sfaccettature(creazione di reti di commercializzaione, nuovipercorsi tecnologici, nuovi cicli e prodotti e viadi seguito) utilizzando le agenzie di ricerca, in-centivando start up, garantendo la diffusione elo sfruttamento dei brevetti. In sintesi si trattadi dare una nuova dinamicità alla rete deglienti locali ed in primo luogo alla regione, ri-collocandola al centro della vita dei territori erestituendole un ruolo politico e di indirizzo e

non solo amministrativo di regolazione delflusso della spesa. Va da sé che questo implicauna dialettica con i poteri centrali in cui coesi-stano sinergie e conflitti, itinerari da cui nonvengano esclusi momenti di vertenzialità. Sitratta in altri termini di ridefinire i tratti del re-gionalismo, di ricostruire quel nesso tra istitu-zione e programmazione che all’origine necostituì l’elemento distintivo, ma soprattuttorompere con i tabù del ventennio trascorso ilcui tratto culturale è stato la negazione di ogniforma di intervento pubblico nella società enell’economia.Tutto ciò implica una domanda non banale.Un’ipotesi di questo tipo, ma più in generaleil futuro delle comunità locali, può transitareattraverso l’attuale rete istituzionale? Non èsolo la questione degli enti di area vasta o del-l’accorpamento in qualche forma delle unitàamministrative minori. Il problema è moltopiù radicale e riguarda l’adeguatezza delle at-tuali regioni italiane a rispondere a compiti diprogettazione politica. Più semplicemente sitratta di stabilire se occorra ridurre e come leattuali regioni italiane, costituendo unità piùgrandi che permettano di resistere ai rigurgiticentralistici che, dopo l’orgia federalista dell’ul-timo ventennio, permeano la politica italiana.Comprendiamo che porre con chiarezza questotema, evitando le fumosità delle politiche in-terregionali, sempre predicate e mai fatte, siaspinoso. Chi dovrebbe decidere sono i consigliregionali e parlare in queste sedi di accorpa-menti è come festeggiare il Natale a casa deitacchini. Eppure è più urgente di quanto ap-paia: il discredito che oggi circonda le regioniè, a torto o a ragione, sempre più diffuso ed ilrischio è che, alla fine, le decisioni venganoprese sulla testa delle comunità locali, senza chenessuno si levi a difendere l’istituto regionale.Quanto è avvenuto per le province è, da questopunto di vista, significativo.

mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto”

commentiBersagliere bis

Derive estremiste

Gli occhiali del conte

Il sopracciglio della Severini

Il mercato politicocome professione

La biblioteca di Capitini

Assisi underground 2

politicaLa solitudine degli operai di Renato Covino

Pessima la prima 3di Miss Jane Marple

C’è la crisi? Parliamo d’altro4di Franco Calistri

Vuoti a perdere 5di Re.Co.

Il tempo della vendetta(e delle tasse) 6di Jacopo Giovagnoni

Quanto vale il Besdi Anna Rita Guarducci

I dolori del giovane Sergio 7di Paolo Lupattelli

Renzi in cattedra 8di Stefano De Cenzo, Roberto Monicchia

Tutto è cambiatoeppure è uguale 9di Aurora Caporali

Noi lo paghiamo,per noi deve lavorare! 10di Carlo Romagnoli

societàIl businessdell’emergenza 11di Alessandra Caraffa

Apoteosi di un Don 12di Salvatore Lo Leggio

culturaRegimi familiari di Roberto Monicchia 13

La primaveradi Valter Corellidi E.Q.

La Perugiadi Anna Maria Farabbi 14di Lanfranco Binni

Avanguardie postdi Rosario Russo

Grazie Primetto! 15di P.L.

Libri e idee 16

settembre 2014 - Anno XIX - numero 9 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

L’autunnodel premier

l giovane statista fiorentino ha passatoun’estate tempestosa. I dati economici in-dicano stagnazione e le politiche dell’Ue

insistono sul rigore. Quindi i soldi per “riforme”e politiche di bilancio verranno dagli italiani.Contemporaneamente Renzi deve mantenere ilpatto del Nazareno con Berlusconi, affrontandotemi delicati come la giustizia. Così, messe instand by le riforme costituzionali, il premier siproietta su tre temi assai controversi: giustizia,pubblica amministrazione e lavoro. Per ora ci silimiterà alla giustizia civile e all’attacco alla ma-gistratura: sul penale infatti le destre si sonomesse di traverso su prescrizione e falso in bi-lancio. Si riapre lo scontro con i giudici, consi-derati un ostacolo all’azione politica, e Renzirispolvera il ritornello berlusconiano dell’inno-cenza fino al terzo grado di giudizio, specie sel’imputato è un politico o un suo parente. Nellapubblica amministrazione si bloccano i con-tratti, riservando gli aumenti alla magnanimitàdel premier (vedi gli 80 euro). Solo davanti alpaventato sciopero delle forze di polizia si tro-vano un po’ di soldi. Quanto al lavoro la ripresaeconomica viene legata ai diritti: il lavoro nonmanca perché l’economia è in crisi, ma perchéci sono tutele eccessive. La questione dell’art. 18non è solo simbolica: si usa la crisi per diminuirele garanzie, schierandosi esplicitamente dallaparte degli imprenditori. Così quando arriveràla ripresa, tutti i lavoratori avranno meno tutele.Intanto si fa polvere, additando sindacati e sini-stra Pd al pubblico ludibrio, come conservatorie responsabili della crisi.L’evidente continuità con Berlusconi, Monti,Letta è in parte legata ai vincoli europei. Cambiaperò la qualità della democrazia, con spinte au-toritarie che penalizzano la partecipazione. Daalmeno trenta anni le classi dirigenti italianeportano avanti questo disegno, ma Renzi ha laprotervia necessaria per realizzarlo. Per il restodeve scegliere se essere un fedele esecutore o uninterprete della politiche europee. Può spanderefumo quanto vuole, ma questa è la sostanza. Perora non ha veri oppositori: chi obietta primaprotesta, poi cerca la mediazione al ribasso.L’unico nemico di Renzi è Renzi stesso, la suasupponenza, impreparazione e arroganza, i tantiannunci mai rispettati, il suo cerchio magico.Vedremo se ad autunno si esaurirà la luna dimiele. Le regionali saranno un primo test signi-ficativo. Ma se non emerge una protesta dimassa e un’opposizione che non si limiti a resi-stere, il nostro resterà in sella, forse con menoambizioni, ma con identiche sicumera e capacitàdi contar balle.

ITanta melina niente progetto

L

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Il mercatopolitico comeprofessione

elle società complesse spesso si accende la di-scussione sul rapporto tra scelte politiche eloro realizzazione, sul ruolo che da assegnare

agli esperti nei processi decisionali. Nella decadenzadelle organizzazioni politiche basate sull’appartenenza,il ruolo delle tecniche di gestione è cresciuto di paripasso con la complessità delle procedure amministra-tive. Fioriscono le scuole di amministrazione e ge-stione.Qui da noi, con apposita legge regionale nel 2008 ènata la Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica,gestita da un consorzio di enti pubblici, con sede aVilla Umbra di Pila. Come riporta il suo sito web, lascuola è riservata in particolare a “dipendenti pubblicidi ogni livello” e si propone “una risposta formativa mi-rata e un giusto equilibrio tra rigore scientifico, forma-zione professionalizzante e supporto all’innovazione deiprocessi”. Ma cosa c’entra con questi fini il seminarioche la scuola ha organizzato per il 27 settembre sultema “Costruire e gestire il consenso politico”, riservatoa sindaci e amministratori locali, che a rigore nonsono dipendenti pubblici? Si possono fare due ipotesi:o la conquista dei voti e l’appoggio dell’opinione pub-blica sono uno strumento amministrativo come lacompilazione di un bilancio o di un regolamento, op-pure le capacità amministrative contano molto menodi quelle propagandistiche.In entrambi i casi si dimostra la vacuità dei proclamidella politica moderna, che si vuole anti ideologica mavincolata ai valori, estranea al professionismo maaperta alle competenze. In una conferenza del 1919,La politica come professione, Max Weber, giocandosulle sfumature del termine tedesco Beruf (che signi-fica professione ma anche vocazione), descrive il pre-cario equilibrio tra vivere per la politica e vivere dipolitica.Oggi è chiaro rimane in piedi solo il secondo termine.Non sappiamo cosa avrebbe pensato Weber di un se-minario proposto gratuitamente da un ente pubblicoper insegnare agli amministratori come convincere gli

elettori, nonché finanziatori del seminario stesso, adare loro il consenso. Per quanto ci riguarda la cosa ciha fatto proprio incazzare.

La bibliotecadi Capitini

iù d’uno ha parlato di un infelice debutto delcentrodestra perugino. La Commissione inca-ricata dei tagli di spesa, infatti, ha individuato

tra i primi bersagli la struttura nata nella restaurataChiesa templare di S.Matteo degli Armeni, ove è stataallocata la Biblioteca di Aldo Capitini (circa settemilavolumi) e dove è ospitata la Fondazione intitolata alpensatore e uomo politico perugino. Per la bibliotecasi spenderebbe troppo (circa 100 mila euro l’anno, dicui 80 mila per il personale) con meno di dieci pre-senze al giorno. Ha avuto buon gioco il presidentedella Fondazione, Claudio Francescaglia, nel replicareche – usando come criterio la media dei frequentatoriin rapporto alla dotazione libraria e ai costi di gestione- prima andrebbe chiusa la Biblioteca Augusta. Ha ag-giunto che il risparmio sarebbe risibile, essendo il per-sonale costituito esclusivamente da bibliotecari inseritinei ruoli organici ed essendo il funzionamento dellaFondazione assicurato su basi volontarie. In verità,con Perugia ancora in corsa come Capitale Europeadella Cultura la chiusura di una struttura realizzatacon fondi europei e dedicata alla cultura, mostra unnon so che di paradossale e di ridicolo, tanto più che– aperta da poco tempo – non si può dire che abbiaconcluso la fase di lancio e di rodaggio. Sembra chesull’ipotesi di chiusura, sia in atto un auspicabile ri-pensamento. Noi, tuttavia, pensiamo che anche laFondazione intitolata al filosofo della non violenza,ideatore della Marcia della Pace antimperialista Peru-gia-Assisi, debba avere un ruolo importante per riem-pire di contenuti uno spazio in realtà molto bello.Anche in collaborazione con altri (e noi, nel nostropiccolo, siamo disponibili), non dovrebbe mancare inun momento in cui si parla di una terza guerra mon-diale già in atto, seppure a pezzi, una incisiva iniziativadi informazione contro le politiche belliciste e per ildisarmo, specie in un paese in cui si taglia tutto,tranne le spese per armamenti.

’avvenimento è noto,anche perché la stampanon ha mancato di sguaz-

zarci in lungo e in largo per varigiorni. Sabato 30 agosto un gruppodi ragazzi ottiene dal comune di As-sisi il permesso per tenere alla Roccauno spettacolo musicale con dj, lucie proiezioni, che inizierà a sera perterminare all’alba. Durante la serata arriva la polizia,trova alcuni spettatori intenti a farsile canne (più qualcuno in possessodi polvere) e li mette in stato difermo per poi rilasciarli, non es-sendo stata superata la modicaquantità. Apriti cielo! I quotidianilocali annunciano al popolo tuttoche ad Assisi è stato organizzatonientemeno che un Rave-party e ibravi cittadini scoprono che nel loroangoletto incontaminato si smer-ciano sostanze psicotrope: fra i con-sumatori delle quali ci sono pure“ragazzi di buona famiglia”, rivela-zione traumatica per quanti fino aquel giorno avevano creduto che adassumere certa brutta robaccia fos-

sero solo teppisti tatuati colle venesporgenti e la giacca di cuoio. I gio-vani assisani organizzatori della se-rata hanno respinto le accuse almittente: un rave, notano giusta-mente, è una attività illegale mentreloro per mettere in piedi l’eventohanno affrontato una interminabiletrafila burocratica; se salta fuori chequalche spettatore fuma o sniffa nonsi può per questo trattare l’interamassa dei presenti come un’accolitadi tossici. E loro, ribadiscono, le re-gole e i patti li hanno scrupolosa-mente rispettati, compreso quello diprovvedere alla pulizia del luogo(che infatti è stato perfettamenteriordinato già poche ore dopo la finedella festa). A questo punto nonresta che chiederci: a cosa è servitotutto questo baccano? A far scoprireche ai concerti notturni girano so-stanze illegali? Sarebbe come se lapolizia stradale sottoponesse all’al-coltest tutti coloro che escono dallaSagra della Porchetta di Costano perverificare se in questi raduni si bevapiù del lecito (e se la stampa locale,

visti i risultati, proclamasse che ilpubblico delle sagre è composto daubriaconi). Forse faremo meglio achiederci a chi è servito, ma qui sientra in un vero enigma comprensi-bile solo a chi conosca le cabale dellapolitica assisana: il sindaco Riccil’anno prossimo corre da presidentedella Regione e in queste situazionic’è sempre chi vuol essere più reali-sta del re e fare il duro a spese deglialtri. Già, perché se qualcuno inquesta assurda storia ci ha davverorimesso sono i ragazzi e le ragazze diAssisi, stufi di vedere la città ani-marsi solo col Calendimaggio perpoi ripiombare tutto il resto del-l’anno nel consueto ottuso letargo.La loro festa è diventata la pietradello scandalo: eppure quando l’-hanno organizzata volevano sempli-cemente divertirsi in modo diverso,nel rispetto delle regole ma facendoda soli, senza passare per nessuno deisoliti canali che monopolizzano lepubbliche attività assisane. Chissà:forse proprio questo è stato il loroerrore…

Bersagliere bisDa qualche anno nel perugino Borgo Sant’Antonio un’associazione divolontari organizza iniziative interessanti per rianimare uno dei tantiquartieri in crisi di identità. Tra le celebrazioni non manca mai quelladel 14 settembre, anniversario della liberazione di Perugia dal giogopontificio grazie ai bersaglieri (cui è dedicato il corso che attraversa ilquartiere). Quest’anno alla fanfara dell’arma e alla messa per i cadutisi è aggiunta l’inaugurazione di un minuscolo monumento rappresen-tante un bersagliere tedoforo (probabilmente raffigurarlo col fucile inmano avrebbe potuto ricordare alle autorità ecclesiastiche che i soldatiin quel caso spararono contro le milizie di Pio IX!). Veramente in via XXSettembre (altra data cara ai caschi piumati), c’è già un monumento albersagliere. Forse il nuovo monumento compenserà la sconfortantebruttezza del collega più anziano. Ad ogni modo si rischia l’inflazione.

Derive estremisteCon una lettera aperta in cui elenca le proprie radici di “cristiano, so-cialcomunista, un po’ anarchico, un po’ capitiniano”, Giuseppe Torcoliniannuncia le proprie dimissioni dal Pd, l’ultimo approdo di una lunghis-sima militanza (Psiup, Pci, Pds, Ds). L’addio è motivato da una “ge-stione del partito lontana mille miglia dalla mia visione politica”, mentrela nuova frontiera dell’impegno di Torcolini sarà la Caritas. Non discu-tiamo scelte personali certamente meditate, ma non sarà una troppobrusca svolta a sinistra?

A Cannara il Pd è equidistantePer fortuna che a contrastare l’estremismo c’è il Pd di Cannara, cheboccia perché “non equidistante” la mozione sulla situazione di Gazaproposta dal “Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e idiritti umani” (tra i promotori della Perugia-Assisi) e presentata in con-siglio comunale dalla Lista “Valore Comune”. Nella mozione si affer-mano la parità di diritti tra israeliani e palestinesi e il principio di “duepopoli due stati” come soluzione del conflitto: concetti evidentementesquilibrati, a fronte di un’occupazione quasi cinquantennale di Cisgior-dania e Gaza e del conto delle vittime dei recenti scontri (duemila pa-lestinesi quasi tutti civili, cento israeliani, quasi tutti militari). Per essereequidistante fino in fondo, suggeriamo al Pd di Cannara di candidareNetanyahu al Nobel della Pace.

La casa di appuntamenti di RicciAlle critiche all’incredibile mozione pro famiglia “naturale” approvatadal comune di Assisi, il sindaco ha mostrato un certo stupore, ma hasubito ribadito che è pronto al dibattito con tutti, precisando che lui ri-ceve “anche senza appuntamento”.

E quella del centrodestraCorriere dell’Umbria 19.09.2014. “Provinciali. Centrodestra cercadonne”. Il lupo perde il pelo...

Gli occhiali del conte“Una concezione dell’impresa che lo pone all’avanguardia nella ricercadei fini che vadano oltre al puro profitto”. La Fondazione Cavour ha at-tribuito con questa motivazione il premio Cavour 2014 a Brunello Cuci-nelli; il premio consiste, in una riproduzione in oro degli occhialidell’illustre guida del risorgimento nazionale. Un premio appropriato perepoca e funzione: forse con quelle lenti qualcuno capirà come dietro atanta “imprenditoria moderna” si nasconde nient’altro che l’aggiorna-mento del paternalismo industriale ottocentesco.

Il sopracciglio della SeveriniA quanto si legge su Umbria 24 l’assessore comunale di Perugia, Te-resa Severini, a Palazzo Penna per visitare in anteprima la mostra R-Esistenze che dedica una sezione al suo defunto padre, esponente delPartito d’Azione, avrebbe espresso le sue perplessità alzando il soprac-ciglio, nell‘ascoltare le note e le parole del canto partigiano Bella ciao,che con altri pezzi musicali correda l’esposizione. Da parte sua, il pre-sidente del Consiglio comunale, Leonardo Varasano, autore di un librosul fascismo perugino da molti giudicato apologetico, ha proclamatoche “la mostra è equilibrata”. Grande è il disordine sotto il cielo delcentrodestra.

