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Università di Ain Shams Facoltà di Lingue Al-Alsun Dipartimento d’Italiano Tesi di Magistère in lingua italiana L’ACCENTO IN RAPPORTO AL VALORE ESPRESSIVO DELL’ENUNCIATO Candidata Dalia Gamal Ibrahim Abou-El-Enin Assistente presso il Dipartimento d’Italiano Relatore Ch.mo Prof. M. Saìd Salem El-Bagury Professore ordinario presso il Dipartimento d’Italiano Il Cairo – 2001

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Università di Ain Shams Facoltà di Lingue Al-Alsun

Dipartimento d’Italiano

Tesi di Magistère in lingua italiana

L’ACCENTO IN RAPPORTO AL VALORE

ESPRESSIVO DELL’ENUNCIATO

Candidata

Dalia Gamal Ibrahim Abou-El-Enin

Assistente presso il Dipartimento d’Italiano

Relatore

Ch.mo Prof. M. Saìd Salem El-Bagury

Professore ordinario presso il Dipartimento d’Italiano

Il Cairo – 2001

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Molti sono stati coloro che mi hanno aiutata a portare a compimento il presente lavoro; solo ad alcuni di loro, però, posso esprimere la mia gratitudine

in questo piccolo spazio disponibile.

Innanzitutto desidero ringraziare la mia famiglia. Non credo di saper esprimere con parole la mia riconoscenza nei suoi confronti.

All’Università desidero esprimere la mia più profonda gratitudine al professor Saìd El-Bagury, il mio relatore che mi ha fiduciosamente sostenuta e

incoraggiata fin dall’inizio della mia attività di ricerca.

Devo ringraziare anche la professoressa Sausan Zein-El-Abedin, capo del nostro Dipartimento che si è mostrata sempre disponibile e che ha

gentilmente accettato di partecipare alla commissione d’esame.

In Italia desidero ringraziare il professor Paolo Di Giovine all’università di Roma ‘La Sapienza’ per la sua disponibilità e per avermi

seguita nei primi mesi di permanenza in Italia. Devo ringraziare la dottoressa Miriam Voghera per i preziosi consigli e suggerimenti che mi hanno aperto uno spiraglio di luce in un momento molto difficile e che mi ha affidata al

professor Federico Albano Leoni, direttore del CIRASS (Centro Interdipartimentale di Ricerca per l’Analisi e la Sintesi dei Segnali)

all’Università di Napoli: a lui va la mia riconoscenza per avermi messo a disposizione la strumentazione del laboratorio e il materiale richiesto per la

tesi. Desidero esprimere la mia riconoscenza al dottor Francesco Cutugno

che si è assunto la responsabilità di introdurmi alla strumentazione nel CIRASS e di risolvere, con tanta pazienza, i vari problemi tecnici che

sorgevano ogni tanto.

Un ringraziamento particoalre è dedicato alla dottoressa Renata Savy per le molte ore che ha voluto premurosamente dedicarmi e per avermi seguita

e guidata durante le varie fasi di lavoro in questa ricerca.

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SIGLE E ABBREVIAZIONI

AVIP Archivio delle Varietà di Italiano Parlato

INTSINT International Transcription System for INTonation

IPA International Phonetic Alphabet

SAMPA Speech Assessment Methods Phonetic Alphabet

X-SAMPA extended SAM (Speech Assessment Methods) Phonetic Alphabet

SAT Speech Assessment Tools

TU (Tone Unit) unità tonale

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INTRODUZIONE

Il presente studio parte dall’ipotesi che la prosodia costituisca uno dei mezzi verbali manipolati dai parlanti a fini espressivi. Ciò si rispecchia nel titolo della tesi che propone uno studio di due aspetti della lingua che si presume interagiscano tra di loro: uno prosodico e l’altro espressivo. Il termine ‘espressivo’ dice molto e nello stesso tempo dice poco, dal momento che l’espressività non è l’esito di un solo strumento linguistico. L’espressione, il senso, il significato sono purtroppo parole vaghe per cui conviene ‘mettere i puntini sulle i’ e restringere il campo di studio, specificando che cosa si intende in questa sede per valore espressivo. Nella presente ricerca si è cercata la risposta nella teoria degli atti linguistici esposta in § 1.2. (si veda infra l’ordinamento dei capitoli).

Questa tesi si propone di descrivere i fenomeni accentuali e intonativi che accompagnano un tipo di atti linguistici. In lingua italiana, e più precisamente in alcune varietà regionali, sono state proposte delle descrizioni di sistemi fonologici legati alle interrogative in studi che rendono conto della fisionomia pragmatica di tale tipo di frasi (cfr. per esempio GRICE, 1995; CAPUTO, 1997; SAVINO, 1997). Nella presente tesi si cercano delle regolarità nella realizzazione prosodica dell’atto linguistico d’interesse.

Ai fini dell’analisi prosodica vengono adoperati metodi e sistemi fonetici e non fonologici. Tale impostazione fonetica è giustificata e anche dettata dalla realizzazione semispontanea dei parlanti che non rispettano le regole fonologiche nella produzione dei segmenti e anche dalla mancanza di studi sia fonologici che

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fonetici che esaminano la realizzazione prosodica che accompagna gli atti direttivi in italiano. Stando così la situazione degli studi prosodici dell’atto qui scelto, sembra più plausibile avviare uno studio che prenda le mosse dalla concreta realizzazione per poi, con l’accumulo degli studi fonetici, arrivare a una eventuale formazione di regole fonologiche.

L’ordine dei capitoli rispetta in generale l’ordine delle fasi di lavoro in questa ricerca. Nel capitolo 1 si introduce ad alcune delle cause per cui si cerca di selezionare una certa porzione della lingua per sottoporla all’esame linguistico. La lingua italiana, come qualsiasi lingua naturale, presenta una grande variazione e multistratificazione da cui nascerebbe una confusione che si cerca di evitare tramite la scelta di e la focalizzazione su una certa ‘varietà’ della lingua. Nel primo capitolo (§ 1.1.) verrà introdotto il concetto di ‘varietà della lingua’. La raccolta del materiale linguistico è un altro punto rilevante che si impone all’attenzione dello studioso al momento in cui si cerca di mettere in atto le ipotesi teoriche riguardanti il segmento di lingua scelto per lo studio; perciò tratterò di alcune delle difficoltà che si presentano durante la raccolta del materiale spontaneo e di uno dei metodi di raccolta di materiali linguistici con cui ci si propone di evitare tali problemi senza rinunciare a un certo grado di spontaneità.

In § 1.2. si introduce la proposta dei filosofi del linguaggio, secondo cui il parlante o lo scrivente adopera la lingua per eseguire degli atti; ciò vuol dire che il linguaggio può essere un mezzo di realizzazione delle azioni e può influire sull’interlocutore o sul ricevente. Tra i vari atti linguistici mi propongo di focalizzare l'attenzione sull’atto direttivo dove il parlante esprime con le parole il suo desiderio che venga compiuta una certa azione. Anche se le

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interrogative (le richieste di informazioni) si considerano un sottotipo degli atti direttivi, mi limiterò ad analizzare le richieste di azioni, poco studiate rispetto alle prime.

Il capitolo 2 presenta un’esposizione dei tratti prosodici, l’intonazione e l’accento che costituiscono tre aspetti del piano soprasegmentale. Si inizia con la definizione di ogni fenomeno, la specificazione della realizzazione fonetica dei fenomeni e alcune problematiche terminologiche, le funzioni della prosodia e le unità di analisi di tali fenomeni. L’introduzione degli elementi soprasegmentali si effettua tramite l’esposizione di alcuni studi prosodici sia sull’italiano sia in ambito anglosassone.

Il corpus viene presentato nel breve paragrafo 3.1. corredato dai rimandi alle appendici.

Nel paragrafo 3.2. vengono introdotte le analisi effettuate sul corpus: prima le analisi sul contenuto segmentale dal punto di vista sintattico-pragmatico, poi lo studio fonetico. L’impostazione della ricerca si rispecchia in §§ 3.2. e 3.3. che seguono la strada della fonetica sperimentale. Verrà, per esempio, utilizzato il sistema di codifica del piano melodico INTSINT in una fase dell’analisi dopo la misurazione dei vari parametri acustici che accompagnano i segmenti vocalici delle stringhe parlate.

Nel paragrafo 3.3. vengono elaborati i dati ottenuti dalle procedure esposte in § 3.2. L’accento più forte entro l’unità d’analisi prosodica costituirà l’argomento principale del capitolo. Si cercherà di determinarlo e specificarne la collocazione e discutere i dati al fine di osservare delle regolarità nella codifica prosodica che accompagna l’atto linguistico direttivo.

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CAPITOLO 1

DUE FACCE DELLA LINGUA

La lingua si presenta così variegata e multifaccettata allo studioso da rendere indispensabile, prima delle analisi specifiche, una distinzione netta tra i suoi vari aspetti. In questo capitolo verranno introdotti due piani e due punti di vista da cui si considera la lingua, due aspetti importanti, come vedremo, per la nostra ricerca: il primo (§ 1.1.) riguarda la scelta e la raccolta del materiale utilizzato entro una classificazione generale delle varietà della lingua italiana; il secondo (§ 1.2.) tratta dell’uso della lingua, indicando che il parlare non si limita ad essere una produzione vocale, ma offre al parlante uno strumento di azione e reazione di massima efficacia. Questo piano espressivo verrà infine studiato in relazione al piano prosodico (capitolo 3).

1.1. il parlato spontaneo come base di studio

Si è detto nell’introduzione che questa tesi esamina alcuni fenomeni prosodici che accompagnano un dato atto linguistico (l’atto direttivo) prodotto nell’ambito di un corpus di italiano parlato semispontaneo. Infatti, lo studio di qualsiasi fenomeno linguistico è preceduto da fasi preparative che riguardano la scelta del segmento di lingua su cui condurre l’analisi e la raccolta del materiale. Sono di grande rilievo e presentano diverse difficoltà le modalità di raccolta di materiale. I due punti sono molto complessi

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e non si possono chiarire in poche pagine. Comunque sembra opportuno e necessario in quasta sede, prima di arrivare allo studio fonetico, spendere qualche parola sull’italiano parlato e su un esempio dei corpora linguistici; tale esempio sarà molto pertinente in quanto costituisce il modello del corpus utilizzato nel presente lavoro.

1.1.1. L’italiano parlato

L’italiano parlato, come fa notare VOGHERA (1992: 53-54), è entrato sotto la lente d’esame degli studiosi come la manifestazione dei dialetti, degli italiani regionali e dell’italiano popolare; così come un oggetto di confronto e di opposizione all’italiano letterario standard. In tempi recenti, tuttavia, ha suscitato sempre più interesse in Italia, come in altre aree linguistiche, lo studio del parlato come sistema di comunicazione a sé con le sue peculiarità dal punto di vista semiotico e grammaticale.

1.1.1.1. Standard e varietà

La varietà standard dell’italiano è basata sul fiorentino letterario, promosso alle origini da Dante, Petrarca e Boccaccio; nelle opere dei tre grandi scrittori della storia letteraria ‘italiana’, la parlata volgare ha ricevuto una certa fisionomia ed è stata raffinata e presentata agli intellettuali come un sistema possibilmente scritto. Nel corso dei secoli questa lingua ha subito grandi sviluppi e si è progressivamente staccata dalla matrice fiorentina, ma è rimasta una lingua scritta, sconosciuta per la stragrande maggioranza degli abitanti della ‘penisola italiana’. In questo secolo, però, la situazione linguistica italiana ha subito grandi cambiamenti, in

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particolare a partire dal dopoguerra. Prima, in opposizione all’italiano scritto, quasi non parlato, si parlava un dialetto della zona locale. Negli ultimi decenni, invece, i dialetti hanno cominciato a cedere parte della loro dominanza all’italiano e l’uso dell’italiano come mezzo di comunicazione orale e non solo scritto ha conquistato terreno1. Questo sviluppo risale a vari motivi: l’alfabetizzazione di un maggior numero di individui della popolazione italiana e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (in particolare la televisione) hanno promosso l’italiano come realtà linguistica quotidiana (cfr. DE MAURO, 1993). Così l’italiano è in maggior espansione nei centri urbani e tra i giovani.

Il processo di alfabetizzazione delle masse, le quali prima dell’età scolastica imparano il dialetto in famiglia come il primo mezzo di comunicazione, introduce nell’uso scritto forme regionali che di conseguenza vengono standardizzate con il passar del tempo (cfr. VOGHERA, 1992: 43). Di conseguenza, una distinzione parlato/dialetto vs scritto/italiano non è più valida e non ci dà una caratterizzazione soddisfacente del parlato.

Questa situazione linguistica che ha visto l’introduzione di una lingua scritta nell’uso parlato di molti italiani ha contribuito a maggiore diversità del repertorio linguistico. Le influenze reciproche che esercitano le varietà dialettali e l’italiano le une sull’altro fanno sì che la lingua scritta non sia esattamente lo ‘standard’ di cui parlano le grammatiche normative; allo stesso tempo, le persone istruite che sono in continuo contatto con l’italiano assimilano man mano forme della lingua scritta e le introducono nel loro parlare quotidiano. Quindi, se lo ‘standard’ è ormai riconosciuto più come un’astrazione utile come punto di

1 Si vedano a proposito le statistiche Doxa e Istat riportate e discusse da VOGHERA (1992: 56 e segg.).

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riferimento che come una realtà linguistica, si tende invece a riconoscere l’esistenza di una varietà di italiano comunemente usata dalle persone di un certo grado di cultura, la quale accetta come corrette forme che una volta non si consideravano così; tale varietà viene chiamata da BERRUTO (1993: 14) ‘neo-standard’ e corrisponde grosso modo allo ‘italiano dell’uso medio’ di SABATINI (1985). L’italiano standard rimane, comunque, il sistema rispetto al quale si formano le norme grammaticali.

Accanto alla lingua nazionale articolata nello standard e nell’italiano dell’uso medio che gode di maggior diffusione nel parlato, Sabatini indica quattro classi “regionali e locali”: italiano regionale delle classi istruite; italiano regionale delle classi popolari; dialetto regionale o provinciale; dialetto locale. Le ultime quattro classi risentono dei fattori geografici e sociali i quali, come vedremo nel paragrafo seguente, costituiscono fattori essenziali nell’identificazione della varietà (cfr. § 1.1.1.2.).

Questo stato del repertorio linguistico che prevede la coesistenza dell’italiano come lingua nazionale con una varietà sia regionale che dialettale viene identificato da BERRUTO (1993) come una situazione di ‘bilinguismo a bassa distanza strutturale con dilalia’. Tradizionalmente, il bilinguismo prevede l’uso di due lingue diverse, mentre tra l’italiano e le varietà regionali e locali c’è una parentela più che stretta. Basti pensare al fatto che lo standard fu una riformulazione scritta di alcune parlate e che la convivenza dei due diasistemi fa subire delle influenze reciproche che li avvicinano (cfr. BERRUTO, 1993: 5); d’altra parte lo status funzionale dell’italiano e delle varietà non si può più definire diglossia, termine che identifica l’uso di due varietà, una ‘alta’ per gli usi formali e una ‘bassa’ per gli usi informali. Di più, il rapporto

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funzionale tra i due diasistemi (l’italiano e le varietà regionali) riconosce il loro impiego nella conversazione quotidiana, fenomeno per il quale Berruto propone il termine dilalia per caratterizzare la sovrapposizione dei due sistemi linguistici nelle comunicazioni orali (1993: 5-6). Detto ciò, alcuni tendono ancora a usare il dialetto quasi esclusivamente con i familiari e a limitare l’uso della propria varietà regionale alle situazioni di alta formalità. Ciò si potrebbe considerare una forma di diglossia, diffusa naturalmente tra i ceti più bassi.

1.1.1.2. Varietà dell’italiano

Per questi rapporti intrecciati e influssi reciproci tra sistemi lingustistici, una volta più distanti, gli studiosi tentano di delineare la fisionomia delle lingue a disposizione dei parlanti nativi dell’italiano. Nella descrizione di tale fisionomia si avvalgono di criteri che ritengono più pertinenti e fondamentali come dimensioni o ‘assi’ su cui si estendono le diverse varietà. Questi criteri generali valgono per qualsiasi lingua, ma l’interesse in questa sede sarà focalizzato sull’italiano e sulle sue peculiarità.

In linee generali, oltre alla variazione lungo l’asse del tempo (variazione diacronica), la lingua varia, su uno stesso piano sincronico, con la variazione dell’area geografica in cui viene usata (variazione geografica o diatopica); del gruppo sociale (variazione sociale o diastratica); della situazione comunicativa (variazione situazionale o diafasica). Un’altra dimensione di variabilità un po’ discussa, in quanto non del tutto indipendente, è la variazione a seconda del canale di comunicazione (variazione diamesica). Infatti il canale (per esempio il canale televisivo vs interazione faccia a faccia) viene considerato da alcuni un fattore dipendente dalla

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situazione comunicativa (il piano diafasico; cfr. BERRUTO, 1993: 9).

Varietà diacroniche sono, per esempio, l’italiano moderno e l’italiano dell’Ottocento; varietà diatopiche sono gli italiani regionali; varietà diastratica è l’italiano popolare contrapposto all’italiano colto2; varietà diafasica è l’italiano burocratico, diverso dall’italiano scientifico.

Ma nell’osservazione di queste dimensioni si segnalano rapporti intrecciati per i quali una stessa varietà può risentire degli altri fattori e allo stesso tempo può essere inclusa sotto varie etichette. Un esempio si può osservare in questa affermazione di BERRUTO: “[…] Nella situazione italiana è praticamente impossibile separare la variazione diatopica da quella diastratica” (1993: 11). A mo’ d’esempio, più la lingua diventa diatopicamente marcata (un dialetto stretto), più tradisce l’appartenenza a uno strato sociale basso, diventando così, nello stesso tempo, una varietà diastratica. Questa sovrapposizione delle due classi (marcatezza diatopica indice di diastratia) si potrebbe ricondurre al fatto che la lingua nazionale è stata promossa in prima linea dall’istruzione, la quale viene a sua volta legata a livelli culturali e sociali relativamente più alti. Una caratteristica della situazione linguistica italiana è che, fino a pochi decenni fa, si riconosceva nei dialetti la vera lingua madre degli italiani. Di più, il dialetto rimane ancora, per una buona parte della popolazione, la prima lingua imparata a casa prima

2 Il linguaggio popolare sembra presentare una difficoltà di classificazione dal momento che può essere una varietà diatopica (perché segnala sicuramente la provenienza e da essa viene caratterizzato), sociale, situazionale (in quanto un parlante può limitarsi ad usarlo solo con i familiari, o con le persone di basso livello culturale al fine di farsi capire.

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dell’età scolastica. Tutto ciò dà maggior rilievo alla diatopia rispetto agli altri assi di varietà.

La dimensione diatopica, secondo BERRUTO (1993), influisce su tutte le altre dimensioni ed è “onnipervasiva” (p. 18). Egli dice sull’importanza della provenienza:

“[…]; un parlante nel periodo dello sviluppo linguistico impara una varietà sociale dell’italiano della propria regione, entro la quale impara diversi registri adeguati a diverse situazioni, entro cui impara la fondamentale dicotomia fra parlato e scritto” (BERRUTO, 1993: 11).

In tal modo le varietà potrebbero agire l’una dentro l’altra: “la diastratia dentro la diatopia, la diafasia dentro la diastratia, la diamesia dentro la diafasia” (BERRUTO, 1993: 11). Va considerato d’altronde che, dal punto di vista strutturale, ogni varietà ha molti tratti in comune con le altre e che, anche se ognuna ne rimane abbastanza identificabile, bisogna fare i conti con diversi fattori prima di assegnare un’etichetta decisa e unica a certe produzioni linguistiche3.

Data questa sovrapposizione, la collocazione del parlato sotto una delle varietà non risulta una valida identificazione. Neanche nella stessa diamesia si può trovare una soluzione appagante. BERRUTO (1993a) ritiene che la differenziazione diamesica tra parlato e scritto è “preliminare e indipendente rispetto all’utente” (p. 38), in quanto le peculiarità del canale e le circostanze

3 Dal punto di vista strutturale, il problema dell’etichetta da dare a una varietà risale in gran parte alla mancanza di studi sistematici che si occupino dell’identificazione di tutti i livelli strutturali tipici di una detta varietà (VOGHERA, 1992: 46).

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costituiscono i fattori fondamentali anche rispetto allo strato sociale, ma viene poi “assorbita dalla variazione diafasica e dai tipi di testi relativi. Ciò rende particolarmente difficile sceverare, in molti casi, quello che è proprio del parlato e quello che è invece proprio delle varietà che si servono della modalità parlata e del canale fonico-uditivo” (BERRUTO, 1993a: 38).

Infatti l’orale e lo scritto divergono non solo e non tanto nell’uso del canale, quanto anche e soprattutto del codice. Il linguaggio scientifico, ad esempio, non è solo scritto ma si serve anche del canale fonico-uditivo nelle conferenze e nei congressi; il linguaggio popolare, prevalentemente parlato, è anche scritto (come varietà diastratica propria di un certo livello culturale).

1.1.1.3. Tratti del parlato

Quindi, conviene cercare una caratterizzazione del parlato nella natura semiotica, fisica e situazionale del codice. Qui si intende il parlato spontaneo che costituisce la forma consueta del parlato di ogni giorno. Berruto distingue il parlato rispetto allo scritto in base ad alcune caratteristiche:

“[…] in parte alla differente natura semiotica del mezzo di trasmissione del messaggio, che impone una serie di limitazioni e di scelte preferenziali alla strutturazione del messaggio stesso; in parte alle condizioni situazionali di produzione, che rendono il parlato molto più indessicale e legato alla specifica interazione interindividuale; in parte infine all’architettura stessa della lingua, che prevede e assegna certe funzioni

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piuttosto che altre, e quindi una certa collocazione del repertorio, alle varietà tipicamente scritte rispetto a quelle tipicamente parlate, meno soggette al controllo normativo” (BERRUTO, 1993a: 37-38).

Dal punto di vista semiotico, tra le caratteristiche della comunicazione orale precisate da VOGHERA (1992), riportiamo lo scambio comunicativo o la dialogicità, il massimo uso della ripetizione, l’andamento tematico non lineare ma caratterizzato dalla ripetizione parziale dell’informazione precedente prima di procedere. La produzione orale ha caratteristiche esclusive che diventano delle risorse sfruttate a fini espressivi, quali la prosodia. I fenomeni paralinguistici (espressioni facciali, gestuali, ecc.) sono indici del legame con il contesto situazionale per cui i gesti possono talvolta sostituire le forme linguistiche, oltre il forte ricorso alla deissi e ai riferimenti extralinguistici interpretabili solo in base al contesto immediato.

La comunicazione orale si effettua al livello della produzione e della ricezione tramite il coinvolgimento dell’apparato fonatorio e l’apparato uditivo. L’intervallo di tempo quasi inesistente tra la produzione e la ricezione da parte dell’ascoltatore sottopone il parlante a uno sforzo di pianificazione progressiva e immediata man mano che procede la comunicazione con le eventuali riprogrammazioni e autocorrezioni. Ciò si manifesta nelle frequenti interruzioni e pause di esitazione, disfluenze, ripetizioni e ridondanza, sia lessicale sia sintattica.

Ancora di grande rilievo è la reazione del partner della comunicazione, la quale può influenzare e cambiare l’andamento dell’interazione e la riprogrammazione del discorso, provocando talvolta maggiore esitazione.

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Al livello sintattico BERRUTO (1993a: 48) indica la ricorrenza di strutture sintattiche interrotte espresse, per esempio, in frasi incomplete e anacoluti. Inoltre, c’è quasi un accordo tra gli studiosi sulla prevalenza della paratassi rispetto all’ipotassi. VOGHERA

(1992: 211), però, trova nel suo corpus una grande proporzione di subordinate: poco meno della metà del totale delle proposizioni del suo corpus e osserva, d’altronde, maggiore tendenza all’uso delle frasi nominali che sono “di norma più brevi e si adattano meglio ad una situazione ad alta frequenza di scambio comunicativo” (1992: 250-51). Tale scambio dei turni (la dialogicità) è la manifestazione consueta e comune del parlato (ivi: 246). Osservando inoltre una corrispondenza tra la struttura intonativa e quella sintattica4, l’autrice trova nell’uso delle frasi nominali uno strumento di ottimizzazione sintattica, invece che un indice di sintassi scollegata, risultato che contraddice un’opinione diffusa che la sintassi del parlato è notevolmente sgretolata rispetto allo scritto (ivi: 251-52). Infatti, si riscontrano differenze tra le posizioni degli studiosi del parlato, differenze che risalgono alla complessità del fenomeno e che accentuano il bisogno di condurre più studi sistematici sui vari aspetti del parlato al fine di verificare o confutare le varie ipotesi e di capire le dinamiche e le caratteristiche di questo mezzo di comunicazione e interazione sociale.

4 L’intonazione e le sue funzioni verranno trattate nel capitolo 2.

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Dal punto di vista morfologico c’è una tendenza generale alla semplificazione rispetto allo scritto (BERRUTO, 1993a: 49). Per esempio, ad alcuni tempi e modi verbali si danno più funzioni a scapito di altri che tradizionalmente (nelle grammatiche normative) adempiono a tali funzioni (cfr. BERRETTA, 1993; SIMONE, 1993). Ciò si riscontra nell’uso del presente indicativo per indicare le azioni future; l’uso del futuro indicativo con valore epistemico a scapito del condizionale; l’estinzione o quasi del modo congiuntivo e l’espansione pronunciata dell’imperfetto modale, spesso proprio in sostituzione del congiuntivo, per esempio nel periodo ipotetico. Si segnala anche una maggiore frequenza dei pronomi personali e dimostrativi, che può essere per enfasi o per il legame al contesto fisico circostante. Come effetto della ridotta gittata della pianificazione si manifesta una devianza dell’accordo e la concordanza tra verbo e soggetto per esempio.

Sul piano morfofonologico si verificano frequenti riduzioni segmentali e cadute di vocali e sillabe atone. Uno studio condotto da SAVY (1999) su due varietà diatopiche dell’italiano (una meridionale e una settentrionale) mostra, per esempio, come la riduzione fonica segmentale delle vocali e sillabe finali di parola (dipendendente da particolari condizioni prosodiche) abbia notevoli conseguenze sul piano della realizzazione delle marche della morfologia flessiva e dell'accordo morfologico.

1.1.2. Il continuum diafasico

Abbiamo detto che la lingua varia a seconda della situazione comunicativa, nella quale si può identificare maggiore o minore formalità. Un indice del grado di formalità è costituito dal registro che dipende “primariamente dal carattere

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dell’interazione e dal ruolo reciproco assunto da parlante (o scrivente) e destinatario” (BERRUTO, 1993a: 71). Il registro, secondo Berruto, è una varietà diafasica, ma per VOGHERA (1992: 39) esso non costituisce una varietà e può essere, invece, un fattore che percorre le diverse varietà.

Il parlato normale, spontaneo, della comunicazione giornaliera coincide con i registri meno formali perché, più si sale nella scala di formalità, più il parlato diventa ricercato e tende a utilizzare forme dello scritto. Nel continuum che intercorre tra la formalità e l’informalità, come osserva BERRUTO (1993: 17) per la dimensione diafasica in generale, “si passa davvero impercettibilmente da una varietà situazionale all’altra, scendendo o salendo lungo la scala dei registri, senza confini discreti”.

Questo continuum diafasico ha, quindi, come costituente essenziale e determinante del registro, un asse di (in)formalità: ad un estremo dell’asse maggiore spontaneità corrisponde a maggiore informalità (polo tipico del parlato quotidiano), in quanto la situazione comunicativa non impone tante cerimonie e non risulta stressante per il parlante, che si sente a suo agio e non si trova costretto a ‘pesare’ ogni parola; all’altro estremo, invece, cioè nelle situazioni più formali, qualsiasi sbaglio, trascuratezza o disattenzione nell’espressione può compromettere la comunicazione, i rapporti tra gli interlocutori, e forse anche l’immagine del parlante.

Quest’altra dimensione più tipica del parlato di tutti i giorni, la spontaneità, viene imposta dalla natura del canale. L’enunciazione è normalmente preceduta da un processo di pianificazione che si sviluppa man mano nel corso

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1.1.3.- La costruzione di un corpus spontaneo

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dell’interazione. In certi contesti si cerca di evitare quei fenomeni di interruzione del flusso parlato che potrebbero pregiudicare l’interazione e sottoporre il parlante a una situazione imbarazzante davanti agli ascoltatori. Per esempio, nelle aggregazioni formali (come in un congresso) il parlante cerca di fissare le idee per iscritto prima di presentarsi in pubblico; così realizza la comunicazione parlata con la velocità richiesta, senza rischiare di perdere le fila del discorso o di non trasmettere i concetti che gli stanno più a cuore. Tali interventi orali preparati in anticipo non sono spontanei, a differenza della conversazione quotidiana, non basata su testi scritti o appunti, e quindi rappresentano un sistema molto diverso dalla conversazione prettamente spontanea.

La produzione spontanea si sottopone all’interesse degli studiosi (non solo i linguisti ma, per esempio, anche gli antropologi), in quanto costituisce la consueta manifestazione linguistica nelle comunicazioni faccia a faccia e quindi nell’interazione sociale ed è quella che interessa anche direttamente in questo lavoro per l’utilizzo assolutamente non marcato dei tratti prosodici come indici del valore espressivo dell’enunciato. Essa tuttavia presenta alcuni problemi, che tratteremo nel prossimo paragrafo, quando la si voglia isolare come oggetto di osservazione.

1.1.3. La costruzione di un corpus spontaneo

1.1.3.1. Il problema della costruzione di un corpus spontaneo

In generale l’indagine linguistica è caratterizzata dalla selettività. Non è possibile osservare i vari aspetti della lingua in una sola indagine. Per di più, gli studiosi cercano sempre di focalizzare

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1.1.3.- La costruzione di un corpus spontaneo

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l’esame su alcuni fenomeni per non lasciarsi portare nel labirinto della multistratificazione e della varietà della lingua (cfr. § 1.1.1.). Per la descrizione e/o spiegazione di un dato fenomeno, occorre averne una certa quantità di manifestazioni, il che induce il linguista a effettuare una raccolta di tali manifestazioni. Incoraggia l’impresa, poi, l’ipotesi che più si riesce a raccogliere, più si può approfondire il fenomeno per arrivare a plausibili generalizzazioni teoriche. Una raccolta di materiale costituisce un corpus e, data l’importanza dei corpora, essi diventano di per sé un aspetto molto importante e impegnativo nella ricerca linguistica, anche se non si può dire che la metodologia della costruzione dei corpora linguistici sia un ramo indipendente della linguistica.

Una volta determinato l’obbiettivo nello ‘studio del parlato spontaneo’, bisogna fare i conti con vari tipi di difficoltà.

Alla fase di raccolta del materiale o del corpus da analizzare si affronta la questione della registrazione del continuum fonico. A tal proposito il contributo delle tecnologie di registrazione e riproduzione audio si considera il salvagente dello studioso curioso di osservare il parlato. Data la natura fisica dei foni, non permanenti a differenza dei grafemi che rimangono registrati e visibili, il parlato, prima dell’invenzione dei sistemi di riproduzione audio, non poteva essere riascoltato più volte ai fini dello studio e veniva, semmai, trascritto o tradotto in grafemi; un processo che non rende con efficacia i tratti del canale fonico5.

5 Tra i sistemi ortografici e il continuum fonico, si sa, non c’è una corrispondenza biunivoca nelle lingue naturali. Un tentativo di rendere i foni in segni scritti si riscontra nei cosiddetti alfabeti fonetici o sistemi di trascrizione fonetica, i quali sono segni arbitrari più numerosi rispetto ai segni di un alfabeto di una lingua naturale, con i quali si cerca di codificare la gamma più grande possibile di foni. Sussistono altri tentativi di

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1.1.3.- La costruzione di un corpus spontaneo

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Il problema che si presenta prepotentemente negli studi fonetici strumentali sta nel fatto che i sistemi di analisi richiedono un’alta qualità di registrazione, poiché gli appositi strumenti, così come i registratori, sono molto sensibili ai suoni e ai vari tipi di rumore di fondo. Questi ultimi, purtroppo, accompagnano spessissimo la produzione spontanea in situazioni normali e raramente si può avere, in situazioni di vita reale, la tranquillità ideale che garantisca una limpida qualità di voce, indispensabile per una efficace analisi acustica.

Le produzioni spontanee si rifanno a un contesto potenzialmente illimitato che spesso offre dati disomogenei e difficilmente maneggiabili; sicchè, con molta probabilità, il fenomeno da sottoporre all’analisi non risulta facilmente né abbastanza frequentemente rinvenibile. Di conseguenza, occorrono moltissime registrazioni per poter arrivare a quantità di materiale che facciano statistica, il che allunga notevolmente i tempi di ricerca e rischia di distogliere l’attenzione dello studioso dal suo obbiettivo principale. Inoltre, potrebbe costituire un altro ostacolo il ricorso a registrazioni fatte a caso con gente sconosciuta, perché servono sempre nozioni supplementari circa i parlanti (età, livello di istruzione, provenienza) per legare la loro identità socioculturale alle caratteristiche della loro produzione. Infatti, non risulterebbe scientificamente plausibile trarre conclusioni generali su un dato fenomeno nell’italiano in base a singoli campioni di varie regioni.

trascrizione delle caratteristiche soprasegmentali, sempre non ben rappresentate nello scritto.

