L’Africa, gli aiuti e noi l’africa, gli aiuti e noi aniko aczel 1, giuseppe battaglia 2,...

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174 Medico e Bambino 3/2008 Q uando, due di noi, siamo andati in Africa per la prima volta, nel 2001, ci è stato messo in mano un grosso fascicolo sull’Angola. Ci siamo trovati di fronte a una storia sanguino- sa, iniziata con la guerra di indipen- denza (1961) e condotta da cinque di- verse sigle, UPA, FNLA, MPLA, UNI- TA, e FLEC, che dopo l’indipendenza (1975) si sono impegnate in una guer- ra sanguinosa tra UNITA (Jonas Sa- bimbi, Ovimbundu, sostenuto dagli USA che gli hanno passato 65 milioni di dollari solo nel 1975) e MPLA (Agostinho Neto, Mbundu, sostenuto dall’URSS, ma poi liberatosene). La guerra è terminata poi nel 2002 con l’uccisione di Sabimbi e la chiusu- ra in campo di sterminio di 300.000 miliziani 1 . Assieme a questa storia, eravamo di fron- te a questi dati demografici: • Tre etnie: Ovimbundu a nord (lingua Um- bundu); Mbundu a nordovest, capitale compresa (lingue Kimbundu e portoghe- se); Bakongo a est (lingua Kikongo). Po- polazione totale 12 milioni, di cui 6 in aree rurali (con tendenza all’urbanizzazione spinta anche a causa della guerra e delle mine antiuomo). Distribuzione per età: 54% sotto i 19 anni. Attesa di vita 47 anni; alfabetizzazione 42%; arruolamento scola- stico 30%. • Mortalità sotto i 5 anni: 292 per mille; mor- talità <1 anno: 170 per mille. Accesso al- l’acqua potabile: 15%, praticamente assen- za di infrastrutture sanitarie nella maggior parte delle provincia, 5% del budget dedi- cato alla sanità. • Ferrovie: tre linee, tra i porti dell’Atlantico AFRICA, AIDS AND US (Medico e Bambino 2008;27:174-180) Key words Africa, International Co-operation, Poor nutrition Summary A general, analytic and documented picture on the social and health conditions in Africa, with the figures of the envisaged and distributed aids and the results obtained during the last few years, on the culture, on democracy and especially on the paediatric mortality (Millenium Project) is supplied. The characteristics of the top-down (WB and MIF) and bottom-up (NGO, Churches, and others) interventions are compared. A brief description of the intervention, whi- ch up to now has lasted 6 years, as well as the results obtained by a small group of Italian pae- diatricians in an Angola Hospital and in particular the strategy of prevention and treatment of severe poor nutrition in Africa. L’Africa, gli aiuti e noi ANIKO ACZEL 1 , GIUSEPPE BATTAGLIA 2 , ELEONORA BIASOTTO 3 , CRISTINA BRONDELLO 3 , CHIARA BUSETTI 4 , SANTE CANTATO- RE 5 , ILARIA D’AQUINO 5 , ANDREA DE MANZINI 6 , ERICA DUDINE 7 , SERGIO FACCHIN 6 , TANIA GERARDUZZI 3 , ANNA LASAGNI 5 , MARZIA LAZZERINI 3 , ILARIA MARIOTTI 5 , MASSIMO MASCHIO 5 , ROSANNA MENEGHETTI 5 , ANNA LUCIA PALTRINIERI 5 , EMILIA- NO PANIZON 2 , FRANCO PANIZON 8 , MICHELE PASETTO 9 , ANNA LUCIA QUITADAMO 5 , MARIKA RIVA 5 , FABIO RODARO 2 , LAU- RA RUBERT 5 , SILVIA VACCHER 5 , FEDERICO VERZEGNASSI 5 1 Ex dirigente ONMI; 2 Studente in Medicina (Università di Trieste o di Verona); 3 Dirigente ospedaliero; 4 Pediatra in missione operativa in Africa (Médecins sans Frontières, CUAMM); 5 Specializzando in Pediatria (Università di Modena o di Trieste); 6 Pediatra di Famiglia (ASL di Grado, ASL di Pordenone); 7 Struttura Complessa di Medicina Riabilitativa, Ospedale Maggiore, Trieste; 8 Professore Emerito (Uni- versità di Trieste); 9 Direttore Amministrativo Hospital da Divina Providencia, Luanda 174-180 Art. Speciale 26-03-2008 11:46 Pagina 174

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Q uando, due di noi, siamo andatiin Africa per la prima volta, nel

2001, ci è stato messo in mano ungrosso fascicolo sull’Angola. Ci siamotrovati di fronte a una storia sanguino-sa, iniziata con la guerra di indipen-denza (1961) e condotta da cinque di-verse sigle, UPA, FNLA, MPLA, UNI-TA, e FLEC, che dopo l’indipendenza(1975) si sono impegnate in una guer-ra sanguinosa tra UNITA (Jonas Sa-bimbi, Ovimbundu, sostenuto dagliUSA che gli hanno passato 65 milionidi dollari solo nel 1975) e MPLA(Agostinho Neto, Mbundu, sostenutodall’URSS, ma poi liberatosene).La guerra è terminata poi nel 2002con l’uccisione di Sabimbi e la chiusu-ra in campo di sterminio di 300.000miliziani1.