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

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Assisi underground

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a trattativa tra ThyssenKrupp, go-verno, sindacati e istituzioni localinon ha finora sortito risultati signifi-

cativi. L’azienda conferma il piano del 17 lu-glio: 550 licenziamenti, spegnimento di unforno, trasferimento del commerciale alla casamadre, azzeramento del contratto integrativo,razionalizzazione volta al contenimento deicosti e delle perdite. Del resto il documento sot-toscritto al Ministero dello sviluppo economicoassume quello che è uno dei cardini del pro-getto aziendale: l’abbattimento dei costi per 100milioni. Intanto si intrecciano notizie più omeno attendibili. La prima, smentita pronta-mente dall’azienda, è che ThyssenKrupp nonvoglia vendere Ast; la seconda è che il commis-sario europeo uscente Almunia sostiene che ilpiano aziendale è conforme al progetto presen-tato all’Unione; la terza è che l’amministratoredelegato Lucia Morselli va alle Ferrovie Nord.Sembra che ciò preluda a un cambio di vertice,ma la Morselli resta al suo posto. Con sempremaggiore evidenza è la testa di turco del mana-gement tedesco, che è quello che comanda ilgioco. Intanto vengono modificati, licenziati edeclassati i dirigenti, a cominciare dalle parte-cipate che perdono, qualora sopravvivano, ogniautonomia. Il progetto è una costellazione distabilimenti senza nessuna capacità di decisione,di ricerca e di innovazione.Dall’altro canto governo, istituzioni locali e glistessi sindacati presentano alternative deboli. Insostanza la richiesta che si avanza è che l’aziendaceda al più presto gli stabilimenti Ast e lo si faadombrando che l’obiettivo vero sia la chiusuradel sito ternano. La terapia che è sottesa a questaanalisi è chiedere che nella trattativa per la ces-sione dell’impianto di Taranto ad Acelor Mittal(che dovrebbe assorbire parte dei pacchetti azio-nari di Arvedi e Marcegaglia) entri anche Ast,che potrebbe essere venduta ad Aperam, il cuiazionista di riferimento è - come nel caso diAcelor - la Lakshmi Mittal, il colosso indianodella siderurgia. Si lascia intuire che ci potrebbeessere un intervento temporaneo a garanziadegli interessi nazionali del Fondo strategico perl’innovazione. L’idea di smobilitare il sito ternano non apparecredibile, è invece probabile che ThyssenKruppnon voglia o non possa cambiare piano indu-striale. Ma ciò suggerisce l’ipotesi che la societàabbia già un potenziale compratore e stia fa-cendo il lavoro di ristrutturazione per suoconto. E’ possibile che l’acquirente sia proprioquello che alcuni individuano come la miglioresoluzione per garantire un futuro all’azienda.Che l’ipotesi alternativa sia quella della cessionerapida ad un altro produttore è confermato

anche da alcune prese di posizione avanzate neldibattito. E’ noto che il M5s ha proposto la na-zionalizzazione dell’Ast. Interrogata in propo-sito la presidente Marini ha affermato che laproposta è irricevibile: il compito del settorepubblico non è gestire, ma regolamentare conpolitiche idonee l’azione dei privati. Su questalinea si è attestata anche l’amministrazione co-munale o meglio la maggioranza che la gestisce;in consiglio comunale si sono votati tre ordinidel giorno diversi: uno del centrosinistra, unodel centrodestra e il terzo del M5s. La linea dicostringere la società alla cessione immediata edel controllo pubblico senza interventi o coninterventi temporanei - accettata nei fatti anchedai sindacati, preoccupati di dover trattare siacon ThyssenKrupp che con il futuro compra-tore - non sembra avere peraltro sponde nel go-verno. Il sindaco non è neppure riuscito adavere udienza dal presidente del consiglio e ivertici del ministero, oltre a mediare, stannosolo cercando di individuare le normative e i ca-nali attraverso cui concedere energia a bassocosto senza che scattino sanzioni o richiami alivello europeo. E’ una linea coerente con l’in-vito renziano ai capitali stranieri a venire a fareshopping in Italia.Peraltro c’è da osservare che la questione Terninon è risolvibile in ambito locale, ma va inqua-drata nel contesto della crisi della siderurgia ita-liana che coinvolge sia Terni, che Taranto ePiombino, dove i laminatoi verranno ceduti aJindal, un altro produttore indiano, per 70 mi-lioni. Sono due le domande a cui rispondere.La prima è se il ruolo dell’acciaio nell’economiaitaliana sia o no strategico. Se lo è appare ovvioche occorra una politica industriale che non silimiti alla ricerca di compratori. D’altra partesembra che la produzione di acciaio sia aumen-tata nell’ultimo anno del 4%, ovunque tranneche in Italia. La seconda domanda è relativa alruolo delle multinazionali. Le loro strategiesono indifferenti agli interessi delle economiedei singoli paesi e trascendono le convenienzedei diversi sistemi produttivi. La questione è

come controllarne il ruolo e le dinamiche, evi-tando esperienze già conosciute, smobilitazionirepentine a fronte di utili aziendali e via di se-guito. Tale controllo presuppone una politica indu-striale che, nel caso specifico, prevede una rego-lazione pubblica del settore gestita dallo Stato,che non escluda una partecipazione permanentedi quest’ultimo al capitale sociale. Come farloè oggetto di discussione. Sarebbe tuttavia preli-minare chiudere con il mito del privato più ef-ficiente del pubblico (il caso Riva insegna). Ma quello che nell’immediato colpisce è il nu-cleo di contraddizioni che si addensa intorno alcaso Ast. Abbiamo già descritto quella tra go-verno e poteri locali, ad essa si aggiunge quellatra Terni e il resto dell’Umbria. Non a caso losciopero regionale di cui si discuteva nelle scorsesettimane è stato rinviato: il rischio era che nonlo facesse nessuno. E’ noto, peraltro, lo staccotra cittadini e amministrazione, descritto dallascarsa partecipazione alle elezioni comunali,mentre continua ad essere assente un progettocredibile ed alternativo di città. Se in passatotrionfava l’ideologia della trasformazione dacittà dell’industria a città creativa e dei servizi,oggi essa, dopo il fallimento di tutte le espe-rienze avviate nel trentennio trascorso, merite-rebbe qualche riflessione non superficiale.Infine gli operai sono isolati anche nella lorocittà, vengono visti come dei privilegiati, re-sponsabili persino dell’inquinamento dellaconca (“per fare lavorare loro ci avvelenano”),mentre e aumenta la sfiducia dei lavoratori nelsindacato. Gli operai sono drammaticamentesoli e consapevoli di esserlo. Salgono la rabbia ela disperazione, come dimostra l’assedio dellapalazzina dove l’amministratrice delegata è ri-masta bloccata per ore. Si parla, tra fabbrica eindotto, di circa 1.000 licenziamenti, dello stra-volgimento di progetti di vita, di decurtazionesignificativa di redditi. Nessuno sembra ingrado di impedire questa che è percepita dai la-voratori come una catastrofe. Perché non do-vrebbero essere arrabbiati?

Fondatasul LavoroPessimala primaMiss Jane Marple

L’approvazione della prima parte del Job Act,che ha permesso di stipulare contratti a terminedi durata triennale senza indicare la causalità,pare non abbia portato miglioramenti signifi-cativi. Secondo gli ultimi dati Istat, infatti, iltasso di disoccupazione nazionale è ancora sta-bile al 12,7%, con la proporzione spaventosa di4 giovani su 10 senza lavoro. Da febbraio a lu-glio 2014, gli occupati in Italia sono passati da22.316.331 a 22.360.459, facendo registrare unlieve aumento (0,2%) che però non dipende daldecreto bensì dal piccolo e temporaneo miglio-ramento della produzione industriale che ha in-teressato il sistema nei primi mesi dell’anno.Inoltre gli occupati in più sono tutti precari.Aumentano, come era ampiamente prevedibile,i contratti a tempo determinato e diminuisconoin modo consistente gli indeterminati. In-somma, il lavoro precario ha continuato a man-giarsi il lavoro stabile. La crescita, peraltro,secondo l’Istat riguarda “quasi esclusivamentegli uomini”. Le lavoratrici donne, in valori as-soluti, tra febbraio e luglio sono diminuite di13 mila unità, da 9.316.000 a 9.303.000. E’possibile che le azioni del governo per creare la-voro e contrastare la disoccupazione siano con-tenute nella seconda parte del Job Act in arrivo?Quel che si conosce ad oggi ci dice che anchequesto governo punterà sulla svalutazione dellavoro e dei lavoratori, attaccando dopo l’arti-colo 18 anche il 13 dello statuto, prevedendo ilpossibile demansionamento, con le conseguentiperdite di professionalità e salario, fino alla ri-duzione delle tutele conquistate dai lavoratorisu privacy e libertà individuale. Il contratto atutele progressive diventerà un inconsueto e ir-regolare periodo di prova al lavoro che si ag-giunge agli esistenti. Se davvero si vuolerafforzare la possibilità di creare nuovi posti dilavoro stabili almeno nel tempo è necessariocancellare la stragrande maggioranza delle nor-me e dei contratti che sino ad oggi hanno ali-mentato la precarietà correggendo anche il re.cente e inefficace decreto Poletti (che rende erenderà sempre più competitivo assumere a ter-mine rispetto al tempo indeterminato). La li-bertà di licenziamento in Italia e già molto alta(solo nel 2013 vi sono stati 900 mila, tra col-lettivi e individuali). Sono questi i numeri cheil governo dovrebbe guardare non le cause direintegro. La discussione che andrebbe fatta èsu come si possano creare nuovi posti di lavoro.Ci sono atti che non costerebbero e si possonofare da subito per distribuire lavoro, come lasoppressione immediata degli incentivi per leore di straordinario, che oggi rendono più con-veniente e meno costosa un’ora extra rispettoad un’ora di lavoro ordinario. Nuovi posti di la-voro potrebbero essere creati e finanziati con irisparmi fatti e previsti sulle pensioni dalla ri-duzione dell’età pensionabile, sino alla libera-zione di tutti coloro che sono trattenuti allavoro dagli errori della Fornero. Altri ancora fi-nanziando e utilizzando diversamente gli am-mortizzatori sociali a partire dai contratti disolidarietà per distribuire il lavoro nelle crisiaziendali. L’Umbria, intanto, deve difendere il proprioapparato manifatturiero. Oltre a quella che ri-guarda la Tk-Ast ci sono altre 165 vertenzeaperte in attesa di una riposta. Alla ex AntonioMerloni dove 630 lavoratrici e lavoratori ri-schiano di aggiungersi, dal prossimo 12 ottobre,alla schiera dei 51mila disoccupati umbri; allaMargaritelli di Mantignana che ha già annun-ciato l’apertura della procedura di mobilità peroltre 30 lavoratori, alla Fornaci Briziarelli diMarsciano la cui cassa integrazione terminerà il5 ottobre o alla azienda tessile Srap di Gubbioche ha lasciato senza lavoro 33 dipendenti.

3p o l i t i c asettembre 2014

L

Terni

La solitudinedegli operaiRenato Covino

Totale al 23 luglio 2014: 4985 euro

Marina Bittante 100 euro; Anna Rita Guarducci 22,50 euro;Saverio Monno 25 euro; Stefania Piacentini 460 euro;

Andrea Fornari 100 euro;

Totale al 23 settembre 2014: 5692,50 euro

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econdo l’ultima indagine di Unionca-mere (dati 2014) l’Umbria fatica più dialtre regioni ad uscire dalla crisi, che si

presenta ancora durissima soprattutto per lepiccole e medie imprese: il fatturato nel secondotrimestre 2014 risulta in calo del 2,2% (a frontedi un +0,3% nazionale), stesso segno negativoper gli ordinativi. Vanno male le industrie chi-miche e delle materie plastiche (-2,4%), le mec-caniche (-1,8%), quelle del comparto moda(-1,0%); anche se un segno positivo viene dal-l’esportazioni (+1,5%), vanno malissimo le in-dustrie elettriche ed elettroniche (-11,4%).Continua il calo dei consumi segnalato da un -4,9% del commercio al dettaglio dei prodottialimentari e dal -4,2% dei non alimentari, afronte di un +2,3% degli ipermercati e di-scount. Su un campione di oltre 50.000 im-prese di tutti i settori, il confronto tra il primotrimestre 2013-2014 mostra un calo degli ad-detti del 3,3%, risultato nettamente peggiore diquello osservato con la stessa metodologia a li-vello nazionale (-1,4% su di un campione di 3,4milioni di imprese). Tra gennaio e maggio diquest’anno il ricorso alla cassa integrazione stra-ordinaria è stato di 2,8 milioni di ore rispettoai 2,2 milioni dello stesso periodo dell’annoscorso (+23,2%). Le aziende presenti nella re-gione che hanno fatto ricorso alla Cig sono 80e coinvolgono 15.230 lavoratori, dei quali7.615 a zero ore: 6.115 sono quelli che usufrui-scono della cassa ordinaria, 6.440 di quella stra-ordinaria e 2.675 di quella in deroga. Allarmasopratutto la situazione della cassa integrazionein deroga (quella per le piccole imprese) chevede un preoccupante ridimensionamento deifinanziamenti ministeriali. Tra il primo trime-stre 2014 e lo stesso trimestre del 2013 in Um-bria si sono persi 21 posti di lavoro al giorno,mentre le persone in cerca di occupazione cre-scevano, al ritmo di 25 al giorno, con un tassodi disoccupazione in senso stretto che sale dal10,5% al 12,6%. Nel centro-nord solo il Laziopresenta andamenti del mercato del lavoro peg-giori di quelli umbri. Questi alcuni, ma si po-trebbe continuare, recenti dati che testimonianoin maniera eloquente la pesante situazione dicrisi che attanaglia l’Umbria.Sicuramente la situazione richiederebbe unamobilitazione generale delle forze politiche e so-ciali, un coordinamento di tutte le energie e ri-sorse, attorno ad una “idea” di sviluppo, unanuova prospettiva su cui indirizzare gli sforzi.Ma, come direbbe Amleto “That is the que-stion”, in giro non si vede uno straccio di idea.L’istituzione regionale si affanna a seguire i varitavoli di crisi, a mettere insieme un po’ di ri-sorse per sopperire alle necessità finanziarie dellacassa integrazione, ma niente di più. La legisla-tura che si avvia alla conclusione molto proba-bilmente passerà alla cronaca come una dellepiù grigie di tutta l’esperienza regionalistica.In tutto ciò la vera assente è la politica. Di cosasi stanno occupando in questo momento leforze politiche regionali? Ma è ovvio, delle ri-forme istituzionali. Il consiglio regionale, dopolo scossone delle amministrative di maggio/giu-gno, ha ripreso la discussione sulla riforma dellostatuto e soprattutto sulla nuova legge elettorale.A Roma come a Perugia l’impegno delle assem-blee elettive (segno evidente del loro ruolo mar-ginale) è occuparsi di... se stesse, di come ed inquanti essere, di come venir eletti: il tutto senzamai rispondere all’interrogativo di fondo: rifor-mare, ma per far cosa? E così sugli scranni diPalazzo Cesaroni non tiene banco, come av-

venne in altri momenti difficili della nostra re-gione, la situazione economica e sociale del no-stro territorio, ma la legge elettorale. Peraltroscontando una curiosa nemesi storica. Quandonel 1970 si costituirono le Regioni e tutto eraregolato con legge nazionale i consiglieri regio-nali erano 30; Presidente ed assessori, in numeromassimo di otto, erano eletti in seno al consiglioregionale. Questo sistema è andato avanti finoalla metà degli anni Novanta, assicurando buonilivelli di governabilità non solo in Umbria main generale in tutte le regioni a statuto ordinario(per avere delle elezioni regionali anticipate bi-sogna arrivare al 2001 con il Molise). Poi vennela stagione delle ubriacature bipolari, della ele-zione diretta di sindaci e presidenti di province:un sistema di democrazia assembleare fondatoper di più su un meccanismo elettorale stretta-mente ed interamente proporzionale, come eraquello delle regioni, aveva un che di insoppor-

tabile, di retrò. Ed ecco che in tutta fretta dap-prima, con la legge Tatarella, si introduceva inmaniera pasticciata una correzione maggioritaria(il listino, che tutti oggi vogliono abolire), poicon la Legge costituzionale n.1 del 1999 si pas-sava all’elezione diretta del Presidente dellaGiunta aprendo la stagione dei nuovi statuti.Come primo atto ogni regione provvide (conl’accordo di maggioranze ed opposizioni) adaumentare il numero dei consiglieri. Nelle re-gioni a statuto ordinario in quel periodo i con-siglieri regionali passano da 430 a 514(+19,5%). In Umbria il nuovo statuto li portaa 36 più il Presidente (37). A questi si aggiun-gono i membri della giunta in numero non su-periore a 9 e che possono essere anche esternial Consiglio, per un massimo di 46 membri traconsiglieri ed assessori. Questa infausta pro-spettiva, visti i ritardi nell’approvazione delloStatuto, dovuti al ricorso del Governo, e la con-

seguente impossibilità di varare una legge elet-torale in tempi utili per le regionali 2005, nonsi è mai concretizzata. Successivamente nel climaincandescente delle polemiche sui costi dellapolitica e delle varie scandalopoli su scala regio-nale, il Consiglio regionale dell’Umbria, se-guendo l’esempio di altri consigli regionali, conuna legge regionale del gennaio 2010 ha ripor-tato a 30 i componenti del consiglio regionale,più il Presidente della Giunta e gli assessori, ri-dotti a 8, per un massimo di 39 componenti.Infine è intervenuto il governo Monti con l’ar-ticolo 14 del decreto legge 138 del 2011, cheha ridotto drasticamente del numero dei consi-glieri regionali, che nel caso di regioni con menodi un milione di abitanti scendono a 20 più ilPresidente, mentre il numero massimo di as-sessori è fissato in ragione di un quinto dei con-siglieri, per l’Umbria 4 assessori: in totale 25,cinque in meno del 1970.Adesso la discussione in corso nella commis-sione speciale riforme statutarie del Consiglioregionale è come eleggere questi 20 consiglieri,tenendo presente che dalle prossime elezioni re-gionali il quadro politico non sarà più segnatocome una volta da un rigido bipolarismo, cen-trosinistra e centrodestra, ma, con l’entrata inscena del Movimento 5 Stelle (19,5% alle ul-time europee), come minimo da un tripolari-smo. Il confronto tra le varie forze politiche èancora in corso, ma dovrebbe chiudersi entrosettembre con la predisposizione di una propo-sta da portare in aula. Al momento i puntifermi sui quali c’è accordo sono l’elezione di-retta del Presidente della Giunta, l’incompati-bilità tra carica di assessore e quella diconsigliere, la possibilità, come nella legisla-zione attuale, del voto disgiunto, l’abolizionedel listino regionale (quindi della quota mag-gioritaria), l’introduzione di un premio di mag-gioranza che dovrebbe portare la coalizionevincente ad avere, se necessario, 11 o 12 consi-glieri su 20, più il Presidente. L’ipotesi di intro-durre collegi uninominali a doppio turno è statascartata (con tre schieramenti le sorprese sareb-bero state troppe), mentre c’è ancora discus-sione tra chi vorrebbe un unico collegioregionale, chi vorrebbe le due circoscrizioni pro-vinciali ed il collegio unico regionale e chi vor-rebbe solo i due collegi provinciali, comenell’attuale legge elettorale. Infine ultima maspinosa questione le soglie di sbarramento. L’at-tuale legge elettorale regionale, approvata nel2010, prevede una blanda soglia del 3% per leliste provinciali, a meno che non facciano partedi coalizioni regionali che superino il 5%, pra-ticamente soglie inesistenti. Intanto il 12 ottobre si vota per i Presidenti e iconsiglieri delle due Province. A scegliere nonsaranno più i cittadini umbri ma i consiglieried i sindaci dei comuni dell’Umbria. Questodell’elezione dei presidenti è l’altro tema che nelcorso dell’estate ha tenuto banco nelle stanzedella politica, in particolare in casa del Partitodemocratico. I rottamatori che si battevano perla rivoluzione generazionale, con in testa il neosegretario regionale Leonelli, hanno perso neiconfronti di una maggioranza che propendevaper una più tranquilla continuità: saranno in-fatti il sindaco di Foligno Nando Mismetti equella di Terni Di Girolamo a correre per il cen-trosinistra. Ci chiediamo: valeva la pena discu-tere così tanto vista la posta in gioco ovvero queisimulacri istituzionali, svuotati di funzioni e ca-pacità di intervento, che sono ormai diventatele Province?