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1.1.3.2.- Il metodo del Map Task

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Infine, un ultimo ma non meno importante problema è legato a quello che viene definito il ‘paradosso dell'osservatore’ (LABOV, 1977: 25). Se lo studioso cerca di effettuare una registrazione di materiale spontaneo presentandosi, sia con partecipazione attiva nell’interazione o meno, con il registratore in mezzo ai parlanti per garantire una qualità di registrazione migliore di quella ottenuta con la tecnica del registratore nascosto, la sua stessa presenza può costituire, con tanta probabilità, un limite alla spontaneità della produzione parlata. In casi del genere i parlanti si accorgono di essere ‘soggetti’ osservati, il che li potrebbe indurre ad allontanarsi dalla naturalezza e a far perdere all'oggetto di studio proprio la caratteristica di spontaneità che è il requisito alla base della scelta dello studioso.

1.1.3.2. Il metodo del Map Task6

Nel tentativo di evitare i problemi legati alla qualità della registrazione, si è pensato di costruire corpora in cui il parlato venga ‘elicitato’ in ambienti controllati, ma con metodi che preservino un sufficiente e plausibile grado di spontaneità. Uno di questi metodi di raccolta di materiale si chiama Map Task. In seguito parleremo della manifestazione più consueta di questo compito orientato.

Il compito prende normalmente la forma di una specie di gioco di società, in cui è richiesta la collaborazione tra due persone allo scopo di portare a compimento un certo compito legato alla

6 L’ideazione del corpus Map Task è nata per opera dei ricercatori dell’Università di Edimburgo Brown G., Anderson A., Yule G. e Shillock R. nei primi anni ottanta; il progetto più conosciuto che si ispira a questa tecnica è intitolato ‘HCRC Map Task Corpus’ ed è stato costruito sempre a Edimburgo (cfr. ANDERSON et al., 1991).

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1.1.3.2.- Il metodo del Map Task

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ricostruzione di un percorso su una mappa data ad ognuno dei soggetti. Questa forma mira a distrarre i soggetti dallo scopo reale degli sperimentatori e tenta di non farli sentire osservati per come interagiscono verbalmente.

Il compito è limitato e orientato nelle linee generali: sono controllati il contesto situazionale (immediato), l’argomento della discussione e il canale di comunicazione (canale verbale in questo caso). I soggetti sanno in anticipo i propri ruoli: uno di loro riceve una mappa con un iter già disegnato da descrivere al partner, la cui mappa è senza percorso. Il primo soggetto ha quindi il compito esplicito di dare informazioni riguardanti il percorso da tracciare o istruzioni e per questo viene chiamato instruction giver (G), mentre il partner che segue tali istruzioni viene definito instruction follower (F)7. A questo punto i soggetti sanno di dover collaborare per portare a fine questa operazione. Intanto, la somiglianza in qualche modo ai giochi di società rende meno spiacevole l’esecuzione del compito. Spesso, però, i soggetti non sanno che i punti di riferimento non sono identici nelle due mappe, cosa che scoprono man mano nel corso della conversazione.

I soggetti non possono vedere le reciproche mappe e non possono vedersi e quindi non gli risulta utile gesticolare e si sentono costretti a comunicare dialogando. Questo aspetto, tuttavia, è soggetto al controllo degli sperimentatori a seconda degli scopi della ricerca; se si vuole studiare il funzionamento di altri canali di comunicazione (specialmente gli sguardi) si può mettere un

7 I due termini inglesi giver e follower verranno usati frequentemente nelle nostre discussioni per cui conviene accennare al fatto che essi non costituiscono prestiti di lusso, ma termini che revocano l’origine non italiana del metodo Map Task e che vengono usati dagli sperimentatori che hanno costruito i dialoghi di cui fa parte il corpus di questa tesi (cfr. § 3.1.1.); nella trascrizione ortografica del corpus vedremo anche gli iniziali G e F).

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1.1.3.2.- Il metodo del Map Task

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pannello meno alto tra i soggetti in modo tale che abbiano maggiore possibilità di vedersi e di contattarsi visivamente.

Per questa serie di tratti controllati e prestabiliti i dialoghi del Map Task vengono chiamati semispontanei. Questa denominazione è pensata per maggior correttezza e rigorosità scientifica dato che lo spontaneo è la forma tipica del parlato quotidiano, tutto improvvisato e non basato su appunti. Comunque, il fatto che l’argomento principale del dialogo è determinato e i compiti dei soggetti sono orientati in un modo tale da rendere previsti i punti salienti nell’andamento del dialogo (una serie di istruzioni che conducono al disegno di un iter esistente nel contesto visivo a disposizione di uno dei parlanti) non pregiudica del tutto la spontaneità degli interlocutori.

È ovvio che i soggetti hanno il pieno diritto di usare le loro conoscenze della lingua e del mondo e che hanno la libertà di parlare quanto e quando vogliono nei limiti concessigli dalla natura diafasica della comunicazione. La costruzione di situazioni più o meno marcate diafasicamente è possibile tramite il controllo del grado di conoscenza tra i partner. La familiarità tra i soggetti si può manipolare sistematicamente per indagare, tra l’altro, l’influsso che tale aspetto esercita sulla comunicazione. Per ottenere maggiore naturalezza e spontaneità si cercano soggetti che si conoscono da prima, dando loro la possibilità di scegliersi tra di loro partendo dall’ipotesi che i partner in questi casi si sentano a loro agio nel corso dell’interazione e, quindi, possano conversare in maniera plausibilmente naturale. Il grado di familiarità, inoltre, può essere un variabile tramite il quale studiare lo sviluppo della collaborazione tra i soggetti. Se lo stesso soggetto collabora due volte con due partner diversi: uno estraneo e un altro di conoscenza,

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1.1.3.2.- Il metodo del Map Task

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si possono confrontare le strategie di comunicazione in due situazioni diafasicamente diverse.

Nella ideazione delle mappe gli sperimentatori prevedono che i nomi delle icone costituenti i punti di riferimento vengano pronunciati frequentemente nel corso della conversazione. Questa forzatura lessicale articolata nella ripetitività di un numero limitato di punti di riferimento può essere d’interesse fonetico e fonologico. La ripetitività permette di osservare le varie realizzazioni della stessa parola e confrontare tali realizzazioni in relazione alla loro posizione sintattica, prosodica, testuale, ecc. Un altro vantaggio della forzatura lessicale data a priori risiede nel fatto che la scelta dei termini da parte di chi costruisce il corpus può tenere conto di vari fattori, per esempio il bilanciamento delle strutture fonotattiche, sillabiche, accentuali così come di indici di frequenza d'uso dei lemmi e delle forme. Per il resto, al livello sintattico, fonetico e pragmatico, molto dipende dai parlanti e da quanto si sentano a loro agio nella comunicazione, nel senso che la forzatura lessicale e contestuale non condiziona negativamente la spontaneità.

Un altro vantaggio del Map Task, come i corpora costruiti sistematicamente, è quello di poter arrivare a statistiche e a confronti interessanti, assegnando lo stesso compito a diversi soggetti, di cui si ottengono informazioni primarie riguardanti il sottofondo sociolinguistico.

1.1.3.3. L’interazione nel Map Task

Allo scopo di avere una conoscenza più diretta dei dialoghi ispirati al metodo del Map Task, lo studioso interessato dovrebbe arrivare a osservare più di un dialogo di questo tipo. Dato che la

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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produzione nell’ambito del Map Task è semispontanea, le conversazioni non possono essere identiche. Ciò presenta una certa diversità, pur limitata, che offre all’analista la possibilità di trarre conclusioni utili, anche se non neccessariamente generalizzabili, che riguardano la comunicazione cooperativa.

Ai fini di questa ricerca che contiene una parte sperimentale8 si dovrebbe formare un’idea dell’interazione in questo tipo di comunicazione. Avendo a portata di mano alcuni dialoghi dello stesso tipo del corpus scelto per il nostro studio fonetico-pragmatico, si è potuto fare delle osservazioni generali sui ruoli degli interlocutori e sugli scambi comunicativi effettuati in tale ambito, osservazioni che riportiamo di seguito.

1.1.3.3.1. Cenno ai ruoli

Il giver è il locutore che dà le informazioni principali che servono al follower e il successo del processo dipende in grande misura dalla sua descrizione e spiegazione del percorso da tracciare. Il giver dà le indicazioni e le istruzioni e, dato che non gli è consentito vedere la mappa del follower, fa frequentemente domande per rassicurarsi dell’esecuzione del suo partner, così come chiede conferme sulla presenza o meno dei vari punti di riferimento.

Per il follower è molto importante avere una descrizione esatta dell’iter da parte del giver, così come è necessario per questi rassicurarsi che il follower lo sta seguendo senza problemi. Per questa distribuzione di ruoli il follower si aspetta una spiegazione

8 Il capitolo 3 contiene le analisi effettuate sul corpus, inclusa l’analisi pragmatica che usufruisce in maniera indiretta di una conoscenza dell’andamento della comunicazione Map Task (cfr. § 3.2.2.), in quanto facente parte degli elementi contestuali (cfr. § 1.2.4.).

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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chiara del percorso con i riferimenti extralinguistici precisi, quindi tocca al giver effettuare un maggior sforzo ‘linguistico’ e produrre dei turni più estesi, mentre il follower deve impegnarsi nella percezione e il comprendimento e nel segnalare le eventuali discrepanze e interruzioni del proseguimento.

Il follower, comunque, non rimane del tutto passivo a ricevere. Qualche volta rimane insoddisfatto della performance del suo locutore come si vede in questi esempi:

Es: (dopo un lungo silenzio da parte di G),

F: tocca sempre a te, Silvia Es: (un’altra volta nel corso della stessa conversazione,

sempre dopo un lungo silenzio e un’inspirazione da parte di F – forse in segno di annoiamento)

F: Silvia, tu devi parlare

Altre volte il giver deve insistere nel dare le indicazioni per

indurre il follower a seguirlo:

Es: F: non sto su… i trattini non stanno sotto la figura ambulante.

G: no deve stare sopra! F: eh G: eh sei passata sotto la / sopra la testa

dell'ambulante qua, con i trattini ? F: no G: eh, e passaci

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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Data la natura dinamica dei dialoghi che prevedono la

partecipazione di tutt’e due gli interlocutori, anche se in misura sbilanciata, nel sottoparagrafo seguente tratteremo di scambi comunicativi e non di frasi rivolte in senso unico.

1.1.3.3.2. Scambi comunicativi

Gli scambi comunicativi nei dialoghi del Map Task girano nell’orbita del compito orientato e non presentano, come è del tutto previsto, l’infinita gamma di scambi e di interazioni tipici della comunicazione spontanea.

In generale e in termini di funzioni del linguaggio, gli interlocutori usufruiscono del canale verbale per riferirsi continuamente al contenuto delle mappe, le quali costituiscono il contesto immediato e il punto di riferimento su cui si costruisce l’interazione. Tale funzione viene denominata da JAKOBSON (1966 [1963]) funzione referenziale, con cui, cioè, si esprime l’orientamento rispetto al contesto (1966: 186).

Es: G: il punto di partenza sta sopra l’aia

Tuttavia, in questo paragrafo concentreremo il discorso sugli

scambi comunicativi tramite i quali gli interlocutori portano avanti il dialogo e di conseguenza il compito a loro assegnato.

Le due tipologie di scambio più diffuse sono la tipologia domanda-risposta e lo scambio di indicazioni sul percorso. Osserveremo intanto che la funzione referenziale si manifesta prepotentemente nel corso dell’interazione, poiché il riferimento al contenuto delle mappe è il perno di tutta la comunicazione sia nelle

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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indicazioni che nelle domande e viene di conseguenza data per scontata.

La tipologia domanda-risposta si presenta sotto varie fisionomie. Ci sono le domande vere e proprie, sia polari che wh-:

Es: G: accanto a bar da Dodò trovi valle delle allodole? Es: G: che figura c’è?

Qualche volta alle domande vengono date risposte

interlocutorie:

Es: F: […] cioè scendo un’altra volta verso la fine del foglio. Ma io c’ho una specie di collina dei babbuini, a te non c’è niente?

G: scende giù sì. Proprio in quel posto? F: sì

Le domande-richieste di informazioni, come quelle degli

esempi precedenti, aggiornano entrambi gli interlocutori sullo stato delle mappe. Le domande-richieste di conferma (domande di feedback) assicurano il giver che il follower percepisce e compie quanto gli viene richiesto e servono al follower per capire prima di eseguire:

Es: G: fino a dove sta questo valle di colibrì qua… ci sei arrivata?

F: ma non lo posso fare perché l'ho fatto <ehm> nell'altra direzione quindi va verso la

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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destra del foglio. Il cerchio è rivolto verso la destra del foglio. Es: F: la prima però , la prima figura barche

G: la seconda quella più in alto F: <ah!> quella più in alto? G: sì

Es: F: curvo verso sinistra?

G: sì La discrepanza tra le mappe aumenta il ricorso alle domande.

Quando F dichiara la mancanza di qualche punto sulla mappa, iniziano delle discussioni veicolate da domande poste da G per verificare questa mancanza; qualche volta, infatti, G chiede a F di controllare più di una volta. Quindi, G, consapevole di tale discrepanza, procede con più prudenza, ponendo varie domande sull’esistenza o meno dei punti sulla mappa di F, oltre alle solite domande di feedback le quali mirano a mantenere efficace e attiva la comunicazione:

Es: G: in alto c'è una figura che viene definita fiume, la vedi? Sulla sinistra c'è scritto fiume

F: no, non c’è G: non esiste la figura fiume? F: no G: sei sicura? Vedi bene. C’è scritto

fiume. F: non c’è

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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Più avanti nella stessa conversazione: Es: G: c'è il / c'è una figura che viene definita valle limpida?

F: sì G: perfetto , allora questa. Sei arrivata

dove sta la punta delle barche? F: sì G: ora fai un mezzo cerchio …

Dagli esempi vediamo che alcune domande si riferiscono al

contenuto delle mappe, altre riguardano le azioni compiute o ancora da compiere. Non sempre le domande di conferma stanno in coda al turno e possono costituire un turno a sé:

Es: G: la discesa del monte l’hai fatta sulla destra di mobili Elena?

È anche molto frequente lo scambio domanda-risposta-

feedback (STUBBS, 1983: 28-29) del tipo:

Es: G: fatto? F: sì G: perfetto

Non sempre le domande sono vere e proprie; talvolta si

riscontrano domande retoriche, che possono essere provocate dalle divergenze tra gli interlocutori:

Es: G: ma come non hai capito?

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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L’altra tipologia tipica dei dialoghi del Map Task è lo scambio di indicazioni. Questa sarebbe una categoria molto larga e sembrerebbe alquanto vaga dal momento che tutta l’interazione è imperniata attorno allo scambio di indicazioni e informazioni. Il più importante fornimento di informazioni, però, si presenta sotto la forma dell’istruzione. Senza dare istruzioni il compito non viene realizzato e senza la conferma data dal follower non si può passare al passo successivo. Per questo le istruzioni, e qualche volta gli ordini a seconda del grado di familiarità tra i soggetti, assumono un peso dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo.

È ovvio che le istruzioni vengono impartite dal giver, mentre questa categoria non viene usata dal follower che può usare la frase iussiva quasi esclusivamente per attirare l’attenzione del giver o per chiedere tregua:

Es: F: un momento, allora scusami, aspetta…

Es: F: vedi, m’hai fatto sbagliare tutto

Es: F: e allora ripeti per favore io parto dall’aia

Il follower può reagire all’istruzione o con il consenso o con il

rifiuto per l’incapacità di eseguire oppure con una domanda per chiedere chiarimenti:

Es: G: allora tu scendi un po’, scendi di un centimetro

F: sì

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1.1.3.3.- L’interazione nel Map Task

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Es: G: [arriva] fino a dove sta questo valle di colibrì qua. Ci sei arrivata?

F: ma non lo posso fare perché …

Es: G: sali, sali in maniera verticale F: quanto?

Malgrado l’importanza e la diffusione di questa categoria

nell’interazione sociale, essa risulta poco studiata dal punto di vista prosodico; perciò diventerà l’oggetto d’esame del presente lavoro. Di seguito si parlerà delle istruzioni e dei comandi nell’ambito della teoria degli atti linguistici che li include sotto la denominazione illocuzione direttiva. Verrà data anche una tipologia sintattico-pragmatica delle istruzioni e dei comandi prima di arrivare al piano soprasegmentale, studiato nel capitolo 3.

1.2. Gli atti illocutivi

In questo paragrafo tratterò della teoria degli atti linguistici che si considera un tentativo di indagare i possibili usi delle parole, usi che fanno del linguaggio un mezzo essenziale e influente nell’interazione di ogni giorno. Prenderò in considerazione i punti salienti che costituiscono il quadro generale di questa teoria. Seguirò in breve il suo sviluppo e farò cenno a un esempio della critica rivolta ad essa. Quindi passerò all’esame degli atti direttivi sotto i quali rientrano i comandi e le istruzioni che costituiscono l’interesse principale di questa tesi. Sarà inevitabile anche fare cenno all’importanza del contesto, un fattore decisivo

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1.2.- Gli atti illocutivi

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nell’interpretazione del messaggio linguistico, per dare un’immagine delle relazioni complesse che legano il livello della forma linguistica (il codice) all’uso e al senso che si vuole trasmettere.

1.2.1. Cenni generali alla teoria degli atti linguistici

Con la teoria degli atti linguistici si studia la “corrispondenza tra unità linguistiche minime, come quella di enunciato,… e unità nel dominio dell’azione, come quella di atto” (FAVA, 1995: 19). In linea con questo pensiero, e ancora prima della formulazione della teoria degli atti linguistici, sembra molto significativa la classificazione degli enunciati da parte di Otto JESPERSEN (1958) il quale suddivide gli enunciati, su base funzionale, in due classi principali a seconda che il parlante voglia o meno influenzare la volontà dell’ascoltatore. Quindi, per Jespersen, la prima comprende le richieste e le domande; la seconda include le affermazioni, le esclamazioni e le espressioni di desiderio.

Con le sue considerazioni, Jespersen fa da precursore ad alcuni elementi della teoria degli atti linguistici che nasce per opera dei filosofi del linguaggio, a cominciare da J.L. AUSTIN (1962; trad.it. 1974 da cui si cita).

Il punto centrale e saliente da cui prende le mosse la teoria è che, dicendo qualcosa, si esegue un atto (to perform an act). Partendo da questo presupposto, Austin considera l’enunciato un performativo.

Ma affinchè il dire sia un atto, devono avverarsi le circostanze appropriate dette ‘condizioni di felicità’. Per esempio nel dire:

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1.2.1.- Cenni generali

36

Es: battezzo questa nave Queen Elizabeth

il parlante non sta descrivendo l’atto, ma sta eseguendo l’azione. Conta però, come condizione di felicità, che sia la persona autorizzata a farlo. Ugualmente, una persona che scrive nel proprio testamento

Es: lascio in eredità il mio orologio a mio fratello∗

compie l’atto a patto che, tra l’altro, disponga veramente

dell’oggetto. Introducendo la sua teoria, Austin delinea una opposizione tra

l’enunciato performativo, il quale produce un atto, e l’enunciato constatativo, con il quale il parlante si limita a descrivere il mondo circostante. Un constatativo può essere una semplice affermazione del tipo:

Es: i ragazzi non hanno capito bene

I performativi possono essere felici o infelici se le circostanze

sono o non sono appropriate per l’esecuzione dell’atto espresso nell’enunciato e non c’è la possibilità che siano veri o falsi. Per i constatativi, di cui le affermazioni sono il caso tipico, vale il contrario; nel senso che un’affermazione può essere vera o falsa. Secondo questa classificazione, dunque, l’enunciato constatativo non costituirebbe un atto linguistico. Tale posizione appare tuttavia non chiara e contradditoria dal momento che lo stesso Austin, nel

∗ I primi due esempi sono dello stesso Austin.

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1.2.2.- Atti illocutori

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corso della sua discussione, ammette che: “affermare è eseguire un atto” (1974: 163)9.

1.2.2. Atti illocutori

1.2.2.1. Atti locutori, illocutori, perlocutori

Austin indica tre dimensioni del fare con le parole: l’atto locutorio, l’atto del dire qualcosa che ha senso; l’atto illocutorio, eseguito nel dire qualcosa come l’informare, l’avvertire, il promettere, il negare e il comandare; e l’atto perlocutorio, quello che “provochiamo o compiamo per il fatto di dire qualcosa” (AUSTIN, 1974: 138) ed è quindi l’effetto prodotto dalle nostre parole come il convincere, il sorprendere e l’intimidire.

In generale, eseguire un atto locutorio è nello stesso tempo compiere un atto illocutorio. L’atto locutorio è il semplice uso del discorso e delle parole che hanno senso in una detta lingua. Ma il discorso ha numerose funzioni a seconda del modo in cui lo utilizziamo e il senso che vogliamo trasmettere in certe situazioni. La maniera in cui usufruiamo di una particolare funzione del discorso è l’atto illocutorio.

Per esempio, quando si sente dire:

Es: domani Marco non esce

9 A questo proposito STUBBS (1983: 152) afferma che “Austin’s original distinction between constative and performative is faulty, as Austin himself realized”. Infatti se uno dice:

Questo ristorante non è più come una volta

si potrebbe mettere in dubbio la verità del contenuto proposizionale dell’enunciato ma non è affatto falso che questa persona ha fatto un’affermazione, il che è di per sé un atto.

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1.2.2.- Atti illocutori

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il significato dei termini, come accezioni lessicali, è chiaro per i parlanti della lingua. Ma il significato delle parole non è tutto perché l’atto locutorio eseguito implicherebbe un atto illocutorio, cioè questo enunciato può essere un avviso all’ascoltatore oppure una semplice informazione; può essere invece una risposta a una domanda o una conferma o una contraddizione di una frase detta prima dall’interlocutore. In un contesto appropriato potrebbe essere un direttivo rivolto in maniera indiretta (cfr. § 1.2.2.4.) se il parlante è in grado di imporsi alla persona di cui si parla. Prendendo in considerazione le circostanze e gli scopi del parlante, ci troviamo davanti a varie possibilità di interpretazione e di conseguenza diversi valori illocutori.

Il persuadere invece è un atto perlocutorio. Usando una frase del tipo:

Es: per il fatto di insistere, l’interlocutore è rimasto persuaso

Austin spiega che l’atto perlocutorio è una conseguenza

dell’atto illocutorio (e naturalmente di quello locutorio) che si può schematizzare o riassumere nella formula: ‘per il fatto di eseguire un atto illocutorio si è ottenuto un certo effetto sull’ascoltatore’; e da questa formula Austin dà all’effetto esercitato con le parole il nome di per-locutorio (1974: 136-137). Questo effetto potrebbe essere intenzionale o meno, nel senso che le nostre parole possono avere una conseguenza impensata e non voluta.

Infine, la distinzione tra forza illocutoria e forza perlocutoria non è sempre netta. Per esempio, con una richiesta il parlante, nello stesso tempo, cerca di produrre un effetto sull’interlocutore inducendolo a fare qualcosa; in questo modo compie un atto per il

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1.2.2.- Atti illocutori

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quale non è possibile stabilire distintamente il valore illocutorio o perlocutorio.

Riassumendo le tre dimensioni del parlare, nell’atto del dire (locutorio) si può informare, consigliare, ordinare, minacciare, ringraziare, biasimare, ecc. (eseguire un atto illocutorio), il quale può provocare un effetto, voluto o meno, sull’ascoltatore (atto perlocutorio).

1.2.2.2. Classificazione austiniana

Austin sottolinea la grande varietà degli usi del linguaggio e cerca di classificare gli enunciati performativi in base a elementi morfosintattici lessicali che chiama ‘verbi performativi’. Questi fanno parte dei cosiddetti ‘indicatori di forza linguistici’ o ‘indicatori di forza illocutiva’, i quali costituiscono indici del tipo di atto compiuto, anche se non è sempre facile distinguere il tipo di atto dalla forma linguistica (cfr. § 1.2.4.2. per la discussione sugli imperativi e il contesto). Oltre ai cosiddetti verbi performativi fanno parte degli indicatori di forza la struttura sintattica e il profilo intonazionale (cfr. § 1.2.5.).

I verbi performativi rendono espliciti gli enunciati performativi, mentre la loro assenza rende il performativo implicito. Questi verbi, in qualità di indici degli atti linguistici, vengono divisi da Austin in cinque classi:

1) i verdettivi, che esprimono un giudizio come valutare, giudicare, analizzare, dichiarare, decidere, ritenere, caratterizzare;

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1.2.2.- Atti illocutori

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2) gli esercitivi, che rinviano all’esercizio di poteri, di diritti o di influenza come ordinare, scegliere, pregare, consigliare, avvisare;

3) i commissivi, i quali indicano l’impegno del parlante verso certe azioni come promettere, scommettere, garantire;

4) i comportativi, connessi agli atteggiamenti e al comportamento sociale come desiderare, ringraziare, scusarsi;

5) gli espositivi, che indicano esposizione di pareri e come vengono inseriti nella trama del discorso come affermare, classificare, negare, riferire, attestare, ammettere.

Ma anche se gli indicatori di forza aiutano a distinguere il tipo di atto, “la forza illocutoria di un enunciato è il risultato dell’interazione fra indicatore linguistico e informazione contestuale, tra i quali due aspetti ci può anche essere discrepanza” (FAVA, 1995: 25). Tale osservazione rimanda al ruolo del contesto che verrà trattato più avanti (cfr. § 1.2.4.).

I verbi performativi classificati da Austin sono detti anche verbi illocutivi perché, appunto come si vede negli esempi, essi esplicitano atti illocutivi. Ma nella riduzione a cinque classi principali, Austin non trascura le differenze sottili sottostanti tra i verbi della stessa classe e ritiene, come fa notare STUBBS (1983: 153), che gli usi del linguaggio “cannot be reduced to just one or two logical, propositional, or conceptual uses”. L’aspetto della teoria austiniana che sembra non riconoscere un limite agli atti linguistici è secondo Stubbs “one of the weakest aspects of Austin’s theory” (ibidem).

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1.2.2.- Atti illocutori

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1.2.2.3. La tassonomia searliana

La teoria degli atti linguistici conosce un ulteriore sviluppo nei lavori di John R. SEARLE (1976 [1969], 1978 [1975], 1979), il quale, adoperando un metodo d’analisi in un certo senso ‘empirico’, osserva gli usi del linguaggio e arriva all’individuazione di cinque tipi di atti illocutori. Egli dice che “Differences in illocutionary verbs are a good guide but by no means a sure guide to differences in illocutionary acts” (SEARLE, 1979a: 2). Egli ritiene che la classificazione austiniana dei verbi fa pensare che ogni due verbi non sinonimi segnino due atti illocutivi diversi. Searle ne critica anche la mancanza di criteri fissi per l’individuazione dei verbi sotto ognuna delle cinque classi e considera questo difetto come il punto più debole della teoria di Austin.

Per poter individuare un numero limitato di usi del linguaggio, Searle, oltre a classificare gli atti invece che i verbi, si avvale di 12 criteri (o dimensioni di variazione) tra un atto e l’altro. Qui ne riportiamo alcuni in sintesi (i primi tre sono, per Searle, i più importanti):

a) lo scopo dell’atto (che sta a base della tassonomia degli atti);

b) la direzione d’adattamento tra il mondo e le parole, cioè se il parlante cerca di adattare le sue parole allo stato di cose come nel descrivere e il riferire oppure cerca di cambiare questo stato di cose tramite l’atto illocutivo, (per esempio, con un ordine);

c) lo stato psicologico espresso, in quanto in ogni atto illocutorio con un contenuto proposizionale si esprime qualche attitudine, stato, ecc.;

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1.2.2.- Atti illocutori

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d) il grado di forza (d’intensità) con cui viene presentato l’atto;

e) il rango o la posizione che occupano gli interlocutori; f) il relativo interesse del parlante e dell’ascoltatore in

relazione all’enunciato. Nel lamentarsi è il parlante che soffre, mentre nel fare le condoglianze è focalizzato l’interesse dell’interlocutore (il suo dolore).

Gli atti illocutivi nella tassonomia proposta da Searle sono: 1) i rappresentativi (termine a cui ha poi preferito ‘assertivi

o Assertives’: 1979, p. viii n), con cui si riferisce come sono le cose, si cerca di adattare le parole al mondo, lo stato psicologico espresso è la credenza o la convinzione (belief) in vari gradi;

2) i direttivi (Directives), con cui si cerca di far fare qualcosa, li tratteremo di seguito con un po’ di dettaglio (cfr. § 1.2.3.1.);

3) i commissivi (Commissives), sulla definizione dei quali Searle si dichiara in perfetto accordo con Austin, ma si trova in disaccordo solo sull’inserimento di alcuni verbi nella classe. Con questo atto il parlante si impegna a fare un’azione futura, esprime un’intenzione e cerca di adattare il mondo alle parole.

4) gli espressivi (Expressives), riscontrati quando si esprimono i sentimenti e gli atteggiamenti. Ne fanno da esempi gli atti del ringraziare, il congratularsi, lo scusarsi, il dolersi, il lamentarsi. In questo atto non si cerca alcun adattamanto del mondo alle parole o viceversa, poiché lo stato del mondo è già presupposto e il parlante non lo sta riferendo.

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1.2.2.- Atti illocutori

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5) i dichiarativi (Declarations), in cui portiamo cambiamenti nel mondo con certe dichiarazioni. Tale cambiamento si produce solo nel caso che l’enunciato venga proferito nelle circostanze adeguate. Ne sono esempi, le dichiarazioni di guerra oppure il licenziare (‘Sei licenziato’), ecc. Qui c’è un doppio addattamento dal mondo alle parole e dalle parole al mondo.

Commentando gli atti linguistici STUBBS (1983: 149) osserva che questi hanno dimensioni psicologiche e sociali: esprimono stati psicologici (ringraziamenti e scuse) e atti sociali (come nel minacciare, il comandare). Ma dal punto di vista dell’analista del discorso, critica il fatto che la teoria, malgrado tratti l’uso del linguaggio, trascura l’impiego degli atti linguistici in sequenze di discorso e “has depended largely on introspective judgements of isolated sentences” (p. 148).

1.2.2.4. Atti indiretti

Abbiamo detto che Jespersen classifica gli enunciati su base funzionale, col che sembra riconoscere la non corrispondenza tra le forme linguistiche e le funzioni degli enunciati. A questo proposito Austin afferma che “non è assolutamente facile distinguere le interrogazioni, i comandi e così via dalle affermazioni per il solo tramite delle poche e sterili regole grammaticali disponibili” (1974: 45). Stubbs, parlando dell’analisi del discorso, pone lo stesso problema in altri termini:

“A central problem of analysis…the depth of indirection…: the distance between what is said and what is meant, and the multiple layers of meaning

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1.2.2.- Atti illocutori

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between the literal propositional meaning of an utterance and the act it performs in context” (STUBBS, 1983: 147).

E riassume il fenomeno dicendo che “the function of an utterance may be quite distinct from its traditional grammatical description” (ivi: 46).

Ugualmente, Searle, nella sua classificazione degli atti illocutivi, affronta il problema che uno stesso enunciato con la stessa forma linguistica può rientrare sotto più di una categoria. In questi casi può accadere che, ad esempio, gli indicatori di forza linguistici segnalino un certo atto, mentre l’ascoltatore concepisca l’enunciato, e quindi reagisca, come ad un atto diverso. Una asserzione come:

Es: non ci sento

può indurre l’interlocutore ad alzare la voce. In questo caso

l’atto assertivo (riconoscibile dalla forma letterale dell’enunciato) è nello stesso tempo un atto direttivo non indicato dal senso letterale del proferimento, ma dal contesto.

Searle, infatti, dà un altro contributo importante nell’ambito della teoria degli atti linguistici con l’introduzione degli atti linguistici indiretti. Questi sono i casi in cui un atto illocutivo “viene eseguito indirettamente attraverso l’esecuzione di un altro”. (1978: 253). Searle chiama l’atto non letterale (indiretto), che si vuole trasmettere e quindi influisce sul corso della comunicazione e provoca la reazione dell’interlocutore, ‘atto illocutorio primario’. L’atto letterale, che ha prevalentemente la funzione di una forma finalizzata a coprire l’atto indiretto, viene invece chiamato ‘atto

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1.2.3.- Illocuzione direttiva

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illocutorio secondario’. Egli osserva anche che quando il proferimento dell’enunciato sembra avere un effetto sull’ascoltatore che non è coerente con l’atto dedotto dalla forma linguistica, la reazione dell’ascoltatore può essere riconducibile alle convenzioni sociali, come nel caso delle domande usate come richieste. Una domanda del tipo:

Es: puoi passarmi il sale?

interpretata sulla base della forma linguistica, è una domanda sulla capacità dell’ascoltatore di fare una cosa, ma viene intesa come una richiesta perché, convenzionalmente, si ricorre all’uso della forma interrogativa per le richieste. Più avanti vedremo che i comandi sono un caso tipico nel quale il parlante ricorre agli atti indiretti, più che altro per motivi di cortesia (cfr. § 1.2.3.2.1.).