Assieme a questa storia, eravamo di fron-te a questi dati demografici:

• Tre etnie: Ovimbundu a nord (lingua Um-bundu); Mbundu a nordovest, capitalecompresa (lingue Kimbundu e portoghe-se); Bakongo a est (lingua Kikongo). Po-polazione totale 12 milioni, di cui 6 in areerurali (con tendenza all’urbanizzazionespinta anche a causa della guerra e dellemine antiuomo). Distribuzione per età:54% sotto i 19 anni. Attesa di vita 47 anni;

alfabetizzazione 42%; arruolamento scola-stico 30%.

• Mortalità sotto i 5 anni: 292 per mille; mor-talità <1 anno: 170 per mille. Accesso al-l’acqua potabile: 15%, praticamente assen-za di infrastrutture sanitarie nella maggiorparte delle provincia, 5% del budget dedi-cato alla sanità.

• Ferrovie: tre linee, tra i porti dell’Atlantico

AFRICA, AIDS AND US(Medico e Bambino 2008;27:174-180)

Key wordsAfrica, International Co-operation, Poor nutrition

SummaryA general, analytic and documented picture on the social and health conditions in Africa, withthe figures of the envisaged and distributed aids and the results obtained during the last fewyears, on the culture, on democracy and especially on the paediatric mortality (MilleniumProject) is supplied. The characteristics of the top-down (WB and MIF) and bottom-up (NGO,Churches, and others) interventions are compared. A brief description of the intervention, whi-ch up to now has lasted 6 years, as well as the results obtained by a small group of Italian pae-diatricians in an Angola Hospital and in particular the strategy of prevention and treatmentof severe poor nutrition in Africa.

L’Africa, gli aiuti e noiANIKO ACZEL1, GIUSEPPE BATTAGLIA2, ELEONORA BIASOTTO3, CRISTINA BRONDELLO3, CHIARA BUSETTI4, SANTE CANTATO-RE5, ILARIA D’AQUINO5, ANDREA DE MANZINI6, ERICA DUDINE7, SERGIO FACCHIN6, TANIA GERARDUZZI3, ANNA LASAGNI5,MARZIA LAZZERINI3, ILARIA MARIOTTI5, MASSIMO MASCHIO5, ROSANNA MENEGHETTI5, ANNA LUCIA PALTRINIERI5, EMILIA-NO PANIZON2, FRANCO PANIZON8, MICHELE PASETTO9, ANNA LUCIA QUITADAMO5, MARIKA RIVA5, FABIO RODARO2, LAU-RA RUBERT5, SILVIA VACCHER5, FEDERICO VERZEGNASSI5

1Ex dirigente ONMI; 2Studente in Medicina (Università di Trieste o di Verona); 3Dirigente ospedaliero; 4Pediatra in missione operativain Africa (Médecins sans Frontières, CUAMM); 5Specializzando in Pediatria (Università di Modena o di Trieste); 6Pediatra di Famiglia(ASL di Grado, ASL di Pordenone); 7Struttura Complessa di Medicina Riabilitativa, Ospedale Maggiore, Trieste; 8Professore Emerito (Uni-versità di Trieste); 9Direttore Amministrativo Hospital da Divina Providencia, Luanda

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e l’interno, distrutte dalla guerra. Stradequasi impercorribili, circa 10 km/h. Traf-fico principale per via aerea.

Questa situazione non era sostan-zialmente diversa da quella degli altriPaesi africani: un’ottantina di colpi diStato in una ventina d’anni, guerre, as-sassini politici, corruzione, miseria,pulizie etniche, caduta degli scambi al-l’interno e al di fuori dei confini, anal-fabetismo, paura.

L’attraversamento della città (Luan-da, la capitale), nella puzza acre dellediscariche a cielo aperto, con i bambi-ni nudi che ci pescavano dentro, schi-vando con la macchina i burracos (bu-chi-burroni) del fondo stradale, conmacchine e bus sventrati e baracchedi latta ai margini della strada, è statouna serie di pugni nello stomaco chericordiamo ancora vividamente.

Non ci siamo domandati, il “visitingprofessor” e Marzia, la specializzandacoraggiosa, che aveva accettato l’impe-gno nel piccolo Hospital da DivinaProvidencia a cui eravamo diretti, se ilnostro piccolo aiuto potesse servire aqualcosa, potesse “avere un senso”.