4p o l i t i c asettembre 2014

Lo stanco dibattito istituzionale

C’è la crisi? Parliamo d’altroFranco Calistri

S

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5p o l i t i c asettembre 2014

mpazza il carnevale” - come dicecon faccia triste Roberto Benigniin Cerco Asilo. Ci riferiamo al di-

battito su cosa vogliono fare le diverse animedella sinistra nelle prossime elezioni regionali,sui destini dell’aggregazione costruita intornoalla lista L’Altra Europa con Tsipras, su comesi atteggeranno i partitini, residui delle anti-che rotture del Pci, che successivamente han-no continuato a dividersi secondo i criteri chepresiedono alla scissione dell’atomo. Natural-mente tot capita tot sententiae, secondo le pro-pensioni, le idee, le convenienze di singoli edi organizzazioni. Il dibattito si concentra,come è uso della sinistra-sinistra, sugli schie-ramenti (se si debba andare o meno in coali-zione con il centrosinistra) e ne viene fuoriuna articolazione di posizioni che va a meritodelle capacità fantastiche di dirigenti e di mi-litanti. Tutto, nel momento in cui ci si con-fronta in un dibattito divaricato e destinato aframmentare le (poche) forze in campo, sottoil manto, in questo caso evidentemente ideo-logico, dell’unità, della necessità di una sini-stra che si rinnovi nel segno delle convergenzee via di seguito.

A che punto è la notte Le ipotesi in campo, come dicevamo in pre-cedenza, sono sostanzialmente due e vengonomotivate con ricchezza di argomentazioni.Defilata finora dalla discussione è Sel, il cuigruppo dirigente ha già deciso, a meno che ilPd non la escluda, di presentarsi con il cen-trosinistra. Pensosamente Elisabetta Picco-lotti, probabile capolista al consiglio regio-nale, ha sostenuto: “prima i programmi, poila coalizione”. In teoria non fa una piega. Ma,si sa, i programmi sono come pelle di zigrino,si tirano da tutte le parti e deciso preventiva-mente con chi andare, semmai inscenando unpo’ di commedia, alla fine la quadra si trova.E’ significativo che Sel umbra, nelle sue par-che dichiarazioni, non accenni neppure ai co-mitati Tsipras: non le interessano o meglio leinteressano solo se accettano le soluzioni cheha in mente.Da parte sua Stefano Vinti conduce una vi-vace campagna a favore della presentazione ditutti nel raggruppamento di centrosinistra.Per l’assessore regionale di Rifondazione unconto sono le coalizioni in sede locale edun’altra quelle nazionali. Forse nel passato eracosì, ma con il renzismo la situazione è cam-biata e non bastano le convergenze con le cor-renti di minoranza del Pd per cambiare larealtà dei fatti. L’ipotesi che si avanza è tuttiin un soggetto unitario (Rifondazione, Sel,Idv, Pdci, liste civiche di sinistra e… comitatiTsipras). E’, detta in altri termini, una va-riante dell’idea della costituente della sinistrache circola in alcune prese di posizione uscitesui giornali on line, l’esatto contrario del nuo-vo inizio che sembrava profilarsi nelle elezionieuropee. Per rendere appetibile la cosa Vintipromette di non candidarsi. Per precisione esenza nessun intento polemico è bene ram-mentare che l’ex segretario regionale del Prcnon si è mai sottoposto al vaglio elettorale:per due volte è diventato consigliere regionalegrazie al listino, questa volta è diventato as-sessore regionale per chiamata. Siamo sicuriche non mediti di acquisire meriti per ripro-porre una sua presenza in giunta? Per contro i gruppi dirigenti di Rifondazione,i segretari provinciali e quello regionale, si di-chiarano favorevoli ad una presentazione fuoridell’ambito del centro-sinistra e premono suicomitati Tsipras peracquisire una legitti-mazione che altrimentinon avrebbero. Si deci-derà tutto al congressoregionale che si terràtra fine settembre einizi ottobre, dove sivedrà quanto ancoraVinti influenzi le sceltee quale sia il livello di compattezza del Prc.Quello che appare certo, allo stato attuale deifatti, è che una lista autonoma comunque cisarà.

Infine i comitati Tsipras. Il dibattito è incorso. Molti sono per la presentazione auto-noma, in questo caso con chi ci sta (ossia Ri-fondazione). Le motivazioni sono legate alla

visibilità dell’esperien-za, alle necessità di at-tivazione dei comitati,all’idea che se non sipartecipasse si perde-rebbe una occasione.C’è anche una pro-pensione culturale -che fa delle scadenzeelettorali l’unico giocoin città - che non riu-sciamo a definire altri-menti che “cretinismo

elettorale”. E’ assai probabile, quindi, chenella lista alternativa ci saranno insieme a di-rigenti o militanti di Rifondazione anche

esponenti dei comitati. Sarà interessante ve-dere il mix che ne verrà fuori e quanto si riu-scirà a mascherare la prevalenza del partitinodi Ferrero. In sintesi. Ci saranno alcuni (Sel,Vinti, spezzoni di vecchi partiti, associazioninate da scissioni di partito, etc.) che si presen-teranno in coalizione con il Pd; non è dettoche si andrà ad un’unica lista, è possibile cheper calcoli di preferenze ed opportunità elet-torali si vada a due liste: da un parte Sel, dal-l’altra tutti i residui frammenti. Altri sipresenteranno in una lista autonoma e con-trapposta al centrosinistra.

Lo stato delle cose Ma quali sono le possibilità di successo, indi-pendentemente da coerenze e prospettive? Lacoalizione di centrosinistra nel 2010 totalizzòil 57,2% con il Pd al 36,2%, l’Italia dei valori,il Prc e Sel complessivamente al 18,8% e i so-

cialisti al 4,2. Oggi, se si prendono i dati delleelezioni comunali del 2014 nei comuni supe-riori a 15.000 abitanti, emerge che il Pd si at-testa intorno al 32%, può arrivare al 34-35%con le liste di Stirati e Castellani; Sel e Rifon-dazione, considerati complessivamente, sonotra il 5 e il 6%, l’Idv non c’è più e il dato so-cialista è confuso nelle liste civiche. La vecchiacoalizione, insomma, non supera il 40-42%,ammesso e non concesso che la sinistra si con-vinca - e come abbiamo visto è assai impro-babile - a presentarsi unita nella coalizione. Catiuscia Marini ha sostenuto, con più di unaragione, che il centrosinistra non esiste più eche occorre rivolgersi, se si vuol vincere, alleliste civiche, ossia ai settori che si stanno au-tonomizzando dal centrodestra. Il tentativoverrà esperito, probabilmente senza successoo con convergenze parziali. Resta da capire sei brani sparsi della sinistra che vogliono con-fluire nella coalizione abbiano o meno inten-zione di farsi coinvolgere in una operazioneche punta ad un allargamento a destra, ripro-ducendo lo schema nazionale delle piccole in-tese. Comunque la “sinistra”, anche se andas-se tutta assieme con il Pd, totalizzerebbe, nelmigliore dei casi, un consigliere. Anche seprendesse il 6%, con venti consiglieri da eleg-gere e con la probabile adozione del metodoD’Hondt che penalizza le liste minori, nonandrebbe oltre. Se, con un numero consi-stente di consiglieri e una significativa pre-senza in giunta, la sinistra non ha lasciatosegni significativi nella politica umbra, sitratta di capire cosa potrà fare con una pre-senza ridotta al lumicino in una istituzionedestinata a contare sempre meno, con risorsesempre minori e che tende sempre più ad am-ministrare l’esistente. Se poi si va a due o treliste appare difficile che ci siano eletti; in talcaso Sel e gli altri corifei del centrosinistraavrebbero il ruolo di portatori d’acqua. Nel caso della lista autonoma, a parte l’ipotecarifondarola, ci pare difficile che si possa otte-nere qualche successo. Perché questo si possarealizzare occorrerebbe che si riproducesse ilmiracolo della lista europea, con un ruolo de-filato dei partitini, una convincente propostapolitica, un’ampia convergenza unitaria. Tuttecondizioni che non esistono.

Un passo avanti e due indietroInsomma i risultati ottenuti con la presenta-zione de L’Altra Europa, quel po’ d’impegnoe di entusiasmo suscitato dal raggiungimentodel quorum rischiano, almeno in Umbria, divenir vanificati dal morto che afferra il vivo,ossia dai partitini che condizionano i comitatiTsipras. Che Sel, Rifondazione ed altri ab-biano l’ansia di presentarsi è comprendibile,è nella loro natura di forze organizzate. Fac-ciano pure. Se verranno sconfitte non è unproblema: da tempo siamo convinti che rap-presentino i detriti di una storia e sappiamoche per ricostruire occorre in primo luogosgombrare il campo dalle macerie. Un consi-glio vorremmo invece darlo ai comitati. La politica non è solo partecipazione eletto-rale, non è solo agire nella congiuntura; in al-cuni momenti vale la pena di fermarsi epensare. Le campagne elettorali, peraltro, nonsi fanno solo se si presentano liste e lavoraread un progetto di medio-lungo periodo è inalcuni casi più utile. Riflettano su cosa puòper loro significare una sconfitta: chi ne haavuto l’esperienza sa che poi rinserrare le fila,specie se queste sono rade, diviene un’impresaal limite dell’impossibile. Vale la pena, perpartecipare ad una competizione elettorale persua natura viscida e tutta interna a dinamichelocali, mettere a rischio la prospettiva? Peral-tro quale è il progetto - l’ispirazione di fondo,non una lista della spesa che eufemisticamentesi definisce programma - che motiva una pre-sentazione di liste? Non c’è e non è detto chesia possibile costruirlo in pochi mesi. Sap-piamo che non c’è peggior sordo di chi nonvuol sentire e quindi non ci aspettiamo che ilconsiglio venga raccolto. In questo caso nonci resta che chiudere, come già altre volte ab-biamo fatto, con l’epitaffio con cui Marxchiude la sua Critica al programma di Gotha:dixi et salvavi animam meam.

La sinistra e le elezioni regionali

Vuoti a perdereRe.Co.

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La politica non è solopartecipazioneelettorale, non è soloagire nella congiuntura;in alcuni momenti valela pena di fermarsie pensare

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l dopo elezioni non è altro che la dimo-strazione lampante di una delle principaliragioni del declino italiano e di quello

umbro. Parliamo della scarsità o, se volete, dellasemplice inadeguatezza dell’attuale classe diri-gente. Non si tratta solo di un gap culturale, diesperienza o di conoscenza, ma di una incapa-cità congenita di rapportarsi ai problemi reali.Questa è una generazione nuova, e allo stessotempo vecchia, cresciuta ed incanalata in unavisione individualistica della politica. Il bene co-mune, ammesso che sia un valore conosciuto,viene sempre dopo. L’io precede sempre il noi etutto si trasforma in campagna elettorale, in ini-ziative che tendono ad accumulare facile con-senso e a demolire quello dell’avversario. Peresempio: siccome la situazione è difficile, il pro-blema dei problemi è quello di trovare un col-pevole sul quale scaricare tutte le colpe possibilie immaginabili di eventuali propri errori o man-canze. E così, dalle nostre parti, è cominciata lapartita dei “buchi di bilancio”. La destra, salitaal potere in alcuni dei principali comuni dellaregione, dice che non si può fare niente perchéci sono i debiti da pagare lasciati dalla sinistrache, a sua volta, ribatte: “non sono i debiti, sietevoi che non sapete governare”. Una polemicastuccosa e senza senso che, detto per inciso, nonsalva i cittadini dall’essere vittima del malgo-verno comune delle due parti in questione.Tasse, tributi e tariffe locali continuano, infatti,ad aumentare e i servizi a diminuire. Nessunocapisce perché pagando il doppio si riceva la

metà, ma chi governa, invece di farsi questa do-manda, si preoccupa di trovare un colpevole di-verso da lui. Il centro principale di questo scontro è natural-mente Perugia. Il nuovo sindaco, il forzista An-drea Romizi, in piena coerenza con questatendenza, ha scelto, per i primi cento giorni,una linea “furbetta” per godere dei vantaggidella famosa “luna di miele”: l’aumento dellaTasi per le prime case o la reiterazione dell’or-dinanza antialcolici allo stadio sono “roba diBoccali”; al contrario la riapertura di Via Fab-bretti, al termine di lavori programmati, finan-ziati e realizzati dalla vecchia giunta, è diventata“roba sua”, con tanto di “odiata porchetta” e difascia tricolore al petto. L’opposizione del Pdappare frastornata. Annaspa, balbetta e rincorre.Dopo quattro mesi siamo ancora all’ipoteticaconvocazione di una Conferenza programma-tica. Auguri e voti maschi! Un Pd “frastornatoed ancora incredulo” continua a riproporre unalinea suicida come quella della negazione delledifficoltà di bilancio, il che equivale a negarel’innegabile. Esperti che hanno esaminato lecarte affermano, infatti, che all’inizio della cor-tissima era Boccali, il disavanzo era tra i 70 e gli80 milioni di euro e che alla fine, pur essendosiridotto, si è assestato tra i 15 e i 20 milioni: lacifra esatta lamentata dal centrodestra. Insommainvece di rompere con un passato molto nega-tivo il Pd continua a difenderlo a spada tratta,non rendendosi conto che è proprio il peso diquel passato, ad averlo cacciato da Palazzo dei

Priori. Le furberie della nuova giunta, tuttavia, nonsono sufficienti per tamponare una situazionedifficile come quella del capoluogo. I cittadinihanno mandato a casa Boccali sperando in uncambiamento repentino e totale, invece si tro-vano di fronte alle solite dichiarazioni di rito chenascondono il peso di scelte impopolari dietrole croniche difficoltà economiche. Non solo, sea questo aggiungiamo alcune decisioni di carat-tere “classista”, il gradimento non può che re-pentinamente scendere. Le scelte fatte sulla Tasivanno proprio in questa direzione. Le aliquotedelle abitazioni popolari pagheranno il massimoconsentito, le seconde case no. Sul web sono inmolti a rimproverare al sindaco di aver fatto unascelta a favore della “Perugia bene”, di quellaparte della città “da cui lui viene”. E le magrefinanze del comune c’entrano fin lì e fin là.Dopo una campagna elettorale fatta all’insegnadel cambiamento e, soprattutto, della promessadella diminuzione delle tasse, era importantedare un primo segnale in questa direzione. Ba-stava poco. Era sufficiente portare dal 10,6all’11,4 per mille, l’aliquota delle seconde casee far scendere al 3,1/3,2 per mille quella delleprime case per tappare tutte le bocche dei “cri-ticoni”. Ma se non si è fatto vuol dire che ilprimo segnale sulla diminuzione delle tasse, losi è voluto dare a quello che si considera il pro-prio elettorato di riferimento, appunto quella“Perugia bene” che, magari, di case ne possiedepiù di due. La prima mossa è stata quindi pocolungimirante sul piano del consenso tanto che i“pentiti” fioccano come neve sui social network. Tuttavia non è piaciuta nemmeno la secondamossa del sindaco, quella della Commissionesulla spending review. La disperata necessità ditrovare fondi per poter, l’anno prossimo, abbas-sare, anche solo un poco, qualche tributo, gli hafatto commettere due grossolani errori nell’im-postare questa iniziativa. Il primo di caratterepolitico: la Commissione si sta, man mano, tra-sformando in una commissione d’inchiesta.Ogni giorno, infatti, veniamo a conoscenza dipresunte “malefatte” e di sperperi giganteschi di

danaro pubblico da parte delle precedenti am-ministrazioni di centrosinistra. E’ singolare chegli stessi rilievi non l’abbiano fatti i giudici dellamagistratura contabile, quelli della Corte deiConti per intenderci. Anche se è bene chiarireche c’è differenza tra presunti sprechi e illeciti,molte delle cose uscite sugli organi di informa-zione sanno tanto di propaganda. Comunquenon è certo proibito creare strumenti di questogenere, basta dichiararlo, perché altrimenti nonè più chiaro se si stiano cercano soldi o imputatipolitici da processare in piazza. Il secondo errore è di carattere amministrativo,anche se ha il sapore della vendetta. Pur di ri-sparmiare si stanno producendo tagli profondiai servizi. Per punire gli avversari si sta puntandol’indice sulle cosiddette “esternalizzazioni”, finqui affidate a società e cooperative “della sini-stra” o “in quota alla sinistra”, cercando, anchein questo caso furbescamente, di colpire l’elet-torato “interessato” dell’avversario. Ma in que-sto modo non si toglie solo lavoro e possibilitàdi guadagno ma si colpiscono anche i cittadinibeneficiari dei servizi che si vorrebbe tagliare. Siè proprio sicuri che certe prestazioni siano ve-ramente tutte inutili e che possano, in toto o inparte, essere svolte dal personale del comune? E’lecito dubitarne. Lo scopo, lo ripetiamo, sembrapiuttosto quello di indebolire ancora di più laconcorrenza. Per il resto siamo alla continuazione del declino.Le buche sono tutte lì, anzi ce n’è qualcuna inpiù. Il traffico è caotico, il centro storico è sem-pre in crisi e la percezione della sicurezza restapressappoco la stessa. Adesso viene il bello. Per-ché, oltre ai conti, bisogna affrontare questionispinose come quella di San Bevignate, senzaprovare a passare la palla alla Regione, operarescelte importanti sulle società partecipate (nonsolo nomine) e, soprattutto, c’è da mettere inpiedi uno straccio di progetto di rilancio, magariusando anche la fantasia, che almeno non costa.Se si continua invece a fare campagna elettorale,questa città sarà travolta, oltre che dai suoi pro-blemi, anche dalla mediocrità della sua (sedi-cente?) classe dirigente.