Egli spiega che, nell’esecuzione di un atto indiretto, il parlante si affida al bagaglio di cognizioni dell’ascoltatore e alla sua capacità di inferire il vero atto illocutivo celato da una forma linguistica non corrispondente.

1.2.3. Illocuzione direttiva

1.2.3.1. Generalità

Gli atti illocutivi direttivi, riprendendo la definizione searliana di base, sono tentativi di indurre qualcuno a fare qualche cosa (ottenere un’azione da parte dell’ascoltatore).

Con l’atto direttivo si cerca di adattare il mondo alle parole e si esprime lo stato psicologico del volere o il desiderare. “a man

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1.2.3.- Illocuzione direttiva

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who orders, comands, requests H to do A expresses a desire (want, wish) that H do A” [H sta per ascoltatore e A per l’atto] (SEARLE, 1979a: 4.). Il contenuto proposizionale è che l’ascoltatore faccia un’azione futura. In questa classe si passa, in una scala graduale, dai tentativi più deboli, come l’invito a fare e il suggerimento che si faccia qualcosa, ai più bruschi (fierce) come l’insistere che venga eseguita una certa azione.

L’atto del chiedere un’azione si manifesta, secondo la forza, sotto vari aspetti. Si possono quindi individuare diverse sottoclassi dell’illocuzione direttiva: comando (diretto o indiretto), istruzione, esortazione, richiesta, sfida, consiglio, preghiera, ecc. Nel paragrafo seguente parleremo dei primi quattro poiché rientrano nella sfera d’interesse del presente lavoro.

Nel distinguere tra le sottoclassi dei direttivi conta anche il punto di vista dell’ascoltatore e del parlante. Il consiglio e l’istruzione vengono rivolti per il bene dell’ascoltatore, che ne rimane la parte più interessata, mentre le richieste e le preghiere sono espressioni del desiderio esclusivo del parlante.

Anche le interrogative costituiscono una subclasse dei direttivi, in quanto sono dei tentativi da parte del parlante di far rispondere l’interlocutore e, quindi, di fargli fare un atto verbale. Un’osservazione che si può fare a proposito è che il verbo performativo ‘chiedere’ vale come indicatore di forza sia delle richieste che delle domande; ciò rispecchierebbe le somiglianze che intercorrono tra le due sottoclassi, in quanto richieste, e anche perché le domande vengono spesso riutilizzate come richieste d’azione (cfr. § 1.2.3.2.4.).

Molti degli esercitivi di Austin rientrano nei direttivi di Searle come dimostrano alcuni esempi dei verbi rappresentativi di questa classe: chiedere, richiedere, ordinare, comandare, pregare,

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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supplicare, consigliare e ancora permettere e invitare. Searle introduce anche, come membri della categoria direttiva, i verbi sfidare e osare che Austin includeva nella classe dei comportativi.

1.2.3.2. Illocuzione direttiva e modalità verbale

Il rapporto che lega la forma linguistica e l'illocuzione è molto complesso per varie ragioni. Cominciando con l’uso linguistico, come vedremo in questo paragrafo, si può dire che, per lo stesso atto linguistico, il parlante ha a disposizione un numero non indifferente di costrutti sintattici, i quali vengono, a loro volta, impiegati per eseguire atti diversi. Quindi lo stesso atto illocutivo si può esprimere in più forme linguistiche; e, contemporaneamente, diversi atti illocutivi si affidano alla stessa forma linguistica. Ciò fa sì che tra il senso e la forma intercorrano relazioni ingarbugliate per cui il parlante ha l’imbarazzo della scelta tra le varie forme e l’ascoltatore deve fare i conti con un’intero bagaglio di conoscenze che sta dietro a ogni produzione linguistica per capire il senso che si vuol trasmettere. Data questa complessità, in questa sede farò solamente un cenno alle forme linguistiche più usate per i comandi, le istruzioni, le esortazioni e le richieste cortesi. Le richieste di informazioni (gli interrogativi), anche se vengono considerate come atti diretivi non verranno trattate sotto questo aspetto, ma solo in funzione di richieste indirette di azioni.

1.2.3.2.1. I comandi

Abbiamo detto che lo stesso atto direttivo, come gli altri atti linguistici, si può eseguire con vari gradi di forza o di intensità.

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Con i comandi il parlante mostra in una maniera non ambigua né attenuata il suo desiderio, o piuttosto la sua volontà, che l’ascoltatore esegua una certa azione.

In termini di intensità, il comando è una forma abbastanza forte nell’alto della scala dei direttivi. In vari gradi si trovano anche l’istruzione, l’esortazione, la richiesta vera e propria, la preghiera, il consiglio, il permesso10, ecc. Questa gradazione ha il suo riflesso nella forma linguistica.

L’indicatore di forza linguistico associato tipicamente alle richieste dirette d’azione è il modo imperativo.

Es: dammi una mano Es: cerca gli occhiali nel cassetto; ecc.

Enunciati di questo tipo indicano esplicitamente che il parlante vuole indurre l’ascoltatore a compiere qualche azione. Però “la cortesia richiesta nella conversazione ordinaria rende normalmente imbarazzante il pronunciare frasi perentoriamente imperative” (SEARLE, 1978: 258). Di conseguenza si ricorre a mezzi indiretti meno arroganti e rischiosi per compiere l’atto direttivo. “Nei direttivi, è la cortesia la motivazione principale per l’uso di vie indirette” (ibidem)11.

10 “[…] giving permission is not strictly speaking trying to get someone to do something, rather it consists in removing antecedently existing restrictions on his doing it, and is therefore the illocutionary negation of a directive with a negative propositional content” (SEARLE, 1979a: 22). 11 Nella letteratura di stampo etnolinguistico si sottolinea che nel quadro dell’interazione sociale ognuno si presenta con una gamma di desideri, intenti, e comportamenti propri. Ci si aspetta poi che questa ‘faccia’

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Per rendere l’enunciato abbastanza cortese senza rinunciare alla forza imperativa, si usano delle formule convenzionali esplicite, come ti prego, per favore, per piacere. Tali espressioni darebbero al direttivo la sfumatura di una richiesta piuttosto che un ordine (cfr. §1.2.3.2.4.).

Quando, invece, non si utilizza la forma imperativa, il comando o il direttivo in generale diventa indiretto.

Il comando indiretto si può esprimere con la frase dichiarativa, la quale “non è associata a nessun tipo particolare di atto linguistico” (FAVA & SALVI, 1995: 49). Il verbo modale ‘dovere’, che ha un significato deontico e cioè indica l’obbligo o la necessità, è usato frequentemente come mezzo di ordine indiretto:

venga rispettata e soddisfatta reciprocamente sotto l’aspetto della cortesia. E mentre una delle massime di cooperazione nella conversazione è quella della rilevanza, di non essere ambigui, capita che non venga rispettata, sempre per soddisfare la faccia del partner, per non fare cioè qualsiasi atto che metta a rischio la posizione, l’autostima, i desideri e i comportamenti dell’ascoltatore.

Gli imperativi diretti fanno da esempio dell’uso non ambiguo o ‘on record’ del linguaggio, uso cioè che non lascia l’ascoltatore in dubbio sull’atto che il parlante vuole eseguire. In genere si va ‘on record’ quando il parlante è più interessato a eseguire l’atto con la massima efficienza [come nelle istruzioni] che alla ‘faccia’ dell’ascoltatore (PENELOPE & LEVINSON,1979: 111).

In altri casi, chiedendo in prestito per esempio, il parlante rischia che la sua richiesta costituisca una minaccia per ‘la faccia’ dell’ascoltatore che probabilmente non vorrà dare la cosa richiesta, il che a sua volta metterà il parlante in imbarazzo e minaccerà la sua faccia. Per evitare tali situazioni di scontro si decide di agire in maniera indiretta ‘off-record’ e così il parlante “cannot be held to have committed himself to one particular intent”(ivi: 74).

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Es: i ragazzi devono fare questo percorso

Usandolo, sembra che “l’azione espressa dall’infinito dipende dalla volontà di qualcuno diverso dal soggetto” (SKYTTE et al., 1991: 522). Tale impostazione non toglie la necessità di compiere l’azione espressa nell’enunciato e, nello stesso tempo, sembra annullare le tracce di soggettività, rimandando a un principio sovraordinato per rendere il compimento dell’atto più vincolante e non soggetto a trattative e revisioni (cfr. FAVA, 1995: 35).

Il modo condizionale, che “ha un valore meno categorico rispetto all’indicativo” (FAVA & SALVI, 1995: 51), rende il deontico meno forte a tal punto che a volte vale come un consiglio:

Es: dovresti contattarli presto

Altri verbi che rendono il senso del modale deontico sono le forme impersonali ‘bisognare’, ‘occorrere’, ‘è necessario’, ‘si deve’ che hanno, ovviamente, lo stesso effetto di annullare le tracce di soggettività dell’atto linguistico:

Es: bisogna (occorre) uscire presto

Es: bisognerebbe (occorrebbe) pensarci un attimo

Es: è necessario che tutti arrivino puntuali

Es: si deve (si dovrebbe) pensare a tanti dettagli per l’incontro di domani

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Ci sono delle dichiarative che normalmente non sono associate a un certo tipo di direttivi e che, solo nelle circostanze appropriate, funzionano come direttivi (non necessariamente comandi) e vengono interpretate in riferimento al loro contesto di proferimento:

Es: ho una sete tremenda (frase detta all’ospite come richiesta).

1.2.3.2.2. L’istruzione

Nelle istruzioni il locutore chiede certe azioni, non per il proprio interesse, ma per fare da guida all’interlocutore. Con questo direttivo il parlante tiene in considerazione le capacità e le esigenze del partner; l’adattamento del mondo alle parole ha un aspettto ‘istruttivo’ o informativo. L’atto di dare istruzioni prevede l’interesse del partner in quello che gli viene detto e tende ad essere dettagliato e chiaro per aiutare l’interlocutore a eseguire le azioni richieste.

Esempi di istruzioni si trovano nelle ricette culinarie e nei manuali per l’utente. L’imperativo è un modo frequentemente usato per orientare l’interlocutore (cfr. § 1.2.4.2.):

Es: accendete il forno a 211° Es: mettete in una ciotola il tonno e il prezzemolo tritato

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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La maggior parte delle istruzioni sono scritte e quindi si rivolge il direttivo a un pubblico fisicamente assente, usando spesso il modo infinito, come imperativo generico (BROWN & YULE, 1986 [1983]: 61), per esempio nelle indicazioni stradali:

Es: scendere alla stazione di Campi Flegrei.

Arrivati in Piazzale Tecchio, imboccare viale Kennedy.

Di stampo abbastanza moderno e confidenziale è l’uso

dell’imperativo alla seconda persona singolare, il quale mira a ‘rompere il ghiaccio’ che normalmente separa le persone coinvolte in una comunicazione ‘istruttiva’:

Es: clicca qui per ingrandire la foto

Sempre a tal fine, ma nei contatti faccia a faccia, il locutore

può immedesimarsi e associarsi al suo partner per via dell’imperativo alla prima persona plurale, l’uso del quale non è affatto segno che il parlante partecipa in prima persona all’esecuzione dell’atto espresso nella proposizione. In macchina, per esempio, il compagno di viaggio, che vuole informare l’automobilista della strada da fare, può ricorrere a un enunciato del tipo:

Es: ora facciamo così: giriamo a destra…

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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In questo esempio il parlante introduce il direttivo attirando l’attenzione dell’interlocutore (mostrandosi partecipe e solidale) e prendendosi un attimo di riflessione prima di pronunciare il secondo verbo, il quale contiene l’informazione e l’azione centrale richiesta all'ascoltatore.

Le frasi dichiarative esprimono anch’esse istruzioni ma in questo caso c’è la possibilità di usare il verbo modale ‘potere’ il quale non viene normalmente usato per i comandi:

Es: in caso di disfunzionamento potete consultare la tabella a pagina 36

Un caso interessante è costituito dall’utilizzo del periodo

ipotetico. Il costrutto non impiega il modo imperativo, che è abbastanza forte, e dà spazio all’ipotesi che l’interlocutore, probabilmente, non vorrà eseguire il direttivo. Ciò ha il vantaggio di non imporre niente al partner e di presentare l’azione da eseguire sotto la sembianza di una verità oggettiva; così il direttivo è forte e impegnante per l’interlocutore, anche se non sembra che sia il parlante ad imporlo:

Es: se va dirito lo trova di fronte

1.2.3.2.3. L’esortazione

L’esortazione è una versione ‘entusiasta’ di richieste di azione. Il locutore manifesta il suo desiderio che venga compiuta l’azione da parte del partner in un modo intenso, e in un certo senso insistente, ma non aggressivo.

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Nelle grammatiche normative, l'esortazione è tradizionalmente espressa dal congiuntivo esortativo, che rievoca la forma di cortesia dell’imperativo in segno d’interesse che l’interlocutore compia l’azione, ma considerando una certa distanza tra gli interlocutori. Sebbene l'uso del congiuntivo (anche esortativo) sia sempre più limitato alla forma scritta e ormai praticamente assente nella comunicazione orale, sopravvivono, tuttavia, formule convenzionali come:

Es: dica pure Es: si accomodi (pure)

legate a contesti situazionali definiti ed a relazioni di ruolo specifiche (per esempio, quella tra esercente e cliente, ecc). Tali enunciati sono rivolti per l’interesse dell’interlocutore e quindi, sia per la forma che per il contenuto, mostrano premura e riguardo.

Di nuovo la modalità verbale più frequentemente associata all’esortazione è l’imperativo, corredato da alcune espressioni cristallizzate come dai, su, forza.

Es: dai, su, usciamo stasera

In questo modo sembra che le esortazioni siano spesso atti poco formali che tradiscono un atteggiamento di confidenza da parte del parlante. I tifosi di un certo sport ne fanno uso frequente:

Es: dai, tira, tira!; ecc.

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Si osserva, inoltre, che le esortazioni vengono rafforzate dalla ripetizione delle parole in segno d’entusiasmo e d’insistenza.

1.2.3.2.4. La richiesta

Anche se il termine ‘richiesta’ è usato spesso genericamente (e persino le frasi interrogative costituiscono in un certo senso delle richieste), in questo paragrafo s’intende l’atto con cui il parlante esprime cortesemente il suo desiderio che l’ascoltatore faccia qualcosa. La cortesia qui è un segno di rispetto della volontà e della libertà dell’interlocutore di eseguire o meno l’azione da lui richiesta.

Lo stesso imperativo si può usare per esprimere una richiesta, ma l’elemento linguistico indispensabile in questo caso per indicare la forza è la formula convenzionale di cortesia:

Es: dammi una mano per piacere

Le formule di cortesia possono essere posposte o preposte al verbo. A inizio enunciato, costituiscono una cortese introduzione e richiamo d’attenzione che prepara l’interlocutore all’interazione. Dopo il verbo, attenuano la prepotenza rappresentata dal modo del verbo e possono eventualmente risanare la situazione e ‘salvare la faccia’ al locutore che s’è affrettato ad usare la forma imperativa senza riflettere prima.

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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Una richiesta diretta e esplicita può essere veicolata da un verbo performativo:

Es: ti chiedo di spiegarmi come vanno le cose

Ma in generale, restando nelle dichiarative, si preferisce il modale ‘volere’ nel modo condizionale per compiere l’atto indiretto:

Es: vorrei una spiegazione

L’indicativo di volere però rafforza la richiesta e ne fa un ordine:

Es: voglio tutto pronto per le cinque

Passando dalle dichiarative alle interrogative, si va decisamente, sulla scala direttiva, dal comando al grado della richiesta. Tipicamente, le domande sono richieste d’informazione, ma non sempre. Nelle domande retoriche, per esempio, c’è un minimo interesse alle informazioni che sembra siano richieste nella proposizione, tant’è vero che, secondo la loro definizione standard, esse costituiscono un tipo che non richiede risposta.

L’uso della domanda sì/no come richiesta d’azione sembra lasciare all’ascoltatore la libertà di rifiutare di eseguire l’atto (cfr.

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1.2.3.2.- Illocuzione direttiva e modalità verbale

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SEARLE 1978: 271). Questa concessione di libertà è di per sé un segno di riguardo nei confronti dell’interlocutore. Sentendo dire

Es: lo fai per me?

l’ascoltatore sente che la sua volontà è più decisiva che

quando gli viene rivolto l’ordine diretto

Es: fallo per me.

Ancora, come di convenzione, il condizionale rende più attenuato il direttivo:

Es: lo faresti per me?

Con il condizionale nelle interrogative si può attenuare al massimo la forza direttiva per arrivare ai suggerimenti e alle proposte:

Es: ti andrebbe di uscire?

Il modale ‘potere’ è assai usato nelle richieste, sia al modo indicativo che al modo condizionale. Il contenuto proposizionale sembra una domanda sulle capacità dell’interlocutore, ma le convenzioni d’uso non lasciano spazio a equivoci.

Es: puoi (potresti) alzare il volume?

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Lo stesso costrutto in una dichiarativa diventa un consiglio o un suggerimento:

Es: puoi (potresti) rivolgerti a Marco

Così troviamo che entro lo stesso tipo di frase (interrogativo o dichiarativo) si passa dall’espressione direttiva più forte alla più attenuata. Infatti la graduatoria dei direttivi è molto ampia e usufruisce di una varia gamma di costrutti o, se li possiamo chiamare così, di covariazioni sintattiche che aiutano il parlante a esprimere sfumature pragmatiche variegate, sfumature ricavabili e persino arricchite dai tratti contestuali. Questo sarà l’argomento del paragrafo successivo.

1.2.4. Il contesto

1.2.4.1.Contesto linguistico e contesto situazionale

Abbiamo parlato degli elementi chiamati indicatori di forza linguistici. Ma spesso sia in presenza di sufficienti indicatori linguistici o meno, il contesto chiarisce il tipo di atto illocutivo. Su questo scrive BROWN (1996: 13):

“You have to provide a context to arrive at any sort of interpretation since the ‘thin’ semantic meaning of a sentence, derived just from a series of vocabulary items in a syntactic structure, yields only such a sketchy and partial content that it cannot alone provide the material for an interpretation. It is not until the ‘thin’ meaning is enriched by the provision of extra

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material, which you infer from the immediate context and from your previous knowledge, that you know what the utterance means”.

In termini di atti linguistici, all’atto locutorio viene attribuito un senso in base ai tratti contestuali che servono a interpretarlo e a capire poi l’eventuale effetto (o atto perlocutorio). Infatti abbiamo visto che Searle nella sua tassonomia si avvale di vari tratti contestuali per la distinzione dell’atto illocutorio (v. § 1.2.2.3.).

Il contesto linguistico, il tessuto linguistico in cui si colloca un certo enunciato, dà senso a quest’ultimo. Una frase imperativa come

Es: mettilo là

in vari contesti linguistici assume diversi valori. Può essere un

ordine (mettilo là, ti dico); una richiesta (mettilo là, per favore); un’esortazione (su, dai, mettilo là); un consiglio (mettilo là, che è meglio); un permesso (vabbè, mettilo là); una minaccia (mettilo là e vedrai); ecc.

Determinare il tipo di atto dipende anche molto dal contesto situazionale. La complessità delle situazioni comunicative induce gli studiosi a elaborare criteri per individuare tratti essenziali che aiutino ad analizzare e capire i vari contesti. HYMES (1973 [1972]), in un approccio all’etnografia della comunicazione, rielabora leggermente la teoria della comunicazione di Roman JAKOBSON (1966) e fornisce una specie di guida per l’identificazione delle caratteristiche rilevanti dell’evento comunicativo, di cui riporterò alcuni elementi.

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Dei tratti del contesto si prendono in considerazione le persone coinvolte nella situazione comunicativa, mittente e destinatario. Il mittente è la persona che produce l’enunciato e il destinatario lo riceve. Analizzando la situazione servono certe informazioni sulle persone: chi sono e che rapporto hanno l’uno con l’altro. Ci sono poi delle macro-caratteristiche quali il canale (orale, scritto, ecc.), il codice (quale lingua, dialetto o stile) e il messaggio (conversazione, discussione di tesi, domanda ufficiale) poi lo scopo che i partecipanti vogliono realizzare tramite la comunicazione. Cambia la forma e il contenuto del discorso che un direttore fa con il suo dipendente da quello che farebbe con la propria moglie o i propri bambini; in ufficio o durante una gita; se lo scopo è quello di ammazzare il tempo o di concludere degli affari, ecc.

L’importanza del contesto si manifesta prepotentemente in sua assenza quando, per esempio, si cerca di capire una frase isolata che contiene referenze extralinguistiche: senza possibilità di accesso alle circostanze di proferimento l’enunciato sembrerebbe oscuro o addirittura senza senso. Riportando enunciati del genere da una lunga conversazione, si affronta un arduo tentativo di interpretazione:

Es: la prima era.

Es: ma io sto da sopra quindi come faccio a farlo ?

Occorre sapere chi parla e con chi, quali sono i referenti di io,

la prima e del pronome diretto in farlo, per che cosa sta l’espressione locale da sopra per capire tali frasi.

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1.2.4.2. Contesto e comandi

I comandi rimandano alle relazioni tra le persone e ai ruoli che svolgono nella comunicazione.

Tra estranei e nelle condizioni normali non è prevedibile che vengano impartiti dei comandi. Neanche sembrerebbe una situazione normale lo scambio dei ruoli (per esempio: un dipendente che dà ordini al proprio direttore). Una richiesta d’azione da una persona di rango più alto a un’altra di rango più basso viene considerata, con grande probabilità, un comando; mentre un direttivo rivolto nel senso opposto (dal più basso al più alto) prende di solito l’aspetto di suggerimento sia perché non è prevedibile (per convenzioni sociali) che sia un ordine, sia perché si è soliti usare forme linguistiche meno imponenti. Infatti il contesto situazionale è un elemento decisivo nella scelta della variante sintattica, così come quest’ultima influisce molto sul contesto. Un’espressione linguistica ‘cortese’ renderebbe più disponibile l’ascoltatore a soddisfare la richiesta del parlante.

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L’uso della forma imperativa nelle istruzioni, invece, non è un fatto contestato per varie ragioni che risalgono al contesto. Lo scopo delle istruzioni è quello di insegnare all’interlocutore una cosa che non sa. Qui il locutore, oltre al fatto di trovarsi in una posizione più alta e più vantaggiosa rispetto all’ascoltatore, intende compiere l’atto direttivo con la massima efficacia e chiarezza per ottenere l’effetto desiderato sull’ascoltatore. Questi, a sua volta, interessato a questo tipo di informazioni, considererebbe le istruzioni un atto di riguardo da parte del parlante e sarebbe disposto a ricevere direttivi ‘diretti’. Considerando poi che spesso le istruzioni, specialmente quelle scritte, prevedono come destinatario un lettore generale e non un individuo particolare (BROWN &YULE, 1986: 61), risulta plausibile e non imbarazzante che si ricorra, nel dare istruzioni, ai modi più diretti (la forma imperativa e l’infinito considerato imperativo generico).

1.2.5. Intonazione e atto illocuorio

In questa sede faremo solo un cenno generale al rapporto tra intonazione e illocuzione (in particolare l’illocuzione direttiva) dal momento che questo argomento verrà affrontato diffusamente nel corso della tesi.

È noto che l’intonazione è una delle risorse del parlato che il parlante manipola ai suoi fini espressivi. Una stessa stringa segmentale può essere realizzata con varie melodie trasmettendo ogni volta una sfumatura diversa di significato (è questo il significato ‘grammaticale’ dell’intonazione, cfr. § 2.2.2.3.). In italiano la domanda polare, per esempio, si differenzia dall’asserzione per via dell’intonazione.

Es: Carlo ti ha cercato. (asserzione)

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2.1.- Prosodia e intonazione

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Es: Carlo ti ha cercato? (domanda polare)

La stessa teoria degli atti linguistici prevede l’intonazione come uno degli elementi caratterizzanti della funzione o della forza linguistica. Sia Austin che Searle mettono l’intonazione e il tono della voce nell’elenco degli indicatori di forza linguistici (v. supra). Searle, inoltre, ritiene che il livello melodico è legato persino alla forza illocutoria primaria quando questa e la forma linguistica letterale non coincidono (atti indiretti):

“È importante osservare come spesso l’intonazione di queste frasi, quando sono pronunciate come richieste indirette, differisca dall’intonazione delle stesse, pronunciate con la loro sola forza illocutoria letterale; e come spesso il modello di intonazione sia quello caratteristico dei direttivi letterali” (SEARLE, 1978: 264).

Nonostante questa importanza riconosciuta, il rapporto tra prosodia e illocuzione in italiano riconosce un panorama di studi piuttosto scarso, soprattutto nell'ambito sperimentale.

DE DOMINICIS (1992) studia l’intonazione in relazione alla variazione del contesto comunicativo, più precisamente a otto situazioni: richiesta, provocazione, ordine, concessione di facoltatività, informazione, valutazione, rivelazione, domanda sì/no sia in frasi naturali (pronunciate da un soggetto professionista) che sintetizzate. L’autore individua delle marche prosodiche distintive di ogni tipo di atto comunicativo.

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2.1.- Prosodia e intonazione

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Studi che trattano in maniera esplicita del rapporto che lega l’atto illocutorio alla prosodia sono i contributi di CRESTI (1995; 1998; 1999) e FIRENZUOLI (2000), le quali descrivono le correlazioni tra patterns melodici e atti linguistici, tra cui l’atto direttivo. CRESTI (1995), pur sottolineando che la funzione distintiva dell’intonazione in rapporto ai vari livelli linguistici (sintattico, semantico, pragmatico, ecc.) è una questione ancora aperta, afferma che “[…] A speech act cannot be established without intonation and, in case of monotone performance, it is not pragmatically interpretable” (p. 2); e inoltre che il rapporto tra l’intonazione e la forza illocutoria è costante ed è indipendente dal contenuto locutivo (o dalle entrate lessicali).

Una sequenza del tipo

Es: mangia

prodotta come affermazione, domanda o ordine, presenta tre patterns melodici diversi e distintivi, che possono essere descritti nel loro andamento globale.

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2.1.- Prosodia e intonazione

Figura 1: figura riportata da CRESTI (1995) in cui sono presentate tre melodie diverse della stessa stringa segmantale, il che comporta il cambiamento dell’atto illocutivo con il cambiamento dell’intonazione. La prima frase è un’affermazione, la seconda è una domanda, la terza è un ordine.

I lavori di Cresti costituiscono un primo e utile tentativo di codificazione delle marche intonative convenzionali legate ai valori illocutori dell'espressione in italiano.

Rimane da osservare, tuttavia, che le descrizioni di Cresti e Firenzuoli sono basate su materiale prodotto da locutori della varietà toscana. Pertanto, esse possono costituire un oggetto di confronto con il materiale che verrà studiato in questa tesi, basato sulla varietà campana, al fine di verificare se i patterns individuati e codificati dalle autrici per gli enunciati direttivi siano generalmente validi per l’italiano tout court o se, invece, come appare più probabile, non esistano, per le diverse varietà regionali, diversi patterns intonativi per l’illocuzione direttiva.

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2.1.- Prosodia e intonazione

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CAPITOLO 2

PROSODIA, INTONAZIONE E ACCENTO

In questo capitolo tratteremo dei tratti prosodici, l’intonazione e l’accento che costituiscono tre aspetti del piano soprasegmentale che non coincidono l’uno con l’altro. Nel paragrafo 2.1. si tratterà delle differenze tra intonazione e prosodia, differenze anche terminologiche (§ 2.1.1.), delle funzioni della prosodia (§ 2.1.2.) e dei parametri che intercorrono a realizzare i vari fenomeni prosodici (§ 2.1.3.). In § 2.2. verranno introdotte e descritte alcune unità di analisi prosodica, quali la sillaba, come unità minore, e l’unità tonale, che costituisce l’unità prosodica più grande. Nel paragrafo 2.3. concentreremo l’attenzione sull’accento, una delle realizzazioni dell’intonazione e, più in generale, della funzione prosodica. Partiremo da alcune definizioni essenziali (§ 2.3.1.) seguite da un’esposizione breve dei parametri acustici, procederemo con i tipi di accento (§ 2.3.2.) per finire con i gradi accentuali, chiudendo così il circolo delle interazioni dei fenomeni prosodici.

2.1. Prosodia e intonazione

2.1.1. Generalità e definizioni

Sotto l’etichetta di fenomeni prosodici o soprasegmentali si collocano l’accento, il tono, l’intonazione e il tempo.

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2.1.- Prosodia e intonazione

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Il termine ‘soprasegmentale’, coniato dai linguisti nordamericani, ha una storia recente rispetto al termine ‘prosodia’, e prende le mosse dall’idea che i fenomeni prosodici sono, in un certo senso, indipendenti dal piano segmentale, in quanto si può pronunciare le parole a basso o ad alto volume di voce; con qualità di voce gracchiante, mormorante o sussurata; in maniera monotona o con varie melodie e vari gradi di altezza tonale; così come si può canticchiare certi toni senza parole lessicali. L’aggettivo ‘soprasegmentale’ indica che i fenomeni vocalici in questione stanno al di sopra dei segmenti, quelli trascritti in segni alfabetici. Il termine risente nella sua ideazione della tradizione per cui le scritture occidentali indicano l’accento e il tono tramite segni diacritici posizionati sopra le lettere (MINISSI, 1995: 7-8). Il dominio di tali fenomeni si estende oltre il singolo fono, dalla sillaba (e in alcune lingue come il giapponese, la mora (HAYES, 1995)) fino all’intera catena parlata.

‘Prosodia’ è, invece, un termine greco che si riferisce originariamente al canto e significa ‘cantare a, cantare verso’, ma che si estende, sempre in epoca classica, per indicare le leggi riguardanti la pronuncia e la versificazione (accento, quantità) (BERTINETTO, 1981: 81; Grande Dizionario Enciclopedico UTET, 1971).

La prosodia si spiega su tre piani: il piano melodico, il piano energetico e il piano temporale, i quali si realizzano fisicamente, come vedremo più avanti, tramite tre parametri prosodici. I tre piani non sono isolabili l’uno dall’altro e sono strettamente connessi tra di loro; è l’interazione delle loro variazioni che dà essenza ai fenomeni prosodici. BERTINETTO (1981: 55) presenta il caso con queste parole: “la mancanza di correlazione biunivoca tra le entità

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2.1.- Prosodia e intonazione

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linguistiche e le caratteristiche dei processi articolatori, acustici e percettivi è uno degli aspetti basilari del linguaggio umano”. Considerando poi che vari fenomeni prosodici, intonazione, accento, ritmo, vengono realizzati simultaneamente tramite i soli tre parametri acustici, “quando si vuole esaminare questa dinamica per osservare ciascun singolo fenomeno ci si trova di fronte ad un compito molto complesso” (ALBANO LEONI & MATURI, 1998: 75).

Detto ciò, in realtà, in generale gli studi prosodici tengono in scarsa considerazione il piano energetico, così come tengono separato il piano temporale, considerandolo meramente una funzione del ritmo, dal piano melodico che fa da principe. A questo punto si deve presentare una definizione corrente dell’intonazione per esporre la problematica.

“Con ‘intonazione’ – scrive CANEPARI (1986: 34) – s’intende denominare l’andamento melodico dell’enunciato, cioè le variazioni d’altezza tonale (relativa) su cui sono pronunciate le varie sillabe, accentate o no”. Questa definizione ci porta ad introdurre la causa per cui l’interesse è generalmente rivolto al piano melodico. Il termine ‘altezza tonale’ appartiene all’ambito della percezione e viene spesso impiegato nelle definizioni del fenomeno intonativo perché la maggior parte degli studi prosodici tradizionali sono basati su analisi uditive ed è proprio il piano melodico che si mostra sempre più distintamente percepibile dall’orecchio umano: più del piano dell’energia e del piano temporale, le variazioni melodiche si possono analizzare e descrivere, percettivamente, con buona approssimazione.

Anche nell’ambito degli studi strumentali i patterns melodici si considerano più significativi. Vedremo, però, a proposito

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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dell’accento che la durata e l’intensità svolgono un ruolo innegabile che non si può liquidare in poche parole.

I termini ‘tratti soprasegmentali’, ‘prosodia’ e ‘intonazione’ si usano spesso con approssimazione come se fossero sinonimi, anche se sono leggermente diversi; anzi, la differenza tra il termine ‘intonazione’ e gli altri due è stata spesso trascurata per i motivi che abbiamo esposto sopra, una trascuratezza superata con l’accumulo degli studi e delle conoscenze relative al campo vasto e variegato della funzione prosodica.

2.1.2. Funzioni della prosodia

Come abbiamo detto in § 1.2.5., la prosodia è una risorsa essenziale del parlato. Nel discorso parlato si riconosce nella prosodia un elemento di importanza assoluta dal punto di vista organizzativo. Si può pensare che la prosodia abbia il ruolo dell’interpunzione nei testi scritti; o meglio, che la punteggiatura cerchi di rendere l’organizzazione prosodica, ma non ci riesce perché i segni convenzionali, tuttora, non sono capaci di arrivare al livello d’espressività variegata e multifaccettata dei tratti prosodici.

Essa assolve a diverse funzioni: paralinguistiche, extralinguistiche e linguistiche. Tra queste la funzione linguistica interessa direttamente per gli scopi della tesi e verrà trattata più estesamente per ultima.