Ce lo siamo domandato, e ce lohanno domandato continuamente, poi,in Clinica, quando siamo tornati a ca-sa, e quando si è messa in moto, conpartenza dalla Scuola di Specialità diTrieste, una convenzione tra questa el’Ospedale di Luanda, che ha prodottoda allora, in un servizio continuativo diuno o due specializzandi, un totale dipiù di mille giornate di lavoro. La do-manda comportava la ricerca, difficile,di una realtà oggettiva. Non siamo ar-rivati, personalmente, a raccogliereabbastanza conoscenze e ad analizza-re con suf ficiente chiarezza questarealtà, ma qualche elemento e qualchecriterio di ragionamento, utilizzabile

da tutti, lo possiamo forse dare. Perora cominciamo con porci alcune do-mande: come nascono e a quanto am-montano, chi distribuisce, quanto ser-vono e come vengono utilizzati gli aiu-ti internazionali.

LE ORIGINI STORICHE DELLACOOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Il modello “vincente” di tale tipo diintervento internazionale è stato il pia-no Marshall, alla fine del secondo con-flitto mondiale, consistente in prestitiagevolati e nell’invio gratuito di derra-te, dalla cui vendita gli Stati riceventitraevano fondi per investimenti noncontrollati. Al piano Marshall viene at-tribuito parte del “miracolo europeo”,dovuto anche alle rimesse degli emi-granti, al lavoro sotto-costo e alleesportazioni agevolate dalla svaluta-zione, tutte risorse che l’Europa e l’Ita-lia hanno ormai esaurito, ma che han-no permesso l’uscita dal sottosviluppoprodotto dalla guerra.

Gli interventi successivi, rivolti siaai Paesi dell’Europa ex comunista siaai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo,hanno avuto molto meno fortuna, pertantissimi motivi ma specialmente perla diversità del terreno su cui sono sta-ti seminati: i Paesi comunisti ed ex co-munisti dell’Eurasia e i Paesi poveridell’Africa, dell’Asia sudorientale, del-l’America Latina.

Trentasette anni fa un accordo del-le Nazioni Unite impegnava gli Statimembri a dedicare agli aiuti ai Paesinon sviluppati lo 0,7% del PIL, raggiun-gendo questa cifra entro il 1980. Sino-ra, solo Norvegia, Svezia, Lussembur-go, Paesi Bassi e Danimarca hannoraggiunto questa cifra, gli USA stan-

ziano lo 0,22% e l’Italia lo 0,29%, cifrache si è considerevolmente ridotta ne-gli ultimissimi anni. La media è dello0,35%.

Con quella spesa si calcolava che iPaesi poveri potessero uscire dallatrappola del sottosviluppo (una condi-zione, la loro, in cui ogni risparmio,dunque ogni investimento, e quindiogni progresso, è impossibile) e potes-sero ricevere la “grande spinta” che liavrebbe tolti stabilmente dalle sabbiemobili. Questa impostazione utopica,sostenuta specialmente dal brillantedirettore del Millennium Project, Jef-frey Sachs, autore del libro The End ofPoverty2, ha perso vigore, sia per un di-fetto, che analizzeremo, di progettua-lità, sia per un difetto dei fondi real-mente disponibili che oggi si pensadovrebbero essere superiori al doppiodi quelli effettivamente erogati. Un bu-co senza fondo.

LE CIFRE DEGLI AIUTI

In cinquant’anni sono stati erogaticomplessivamente 2300 miliardi didollari, in media 46 all’anno, di cui cir-ca la metà per l’Africa (NB. Tra il 1990e il 2005 l’Africa spendeva in guerrecirca 284 miliardi, poco meno di 20 al-l’anno, all’incirca quanti ne ricevevaper aiuti).

Parte di questi fondi deriva da ac-cordi bilaterali tra Stati (accordi dicooperazione bilaterale), parte dallequote di partecipazione dei singoliPaesi alle Organizzazioni finanziarieinternazionali WB e FMI. L’aumentodegli stanziamenti è stato progressivo,ma sostanzialmente inferiore a quantosarebbe stato imposto dalla svalutazio-ne del dollaro. Dal 1985 al ’90 si è pas-

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sati da 17,9 miliardi di dollari a 51,2,ma secondo il rapporto dell’United Na-tion Development Program (UNDP),per uscire dalla trappola del sottosvi-luppo ne occorrerebbero quattro voltetanti.

Comunque siamo su cifre a 10 zeri,difficilmente gestibili e difficilmentecontrollabili. Si calcola che negli ultimianni gli aiuti complessivi abbiano rag-giunto un fatturato di 60 miliardi di eu-ro per anno e coinvolgano direttamen-te o indirettamente più di 500.000 per-sone.

Nel 2005, gli Stati più ricchi (G8) sisono accordati per cancellare il debitoai 16 Paesi più poveri, e per aumentaredi 50 miliardi in 10 anni il loro contri-buto, mirato specialmente a migliora-re la situazione sanitaria, resa criticadalla esplosione della TB e dell’AIDS.In realtà, questo non si sta avverando.Solo Giappone e UK rispettano i patti,USA e Canada hanno aumentato solodi poco il loro contributo, gli altri Pae-si restano al palo. Si calcola che alla fi-ne dei 10 anni l’incremento non supe-rerà i 20 miliardi. Ancora una volta l’I-talia è tra i Paesi più insolventi, ha ri-nunciato soltanto a 2 su 4 miliardi pro-messi per la cancellazione del debito eha ridotto anziché aumentare il suocontributo economico reale.