6p o l i t i c asettembre 2014

Perugia. I cento giorni di Romizi

Il tempo della vendetta(e delle tasse)

Jacopo Giovagnoni

I

ˆ

PrimoTencaArtigiano Orafo

Via C. Caporali, 24 - 06123 Perugia - Tel. 075.5732015 - [email protected]

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ancora lecito parlare di qualità della vitaurbana? Visto di quanto sono state ridottele finanze pubbliche destinate alla manu-

tenzione dei servizi e alle opere di urbanizzazioneprimaria e secondaria, sembra, ora più di prima, cheessere ambientalisti sia un lusso che non possiamopiù permetterci, rischiando di accreditare i detrat-tori che ci hanno spesso bollato come radical chic.Eppure, se estendiamo il significato di ambienteanche alle città, perché quello, benché creato artifi-cialmente dall’uomo, è il luogo dove trascorriamopiù tempo, allora ci rendiamo conto che il tema ètutt’altro che secondario. Non a caso anche la man-canza di manutenzione ordinaria dell’ambiente ur-bano ha contribuito alla caduta della giunta Boccalia Perugia, con lo stillicidio delle quotidiane ineffi-cienze scontate dai cittadini a trascinare il gradi-mento verso il basso, mentre si aveva l’impressioneche la giunta si occupasse solo di mega progetti abeneficio di pochi. Comunque, non sono impres-sioni ma dati oggettivi quelli che gli scienziati del-l’organizzazione meteorologica delle Nazioni Uniteci riferiscono: nel 2013 la terra ha raggiunto il mas-simo dell’effetto serra, cui ha contribuito la minorecapacità di assorbimento della CO2, scesa al 55%rispetto al 70% dell’era preindustriale (1750): unsegno di saturazione pericolosa. L’aumento dell’ef-fetto serra, sempre rispetto al 1750, è stato del142%, il picco dell’aumento annuale sembra posi-zionato tra il 2012 e il 2013 con 2,9 ppm (parti permilione) arrivando a 394,19. Con questi numeri siconferma una volta di più che sono in atto cambia-menti climatici responsabili dell’aumento dellatemperatura del pianeta, elemento che dispiega giàdrammatiche conseguenze, che la velocità impressaai cambiamenti dall’attività antropica renderà sem-pre più imprevedibili, frequenti e disastrose. Dun-que, dovremmo impegnarci a non accelerare ilriscaldamento con il nostro contributo, magari as-sumendo atteggiamenti più responsabili e diffusi.E’ su questo obiettivo che 21 Ong (Organizzazioninon governative) hanno lanciato un appello in diecipunti in cui si chiede ai potenti del mondo di adot-tare politiche più in armonia con l’ambiente perevitare che questo riscaldamento globale superi 1,5gradi entro il 2020. Verranno ascoltati? Qualche

dubbio è lecito, perché leggendo i 10 punti ci sirende subito conto che tra buone pratiche consi-gliate e cattive pratiche da mettere al bando le po-litiche nazionali e internazionali sono più orientateverso le seconde. Ecco alcuni esempi, come riportatida Guido Viale sul “manifesto”. Favorire la produ-zione agroalimentare di prossimità, promuovendouna riterritorializzazione dei processi economici at-traverso accordi di programma tra produzione econsumo sul modello dei gruppi di acquisto soli-dale, invece di importare le arance dal Marocco, peresempio. Perseguire l’obiettivo “rifiuti zero”, invecesi specula ancora su discariche e inceneritori. Evitarela mercificazione, la finanziarizzazione e la privatiz-zazione dei servizi forniti dall’ambiente, invece conla cosiddetta “green economy”, sponsorizzata da se-dicenti ambientalisti, si dà un prezzo alla natura.Implementare “mille piccole opere” nel campoenergetico, nella manutenzione dei suoli, nei tra-sporti, nell’edilizia e in agricoltura, anziché sbavareancora dietro alle grandi opere utili solo ai pochipromotori e a devastare il territorio. Basterebberoquesti punti per definire l’appello delle 21 Ongcome libro dei sogni, e tale rimarrà se non verrà az-zerata la possibilità di lucrare a spese dell’ambiente.Finora nessun intervento legislativo è andato inquesta direzione, infatti non si registrano migliora-menti sensibili. La dimostrazione è nei dati annualidell’Istat sul benessere equo e sostenibile (Bes) chevedono anche la verde Umbria in crisi di presta-zioni. Alcuni esempi dei parametri più significativiillustrano bene l’andamento. Il verde urbano viene calcolato in metri quadri perabitante ed “esprime sinteticamente la qualità del-l’ecosistema urbano e dei potenziali effetti benefici perla biodiversità, l’epidemiologia ed il clima su scala lo-cale. Dà inoltre conto del benessere legato a condizionidi maggiore naturalità dell’ambiente urbano.” Fa uncerto effetto vedere che, secondo i dati del rapporto2014 riferiti all’anno 2012, Terni risulta molto piùdotata di verde urbano, con più di 100 mq/ab, diPerugia, con i suoi 30-50 mq/ab. Matera, che con-tende a Perugia la nomina di Capitale della Cultura2019, fa registrare 978,2 mq/ab. Sappiamo che ilsignificato di cultura è inteso in senso lato e, se leparole hanno un senso, ci aspettiamo che lo slogan

di Perugia Capitale della Cultura 2019: “Non si puòrisolvere un problema con la stessa mentalità che lo hacreato; è necessario seminare il cambiamento (seedingchange)” trovi la concretezza della realizzazione. Amaggior ragione ora che a farlo dovrà essere lagiunta di un altro colore politico rispetto a quellache ha iniziato il lavoro per la candidatura. Sulla qualità dell’aria si deve registrare, rispetto alprecedente rapporto, un miglioramento per Peru-gia, che risulta tra le città che nel 2012 non hannovarcato il limite di 35 superamenti del valore mas-simo di particolato (Pm10) presente nell’aria. Quisi deve ricordare lo spostamento della centralina diFontivegge in un punto più favorevole ai buoni ri-sultati, benché a termini di legge. E’ anche stucche-vole ripetere ogni anno le stesse considerazioni, maè una necessità chiarire le ragioni del migliora-mento, che è tale solo sulla carta e non per la salutedei cittadini.Quanto a Terni è inutile dire che sconta la sua vo-cazione di città industriale, mantenendosi, nono-stante la crisi, tra quelle con più di 35 sforamentiannui. Relativamente agli altri parametri esaminatidal rapporto spicca il dato positivo della produzionedi energia da fonti rinnovabili, e anche su questo idieci punti delle 21 Ong imporrebbero di chiedersia che serve l’energia se non contribuisce a miglio-rarci la vita. Il dato allarmante sul dissesto idrogeo-logico che nel rapporto 2013 veniva riportato conriferimento alle ricerche dell’Ispra (Istituto Supe-riore per la protezione e ricerca ambientale) datate2007, nel 2014 viene ignorato. Eppure sappiamotutti che la fragilità del territorio italiano viene col-pita sempre più duramente e frequentemente daeventi meteorologici eccezionali. Se si è ignorato ilparametro per mancanza di dati aggiornati significache non si ritiene prioritario l’intervento di messain sicurezza del territorio perché un fatto è certo: ri-spetto al 2007 c’è molto da aggiornare sull’inven-tario. Sarebbe solo una conferma ulteriore diquanto affermato all’inizio, a livello di governo cen-trale le tutele ambientali non sono prioritarie, infattiil ministro per l’ambiente sta tenendo un profilobassissimo si direbbe limitato ad un lavoro di con-tabilità. Chissà se potremo confidare nel livello am-ministrativo locale. Chi vivrà vedrà.

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L’evoluzione dell’ambiente urbano

Quanto vale il BesAnna Rita Guarducci

Proseguela litesulla qualitàdel Trasimeno

I doloridel giovaneSergioPaolo Lupattelli

Nel 1786 all’età di 37 anni Johann WolfangVon Goethe compie il suo primo viaggio inItalia. Lo scrittore è un uomo pubblico affer-mato, ministro a Weimar, famoso tra l’altroper il suo libro I dolori del giovane Werther.Nel 1816 pubblica il primo volume del suoViaggio in Italia, l’anno dopo il secondo vo-lume. Il libro diventa presto uno dei più fa-mosi diari di viaggio sul grand tour, il viaggiodi iniziazione alla vita pubblica dei giovaniaristocratici europei. Uno di quei libri desti-nati a produrne altri cento, fondamentali perpromuovere le bellezze culturali e paesaggi-stiche italiane. Tra queste il lago Trasimenoda decenni una delle mete preferite del turi-smo tedesco. Poi, il 5 luglio scorso il primocanale tedesco manda in onda il reportagedella trasmissione Euromagazin dedicato allospreco di soldi comunitari che avviene so-prattutto in Spagna e Italia. Gli esempi ri-portati sono concreti e ben documentati: unapista ciclabile intorno al Trasimeno som-mersa per circa 3 km quindi impraticabile ealcuni punti inquinati: la foce del fosso Ve-nella a Tuoro, il canale di scarico del depu-ratore di Tuoro-Passignano e la foce deltorrente Paganico a Castiglion del Lago.Carta canta, villan dorme.Politici e amministratori infuriati impu-gnano le armi del vittimismo e del complot-tismo per difendere il suolo patrio dagliattacchi germanici. Tutto pur di conquistareuna riga sui giornali ma badando bene a nonentrare nel merito. Con le dovute propor-zioni l’ affaire è indicativo di due scuole dipensiero sull’Unione europea. Per Germaniae altri le regole una volta discusse e accettatevanno rispettate, per l’Italia a seconda deicasi e delle convenienze. Come dice l’euro-parlamentare Ingeborg Grassle: “L’unicacosa che conta è che arrivino i soldi da Bru-xelles. Il finanziamento della pista è un falli-mento del controllo ai vari livelli”. Tocca al sindaco di Castiglion del Lago, Ser-gio Batino piazzare una bella ciliegina sullatorta. Profondamente offeso indossa l’arma-tura di guerra e incarica ben 4 avvocati localidi valutare i presupposti di azioni civili e pe-nali nei confronti dei responsabili della tele-visione tedesca. Batino chiede una correttainformazione magari più elastica. E mentreferve il lavorio dei legali, le cancellerie dimezza Europa sono in apprensione per lostato di crisi. A riportare un po’ tutti con ipiedi per terra ci pensa un tour operator dellago: il Trasimeno nel 2015 è stato esclusodal catalogo della più importante agenzia tu-ristica tedesca e basta guardare le presenzenegli ultimi dieci anni per riscontrare unaseria flessione. E mentre la Regione Umbriainveste soldi del Fondo rurale per la promo-zione del territorio, sulla stampa tedesca am-ministratori e politici locali combattono laloro guerra santa. E pensare che una volta sidiceva che il cliente ha sempre ragione, so-prattutto se paga bene.Ora siamo in attesa delle decisioni dei legalie del ritorno di Batino dalla guerra. Disfattaitaliana: ci hanno gonfiato di botte ma hodetto tutto quello che covavo dentro el’onore è salvo. Batino, stai sereno.

È

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PremessaSiamo abituati ai cambiamenti epocali annun-ciati per qualsiasi tema dal governo Renzi. Ilprogetto sulla scuola presentato a inizio settem-bre non fa eccezione. Nelle 136 pagine de “Labuona scuola” si ritrovano gli ingredienti con-sueti: un linguaggio che ricerca così tanto la fre-schezza (con tanto di grafica ammiccante agliesercizi di calligrafia della scuola che fu) da farquasi rimpiangere il burocratese delle circolariministeriali, un’analisi come minimo approssi-mativa della situazione di partenza, l’indistin-zione tra obiettivi proclamati e misure concrete.E’ comunque opportuno prendere sul serio ildocumento, che, nel solco inaugurato da Ber-linguer e proseguito da Moratti e Gelmini, in-tende applicare alla scuola modelli organizzativie criteri di verifica propri delle imprese, secondoil mai dimostrato assunto che il criterio di effi-cienza aziendale sia valido anche per i sistemieducativi. Insistere sull’efficienza, d’altronde,assolve anche il compito di nascondere la realtàdella continua diminuzione delle risorse finan-ziarie destinate al settore. Acquisita senza discussione la riforma Gelminidei cicli delle superiori, il progetto renziano sioccupa soprattutto dell’organizzazione del la-voro e della gestione degli istituti. Si tenta cosìdi chiudere il cerchio di una scuola “postmo-derna”, a parole rafforzata in risorse e ambizioni,nei fatti derubricata dal ruolo costituzionale diservizio pubblico ad agenzia formativa tra letante. Lo stile “nozze coi fichi secchi” è del restoevidente anche nell’ennesimo “ritocco” al-l’esame di maturità ipotizzato dalla ministraGiannini che, senza pudore, propone di elimi-nare i commissari esterni (come aveva fatto Mo-ratti negli anni ‘90), per risparmiare quattrosoldi e abolire ogni controllo sulle scuole private.D’altra parte l’ennesimo progetto di riforma,oltre a mostrare gli scarsi esiti degli interventiprecedenti (come indicano anche i risultati dellerilevazioni Ocse-Pisa) fa leva su un clima di im-mobilismo, stanchezza, rassegnazione che regna

nella scuola.Precari addio. A quali condizioni?Forte impatto ha il primo punto: l’assunzionein un’unica soluzione nel 2015 dei 150.000precari compresi nelle graduatorie a esauri-mento (Gae), e di ulteriori 40.000 nel trienniosuccessivo attraverso un nuovo concorso. Dopoquesta fase, si prevede che l’accesso al lavoroscolastico avvenga solo per concorso dopo unindirizzo universitario specificamente orientatoalla didattica. Se attuata fino in fondo questamisura potrebbe tagliare il nodo gordiano delprecariato che da decenni costituisce uno deimotivi di più grave disagio per lavoratori e stu-denti: un risultato auspicabile tanto per i dirittidei lavoratori quanto per l’efficacia della didat-

tica. Emergono però diversi dubbi, a comin-ciare dalle effettive disponibilità finanziarie; visono poi le proteste degli abilitati che non rien-trano nelle graduatorie a esaurimento (e che lariforma non considera “precari” perché hannopochi giorni di lavoro), che rischiano di essereesclusi per sempre o di dover ripetere il con-corso. Perplessità suscitano anche le condizionidell’assunzione: i nuovi insegnanti dovranno ac-

cettare una mobilità anche fuori provincia o re-gione, vi sarà una certa flessibilità tra classi diconcorso affini, mentre una parte dei docentipotranno essere impiegati in ruoli extracurrico-lari (per le singoli scuole o per reti di scuole) le-gati alla riorganizzazione del profilo docente;inoltre l’organico stabile dovrà provvedereanche alla sostituzione dei docenti assenti.Funzione e carriera dei docenti,presidi managerAl centro del progetto della “buona scuola” c’èil ridisegno della funzione docente nell’ambitodella revisione gestionale degli istituti. Tuttoruota attorno alla valorizzazione del “merito”,una delle parole magiche, assieme a “riforme”,del renzismo, con un valore simbolico diretta-mente proporzionale alla sua genericità. An-diamo per ordine. L’aggiornamento dei docentisarà obbligatorio e permanente, definito a livellodi istituto e realizzato da agenzie di vario tipo.All’interno degli istituti i docenti più propositivifaranno da “innovatori naturali”. Le attività diaggiornamento e di innovazione daranno dirittoa crediti didattici, formativi e professionali, ri-portati in un portfolio personale che sarà pub-blico e on-line. Coordinerà il tutto un nucleodi valutazione interno (con un membroesterno), in cui spicca la figura del “docentementore” (ancora il deleterio lessico renziano),scelto tra coloro che avranno ottenuto scatti dimerito per tre trienni consecutivi. La progres-sione degli stipendi, infatti, sarà collegata alportfolio: gli scatti triennnali (pari a 60 euronetti) saranno attribuiti ai soli docenti cheavranno ottenuto più crediti ovvero ai 2/3 delcorpo insegnante di ciascuna scuola. Tale di-scriminazione programmatica è giustificata conil fine di rendere più omogenea la qualità del-l’intero sistema, poiché favorirebbe lo sposta-mento degli insegnanti migliori verso le scuolecon gli indici di innovazione più bassi, doveavrebbero più chance di progresso di carriera.E’ chiara la volontà di aggiungere alla competi-zione fra istituti per attrarre iscritti, che da anni

causa assurde dispersioni di energie e risorse,quella tra i docenti, introducendo figure chelungi dal migliorare la didattica moltipliche-ranno procedure burocratiche e lotte per l’ac-caparramento delle sempre più scarse risorseche, come dimostra il blocco del contratti deglistatali, non c’è alcuna intenzione di aumentare.Lo stesso vale per il rilancio dell’autonomia,per cui si prevede di collegare l’attribuzione delFondo per il miglioramento dell’offerta forma-tiva (Mof) ai risultati del “Piano triennale dimiglioramento” di cui ogni scuola si dovrà do-tare. Su questa base i dirigenti scolastici po-tranno scegliere direttamente i professori rite-nuti più idonei, attingendo ad un “Registronazionale dei docenti”. Il maggiore potere di-screzionale attribuito ai presidi dovrebbe esserecontrobilanciato da una ridefinizione della lorofigura professionale come “promotori della di-dattica”, ma l’ipotesi di reclutare i futuri nuovipresidi con un corso-concorso presso la scuolanazionale di amministrazione sembra contrad-dire questo indirizzo. In sostanza la facoltà diassunzione (e quindi di licenziamento/trasferi-mento?) incrementerà ulteriormente un’impro-pria concorrenza, con possibile importazionedall’università di sistemi di cordate e camarille. Musica e arte, coding e impresaPoco rilevanti appaiono le innovazioni discipli-nari. Non che l’estensione dell’educazione mu-sicale e della storia dell’arte non siano segnalipositivi. Il fatto è che che in assenza di una ri-definizione generale di programmi e indirizzi,si tratta di misure contingenti, probabilmentenecessarie per creare qualche cattedra in più perassorbire i precari. Il proposito di implementarelingua straniera, economia, e programmazioneinformatica (coding) sembra riportare al famososlogan berlusconiano delle famose tre I. Altret-tanto nebuloso è il proposito di incrementare larelazione con le imprese, attraverso l’estensionedell’alternanza scuola-lavoro, le esperienze dico-progettazione, il rafforzamento dei poli tec-nico-professionali: tutte formule che, anche tra-

Scuola. Un’analisi critica del progetto di riforma

Renzi in cattedraStefano De Cenzo - Roberto Monicchia

E’ chiara la volontàdi aggiungerealla competizionefra istituti per attrarreiscritti, che da annicausa assurde dispersionidi energie e risorse,quella tra i docenti

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ParolePrecarioJacopo Manna

a parola precario (di cui precariato è de-rivazione) ha due funzioni grammati-cali, due significati ben distinti e una

storia insolita.Come aggettivo, nel senso di “instabile”, “prov-visorio”, “stentato” ed “occasionale”, fa la suacomparsa in età decisamente avanzata ossia nelSettecento e si consolida nel secolo successivotrovando largo impiego sia nella retorica uffi-ciale (la “precaria stabilità dei governi” di Fo-scolo) sia nel linguaggio famigliare (PaolinaLeopardi rimprovera il fratello Giacomo, impa-ziente ed improvvido, di rendere “il suo statosempre più penoso e precario”).Va a finire che tocca al nostro rivoluzionariomeno sensibile alle novità dell’industria, cioèMazzini, l’onore di applicare per primo il ter-mine alle condizioni della nuova classe lavora-trice e di farlo addirittura con toni dainternazionalista: “Dappertutto, in Francia, inInghilterra ed altrove, l’operaio vive, general-mente parlando, come in Italia, e più che in Ita-lia, una vita povera, stentata, precaria, pergiungere a una vecchiaia inferma, squallida,senza soccorso”.Ma precario è anche un sostantivo coniato daldiritto romano: indica la concessione di unbene, gratis o a prezzo simbolico, fatta da unproprietario che può chiederne la restituzionein qualunque momento e senza preavviso.Data la tenacia con cui la giurisprudenza degliantichi ha retto alla fine del mondo classico eal succedersi delle civiltà, niente di strano chein questo significato la parola sia pervenuta sinoal moderno diritto italiano per indicare unaparticolare forma di comodato (sempre con re-stituzione immediata) cui ricorre in particolarela Pubblica amministrazione per concedere beniappartenenti al demanio. La parola sembra insomma marcata da un sensodi provvisorietà, insicurezza ed arbitrio: e que-sto particolarmente nel suo uso giuridico, dovedefinisce un rapporto senza simmetria nel qualechi concede qualcosa lo fa per pura benevolenzae chi la riceve non l’ha ottenuta nel nome di undiritto ma in grazia di un beneficio. Insommaun rapporto di vassallaggio.Tanto più se la concessione non è quella di unbene generico ma quella di un posto di lavoro;in questa particolare accezione, la prima atte-stazione del vocabolo risale ad un anno-sim-bolo, il 1980, quando una testata popolarissimacome il “Radiocorriere Tv” spiega alla massa deisuoi lettori che “nell’uso corrente del terminesono due le categorie di ‘precari’ [notate le vir-golette!]: quelli della scuola e quelli della legge285 sull’occupazione giovanile”. Il punto però è che l’aggettivo precario è testi-moniato molto prima, addirittura alla fine delQuattrocento: ma a quell’epoca risente ancorain maniera diretta della sua derivazione da prex,precis (“preghiera”, “supplica”) e difatti vieneusato nel senso di “supplicante” e “che si ot-tiene con preghiere e con suppliche”. Poi, comeun fiume carsico, sembra sparire per tornare inuso tre secoli dopo ma con una trasformazionedi significato sconcertante. Forse un po’ menosconcertante se si pensa a come funzionano leconcessioni arbitrarie, le grazie revocabili, i fa-vori senza garanzia.