2.1.2.1. Funzioni paralinguistiche

Una definizione dell’intonazione adottata da Bolinger in due sue opere è “nonarbitrary, sound-symbolic system with intimate ties

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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to facial expression and bodily gesture, and conveying, underneath it all, emotions and attitudes” (BOLINGER, 1989: 3). Questa definizione lega il sistema intonativo, da una parte, e la paralinguistica, in senso lato, dall’altra.

Il termine paralinguistica copre gli aspetti di comunicazione vocale che, pur portando significato, non sono organizzati linguisticamente, nel senso che accompagnano la produzione linguistica (‘il prefisso d’origine greca ‘para’ significa ‘accanto’) come caratteristiche idiosincratiche parallele ai segmenti linguistici. Il messaggio paralinguistico riguarda l’interazione interpersonale e fa da indice dello stato d’animo del locutore, delle sue emozioni (gioia, tristezza, sorpresa, paura, ecc.) e attitudini (cortesia, indignazione, ecc.) (cfr. BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993; LADD, 1996). I piani melodico, energetico e temporale, coinvolti nella funzione prosodica, vengono normalmente sfruttati per trasmettere il messaggio paralinguistico. Prosodia e paralinguistica, quindi, sono due aree per certi versi sovrapposte per cui LADD (1996: 36), riferendosi in particolare all’intonazione, afferma che all’analista spetta il compito di distinguere tra gli aspetti linguistici e paralinguistici del segnale.

L’impiego della prosodia può avere valore paralinguistico, in quanto il parlante potrebbe modificare la melodia del suo parlato per esprimere, per esempio, rabbia, sorpresa o qualche altra emozione (si vedano a proposito gli studi condotti da KORI & MAGNO CALDOGNETTO, 1986, 1990, 1991; MAGNO CALDOGNETTO

& FERRERO, 1996; MAGNO CALDOGNETTO et al., 1998). Anche l’energia della produzione parlata varia nelle conversazioni normali e nei litigi, negli avvertimenti cortesi e nei rimproveri, ecc. La ricerca di DE DOMINICIS (1992), condotta sulla realizzazione

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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prosodica di enunciati che esprimono richiesta, provocazione, ordine, concessione di facoltatività, informazione, valutazione, rivelazione, domanda totale, ha dimostrato che fattori intonativi stanno alla base della discriminazione tra questi vari tipi pragmatici e modali.

2.1.2.2. Funzioni extralinguistiche

Gli elementi extralinguistici della voce sono “quell’insieme di variazioni vocali che costituiscono le caratteristiche personali della voce di un locutore” (ANOLLI & CICERI, 1997: 130), quali le variazioni in base al sesso e all’età. Tali caratteristiche sono generalmente attribuibili alle differenze anatomiche tra le persone e quindi sono permanenti e caratterizzanti di ogni parlante e, nello stesso tempo, non sono manipolabili.

In questa sede c’interessa accennare solo al fatto che i parametri che veicolano l’intonazione e i fenomeni prosodici vengono influenzati dalle caratteristiche extralinguistiche che accompagnano la produzione vocale di ognuno. Di questi fenomeni Bolinger accenna a caratteristiche abituali, quali “prolonging an accent, leveling off instead of going higher or lower, realizing a drop within a syllable rather than after it” (1998: 9). Fenomeni del genere possono essere involontari da parte del locutore che li avrà acquisiti tramite la convivenza con certe classi o comunità sociali (cfr. BOLINGER, 1989: 9 e segg.; BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993).

2.1.2.3. Funzioni linguistiche

Sotto la cosiddetta ‘funzione linguistica’ si possono osservare alcune regolarità nel rapporto tra la prosodia e l’organizzazione

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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pragmatica, semantica e sintattica del discorso. (BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993: 167).

Una caratterizzazione pragmatica del discorso che riguarda in parte il livello sintattico e appartiene alla grammatica testuale è la ‘struttura dell’informazione’, di cui la prosodia è diffusamente riconosciuta come segnalatrice. Lo studio e la teorizzazione della ‘struttura informativa’ prende piede nell’ambito della Scuola di Praga nella prima metà del ventesimo secolo, anche se HAJICOVÀ (1983) fa una rapida rassegna di alcuni studi linguistici di circa un secolo prima per seguire le anticipazioni e l’importanza dello studio della dicotomia conosciuta, tra l’altro, sotto l’etichetta topic/focus12 o dato/nuovo.

L’informazione in termini linguistici, secondo la concezione praghese portata all’attenzione dei linguisti anglosassoni grazie a M. A. K. HALLIDAY (1967, 1987 [1976], 1985, 1992 [1985]), si articola in due tipi: l’informazione data di cui si presume il destinatario sia già a conoscenza (il DATO) e l’informazione nuova non ancora nota per il destinatario (il NUOVO); questa interazione tra il dato e il nuovo si realizza entro l’unità d’intonazione, il gruppo tonale (cfr. § 2.2.2.), la quale costituisce, nello stesso tempo, l’unità d’informazione: “spoken discourse takes the form of a sequence of INFORMATION UNITS” (HALLIDAY, 1985: 274). In questo senso la prosodia agisce sul piano testuale dividendo il discorso in blocchi informativi o unità entro cui regnano legami logico-semantici e sintattico-grammaticali (CAPUTO, 1991: 14).

Un punto di vista in un certo senso convergente che prende le mosse , però, da un’impostazione fonetica è quello di AVESANI &

12 Qui s’intende il focus semantico detto anche comment e non il focus prosodico (vedi infra).

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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VAYRA (1992) i quali considerano la prosodia un fattore di scansione del discorso:

“una delle funzioni fondamentali della prosodia sembra quella di facilitare la scomposizione (parsing) del flusso parlato in raggruppamenti coerenti guidando l’ascoltatore nel decidere quali suoni (o insiemi di suoni) vadano integrati in singole unità percettive” (p. 355).

La struttura dell’unità informazionale prevede il nuovo come elemento obbligatorio e il dato come facoltativo, dal momento che quest’ultimo potrebbe essere dedotto dal contesto e quindi soggetto all’ellissi.

Su queste unità informazionali si estendono i vari ‘toni’ o contorni tonali (cfr. § 2.2.2.2.) entro cui si può osservare la tonicità, ovvero la collocazione della prominenza tonica. HALLIDAY (1987: 349) precisa che la struttura dell’informazione si articola proprio con l’impiego della prominenza tonica, in quanto il nuovo viene spesso evidenziato dal parlante tramite la prominenza prosodica in segno della sua salienza e importanza informativa; si dice allora che questo elemento porta il focus (prosodico). Qui la prosodia può avere un utilizzo in comune con altri mezzi sintattici o costrutti marcati (quale la topicalizzazione), dove tutti convergono nella focalizzazione o l’evidenziamento di un determinato elemento linguistico rispetto agli altri adiacenti.

Per quanto riguarda l’elemento enfatizzato, esso non deve corrispondere sempre al nuovo. CRUTTENDEN (1986) segnala l’espressione di contrastività, le domande-eco, le esclamazioni-eco

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2.1.2.- Funzioni della prosodia

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e l’insistenza come casi in cui il dato viene enfatizzato e riceve il focus.

LEHMAN (1977) analizza, in dialoghi spontanei in inglese, l’accentuazione del dato e del nuovo e trova che quest’ultimo viene sistematicamente evidenziato per fini interazionali, quali il richiamo d’attenzione sia su un certo argomento che sul parlante stesso, talvolta alla ricerca di mantenere la parola. Tale osservazione ci conduce al ruolo della prosodia sul versante pragmatico e interazionale. Questo studio e altri (ANOLLI & CICERI, 1997; COUPER-KUHLEN & SELTING, 1996; SCHEGLOFF, 1998) indagano sull’impiego della prosodia nell’interazione comunicativa, considerando la prosodia una risorsa attivamente sfruttata nella conversazione. Secondo tali studi, la prosodia adempie a funzioni organizzative e regolative dell’interazione, dando indicazioni che regolano la presa di turno, segnano la conservazione, la cessione e la richiesta del turno.

Il desiderio di conservare il turno può essere manifestato a un certo punto della comunicazione da un momentaneo aumento del volume o della velocità di eloquio per impedire le eventuali interruzioni. La pausa preceduta dal rallentamento del ritmo segnala la cessione di turno da parte del parlante.

Inoltre, HALLIDAY attribuisce al profilo tonale la funzione di distinguere il ‘modo’ dell’enunciato; distinguere cioè la frase dichiarativa dall’interrogativa e dalla iussiva. Tale ruolo legato a certi andamenti tonali verrà esposto più avanti (§ 2.2.2.3.) in relazione all’esposizione e alla descrizione dei profili tonali diffusamente riconosciuti dagli studiosi come andamenti significativi (§ 2.2.2.2.).

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2.1.3.- Parametri dell’analisi prosodica

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Tale distinzione tra dichiarativa, interrogativa, ecc. riguarda più direttamente la struttura sintattica degli enunciati e si sovrappone parzialmente alla distinzione tra gli atti illocutivi (cfr. § 1.2.). Questi ultimi costituiscono, in questa tesi, il piano linguistico d’interesse da confrontare al piano prosodico. In letteratura si riconosce l’impiego della prosodia a fini distintivi degli atti illocutivi (cfr. § 1.2.5.) e su questa impostazione si cercherà nel capitolo successivo di trovare una fisionomia prosodica regolare che corrisponda all’atto illocutivo direttivo.

2.1.3. Parametri dell’analisi prosodica

Dal punto di vista della realizzazione fonetica, le proprietà fisiche della voce associate ai fenomeni prosodici sono la durata (d), l’intensità (I) e la frequenza fondamentale (f0). I ‘tratti prosodici’ percepiti dall’ascoltatore in corrispondenza dei correlati fisici sono rispettivamente la lunghezza, il volume (loudness) e l’altezza tonale (pitch). I tratti prosodici vengono descritti sempre in relazione al piano segmentale che li accompagna. Inoltre, è importante dire che, in fase di analisi, vengono considerati i valori relativi e non assoluti.

2.1.3.1. Durata

La durata o l’estensione temporale del segmento fonico ne veicola la sensazione della lunghezza. La lunghezza dei foni entro la sillaba e entro l’enunciato è uno degli indici della prominenza (cfr. § 2.3.2.), dell’organizzazione in unità tonali (cfr. § 2.2.2.), ed è la variabile in diretto rapporto con la velocità d’eloquio. La durata

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2.1.3.- Parametri dell’analisi prosodica

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si esprime e si misura in secondi e frazioni di secondo (millisecondi).

La distinzione percettiva della lunghezza dei foni non è basata sui valori assoluti di durata, ma sui rapporti relativi che intercorrono tra le durate dei foni entro la catena parlata (SAVY et al., 2000a). Inoltre, la durata è un parametro che si esprime in realtà sul piano segmentale, relativo cioè ai segmenti fonici (foni, sillabe). Tuttavia, la concatenazione dei segmenti entro la stringa, crea delle alternanze di rapporti relativi di durata che, prese nel loro insieme, costituiscono un pattern che dà forma all’intera stringa (sia sul piano della produzione che su quello della percezione). Tale pattern realizza quello che si chiama il ‘profilo ritmico’ dell’enunciazione il quale si basa, a livello segmentale, sull’unità sillabica (cfr. oltre § 2.2.1.).

2.1.3.2. Intensità

L’intensità (misurata in dB) o l’energia dei foni corrisponde, a livello percettivo, al volume. L’intensità è collegata nella produzione allo sforzo espiratorio e varia con le variazioni della pressione dell’aria d’espirazione. L’intensità viene manipolata, come abbiamo già accennato (§§ 2.1.2.1. e 2.1.2.3.), per vari scopi paralinguistici e pragmatici. Si può alzare il volume di voce per esprimere la rabbia in una discussione animata o per attirare l’attenzione dell’ascoltatore. Si nota su stringhe estese, a livello di organizzazione sintattica, che spesso le frasi parentetiche vengono distinte dai segmenti circostanti per una riduzione dell’intensità (Encyclopedia of language and linguistics: 4415).

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2.1.3.- Parametri dell’analisi prosodica

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Come vedremo nel corso della discussione sui parametri acustici dell’accento (cfr. § 2.3.2.), il ruolo dell’intensità è stato dato per scontato per tanto tempo fino a pochi decenni fa quando molti esperimenti non sono riusciti a provare l’importanza assoluta di questo parametro. L’importanza dell’intensità viene riconosciuta, tuttavia, nei sistemi automatici di assegnazione degli accenti che sviluppano delle funzioni algoritmiche che rendono conto e cercano di integrare la durata con l’intensità per riconoscere le prominenze (cfr. SILIPO & GREENBERG, 1999; D’ANNA, 2000). Ancora, l’intensità viene sfruttata come parametro fondamentale per la definizione e l’identificazione dell’unità sillabica (cfr. § 2.2.1.; cfr. PETRILLO 2000, CUTUGNO et al., 1999).

2.1.3.3. Frequenza fondamentale

La frequenza fondamentale della voce è l’esito della vibrazione delle pliche vocali, vibrazione coinvolta principalmente nella produzione delle vocali e anche delle consonanti sonore. Più veloce vibrano le pliche, più si aumenta la frequenza. La velocità di vibrazione dipende dalla massa, dalla tensione e dalla lunghezza delle pliche vocali. Meno spesse, meno lunghe e più tese sono le pliche vocali, più la voce prodotta diventa alta o acuta. Così i bambini e le donne hanno la voce più acuta degli uomini.

L’unità di misura della frequenza fondamentale (abbreviata: f0) è l’Hertz (Hz) che indica il numero dei cicli di vibrazioni al secondo. La media fascia frequenziale (range) per i maschi adulti si estende tra 60 Hz e 240 Hz e per le donne tra 180 e 400 Hz (CRUTTENDEN, 1986: 4). LAVER (1994: 451) indica valori lievemente diversi per la fascia frequenziale dei maschi adulti (50-

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2.1.3.- Parametri dell’analisi prosodica

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250 Hz) e notevolmente diversi per le donne (120-480 Hz). Ovviamente, questi sono valori medi che presentano delle generalizzazioni che non valgono per tutti i singoli parlanti né per tutte le situazioni comunicative; la soglia dei 400 Hz non verrebbe normalmente toccata nella conversazione quotidiana. Secondo Laver, il singolo parlante utilizzerebbe normalmente una fascia dall’estensione di un’ottava, in cui cioè il valore massimo è il doppio del valore minimo (ibidem).

La sensazione della frequenza fondamentale è ‘l’altezza tonale’ o il pitch. Per definizione il pitch dovrebbe corrispondere alla sensazione relativa alla frequenza fondamentale del segnale acustico e la sua unità di misura dovrebbe essere il mel o il semitono; frequentemente si incontra questo termine anche per esprimere direttamente il concetto di frequenza fondamentale. Inoltre Bolinger usa il termine percettivo pitch invece di fundamental frequency per motivi di brevità (BOLINGER, 1958: 113) affermando che “pitch has only one ingredient, the fundamental frequency of the voice” (ivi: 110). Più in generale, la confusione fra i due termini è anche dovuta alla consapevolezza degli studiosi delle complesse relazioni fra i due termini, quello acustico e quello percettivo.

La frequenza fondamentale, o meglio gli andamenti della f0 entro la stringa costituiscono, infatti, il parametro fondamentale dell’analisi prosodica: le variazioni di f0 imprimono la ‘melodia’ alla stringa (cfr. § 2.1.1.).

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2.2.1.- La sillaba

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2.2. Unità di analisi prosodica

Abbiamo detto che i fenomeni prosodici si estendono su

segmenti superiori al singolo fono. In fonologia, le porzioni segmentali considerate come dominio delle varie manifestazioni prosodiche, le unità di analisi prosodica, vengono identificate e considerate in una gerarchia che riconosce nella sillaba (σ) la minore unità funzionale, per passare poi al piede13 (π), quindi alla parola prosodica (ω). I tre costituenti sono divisioni a livello di parola. A livello più esteso, poi, la fonologia definisce il sintagma fonologico (ϕ) e il sintagma intonativo (I) dominato, infine, dall’unità più grande: l’enunciato (cfr. NESPOR, 1994).

Nel presente lavoro siamo interessati a due unità: la sillaba, su cui si manifestano le prominenze, e l’unità fonetica su cui si profila l’andamento melodico, cioè l’unità tonale la quale corrisponderebbe al sintagma intonativo in fonologia.

2.2.1. La sillaba

2.2.1.1. Definizione

L’importanza della sillaba è riconosciuta fin dai tempi antichi. Nel ventesimo capitolo della Poetica di ARISTOTELE non manca la sillaba, la quale viene considerata una parte della lingua e definita come “un suono senza significato composto di una muta e di una avente suono” (1992 [1965]: 187). Aristotele,

13 Il piede è costituito da una o più sillabe e nella gerarchia fonologica sta sopra la sillaba e sotto la parola fonologica o prosodica, isomorfa quest’ultima alla parola morfologica.

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2.2.1.- La sillaba

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poi, rimanda alla metrica per la considerazione delle differenze tra una sillaba e l’altra.

Nel ventesimo secolo SAUSSURE identifica la sillaba su base articolatoria: “se in una catena di suoni si passa da una implosione a una esplosione…, si ottiene un effetto particolare che è l’indice della frontiera di sillaba” (SAUSSURE, 1998 [1922]: 73).

Nelle fonologie moderne, poi, il ruolo della sillaba viene pienamente riconosciuto e si delinea in rapporto sia all’accento e l’intonazione che al ritmo, essendo l’unità principale del dominio metrico-ritmico su cui si profilano le prominenze che danno vita al ritmo (cfr. § 2.2.1.2.).

In fonetica la sillaba si può definire “un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno ad un picco d’intensità” (ALBANO LEONI & MATURI, 1998: 70). MIONI (1993: 127) la definisce similmente: “il raggrupparsi di fonemi (in genere consonanti) attorno a un centro d’intensità sonora (di solito una vocale)”.

La sillaba si scompone in incipit, detto anche attacco o testa (consonantica), nucleo (vocalico) – obbligatorio per la formazione di una sillaba in italiano – e un’eventuale coda (consonantica). Le sillabe con coda si chiamano sillabe chiuse; le sillabe senza coda sono sillabe aperte, (come la sillaba in corsivo in mo-ro); esistono sillabe senza testa, (come in an-che) e sillabe costituite dal solo nucleo (a-la, a-ia).

La ‘divisione in sillabe’ in fonetica e in fonologia, quindi, si rifà all’intensità intrinseca dei foni come criterio e si avvale di una scala dei gradi d’intensità relativa a ogni fono. La ‘scala di sonorità intrinseca’ si può definire come “espressione del

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2.2.1.- La sillaba

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principio di distribuzione dei foni per formare unità fisicamente e linguisticamente determinate” (CUTUGNO et al., 1999). La scala si può presentare così, in diminuendo d’intensità (MIONI, 1993: 129; per una rassegna di varie identificazioni della scala, CUTUGNO et al., 1999):

vocali basse;

vocali medie;

vocali alte;

laterali;

vibranti;

nasali;

fricative sonore;

fricative sorde;

occlusive sonore;

occlusive sorde.

Il nucleo o l’elemento sillabico in italiano può appartenere solo ad una delle prime tre classi, mentre la testa e la coda costituiscono dei minimi d’intensità.

2.2.1.2. La griglia metrica

Le sillabe, unità potenzialmente portatrici di prominenze accentuali, si susseguono nella catena parlata dove ognuna si mostra o forte, portando una prominenza, o debole, essendo priva di prominenza. È dal concatenarsi delle unità forti e le unità deboli che nasce il ritmo, che si definisce tradizionalmente nell’alternarsi

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2.2.1.- La sillaba

di battute forti e deboli. Nella poesia i metri si basano sulla distinzione tra sillabe leggere (brevi di durata) e sillabe pesanti (lunghe di durata), ma nel parlato le sillabe non si oppongono per le mere differenze di durata, bensì per la presenza vs assenza di prominenza.

In fonologia (generativa) il ritmo della frase si può presentare in una specie di griglia che viene denominata ‘griglia metrica’ (NESPOR, 1994: capitolo 10). Nella griglia metrica ogni sillaba viene marcata a seconda della sua forza accentuale. Le informazioni linguospecifiche sulla forza accentuale delle sillabe vengono riprese dall’albero metrico. Tale struttura a forma d’albero rappresenta la gerarchia dei domini prosodici, dalla sillaba al ‘sintagma intonativo’ (cfr. § 2.2.2.1.3.) e dà a ogni nodo un’etichetta corrispondente alla prominenza forte (strong) o debole (weak); nell’esempio seguente di albero metrico ‘d’ e ‘f’ stanno, rispettivamente, per debole e forte.

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d f parola fonologica

d f d f piede

f d f d f d f d sillaba es-pe-rien-za - do-lo-ro-sa

La griglia metrica, assumendo le informazioni in termini di prominenza riguardanti ogni sillaba nella stringa, assegna a ciscuna

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2.2.1.- La sillaba

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sillaba un grado da 1 per le sillabe deboli, non accentate, a 6 per la sillaba più forte a livello di enunciato. I gradi vengono contrassegnati tramite asterischi ordinati in colonne sovrapposte a ogni sillaba. Un solo asterisco nella colonna indica il grado zero di prominenza e fa semplicemente da indice della mera presenza di una sillaba. Questo si chiama il livello 1, livello di sillaba; il livello 2 è il livello del piede, entro il quale la sillaba più prominente riceve un altro asterisco sopra il primo già assegnato; il grado 3 (con 3 asterischi) segna la sillaba più forte della parola fonologica; il grado 4 (4 asterischi) per il sintagma fonologico; 5 per il sintagma intonativo (cfr. LIBERMAN & PRINCE, 1977; NESPOR, 1994).

Facciamo un esempio di un enunciato intero, non dimenticando che l’assegnazione di accento principale a livello di enunciato può essere soggetta a scelte contestuali nel senso che il soggetto, invece dell’oggetto, può ricevere il grado 6 di prominenza se il parlante, per motivi specifici della situazione comunicativa, vuole portare il soggetto in primo piano:

* 6 * 5 * * 4 * * * 3 * * * * 2 * * * * * * * * * livello 1 Il bambino mangia la mela

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2.2.2.- La TU

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2.2.2. La TU

2.2.2.1. Criteri di divisione in TU

Come strumento operativo per lo studio dell’intonazione, una procedura sistematica consisterebbe, com’è intuitivo, nella scansione del discorso in unità di analisi di dimensioni tali che permettano l’osservazione e la descrizione dettagliata della melodia e dei fenomeni prosodici che interagiscono con essa.

In base a criteri sintattici e logico-grammaticali si danno definizioni, oscillanti però, di varie unità di analisi dei testi scritti al di sopra del sintagma – frase, clausola, ecc. Similmente, quando si cerca di individuare unità di analisi dei testi parlati su base prosodica, ci si trova di fronte a varie opinioni e terminologie che ne rispecchiano le problematiche. A tale scopo come si può procedere? Si dovrebbe cominciare dal piano segmentale sintattico e logico-informativo o bisogna partire da una caratterizzazione fonetica a cui viene subordinata la ricerca di punti d’incontro con gli altri livelli linguistici e informazionali?

Di seguito verrano esposti vari punti di vista con varie definizioni dell’unità d’analisi intonativa. I diversi approcci comportano diverse denominazioni: Unità Tonale (Tone Unit o T-U), Gruppo Tonale (Tone Group) o Gruppo di Respiro (Breath Group), che corrispondono più o meno l’una all’altra, in quanto costituiscono tentativi di definire una unità estesa di analisi prosodica. Nell’esposizione che segue verrà comunque rispettata la terminologia adoperata da ogni autore citato, anche se il primo termine (sia l’acronimo inglese sia l’intera versione italiana) verrà adottato da chi scrive da questo capitolo in poi.

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2.2.2.- La TU

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2.2.2.1.1. Criteri informazionali

Nei lavori di HALLIDAY si delinea una tendenza a considerare il gruppo tonale (Tone Group) ‘una porzione dotata di significato’ e considerare la divisione in base alla resa informativa del discorso. La distribuzione in gruppi tonali viene chiamata ‘tonalità’ da Halliday e ogni “information unit is realized as one tone group” (HALLIDAY, 1967: 200). Tale distribuzione è obbligatoria, nel senso che il testo deve consistere di una sequenza di tali unità, ma è facoltativa nello stesso tempo in quanto il parlante ha la libertà di decidere dove comincia e finisce ogni unità d’informazione (ibidem). L’autore spiega la fisionomia informativa come

“a process of interaction between what is already known or predictable and what is new or unpredictable…It is this interplay between new and not new that generates information in the linguistic sense” (HALLIDAY, 1985: 274-75).

Ogni gruppo tonale deve contenere una informazione nuova e, come facoltativa, un’informazione data (cfr. § 2.1.2.3.). Con l’alternarsi del dato-nuovo dovrebbero alternarsi anche le prominenze tonali (cfr. § 2.2.2.2.). Il nuovo viene segnalato dalla prominenza tonale e si trova, in una struttura non marcata, alla fine dell’unità di informazione preceduto dal dato (cfr. HALLIDAY, 1992: 103).

Posizioni simili si riscontrano in LADEFOGED (1993) che ribadisce la facoltà del parlante di dividere le frasi in gruppi tonali a seconda di quelle che considera “the important information units in the sentence” (LADEFOGED, 1993: 110); e SORNICOLA (1981).

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In questa prospettiva il discorso viene segmentato in blocchi informazionali per via della prosodia.

2.2.2.1.2. Criteri sintattici

Una corrispondenza biunivoca tra l’intonazione e la struttura sintattica è un argomento molto discusso. S’intende per tale corrispondenza che l’unità prosodica sia isomorfa a un’unità sintattica, come la frase o la clausola. Gli esponenti della prospettiva per cui le unità tonali corrispondono a unità o blocchi informazionali negano la corrispondenza tra unità prosodiche e unità sintattiche, come si vede nell’affermazione di HALLIDAY (1987: 334): “il gruppo tonale non coincide con alcuna unità grammaticale”; lo stesso autore dichiara poi che

“in molti casi nell’inglese conversazionale [il gruppo tonale] corrisponde ad una clausola14 e questo si può considerare lo schema fondamentale: una clausola è un gruppo tonale a meno che non ci sia una buona ragione in contrario. […]. Tuttavia, non è detto che ogni clausola sia un gruppo tonale, perché il gruppo tonale è una unità di significato di per sé […]” (ibidem).

Qui potrebbe sembrare che Halliday si stia contraddicendo nel giro di uno stesso paragrafo; infatti, l’autore considera come primo criterio la distribuzione dell’informazione, ma non riesce a sottrarsi al cento per cento dal pensare a corrispondenze sintattiche. Comunque, tale citazione ci serve a capire quanto possa essere

14 La definizione tradizionale di clausola o clause riportata in CRUTTENDEN (1986: 76) prevede l’occorrenza di un verbo finito.

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difficile isolare completamente il concetto di unità o gruppo tonale dalle unità sintattiche su cui, o meglio, simultaneamente alle quali si modella l’intonazione. Tuttavia, la maggior parte degli studi più recenti (CRYSTAL, 1969; CRUTTENDEN, 1986; per l’italiano CAPUTO, 1991; VOGHERA, 1992) e anche quelli di stampo generativo (NESPOR & VOGEL, 1986) riconoscono il non-isomorfismo tra strutture sintattiche e prosodiche. Infatti, gli autori sottolineano le eventuali corrispondenze di cui non si può negare l’occorrenza15 ma sulle quali non si può del tutto contare per una caratterizzazione prosodica.

2.2.2.1.3. Criteri fonologici

In studi fonologici abbastanza recenti (PIERREHUMBERT, 1980; NESPOR & VOGEL, 1986) si definisce nella gerarchia fonologica un costituente denominato ‘sintagma intonativo’ (intonational phrase), il quale costituisce il dominio su cui si estende un contorno intonativo (NESPOR, 1994: 206). Nella delineazione delle caratteristiche di tale costituente la fonologia prende in grande considerazione i correlati fisici della produzione, in quanto si presume, come afferma NESPOR (1994: 206), che la lunghezza del sintagma intonativo (I) venga condizionata in parte da motivi respiratori, cioè dal fiato a disposizione del parlante. La lunghezza del sintagma intonativo varia anche in base alla velocità di elocuzione, poiché si presume che, con l’incremento di quest’ultima, la lunghezza, in termini di numero di sillabe, possa crescere entro il gruppo di respiro. Anche la pausa e l’allungamento

15 VOGHERA (1992), per esempio, trova che il 27% dei gruppi tonali del suo corpus corrisponde a proposizioni; tale percentuale cresce nel testo più spontaneo e informale studiato dall’autrice e diventa del 44.5%.

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prepausale sono riconosciuti come limiti del sintagma intonativo (cfr. § 2.2.2.1.4.). In tal modo, il limite destro di I subisce l’allungamento, mentre la sillaba o le sillabe al limite sinistro (l’attacco) di un sintagma intonativo vengono accorciate.

La stessa struttura sintattica viene presa in considerazione , in quanto costituenti sintattici quali i parentetici e le frasi relative non restrittive “formano obbligatoriamente” sintagmi intonativi (NESPOR, 1994: 206).

Detto ciò, i vari approcci e criteri di segmentazione intonativa in fonologia non sono ancora stabili e completamente sicuri: “at present, the principles governing intonational phrasing are not well understood” (SELKIRK, 1995: 567).

Questo breve cenno alla definizione del sintagma intonativo ci porta a riflettere sull’importanza dei correlati fisici e ci incuriosisce sul contributo della fonetica a proposito della definizione dell’unità di analisi intonativa.

2.2.2.1.4. Criteri fonetici

Uno dei punti più complessi degli studi sull’intonazione è quello di stabilire criteri per la delimitazione della T-U, individuando cioè dei confini fisici dell’unità tonale sul segnale (boundary markers) (cfr. CAPUTO, 1991; SAVY, 1999). Come segni dei limiti delle TU si osservano anche l’andamento interno alla TU e i cambiamenti dei valori dei parametri acustici.

Di norma, si riconoscono come marche di confine tre parametri:

♦ presenza di pausa; ♦ allungamento prepausale;

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♦ declinazione intonativa e energetica.

Il primo segnale diffusamente considerato è la presenza di pausa. Tale sospensione del parlato può essere classificata in pause piene e pause vuote. Mentre le pause vuote sono periodi di silenzio, nelle pause piene si verificano fenomeni vocali del tipo ‘mhm’, ‘eeh’, oppure tramite l’allungamento ‘esagerato’ dell’ultima vocale di una parola, tali fenomeni sono spesso segni di esitazione; perciò si possono chiamare anche pause d’esitazione.

Anche se nelle pause si riconosce un motivo per la divisione in unità di analisi, dal momento che lo stesso locutore ha interrotto la catena parlata o per motivi di riprogrammazione e riorganizzazione delle idee o per aver finito di parlare, non sempre la presenza di una pausa indica per forza una marca di confine di TU. Infatti, possono capitare pause all’interno delle TU nel parlato spontaneo. Ma soprattutto, spesso due TU non sono separate da una pausa: CAPUTO (1992) trova le pause al confine di TU in solo il 60% dei casi da lei studiati; tale occorrenza è minore alla frequenza con cui occorrono altre marche (vedi infra).

Il rallentamento relativo o notevole della velocità d’eloquio, noto con il nome di allungamento prepausale (prepausal lengthening), è una delle marche più riscontrate nel parlato spontaneo. Ciò si rileva nella maggiore durata dell’ultima vocale tonica della stringa e viene osservato da CAPUTO (1992) nell’83% dei casi.

Una marca di confine frequentemente presente come caratteristica universale dell’andamento tonale verso la fine dell’unità tonale è il forte calo dei valori dell’intensità (I) e della frequenza fondamentale (f0). Per la maggior parte dei casi il calo porta i valori al di sotto del range dominante prima del contorno

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terminale. Il contorno terminale comincia nell’88% dei casi con l’ultimo picco di f0 e con un livello di I medio o alto accompagnato dal rallentamento nella velocità di elocuzione ed è generalmemte caratterizzato dal movimento che segna la fine della TU (CAPUTO, 1992).

Tale fenomeno articolato nel contorno terminale è l’espressione più forte della ‘declinazione intonativa’ (declination), la quale è la tendenza globale all’abbassamento graduale dei valori di f0 lungo l’unità tonale e l’enunciato (cfr. CRUTTENDEN, 1986: 126-127; AVESANI, 1990: 15). La declinazione si verifica, come caso esemplare, nelle frasi dichiarative dal contorno tonale discendente. Il fenomeno della declinazione, tuttavia, sembra un universale che trova le proprie origini nel meccanismo fisiologico della respirazione. Durante l’espirazione decresce progressivamente la pressione dell’aria nella glottide (pressione ipoglottica) riducendo la velocità di vibrazione delle corde vocali e provocando il declino dei valori di f0. La declinazione si può rappresentare collegando i picchi di f0 stilizzando così la linea ipotetica denominata topline o congiungendo gli avvallamenti per formare una linea ideale chiamata baseline o bottomline (cfr. AVESANI, 1990; VAYRA, 1991; BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993).

La declinazione non riguarda solo il piano melodico, ma anche il piano energetico. L’andamento dell’intensità, come l’f0, subisce nel corso della fonazione vari cambiamenti: salite e discese, incrementi e decrementi, ma presenta comunque un calo graduale che si considera anch’esso marca di confine.