A questa cifra va fatta tuttavia unatara consistente: solo il 41% raggiungeeffettivamente i Paesi a cui è destina-ta; 38% è devoluto per consulenze tec-niche, 11% per la cancellazione del de-bito, 3% per le spese per i rifugiati, 7%per l’amministrazione corrente, 38%per consulenze tecniche (cifra que-st’ultima certamente eccessiva). Giàcosì appare chiaro che almeno metàdella spesa per lo sviluppo ritorna acasa. Ma non basta.

C’è infatti la questione degli aiutivincolati. Circa il 40% (92% per l’Ita-lia!!!) degli aiuti effettivi comportanol’obbligo per i Paesi beneficiari di ac-quistare beni e servizi di imprese delPaese donatore.

C’è poi la faccenda degli aiuti ali-mentari: aiuti almeno in parte perdutiper strada (così è accaduto agli aiutialimentari italiani per la Somalia, chesi sono perduti nei porti eritrei) e al-meno in parte negativi perché in con-correnza con le produzioni agricolelocali.

Infine, c’è la faccenda del debito edella cancellazione del debito. Da unaparte si calcola che il pagamento degliinteressi costituisce un gravame so-vente insopportabile per i Paesi che lihanno contratti, e non sempre per rea-lizzare realmente il “decollo” del Pae-se. Si calcola che nel 2001, a fronte dei29 miliardi stanziati per sovvenzioni,abbiano fatto riscontro 138 milardi dipagamento del debito di ritorno aiPaesi ricchi. Si dovrebbe convenireche sono i poveri a finanziare i ricchi enon viceversa2-6..

Dall’altra parte sta il fatto che lacancellazione del debito, chiesta e inparte ottenuta dalla Gran Bretagna nel2005 (ma solo per i Paesi più poveritra i poveri), viene detratta dalla cifradestinata agli aiuti. Per quanto riguar-da l’Italia, oltre a rimettere solo lametà del debito dovuto, ha anche col-locato in questa “rimessa” il 33% (con-tro l’11% della media) degli aiuti eco-nomici complessivi. Con questo l’Italiaha anche conquistato la maglia neranella graduatoria della generosità.

Per concludere il capitolo diciamoche l’Occidente devolve, malvolentieri,agli aiuti per il Mondo povero, e spe-

cialmente per l’Africa, una cifra enor-me ma insufficiente, molto inferiore siaa quella calcolata come necessaria alla“grande spinta”, sia a quella promessadai singoli Stati.

GLI ORGANI PREPOSTI ALLA RACCOLTAE ALLA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI

Possiamo distinguere gli aiuti indue grandi categorie2-5:• gli aiuti centralizzati, top-down,

che seguono linee politiche più omeno ben definite, ma comuni, eche sono sostanzialmente dipen-denti dall’ONU e dalle sue agenzieconsociate (Banca Mondiale, WB, eFondo Monetario Internazionale,FMI5, assieme alle Banche Regio-nali di sviluppo, Banque du Déve-loppement Africaine, BDA, AsianDevelopment Bank, ADB, e il Ban-co Internacional de Desarrollo,BID), e dalle agenzie specializzate(WHO per la sanità, FAO per l’agri-coltura, ILO per il lavoro). Dalla se-greteria generale dell’ONU dipen-dono anche altri enti specializzatiorganizzati nell’OCSE (cooperazio-ne e sviluppo): UNDP per lo svilup-po, UNICEF per l’infanzia, UNFFAper la famiglia, UNESCO per l’edu-cazione, WFP per gli alimenti;

• gli aiuti decentrati, bottom-up,condotti dai diversi enti di coopera-zione non governativa (ONG),spesso di impronta religiosa, spes-so finanziati dagli Stati Nazionali ocomunque sostenuti da enti pubbli-ci. A metà strada tra questi dueprincipali filoni possiamo collocaresuper-strutture come quella deiMédecins sans Frontières, che in-terviene per tempi limitati in situa-

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zioni di relativa emergenza, e la su-per-fondazione del GAVI, Global Al-liance for Vaccination and Immuni-sation16, che finanzia specificamentei Paesi al di sotto di un certo reddi-to e di una certa copertura vaccina-le dedicata a implementare que-st’ultima laddove carente.