nche questo primo periodo di imma-tricolazioni all’Università di Perugia,che si è aperto il 1 agosto e si conclu-

derà il 20 ottobre (il secondo sarà a febbraioper i corsi di laurea magistrale), sta facendo re-gistrare un preoccupante calo degli iscritti. La “debacle” dello Studium perugino, seppurin linea col trend nazionale, presenta causespecifiche di varia natura: dall’aumento delletasse universitarie (+60% negli ultimi 10anni), sino alle sempre maggiori difficoltàsocio-economiche della regione. Andando per ordine: gli anni pregressi dell’in-tramontabile “impero bistoniano”, durante ilquale gli interessi dell’università sono di fattocoincisi con quelli della facoltà di medicina,hanno indebolito progressivamente l’offertadidattica complessiva e, se è vero che il feno-meno del 3+2 ha creato ovunque una mag-giore dispersione di studenti, il nostro ateneoè apparso sicuramente meno appetibile ri-spetto ad altri non troppo distanti, in partico-lare nell’ambito delle cosiddette Scienzeumane.L’Unipg è stata tra le ultime in Italia ad avereadeguato il proprio assetto amministrativo eorganizzativo ai dettami della Riforma Gel-mini: la necessità di mettere al centro la ricercapiù che la didattica ha condotto all’elimina-zione delle facoltà, sostituite dai dipartimenti.Quanto questo si tradurrà in effettive novità,in positivo si intende, è ancora da valutare; in-tanto la riorganizzazione ha creato non pochiproblemi: accorpamenti discutibili di corsi dilaurea (come quello di filosofia staccato daLettere e unito a Scienze della formazione pri-maria), per non parlare delle difficoltà conse-guenti alla ridistribuzione delle variecompetenze tra i diversi Organi collegiali, untempo preposti ad altro.L’epoca Bistoni ha lasciato una pesante ereditàanche nel campo del diritto allo studio. Qual-cosa sembra però segnare una inversione ditendenza: pensiamo all’accordo con Umbriamobilità che ha permesso di equiparare ilcosto dell’abbonamento annuale di un univer-sitario a quello di uno studente medio, alla ri-collocazione delle segreterie (precedentementeaccentrate presso il polo ospedaliero), all’in-terno di ogni sede di Dipartimento, alla riat-tivazione, grazie anche alle pressioni dell’Udu,del Medico degli studenti, servizio introdottoa suo tempo dall’attuale rettore Moriconi. Se sul fronte mense il livello può essere consi-

derato più che accettabile, drammatica è in-vece la situazione degli alloggi. Molte dellestrutture residenziali sono ormai vecchie e ob-solete e subiscono da anni ristrutturazioni piùmomentanee che definitive, anche a causadelle poche risorse di cui l’Adisu può disporreal netto della spesa per le borse di studio (re-sponsabilità imputabile anche alle scelte poli-tiche nazionali sempre più, a quanto pare,intenzionate, alla restaurazione dell’ “istru-zione solo per pochi”). Insomma l’immagine complessiva è quella diuna città in cui servirebbe effettivamente rive-dere il piano di residenze universitarie e in cuila presenza di un nuovo edificio all’avanguar-dia e capace di soddisfare le esigenze di moltiutenti potrebbe risultare vitale non solo per glistudenti, ma per l’università e per il comunestesso. A questo proposito è ineludibile un ap-punto sulla vicenda di San Bevignate, contro-versa e difficile da sviscerare, proprio perchémolti elementi si confondono tra convenienzee vetrine politiche pret a porter. Un progetto,avviato nel 2003, i cui lavori sono iniziatidopo ben 10 anni per poi essere immediata-mente bloccati per la ferma opposizione di cit-tadini e associazioni ambientaliste. Nonmanca chi tra gli studenti sostiene, comunque,che si è persa una grande opportunità di inve-stimento e di rinnovamento. Dal conto nostroci chiediamo come mai, a 100 giorni circadalla sua elezione, il vicesindaco Barelli, notoambientalista, non si sia ancora espresso inproposito. Risulta difficile credere che Perugiasia stata un tempo una città universitaria trale più popolose e intense d’Italia, dove le prio-rità del mondo studentesco erano viste comequelle di tutta la città.Tornando alla stretta attualità c’è da dire chelo spirito di questi giorni è quello di spronarea tutta le forza iscrizioni: la caccia alla matri-cola è aperta. L’università promette mirabo-lanti prospettive per il futuro, anche se ancoranon ha neanche cognizione di sé; sballottatada una “riforma” all’altra rimane sempreuguale a sé stessa, purtroppo avviluppata in untrend peggiorativo: rimangono uguali le dina-miche clientelari, peggiorano esponenzial-mente le opportunità. Come ne “IlGattopardo” di Tomasi di Lampedusa lenuove vesti nascondono il vecchio necessaria-mente immutabile. Si continua a parlare dicambiamenti e novità, per dirla con Pavese,“eppure (tutto) è uguale”…

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lasciando l’assenza di qualsiasi distinzione trascuola e impresa, possono funzionano solo interritori con forti tessuti produttivi, non nel de-serto ecnomico e sociale che circonda le scuolein tante aree del paese.Le risorseIl capitolo sulle finanzie conferma il quadro finqui esposto. Nessun cenno al ripristino dellerisorse tagliate in precedenza (gli 8 miliardidella Gelmini), mentre i fondi per l’offerta for-mativa (800 milioni tra 2014 e 2020) sarannoallocati “in modo premiale”, cosicché è facileprevedere che le ampie disparità socio-territo-riali già esistenti non potranno che allargarsi.Risorse aggiuntive dovrebbero provenire dalleagevolazioni fiscali concesse ai finanziamentiprivati. Non manca la lode del crowd funding,in realtà copertura anglofona della diffusissimapratica che costringe i genitori ad acquistaremateriali di consumo che le scuole non sonopiù in grado di fornire. Si ribadisce insommal’abdicazione del principio della scuola comeservizio pubblico che lo Stato deve garantirecomunque, sostituito da un malinteso criteriodi efficienza che nella migliore delle ipotesi avràun puro significato contabile, nella peggioreincrementerà pratiche clientelari e abusi di po-tere.Consultare versus contrattareIl 15 settembre tutti i ministri hanno parteci-pato all’inizio dell’anno scolastico. Renzi era aPalermo, dove ha visitato la scuola “don PinoPuglisi”, ma ha rifiutato di incontrare una de-legazione dei precari che lo contestavano. E’ lastessa logica che ispira la consultazione che pre-cederà, tra settembre e novembre di quest’anno,il varo della riforma. Si distribuiranno “kit perle assemblee” degli studenti e dei docenti, maintanto si finge di ignorare che i principalipunti in discussione – dalle modalità di assun-zione alla carriera docente - sono di pertinenzadel contratto nazionale di lavoro. Insomma, sel-fie con tutti, trattative con nessuno. Bella le-zione, prof. Renzi.

A

L

Università

Tutto è cambiatoeppure è uguale

Aurora Caporali

Cattivi docenti,dirigenti solerti

n attesa che “la buona scuola” renzianaprenda corpo, la vecchia è cominciataanche in Umbria nel peggiore dei modi

per i circa 120.000 studenti di ogni ordinegrado. I problemi sono sempre gli stessi: accor-pamenti che determinano sovraffollamento, edi-fici non idonei, calo del tempo pieno, mancanzadi insegnanti. Quest’ultima criticità è aggravatadal fatto che la pubblicazione delle graduatoriedefinitive, da cui attingere per le supplenze an-nuali, ha subito un considerevole ritardo a causadella revisione richiesta e ottenuta, per inter-vento diretto della Presidente Marini, da queiprecari che si sono visti scavalcati da colleghigiunti da fuori regione dopo che una sentenzadella Corte costituzionale ha sancito l’illegitti-mità della norma che imponeva l’inserimento incoda per gli insegnanti che intendevano iscri-versi nelle graduatorie di altre provincia oltre aquella di origine.Oltre al deficit strutturale va segnalato – comecaso emblematico – il provvedimento di sospen-sione dal servizio emesso dall’Ufficio scolasticoregionale nei confronti del prof. Franco Coppoli,dell’Istituto tecnico industriale e geometri diTerni, colpevole di essersi “rifiutato di interrom-pere la lezione” per permettere ad agenti dellaPolizia di stato - con cane al seguito - di effet-tuare controlli antidroga in classe: 12 giorni distop forzato con privazione della retribuzione edetrazione dal computo dell’anzianità di carriera.La vicenda, di cui ci siamo già occupati, risalealla primavera scorsa. Da allora il nostro giudiziorispetto ad operazioni tanto eclatanti quantodannose per la comunità scolastica non è cam-biato e ribadiamo in pieno la nostra solidarietàal docente ternano che ricorrerà al Tribunale acui compete decidere in vertenze di lavoro. Vo-gliamo solo aggiungere due righe in merito allasolerzia con cui il direttore vicario Domenico Pe-truzzo ha accolto in pieno le ragioni del dirigentescolastico, che ha avviato il procedimento disci-plinare, ignorando quelle del docente. Giusto unanno fa, in splendido isolamento, scrivevamoche la soppressione dell’Usr, semplice cinghiadi trasmissione del ministero, non sarebbe statoun gran danno. Avevamo ragione.

I

COMITATO 23 OTTOBREContinua la battaglia per la libertà di Michele

Continua la battaglia per la verità su BrushwoodNon si ferma la solidarietà dei compagni

e degli amici di Michele Fabiani

Sabato 27 settembre Spoletoore 17 biblioteca comunalepresentazione del libro:

OMNIA SUNT COMMUNIABRUSHWOOD VERSUS MONS LUCUSdi Aurelio Fabiani, edito da EraNuova

il nostro grido sarà:Michele libero subito per uno di noiche sta dentro mille lottano fuori

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10p o l i t i c asettembre 2014

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

uando nel 2009 scoppiò lo scandaloper “l’uso privato del pubblico” riscon-trato, al di là degli effettivi risvolti giu-diziari, nella gestione della ex Asl3 di

Foligno, e che portò alle dimissioni dell’alloraassessore alla Sanità, in Umbria molti cittadini,associazioni consumatori e società scientificheiniziarono a riflettere sui modi con cui ammi-nistratori e dirigenti, eletti i primi e pagati i se-condi proprio per garantire un equo accesso aservizi di qualità, possono sostituire i fini di unServizio sanitario regionale (Ssr).Una “conricerca” realizzata nel 2010 dal “Co-mitato per la democratizzazione del nostro serviziosanitario” fece emergere come proprio l’a- zien-dalizzazione della sanità, inappropriata per lecaratteristiche del bene salute e per le specificitàdi un’organizzazione che per produrlo impiegaprofessionisti, avesse mutato la natura del Ssr:nato per favorire la partecipazione dei cittadinialla tutela della propria salute, è stato trasfor-mato in una struttura autoritaria, tecnocraticaed autoreferenziale, dove gruppi di interesse par-ticolare possono esercitare, attraverso dirigentinominati in ossequio al principio di obbedienza,scelte a favore di se stessi.Si è così aperta la cruciale discussione sulleforme possibili di gestione: se in sanità il mododi gestione privato non funziona (non c’è in let-teratura un solo articolo serio che ne dimostrila capacità di tutelare la salute di una popola-zione), quello “pubblico” ne sostituisce i fini gra-zie al degrado raggiunto dalle forme dirappresentanza nella contemporaneità: tra il2013 e la prima metà del 2014 sono state atti-vate in Italia più di 50 indagini giudiziarie con-nesse o a gravi omissioni di interventi come aTaranto e nella Terra dei Fuochi o ad episodi dicorruzione nella gestione di appalti, strutture enell’accesso ai servizi sanitari.Ecco allora svilupparsi una riflessione condivisasulla necessità di promuovere elementi di ge-stione comune della sanità per far si che i citta-dini e soprattutto i loro bisogni di salute e diassistenza riescano finalmente a contare di più,riappropriandosi in primo luogo proprio delcontrollo dei fondi che fanno funzionare il ser-vizio sanitario, che come tutti sanno vengonodalle tasse: in sostanza evitare l’uso privato delpubblico significa fare in modo che noi che pa-ghiamo il servizio sanitario creiamo le condizioniper cui questo lavori per noi.Più fattori hanno concorso alla costruzione diquesto processo di innovazione: in primo luogole lotte per la salute e l’ambiente hanno visto inUmbria nascere e radicarsi molte esperienze dirappresentanza dal basso in cui cittadini espostia rischi involontari per la presenza di inceneri-tori, discariche, cementifici, impianti di produ-zione di energia da biomasse o insediamentiproduttivi o per la semplice utilizzazione di ma-teriali insalubri (es.: plastiche nella refezionescolastica), vedono la propria domanda di saluteevitata e talora irrisa dai servizi di prevenzioneambientale di Asl e Arpa.Oltre all’ingiustizia ambientale anche l’ingiusti-zia distributiva ha dato il suo contributo alla ri-cerca di una migliore sanità, “grazie” alle

sperequazioni che, costruite due Asl grandiognuna quanta mezza Regione, derivano dalfatto che non sono equi i meccanismi di distri-buzione dei fondi ai diversi territori che le com-pongono, segnati da diverse dotazioni di servizie condannati dalla attuale legge regionale a ri-cevere fondi sulla base della spesa storica equindi a restare con i servizi che hanno: si dàdi più a chi ha già di più e si dà di meno a chi hagià di meno, il che spiega bene la lotta di alcunigruppi di interesse locali per conquistare il con-trollo politico sulle direzioni aziendali di Asl edAziende ospedaliere (che godono di ampia di-screzionalità nella assegnazione di risorse) e lareazione di alcuni territori che come nell’Orvie-tano e nel Ternano, sentendosi sovradeterminatied espropriati di risorse e sovranità, hanno for-nito un grande contributo alla nostra proposta.Nel processo di elaborazione collettiva per la ge-stione comune della sanità hanno avuto il loropeso anche le indicazioni di prestigiosi econo-misti, come Elinor Ostrom, Nobel 2009 perl’economia, che con i suoi studi ha fatto emer-gere alcune condizioni attraverso cui delle co-munità, in contesti e campi di attività diversi,sono riuscite a mantenere vive ed efficienti neltempo esperienze di gestione, dimostrando cheoltre al privato e al pubblico, esiste e può fun-zionare la gestione comune di bene collettivi.

Per la Ostrom un common non si esaurisce se:1) la comunità che lo gestisce assume una chiaradefinizione delle sue possibilità e dei suoi limiti;2) le regole in uso sono adeguate alle esigenze edalle condizioni locali;3) tutti gli individui tenuti a rispettarle possonopartecipare alla modifica delle stesse;4) il diritto della comunità a stabilire le proprieregole è rispettato dalle autorità esterne;5) esiste un sistema in grado di auto monitorare ilcomportamento dei membri;6) opera un sistema di sanzioni progressive;7) i membri della comunità hanno accesso a mec-canismi di risoluzione dei conflitti a basso costo.Su queste basi nell’autunno 2012 abbiamo pre-sentato proposte per migliorare la legge regio-nale di organizzazione del Servizio sanitario re-gionale: se non siamo riusciti a migliorarnel’impianto durante l’iter di approvazione, ab-biamo ottenuto che un ordine del giorno dei ca-pigruppo della maggioranza in Consiglio Regionale(del. 185 del 6/11/2012) impegnasse la Giuntaa valutare la possibilità di procedere ad una ri-partizione del fondo sanitario analoga a quellada noi richiesta, entro i tre anni di attività dellalegislatura regionale.Per rafforzare questo indirizzo istituzionale, ab-biamo quindi promosso nell’autunno inverno2013-2014, una campagna di raccolta di firme

per una legge di iniziativa regionale che modi-fichi alcuni articoli della vigente legge di orga-nizzazione del Ssr, concentrandoci proprio sugliaspetti del finanziamento, della programma-zione e valutazione partecipata e della assegna-zione a chi nei territori vive e lavora di strumentiper concorrere al governo di tutti i servizi chepure finanzia, al fine di ricevere una appropriatarisposta ai propri bisogni di salute e di assistenza (http://isdeumbria.wordpress.com/proposta-di-legge-di-iniziativa-popolare/). La campagna è stata supportata da una forteiniziativa dal basso tra quanti condividevano ilproblema, creando una tanto eterogenea quantofunzionale aggregazione di soggetti ( molti co-mitati territoriali, alcune associazioni di citta-dini - tra cui Terre Nostre - e di attivisti sociali,parti di partiti politici – il Pdci dell’Orvietanoe del Ternano che ha aperto una riflessione sullagestione comune nello sforzo di innovare i pro-pri orizzonti programmatici – società scientifi-che come Isde, singolarità, ecc), portando allacreazione di una rete regionale che ha raccoltole tremila (3000) firme necessarie, con ciò di-mostrando che tematiche concettualmenteastratte possono divenire oggetto di condivi-sione ed iniziativa politica da parte di ampi set-tori della popolazione, ove rispondano aproblemi reali. Giovedì 10 luglio si è svolta laprima audizione, in cui siamo stati ascoltatidalla prima e terza commissione consiliare riu-nite in seduta congiunta (http://www.consi-glio.regione.umbria.it/informazione-e-partecipaz ione/2014/07/10/san i ta -potenz ia re -partecipazione-e-trasparenza-modificare-l);dopo l’audizione, alcuni consiglieri hannoespresso pubblicamente interesse, una atten-zione di cui li ringraziamo. Ora si tratta di continuare a sviluppare la co-struzione di quella rete di relazioni e alleanze tracomitati che lottano su salute e ambiente, ter-ritori che si battono contro l’ingiustizia distri-butiva e gli altri movimenti che attraversanocon le loro istanze di democrazia la nostra so-cietà: in particolare in questo momento, oltrealle relazioni già acquisite è molto importante sol-lecitare prese di posizione da parte dei sindaci edelle amministrazioni comunali, che moltospesso si vedono scavalcati dalle decisioni as-sunte sulla sanità dei loro territori e possonoquindi rappresentare ulteriori alleati, puntandoa far prendere posizione all’Anci regionale.Prendere il controllo dei servizi che pure pa-ghiamo è un processo lungo e difficile, che vedele élites ed i loro rappresentanti schierati per im-porci i loro sporchi (è il caso di dirlo!) interessie espropriarci della ricchezza che produciamoin comune, in un crescendo di attacchi quoti-diani alla nostra vita ed alla qualità del nostroambiente che svuota di senso la prima e devastail secondo, al solo fine di fare ancora più soldi.Alla pochezza delle élites e delle forze politicheche le servono, rispondiamo arricchendo ognigiorno di più la nostra capacità di gestire in co-mune vita, salute e ambiente.