Dall’osservazione del comportamento di f0 si può individuare un altro segno di confine di TU. Si osserva che spesso, dopo una

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pausa, l’attacco di TU è a livello relativamente alto di pitch rispetto ai valori finali di TU i quali, per effetto della declinazione intonativa, arrivano attorno ai livelli più bassi del range. Di conseguenza, in assenza delle marche sopraccitate il brusco cambiamento di f0, articolato in una discesa seguita da una salita, in corrispondenza di sillabe atone viene talvolta considerato una possibile marca di confine (cfr. CRUTTENDEN, 1986: 41).

Il fenomeno di riprogrammazione tocca anche il livello energetico che assume incrementi, graduali o meno, dopo i momenti di depressione. Tale riprogrammazione o reset si considera una marca di confine all’attacco di una nuova TU.

2.2.2.2. Struttura interna della TU

In generale, la struttura interna alla TU si delinea nell’individuazione di prominenze principali16 e nella descrizione dei contorni melodici. I modelli e le descrizioni che verranno esposti qui sono ideati su base uditiva, tranne la descrizione di CAPUTO (1991). Nel sottoparagrafo seguente parleremo del piano del ‘significato’ che, secondo i nostri autori, si può legare alle varie descrizioni intonative.

Cominciamo dal modello di HALLIDAY, proposto per l’italiano da LEPSCHY (1978b) e poi adoperato da VOGHERA (1992).

HALLIDAY (1987) sostiene la presenza di una sola prominenza in ogni ‘gruppo tonale’: “si tratta della parte che il parlante vuole mostrare come la più importante del messaggio” (p. 335). La sillaba

16 Normalmente, la prominenza principale si cerca tra le sillabe toniche di parola, portatrici cioè di accento lessicale. Tra gli accenti lessicali dovrebbe spiccare uno (o più) come l’accento principale di TU.

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2.2.2.- La TU

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che porta la prominenza tonica viene descritta così da Halliday: “la sillaba tonica […] svolge la parte principale nell’intonazione del gruppo tonale. La sillaba tonica convoglia il maggior carico del movimento di altezza nel gruppo tonale” (ibidem). L’assegnazione di tale prominenza tonica si chiama ‘tonicità’.

Si profilano poi andamenti della melodia che si chiamano contorni tonali. LEPSCHY (1978b), ispirandosi al modello di Halliday, propone per l’italiano cinque contorni significativi, tre semplici e due complessi:

1) discendente; 2) ascendente; 3) costante o costante ascendente; 4) discendente-ascendente; 5) ascendente-discendente.

CHAPALLAZ (1979) descrive in italiano tre movimenti melodici fondamentali, i quali possono combinarsi e subire delle modificazioni nelle varie situazioni: discendente; discendente-ascendente; ascendente-discendente.

CANEPARI17 (1985) suddivide l’estensione dell’altezza musicale, ‘la tonalità’, in tre fasce sovrapposte: alta, media e bassa e chiama intonìa l’andamento tonale compreso tra due pause effettive o potenziali. L’intonia viene suddivisa in protonìa e tonìa. La tonia comincia dall’ultima sillaba accentata e si estende sulle eventuali sillabe atone seguenti; la protonia è tutto l’andamento che precede la tonia.

LADEFOGED (1993) descrive, in termini fonetici, il gruppo tonale dove ogni sillaba accentata è correlata a un incremento di

17 Canepari si è interessato anche alle differenze intonative che caratterizzano le varietà regionali dell’italiano (cfr. CANEPARI, 1986).

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2.2.2.- La TU

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pitch relativamente minore e di solito c’è una sillaba che si distingue per un maggior cambiamento tonale. In inglese il movimento tonale più rilevante si realizza spesso sull’ultima sillaba tonica nell’unità prosodica, ma può trovarsi anche prima (LADEFOGED, 1993: 109). La sillaba più prominente nel gruppo tonale non è prevedibile, in quanto la prominenza viene data dal parlante in base a quello che ritiene più importante da mettere in risalto (ivi: 110). Spesso ci si aspetta che l’informazione nuova riceva la prominenza principale o il cosiddetto ‘accento di frase’ (vedi oltre § 2.3.3.).

CAPUTO (1991), in uno studio sperimentale, descrive 3 andamenti più frequenti nel suo corpus di parlato spontaneo regionale (campano):

1- andamento discendente-ascendente che coincide più spesso con i costrutti sintattici Soggetto (o Tema)-V-Complemento, dove si realizzano valori alti di f0 sul Soggetto o sul Tema. Sul verbo la melodia presenta una zona di depressione con abbassamento dei valori per innalzarsi di nuovo sul costituente postverbale;

2- andamento ascendente che si profila in salita graduale fino all’acme (picco principale) e talvolta si presenta un picco locale prima del picco principale;

3- andamento discendente nel quale la curva di f0 subisce una continua discesa dei valori e si verifica un solo picco in posizione preverbale. Lo studio sperimentale non verifica l’impostazione di Halliday per cui in ogni gruppo tonale esiste una sola prominenza. Nel corpus di Caputo si presentano, nei casi non marcati, più di un accento in coincidenza con costituenti diversi dal verbo; nei casi marcati, invece, capita come estremo che tutti gli

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2.2.2.3.- Intonazione e significato

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elementi lessicalmente tonici portano una prominenza forte all’interno della TU.

2.2.2.3. Intonazione e significato

In questo paragrafo legheremo il livello della descrizione delle unità tonali con il significato o il senso che gli ideatori dei vari modelli osservano e attribuiscono a ogni contorno. Il ‘significato’ trattato in questo paragrafo riguarda il campo relativamente più battuto nell’esame delle funzioni dell’intonazione, cioè la funzione linguistica.

Nel modello hallidayiano la prominenza tonica, come si è già detto, corrisponde al culmine informativo, all’informazione più importante dal punto di vista del parlante, la quale si individua come il nuovo in opposizione al dato che non dovrebbe portare prominenze.

Per quanto riguarda i contorni tonali, vari studi, anche in italiano (cfr. HALLIDAY, 1985: 281-82; BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993: 175-76), ritengono che il contorno discendente esprima la certezza e venga utilizzato nelle dichiarative, nelle domande-wh e nelle interrogative retoriche; il contorno discendente è considerato come l’opposto del contorno ascendente che dovrebbe esprimere incertezza ed è dunque tipico delle interrogative polari; il contorno (o anche il ‘tono’) costante o costante ascendente è legato all’informazione incompleta e all’esitazione e viene usato nelle sospensive e nelle enumerazioni; l’andamento discendente-ascendente indica il dubbio o la sorpresa e si usa nelle sospensive a carattere enfatico e nelle domande-eco; il tono ascendente-discendente esprime le affermazioni con cui si

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2.2.2.3.- Intonazione e significato

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accentua un fatto, specialmente contraddicendo un’affermazione precedente.

Tali interpretazioni e corrispondenze non valgono, però, come regole generalizzabili sull’italiano tout court, con tutte le sue varietà regionali. Le corrispondenze di sopra, per esempio, valgono di più per alcune varietà settentrionali. Infatti, ciò porta all’osservazione di un problema che riguarda gli studi prosodici in italiano: è riconosciuto il fatto che le varietà regionali dell’italiano non sono prosodicamente identiche (cfr. CANEPARI, 1986; ROSSI, 1998), ma tali varietà non vengono sistematicamente ed esaustivamente studiate dal punto di vista prosodico. In altre parole, le descrizioni e le analisi dell’associazione prosodia-significato nelle varietà regionali risultano scarse e provvisorie malgrado la riconosciuta importanza di tale variazione prosodica.

CHAPALLAZ (1979) ritiene che il contorno discendente (Tune I) è solitamente usato nelle dichiarative, nelle domande-wh, nei comandi e nelle esclamazioni (p. 180 e segg.); il contorno discendente-ascendente (Tune II) è tipico delle sospensive, delle domande sì/no (o totali), delle interrogative polari, delle enumerazioni e di alcune domande-wh che si presentano sotto un aspetto più cortese (p. 190 e segg.); il contorno ascendente-discendente (Tune III) è più comune nelle narrazioni e nelle enumerazioni (pp. 200-203).

CANEPARI (1985) parte da un’ipotesi di corrispondenza tra la struttura intonativa e la struttura semantica e pragmatica. La tonia discendente è conclusiva; con essa cioè il parlante comunica di aver terminato un enunciato; la tonia ascendente interrogativa comunica che il parlante sta aspettando una replica (è caratteristica delle interrogative totali, non –wh); infine, la tonia sospensiva, di tonalità

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2.3.- L’accento

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media, avverte l’ascoltatore che devono seguire enunciati importanti.

2.3. L’accento

Le prominenze locali che si profilano entro il dominio della

sillaba si chiamano ‘accenti’, anche se, come vedremo più avanti (cfr. § 2.3.3.), c’è una variazione nel denominarli quanto ci sono incertezze nel definirli in termini concretamente netti. In questa parte del capitolo parleremo della matrice indispensabile su cui si identifica l’andamento intonativo globale (fenomeno che per la sua essenzialità viene adottato per rappresentare la parte fonetica nel titolo di questa ricerca). Cominceremo con una definizione dell’accento in termini tradizionali, in qualche misura, impressionistici (§ 2.3.1.), seguita da una definizione in termini acustici (§ 2.3.2.). Poi passeremo alla bipartizione in accento lessicale e accento di frase (§ 2.3.3.) con la terminologia confusa e ‘idiosincratica’ ad essa relativa. In particolare, parleremo dell’accento lessicale in italiano (§ 2.3.3.1.), in termini di parametri acustici e di livelli di prominenza entro la stessa parola (§ 2.3.3.2.). Infine, verrà trattata la gradazione degli accenti entro la TU in approccio fonetico (§ 2.3.4.).

2.3.1. Definizione

Per prima approssimazione riportiamo alcune definizioni tradizionali. MALMBERG (1977 [1974]: 230) dice:

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2.3.1.- Definizione

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“Con accento, si intende, nella terminologia corrente, un rilievo dato, nella pronuncia, a certe parti della catena rispetto ad altre parti. Una sillaba, o gruppo di fonemi, marcata dall’accento viene chiamata ACCENTATA o TONICA”.

GARDE (1972 [1968]) lo definisce come “la messa in risalto di una sillaba (o unità accentabile) nell’ambito della parola (o unità accentuale)” (p. 37).

CANEPARI (1979: 94) parla di un “maggior rilievo fonetico” che distingue una sillaba all’interno di ogni parola per ragioni storico-etimologiche.

Gli studi più recenti, in ambito sperimentale però, introducono l’accento come un fenomeno più complesso e problematico. LEHISTE (1970) introduce le problematiche riguardanti la definizione dell’accento con occhio più analitico che non confonde il livello della produzione con quello della percezione (cfr. § 2.3.2. per i correlati fisici dell’accento):

“[…] There is non single mechanism to which the production of stress can be attributed in the same manner as the generation of fundamenttal frequency can be attributed to the vibration of the vocal folds. Further, the points of view of the speaker and the hearer have often been confused in defining stress” (LEHISTE, 1970: 106).

Il risalto, a cui si dà il nome di accento, si manifesta in relazione alle altre sillabe non accentate. Ciò vuol dire che l’accento funziona a livello sintagmatico e la sua presenza crea contrasto tra la sillaba che lo porta e le sillabe che ne sono prive entro la stessa stringa.

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2.3.2.- Parametri acustici

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Sul livello della produzione, una sillaba accentata (tonica) si distingue dalle sillabe non accentate (atone) adiacenti per maggior sforzo espiratorio e, eventualmente, una maggiore attività laringale (LADEFOGED, 1993: 113). Lo sforzo espiratorio si riflette nella pressione sottoglottica (subglottal pressure). Al livello della percezione, l’accento si manifesta come una prominenza uditiva (NESPOR, 1994: 64).

In una classificazione tradizionale vengono distinti un "accento espiratorio"18 o "dinamico" e un "accento musicale" o "melodico". L’accento in italiano si considera dinamico perché i principali correlati fisici dell’accento in italiano sono la durata e l’intensità (NESPOR, 1994: 65) (cfr. però correlati acustici, vedi oltre). L’accento musicale è veicolato essenzialmente dall’altezza tonale o melodica, come nel giapponese, il cinese e il serbocroato. Ma la distinzione nasce dalla confusione tra due piani diversi in cui si manifestano delle prominenze: il piano della parola e il piano più esteso come la TU o l’intera stringa (cfr. § 2.3.3.).

2.3.2. I parametri acustici

Essendo l’accento un ‘rilievo fonetico’ che mette in risalto una sillaba rispetto alle altre sillabe circostanti, si potrebbe dire che la sillaba tonica è generalmente più lunga, più intensa e più alta di tono delle sillabe atone adiacenti (CANEPARI, 1979: 95). Ciò, però, non significa che tutti e tre i correlati, durata, intensità e altezza tonale, contribuiscano nella stessa misura alla messa in risalto di una data sillaba. Nella sua introduzione del fenomeno dell’accento HAYES (1995: 5) afferma che, in termini fisici, “The definition of

18 Il termine ‘espiratorio’ si rifà alla visione tradizionale, tuttora non smentita a livello di parola, per cui un accrescimento della forza espiratoria è coinvolto nella produzione di questo tipo di accento (cfr. § 2.3.3.1.).

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2.3.2.- Parametri acustici

100

stress is one of the perennially debated and unresolved problems of phonetics”. Infatti, se si vuole cercare un unico e costante correlato dell’accento, bisogna sapere che la letteratura fonetica non fornisce tuttora una risposta che vada in questa direzione.

La tendenza tradizionale lega l’accento al correlato fisico dell’intensità, come afferma BLOOMFIELD (1996 [1933]: § 7.3.): “L’accento – cioè, l’intensità o il volume – consiste in una maggiore ampiezza delle onde sonore […]”.

Questa prospettiva, però, non si rivela del tutto giusta con gli studi sperimentali. Il primo a superare, con la sperimentazione, l’idea per cui l’accento si considerava un fenomeno correlato esclusivamente all’intensità fu Dennis FRY (1955, 1958; cit. in LEHISTE, 1970: 126-27) che ha condotto esperimenti sulla lingua inglese19. Nel primo esperimento del 1955, lo studioso ha manipolato, tramite le tecniche di sintesi del segnale, la durata e l’intensità delle sillabe in coppie minime nome-verbo del tipo object-object, per condurre poi un test percettivo ed è arrivato alla conclusione che la durata è il parametro più stabile della prominenza accentuale20. Non trascurando la frequenza fondamentale nello studio del 1958, e lavorando sempre su parole isolate, ha mostrato che le differenze di altezza tonale sono la chiave più attendibile per il riconoscimento delle sillabe accentate in inglese.

LADD (1996: 47) legge i risultati di Fry diversamente: se le stesse coppie minime, come quelle usate da Fry, vengono

19 Cfr. § 2.3.3.1. per i correlati dell’accento lessicale nella lingua italiana. 20 Quando si parla di test percettivi bisogna rendersi conto del problema riguardante la percezione del volume che si associa, sul versante percettivo, all’intensità. Il rapporto tra l’intensità e il volume, infatti, subisce varie influenze. Il volume dipende non solo dall’intensità, ma anche dagli altri parametri; per esempio, il volume dei suoni che durano meno di 200 msec si aumenta con l’aumento della durata come se l’energia fosse integrata con la durata (cfr. The Encyclopedia of Language and Linguistics: 4415).

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2.3.2.- Parametri acustici

pronunciate con intonazione interrogativa, l’innalzamento di pitch toccherà l’ultima sillaba in tutte e due le parole, di cui una (l’ultima del nome) è atona:

object? (nome) object? (verbo) Ladd ritiene, quindi, che il picco nella curva melodica non è

necessariamente indice dell’accentazione. BOLINGER (1958: 111-12) spiega, però, che il movimento di

pitch che fa da correlato dell’accento non è per forza un innalzamento, ma piuttosto qualsiasi punto di rapido e grande cambiamento entro la curva, o in salita o in discesa quel che sia, anche se la salita costituisce il tipo più comune. BOLINGER (1958) si trova d’accordo con Fry, in quanto ritiene il pitch una chiave principale dell’accento, mentre l’intensità risulta poco significativa come fattore potenzialmente abbinabile all’accento in inglese.

Questo assaggio della discussione sui correlati dell’accento in inglese, la lingua più studiata dal punto di vista prosodico, non ci aiuta naturlamente a trovare un correlato stabile, ma serve in questa sede a dare un’immagine della complessità del fenomeno dell’accento; complessità espressa senza mezzi termini da Hayes, che considera l’accento un fenomeno ‘parassita’, in quanto coinvolge i diversi correlati, impiegati più espressamente nella realizzazione di altri fenomeni prosodici:

“[…] aside from the marginal role of loudness, stress is parasitic, in the sense that it invokes phonetic resources that serve other phonological ends” (HAYES, 1995: 7).

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2.3.3.- Accento lessicale e accento di frase

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Ora, non ci rimane che confermare quanto già espresso in § 2.1.1. sulla mancanza di isomorfismo tra un dato correlato fisico e un detto fenomeno prosodico. In generale, sul piano acustico, riguardante le proprietà fisiche del suono, i tratti prosodici vengono realizzati tramite l’interazione di tutti o di due dei parametri acustici. Dopo decenni di studi sperimentali con vari esiti sembra plausibile riassumere con l’affermazione di LADD (1996: 6) che “stress is clearly a phonetic property (i.e. a complex perceptual amalgam only indirectly relatable to psychophysical and physical dimensions)”.

Ciò che è chiaro è che noi siamo in grado di riconoscere alcune sillabe come accentate rispetto alle altre, quindi sul piano percettivo si riesce a distinguere le nette configurazioni prosodiche a parte la complessa natura fisica sottostante.

2.3.3. Accento lessicale e accento di frase

La differenza e addirittura la confusione dei punti di vista con cui per lungo tempo si considerava l’accento21 (punti di vista piuttosto impressionistici che potrebbero essere giustificati dalla mancanza di strumenti e di possibilità più avanzate di analisi) sembra persistere tuttora in una coppia terminologica molto nota per la sua multivalenza confondente e sconcertante, la dicotomia stress-accent. Dando uno sguardo agli usi e ai significati che vengono loro attribuiti dagli studiosi del fenomeno dell’accento per

21 In merito dicono FAVA & MAGNO CALDOGNETTO (1976: 35-36) che le definizioni dell’accento nelle grammatiche tradizionali adoperano una terminologia “non unitaria che tradisce una non chiara conoscenza dei rapporti intercorrenti tra i vari stadi della comunicazione linguistica. Infatti in molte di queste definizioni confluiscono considerazioni sulla fase di produzione e su quella di percezione, senza che vengano chiariti i rapporti tra le diverse caratteristiche nelle successive fasi della realizzazione dell’atto di comunicazione orale” (cfr. definizioni riportate in § 2.3.1.).

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2.3.3.- Accento lessicale e accento di frase

103

individuarne la tipologia, i due termini sembrano così inafferrabili quanto lo è lo stesso fenomeno d’interesse.

Due particolarità a cui si ricorre per la descrizione di questo fenomeno prosodico sono i correlati fisici, molto instabili come abbiamo visto, e il dominio in cui si manifesta, entro la parola o entro la frase. In base alla realizzazione fonetica, LEHISTE (1970) propone una distinzione tra stress e accent in cui stress si riferisce alla prominenza prodotta per via dello sforzo espiratorio (il che corrisponderebbe alla tradizionale nozione di ‘accento espiratorio’), mentre accent indicherebbe la prominenza segnalata da altri mezzi fonetici al posto di o insieme con lo sforzo espiratorio (LEHISTE, 1970: 119).

CRUTTENDEN (1986: 16) usa stress per riferirsi alla prominenza in generale, comunque sia realizzata e accent per le prominenze in cui è coinvolto il pitch e afferma che:

“As a prerequisite of intonation, we have to know which syllables are stressed in words so that we then know which syllables are potentially accentable in utterances because accented syllables form the framework for intonation” (1986: 18-19).

Tale affermazione illustra in breve due punti essenziali: primo, il rapporto stretto tra l’accento e l’intonazione; secondo, i due livelli in cui si presenta e si osserva l’accento, il quale costituisce un indice principale e un elemento indispensabile nello studio dell’intonazione. CRUTTENDEN (1986: 7) definisce la prominenza a livello di parola come “a feature of words as stored in our mental lexicon” e la prominenza a livello di frase “a feature of connected speech” che dà risalto a una parola e la fa spiccare per

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2.3.3.- Accento lessicale e accento di frase

104

il maggior rilievo che la rende più importante (ibidem). I profili in cui si alternano sillabe prominenti e non costituiscono “the backbone of intonation” (ibidem).

Astraendo il concetto di accento di parola e considerandolo un componente fonologico (qualità astratta) al servizio dell’accento di frase, o la prominenza principale nella catena parlata, LEHISTE (1970: 150) ritiene che “word-level stress is the capacity of a syllable within a word to receive sentence stress when the word is realized as part of the sentence”; così l’accento di parola si realizza solo in un contesto più largo, condizionando e subendo il condizionamento della catena. Secondo Lehiste, è proprio per questo che una gradazione accentuale in termini fonetici non può essere data.

BOLINGER introduce il termine pitch accent per indicare tipi di movimenti melodici che fanno da indice di prominenza principale entro l’enunciato e limita così l’uso di stress al dominio della parola (accento lessicale), il quale a sua volta può eventualmente portare il pitch accent.

Secondo LAVER (1994: 511), con accent ci si può riferire alla potenzialità di una sillaba di essere accentata; con stress si intenderebbe l’effettivo posizionamento dell’accento.

Non si può concludere questo breve sottoparagrafo senza accennare all’equivoco dell’accento di frase. Con il relativo aumento d’interesse agli studi prosodici, la definizione di unità estesa di analisi prosodica è diventata un argomento essenziale nella letteratura (cfr. § 2.2.2.) e la divisione in tali unità si è mostrato uno strumento operativo indispensabile per gli studi fonetici in generale. La frase, intanto, si limita ora ad essere una unità, anch’essa discussa e incerta, nell’ambito sintattico e, quindi,

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2.3.3.1.- Accento lessicale in italiano

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l’espressione ‘accento di frase’ risulta fuorviante, ma viene ancora usata in riferimento all’accento principale entro il segmento considerato, l’unità di analisi prosodica meno grande dell’enunciato (l’unità tonale).

2.3.3.1. Accento lessicale in italiano

In italiano non c’è una regola che determina e prevede la posizione dell’accento in base alla tipologia sillabica come in altre lingue. Nel latino, per esempio, l’accento cade sulla penultima sillaba se questa contiene una vocale lunga o finisce con una consonante; se, invece, la penultima sillaba finisce con una vocale breve, l’accento cade sulla terzultima sillaba (cfr. NESPOR, 1994: 65). In francese, invece, l’accento si colloca sull’ultima sillaba e in ungherese si trova in genere sulla prima sillaba. In questi casi l’accento si chiama ‘fisso’; invece, per lingue come l’italiano, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco viene definito ‘libero’.

In italiano, in base alla posizione dell’accento entro la parola, si possono distinguere due parole diverse non solo per la distribuzione delle prominenze, ma anche per il proprio significato. Riportiamo un elenco di alcune parole che, con la diversa collocazione dell’accento, acquisiscono un significato diverso (il nucleo tonico è in grassetto).

ancora ancora meta metà principi principi ambito ambito benefici benefici

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2.3.3.1.- Accento lessicale in italiano

106

compito compito retina retina panico panico malefici malefici calamita calamità papa papà22 ecc. In queste coppie di parole l’accento assume una funzione

distintiva (NESPOR, 1994: 65; BERTINETTO, 1981: 63)23.

22 LEPSCHY (1992: 127, n.15) riporta l’osservazione di Nigel Vincent sul fatto che la funzione contrastiva non si può attribuire all’accento. Tale valore sarebbe riconoscibile solo nei casi in cui l’accento distingue parole identiche che non siano analizzabili morfologicamente (papa vs papà e non capito vs capitò), le quali sono relativamente poche e marginali. 23 Addentrandoci un po’ nella discussione sulla definizione della funzione dell’accento troviamo una diversità terminologica che risale alla diversità dei punti di vista. Secondo GARDE (1972: 19) l’accento, che opera sul piano sintagmatico, a differenza dei tratti pertinenti che operano opposizioni paradigmatiche, ha una funzione contrastiva. Ai tratti pertinenti Garde suggerisce che debba essere riservato il termine ‘funzione distintiva’ il quale non può essere attribuito all’accento che funziona diversamente. LEPSCHY (1978a: 113), rifacendosi a MARTINET (1974 [1960]: 106-107), ritiene che la funzione dell’accento non è distintiva ma contrastiva, culminativa nelle lingue ad accento libero, delimitativa nelle lingue ad accento fisso. E fa notare che è la posizione dell’accento ad avere una funzione distintiva e non l’accento stesso (ivi: 114). La funzione culminativa consiste nel mettere in risalto una sillaba rispetto a quelle adiacenti (BERTINETTO, 1981: 42). Nelle lingue ad accento fisso la funzione è delimitativa o demarcativa perché fa da indice del confine di parola. La rigorosità e limitazione terminologica per cui gli autori sopraccitati si oppongono all’uso del termine ‘distintivo’ per un fenomeno operante sul piano sintagmatico, verrebbe superata allargando la sfera d’uso di tale termine. BERTINETTO (1981: 43) ritiene che, dal momento in cui si riconosce il funzionamento dell’accento a livello sintagmatico e non paradigmatico, si può tranquillamente servirsi del termine ‘distintivo’ per definire il ruolo dell’accento nell’individuare e appunto distinguere coppie di parole omografe, diverse, però, nello schema accentuale e, ovviamente, anche nel significato.

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2.3.3.1.- Accento lessicale in italiano

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L’accento in italiano si può trovare sull’ultima sillaba della parola che in questo caso si denomina ‘tronca’ o ‘ossitona’: città, verità, virtù, ecc. Solo nelle parole tronche l’accento viene segnato ortograficamente. La maggior parte delle parole italiane, invece, sono ‘piane’ o ‘parossitone’, cioè portano l’accento sulla penultima sillaba: signora, fortuna, mangiare. L’accento può cadere anche sulla terzultima sillaba, nelle parole ‘proparossitone’ o ‘sdrucciole’: facile, sillaba, mettere e, meno diffusamente, sulla quartultima (parole ‘bisdrucciole’): considerano; sulla quintultima (‘trisdrucciole’): comunicamelo; sulla sestultima (‘quadrisdrucciole’): fabbricamicelo. Gli ultimi due tipi di parole sono di solito voci verbali seguite da enclitici (cfr. SERIANNI, 1992).

Con particolare riferimento all’italiano e per quanto riguarda i

parametri acustici coinvolti nella produzione dell’accento lessicale, FAVA & MAGNO CALDOGNETTO (1976) rilevano i valori di durata e di intensità di sillabe atone e toniche in bisillabi pronunciati in isolamento da tre informatori per trovare che la durata è comunque un parametro sempre più stabile rispetto all’intensità, anche se non in maniera assoluta. Le autrici, infine, ribadiscono la complessità del fenomeno e fanno riferimento alla frequenza fondamentale, non studiata da loro in questo lavoro, presumendo che sia un fattore importante coinvolto nella produzione-percezione della prominenza accentuale.

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2.3.3.2.- Accento primario e accento secondario

107

BERTINETTO (1981) conduce il suo studio su trisillabi che vengono pronunciati in isolamento da quattro soggetti e variano nella posizione dell’accento, come capito, capito, capitò; seguito, seguito, seguitò, neutralizzando così l’effetto che potrebbero avere la variazione dei timbri vocalici e i diversi contesti consonantici (pp. 67-68). Dallo studio dei dati appare che la durata è il correlato più importante, mentre l’intensità e la frequenza fondamentale, in corrispondenza delle sillabe toniche, non sembrano avere un comportamento significativamente diverso da quello osservabile sulle sillabe atone. In approssimazione, la costanza della durata come correlato dell’accento italiano sfiora il 100%, mentre gli incrementi di frequenza fondamentale e d’intensità accompagnano le toniche in appena il 50% dei casi studiati (p. 69). Per quanto riguarda l’intensità, Bertinetto non esclude del tutto una sua influenza sulla prominenza accentuale, ma dichiara che il problema va risolto con ulteriori indagini (pp. 70-71).

2.3.3.2. Accento primario e accento secondario

Quante più sillabe contiene la parola, tanto più cresce la possibilità che essa abbia più accenti. In tal caso, in una pronuncia non marcata o enfatizzante, le sillabe accentate non avranno la stessa prominenza. L’accento che cade sulla sillaba più prominente viene chiamato accento primario e l’accento meno forte si chiama accento secondario24. Fonologicamente, quest’ultimo, in italiano, sta a sinistra dell’accento primario (cfr. VOGEL & SCALISE, 1982: 216). La parola con più di un accento può essere una parola non derivata: obelisco; derivata: giustamente; o composta: portacenere.

24 Il nucleo vocalico che porta l’accento secondario viene qui sottolineato, mentre l’accento primario è evidenziato con il carattere in grassetto.

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2.3.3.2.- Accento primario e accento secondario

108

La presenza di due accenti entro la stessa parola, uno primario e un altro secondario, è regolata da tre principi generali (VOGEL &

SCALISE, 1982: 217):

1) i due accenti non si susseguono direttamente, non si collocano cioè su sillabe adiacenti;

2) la sillaba iniziale di parola è accentata, purché ciò non comporti la contiguità di due accenti;

3) non si hanno più di due sillabe atone adiacenti.

Le tre regole valgono sia per le parole semplici che per le parole derivate, per le quali si aggiunge un’altra regola che si chiama ‘antitonia’, cioè l’inversione dell’ordine ‘atona-tonica’ nella parola originaria perché diventi ‘tonica-atona’ nella parola derivata, come in:

Es: divino divinità

Es: probabile probabilmente

Es: orgoglio orgoglioso

Negli esempi le sillabe iniziali sono diventate toniche (portano l’accento secondario), mentre le sillabe toniche dei formativi originari sono diventate atone. Si vede che questa regola ha un legame almeno apparente con la regola 2, in quanto l’esito dell’applicazione delle due regole è in superficie lo stesso. Tuttavia, la posizione dell’accento secondario nelle parole semplici e derivate può variare anche su base idiosincratica e sono accettati più posizionamenti di tale prominenza. Infatti, si può dire:

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2.3.3.2.- Accento primario e accento secondario

109

Es: avidamente25 così come avidamente;

Es: camminavamo così come camminavamo; ecc.

Per le parole composte di cui l’ultimo componente sia una parola e non un suffissoide, invece, vale il contrario delle regole suindicate. È possibile l’adiacenza di due sillabe accentate (es., blu notte); l’accento può cadere sulla seconda sillaba invece che sulla prima (es., aspirapolvere, valigia armadio); è ammessa l’adiacenza di più di due sillabe atone (es., macina caffè, carcere modello). Inoltre, nelle parole composte, in cui l’ultimo componente è una parola e non un suffissoide, quest’ultima porta sempre l’accento primario mentre l’accento secondario, nel primo componente, si trova sulla sillaba che porterebbe la prima parola quando è pronunciata in isolamento. Qui si risale all’accento del formativo e vale l’opposto dell’antitonia. Una caratteristica della prominenza secondaria nei composti senza suffissoidi è la persistenza del timbro vocalico delle vocali medie aperte e chiuse che portano tale prominenza (qui verrà usato il simbolo SAMPA (cfr. appendice 5) – la ‘O’ maiuscola - per rendere la [o] aperta; la ‘E’ sta per la [e] aperta):

Es: tOssico+dipendente tOssicodipendente

elEttro+magnetico elEttromagnetico

25 La posizione dell’accento secondario nella prima forma risente di più della posizione della tonica nella parola originaria.

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Questa caratteristica non è conservata dalla prominenza secondaria in parole semplici e derivate e nei composti in cui l’ultimo componente non sia una parola indipendente, dove scompare l’opposizione aperto vs chiuso:

Es: botticella è il diminutivo:

sia di bOtta (con [o] aperta)

che di botte (con [o] chiusa)

Per questo, LEPSCHY (1992: 121) propone di conservare il nome di accento secondario a quel primo tipo di prominenza secondaria nei composti di parole indipendenti e di chiamare contraccento l’altro tipo di prominenza secondaria tipico delle parole semplici, derivate e composte con suffissoide. Il contraccento è più debole e non mantiene il timbro vocalico aperto o chiuso, il quale viene neutralizzato, e può trovarsi sulla prima o sulla seconda sillaba della parola.

Va detto, infine, che anche l’accento secondario può avere un ruolo nella distinzione tra due sequenze altrimenti identiche negli altri tratti (cfr. LEPSCHY, 1992: 119-120). Possono essere distintivi la presenza vs assenza dell’accento secondario: cuci-rete (macchina per cucire le reti) vs cucirete (futuro del verbo cucire); così come la sua diversa posizione: auto-reattore vs autore-attore.

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3.1.- Corpus di riferimento

2.3.4. Gradi accentuali

Nella forma di citazione ogni parola lessicale riceve un accento, ma nel discorso legato non tutte le parole ricevono una prominenza. Inoltre, le parole funzionali (articoli, preposizioni, congiunzioni, pronomi clitici) e i verbi ausiliari, soprattutto se monosillabiche, non sono previste avere accento, anche se nella forma di citazione potrebbero essere più evidenziate che nel discorso legato. Il resto delle categorie (sostantivi, aggettivi, verbi) hanno la possibilità di ricevere accenti (cfr. CRUTTENDEN, 1986: 21; GARDE, 1972: 76).