Poiché, come si è detto, sono spes-so gli Stati che finanziano specificiprogetti portati avanti dalle ONG, nonè sempre così facile distinguere, né intermini di risorse erogate, né in termi-ni di risultati raggiunti, quelli attribui-bili all’ONU e alle sue agenzie, alme-no in parte coordinati, internazional-mente omogenei, pianificati, program-mati e finalizzati con relativa precisio-ne, da quelli parcellizzati, “spontanei”,per loro natura disorganici, del secon-do gruppo. Potremmo dire che i primisono più facilmente censibili e valuta-bili, che sono tendenzialmente pianifi-cati e rivolti allo sviluppo, e che sonoprincipalmente (ma non esclusiva-mente) finanziati dagli Stati; i secondiinvece nascono sul campo, su occasio-ni e bisogni direttamente percepiti,sono più francamente “umanitari”, so-no più legati ai bisogni immediati e ar-rivano più facilmente ai più bisognosi,sono sostenuti dal volontariato, sonomolto numerosi, diversificati, difficil-mente censibili, e danno risultati piùdifficilmente valutabili.

Non si può, a questo punto non dedicareun minimo di attenzione ai due principali or-gani erogatori, la Banca Mondiale e il FondoMonetario. Sono entrambe Banche, entram-be nate nel 1944 dagli accordi di BrettonWood, entrambe alimentate dagli stanzia-menti degli Stati membri, entrambe control-late da un consiglio di gestione multinaziona-le il cui peso è proporzionale all’entità dei fi-nanziamenti, in sostanza quindi con larga

prevalenza dagli USA che dispongono del20% dei voti e quindi godono di una “mino-ranza bloccante” nei confronti delle decisionidi grande importanza. Entrambe le struttureerogano prestiti (definiti prestiti multilaterali,per il carattere multinazionale dei due istitu-ti) secondo le leggi di mercato, cioè esigendosia la restituzione che gli interessi5.

Distinguere i compiti delle due struttureè difficile:• la prima, la WB, in teoria, era mirata a so-

stenere modifiche strutturali, di sviluppo,nel lungo termine, quali la produzione digrandi opere, la privatizzazione dell’educa-zione e della Sanità (misure effettivamen-te richieste, negli anni ’90, con pesantissi-mi costi sociali) e la sua logica è di stampomacro-politico, macro-economico;

• la seconda, il FMI, è nata per correggeregli squilibri monetari di mercato interno,specie di liquidità, nei tempi brevi, e la sualogica è di tipo prevalentemente “moneta-rio”, con richieste ai Paesi beneficiari disvalutazione della moneta, di tagli alle im-portazioni, di eliminazione delle sovven-zioni ai produttori locali. È considerata ilpiù ricco Ente creditizio (gestisce 157 mi-liardi di dollari).

L’azione congiunta delle due strut-ture ha imposto a tutta la politica degliaiuti un carattere liberista, di stampostatunitense, e anche, politicamente,orientato in senso filo-americano.

In pratica la differenza funzionaleper la quale le due strutture sono natedistinte è oggi più difficilmente rico-noscibile di un tempo, specie agli oc-chi di un profano, e accade che so-stanzialmente lavorino di conserva eanche che l’una finanzi l’altra6-8.

I RISULTATI DEGLI AIUTI

I risultati degli aiuti non sono facil-mente valutabili, soprattutto perchémanca un confronto tra la situazioneattuale e quella che sarebbe stata sen-za questi aiuti.

Certamente, i risultati degli aiuti,sia quelli decentrati che, specialmen-te, quelli centralizzati, sono molti infe-riori alle attese e l’Africa non è uscitadalla trappola del sottosviluppo3,9. Pos-siamo anche dire che i Paesi che piùchiedono e più ottengono aiuti sonoanche quelli che si sviluppano di me-no. È un po’ il paradosso dell’uovo edella gallina: chiedono aiuti perchésono troppo poveri, e quindi non pos-sono svilupparsi, oppure non si svilup-pano perché sono diventati dipendentidagli aiuti? Certo è che, mettendo aconfronto il rapporto aiuti/PIL per ilperiodo tra il 1982 e il 2002, tra i 10Paesi con i migliori tassi di sviluppo(da +3,1 a +5,9) e i 10 Paesi con i peg-giori tassi di sviluppo (da -1,7 e -5,0) sitrova, nei primi, un rapporto aiuti/PILmedio di 0,23, e sempre <1 (eccettoche per Mauritius, 2,17) e per i secon-di un rapporto aiuti/PIL medio di 10,9e sempre >5, eccetto che per la Nige-ria (0,59). Esistono Paesi in cui la cro-nica insolvenza ha portato a una “na-turale” cancellazione del debito daparte del FMI, che tuttavia ha conti-nuato, quasi di necessità, a mantenerei finanziamenti agli HIPC (Heavily In-debted Poor Countries) che da questidebiti sono diventati dipendenti3.

Per restare all’Africa e al versanteeconomico dello sviluppo, conside-rando il PIL per abitante, dobbiamodire che l’aumento (irrisorio), quasisempre registrato, non è stato, alme-no fino all’inizio del 2000, neanchelontanamente paragonabile a quellodei Paesi occidentali o occidentalizzati(crescita di 3 volte rispetto alla finedel 1800, contro una crescita di 30 vol-te in Occidente). Unica eccezione (inmeglio) è il Botswana10, in cui la cre-scita, parallela al grado di democrazia,

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indipendente dagli aiuti ma non dalleesportazioni (diamanti), è stata para-gonabile o addirittura superiore aquella europea (6% all’anno). Per il re-sto il divario negativo tra il tasso dicrescita in Occidente e quello in Afri-ca è rimasto impressionante e in con-tinuo aumento.