*Comitato promotore proposta di leggedi iniziativa popolare ([email protected])

Sulla legge di iniziativa popolare per democratizzareil nostro servizio sanitario

Noi lo paghiamo,per noi deve lavorare!

Carlo Romagnoli*

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La nuova “emergenza”L’ultimo di quei processi che ci si ostina a chia-mare “emergenza profughi” inizia con una cir-colare del Ministero dell’Interno, datata 9gennaio 2014, in cui si palesa “la necessità di re-perire ulteriori strutture di accoglienza nellemore dell’approvazione della graduatoria perl’attivazione dei nuovi posti Sprar per il triennio2014/2016, che consentiranno l’ampliamentodella capacità ricettiva con una disponibilità dioltre 21 mila posti di accoglienza”. In risposta algrande afflusso di cittadini stranieri in fuga daipropri Paesi, che richiedono protezione interna-zionale in Europa, il Governo italiano ha cosìpredisposto l’ampliamento del Servizio di pro-tezione per richiedenti asilo e rifugiati per iltriennio di riferimento. Lo Sprar è un sistema,gestito da un ente denominato Servizio centraleche è finanziato in buona parte dai fondi Fer del-l’Ue (destinati esplicitamente all’accoglienza e al-l’inserimento dei rifugiati in Europa) e si occupadi disseminare le tante persone che arrivano aiconfini dell’estremo sud in tutto il Paese. Il si-stema Sprar esiste, e funziona senza intoppi, dal2001. Per essere beneficiari di un progetto Sprarè necessario aver richiesto lo status di protezioneinternazionale al ministero competente: una per-sona che arrivi in Italia per lavorare, o la cui ri-chiesta di asilo venga rigettata, non ha diritto adaccedere né a restare all’interno di un progetto,che peraltro ha una durata massima di circa dueanni al termine dei quali la persona accolta do-vrebbe, almeno in linea teorica, essere in gradodi sostenersi da sé ed essere sufficientemente in-tegrata nel tessuto sociale da poter perseguire ilproprio progetto di vita autonomamente. Laprima “emergenza” è stata quella del 2011, la co-siddetta Emergenza Nord Africa (Ena), in cui ilMinistero disponeva delle misure di tutela ecce-zionali per le persone in fuga dalla guerra diLibia, “affluite nel territorio nazionale dal 1 gen-naio alla mezzanotte del 5 aprile 2011”, data del-l’accordo col governo tunisino che alleggerivaquello italiano da grosse responsabilità di frontealla comunità internazionale, quali respingi-menti, espulsioni e detenzioni non giustificabilinei Cie. Le misure di assistenza, come pure i per-messi di soggiorno, avevano durata di sei mesi;sono stati prorogati per sei mesi, poi per ulteriorisei mesi. L’Ena è stata dichiarata chiusa il 18 feb-braio 2013: i prefetti delle singole province sonostati nominati responsabili della prosecuzionedelle misure d’assistenza ed inserimento, se-condo l’unico criterio della disponibilità delle ri-sorse. Tutto al di fuori del circuito Sprar. L’ultimaemergenza, quella datata 2014, affida nuova-mente alle Prefetture il compito di individuarele strutture ricettive atte ad ospitare i nuovi ri-chiedenti asilo.

Lo stipendio del profugoPer la nuova “emergenza” si prevede dunque dinon oltrepassare il Servizio centrale come avve-nuto per l’Ena, quanto piuttosto di ampliarnela ricettività. L’averlo scavalcato, nel 2011, hacreato una situazione per cui, fiutando l’affare,numerosi albergatori nostrani e strutture di ac-coglienza improvvisate, che non garantivano ilminimo dei servizi richiesti dal Ministero, inta-scavano tutto il corrispettivo che il Governo è

tenuto ad erogare per ogni persona ospite. Laconvenzione che viene stipulata con enti ed as-sociazioni che si fanno carico dell’accoglienzadei rifugiati prevede, praticamente da sempre,“l’affidamento del servizio di accoglienza per unimporto massimo di 30 euro oltre Iva e che com-prenda, oltre vitto (rispettoso dei principi e abi-tudini alimentari) e alloggio, la gestione ammi-nistrativa degli ospiti, l’assistenza generica allapersona compresa la mediazione linguistica, l’in-formazione, primo orientamento ed assistenzaalla formalizzazione della richiesta di protezioneinternazionale, il servizio di pulizia, la fornituradi biancheria e abbigliamento adeguato alla sta-gione, prodotti per l’igiene, pocket money di 2,5euro al giorno, una tessera/ricarica telefonica di15 euro all’ingresso”. Nei 30 euro al giorno chel’ente riceve per ogni ospite gravano tutti i costidi cui sopra, nonché gli stipendi di operatori,mediatori, insegnanti di italiano, coordinatoridi progetto e di tutti quelli che a qualche titololavorano all’interno del progetto Sprar. Da quelle poche righe, che si ripetono pratica-mente identiche in ogni circolare di avvio deiprogetti o delle cosiddette emergenze, prendonoavvio da un lato il grande indotto dell’acco-glienza di richiedenti asilo, che alcuni hannochiamato non a torto business; dall’altro la se-quela di leggende propagandistiche come quella- ormai padrona - dello “stipendio da rifugiati”,secondo cui il Governo eroga ad ogni richiedenteasilo in Italia uno stipendio di 45 euro al giorno.Alcuni estendono il privilegio addirittura ai“clandestini”, forse credendo che sia possibilefare una richiesta di protezione internazionalesenza lasciare le proprie impronte in questura, esenza un documento che permetta il soggiornonel Paese cui ci si rivolge. Ora, se i progetti Sprar funzionano in manieraabbastanza trasparente, tanto che ognuno puòaccedere, semplicemente navigando sul web, airegolamenti, alle circolari e persino alle comuni-cazioni che definiscono il numero di persone dadestinare ad ogni territorio o progetto, lo stessonon si può dire degli stati emergenziali che dasempre, nel mix di confusione normativa e in-

genti stanziamenti di risorse, fanno la felicitàdegli speculatori italiani in ogni possibile campodi applicazione: dai grandi expo, alle ricostru-zioni, sino al relativamente nuovo business del-l’accoglienza.

Il razzismo è la vera emergenzaCon una circolare del 19 marzo 2014, il Mini-stero dell’Interno torna a chiedere alle Prefetturedi “attuare un ulteriore piano straordinario di di-stribuzione”, che oltrepassi di nuovo la rete Sprarin attesa che si riesca ad ampliarne la portata deiprogetti. Nello stesso documento vengono indi-cate le destinazioni possibili in cui reperire lestrutture d’accoglienza “straordinarie”: in tuttoil territorio regionale si indica la necessità di re-perire 40 posti nella provincia di Terni e null’al-tro. Si consiglia peraltro di non superare ladurata contrattuale del 30 giugno 2014, in vistadi una possibile soluzione non emergenziale dellafaccenda. Quando parliamo della nuova emer-genza profughi in Umbria, dunque, deve esserechiaro che stiamo parlando - al momento - dicirca 40 persone.Ma c’è un’altra emergenza, che invece bisogne-

rebbe riconoscere e trattare come tale: gli italianisono istituzionalmente razzisti. Lo dimostra lastampa, che pare non aver mai ricevuto notiziadell’esistenza della Carta di Roma e insiste neldare rilievo a notizie del tutto marginali, quandonon ridicole, che mai avrebbero spazio se non cisi fosse inventati la necessità di fare degli stranieriil capro espiatorio di cui gli italiani hanno oggibisogno. Nel corso dell’estate abbiamo letto suimedia locali titoli come “Terni: lancia oggetti dalbalcone, denunciato iracheno” (umbrialeft) o“Tre litigi tra stranieri in poche ore” (umbria24).Lo dimostrano le dichiarazioni pubbliche di sog-getti che si suppone abbiano un dovere morale,almeno a livello istituzionale, nei confronti diuna società che fa comprensibilmente semprepiù fatica a capire il fenomeno migratorio: la no-vità dell’anno, di cui l’Umbria può vantare l’ori-gine ma che ha buone possibilità di attecchirealtrove in breve tempo, è che gli enti che si oc-cupano di accogliere i richiedenti protezione in-ternazionale, quegli stessi che percepiscono ifamosi 30 euro al giorno per ogni ospite, non sifanno scrupoli nell’attaccare pubblicamente ipropri ospiti, dichiarando ai giornali di cui soprache “sono viziati” e che “si ipotizzano cose nonlegittime come il subaffitto dei posti letto”. Lavera emergenza è in questa dichiarazione diguerra della società civile agli stranieri che vivonoin Italia, che non trovano più udienza neanchein coloro che avrebbero – quantomeno per sta-tuto e perché ci guadagnano – un certo doveremorale nei loro confronti. Il tutto accade mentrela Regione Umbria firma protocolli d’intesa con-tro le discriminazioni, lavora alla costituzione disistemi di rete antidiscriminazioni e distribuiscefondi ad enti e associazioni che si occupano diintegrazione ed assistenza ai migranti. L’accoglienza dei richiedenti asilo è ben finan-ziata e non toglie nulla agli italiani; la grandeparte degli immigrati in Italia e in Umbria è co-stituita da donne, che non finiscono sui giornalie spesso lavorano nelle case dei nostri anziani;una buona parte di quelli che la stampa definiscestranieri non parlano più la lingua dei propripaesi d’origine, essendo in Italia sin dall’infanzia.La vera emergenza: si può davvero essere così esa-sperati da non trovare altra forza se non quelladi inventarsi un nemico che non esiste?

11s o c i e t àsettembre 2014

Profughi

Il business dell’emergenzaAlessandra Caraffa

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arce sepulto, “perdona chi è morto e se-polto”, scrisse Virgilio, e lo stilemapassò in proverbio. Per don Gelmini,

il prete antidroga ridotto allo stato laicale, fon-datore della Comunità Incontro, non si è aspet-tata la sepoltura, è bastata la notizia della mortee più che un perdono è stata una apoteosi, unaanticipata beatificazione. Nel sito della Comu-nità una grandissima foto lo salutava “CiaoDon”, mentre le note dell’Alleluja di Haendelrisuonavano nella camera ardente e il cordoglioinvadeva tutto l’orbe terracqueo. Né mancavanel sistema politico-mediatico chi vedeva in-torno al morto l’aura e l’aureola del martirio:Gasparri, per esempio, parlava di persecuzioni.Tv e giornali, quasi imbeccati da veline, hannoglissato compatti sul passato del personaggio,pur ricordando il processo che lo vedeva impu-tato per abusi sessuali contro alcuni giovaniospiti della Comunità, ma di sfuggita, come cosadi scarsa importanza. Le testate più destrorse pe-raltro, concordi nel dichiarare inconsistenti leaccuse, hanno dato spazio all’autodifesa del de-funto o alle parole dei suoi avvocati: Gelmini altempo del rinvio a giudizio aveva parlato di unacongiura di “toghe rosse” e “poliziotti infami” egli avvocati hanno sempre insistito sulla inatten-dibilità degli accusatori collegandola alla richie-sta di un risarcimento. L’innocenza del preteoramai è destinata a rimanere presunta, mai pro-clamata in giudizio; ma le cronache del tempo(2007) raccontano di una istruttoria scrupolosache passa al setaccio le 52 convergenti testimo-nianze di accusatori, riducendole ad una doz-zina, quelle più convalidate da riscontri pro-batori.Processo a parte, i media parlano di “una vita afianco dei tossicodipendenti”, fin da quando nel1963 un poveretto gli chiede: “zì prete, aiu-tami”; così rimuovono gli alti e i bassi di un per-corso tra la polvere e l’altare. In verità era il 1969e Gelmini era uomo fatto (44 anni, prete daventi), segretario del cardinale Copello, già arci-vescovo di Buenos Aires, passato alla Curia va-ticana come Cancelliere di Santa RomanaChiesa, quando arriva la prima condanna (tremesi per assegni a vuoto). Nello stesso annocompra una bella villa a Casal Palocco. Ma nonpuò godersela: i carabinieri lo arrestano propriolì il 13 novembre, trovando in giardino la sua Ja-guar: è accusato di truffa per il fallimento di unacooperativa edilizia affiliata alle Acli, di cui è te-soriere, ed è coinvolto nell’inchiesta su una dittadi import-export tra Italia e Argentina da lui co-stituita. Ripara nel Vietnam del Sud, amico dellavedova di Diem, il dittatore filoamericano assas-

sinato nel 1963, e di un fratello di costui, arci-vescovo; ma quando il prelato e la signora lo ac-cusano di appropriazione indebita, preferiscetornare in Italia e scontare in carcere la con-danna irrogata in contumacia. Risale agli anni ‘70 l’impegno per i drogati checulmina nella costituzione della Comunità In-contro e nell’acquisizione del terreno ad Amelia,intorno a un frantoio abbandonato, il MulinoSilla. Nasce da qui l’impero di Gelmini, abilis-simo nel trovare sponsor e denaro: in una ven-tina di anni le comunità si diffondono nelmondo; in Italia dopo il 2000 se ne contano162. Vantano 11 mila ospiti, ma forse il calcoloè esagerato, se il governo parla di 12 mila in tuttele 730 comunità censite in Italia. La gloria diGelmini è esaltata da amicizie altolocate: papaWojtyla, che adora i personaggi carismatici sep-pure un po’ bizzarri e durante il Giubileo acco-glie i rappresentanti delle Comunità Incontro;cardinali importanti; un prete televisivo assaipresente nell’anno giubilare; e, fuori dal circuitoreligioso, Sua Emittenza Berlusconi, che aspiraa un potere politico incontrastato, finanzieri, co-struttori, tanti uomini politici, non solo di de-stra. Non ha solo amici: le operazioni ediliziespregiudicate, un potere assoluto sulle comunitàe un antiproibizionismo senza incrinature gliprocurano ostilità. Nel mondo ecclesiastico nonapprezzano la sua megalomania. Già dal 1963aveva cominciato a farsi chiamare Monsignoresenza esserlo e il Vaticano lo aveva più volte dif-fidato; nel 1988 Gelmini, pur essendo sacerdotedi rito latino, aderisce a una Chiesa cattolica dirito orientale, quella melkita, che lo insigniscedella dignità di Esarca Mitrato. Non è caricaequivalente all’episcopato come va raccontando- a un Concilio ecumenico non potrebbe parte-cipare - ma durante le funzioni porta la mitra intesta. Il trionfo coincide con i fasti del berlusco-nismo: ospite acclamatissimo in tutte le feste diregime, Gelmini è tra i principali sostenitoridella stretta proibizionistica della legge Fini-Gio-vanardi e Berlusconi in persona va a trovarlo,staccando assegni milionari. Le solidarietà poli-tiche non cessano quando lo scandalo sessualedi cui già si chiacchierava si traduce in un’ampiainchiesta, anzi si costruisce una sorta di parallelotra il calvario di Berlusconi e quello di Gelmini. Ma con Ratzinger a Roma l’aria è cambiata e siaccentua nei confronti di Gelmini l’ostilità delvescovo di Terni, Paglia. Quando si diffonde lanotizia della “riduzione allo stato laicale”, i suoiprecisano che lo ha chiesto il Don per difendersimeglio, ma lui sbotta: “Rigetto il concetto delVaticano come centro religioso: è un centro po-

litico, qualche volta ambiguo e fuorviante. Altracosa è la chiesa di Cristo... Gli intrallazzi nonsono fede. Bisogna tornare a Cristo non al ce-saro-papismo... Monsignor Paglia non ha alcunagiurisdizione su di me, per me è zero. Io appar-tengo alla chiesa cattolica melchita. Il mio supe-riore è il patriarca Gregorio III. Per me Paglia èsolo il portalettere del Vaticano. Qui non deveprovare a mettere piede...”. A Roma aumentanole perplessità e si comincia a mettere in discus-sione il sistema di recupero dei tossicodipen-denti inventato dal Don, la Cristoterapia, che anon pochi pare una mescolanza impropria trasacro e profano. Sconterà con un relativo isola-mento queste prese di distanza. La morte di Gelmini arriva in un contesto mu-tato: il rigido Ratzinger non è più papa, l’odiatoPaglia è stato rimosso senza essere stato pro-mosso cardinale e ne sono note le allegre finanze.Al funerale il nuovo vescovo, Piemontese, affidaa Dio il giudizio sugli eventuali peccati del Don,ma parla per gli ultimi anni di “salita umile, do-lorosa”. Il concelebrante, Ercole, l’amico pretetelevisivo divenuto nel frattempo vescovo, netraccia il panegirico. Il sindaco di Amelia pro-mette di far costruire un mausoleo a MulinoSilla. Il tutto tra sventolio di bandiere e musichedi alleluja. A sorpresa, intanto, a visitare la salma era passatodon Luigi Ciotti, il prete del gruppo Abele e diLibera, antiproibizionista e sostenitore della ri-duzione del danno. Ha detto: “Siamo diversi,ma nella Chiesa la diversità è ricchezza. E poi hasalvato tante vite umane”. Sulla diversità non cisono dubbi: nel gruppo Abele, formato da per-sone di diversa fede religiosa o filosofica, il recu-pero è basato su un percorso di libertà e diresponsabilità personale, la Cristoterapia è unapedagogia autoritaria con annesso culto dellapersonalità e con pratiche di lavaggio del cer-vello. Quanto al salvataggio di vite è vero cheGelmini può vantare numerosi recuperi, ma nongiova dimenticare i morti che fanno le politicheproibizionistiche di cui era paladino. Perché al-lora Ciotti ha fatto questo gesto? Ritengo che siapolitica. La svolta francescana del nuovo Papaha dato legittimità e perfino centralità a espe-rienze che erano state marginalizzate o addirit-tura emarginate (la Teologia della Liberazione inSud America) dal conservatorismo di Wojtila eRatzinger, ma vuole evitare rotture.Il parce sepulto di Ciotti è diretto non solo versoil Don che è defunto, ma verso le posizioni piùretrive della gerarchia che sembrano perderecolpi. Ma forse si sbaglia, non è detto che quelleposizioni siano sconfitte.