A parte la presenza vs assenza di prominenza si osserva uno scarto tra le prominenze in modo tale da poter cercare di identificare una gradazione degli accenti. Naturalmente, non si può affermare che le prominenze costituiscono gradi discreti in termini assoluti, ma si possono trovare delle relazioni relative tra le prominenze percepite distintamente entro la TU, in modo tale da poter studiare la rilevanza semantica di ogni elemento in base al suo presunto grado di prominenza.

Abbiamo visto che l’assegnazione della prominenza principale entro l’unità tonale viene legata maggiormente alla struttura informazionale del discorso e, se la prominenza principale non è rigorosamente abbinata al nuovo, essa corrisponderebbe all’elemento che sta più a cuore al parlante. Tale elemento, si suol dire, porta il focus o l’enfasi26, il quale viene considerato il grado più alto o il grado marcato di accentazione. La deaccentazione, invece, è la privazione di un elemento potenzialmente portatore di

118

26 Secondo la definizione di CANEPARI, (1979: 110) “si parla d’enfasi per contrasto, o semplicemente di contrasto, quando si vuol mostrare che una parola, o una sua parte, è messa in contrasto con un’altra espressa prima o semplicemente implicata; oppure quando una parola introduce un’idea nuova, inaspettata, inconsueta”.

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3.1.- Corpus di riferimento

accento dalla prominenza, come per ignorare tale elemento e per non dargli alcun peso semantico. Si possono considerare l’enfasi e la deaccentazione due estremi della scala dei gradi accentuali.

In merito, il lavoro del fonetista sta nell’esame delle caratteristiche spettroacustiche che veicolano i vari gradi accentuali. In un approccio, si può partire dall’assegnazione dei diversi gradi su base percettiva per passare poi all’analisi dei parametri coinvolti nella realizzazione di ogni grado, ove si cercano corrispondenze, che facciano statistiche, tra l’occorrenza di certi parametri fisici e la sensazione di un dato grado di prominenza (cfr. infra l’approccio di SAVY et al., 2000).

Tuttavia, si può avanzare l’obiezione che l’assegnazione uditiva dei gradi accentuali costituisca un’operazione sconcertante e ponga grosse difficoltà al lavoro scientifico, in quanto la percezione delle prominenze è, per forza, soggettiva. Malgrado lo studioso in questo caso non possa sottrarsi completamente alla soggettività, l’udito andrebbe riconosciuto come il normale ricevente a cui si affida il messaggio parlato nella comunicazione interazionale e quindi non deve essere sottovalutato.

Un approccio all’assegnazione di gradi accentuali alle sillabe foneticamente prominenti nel parlato spontaneo è adottato da CAPUTO (1993). L’autrice individua quattro gradi:

grado 0= deaccentazione completa;

grado 1= accenti deboli (ci subentrano casi di deaccentazione di vocali toniche e il debole rafforzamento di atone;

grado 2= accenti di media entità (vocali toniche e atone con prominenza né forte né debole);

grado 3= accenti d’enfasi.

119

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3.1.- Corpus di riferimento

Lo studio parte dalla misurazione dei correlati acustici dei nuclei delle sillabe strutturalmente accentabili considerando i livelli dei valori entro il range del parlante (alto, medio e basso) oltre agli scarti entro la sillaba. L’osservazione dei parametri è stata seguita da una prova d’ascolto. L’autrice definisce criteri fonetici per il riconiscimento dei diversi gradi:

1) presenza vs assenza di variazioni significative dei 3 parametri acustici (d, I e f0) dove il maggior scarto è ritenuto indice di maggior prominenza;

2) numero dei parametri attivi: più parametri attivati (in termini di dinamicità e di variazione) creano accenti più forti;

3) livello di I e f0 della vocale accentata: le variazioni parametriche collocate a livelli alti risultano più prominenti;

4) i principali movimenti di pitch entro la stringa profilano gli accenti più prominenti.

In questo studio la disattivazione dei parametri viene considerata come segno del grado zero (assenza di prominenza)

Inoltre, gli accenti vengono divisi da Caputo in due gruppi: accenti finali e accenti non finali di TU. Per gli accenti non finali il grado 1 costituisce l’83% dei casi, mentre il 66% delle prominenze finali è costituito da accenti di grado 3 e il 33% del grado 2, il che significa che la fine di TU è una posizione prosodicamente forte (cfr. § 2.2.2.1.4. per le caratteristiche prosodiche a confine TU).

Per quanto riguarda i correlati che accompagnano ogni grado, Caputo afferma che, in posizione non finale, il grado 1 è correlato a livelli bassi di f0 e di durata; il grado 2 è associato a livelli alti o medio-alti di f0; il grado 3 è veicolato principalmente da picchi di

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3.1.- Corpus di riferimento

f0, da durate relativamente più lunghe e da livelli alti o medio-alti d’intensità27.

In posizione finale il grado 2 è correlato maggiormente alla durata, poi viene l’f0, mentre l’intensità non risulta significativa. I correlati più stabili del grado 3 in posizione finale sono l’ f0 e la durata (con percentuale maggiore di coinvolgimento rispetto al grado 2).

SAVY et al. (2000) segue di pari passo con un approccio leggermente diverso il lavoro di Caputo (1993) per giungere a risultati simili (sia sui vari parametri di prominenza, sia sulla realizzazione fisica degli accenti finali e non finali). Lo studio

pilota di SAVY et al. (2000) parte dall’assegnazione dei diversi gradi accentuali su base percettiva e mira, in una fase del lavoro, a studiare le covariazioni dei parametri prosodici che contribuiscono alla percezione dei diversi gradi di prominenza nel parlato spontaneo. I gradi assegnati sono quattro:

0= deaccentazione, 1= grado debole o accento lessicale, 2= grado forte o accento di frase, 3= accento d'enfasi. Si osserva che l’assegnazione percettiva parte da informazioni

generalmente confermate dagli studi sulle unità tonali che parlano di una potenziale presenza nell’unità tonale di uno o più accenti lessicali, meno forti dell’accento di frase. Lo studio arriva al 27 MAGNO CALDOGNETTO & FAVA (1974) hanno condotto uno studio sui correlati acustici dell’accento d’enfasi trovando che l’innalzamento melodico è il correlato costante sui sintagmi enfatizzati nelle frasi da loro studiate, con cui talvolta si accoppia anche l’intensità. La durata risulta più costante dell’intensità con allungamento dei sintagmi enfatizzati in due terzi del corpus. KORI & FARNETANI (1983) arrivano a risultati simili in quanto l’f0 risulta il correlato più sistematico del focus nel loro studio.

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3.1.- Corpus di riferimento

risultato che a differenza dei gradi deboli (0,1), i gradi forti (2,3) presentano movimenti tonali significativi oltre ai valori assoluti generalmente più alti dei parametri acustici. Si osserva anche che la differenza principale tra grado 2 e grado 3 (poco riscontrato, però, nello studio) sembra concentrarsi sulle escursioni di f0 che, nel grado 3, si realizzano su sillabe e nuclei di durata ridotta rispetto al grado 2.

Per quanto riguarda la posizione degli accenti, si è riscontrata una differenza significativa tra le covariazioni acustiche per gli accenti 1 e 2 in sede finale vs non finale di TU. In sede finale di unità i valori di durata sono sensibilmente maggiori sia per l'accento debole che per l'accento forte, mentre decrescono, soprattutto per il grado 1, i valori di f0 ed I, in coincidenza con la

declinazione intonativa; rimangono invece significativi i movimenti di f0 associati al grado 2. Si osserva che i risultati ottenuti da SAVY

et al. (2000) è in sostanziale accordo con quelli di CAPUTO (1993).

I risultati raggiunti da CAPUTO (1993) e da SAVY et al. (2000) verranno tenuti in considerazione nel corso della fase d’analisi sperimentale nella presente ricerca.

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3.1.- Corpus di riferimento

CAPITOLO 3

ANALISI DEL CORPUS DI RIFERIMENTO

In questo capitolo introdurremo al materiale fonico utilizzato in questa ricerca come corpus di riferimento (§ 3.1.) e presenteremo un’ampia descrizione dei vari procedimenti di analisi sintattico-pragmatica (§ 3.2.1.) e prosodica (§ 3.2.2.). Infine, presenteremo i risultati che legano il livello prosodico al livello espressivo (§§ 3.3.1.2.4., 3.3.2.3.2.2. e 3.3.2.6.).

3.1. Corpus di riferimento

3.1.1. Corpus AVIP

La conversazione che costituisce il materiale utilizzato ai fini di questa tesi fa parte di un corpus più grande dal nome ‘AVIP’: Archivio delle Varietà di Italiano Parlato. Il corpus AVIP è stato prodotto nell’ambito di un progetto italiano di livello nazionale condotto contemporaneamente in Toscana, Campania e Puglia, allo scopo di rendere disponibili materiali da considerare rappresentativi di alcune varietà di italiano regionale. Il corpus, raccolto ed etichettato a livello segmentale e soprasegmentale, è concepito come strumento per uno studio sistematico delle caratteristiche segmentali e prosodiche dell'italiano parlato in diverse varietà diafasiche e diatopiche.

Il corpus è costituito da un insieme di dialoghi semispontanei, elicitati col metodo Map Task; l’adozione di questo metodo

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3.1.- Corpus di riferimento

risponde allo scopo di ottenere un parlato il più possibile spontaneo in condizioni di rigoroso controllo acustico (cfr. § 1.1.3.).

3.1.2. Il dialogo A01

Il corpus di riferimento in questa tesi consiste in un dialogo prodotto da due locutori di provenienza napoletana: un locutore maschio e un locutore femmina. Come si vede dal questionario compilato dagli stessi locutori prima dell’esecuzione del compito (appendice 2), i locutori sono studenti universitari che si conoscono bene, il che garantisce una situazione comunicativa più spontanea.

La conversazione consta di 131 turni dialogici e dura 10 minuti; il testo intero della conversazione è riportato in appendice 4 (per le norme di trascrizione ortografica vedi infra).

In appendice sono riportate anche le due mappe: la mappa del giver corredata del percorso da descrivere e la mappa della follower con il percorso da lei disegnato su base delle istruzioni del giver (appendice 1).

3.1.3. Norme di trascrizione (ortografica e fonetica)

Le norme di trascrizione ortografica del corpus AVIP, definite da SAVY (2000) sono adattate per il dialogo A01 e riportate in appendice 3.

La trascrizione fonetica adoperata nel corpus è la trascrizione X-SAMPA. La sigla sta per extended SAM (Speech Assessment Methods) Phonetic Alphabet. Il sistema di trascrizione è stato sviluppato al fine di facilitare l’etichettatura di grandi corpora, utilizzando i simboli a disposizione delle tastiere di qualsiasi computer. A differenza dell’alfabeto IPA (International Phonetic

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3.2.- Analisi del corpus

Alphabet) i simboli usati non richiedono l’impiego di caratteri particolari, appositamente installati.

L’X-SAMPA costituisce una versione fonetica più recente e estesa del SAMPA che è un alfabeto fonologico.

L’appendice delle norme di trascrizione X-SAMPA servirà al lettore di questa tesi per la consultazione dei grafici nel capitolo e in appendice 9.

3.2. Analisi del corpus

Dopo aver introdotto al materiale vocale utilizzato ai fini di questa tesi, intendo esporre le analisi effettuate sul corpus. La base segmentale è stata analizzata dal punto di vista sintattico-pragmatico. Le clausole che trasmettono, tramite le forme grammaticali esposte in capitolo 1 (§ 1.2.3.2.), un atto illocutivo direttivo (più specificamente le richieste di azione e non le richieste di informazione) sono state individuate tra l’insieme di clausole del corpus. Una statistica (§ 3.2.1.1.1.) evidenzia la frequenza di ricorrenza dei direttivi d’interesse in questa conversazione del Map Task. Segue la caratterizzazione morfosintattica una tipologia pragmatica dei direttivi del dialogo (§ 3.2.1.2.). Superando il testo trascritto, l’analisi prosodica consiste nella misurazione dei tre parametri acustici della funzione prosodica e nella divisione delle stringhe in unità tonali su base fonetica secondo i criteri indicati in § 2.2.2.1.4. Nel paragrafo 3.2.2.1. viene descritto il procedimento di misurazione. Dopo la scansione di tutto il dialogo in unità tonali, viene calcolata la percentuale delle unità contenenti atto direttivo rispetto al totale di TU (§ 3.2.2.2.), e infine viene presentato il 119

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

sistema fonetico adoperato per la trascrizione melodica (§ 3.2.2.3.). Per maggiore chiarezza sarebbe oppurtuno precisare che, nelle analisi effettuate sul corpus, si esclude dagli atti direttivi la grande sottoclasse delle interrogative che funzionano come richieste di informazione, perché presentano una fisionomia linguistica e pragmatica che si presume sia diversa dalla sottoclasse degli ‘ordini’.

3.2.1. Analisi sintattico-pragmatica

3.2.1.1. Clausole direttive

3.2.1.1.1. Percentuale dei direttivi

Come primo approccio all’analisi sintattico-pragmatica è stata effettuata una statistica pilota per formare un’idea del numero di clausole nei turni di ogni parlante. Nel conteggio delle clausole mi attengo alla presenza di un verbo finito.

Quando la disfluenza colpisce il verbo sotto l’aspetto di interruzione, il sintagma interrotto non viene trattato come la clausola con il verbo intero. Quindi, le 7 disfluenze riscontrate non vengono incorporate nelle statistiche qui esposte. Esempi di disfluenze non considerate sono ci de+ per ci devi; se hai fat+ per se hai fatto; ecc.

Facendo il conteggio, risulta che i turni della follower constano di 40 clausole, e del giver di 168 clausole. (vedi appendice 6 delle clausole ).

Allo scopo di rinvenire la percentuale delle clausole direttive nel dialogo, è stata condotta una classificazione delle forme grammaticali che esprimono atti direttivi (vedi infra). Mentre la

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

follower (F) non dà ordini e chiede informazioni di continuo, il giver (G) ricorre frequentemente alle richieste di azione. Come indice di tale frequenza d’uso abbiamo 68 clausole che contengono atti direttivi con la percentuale del 41% circa del totale di clausole del giver.

Infatti, la notevole frequenza con cui è impiegato il direttivo è uno dei motivi della scelta di questo tipo di atti illocutivi come punto di esame nella presente ricerca.

I dati di sopra sono inquadrati nella tabella 1:

Parlante Turni Clausole Direttivi

Giver (G) 66 168 68 Follower (F) 65 4028 –

Tabella 1: numero dei turni, delle clausole e delle clausole direttive per ogni parlante.

3.2.1.1.2. Classificazione morfosintattica dei direttivi

Nel capitolo 1 abbiamo fatto una rassegna di diverse forme morfosintattiche che esprimono l’atto illocutivo direttivo (cfr. § 1.2.3.2.). Lo scopo di questa fase di analisi è di individuare i casi in cui la forma grammaticale esprime un atto direttivo e classificare queste forme; non tutti i direttivi, però, sono desumibili dalla forma linguistica, in quanto l’atto direttivo può essere indiretto (cfr. § 1.2.2.4.) e quindi ricavabile dal contesto.

121

28 Si osserva che le clausole della follower sono meno dei turni perché spesso i turni sono privi di un verbo e sono del tipo: ‘sì; no; poi’.

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

Tra le forme grammaticali che possono trasmettere l’illocuzione direttiva si è rilevata la forma imperativa in 54 clausole (con la percentuale di 32% circa del totale di clausole del giver) e la modalità deontica in 12 clausole (il 7% delle clausole di G).

Oltre alle forme esplicitamente direttive, si è riscontrata una clausola assertiva che esprime, tramite una forma linguistica non marcata come direttiva, l’interesse del parlante che venga eseguito un certo atto. (Per comodità espositiva i simboli di trascrizione dei vari fenomeni vocali introdotti in § 3.1.3. e in appendice 3 verranno qui eliminati il più possibile):

Es: G099: a me serve che tu passi tra l'ambulante e queste barche.

In G005-TU7 si riscontra un verbo che si presume sia

indicativo e non imperativo ‘inizi’ e che esprime un atto direttivo:

Es: G005: [ ] e inizi a risalire verso 'sta figura

Il totale delle clausole direttive, dunque, è 68 di cui gli

imperativi costituiscono il 79%, il deontico (direttivo indiretto) il 18%, l’asserzione ‘a me serve …’ e l’asserzione ‘inizi…’ il 3%.

3.2.1.2. Profilo pragmatico

A questo punto, una fisionomia pragmatica dei direttivi risulta di grande utilità perché costituisce una fase di analisi più sottile che inserisce i direttivi nel loro contesto immediato. In questo paragrafo 122

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

cercheremo di giustificare e, nello stesso tempo, di interpretare l’uso delle tre forme grammaticali suindicate, individuando le cause dietro l’uso linguistico e identificando le istruzioni dai comandi, dalle richieste – se ce ne sono –, ecc.

Partendo dalle informazioni contestuali, possiamo giustificare l’articolazione morfosintattica dei direttivi nel corpus. Il contesto da considerare molto rilevante riguarda la relazione e il grado di conoscenza tra gli interlocutori. Tale relazione definisce il grado di formalità con cui viene condotta la comunicazione; grado basso in questo caso (gli interlocutori sono fidanzati; si vedano i questionari in appendice 2). In generale, si può affermare che l’uso frequente degli atti diretti fa da indice della familiarità tra i parlanti. L’espressione linguistica dei direttivi in questo dialogo, espressione caratterizzata dalla prevalenza degli imperativi e dalla scarsità degli atti indiretti, costituisce una conferma di tale osservazione.

Es: G003: descrivigli un ce+ / un mezzo cerchio dove c'è scritto partenza; fai un mezzo cerchio andando verso sinistra. La devi circumnavigare questa figura

Persino l’elemento indiretto che caratterizza l’uso della modalità deontica (cfr. il comando indiretto in § 1.2.3.2.1.) non si rivela veramente sfruttato. Il deontico istituisce una specie di vincolo oggettivo che l’atto richiesto venga eseguito e suona ancora più indiretto e meno imponente quando il soggetto del verbo deontico non è l’interlocutore, ma l’elemento inanimato oggetto della discussione:

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

Es: G025: no [il cerchio] deve andare verso la sinistra del foglio

Tuttavia, dieci delle dodici clausole deontiche rivolte alla

follower hanno come soggetto la stessa partner:

Es: G121: no automobili non le devi pensare, devi arrivare diritto fino ad arrivo

Nel corso della conversazione l’uso da parte del giver del

deontico viene talvolta come riflesso o come risposta condizionata dall’espressione usata dalla follower:

Es: F070: devo cerchiare valle <eeh> viale della verità ?

G071: no non lo devi cerchiare F072: allora ci devo passare da sotto ? G073: […] sì, ci devi passare da sotto, e

poi lì sali vers+ / andando verso 'sta pasticceria il babà

Il modo condizionale, il quale serve ad attenuare l’intensità

direttiva insita nel deontico, è usato una sola volta nella conversazione:

Es: G125: non dovresti fare nient’altro.

Gli esempi fanno da conferma di quanto già detto sulla

frequenza dei direttivi diretti nella comunicazione informale, anche

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

se il grado di familiarità darebbe ai direttivi una veste più tenue e non poco gentile.

Gli imperativi, diffusamente impiegati per esprimere i direttivi, non sembrano, dalla lettura del testo trascritto, né arroganti né segno di poco rispetto. Questo si deduce dalle reazioni della follower che collabora senza indignazione e non si sente obbligata a obbedire meccanicamente senza capire quel che deve fare. La cooperazione, quindi, è l’insegna sotto la quale si collocano gli atti direttivi che classificheremo in quanto segue.

Abbiamo detto nel capitolo 1 (§ 1.2.3.1.) che l’illocuzione direttiva varia a seconda della forza o l’intensità, dal comando aggressivo al suggerimento e dalla sollecitazione alla preghiera, ecc. Essendo a conoscenza della natura comunicativa dei dialoghi Map Task, sappiamo che in situazioni del genere non c’è bisogno di ricorrere agli estremi dei direttivi (i direttivi aggressivi o autoritari vs le preghiere e le richieste solennemente gentili).

Inoltre, il ‘gioco’ del Map Task è basato sulle indicazioni date dal giver. Tali indicazioni si possono benissimo chiamare istruzioni perché insegnano alla follower come compiere certe azioni che la aiutano ad arrivare a una meta. Tali direttivi non si identificano in comandi perché questi sono frutto di situazioni più ‘serie’ in cui il parlante si presenta nell’interazione come autorità nei confronti del suo interlocutore. Non ci aspettiamo, però, che tutti i direttivi nel corpus siano istruzioni perché la differenza tra le mappe offre una certa ricchezza di situazioni comunicative condizionate ancora dal rapporto stretto tra gli interlocutori. Tuttavia, l’uso prevalente degli imperativi e la mancanza di verbi performativi e di formule che rendano esplicito il tipo di atto direttivo fanno della classificazione dei direttivi un compito abbastanza difficile. Perciò, nei casi complessi mi atterrei agli 125

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

elementi contestuali che fanno normalmente da principe nell’analisi pragmatica.

3.2.1.2.1. Istruzione

L’istruzione prevale nell’arco di tutta la conversazione dall’inizio fino alla fine, e trova espressione linguistica sia nel modo imperativo sia nella modalità deontica:

Es: G003: descrivigli un ce+ / un mezzo cerchio […] la devi circumnavigare questa figura

Es: G021: […] fai quel mezzo cerchio verso sinistra circumnavigando colibrì; vai diritto fino a arrivare alla figura fiume

Es: G027: quando hai fatto questo mezzo cerchio vai diritto, sempre verso sinistra

Es: G105: […] circumnaviga sempre l'albergo e passa facendo uno slalom tra albergo e discoteca Zazà come se stessi facendo un mezzo otto; una -Esse- rovesciata, come la vuoi chiamare Es: G111: sì ora vai diritto fino a dove stanno le automobili

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

Es: G115: e arriva fino a dove sta scritto arrivo <pl> quando stai per arrivare a arrivo fai una piccola curvatura in alto

F116: arrivo sta proprio vicino ad automobili; non c'è proprio spazio tra la due figure

<pb> G117: passaci in mezzo allora

Es: G125: basta , è finito , non dovresti fare nient'altro

3.2.1.2.2. Ripetizione

La ripetizione assume un ruolo molto importante nella comunicazione in generale e in questa conversazione in particolare. Si presume, dal momento che i parlanti non possono gesticolare né vedere le reciproche mappe, che una spiegazione del percorso e una serie di istruzioni non possano essere comprese felicemente dalla follower senza ridondanza e ripetizione da parte del giver. Infatti, la ripetizione, tra le altre funzioni29, ha quella di offrire all’ascoltatore un discorso semanticamente meno fitto, il che lo aiuta a comprendere quanto gli viene detto. Anche il parlante si serve della ripetizione per produrre il discorso come flusso continuo, senza periodi di silenzio, avendo nello stesso tempo qualche modo di pianificare e pensare alle parole da aggiungere. L’importanza dello spazio di tempo o della tregua guadagnata dai partner della conversazione viene descritta da TANNEN (1989) con queste parole:

127

29 In realtà la funzione prevalente della ripetizione è quella di sottolineare le informazioni importanti

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

“just as the speaker benefits from some relatively dead space while thinking of the next thing to say, the hearer benefits from the same dead space and from the redundancy while absorbing what is said” (p. 49).

Negli esempi seguenti verranno considerate le ‘ripetizioni di sé’ (self-repetition) e non le ‘ripetizioni dell’altro’ (allo-repetition); cioè i casi in cui G ripete se stesso e non le parole della follower, come succede nelle risposte per esempio:

Es: F124: dopo arrivo che devo fare ?

G125: basta, è finito, non dovresti fare nient'altro

La ripetizione può essere prodotta automaticamente dal

parlante senza la richiesta del partner come ‘tregua’ per la riflessione o come esigenza della situazione; può apparire nel giro di uno stesso turno o dopo qualche scambio comunicativo:

Es: G005: ora prosegui diritto <pl> vai diritto

Es: F042: quella [figura] più in alto ?

G043: sì ma non ci andare proprio sopra <pb> cioè ci devi sta+ / ci devi passa' vicino non ci de+ / non devi anda' sulle figure

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

Es: G045: perfetto, ora fai un mezzo cerchio verso destra come se volessi <inspirazione> <pb> come se volessi fare30

F lo interrompe e si avvia una discussione, poi G torna a riprendere le fila del discorso:

G057: e poi s+ / fai un mezzo cerchio <pb> come se volessi<ii> <pb> cerchiare la figura valle limpida

Talvolta la ripetizione segue una pausa lunga, entro cui F non

reagisce in nessun modo, come per ravvivare la comunicazione o per paura che F sia persa; in ogni caso, essa può funzionare come mezzo per mantenere il canale tra i partner:

Es: G099: a me serve che tu passi tra l'ambulante e queste barche <pl> passaci in mezzo

F100: e poi scendo di nuovo giù <pb>se passo in mezzo

La ripetizione può funzionare come un punto fisso, già dato,

entro cui introdurre un nuovo elemento; intanto le accezioni lessicali possono essere cambiate ma si ripete l’idea:

Es: G003: descrivigli un ce+ / un mezzo cerchio dove c'è scritto partenza fai un mezzo

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30 Quest’ultima clausola costituisce un’altra ripetizione, ma nei limiti dello stesso turno. È un tipico esempio di ripetizione per esitazione e si osserva che a questo punto la follower interviene per aiutare il giver a continuare il discorso.

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

cerchio andando verso sinistra <pl> la devi circumnavigare questa figura

3.2.1.2.3. Comando

Il comando costituisce un grado forte dell’atto direttivo (cfr. § 1.2.3.2.1.) e sotto questa etichetta metterei i direttivi abbastanza intensi, nel senso che presentano contraddizione a quanto espresso da F e quindi sembrano più insistenti e spiccano, nel contesto, per più forza e intensità direttiva. In certi momenti dell’interazione gli interlocutori si trovano in disaccordo e il giver cerca di imporre quello che ritiene che sia giusto da disegnare; in questi casi, G mette in atto la sua ‘autorità’ come partner più informato, come partner guida. Si osserva che la ripetizione costituisce uno degli elementi rafforzativi, che, nel contesto, rendono il direttivo un comando.

Es: F080: non sto su+ / i trattini non stanno sotto la figura ambulante

G interrompe:

G081: no, deve stare sopra !

Es: G083: sei passata sotto la / sopra la testa dell'ambulante qua…?

F084: no <pl> G085: eh e passaci

La differenza tra le due mappe fa sì che F non sa come

proseguire il persorso: 130

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

Es: G087: vicino c'è una paro+ / vicino c'è una figura che si chiama abeti?

F088: no G089: e che figura c'è ? c'è qualche

figura ? F090: no c'è di nuovo barche sulla

sinistra <pl> G091: va bene, va bene allora passa

<pb> passa <pl> tra ambulante e questa figura che c'è <pl> passaci <pb> fai un mezzo cerchio e passaci <pl> come se stessi facendo uno slalom <pb> tra queste due figure

Sembra che a questo punto il giver vuole risolvere e mandare

avanti il compito in qualche maniera e, non trovando piena corrispondenza tra le figure disponibili a ognuno, insiste a ripetere l’ordine, non senza varie interruzioni (pause lunghe) per riflessione; riferendosi all’unica figura che i due interlocutori hanno in comune, in questa tappa.

Anche l’esempio seguente può essere considerato un comando perché porta una traccia di insistenza da parte di G:

Es: F092: ma sta più giù la figura barche

G095: e comunque passaci in mezzo

Es: F098: no non l'ho fatto perché sta più lontano non <eeh> poi c'è albergo sopra discoteca

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

G la interrompe ripetendo con insistenza e esprimendosi con tanta soggettività adoperando la forma tonica del pronome personale:

G099: no, a me serve che tu passi <pl> tra <pl> l'ambulante <pl> e queste barche <pl> passaci in mezzo

3.2.1.2.4. Richiamo d’attenzione

Questo tipo di direttivo ha una doppia funzione, un po’ simile a qualche uso della ripetizione e del tono alto della voce: mentre prepara la follower alla ricezione, dà spazio al giver per la riflessione e la formulazione del discorso seguente. I due casi rilevati nel corpus si collocano dopo un momento di disaccordo tra gli interlocutori, ove G cerca di risolvere e di tornare a dare istruzioni possibilmente eseguibili da F:

Es: G017: barche, va bene allora <inspirazione> stammi a sentire <inspirazione>

Es: G021: colle delle rondini vabbè allora fai 'na cosa<aa> arriva<aa> <pl> par+ vai dalla partenza […]

In questo turno il giver introduce all’istruzione successiva, attirando l’attenzione della follower per garantirsi il suo ascolto e dandosi il tempo di pensare. L’esitazione si rivela dalla disfluenza, dalle pause piene e dalla pausa lunga.

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3.2.1.- Analisi sintattico-pragmatica

3.2.1.2.5. Esortazione

Dopo qualche scambio comunicativo, in cui F contraddice G sull’esistenza di una certa figura, G la invita a cercare questa figura sulla mappa:

Es.: G011: sei sicura? vedi bene <pl> c'è scritto fiume

Questo direttivo non sembra un comando perché il vedere non è un atto che si può assoggettare ai comandi.

Le richieste mancano in quanto non si ritrovano formule quali per favore, per cortesia, il condizionale: potresti, ecc.

Nella tabella 2 vengono esposti in percentuale i dati relativi

alla classificazione pragmatica dei direttivi riscontrati nel corpus.

Un dato rilevante che si osserva nella tabella consiste nella frequenza della ripetizione nel corso della comunicazione. Ciò mostra il grado alto di spontaneità che caratterizza la situazione comunicativa e rivela l’importanza della ripetizione come veicolo della continuità delle idee.

Istruzione Ripetizione Comando Richiamo

d’attenzione Esortazione

55% 23% 16% 3% 1%

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3.2.2.- Analisi prosodica

Tabella 2 espone le percentuali di occorrenza delle istruzione, le ripetizione, i comandi, i richiami d’attenzione e le esortazioni.

3.2.2. Analisi prosodica

3.2.2.1. Parametri misurati

La misurazione dei parametri acustici (durata (d), intensità (I) e frequenza fondamentale (f0)) risulta indispensabile non solo per la verifica dei criteri di divisione in TU (cfr. § 3.2.2.2.), ma anche per lo studio del pattern ritmico e melodico entro ogni unità tonale. Sebbene una caratterizzazione ritmica del discorso non costituisca l’interesse di questa ricerca, ci si servirà della misurazione della durata nell’individuazione degli accenti, dato che la durata vocalica si considera uno dei correlati fisici dell’accento.

Ai fini della misurazione, sono stati prodotti, per tutte le stringhe del dialogo, la forma d’onda, il sonagramma a banda larga, i tracciati dell’intensità e della frequenza fondamentale (esempio in fig. 1). Le analisi sono state effettuate con un software prodotto negli Stati Uniti nel Summer Institute of Linguistics dal nome SAT (Speech Analysis Tools). Tramite il programma si sono potuti misurare i tre correlati fisici su ogni nucleo vocalico nei turni di G e F, nonché osservarne e misurarne gli andamenti per la definizione delle TU.

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3.2.2.- Analisi prosodica

O is i p

Forma d’onda

Tracciato d’intensità

Tracciato di f0

Sonagramma

Figura 2: la forma d’onda, i tracciati d’intensità e di f0 e il sonagramma del turno F074: “sì, poi?”.

3.2.2.1.1. Piano temporale: durate foniche e sillabiche

I vari tracciati prodotti dal programma d’analisi si estendono sulla scala del tempo, donde si può misurare l’estensione temporale di ogni fono sul sonagramma e sulla forma d’onda, con l’ausilio della prova d’ascolto.

Per misurare le durata di ogni fono, però, occorre stabilirne limiti o confini31. Il procedimento di segmentazione è

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31 Il corpus a mia disposizione è stato etichettato e segmentato fono per fono dal gruppo di lavoro del CIRASS dove ho condotto le mie analisi prosodiche partendo dalla misurazione delle durate e la divisione in sillabe.

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3.2.2.- Analisi prosodica

indispensabile per la misurazione delle durate, ma risulta, nella maggior parte dei casi, totalmente arbitrario. Il problema posto dalla segmentazione è quello di dover trattare i foni entro la stringa come se fossero blocchi distintamente separabili, laddove essi, per effetto della coarticolazione, sono concatenati in modo che ogni fono all’inizio della sua produzione porta traccia delle caratteristiche fonetiche del fono precedente e verso la fine della sua produzione risente delle caratteristiche del fono seguente. In alcuni casi (per esempio per certe vocali) se il fono è lungo abbastanza, si può riscontrare una zona centrale in cui si osservano chiaramente le caratteristiche proprie del fono; se, invece, dura troppo poco per effetto della ipoarticolazione, può portare per tutta la sua durata caratteristiche non tipicamente proprie e potrebbe diventare più difficile ‘estrarlo’ tramite la segmentazione dai foni circostanti. Un esempio del fenomeno è riscontrabile nei casi d’incontro tra due vocali. Come esempi segnaliamo G003-TU4: [faium] per fai un; G007-TU1: [SEuna] per c’è una; G017-TU2: [bE!e~!a~llo@a] per ‘bene, allora’; ecc.