Dunque, sintetizzando, avremmopotuto dichiarare, per quel che riguar-da lo sviluppo, e fino a un paio di annifa, un clamoroso fallimento. Tuttavia,negli ultimissimi anni, anche qui qual-cosa è cambiato: una crescita mediadel PIL del 5,4% per anno, con alcunepunte incredibili, del 20% in Maurita-nia (petrolio) e del 18% in Angola (an-cora petrolio). Che avessero ragionegli utopisti della “grande spinta”? Perl’Angola, la svolta, se c’è stata, è alme-no in parte dovuta alla collaborazionecon la Cina (800.000 cinesi “importa-ti” in cambio di greggio): dunque unmigliore utilizzo delle risorse, una mi-gliore scelta dei partner, non una di-pendenza dagli aiuti. Se l’aumento delPIL sarà un po’ distribuito nel Paese,è ragionevole pensare che ne derive-ranno un aumento della democrazia,una riduzione della corruzione, una ri-duzione delle nascite, un aumentodella scolarità.

Non possiamo dire la stessa cosaper il versante “umanitario” dellosviluppo, di cui potremmo limitarci aconsiderare tre aspetti: l’alfabetizza-zione, la democraticità, la mortalità ele sue cause principali (malnutrizione,infezione)3,13.

Sull’alfabetizzazione i progressi so-no costanti. L’iscrizione alla scuola se-condaria è passata da un 5% nel ’65 aun 30% nel 2000; la percentuale di alfa-betizzati tra i giovani adulti è passatanegli stessi anni dal 30% all’80%.

L’utilizzo di Internet si è decuplica-to in 10 anni, anche se è ancora 10volte inferiore a quello europeo3.

La democraticità è cresciuta di po-co, ma è cresciuta. In un punteggio da0 a 10 è passata da 2 a 4 (8 in Botswa-na)3,10. La cosa che stupisce è che nonaumenti in funzione della ricchezza.Forse anche quella è destinata a cre-scere prossimamente.

La mortalità infantile (primo annodi vita) è calata dal 180 per mille nel

1960 al 100 per mille nel 1980, e lì è ri-masta (malgrado i consistenti aumen-ti degli aiuti)9,11-14. La mortalità sotto i 5anni è ugualmente diminuita, graziespecialmente ai vaccini, agli antibioti-ci, alla dif fusione di protocolli tera-peutici e alla reidratazione orale, tuttemisure in parte indipendenti da aiutimateriali, ma dipendenti invece daaiuti “concettuali”, e da attribuire inlarga parte all’intervento dell’IMS-UNICEF e della benemerita fondazio-ne GAVI (Global Alliance for Vaccina-tion and Immunisation)15,16. Nel mon-do, quest’anno, è per la prima volta di-scesa sotto i 10 milioni (9,7 M)9. Danotare che 60 Paesi, per la maggiorparte africani, concorrono per il 94% aquesta mortalità che oggi, a differen-za di soli 50 anni fa, dobbiamo consi-derare in assoluto “non fisiologica”.

Tuttavia, ancora una volta, siamomolto lontani dai risultati attesi. Gliorganismi internazionali hanno alme-no per 3 volte proposto delle mete, viavia ridotte e tuttavia mai raggiunte, esempre più lontane, tanto da apparireirraggiungibili: nel 1978, con la dichia-razione di Alma Ata (Salute per tuttinell’anno 2000); nel ’90 (riduzione a1/3 della mortalità infantile e a metàdella malnutrizione e della mortalitàmaterna); infine nel 2000 (MillenniumProject), riduzione a 2/3 della morta-lità infantile entro il 2015, eradicazio-ne della povertà e della fame.

Da ciascuno di questi obiettivi sia-mo ancora lontani; da alcuni ci siamoaddirittura allontanati. In particolare,siamo in perdita nella lotta alle tregrandi malattie, TB, AIDS e malaria,per combattere le quali si è istituitoun fondo globale dedicato (GlobalFund to Fight AIDS, TB, Malaria)15, eall’eradicazione della fame e della mal-nutrizione, che sono, in controtenden-za, aumentati. Tuttavia, mentre persi-stono seri dubbi sui tempi e le possi-bilità di contenimento delle epidemiedi malaria e di AIDS, non vediamo im-probabile che la malnutrizione e laTB, entrambi problemi della povertà,se sono veri gli indici della BancaMondiale sul PIL, possano azzerarsi equasi scomparire “da soli”, nel giro dipochi anni, così come entrambi sonoscomparsi in Italia, nel giro di pochi

anni, tra il 1950 e il 1955, indipenden-temente dagli aiuti.