12s o c i e t àsettembre 2014

La morte di Pierino Gelmini

Apoteosi di un DonSalvatore Lo Leggio

P

Contrastoalla drogaBuonenotizieP.L.

uona notizia il via libera alla produ-zione di farmaci con cannabinoidipresso l’Istituto chimico militare di Fi-

renze. Una buona notizia può essere l’arrivo aPerugia del nuovo prefetto Antonella De Miro:“La mia missione è la sicurezza perché sono unprefetto a tutto tondo e non solo il prefettodell’antimafia”. Siamo d’accordo, tutti vo-gliamo la sicurezza, obiettivo di ogni comunitàma sventolare lo spauracchio della repressione,bastone e carcere, è sempre stato un simulacrodelle destre che vogliono imporlo con partiti euomini d’ordine. Il fallimento del proibizioni-smo e delle sue politiche repressive sta tutto qui.Speriamo che il nuovo prefetto lo tenga pre-sente. Comunque tanti auguri. Una buona no-tizia è lo strepitio isterico del senatore CarloGiovanardi, l’ultimo giapponese dell’ormai di-sfatto esercito proibizionista. Patetico, ranco-roso e omofobo in dosi massicce tanto dadivenire una maschera grottesca: E come avvien,quand’uno è riscaldato, / che le ferite per allor nonsente; / così colui, del colpo non accorto, / andavacombattendo ed era morto. Buone notizie, infineda Perugia. Qualcosa si sta muovendo dopol’incredibile arrendevolezza e mancanza di ini-ziativa sociale e politica di contrasto alla drogache ha coinvolto per anni amministratori e po-litici perugini. Ora sono in molti ad aver scoperto l’acquacalda cioè che la città va vissuta dai cittadini senon la si vuole lasciare in mano allo spaccio.Una regola elementare già praticata a Perugiadalle iniziative dei giovani del progetto PaulBeathens che negli anni scorsi hanno dato vitaa piazza Grimana alle due edizioni di Il miomitra è un contrabbasso musica e convivialitàtutto realizzato con pochi mezzi ma molta effi-cacia. Stesso discorso per Tutta n’altra Perugiamanifestazione svoltasi in contemporanea adEurochocolate 2012. Per corso Vannucci il con-sumismo sfrenato, a piazza Grimana concerti,dibattiti, assemblee, artisti di strada e cibo evino di buona qualità offerto a prezzi stracciaticome valore sociale e culturale. Partiamo dalbasso per ripensare la nostra città: tutta n’altraPerugia. In tre settimane di manifestazioni nes-sun incidente, niente spaccio in una delle zonepiù calde della città. Messaggi efficaci e con-creti, colpevolmente non recepiti a tempo de-bito da amministratori e politici. Ora sembrache ci sia un tentativo di reazione. La cena an-tidroga organizzata dall’associazione Perugianon è la capitale della droga insieme a Curia,Comune e ristoratori all’inizio di settembre nonè che una delle tante iniziative. Criticabilequanto si vuole ma indicativa di una volontà direazione cittadina di fronte al problema droga.Tanta passerella cittadina, se si vuole, e anchequalche sorpresa tra i partecipanti. Tra vescovi,ex assessori della giunta Boccali e assessori dellagiunta Romizi, tra commis pubblici e impren-ditori merita una citazione la consigliera regio-nale Maria Rosi, già santagiovanna d’arco delproibizionismo umbro amica e referente localedi Serpelloni il braccio destro di Giovanardi.Fulminata sulla via di Damasco scende inpiazza insieme agli antiproibizionisti. Megliotardi che mai.

B

Page 13: L’autunno Tanta melina niente progetto I · feriore a quella nazionale, come la capacità di attrarre investimenti e di penetrare nei mercati esteri. Né c’è da confidare circa

a Filosofia del diritto di Hegel collocanella sfera dell’eticità la triade dialet-tica famiglia, società civile, stato,

inaugurando un dibattito che - dalla Questioneebraica di Marx - pone la relazione tra i due ul-timi termini al centro delle dottrine politiche edell’organizzazione degli Stati moderni. La ten-denza ad annullare la società civile nello stato èuno dei tratti costitutivi del concetto di totali-tarismo novecentesco, coniato da HannahArendt per descrivere l’annullamento della vitaactiva, ovvero della capacità di azione politicadell’individuo-cittadino. L’analisi ha però gene-ralmente trascurato il terzo termine della triadehegeliana, la famiglia. Considerandolo inveceuna chiave di lettura innovativa della dinamicadi quei regimi, Paul Ginsborg prova a colmareil vuoto con un’opera singolare: Famiglia Nove-cento. Vita familiare, rivoluzione e dittature (Ei-naudi, Torino 2013), in cui con la consuetaabilità di storico-sociologo traccia il profilo dialcuni regimi del XX secolo dal punto di vistadella situazione e dell’evoluzione della famiglia:la Russia dal 1917 a Stalin, la repubblica turcadi Kemal, l‘Italia fascista, la Spagna della guerracivile e poi di Franco, la Germania nazista. Oltrealle consuete fonti pubblicistiche e statistiche,Ginsborg si avvale di tre angolazioni particolari.Prima di tutto l’aspetto biografico-personale:per ogni nazione ci sono “testimoni di ecce-zione”, come Alessandra Kollontaj, Inessa Ar-mand, Halide Edib, Filippo Marinetti, AntonioGramsci, Margarita Nelsen, Joseph Goebbels, esi affronta il rapporto - spesso difficile - dei dit-tatori con la famiglia. In secondo luogo si nar-rano le vicende di famiglie normali sconvoltedalla storia: ebrei sotto Hitler, famiglie repub-blicane o franchiste che capitano dalla parte sba-gliata nella guerra civile, famiglie comunistedistrutte da Stalin. Infine, le politiche familiariadottate dai diversi regimi vengono misurate se-condo l’incidenza sulle strutture socio-culturalipreesistenti: dal dvor russo ai braccianti spa-gnoli, dai mezzadri toscani agli operai sradicatidella Pietroburgo prerivoluzionaria. Seguendoqueste piste l’analisi comparativa di Ginsborgesamina le modificazioni del diritto di famiglia,le proposte “alternative” di organizzazione fa-

miliare, il dibattito teorico sul tema.E’ nei primi anni sovietici che si affacciano leipotesi più rivoluzionarie di riforma degli assettidella famiglia. Anche se l’idea di libertà sessualee di riorganizzazione su base comunitaria dellaKollontaj non trovano molti riscontri, la rivo-luzione agisce a fondo nel campo del diritto fa-miliare e dell’emancipazione femminile. Lecatastrofi sociali che accompagnano la guerra ci-vile non spiegano da sole il blocco dell’evolu-zione in questo senso: la contraddizione difondo è tra il progetto di liberazione e la pretesadi realizzarlo attraverso una spasmodica mobi-litazione sociale rigidamente guidata dall’alto.Lo stalinismo porta questa tendenza al parossi-smo, ma anche nella radicale distruzione dellasocietà civile, accompagnata dal recupero diesplicite pratiche paternalistiche, la famiglia co-struisce forme di resistenza, mentre la tendenzaall’emancipazione della donna appare irreversi-bile. Molto interessante è l’esperimento turco.Per costruire uno stato moderno, dopo la lungaguerra esterna e interna, Kemal Ataturk annettegrande importanza alla famiglia nella moderniz-zazione dall’alto del paese: la sua idea di sosti-tutire le strutture familiari arcaiche con il mo-dello nucleare occidentale raggiunge il culminecon l’adozione nel 1926 del diritto familiare invigore in Svizzera. Esso prevede un manteni-mento esplicito del ruolo dominante del padredi famiglia, ma consente opportunità primainimmaginabili per moglie e figli. I risultati sono contraddittori, ma il tema è af-frontato con decisione, cosa che non si puòcerto dire per quanto riguarda la repubblica spa-gnola, dove a parte l’insistenza di alcune pioi-niere del femminismo come Margarita Nelsen,la tematica dell’emancipazione femminile e deldiritto familiare non è così sentita, neppure lad-dove in altri ambiti prevalgono opzioni radical-mente palingenetiche: gli anarcosindacalisti,così popolari tra le masse contadine, difendonosempre a spada tratta la famiglia così com’è. Ilruolo sacrale e sociale della famiglia patriarcalesarà poi eretto a sistema da Francisco Franco,l’unico dei dittatori qui considerati ad avere unavita familiare “normale”.Nell’esperienza contraddittoria di Marinetti,

spregiatore prima e fedele sostenitore poi dellafamiglia, si riscontrano tutte le contraddizionidel fascismo, che come regime oscillerà tra mo-dernizzazione e passatismo. Sul piano della ri-flessione teorica, agli accenni di Gentile circa lanecessità, di “superare” la famiglia nello Stato,si contrappone la riflessione peculiare di Gram-sci che, prima e durante il carcere, insiste nelconsiderare la famiglia come un decisivo “or-gano di vita sociale”.Pur partendo da premesse simili e perseguendoobiettivi analoghi al fascismo, il regime nazistaè molto più coerente e determinato nel inserirela famiglia nella comunità di popolo (Volksge-meinschaft). Da un lato quindi il nazismo -dopo aver discriminato gli indesiderabili su baserazziale, fisica e politica - si appoggia sul mo-dello prevalente di fami-glia, a forte improntapatriarcale (per Horkhei-mer base essenziale delconsenso al nazismo), so-stenuta attraverso politichedi welfare, dall’altro cercadi integrarne i membrinelle organizzazioni dimassa, cosa che comunquenon manca di creare fri-zioni.In termini generali, sotto-posta alla cartina di torna-sole della famiglia, la ca-tegoria di totalitarismo ap-plicata estensivamente amolti regimi della pri- mametà del novecento, non trova una piena con-ferma, e per diverse ragioni. In primo luogo sultema, essenziale per il fine della penetrazionepervasiva nella società civile, sono carenti sia lariflessione di carattere teorico che un quadro diriferimento generale dell’azione; quasi solo inUrss, e in forma comunque marginale, vi è qual-che tentativo in questo senso. Certamente tuttii regimi considerati tendono ad adottare un“doppio binario”, reprimendo determinate ca-tegorie e sostenendone altre, secondo criteri raz-ziali, religiosi, o politici. Ma l’obiettivo comunedel controllo della società civile si esplica attra-

verso strumenti giuridici, istituzioni e pratichemolto differenziati e non sempre coerenti ancheall’interno delle stesse nazioni. Emerge chementre nei casi dell’Urss e della Turchia l’effettodelle politiche familiari è “oggettivamente” pro-gressista, specie nell’emancipazione femminile,fascismo, nazismo e franchismo si muovono inuna direzione opposta. Il nodo contro cui tuttii tipi di regimi si dibattono è quello dell’auto-nomia della società civile, negata a priori (aparte la breve stagione dei soviet) e sostituita dauna mobilitazione e tensione continua che con-fluisce nella catastrofe distruttiva della guerra.Ma questa estrema tensione, che raggiunge ilparossismo forse nella Russia stalinista, non rie-sce mai a diventare onnicomprensiva. Ginsborgfa notare come tutti i teorici del totalitarismo, a

cominciare da HannahArendt, abbiano trascurato ifaticosi ma spesso efficacistrumenti di resistenza messiin atto dalle famiglie control’eliminazione degli spazi diautonomia, rivelandosi unarealtà molto più vitale e fortedi quanto i teorici tanto rivo-luzionari quanto reazionari sisarebbero mai aspettati. E’ questa la conclusione piùconvincente di un libro tantoricco di spunti interessanti,quanto talvolta dispersivo,perché i dati specifici, già diper sé eterogenei, sono appe-santiti da troppo dettagliate

descrizioni di storia politica generale. Sarebbecomunque interessante estendere la compara-zione ai regimi liberali coevi (e successivi); nonè detto che le politiche familiari, demografiche,di welfare, si muovessero (e si muovano) su per-corsi tanto dissimili da quelli prodotti dalle dit-tature esaminate da Ginsborg. Lo storico inglesedice giustamente che nessun totalitarismo haraggiunto la pervasività distruttiva prevista daOrwell in 1984; possiamo aggiungere che nes-suna democrazia ha fatto a meno di alcune delleforme di controllo sociale - palesi o occulte - delgrande fratello.

Politiche sociali tra rivoluzione e dittatura

Regimi familiariRoberto Monicchia

13c u l t u r asettembre 2014

L

Nei casi dell’Ursse della Turchial’effetto delle politichefamiliari è “oggettivamente”progressista, specienell’emancipazionefemminile, fascismo,nazismo e franchismosi muovono in unadirezione opposta

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14c u l t u r asettembre 2014

i può attraversare unacittà, le sue strade, le suepiazze, i suoi edifici, senza

ascoltarne i suoni profondi, senzariconoscerne i segni delle genera-zioni, sordi e ciechi consumatori dimerci “culturali”. Resteranno leimmagini già note dei clichés turi-stici e nel migliore dei casi un di-stratto stupore inconsapevole. È lasindrome, non più di Stendhal, madell’“idiota del viaggio”, di una cul-tura ridotta a mediocre intratteni-mento. Sfugge nella maniera piùradicale e appassionata a questa pri-gione indotta o volontaria il pre-zioso baedeker che la poetessa um-bra Anna Maria Farabbi ha dedi-cato alla città in cui vive (Perugia,pp. 97, collana «Le città letterarie»,Unicopli, Milano 2014). In forma di guida originale e per-sonale, un viaggio di attraversa-mento della stratificazione architet-tonica e storica della città umbro-etrusca, medievale, rinascimentalee ottocentesca, della sua imponentescenografia verticale, di piazza inpiazza, tra le vie e i borghi, a partiredal “cuore liquido della città”, laFontana Maggiore, nella piazzacentrale della civiltà comunale, trail Palazzo del Comune e il Duomo:la scena principale della storia ci-vile, dei conflitti, della lotta tra leclassi, sferzata dal vento taglientedella tramontana. Una città che “hauna forza dentro”, per usareun’espressione che Aldo Capitiniaveva attribuito all’Umbria in unasua presentazione della città, Peru-gia, del 1947, e di cui Perugia è sin-tesi imponente: una forza terrena einteramente umana, “forza internae complessa” - aggiunse WalterBinni in uno dei suoi numerosiscritti perugini e umbri - di unacittà cresciuta su se stessa per ag-giunte, consapevole del valore dellapropria storia e delle sue espe-rienze. E in compagnia di Capitini e

Binni, che amarono profonda-mente la loro città e seppero ve-derla, Anna Maria Farabbi laattraversa incontrando luoghi,ascoltando voci (Louise Colet, lepoetesse Alinda Bonacci Bruna-monti e Vittoria Aganoor, Natha-niel Hawthorne, Carlo Goldoni, lostorico democratico Luigi Bonazzi,Henri A. Taine, Henri James, i bor-ghi popolari…), facendosi attraver-sare a sua volta da un canto coraleche viene da lontano e impone lasua presenza. Si compone così, conpassione e leggerezza, curiosità ecommozione, un’immagine a piùdimensioni della città, in colloquiocon chi ne attraversa le vie e le

piazze, e che sa rispondere con ge-nerosità, dandosi con amore e ri-gore, a chi ne percepisce la concretae antica “compresenza” di morti eviventi, di passato e presente, digrande storia e vite quotidiane.Emergono così, segnate nel corpovivo della città, le grandi creazionidella terrena spiritualità umbra nelcorso del tempo: dall’ellenismoetrusco al comunitarismo medie-vale, dal Risorgimento democraticoe anticlericale all’antifascismo che

ebbe in Perugia dalla metà deglianni trenta un centro attivo di co-spirazione e progettazione demo-cratica. Dal luogo più alto dellacittà, la torre campanaria del Co-mune, Capitini promosse il suoprogetto “liberalsocialista” (“mas-simo socialismo, massima libertà”secondo la formula sintetizzata daBinni) e i suoi esperimenti di de-mocrazia diretta nell’immediatodopoguerra. E da Perugia partì nel1961 la “Marcia per la pace e la fra-tellanza dei popoli” organizzata dalrivoluzionario nonviolento Capi-tini. La storia migliore del nostroNovecento è passata da Perugia, edè incorporata nei suoi scorci, nellesue vie, nel suo paesaggio, con du-rezza e sapienza. Dobbiamo esseregrati ad Anna Maria Farabbi peraver saputo restituire, in un lin-guaggio di alta qualità letteraria,informazioni e chiavi di letturafondamentali per accompagnare i“viaggiatori”, e in primo luogo iperugini di oggi, in un’esperienzadi lettura della concreta comples-sità di una città storica straordina-riamente singolare ed eloquente.L’itinerario si conclude (ma èun’apertura) nell’intenso e bellis-simo Cimitero monumentale co-struito nell’Ottocento sul colledella necropoli etrusco-romana, lacittà dei morti in cui vive tra l’altro“la storia della scultura a Perugianegli ultimi due secoli”: “il colle delcimitero che - sono parole di Binni-, sul preambolo rude e potente diSan Bevignate (da lì forse partironoi primi gruppi di disciplinati)svolge più dolcemente la sua ele-giaca tristezza virile, in cui la morteè consolata dalle infinite prospet-tive paesaggistiche che vi conver-gono e dalla civile teoria di vaghestele e colonne ed urne di saporefoscoliano e leopardiano”. Un’aper-tura ancora sull’infinito umano, incompresenza capitiniana, della Pe-rugia di Anna Maria Farabbi

La Perugia diAnna Maria Farabbi

Lanfranco Binni

S

i primi d’agosto è morto asessantanove anni Valter Co-relli, milanese di nascita, ma

perugino ed umbro d’elezione, aman-te appassionato della terra che lo avevaaccolto sul finire degli anni cinquanta,al punto di farne proprio il dialetto eusarlo con la disinvoltura dei nativianche in poesia.Lo si ricorda soprattutto come attore,ma fu in verità figura poliedrica, inmolti modi presente nella vita cultu-rale dell’Umbria. Erano i primi anni settanta, quando,sull’onda delle ventate innovative checoinvolsero la scuola, nella sperimen-tazione che si fece alla scuola media“Fiumi” di Assisi, preside MarcelloFruttini, il giovane insegnante di ma-tematica Valter Corelli svolse un ruolodi notevole importanza per garantireil successo di quei nuovi sistemi di-dattici. La sua fantasia, l’energia, laconvinzione che lo contraddistingue-vano, marcarono fortemente queglianni. La vicinanza poi con GiampieroFrondini gli valse un approfondi-mento, una verifica delle sue qualitàteatrali che volse al servizio dell’inse-gnamento con un’efficacia di cui restamemoria, portatore di un entusiasmopurtroppo cancellato dalla restaura-zione. Ma Valter era uomo di teatro,ne interpretò tutti i ruoli, visitandotempi e spazi e dando vita a idee epersonaggi che, grazie a lui, sono statiestratti dall’oblio. Il volto impareggia-bile, la voce sonora e versatile, la pre-senza scenica erano sontuoso comple-mento della sua abilità di scrittoresceneggiatore regista. Indimenticato lospettacolo e libro, La veridica e fanta-siosa storia del brigante Cinicchia, chea fine Ottocento aveva terrorizzato ric-chi e poveri tra Assisi e l’Appenninoretrostante. Corelli ne aveva studiatole vicende e l’aveva reso un evento tea-trale e letterario che si aggiornava adogni rappresentazione. Il suo MissioneAnnibale fu replicato per 11 anni ogni

estate a Tuoro sul Trasimeno, conti-nuando ad attrarre spettatori. Avevaun tratto gentile che cozzava con ilsuo aspetto rude, imponente, e il con-trasto che rendeva la sua figura ancorpiù spendibile artisticamente.Negli ultimi anni Corelli aveva dedi-cato tempo e fantasia ai “social net-work” e da questa esperienza avevatratto un libretto prezioso Chi è disceMa?, pubblicato da Era Nuova al-l’inizio di quest’anno, raccolta di afo-rismi, poesiole, dialoghetti, alla ma-niera di Achille Campanile, spesso ge-niali, con surreali risonanze, ma soli-damente impiantati nella materialitàe corporalità dell’esistenza. Aveva in-ventato il “minimonologo per attoriin cerca di ribalta”, una forma felicis-sima, basata sulla posposizione del ti-tolo, che ha continuato a utilizzare sufacebook anche dopo l’uscita del libro.Ne offriamo un piccolo saggio nel ri-quadro.Ma Valter era anche un compagno:atipico, non allineato, ma generoso,compagno di cuore e di testa. Ce lo ri-cordiamo nelle lotte del lavoro e inquelle per la pace, nelle battaglie civili,contro la mafia o per i diritti di gay elesbiche, presente e creativo, sempredisponibile a un contributo di idea-zione e di presenza. C’è traccia nel suodiario dell’ultimo anno di una grandeamarezza politica, il sospetto di unceto politico famelico e cinico in cuiuna finta destra e una finta sinistra sispartiscono tutto quel che riescono adarraffare; ma questo non gli impedivadi ritrovare entusiasmo per sé e per glialtri tutte le volte che vedeva aprirsiuno spiraglio, come per la presenta-zione alle europee della lista per Tsi-pras. C’è una sua poesia alla notte,bella, a ricordarci la sua irriducibilità:“E l canto va a golà sopra i palazzi. /Tu fredda par che vòl èsse più nera. /Ce l so che nne l sopporti, / che tencazzi, / ma canto: “Ha da venì la pri-mavera!”.