Anche la divisione in TU risente del problema di segmentazione della stringa. Al confine tra TU1 e TU2 nel turno G121 si ritrovano una vocale e un dittongo contigui: [nOauto…] dove la prima parola ‘no’ costituisce una TU a sé perché seguita da una riprogrammazione di f0.

L’estensione temporale di ogni fono entro i limiti stabiliti come confini del fono è stata misurata a mano in millisecondi.

Dato che i fenomeni prosodici si estendono su domini superiori al singolo fono, la divisione in sillabe costituisce un passo importante verso l’analisi prosodica, in quanto la sillaba costituisce il minor dominio dei fenomeni prosodici in italiano. La procedura, però, non si è mostrata meno problematica della 136

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3.2.2.- Analisi prosodica

segmentazione. L’operazione della divisione in sillabe in un testo parlato presenta problemi che risalgono alla diversità della realizzazione fonetica rispetto al sistema fonologico che offre le proprie regole di divisione. Infatti, adoperando questi criteri, si raffrontano vari problemi che esemplificheremo di seguito.

Si osserva che la fisionomia sillabica più diffusa e meno marcata in italiano è quella di consonante + vocale (CV) (NESPOR, 1994: 152). Nel nostro corpus, però, si verificano numerosi casi di riduzioni foniche che vedono addirittura l’assenza della consonante che, al livello fonologico, fa da testa della sillaba. In G017-TU2, per esempio, si realizza [bEe~] invece di [bEne]. Il problema di divisione sta nell’assenza della consonante nasale, per cui si è pensato di considerare il nucleo vocalico una sillaba a sé, dato che in italiano esistono sillabe senza testa32. Casi simili si ritrovano anche in G001-TU2: [vje~e] per viene; G013-TU1: [fiGua] per figura; ecc.

Nel turno G003-TU5 il livello fonologico prevede [dEvi], ma al livello fonetico si riscontra [DEi] dove le due vocali sono state separate come se fosse uno ‘iato’ (cfr. anche G003-TU3: [doe] per dove; F070-TU1: [deo] per devo; F072-TU1: [deO] per devo; ecc.).

Nei casi in cui uno schwa [@] sostituisce al livello della realizzazione fonetica la liquida vibrante [r], si è optato per la considerazione dello schwa come testa della sillaba (vedi per esempio G001-TU1 e G017-TU2: [allo@a] per allora; G017-TU3: [senti@e] per sentire; G015-TU1: [fiGu@a] per figura; G005-TU6 e TU7: [fiGu@a]; G007-TU1: [figu@a]; ecc). Dato che lo schwa è

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32 Detto ciò, le due vocali si possono anche considerare un nucleo unico specialmente se le durate dei foni non sono troppo lunghe.

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3.2.2.- Analisi prosodica

una vocale, si sarebbe potuto avere un’altra possibilità di divisione considerandolo una sillaba a sé. Dietro la prima opzione, preferita qui, c'è un motivo percettivo: lo schwa non si percepisce separato e indipendente dalla vocale seguente come succede con lo iato, ma si sente come se fosse allofono della [r], anche se le formanti si mostrano come quelle di una vocale.

In G005-TU4 il primo fono di ‘praticamente’ è realizzato come uno schwa, quindi una vocale che può costituire un nucleo a sé (la scelta adottata qui), anche se questa vocale sostituisce una occlusiva sorda che normalmente fa da testa e non da nucleo della sillaba:

Es: ‘e arriva praticamente’

[E a r r i v\ a @ 4 a D i G a~ m E~ n t E] Si è preferito dividere perché lo schwa è seguito da un minimo

relativo d’intensità [4] seguito da un altro incremento d’intensità intrinseca, il quale dovrebbe segnare un confine. La presenza di un minimo ha fatto sì che lo schwa si percepisse abbastanza indipendente come elemento vocalico il che rendeva difficile il suo inserimento come testa o coda di una sillaba adiacente.

La divisione in TU risente anch’essa della difficoltà di divisione in sillabe. In G123, cercando di dividere la stringa staccando la parte che si presume sia TU1 da TU2, è sorto il problema che la realizzazione fonetica del livello segmentale

Es: ‘sei arrivata è concluso…’

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3.2.2.- Analisi prosodica

presenta una forte riduzione fonica, in cui due vocali (l’ultima del participio passato e il verbo seguente ‘essere’) sono fuse in una sola sillaba [tE] invece di formare due [ta-E]. In questo caso la sillaba, che al livello fonetico sostituisce due del livello fonologico, è stata considerata il confine destro della prima TU.

Un’altra possibilità non adottata qui è che tale riduzione delle due vocali adiacenti risalga a un fenomeno di elisione ‘sei arrivat’è concluso …’. Accettando tale possibilità, si dovrebbe considerare il verbo ‘essere’ al confine sinistro della TU successiva per cui bisognerebbe appoggiare a questo primo fono vocalico della TU [E] il fono consonantico [t] che altrimenti rimarrebbe senza appoggio nucleare, il che costituirebbe un caso inaccettabile, data la fisionomia sillabica in italiano. In questo caso, si sarebbe favorevoli a separare il fono [t] dalla parola morfologica di cui fa parte. Ma dato il nostro scoraggiamento dalla divisione della stessa parola lessicale, si è optato per la prima divisione dal momento che non risulta erranea.

Come si vede dalla discussione dei casi problematici di divisione in sillabe, si è fatto un parziale ricorso a criteri diffusamente riconosciuti come la scala di sonorità, (MIONI, 1993; ALBANO LEONI & MATURI, 1998; cfr. § 2.2.1.1.), ma data la particolarità del parlato spontaneo (e anche il semispontaneo) che presenta fisionomie sillabiche non previste, l’adozione fedele dei criteri stabiliti per la produzione iperarticolata non era possibile.

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3.2.2.- Analisi prosodica

3.2.2.1.2. Piano energetico: curva di I e intensità massima

Sulla curva dell’intensità è stato misurato a mano il valore massimo riscontrato entro l’estensione di ogni nucleo vocalico (I max). L’unità di misura dell’intensità è il decibel (dB) e la scala ha lo zero come massimo. Di conseguenza, il nucleo che segna un valore di -7 dB è più intenso di un nucleo dall’intensità di -10 dB.

Sulla curva dell’intensità è stato anche osservato l’andamento generale, allo scopo di rinvenire il fenomeno della declinazione energetica. Vedremo più avanti (§ 3.2.2.2.1) che il calo dell’intensità vale anch’esso come marca di confine delle TU.

L’intensità massima (I max) sui nuclei serve in prima linea per la determinazione degli accenti, dato che l’intensità costituisce uno dei correlati dell’accento in italiano.

3.2.2.1.3. Piano melodico: Curva di f0 , contorni e livelli

L’andamento globale di f0 all’interno della TU fa da indice di vari punti rilevanti nello studio dell’intonazione. Tale profilo serve, nelle prime fasi dell’analisi intonativa, come strumento operativo per la determinazione del confine destro della TU, tramite l’osservazione del fenomeno della declinazione intonativa (cfr. §§ 2.2.2.1.4. e 3.2.2.2.). Inoltre, si cerca di trovare corrispondenze tra i vari andamenti tonali al livello prosodico e varie tipologie sia sintattiche che semantico-pragmatiche (cfr., tra l’altro, BERTINETTO & MAGNO CALDOGNETTO, 1993; CAPUTO, 1991; CANEPARI, 1985; cfr. § 2.2.2.3.). Infatti, il comportamento che assume la curva di f0 non si presenta semplice di direzione. Vari eventi melodici con

140

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3.2.2.- Analisi prosodica

piccoli picchi, avvallamenti e continui cambiamenti di direzione caratterizzano il tracciato di f0. Questo non vuol dire che una tendenza generale della curva non si può osservare; in realtà la curva presenta movimenti più bruschi, temporalmente più estesi, o con scarti maggiori di altri eventi di portata minore. Per questo si può ricorrere a procedimenti di stilizzazione della curva che evitano gli eventi minori e i fenomeni di perturbazione (vedi infra) nel tracciato di f0 (cfr. § 3.2.2.3.), allo scopo di osservare l’andamento globale entro la TU.

Per la determinazione degli accenti principali entro la TU (cfr. § 3.3.2.2.) serve la misurazione dei valori di f0 sulle vocali. La misurazione è stata condotta a mano sul tracciato della f0 in coincidenza con ogni vocale. Quando l’andamento di f0 si presentava statico in corrispondenza del nucleo vocalico, è stato rilevato un solo valore, uno in posizione media entro i ‘confini’ della vocale. Quando, invece, l’andamento si rivelava dinamico, cioè con scarti, sono stati misurati i valori ai punti di cambiamento. Tali andamenti dinamici si possono classificare in ascese, discese, picchi, avvallamenti e flessi:

1) 2)

Ascendente Discendente

3) 4) Picco Avvallamento

141

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3.2.2.- Analisi prosodica

5) 6) Flesso (ascendente) Flesso (discendente)

Figura 3: gli andamenti dinamici e i punti di rilevazione indicati dalle stelline.

Durante la misuranzione si è cercato di evitare gli errori di

calcolo del programma di analisi acustica, i quali sono generalmente dovuti a fenomeni di perturbazione del tracciato. Si sa che i foni consonantici producono un effetto sui valori di f0 in coincidenza con le vocali contigue. Le consonanti sonore quali le fricative e le occlusive sonore, per esempio, perturbano il tracciato causando un abbassamento dei valori di f0 immediatamente prima dei loro ‘segmenti’; anche le occlusive sorde, oltre all’interruzione del tracciato di f0, provocano l’abbassamento dei valori prima della fase di chiusura e, al loro rilascio, il tracciato torna, dopo l’interruzione, ad apparire a un livello molto alto e subito si abbassa drasticamente. Naturalmente, questa brusca discesa si considera un fenomeno microprosodico che non deve influenzare l’andamento generale dell’f0. Di conseguenza, nelle nostre misurazioni non sono rilevati valori né in corrispondenza di consonanti né subito dopo le consonanti sorde.

La rilevazione dei valori deve essere accompagnata dall’osservazione uditiva, in quanto persistono problemi legati alla qualità della voce. In coincidenza della voce ‘gracchiata’ (creaky voice) il tracciato calcolato di f0 non si presenta lineare e regolare ma come sparsi trattini per cui non si deve rilevare i valori corrispondenti (si veda il tracciato in corrispondenza della vocale 142

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3.2.2.- Analisi prosodica

[i] nella figura 1). Tuttavia, la voce gracchiata si riscontra generalmente poco nel nostro corpus, spesso verso fine enunciato. Altre volte, a parte le zone di perturbazione intrinseca suindicate, gli algoritmi dei programmi adoperati nell’analisi possono effettuare degli errori, raddoppiando o dimezzando il valore effettivo di f0. Anche in questo caso la percezione dell’altezza tonale dei segmenti costituisce lo strumento con cui evitare tali errori.

3.2.2.2. Divisione in TU

Le analisi prosodiche effettuate sul corpus non sono limitate ai turni che contengono atti direttivi, ma sono condotte su tutto il dialogo A01. Il primo passo consiste nella scansione della marea di enunciati originariamente divisi sotto l’aspetto di turni dialogici secondo un criterio prosodico che conduce all’individuazione di unità limitate, prosodicamente analizzabili. Nel capitolo 2 abbiamo trattato dell’unità su cui si estende la melodia del discorso, cioè l’unità tonale (TU), e abbiamo preso in rassegna diversi criteri per l’individuazione dei suoi confini (cfr. § 2.2.2.). In questa sede utilizzeremo i criteri fonetici per la scansione del dialogo in unità tonali.

Il numero delle TU in cui sono divisi i turni del giver sono 195 TU, mentre le TU della follower sono 85; il totale delle unità tonali nel dialogo è 280 unità.

Parlante Numero TU Totale TU

Giver (G) 195 280

143

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3.2.2.- Analisi prosodica

Follower (F) 85

Tabella 3: distribuzione delle unità tonali tra il giver e la follower.

Le unità in cui sono espressi atti direttivi sono in tutto 62 con una percentuale di 22% delle TU comprese nel dialogo e di 32% delle TU del giver. Si osserva che, quando si verificano marche di confine attorno alle disfluenze, queste vengono considerate come unità a sé e vengono incorporate nel conteggio generale delle TU, perché a questo livello di analisi si tratta della scansione del materiale fonico, a parte la sua portata grammaticale e semantica. Perciò, tali disfluenze rientrano nel totale delle TU, ma non nel conteggio delle TU direttive (vedi appendice 7 per tutte le TU e appendice 8 per le TU direttive).

3.2.2.2.1. Marche di confine

Lo scambio comunicativo divide il discorso in turni dialogici, i quali costituiscono nel nostro corpus stringhe abbastanza brevi rispetto all’intero discorso. La fine di ogni turno segna il confine di una o più unità tonali che costituiscono il turno. Certe volte la fine del turno è accompagnata da una pausa, altre volte dall’interruzione esterna da parte della follower. I turni del giver sono 66 dopo 52 dei quali esiste una pausa (un silenzio volontario da parte del parlante) sia in attesa di qualche risposta dopo una domanda posta da G sia nei casi del silenzio totale da parte di tutt’e due gli interlocutori. Queste pause si presentano al confine destro del 27% delle 195 TU del giver.

La pausa, tuttavia, non si presenta solo a fine turno: in altri ben 95 casi essa si presenta al confine destro dei blocchi considerati

144

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3.2.2.- Analisi prosodica

TU all’interno dei turni. Così, la pausa svolge un ruolo importante come criterio di scansione nel nostro corpus nel 75% delle TU del giver.

In pochissimi casi esistono delle pause vuote entro le TU (3 casi: G021-TU8; G073-TU4; G107-TU5). Sono pause brevi e non sono accompagnate da riprogrammazioni brusche dei correlati acustici.

G021-TU8

120150180210240

a l a f i g u 4 a __ f i u m !E~

f0

-15

-10

-5

0

I

f0

I

Figura 4: curve stilizzate di f0 e di I max in G021-TU8: ‘alla figura <pb> fiume’. Si osserva che in corrispondenza della pausa interna alla TU (indicata dal trattino sull’asse delle ordinate) non si presentano cambiamenti bruschi né scarti relativamente alti nei valori dei due parametri.

G073-TU4

120150180210240

… v\ !E s s !o s s a B a s s i ttS e 4 !i a ? i l b a b b a

f0

-15-13-11-9-7-5

If0

I

Figura 5: grafico delle curve di f0 e di I max di una parte di G073-TU4: ‘e poi lì sali vers+ / andando verso 'sta pasticceria <pb> il babà’. Si osserva in coincidenza della

145

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3.2.2.- Analisi prosodica

pausa breve che l’f0 non si riprogramma neanche l’intensità la quale si abbassa in corrispondenza del fono [i] per effetto dell’intensità intrinseca normalmente più bassa rispetto all’intensità delle vocali aperte e poi torna subito al livello energetico dei foni precedenti. Lo stesso fenomeno di decremento dell’intensità in corrispondenza della [i] si riscontra nella vocale chiusa circondata da due consonanti sorde nella parola ‘pasticceria’.

-15

-10

-5

0

IG107-TU5

5090

130170210

!e~ !i~ *n b~ a s s !o S e __ a u t o m !O~ bb !i l i

f 0f0

I

Figura 6: andamenti di f0 e di I max di G107-TU5: ‘e in basso c'è <pb> automobili’.

Le pause piene verranno discusse entro il ruolo dell’allungamento vocalico (vedi infra).

Per quanto riguarda la follower, i 65 turni dialogici ammontano a 85 TU, per cui si vede ancora l’importanza della pausa come criterio di divisione.

Il secondo principale criterio che si presenta nel corpus è la riprogrammazione melodica. Nel 17% dei turni del giver si osserva ai confini un cambiamento nella direzione e/o nel livello di f0. A mo’ d’esempio, troviamo che in G111 tra TU1 e TU2 si verifica un caso di netta riprogrammazione dopo l’affermazione:

146

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3.2.2.- Analisi prosodica

G111-TU1,2

120150180210240270300

s !i !o r !a v !a !i d i 4 i t t O

f0

TU1 TU2

Figura 7: grafico di due unità tonali: TU 1: ‘sì’; TU2: ‘ora vai diritto’. Lo scarto nella curva di f0 costituisce una marca di confine (riprogrammazione melodica) indicata dalla freccia verde. Sull’asse delle ordinate vediamo la trascrizione fonetica della stringa.

mentre in G113, dove il turno non è stato diviso in più TU, la

stringa non è staccata melodicamente, dopo la negazione con ‘no’, da nessuna riprogrammazione.

G113-TU1

120150180210240

n !O~ m !a~ G E dz dz !i~ n !i~ J J !O~ r !a l !O~

f0

Figura 8: tra la negazione ‘no’ e il resto della stringa non si verifica riprogrammazione melodica. L’innalzamento nella curva si presenta come fenomeno interno alla TU che si estende principalmente sulla parola ‘magazzino’.

L’allungamento di una vocale è coinvolto in due criteri di divisione delle TU: l’allungamento prepausale, dove la lunghezza vocalica e il silenzio che segue fanno da indice del confine; e le 147

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3.2.2.- Analisi prosodica

pause piene che vengono spesso considerate marche di confine. Prima delle pause che fanno da boundary markers, l’allungamento prepausale si presenta nel nostro corpus in maniera sistematica. Tale allungamento tocca l’ultima tonica di TU e/o l’ultima vocale, pur atona, di TU.

Le pause piene, tuttavia, potrebbero essere trascurate se non influiscono notevolmente sugli altri correlati fisici del piano prosodico.

In G051-TU4 l’allungamento percepito sulla ‘o’ di ‘verso’ è veicolato da una durata di 126 ms, ma non supera le durate dei nuclei seguenti (141 ms e 222 ms), i quali costituiscono, secondo la divisione adottata qui, l’ultimo nucleo tonico e l’ultima vocale dell’unità tonale (le durate in campo colorato sono scritte sotto le rispettive vocali).

Es: verso<oo> destra <pb>

126 141 222 ms In G075-TU3 l’esitazione sull’articolo ‘la’ è seguita da un

esiguo innalzamento melodico di soli 8 Hz in una unità tonale che vede un’estensione melodica (range), cioè la differenza tra il maggiore e il minor valore di f0, che arriva a 60 Hz.

Es: dopo la<aa> pasticceria il babà <pl>

In G075-TU5 si percepisce nell’ultima vocale della parola

‘verso’ una lunghezza che, fisicamente però, non supera la media durata dell’allungamento prepausale e la durata non è accompagnata da riprogrammazioni né di pitch né di intensità.

148

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3.2.2.- Analisi prosodica

Es: andante verso 'sta figura che si chiama ambulante 112ms 152 ms

Tra G101-TU2 e TU3 l’allungamento vocalico a fine TU2 è

accompagnato da un calo di f0, dove la pausa piena è riconosciuta come marca di confine perché è rafforzata da un altro indice (l’andamento di f0).

Es: allora vai con questi tratti+ / con questi di<ii> con questo punto tratteggiato fino ad albergo

Nel turno G105, invece, la divisione tra TU2 e TU3 trova

nella pausa piena a fine TU2 una marca di confine accompagnata e rafforzata dalla riprogrammazione di f0 e dalla riprogrammazione dell’intensità.

Es: fai questo <oo> circumnaviga sempre l'albergo <pb>

Infatti, il calo nei valori di I potrebbe essere, accanto agli altri

boundary markers, un elemento a favore della divisione delle unità tonali. Il comportamento generale dell’intensità nell’arco della TU vede, in termini di rapporti relativi tra i valori entro l’unità, un attacco basso che sale fino ad arrivare a un picco per tornare poi a decrescere.

149

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3.2.2.- Analisi prosodica

G017-TU3

-15-10

-50

s a m m !a s s e n t_j i @ !e

I

Figura 8: ‘l’arco’ dell’intensità in G017-TU3: ‘stammi a sentire’. L’intensità, come la frequenza fondamentale, subisce il

fenomeno della declinazione:

G007-TU3

120150180210240

s !u l a s e n !i~ s ts r a

f0

-15

-10

-5

0I

f0

I

G117-TU1

120180240300360

p a ss !a S i mm!E~ ddz !O

f0

-10-8-6-4-20I

Figura 9: due esempi di declinazione dell’intensità: G007-TU3: ‘sulla sinistra’ e G117-TU1: ‘passaci in mezzo’.

Non di rado assume un salto brusco nei valori creando, dopo la declinazione nella stringa precedente, un caso di riprogrammazione. Tale riprogrammazione energetica funge certe 150

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3.2.2.- Analisi prosodica

volte come marca di confine più sicura quando l’f0 non presenta scarti notevoli nella presunta zona di confine:

G017-TU1, 2

120150180210240

b a r k !e v\a b b E !e~ !a~ l l !o @ !a

f0

-10-8-6-4-20

If0

I

Figura 10: l’andamento di f0 e di I in G017-TU1: ‘barche’ e TU2: ‘va bene, allora’ dove la riprogrammazione dell’intensità fa da indice del confine tra le due TU.

La riprogrammazione dell’intensità si riscontra più distinta su

livelli alti nei casi in cui il parlante cerca di spiegare una cosa che il partner non riesce a capire:

G005-TU7, G007-TU1

-15

-10

-5

0

I

TU7

TU1

Figura 11: ultima TU in G005: ‘e inizia a risalire verso ‘sta figura’ e la prima TU nel turno successivo del giver: ‘in alto c’è una figura che viene definita fiume’ (non si è potuto racchiudere la trascrizione fonetica della lunga stringa nel grafico). In quest’ultima TU il giver spiega alla follower dove sta la figura che lei non riesce a trovare. In questa figura si può osservare l’andamento a forma d’arco che assume l’intensità in TU7 (andamento energetico molto frequente); la declinazione di I che

151

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3.2.2.- Analisi prosodica

segna la fine di TU7; la riprogrammazione dell’intensità all’attacco di TU1 oltre al livello alto a cui si relalizza tutta la TU.

In G007-TU1 l’innalzamento del livello energetico si può legare alla voglia del parlante di attirare l’attenzione della partner per spiegarle quello che non capisce.

Quando vuole mantenere il turno, non vuole essere interrotto:

G123-TU2, 3

-15-10-50

k_f !o~ N g l !u s_v !i pp e r k o ss o s_v !E a !i f a t

I

TU2

TU3

Figura 12: differenza di livelli di I tra TU2: ‘è concluso il percorso’ e TU3: ‘se hai fat+’ dove I arriva al valore massimo (0 dB). Subito dopo il proferimento dell’enunciato che coincide con G123-TU2 la follower interrompe il giver, il quale, a sua volta, continua a parlare con volume notevolmente più alto rispetto alla TU precedente cercando di mantenere la parola.

Si osserva che TU3 coincide con un enunciato interrotto. La

follower, per chiedere il turno, innalza entrambi il volume e il tono, arrivando con l’intensità al valore massimo (0 dB) e arrivando con l’f0 a valori altissimi del suo range (cfr. § 3.3.2.1.):

F124-TU1

180

240

300

360

d O B O a rr i v\ o v\ e d d !e v\ O f a !e_0

f0

-20-15-10-50

If0

I

152

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3.2.2.- Analisi prosodica

Figura 13: F124-TU1: ‘dopo arrivo che devo fare?’ dove si presenta un attacco altissimo sia di f0 sia di I.

3.2.2.2.2. Casi problematici

I criteri fonetici riconosciuti per la divisione in TU (cfr. § 2.2.2.1.4.) non si presentano costantemente nel parlato spontaneo e non di rado si rileva uno solo dei criteri. Di più, capita certe volte che questi parametri si oppongano tra di loro rendendo difficile una decisione a favore della divisione. Nel nostro corpus possiamo trovare esempi di vari casi che verranno esposti in crescendo di problematicità.

Prima, facciamo due esempi di casi ideali in cui i correlati convergono a favore della divisione. Nel turno G005 la divisione tra le unità 6 e 7 è giustificata da ben tre parametri: tra TU6 e TU7 c’è una pausa prima della quale si osserva un calo graduale di f0 e allungamento delle ultime vocali, mentre a inizio TU7 l’attacco di f0 si presenta relativamente alto in un caso tipico di riprogrammazione.

G005-TU6, 7

120150180

210240

...f i G u @ a f i !u~ m !E~ __ e n !i~ tts j E..

f0

100150200250300350400

ds

f0

ds

153

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3.2.2.- Analisi prosodica

Figura 14: la zona di confine tra TU 6: ‘all'inizio della figura fiume’ e TU 7: ‘e inizi a risalire verso 'sta figura’. Si osserva a inizio TU7 la riprogrammazione di f0 dopo la declinazione di fine TU6; sono evidenti anche i valori alti di durata sillabica che presentano le ultime due sillabe di TU6.

Una situazione analoga si riscontra in G007 tra TU3 e TU4:

G007-TU3, 4

120150180

210240

s!u l a s e n !i~ s ts r a __ S e s k_j i t t o f j !u~ m !E~

f0

80140200

260320ds

f0

ds

Figura 15: grafico delle durate sillabiche e dell’andamento di f0 delle unità tonali 3 : ‘sulla# sinistra <pb>’ e 4: ‘c'è scritto fiume’. All’attacco di TU4 il tracciato di f0 si riprende a un livello più alto della fine del tracciato di TU3 che si profila in un calo graduale. Spicca anche la differenza tra le durate delle ultime due sillabe in ogni TU rispetto alle altre sillabe interne alla stessa TU.

Un caso di riprogrammazione non accompagnata da una pausa si riscontra in G003, tra TU3 e TU4, dove si verifica nella zona di confine uno scarto di 45 Hz.

Tra i casi problematici di divisione in TU, in cui si scontrano il piano segmentale e quello prosodico, abbiamo G037-TU1, dove un fenomeno simile alla riprogrammazione di f0 si verifica entro la stessa parola lessicale, tra le ultime due sillabe di ‘perfetto’ e viene

154

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3.2.2.- Analisi prosodica

accompagnato da un calo d’intensità. Tuttavia, la mancanza di altri indici forti, quale la pausa, non rende plausibile una divisione in questa posizione.

G037-TU1

120150180210240

p E r_f f E t t O !a l l !o r a

f0

Figura 16: la curva stilizzata di f0 in G037-TU1: ‘perfetto, allora’. La parte tratteggiata collega i due punti tra cui si presenta un’escursione notevole. Il caso è reso più problematico a causa dell’interruzione del tracciato in coincidenza della occlusiva sorda geminata.

La riprogrammazione di f0 non si identifica in qualsiasi tipo di

scarto discendente o cambiamento di direzione nel pattern intonativo perché anche questi ultimi possono essere fenomeni locali dentro l’unità tonale.

Tale scoraggiamento dalla divisione entro la stessa parola morfologica è risultato di una coscienza dell’interfaccia tra il livello segmentale e il livello soprasegmentale. Per certi versi sembrerebbe esagerato trascurare completamente il livello segmentale con cui si complementa la prosodia facendone un dominio dei suoi vari fenomeni (accento, intonazione, ritmo). A questo proposito afferma CRUTTENDEN (1986: 43) che: “in some occasions it seems sensible and productive of a simpler analysis if we take syntactic or semantic factors into account”. Prendendo spunto da questa

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3.2.2.- Analisi prosodica

osservazione e dai casi simili al nostro (G037), si può considerare che la riprogrammazione melodica vera e propria è spesso indice di e, nello stesso tempo, è indicata da riprogrammazione e/o arricchimento delle idee che vengono realizzati morfo-sintatticamente dall’inserimento nella catena parlata di altri costrutti sintattici al di sopra del sintagma. Riassumendo, malgrado si cerchi nella nostra scansione prosodica di non dare grande peso alla struttura sintattica, in quanto non si è rilevata, in altri studi, costantemente isomorfa alla codifica prosodica (cfr. § 2.2.2.1.2.), il ricorso alla sintassi e alla semantica si rivela talvolta inevitabile.

La divisione adottata del turno G065 in due unità tonali non sembra senza problemi, dal momento che non esiste né una pausa né grande allungamento nella presunta zona di confine. Tuttavia, in questo caso si può considerare un fenomeno di riprogrammazione, in quanto si presenta una salita sulla tonica di ‘sinistra’ dopo una estesa e graduale discesa (declinazione) intonativa che finisce in una zona di depressione melodica e di esitazione sul piano segmentale.

…Ba ss i ttS e 4 !i a bb a bb a i lb a bb a s u l !a s !i~ n is s!a

G065-TU1, 2

120

150

180

210f0

Figura 17: la curva melodica della zona di confine tra TU1: ‘e affianco a questa pasticceria babà il babà’ e TU2: ‘sulla sinistra ci sta 'sto viale della verità?’.

156

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3.2.2.- Analisi prosodica

Nel turno G045 si verifica un caso dubbio di divisione, reso

difficile dall’assenza di una pausa tra TU2 e TU3. Inoltre, le durate nella sospetta zona di confine non risolvono il problema:

G045-TU2

0

100

200

300

o r a fa !i !u~ m mE dz dz !o Se r_f kj !o v\E r_f so dE s tr_f !a

ds

5080110140170

dnds

dn

Figura 18 mostra le durate sillabiche (ds) e vocaliche (dn) in G045-TU2 alla cui fine non si osserva un incremento notevole dei valori delle durate. Si vede che altre sillabe interne alla TU presentano durate vicine a quelle delle sillabe che si trovano al presunto ‘confine’ destro.

Ma l’intensità passa, attorno al presunto confine, per una zona di relativa depressione e torna a salire a metà TU3. Si osserva anche una riprogrammazione di f0 che consiste di un lieve cambiamento di direzione dopo una graduale discesa che porta l’f0 verso il valore inferiore del range. Anche se il cambiamento di direzione nel pattern intonativo e il comportamento dell’intensità, non costituiscono chiavi di sicura scansione, essi possono equiparare l’assenza delle altre due marche di confine lasciando la scelta all’analista.

157

G045-TU2, 3

120150180210240

f0

-10-8-6-4-20

I

...m E ddz !o S_v e r k j !o v\ E r_f s o d E st r !a G !o~ m !e~ s e v v o l e ss i

f0

I

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3.2.2.- Analisi prosodica

Figura 19: l’f0 e l’intensità nella zona di confine tra TU2: ‘ora fai un mezzo cerchio verso destra’ e TU3: ‘come se volessi’ in G045. non si riscontra uno scarto tra l’ultimo valore in TU2 e il primo valore in TU3 come capita nei casi tipici di riprogrammazione melodica.

Questo è un caso in cui le marche di confine si oppongono e

agiscono complicando, piuttosto che aiutando, la scelta.

Infine, è necessario tenere presente il fatto che la divisione della stringa fonica in unità tonali è una tecnica di analisi che nasce dall’esigenza di studiare l’intonazione. Come la divisione in sillabe, il procedimento non è privo di arbitrarietà perché la catena fonica è tutta connessa fin dal piano della produzione, per effetto della coarticolazione. Malgrado le incertezze e le difficoltà che caratterizzano la divisione in unità tonali, essa rimane uno strumento operativo indispensabile che avvia lo studioso all’analisi prosodica.

3.2.2.3. Trascrizione tonale della curva melodica tramite

il metodo INTSINT

In questa tesi si adopera un sistema di trascrizione fonetica del livello melodico che si chiama ‘INTSINT’ (International Transcription System for INTonation) (HIRST & DI CRISTO, 1998). Per tale trascrizione si impiega una versione stilizzata della curva di f0, evitando così gli errori di calcolo e i cambiamenti irrilevanti dei valori di f0. Nella figura seguente vediamo un esempio della stilizzazione del tracciato di f0 (estratto dal corpus):

158

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3.2.2.- Analisi prosodica

G119-TU2

120160200240280320

1,5 1,8 2,1 2,4 2,7 3,0t

f0

Figura 20: tracciato di f0 e la sua versione stilizzata.

Sulla curva stilizzata viene etichettata una serie di ‘bersagli’ tonali, cioè punti in cui i valori di f0 si presentano significativi e importanti per l’andamento della curva. Si prescinde dai cambiamenti microprosodici (quali i cambiamenti poco dinamici entro la stessa vocale o in prossimità di foni sordi); si considerano, invece, i fenomeni macroprosodici, più estesi e più rilevanti sulla curva melodica.

Ogni bersaglio viene identificato rispetto al punto precedente della curva.

La prima possibilità è che il punto di cambiamento da etichettare sia un cambiamento locale:

più alto (Higher),

più basso (Lower) o

uguale di altezza (Same) rispetto al bersaglio precedente.

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3.2.2.- Analisi prosodica

‘leggermente’ più basso del precedente (Downstepping) o

‘leggermente’ più alto (Upstepping).

Di solito, Higher e Lower segnano, rispettivamente, un picco e un avvallamento, quindi il bersaglio è più alto o più basso non solo rispetto al precedente, ma anche rispetto al bersaglio seguente. Invece, il Downstepping può essere più alto di un punto seguente (in un pezzo discendente del profilo tonale) e il Upstepping più basso di un bersaglio successivo (dentro un movimento ascendente).

La seconda possibilità è che il bersaglio si riferisca, in una prospettiva più globale, a:

il punto più alto dell’unità tonale (Top) o

il punto più basso relativamente all’intera unità tonale (Bottom).