CONSIDERAZIONI GENERALI

Abbiamo confrontato due modi diappoggiare lo sviluppo, uno top-downe uno bottom-up; uno delegato agliStati, alle Banche e alla pianificazionee l’altro alle persone, alle Fondazioni,alle Chiese, alle ONG; uno rivolto almiglioramento dell’economia dei Pae-si e uno alla difesa e alla sopravviven-za delle persone.

Il primo tipo di approccio è sta-to viziato da alcuni peccati originali.• Viziato dall’avarizia dei governi,

coerente con gli interessi politicidei Paesi donatori e gli interessieconomici delle imprese di queiPaesi.

• Viziato dall’economia e dall’ideolo-gia dei Paesi donatori.

• Viziato dall’ipertrofia e dai costi del-le sue strutture.

• È rigido, non sufficientemente at-tento alle possibilità reali degli Statifruitori di obbedire alle regole im-poste, a volte causa di ef fettivesommosse (“FMI troubles”).

• È guidato da lontano, senza direttaconoscenza dei problemi e dei biso-gni della popolazione e degli stru-menti concreti per la realizzazionedei piani.

• È fortemente paternalistico.• È destinato, anche per quanto so-

pra, piuttosto al sostegno dei Paesimeno poveri che dei più bisognosi.

• È costretto a passare attraverso igoverni, corrotti e corr uttori,rinforzandoli e restandone condi-zionato.

• È produttore di rinforzo e sostegnoalla classe dirigente, con aumentatodivario conseguente, di potere e didenaro, tra i più e i meno privilegiati.

• È mancante di trasparenza, di ac-countability e di feed-back, in unaparola di democraticità.In compenso, ha permesso quasi

dappertutto il progressivo rinforzarsidi un’organizzazione civile, bene omale la sopravvivenza delle società,l’aumento di alcuni indici macro e mi-cro-economici e, forse, dopo molte

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Medico e Bambino 3/2008 179

L’Africa, gli aiuti e noi

frustrazioni, il riaggancio a un “mer-cato” globale.

Il secondo tipo di approccio haavuto altri peccati.• Mancanza di pianificazione e di coor-

dinamento tra gli enti erogatori.• Polverizzazione degli inter venti,

con effetti a macchia di leopardo,anche se collocabili in una rete au-to-costruitasi spontaneamente infunzione dei bisogni.

• Non misurabilità “globale” degli ef-fetti e del rapporto costo/benefici(mentre ogni singolo effetto è inve-ce soggetto a un fortissimo feed-back locale).In compenso ha prodotto sviluppo

locale, attenzione per i più deboli, ri-duzione delle differenze, trasmissionedelle conoscenze, sentimenti di fratel-lanza, soddisfazione tra gli operatori.

L’ESPERIENZA PERSONALEE UN TENTATIVO RUDIMENTALEDI COMPUTAZIONE DEL RAPPORTOCOSTO/BENEFICIO

Da quella prima volta, nel 2001,uno o due specializzandi, prima sol-tanto di Trieste, poi anche di Modena,e una volta di Torino, sono stati pre-senti “sul campo “, per turni di 4-6 me-si, e con loro, in regolari, periodiche,più brevi “discese”, anche il “profes-

sore emerito”. Lì abbiamo fatto i me-dici, i pediatri generalisti. Abbiamoanche “tenuto”, per tempi non brevi,l’intero “Internamento” pediatrico e laConsulta (ambulatorio). Ma soprattut-to siamo riusciti a ottenere, imposta-re, a far riconoscere dall’UNICEF dal2003, e a condurre un piccolo Centro(inizialmente una sala di 9 letti, poi 2sale, per 18 bambini), dedicato a pa-zienti con “malnutrizione severa”.Bambini che prima non venivano rico-verati, o solo se gravissimi, e se acuti,e assieme agli altri.

La malnutrizione severa (problema essen-zialmente dei bambini da 6 mesi a 4 anni,svezzati, mal alimentati, ed esposti a ogni ge-nere di malattie piccole e grandi; tra le altre,principalmente AIDS e TB, che coprono cir-ca il 25% del totale) richiede, per la diagnosiufficiale e il ricovero al Centro, uno dei dueseguenti criteri rigidi: la presenza di edemida fame (kwashiorkor) oppure un rapportopeso/altezza <70% della norma (marasma).In realtà i malnutriti costituiscono una parteassai maggiore della popolazione pediatricaangolana: la quasi totalità dei bambini si col-loca, per peso, sotto il 50° centile, almeno lametà sotto il 10%, e almeno il 10% sotto il 3°.

Nell’ambito ristretto dei malnutriti severi“internati” si possono riconoscere almeno 3sottopopolazioni: una a basso rischio (cute emucose intatte, funzionalità intestinale benconservata e bassa steatorrea, non infezione,mortalità vicina allo zero); una a medio ri-schio (cute e mucose danneggiate, steator-rea importante, infezioni minori, mortalitàmedia 8%); una ad alto rischio (cute, mucose,

intestino, immunità, circolo disastrati, infe-zione severa, mortalità vicina al 30-50%), i co-sidetti SAM (Severe Acute Malnutrition).