A

Cinque Minimonologhi

- Quanto è dolce il mio bimbo! E’ appena nato e già fa le sue primescorreggine!Titolo: PRIM’ARIE.

- Oggi, pel planzo, complo flutta e veldula: otto calote, otto calciofi,otto pele, otto mandalini.Titolo: COMPL’OTTO

- Ho scoperto da poco che mio cugino è un trans.Titolo: TRANS PARENTE.

- Valeria ha la bocca supersiliconata. Pensa che ieri si è messa vicinoalla stufa e il labbro inferiore ha cominciato a sgocciolare come unacandela accesa.Titolo: IL CANDELABBRO.

- Ho pensato di fare una squadra di calcio mia. Il primo giocatore chevoglio comprare è Messi.TITOLO: COMPRO MESSI.

La storia migliore del nostro Novecentoè passata da Perugia, ed è incorporata nei suoiscorci, nelle sue vie,nel suo paesaggio,con durezza e sapienza

La primaveradi ValterCorelliE.Q.

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hiudono battenti, le casesono sfitte, le saracinescheabbassate. Questo è il cen-

tro storico di Perugia, in tutta lasua crisi. Qualcuno reagisce, moltigiovani non ci stanno e sbattono ipugni. È così che sulle scalette di via delCarmine si ricostruisce un imma-ginario di riscossa sociale, un’idea:quella di riprendersi il centro sto-rico, farlo rinascere e strapparloalle brutte ombre che lo hanno av-volto per troppo tempo. Quiprende vita la narrazione di un’al-tra Perugia, una Perugia che re-clama cultura, vuole aggregazione,gente per le strade. Qui si riuniscee si associa un capitale umano, checerca di cambiare il corso dellacronaca, mettendo in scena un’im-magine diversa di città rispetto aquella massmediatica di capitaledella droga. La nuova scena avviene con unciak: dopo il Melies, quattro ra-gazzi (Giacomo Caldarelli, Andreae Ivan Frenguelli, Andrea Minci-grucci) decidono di riaprire glistorici locali di via del Carmine,quelli che un tempo ospitavano ilrimpianto cinema d’essai Moder-nissimo, avamposto culturale deglianni ‘60 e ‘70. Per tutti gli appassionati e gliamanti del genere d’essai, e nonsolo, il Modernissimo ha rappre-sentato una nuova frontiera dellacinematografia perugina, chiusopoi nel 2000, complici i multisalanelle periferie e il graduale svuota-mento dell’acropoli, quando lacrisi si avvertiva appena. Una sto-ria fatta non solo di passione per ilcinema, ma anche di soldi da stan-ziare per ristrutturare l’immobilelasciato in disuso per tanto tempo:ne servono 300 mila ed è per que-sto che è stato lanciato un crowd-funding, strumento efficace perreperire fondi con l’obiettivo diriaprire entro Natale 2014.

“Quella del modernissimo è unamemoria da preservare e ri-condi-videre attraverso percorsi e lin-guaggi nuovi”, dice Ivan Fren-guelli, uno dei 4 ragazzi gestori delnuovo Postmodernissimo. La pre-posizione Post non è messa a caso- ci spiega l’altro socio fondatore,Giacomo Caldarelli - in quel Postc’è una visione che cerca di man-tenere nel nome un legame trapassato e futuro del cinema e dellastessa città”. Un nome che ha l’idea di progresso,come se volesse andare oltre allostesso concetto di “postmoderno”dei nostri giorni. Visione non fa-cile ma ambiziosa: con il cinema ele sale cinematografiche in mezzoal guado, fra crisi e rilancio, an-dare oltre significa ripensare il rap-porto del cinema rispetto alle piat-taforme digitali, darsi una fun-zione strategica rispetto ai multi-sala, costruire un nuovo approcciocon spettatori sempre più infor-mati, salvaguardarsi rispetto alproblema della pirateria, che as-sorbe oggi il 50% dei consumi dicinema. Entrati nel cantiere, è ancora tuttoun work in progress, ma i nuovigestori hanno le idee chiare sucome riqualificare l’edificio e sucome gestire gli spazi: “oltre a unasala grande - continua Ivan Fren-guelli - ci saranno altre due saledove godere del miglior cinemadella stagione, retrospettive, pre-mière e screen tests, rassegne atema, serie tv, documentari e webseries, cinema sperimentale, masoprattutto ci sarà la prima mini-sala cinematografica in città dovei fruitori potranno scegliere da solile proiezioni; e ancora reading,concerti, spettacoli teatrali in unasala polivalente e uno spazio espo-sitivo; e inoltre un foyer, un pic-colo e ricchissimo punto dovegustare le specialità del territorioma non solo: uno spazio di discus-

sione immancabile in un luogo dicondivisione culturale”. Non solo un cinema che guarda alguadagno - chiosa Caldarelli - maun vero e proprio spazio di socia-lità, formazione, partecipazionenel cuore del centro storico di Pe-rugia.Un progetto fatto sul proprio ter-ritorio, ma influenzato dalle tanteesperienze di cinema riaperti inEuropa, nate non per una neces-sità di mercato ma per riqualificarel’esistente, ciò che è in stato di ab-bandono, per far rivivere i centristorici europei, in crisi anch’essi.Qui prende spunto un’altra ideaalternativa al solito paradigma im-prenditoriale. Nasce così l’Ano-nima impresa sociale, volta adaggiunge uno strumento non in-differente per la sua portata parte-cipativa: l’azionariato diffuso, peruna gestione il più possibile oriz-zontale, trasparente, condivisa:con soli 100 euro di sottoscri-zione, lo spettatore potrà parteci-pare all’Assemblea degli spettatorie condividerne con i soci fondatorila programmazione. Certo, non esisteranno più leavanguardie di una volta, maquando da dicembre si passerà nelquartiere dove sono “fiorite leviole”, sembrerà davvero di passeg-giare per la via dei Cinema, con lesale di proiezione all’inizio e allafine del percorso di via della Viola,un po’ci si ricrederà, pensando chequalcosa, da qualche parte, si stamuovendo. Gocce nel mare sì, ma anche buo-ne pratiche per un modello di svi-luppo culturale innovativo e alter-nativo a quello consumistico do-minante, linfa vitale per una cittàultimamente omologante, in pienacrisi d’identità, con un centro sto-rico sempre più desertificato eun’offerta culturale piegata, piùche da delitti e droga, da una crisieconomica e sociale dirompente.

15c u l t u r asettembre 2014

Riapre a Perugia il Modernissimo

Avanguardie postRosario Russo

eramente in tanti sonoconvenuti al Castello diSorci per l’ultimo saluto a

Primetto Barelli, scomparso il 19agosto scorso. E, senza indulgere allaretorica del commiato, ognuno diloro con un ricordo, una tessera diquel mosaico complesso della suavulcanica personalità. Primetto pro-tagonista dell’allegra brigata che aCittà di Castello nel dopoguerra pe-scava disinvoltamente sul Tevere e fa-ceva mangiare pesce a mezzo rionePrato; o Primetto nell’epica spedi-zione via Tevere da Castello a Romasu un catamarano di ferro con al cen-tro una camera d’aria di camion sucui si posava una damigiana di vino.Primetto perito agrario, il coraggiosoacquisto con un mutuo trentennaledell’azienda agraria del Castello diSorci in tempi in cui l’agricoltura ve-niva abbandonata. La magica trasfor-mazione dell’antica dimora padro-nale di Baldaccio Bruni in luogo diincontro aperto a tutti. Vendetta del proletariato ironizzavaquando gli agricoltori della zona vi-sitavano il Castello fino ad allora perloro inaccessibile. Primetto allacciauna feconda collaborazione con la si-nistra indipendente e il senatoreLuigi Anderlini insieme al quale ri-prende la pubblicazione del settima-nale “L’Astrolabio” fondato da Fer-ruccio Parri. Poi il suo capolavoroimprenditoriale: il connubio tra ec-cellenza alimentare, buona cucina delterritorio, cultura e turismo. Il tuttoa prezzi popolari, accessibili a tutti.E’ l’invenzione dell’agriturismo, iltrionfo del potere unificante dei cro-stini e delle tagliatelle che riesce amettere alla stessa tavola il normalecittadino e il personaggio famoso.

Grande amico di Alberto Burri in-sieme a lui organizza ogni anno unafesta di inizio campionato per il Pe-rugia calcio dei miracoli, quello diIlario Castagner e di Silvano Ramac-cioni. Grazie alla generosità e all’ospi-talità di Primetto, Sorci diventa unbuon retiro per artisti e intellettuali.Qui Roberto Benigni e MassimoTroisi scrivono la sceneggiatura diNon ci resta che piangere. Qui il foto-grafo Mario Dondero immortala coni suoi scatti uno dei paesaggi più bellid’Italia e gli agricoltori capaci e labo-riosi artefici di quella bellezza. ASorci trova rifugio il giornalista Gian-franco Vené che insieme a Primettoinventa il Premio Internazionale dicultura Città di Anghiari al qualeparteciperanno decine di intellettualicome Umberto Eco, Corrado Sta-jano, Forattini, Benigni. Antesignanodella promozione, Primetto si in-venta i vini dedicati ai politici con levignette disegnate da Forattini. Poiarriva il fantasma di Baldaccio Bruni,che grazie alla matita di Vauro di-venta il logo del Castello di Sorci.Con Saverio Tutino organizza primail Premio dei Diari a Pieve Santo Ste-fano poi l’Università dell’Autobiogra-fia ad Anghiari. In tutte questemanifestazioni è sempre Primetto avoler coinvolgere il territorio, citta-dini e istituzioni, riuscendo a pro-muovere a livello internazionale l’in-tera vallata. Profondamente convintodella necessità di unità, amareggiatoper il panorama sfilacciato e inermedella sinistra in attesa di un risvegliodella politica, Primetto ha messod‘accordo il suo popolo con il potereunificante di un piatto di tagliatelle,di tanta semplicità e tanta simpatia.Grazie.

GraziePrimetto!

P.L.

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Un uomo della terra umbra. Scrittiin memoria di Maurizio Cavicchi,a cura di Alba Cavicchi, Il Formi-chiere, Foligno 2014.

Maurizio Cavicchi è stato moltecose: sindaco di Passignano, suocomune di origine (era nato a Ca-stel Rigone); esponente di puntaprima del Psi, poi del Psiup, con-fluito successivamente con la sini-stra di quest’ultimo partito nelPdup e, quando il Pdup si unificòcon il Manifesto, dopo pochi mesitornò nel Psi, dove assunse sempreposizioni di polemica con il craxi-smo imperante; professore di ita-liano e latino e successivamentepreside a Marsciano, Foligno e Pe-rugia. Il libro, che raccoglie le testimo-nianze e i ricordi di coloro che a

vario titolo lo hanno conosciuto efrequentato, esplora le diversepersonalità ed attività che hannocontrassegnato la sua lunga esi-stenza - era nato nel 1923 ed èscomparso nel 2013. Se un dato emerge dai diversi pro-fili che vengono tracciati nel vo-lume è quello di un uomo cheassume come valore portate quellodella laicità, come rifiuto di chiesepolitiche o religiose. E’ questo ilmotivo della sua estraneità al Pcied all’ideologia che lo permeava,che spiega il suo antistoricismo, lavicinanza non solo sentimentale al“capitinismo”, al liberalsociali-smo, ad un pensatore come Nor-berto Bobbio, cui aggiunge la fre-quentazione con Massolo, Sichi-

rollo ed altri pensatori contempo-ranei. Cavicchi diviene così ilpunto d’incrocio di culture di-verse, che coniuga con il realismodella sua lunga esperienza di am-ministratore, di dirigente scola-stico e di uomo. Insomma - comescrive Mario Migliucci - un perso-naggio poliedrico “ che ha saputovivere molte vite in una”.

Alberto Stramaccioni, La sfida ri-formista in una regione rossa(1989-2010), Intervista di Pier-paolo Burattini, Edizioni nuovaprhomos, Città di Castello 2014.

Il volume ha tre meriti. Il primo èquello di rendere esplicito il pun-to di vista di una persona che ha

avuto un ruolo centrale all’internodella vita politica umbra, come se-gretario provinciale e regionaledelle diverse formazioni politichepostcomuniste e poi del Pd e co-me parlamentare.Il secondo è quello di ripercorrerela storia della regione sia pure daun punto di vista parziale, comesono sempre le valutazioni indivi-duali.Il terzo è che oggi Stramaccioni èfuori dalla politica, si dedica aisuoi studi e a passioni meno con-giunturali e questo, al di là dellapuntigliosa rivendicazione di scel-te compiute nel passato, gli con-sente un distacco che gli permettedi valutare in modo non parti-giano il presente.

Letto in filigrana il libro è anchela testimonianza di una sconfitta.La spinta al rinnovamento e allamodernizzazione che aveva por-tato molti ad aderire alla svoltaocchettiana, si è risolta in unalunga deriva che non ha garantitoil rinnovamento della politica, lasua moralizzazione, la divisionetra l’attività dei partiti e quelladelle istituzioni (e il ciclo degli af-fari). Il Pd in Umbria, ma più in gene-rale in Italia, non è il partito deicittadini auspicato da Stramac-cioni, ma quello dei comitati elet-torali, dei micropartiti personalicoperti da una leadership nazio-nale che appare forte, ma non èdetto che continui ad esserlo alungo. Ciò spiega la distanza at-tuale dell’intervistato dalla poli-tica e il senso di disillusione sot-teso al libro e che lo porta a direcon ragionevolezza, concludendoil racconto, che “nessuno può es-sere buono per tutte le stagioni” .

ome avevamo previsto prosegue la campagna oltranzistaomofoba del Forum delle associazioni familiari dell’Um-bria. Teatro dell’ultima iniziativa la città serafica, dove il

29 agosto scorso, su proposta del capogruppo di Uniti per AssisiLuigi Marini, il consiglio comunale ha approvato a maggioranzauna mozione urgente a tutela della famiglia naturale in cui, comesi legge nella intestazione del testo stesso, Padre è maschio e Madreè femmina. Analoga a quella approvata all’inizio di luglio dalla re-gione Lombardia, la mozione si apre con la premessa che la fami-glia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna rappresental’istituzione naturale aperta alla trasmissione della vita e l’unico ade-guato ambito sociale in cui possono essere accolti i minori in difficoltà,anche attraverso, in casi estremi, gli istituti dell’affidamento e del-l’adozione. Il testo prosegue quindi attaccando a testa bassa l’im-postazione omosessualista (sic!) che si starebbe subdolamenteimponendo nel nostro paese, in particolare nel mondo della scuola.Segue un breve elenco dei casi in cui, anche nella nostra regione,si sarebbero verificati preoccupanti abusi educativi nei confronti deiminori. Valgano solo due esempi: al liceo [...] di Perugia in una as-semblea di istituto tenutasi nel corso dell’anno 2012 sul tema della“lotta al bullismo” sono stati invitati quali relatori i dirigenti dell’as-sociazione lgbt Omphalos che hanno distribuito agli studenti volantinicontenenti dettagliate istruzioni e immagini su come avere rapportisessuali tra due maschi o tra due femmine oltre a inviti rivolti ancheai minori a partecipare alle feste e alle attività gay; oppure presso al-cune scuole dell’infanzia e in alcune biblioteche per minori della pro-vincia di Perugia è stato diffuso un libro dal titolo “il segreto di papà”edito da “Lo stampatello” in cui si leggono frasi di propaganda omo-sessualista precoce quali “gay vuol dire allegro” e inneggianti al ma-trimonio gay “se nel nostro paese si potesse si sposerebbero”, suggerendoun’opinione politica eterodiretta ai bambini. Il documento, inoltre,si scaglia contro la legge Scalfarotto e si chiude con la richiesta alGoverno centrale di rifiutare l’applicazione del Documento Standardper l’educazione sessuale in Europa redatto dall’ufficio europeo del-l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il caso, come era prevedi-bile, ha suscitato scalpore provocando la risposta indignata nonsolo di chi si batte da sempre per i diritti degli omosessuali ma

anche di tanti assisani che hanno lanciato la campagna Libera-Mente famiglie per il ritiro della mozione stessa. Un polverone, in-somma, che ha costretto a intervenire persino la Presidente Marini,che dopo un paio di settimane di silenzio, seriamente preoccupataper il ritorno negativo d’immagine che rischia di investire la re-gione intera a pochi giorni dalla visita dei commissari europei chedovranno esprimere il verdetto su Perugia Capitale europea dellacultura, ha stigmatizzato il pronunciamento dell’assemblea consi-liare ribadendo, Statuto alla mano, che l’Umbria si è sempre con-traddistinta per l’affermazione dei diritti di cittadinanza delle personee contro ogni forma di discriminazione. Pronta la replica piccata delsindaco Ricci, già autocandidatosi alla guida della Regione, che ri-vendicando orgogliosamente per sé il ruolo di campione della spi-ritualità ha detto di non accettare lezioni sui valori.Siamo a due settimane dall’avvio del Sinodo sulla famiglie è daquanto è dato capire dai media la chiesa cattolica sarebbe in fer-mento, tra le aperture di Papa Francesco e le resistenze di moltivescovi. La nostra scarsa competenza non ci consente di interveniresul tema con cognizione di causa, ma non ci impedisce di direqualcosa sulla necessità di riaffermare una cultura laica nella nostraregione. Tutto questo insistere bipartisan, cresciuto vertiginosa-mente negli anni, sui santi e sulla spiritualità serve solo a coprireun vuoto di identità che è il portato della crisi della politica ed èovvio che si aprano spazi per posizioni oltranziste, per rigurgiti cle-ricali. Ci vorrebbe più coraggio nelle scelte - bene quella in favoredella fondazione eterologa, ma cosa si sta concretamente facendoper invertire la tendenza che rischia di rendere inapplicabile la 194?- e più forza nel difenderle. A volte, invece, sembra quasi che ce sene vergogni. Se poi per esigenze tattiche o di sopravvivenza - caraMarini - si apre al dialogo con Ricci e il Nuovo centro destra èbene sapere qual è la china che si intraprende. D’altronde come sipuò pensare di competere nella difesa della spiritualità della propriaterra con uno che dichiara: pur nel rispetto delle opinioni di tutti, cisentiamo di “sottolineare” il valore storico antropologico della famigliacostituita da un padre uomo e una madre donna che, in armonia, ac-colgono i loro figli in linea con il “disegno cosmico” di questo mondoe lo stesso futuro dell’umanità?

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la battaglia delle idee

libri

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Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Moniccchia, Saverio

Monno, Maurizio Mori, Francesco Morrone,Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi.

Chiuso in redazione il 23 /09/2014

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Il disegno cosmico di RicciStefano De Cenzo

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