Nel primo anno dalla istituzione del Cen-tro, di questi malnutriti ne abbiamo ricoverati150 (mortalità 25%), poi sempre qualcuno dipiù, in media 200 all’anno, ma quest’ultimoanno quasi 300 (mortalità 12%).

Nel 2007 abbiamo modificato notevolmen-te la strategia assistenziale; abbiamo ridottomolto la degenza media (da 25 a 12 gg), di-mettendo rapidamente i rischio zero e inter-venendo più aggressivamente in quelli ad al-to rischio. Ma specialmente ci siamo presi ca-rico di tutti i dimessi, impostando un serviziogratuito di “seguimento” e fornendo loro lanecessaria quantità di latte vaccino interosecco (dried) per mantenere la dieta di recu-pero per almeno un mese. In questo modocrediamo (e documentiamo) di ottenere lastabilizzazione della guarigione per la totalitàdei dimessi che accettano la terapia ambula-toriale, il 70% circa. Il numero dei bambinipresi in carico è quindi raddoppiato.

Abbiamo salvato dei bambini? Pen-siamo di sì: come minimo 26 all’anno(il passaggio dal 25% al 12% di morta-lità sui 200 ricoverati); come massimo100 all’anno, la metà almeno di queibambini che non venivano nemmenoricoverati e registrati come malnutriti.Facciamo dunque 26, ridotti per sem-plicità a 25 (150 in 5 anni).

A quale costo? Diciamo di 6000 eu-ro/anno di viaggio per gli specializ-zandi (a carico del bilancio delle Scuo-le), mentre non conteremo le spesepersonali, volontarie, dei non specia-

Bambini con malnutrizione severa: prima e dopo.

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Articolo speciale

lizzandi. Inoltre, da quando sostenia-mo la nutrizione domiciliare (2007),anche 4000 euro/anno per il latte. Di-ciamo 10.000 euro all’anno. In realtà,dovremmo conteggiarne molti di me-no perché, come si è detto, gli speci-lizzandi fanno i medici a tutto campo,non solo i medici del Centro. Comun-que, un massimo di spesa di 400 euro,e un minimo di 100 euro per bambinosalvato e stabilmente recuperato.

Non abbiamo tenuto conto dell’ulti-mo anno e dei risultati del “seguimen-to” che è “esploso” sugli ambulatoria-li. Per questi possiamo solo dire cheabbiamo fatto uscire dalla stagnazionenutrizionale cronica e prevenuto il ri-schio di cadere nella malnutrizionesevera, o acuta severa, SAM, circa 150bambini in mezzo anno, al costo purodi 15 euro a testa (il latte). Con questoabbiamo forse anche dato una delle ri-sposte possibili alla domanda della let-teratura internazionale17: “how to im-prove the care of severely malnourishedchildren?”

Ma, per tutti noi, c’è molto di più. Ilsenso di aver dato, la consapevolezzadi aver ricevuto. Meglio detto, l’averpartecipato a un momento storico, no-stro e dell’Africa, forse irripetibile, siaper l’Africa che per noi, persone.

COSA DIRE, ALLA FINE?

Che entrambi gli approcci, top-down e bottom-up, erano doverosi, peril Mondo occidentale, che entrambi irapporti (più il secondo che il primo,beninteso) sono stati oggettivamentebidirezionali, che uno ha supportatoe completato l’altro, che di entrambi

c’era bisogno e che entrambi sonostati dettati alla coscienza dell’Uomo(Bianco).

Che noi dell’Hospital da DivinaProvidencia non eravamo poi propriouna goccia italoeuropea nel mare ne-ro; perché nella città e nella provinciaoperavano: il CUAMM (coi suoi mortitra gli operatori e i suoi 300 bambiniin ospedale); i Médecins sans Frontiè-res, coi loro miracoli; i volontari delVIS (Salesiani), col loro lavoro sui ra-gazzi di strada; i Calabriani di irmãoAdamo (con la scuola residenza perorfani e per minori in dif ficoltà); lePovere Serve di S. João, con la loroscuola per 2000 alunni; l’UniversitàCattolica, presto anche con la Facoltàdi Medicina.

PS. Stiamo ora lavorando nei Posti di Salu-te all’educazione nutrizionale, con traguar-di minimi, essenziali e a basso costo: 10grammi di proteine al giorno (1 cucchiaiocolmo di latte secco fino a 12 mesi, poimezzo bicchiere di arachidi, costo 0,2 dol-lari, molte volte inferiore al “ready to usetherapeutic food”, UNICEF)18, integrazio-ne vitaminica e ferro, decontaminazione,con risultati “ponderali” e “umani” suibambini, le famiglie e il personale ai qualinoi stessi non avremmo creduto fino a po-chi mesi fa.

Indirizzo per corrispondenza:Franco Panizone-mail: [email protected]

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