Nella trascrizione, come vedremo in § 3.3., vengono normalmente adoperati, per comodità espositiva, gli iniziali di ogni etichetta: H, L, S, D, U, T, B.

I confini dell’unità tonale vengono contrassegnati nella trascrizione INTSINT da parentesi quadre al confine destro e sinistro.

Anche i bersagli in corrispondenza dei confini della TU vengono etichettati. Il primo punto nella TU (initial pitch) si considera in una posizione particolare per la

160

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3.2.2.- Analisi prosodica

mancanza di un bersaglio precedente a cui fare riferimento e quindi può essere

♦ Top: [T; ♦ Bottom: [B; ♦ un livello relativamente medio, dove non si mette nessuna lettera accanto alla parentesi quadra: [

L’ultimo bersaglio di unità tonale (final pitch), invece, può essere T], B], H], L], U], D], ma se non presenta un valore particolarmente marcato, viene considerato un bersaglio S e viene contrassegnato dalla sola parentesi: ].

G075-TU4

120150180210240

8,5 9 9,5 10 10,5t

f0

[L

HT

DB

U]

Figura 21: esempio di una curva stilizzata con la trascrizione. Nell’esempio si vedono le varie etichette del sistema di trascrizione INTSINT.

Il sistema di trascrizione INTSINT è stato ideato per essere adoperato in varie lingue e quindi offre una gamma di trascrizioni che non si presume che vengano tutte impiegate da ogni lingua.

161

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Mentre le misurazioni dei tre parametri fisici verranno utilizzate maggiormente per la segmantazione dei brani in TU e l’assegnazione degli accenti primari di unità tonale, la descrizione della curva stilizzata servirà al primo passo dell’elaborazione dei dati, la classificazione dei profili globali.

3.3. Patterns prosodici e accenti dell’illocuzione direttiva (nel corpus)

In questo paragrafo presentiamo i risultati che riassumono tutto il lavoro sperimentale condotto sul materiale vocale adoperato in questa tesi. Cominciamo con una caratterizzazione del profilo globale di ogni TU, poi c’addentriamo nella TU per focalizzare l’interesse su due elementi principali che certe volte possono coincidere: uno segmentale (il verbo) e l’altro prosodico, cioè la collocazione dell’accento principale all’interno dell’unità tonale.

3.3.1. Profilo globale

L’analisi prosodica, come l’analisi pragmatica, riguarda le 62 TU individuate come contenenti atti direttivi. La prima elaborazione dei dati consiste nella caratterizzazione dell’andamento melodico globale nell’unità tonale. In letteratura si parla di certi andamenti melodici o profili caratterizzanti la TU in italiano. Dalla rassegna di vari studi presentata nel § 2.2.2.2. risultano, come profili possibili, gli andamenti discendente, ascendente, discendente-

161

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ascendente e ascendente-discendente. Di seguito stabiliremo i criteri in base ai quali verrà condotta la classificazione dei patterns configurati nel corpus.

Dopo lo spoglio dei criteri di classificazione del profilo globale, indicheremo i casi particolari che non subentrano sotto nessuno dei quattro profili e faremo una statistica della frequenza di riccorrenza di ogni profilo.

3.3.1.1. Criteri di classificazione

Allo scopo di ottenere una tipologia dei patterns melodici presenti nel corpus, viene adoperata la descrizione INTSINT della curva melodica. La descrizione di un dato profilo tonale non dovrebbe costituire una procedura complicata dato l’aiuto degli strumenti che mostrano il tracciato della f0, ma rimane il problema della soggettività: guardando a occhio un tracciato, si osservano eventi melodici locali che andrebbero studiati qualora si voglia analizzare i dettagli delle configurazioni all’interno della TU; l’andamento globale, invece, si guarda nel suo insieme senza riguardo degli eventi locali. Il sistema INTSINT ha il vantaggio di essere un metodo di descrizione degli eventi maggiori della TU, cioè gli eventi che imprimono l’andamento generale della melodia nella TU.

Adoperando il sistema INTSINT, l’analista ha a disposizione uno strumento operativo che facilita lo studio dei profili globali. L’analista adopera questo sistema per prepararsi la curva stilizzata con le etichette indicanti, tra l’altro, il Top e il Bottom, cioè il massimo e il minimo della curva (cfr. § 3.2.2.3.). Sui punti estremi T e B si conta per la descrizione della curva

162

Page 162: L’ACCENTO IN RAPPORTO AL VALORE ESPRESSIVO … · 1.1.1.- L’italiano parlato 10 INTRODUZIONE Il presente studio parte dall’ipotesi che la prosodia costituisca uno dei mezzi

melodica come vedremo nella seguente esposizione di criteri. I profili vengono classificati in quattro andamenti principali che vengono identificati secondo una gamma di criteri stabiliti a priori.

3.3.1.1.1. Profilo discendente

Di seguito esporremo grafici che mostrano i criteri di classificazione dei profili globali, utilizzando esempi reali dal corpus. Ogni grafico è intestato da un titolo che contiene il numero del turno e della TU, per le TU deontiche è inclusa nel titolo l’etichetta ‘deontico’; sull’asse x è posta la trascrizione fonetica; sull’asse y la frequenza fondamentale (f0).

Il profilo si considera discendente se si verificano tutte le seguenti condizioni:

1) il B segue il T. Questa è la condizione primaria per cui si può classificare un profilo discendente (es. G005-TU7);

G 0 0 5 - T U 7

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

1 1 ,5 1 2 ,0 1 2 ,5 1 3 ,0 1 3 ,5 1 4 ,0t

f0

[ S

TD

DB U ]

e nit tsjEr ri sa li jE v\Er sos sa fi Gu @a

163

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2) il T è all’inizio della TU (es. G119-TU5): inizio non indica necessariamente la prima sillaba, ma ‘le prime sillabe’: tre almeno per TU di durata media, intorno alle 10-12 sillabe; ovviamente, per le TU di 2, 3, 4, 5, sillabe, cioè circa 1 o 2 parole, tutto il profilo globale si distribuisce e si calcola su quelle poche unità;

G 0 9 1 - T U 5

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

4 ,8 5 ,0 5 ,2 5 ,4 5 ,6t

f0

[ T

DD S

B ]

pas sa Si

3) il B è alla fine (es. G091-TU3) o entro le ultime sillabe

(si veda infra G003-TU4);

G091-TU3

120150180210240

1,8 1,9 2,0 2,1 2,2t

f0

[ L

TD

B]

pas sa

4) gli eventuali picchi (etichettabili con H o U) che si

presentano sulla curva non toccano la soglia del T (G003-TU4);

164

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G 0 0 3 - T U 4

1 0 01 3 01 6 01 9 02 2 0

5 ,5 6 ,0 6 ,5 7 ,0 7 ,5 8 ,0t

f0

[

T H

LH

D B U ]

Fai um mEddzo Zerkj an nan no vEs so si nis tra

Qui la salita fino al Top si verifica sulle prime tre sillabe della

TU, mentre la discesa occupa la parte maggiore della curva. Si osserva anche che l’avvallamento segnato da un L in posizione mediana nella curva non arriva, e neanche si avvicina, al valore del B, per cui tale avvallamento non viene considerato nel profilo globale. Infatti, questa caratteristica dell’avvallamento costituisce una delle condizioni (il quinto criterio) per l’individuazione del profilo discendente (vedi infra).

5) gli eventuali avvallamenti in posizione mediana (etichettabili come L o D) non arrivano al livello di B. Oltre all’esempio di sopra abbiamo G075-TU1:

G 0 7 5 - T U 1

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

0 ,5 1 ,0 1 ,5 2 ,0t

f0

[

U T

D

L

U

B ]

pro seg wi fi nes so p4a

165

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Come si vede dagli ultimi due esempi, capita talvolta che la curva inizia con un valore molto basso ma arriva subito (entro le prime due o tre sillabe) al T per profilarsi in una continua discesa. Tale innalzamento iniziale non viene considerato nell’andamento globale, dato che la sua estensione sia temporale che sillabica è molto breve rispetto alla diffusione della discesa (es. G119-TU3).

G 1 1 9 - T U 3 d e o n t ic o

1 2 0

1 6 0

2 0 0

2 4 0

3 3 ,4 3 ,8 4 ,2 4 ,6 5t

f0

[

U

T

D SU

DB U ]

dz ad dza de v\i a ri v\a re fi noa Dar ri vO

3.3.1.1.2. Profilo ascendente

I criteri che determinano l’andamento ascendente sono l’inverso dei criteri caratterizzanti l’andamento discendente:

1) il B precede il T; 2) il B è all’inizio o verso l’inizio della curva; 3) il T si colloca a o verso la fine della curva;

4) non si profilano picchi e avvallamenti intermedi che presentino grandi escursioni in modo tale da influenzare

166

G 0 2 1 - T U 6

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0f0

9 ,4 9 ,6 9 ,8 1 0 ,0 1 0 ,2 1 0 ,4t

[ B

T]

Vai di 4it to

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l’andamento globale, avvicinandosi ai valori min e max:

3.3.1.1.3. Profilo ascendente-discendente

È più difficile caratterizzare con precisione gli andamenti misti. Abbiamo provato a classificare le TU sulla base dei seguenti criteri:

1) T si trova in un punto mediano dell’unità (G003-TU5);

G 0 0 3 - T U 5 d e o n t ic o

1 0 01 3 01 6 01 9 02 2 0

8 ,5 9 ,0 9 ,5 1 0 ,0 1 0 ,5 1 1 ,0t

f 0

[ S

TU

L SB H ]

aDei Zikunna v\i Ga 4e wes sa fe Gu 4a

In G017-TU3 anche se il T si verifica verso l’inizio, continua

con un plateau fin verso il centro della TU:

G 0 1 7 - T U 3

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

1 ,2 1 ,4 1 ,6 1 ,8 2 ,t

f0

0

B ] L

S T

[

sam mas sen ti @e

167

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2) B si trova all’inizio e/o alla fine della curva (G003-TU1) (non è infatti impossibile avere più di un punto etichettabile come Bottom);

G 0 0 3 - T U 1

1 0 01 3 01 6 01 9 02 2 0

0 ,9 1 ,2 1 ,5 1 ,8 2 ,1t

f0

[ B U

U T

L]

D e s k i v iL L u n S @

3) il T è preceduto dal B o da un punto basso quanto il B e

seguito dal B o da un punto basso quanto il B (G119-TU2);

G 1 1 9 - T U 2 d e o n t ic o

1 2 0

1 6 0

2 0 0

2 4 0

2 8 0

3 2 0

1 , 5 1 , 8 2 , 1 2 , 4 2 , 7 3 , 0t

f0

[ BU

U

T D

L S

HD

D ]

da la Dis ko De Ga ? dzadz dza de v\i

In G119-TU2 gli L e gli H che seguono il T non arrivano al

livello del B e del T e quindi non vengono considerati nell’andamento globale, mentre la successione di Downstep finale riporta a valori molto vicini al B iniziale. Questa osservazione introduce al quarto criterio:

168

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4) i picchi e gli avvallamenti al di fuori del T e del B non devono presentare valori vicini a quelli del T e del B (G125-TU2).

G 1 2 5 - T U 2 d e o n t ic o

1 1 01 4 01 7 02 0 02 3 0

1 ,0 1 ,5 2 ,0 2 ,5t

f0

[U S S

T

BU

D ]

non do v\@es si fa rE njen tal t4o

3.3.1.1.4. Profilo discendente-ascendente

Ovviamente, possiamo assumere criteri speculari rispetto a quelli del profilo precedentemente descritto, e quindi:

1) il B si colloca verso il centro della TU; 2) il T si trova all’inizio e/o alla fine della curva (non è

impossibile avere due punti etichettati come Top); 3) dall’altro lato del T si trova un H o un U dal valore alto

quanto il T o quasi (es. G005-TU3):

169

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G 0 0 5 - T U 3

1 2 01 5 01 8 0

2 1 02 4 0

4 ,8 5 ,0 5 ,2 5 ,4 5 ,6 5 ,8t

f0

B

[ TU

H ]

v\Ee Di 4it tO

4) i picchi e gli avvallamenti (H e L) al di fuori del T e del

B non devono presentare valori uguali a quelli del T e del B (G069-TU1):

G 0 6 9 - T U 1

1 2 0

1 6 0

2 0 0

2 4 0

0 ,0 1 ,0 2 ,0 3 ,0t

f0

HD

T

[

S

L

D

B

H ]

Ep pO i vaium pOko pO kim bas sO

Durante la classificazione dei vari profili si è osservato che potrebbero verificarsi cadute o salite finali che non si estendono

170

G 0 7 7 - T U 3

1 5 01 8 02 1 02 4 0f0

1 2 07 7 ,5 8 8 ,5t

[

H

L

HD U

T

L ] B

fa jum mEd dzo Ser kj O

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notevolmente sulla scala del tempo o non coincidono con sillabe toniche e quindi non condizionano l’andamento globale. Oltre all’esempio seguente (G077-TU3), si vedano sopra G119-TU3 G003-TU5:

e

.3.1.2. Tipologia dei profili globali nel corpus

lla riassuntiva dei p

.3.1.2.1. Profili principali

Nella tabella seguente esponiamo in numeri la ricorrenza dei

:

Profilo Ascendente DiscendenteAscendente- Discendente

3

In questo sottoparagrafo presentiamo una taberofili principali riscontrati nel corpus e poi introdurremo i

profili meno usuali nelle tipologie melodiche. Quindi verranno esposti i casi particolari che presentano notevoli difficoltà di classificazione per passare poi a una discussione dei dati.

3

quattro patterns principali; nel grafico 1 mostriamo la percentuale di ricorrenza di ciacsun profilo sull'intero corpus

discendente -ascendente

Ricorrenza 1 30 24 4

Tabella 4: tabella riassuntiva della ricorrenza dei profili intonativi nel corpus.

171

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Profili globali

2% 5%discendente

ascendente-discendentediscendente-ascendenteascendente

altro40%

6%

47%

Figura 22: grafico che mostra le percentuali di ricorrenza dei vari profili melodici nel corpus.

Si vede dalla tabella e dalla figura che l’andamento più frequente è quello discendente seguito dal profilo ascendente-discendente: i due profili costituiscono l’87% del totale dei profili.

3.3.1.2.2. Altri profili

Oltre ai quattro andamenti suindicati, si è riscontrato il profilo ascendente-discendente-ascendente in 2 casi (G111-TU2, G073-TU3) e un solo caso dall’andamento discendente-ascendente-discendente (G105-TU4).

172

G 1 1 1 - T U 2

1 2 01 6 02 0 02 4 02 8 0

0 ,5 1 ,0 1 ,5 2t

f0

,0

[S

L

H

B

TD ]

o ra vai di 4it tO

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L’andamento globale viene considerato in questo caso

ascen

caso dallo stesso andamento (ascendente-discendente-ascen

Si è riscontrato un solo caso dall’andamento discendente-le non

urva

dente-discendente-ascendente. Le discese iniziale e finale non sono prese in considerazione, in quanto non presentano grandi escursioni né in termini assoluti né in termini relativi. I punti L e H, invece, si presentano quasi al livello di B e T rispettivamente e quindi segnano punti rilevanti nell’andamento globale non eliminabili.

L’altrodente) è leggermente diverso: dopo la salita iniziale che

presenta uno scarto non di poco rilievo, la curva presenta un plateau con valori, comunque, vicini al valore del T per cominiciare poi la discesa fino al B, dopo cui la melodia riprende la salita:

G 0 7 3 - T U 3 d e o n t ic o

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

2 ,5 3 ,0 3 ,5 4 ,0t

f0

S

ascendente-discendente in G105-TU4 in cui l’ascesa iniziaviene considerata malgrado segni il passo da un B a un T. Tale salto fino al T non si presenta graduale sul tracciato di f0 e comincia su una vocale atona e, dopo il B, s’interrompe la cin corrispondenza con l'occlusiva sorda. Invece, la discesa finale

[U

H

D

T U ] D

B

Si e pas sE 4e da sot tO

173

Page 173: L’ACCENTO IN RAPPORTO AL VALORE ESPRESSIVO … · 1.1.1.- L’italiano parlato 10 INTRODUZIONE Il presente studio parte dall’ipotesi che la prosodia costituisca uno dei mezzi

dopo l’H si estende notevolmente dal punto di vista temporale e presenta un profilo graduale che segna la fine della TU:

G 1 0 5 - T U 4

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

5 ,0 5 ,5 6 ,0 6 ,5 7 ,0 7 ,5t

f0

[ B

TD

L

U

S

H

L ]

ep pas sa faZEnnunOz la lOm m@ tra

3.3.1.2.3. Casi particolari

La percezione ha avuto un ruolo nella classificazione dei profili globali. In un caso di sospensione a fine G069-TU1 si verifica una salita finale di grande scarto, ma di estensione temporale relativamente piccola. Tale movimento ascendente si percepisce così distinto che non si può trascurare nella descrizione della curva, considerata quindi discendente-ascendente. Infatti, la percezione trova sempre un corrispettivo acustico: parallelamente al ripido movimento melodico di ampio scarto, i valori di I s’innalzano fino al massimo valore energetico della TU, il che costituisce un dato di grande rilievo se consideriamo la posizione di tale configurazione (fine TU). Data questa posizione nella TU, i valori di durata si presentano anch’essi notevolmente alti. Questo è un caso in cui i tre correlati acustici cooperano strettamente nel dare l’impressione percettiva. Ciò vuol dire che alcune volte nella considerazione del movimento

174

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melodico si tengono in considerazione anche gli altri parametri acustici che veicolano una sensazione percettiva intrascurabile.

G 0 6 9 - T U 1

1 2 0

1 6 0

2 0 0

2 4 0

0 ,0 1 ,0 2 ,0 3 ,0t

f0

HD

T

[

S

L

D

B

H ]

Ep pO i vaium pOko pO kim bas sO

Un caso particolare si riscontra in G011-TU1 dove si

ritrovano tre B:

G 0 1 1 - T U 1

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

0 ,0 0 ,5 1 ,0 1 ,5t

f0

[ B U

B

TH

BU ]

tse zi Gura v\e Dib bE nE

L’andamento globale è considerato ascendente-discendente.

La salita ha, come punti estremi, un B che precede il T; la discesa in due B che seguono il T e dopo i due B, l’H e l’U non arrivano e non s’avvicinano al livello del T, quindi, dopo il T, il profilo è generalmente discendente.

175

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Un caso particolare che potrebbe risalire alla scelta di divisione in TU33 è riscontrato in G021-TU2, dove ci sono a livello segmentale due imperativi, uno a inizio TU e un altro alla fine.

G 0 2 1 - T U 2

1 2 01 5 01 8 02 1 02 4 0

1 ,0 1 ,5 2 ,0 2 ,5 3 ,t

f0

0

[

H

L

UH

L

BS

U

TD

L ]

al lo 4a faE nakO za ar ri v\a

3.3.1.2.4. Profili e funzione pragmatica

I dati di sopra riguardano una classificazione fonetica; ora esponiamo un’altra classificazione che prende in considerazione il versante pragmatico prima di legare i due livelli di analisi.

Non tutte le TU trasmettono un senso compiuto: alcune finiscono con una pausa piena o un allungamento vocalico in segno

176

6 Questa TU si può anche dividere in 2 unità separate, ma qui si è preferito unire ‘fai ’na cosa arriva’ nella stessa TU in quanto tutt’e tre i parametri cominciano a presentare valori più alti a partire dalle ultime due sillabe del sintagma oggettivale ‘’na cosa’, un fenomeno che continua a manifestarsi anche sulle sillabe di ‘arriva’, presentando valori acustici in graduale innalzamento rispetto alle sillabe precedenti, il che può dare un motivo per considerare ‘arriva’ la coda della TU che vede nella seconda metà un’espressione prosodica dell’esitazione del parlante.

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d’esitazione: la pausa piena è una codifica prosodica di tale incompiutezza. Sono evidenziate in campo turchese la vocale finale di TU e la rispettiva durata:

Es: G005-TU4: e arriva praticamente <pb> 258 ms.

Es: G021-TU2: allora fai 'na cosa<aa> arriva<aa> <pl>

249 ms.

Alcune vengono interrotte sia dallo stesso parlante sia dalla partner, donde si capisce che rimane un’ulteriore informazione da aspettare nelle TU successive.

Es: G003-TU1, 2: descrivigli un ce+ / sospensiva

un mezzo cerchio <pl> conclusiva

Es: G057-TU3, 4: fai un mezzo cerchio <pb> sospensiva come se volessi<ii> <pb>… sospensiva

Es: G085-TU1: eh e #<F086> passaci# F086-TU1: #<G085> <mbe'> poi ?#

interruzione da parte di F.

177

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Alcune volte sembra, dalla codifica segmentale, che la TU trasmetta un senso compiuto, invece, si percepisce un finale innalzamento prosodico che lascerebbe l’ascoltatore in attesa di altre parole. Qui la percezione trova una notevole realizzazione acustica: L’andamento globale è discendente-ascendente, I sull’ultima vocale è massima entro la TU e anche le durate nucleari e sillabiche.

Figura 23: grafico di f0 e di I nell’unità tonale sospensiva G005-TU3: ‘vai diritto’.

In base a questa prospettiva di classificazione si sono riscontrati, tra le TU direttive, 26 casi di TU sospensive (42%) e 36 casi di TU conclusive (58%). Nelle due tabelle seguenti vengono riportati i profili riscontrati in corrispondenza delle conclusive e delle sospensive:

Profilo globale nelle TU sospensive

Numero casi

Discendente 10

G005-TU3

120

160

200

240

v\ E e D i 4 i tt O

f0

-20

-15

-10

-5

If0

I

178

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Ascendente 1

Ascendente-discendente 8

Discendente-ascendente 4

Discendente-ascendente-discendente

1

Ascendente-discendente-ascendente

2

Tabella 5: andamenti delle TU sospensive.

Profilo globale nelle TU conclusive

Numero casi

Discendente 20

Ascendente-discendente

16

Tabella 6: andamenti delle TU conclusive.

Le Tu che abbiamo classificato come conclusive sono legate ai soli profili discendente e ascendente-discendente; finiscono sempre in discesa melodica e presentano andamenti più omogenei rispetto alle sospensive.

Si può osservare invece che le TU sospensive hanno un comportamento meno omogeneo, tuttavia prevale sempre il pattern discendente.

Tornando agli studi riguardanti i profili tonali in italiano, ci preme citare CHAPALLAZ (1979) che considera l’andamento

179

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discendente tipico dei comandi (con ‘comandi’ l’autrice sembra intendere le richieste di azioni); di contro, gli altri autori citati nel paragrafo 2.2.2.3. non trattano i comandi come una categoria legata ad un profilo determinato.

Da una parte, l’opinione di Chapallaz trova conferma parziale nei nostri dati, in quanto il profilo discendente è il più frequente; tuttavia, la percentuale di ricorrenza (47% delle TU) non è tanto alta. Dall’altra parte, la posizione degli altri autori sembra molto sensata alla luce dei nostri dati e alla luce di una semplice riflessione sulle frasi contenenti atti direttivi. Come si vede dalla dicotomia conclusiva/sospensiva, l’andamento globale della TU direttiva dipende anche da motivi comunicativi: la sospensione, per esempio, chiede l’attenzione e l’ascolto dell’interlocutore e lo avverte che segue un’ulteriore comunicazione.

180

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181

Detto ciò, i dati qui presentati non tolgono la validità all’impostazione di Chapallaz, la quale sembra confermata nei pochissimi casi in cui tutta la TU è costituita dal solo verbo imperativo (G085-TU1 ‘passaci’; G091-TU3 ‘passa’; G091-TU5 ‘passaci’) senza che ci siano altri complementi staccati da esitazioni o altro e/o continuati in TU successive.

Concludendo, l’enunciato direttivo presenta una ricchezza e variazione pragmatica che va oltre la semplice richiesta d’azione, per cui non è facile legarlo a un dato andamento melodico.

Tutto quanto detto ci fa addentrare nella TU e avanzare l’interrogativo se l’elemento che trasmette l’atto direttivo (come l’imperativo e il deontico ‘dovere’) abbia una propria configurazione melodica, e più in generale prosodica, che si possa considerare tipica e distintiva. Per poter tentare delle ipotesi in merito, nel paragrafo seguente troverà posto lo studio delle configurazioni accentuali principali nelle TU direttive.

3.3.2. Accenti principali

3.3.2.1. Determinazione dell’estensione melodica

Dato che la voce di ogni parlante è tipicamente collocata in una fascia melodica normalmente adoperata nella conversazione quotidiana, occorre calcolare l’estensione di tale fascia per poter identificare i livelli alti, medi e bassi della frequenza fondamentale della voce del parlante.

All’interno delle TU di ognuno dei due parlanti è stata dunque rilevata l’estensione frequenziale tramite la misura del valore massimo e del valore minimo di f0 in ogni TU. Così, si è potuto

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individuare il range che si racchiude tra il valore più alto dei massimi e il valore più basso dei minimi di f0. Il range costituisce tutta la fascia frequenziale usata dal parlante.

parlante range giver 114 346

follower 132 377

Tabella 7: l’estensione melodica (range) di ogni parlante. Il limite inferiore del range è costituito dal valore più basso tra i minimi di f0; il limite superiore è il valore più alto dei massimi di f0 rilevati in ogni TU.

Dentro l’estensione melodica del parlante si possono individuare varie zone: non tutte le frequenze entro l’estensione, infatti, vengono usate dal parlante in egual misura. Esistono delle frequenze che, pur rientrando nel range, non vengono frequentemente ‘toccate’ dal parlante; di contro, c’è una zona che include le frequenze che il parlante normalmente usa di più nella conversazione normale. Quindi, la divisione dell’estensione melodica in zone è una procedura che presenta il vantaggio di essere un’analisi più sottile del lato melodico utilizzato dal locutore per i vari fini espressivi (vedi infra).

Ma l’aspetto che più ci riguarda da vicino della divisione del range consiste nella possibilità di individuare gli accenti principali la cui descrizione, ricordiamo, costituisce lo scopo primario di questa ricerca: questo punto andrà trattato nel dettaglio (cfr. § 3.3.2.2.) dopo la classificazione delle fasce melodiche del locutore G. È ovvio che non verranno presentate analoghe analisi per la follower perché, come ormai si capisce, le analisi fonetiche effettuate in questa tesi mirano a legare il lato prosodico a uno

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specifico uso della lingua (l’atto direttivo) che non si presenta negli enunciati di questa parlante.

Per la divisione delle fasce frequenziali mi sono rifatta ai calcoli di CAPUTO (1997: 95 e segg.).

Prima, bisogna individuare, entro il range, le fasce usate più frequentemente dal parlante da quelle meno usate. Si distinguono delle fasce che contengono le zone frequenziali più battute dal parlante: alta (A), media (M), bassa (B) e agli estremi di tali fasce si individuano delle fasce (una ai massimi e un’altra ai minimi) che contengono frequenze molto alte o molto basse che il parlante usa di rado: extra-alta (XA) e extra-bassa (XB):

- il primo passo verso tale suddivisione consiste nel calcolo della media e della deviazione standard di tutti i massimi di f0 registrati in ogni TU e il calcolo della media e della deviazione standard dell’insieme dei minimi di f0.

- il limite inferiore della zona più usata dal parlante si calcola sottraendo la deviazione standard dalla media dei valori minimi di f0, mentre il limite superiore si ottiene aggiungendo il valore della deviazione standard al massimo medio di f0.

MIN fascia B: media f0 min – deviazione standard =

131 - 12,7 = 118,4 Hz MAX fascia A: media f0 max + deviazione standard =

235,5 + 41,4 = 277 Hz - Al di sotto di questo valore minimo della fascia B inizia la

fascia XB che si racchiude tra questo valore (come soglia superiore) e il valore minimo del range del parlante (soglia inferiore; vedi tabella 8).

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- Al di sopra del valore massimo della fascia A si trova la fascia XA la quale ha come valore estremo il valore massimo del range (vedi tabella 8).

La fascia indicata come quella più usata dal parlante si suddivide a sua volta in tre zone : bassa, media e alta. Dividendo in tre parti uguali lo spazio frequenziale tra la soglia inferiore della fascia XA e la soglia superiore della fascia XB, si ottiene l’estensione di ogni zona:

Spazio frequenziale più usato = differenza tra il minimo di XA e il massimo di XB = 277-118 = 159 Hz.

Estensione di ogni fascia: 159/3 = 53 Hz. Limite superiore della zona bassa: 118 + 53 = 171

costituisce nello stesso tempo il limite inferiore della zona media.

Limite superiore della zona media: 171 + 53 = 224 costituisce a sua volta la soglia inferiore della zona alta.

XA 277 346

A 224 277

M 171 224

B 118 171

XB 114 118

Tabella 8: fasce dell’estensione melodica (range) del giver.

Avendo individuato le fasce XA e XB, osserviamo alcuni casi

in cui i valori di f0 usati dal giver rientrano in queste fasce:

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In G081 (f0 max = 334) il parlante insiste a contraddire la follower che non segue le istruzioni:

Es: F080: non sto su+ / i trattini non stanno sotto la figura ambulante #<G081> <pb> stanno#

G081: #<F080> no# deve stare sopra !

G081-TU2

120170220270320370

n!O~ d e *v\es s!a 4e s o p_v r a

f0

334Hz

Figura 24: la curva di f0 in G081-TU2 con il massimo frequenziale della TU che si colloca nella fascia XA.

Il massimo del range del giver (346 Hz) si rileva in G117

quando il locutore trova per la follower una soluzione al problema presentato dalla sua incapacità di eseguire l’istruzione:

Es: G115: <f.vocale> e arriva fino a dove sta scritto arrivo <pl> quando stai per arrivare a arrivo fai una piccola curvatura <pl> in alto

<pl>

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F116: <eeh> arrivo sta proprio vicino ad automobili <pb>non c'è proprio spazio <pb> tra la due<ee> figure

<pb> G117: passaci in mezzo allora

L’istruzione data dal giver in G117 non risolve il problema e

non risulta facile da eseguire per la follower, per cui il giver continua a ricorrere a livelli alti del range nella sua ricerca di spiegarle come procedere, ma sempre con gli stessi termini. La f0 arriva a 314 Hz in G119 e fino a 310 Hz in G121 (sulle vocali sottolineate).

Es: F118: tra arrivo e automobili?

G119: sì <pb> dalla discoteca Zazà devi <pb> Zazà devi arrivare fino ad arrivo <pb> quando stai per arrivare ad arrivo <inspirazione> <pl> curva un poco poco verso<oo> verso l'alto <inspirazione>

<pb> F120: io dalla discoteca sono arrivata a

automobili, poi ? G121: no automobili non le devi pensare

<pb> devi arrivare diritto fino ad arrivo

Potrebbe essere la sua incapacità di trovare nuovi modi o altre parole per descrivere il percorso a indurlo ad alzare il tono della voce in G119, mentre in G121 G non vuole che F devi dal percorso o si distragga pensando ad altri riferimenti sulla mappa.

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Per maggior sottigliezza d’analisi, all’interno di ognuna delle tre fasce B, M e A sono state determinate due subfasce; per esempio, se su una vocale si rileva il valore di 270 Hz e su un’altra vicina si registra 230 Hz, è opportuno distinguere il livello alto-alto (AA) e il livello che, per vicinanza alla fascia media, si può chiamare alto-medio (AM). Lo stesso vale per le altre fasce e subfasce: media-alta (MA) e media-bassa (MB); bassa-media (BM) e bassa-bassa (BB):

A AA 250 277

AM 224 250

M MA 198 224

MB 171 198

B BM 145 171

BB 118 145

Tabella 9: due subfasce sotto ogni fascia frequenziale.

3.3.2.2. Assegnazione degli accenti principali

3.3.2.2.1. Criteri e procedimento

Dentro ognuna delle 62 TU direttive del giver sono stati individuati gli accenti principali in base ai correlati fisici rilevati su ogni vocale, anche atona, nella stringa. Infatti, gli accenti principali si cercano normalmente sulle vocali presumibilmente toniche, cioè

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quelle che portano gli accenti lessicali; tuttavia, avendo a disposizione le misurazioni su tutte le vocali, si possono affrontare i casi contrari.

Per l’individuazione degli accenti principali si sono adottati i seguenti criteri ispirati a CAPUTO (1993):

la variazione significativa della frequenza fondamentale entro la vocale: le variazioni di f0 considerate variano a seconda del livello dell’altezza tonale e sono 10 Hz per le fasce basse e 15 Hz per le fasce medie e alte ; il livello dell’intensità relativa nella TU: alta,

media o bassa. In ogni TU è stato determinato il range e le fasce sono state calcolate dividendo su tre lo spazio incluso tra il massimo e il minimo energetico della TU; la fascia del range melodico entro cui si verificano

le eventuali variazioni; la durata relativa entro la TU, vocalica o sillabica; il numero dei parametri coinvolti

nell’evidenziazione della sillaba; l’assegnazione dell’accento principale è

accompagnata da una prova d’ascolto.

Dato che lo scopo di questa procedura consiste nell’individuazione dell’accento più forte della TU, tale grado accentuale viene assegnato al nucleo che vede l’attivazione di più parametri e le variazioni più grandi entro la TU. Le variazioni di I max e di d vengono considerate rispetto alle vocali adiacenti e alle vocali di tutta la TU; le variazioni di f0 vengono considerate anche entro la stessa vocale, dato che nelle

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nostre misurazioni abbiamo rilevato i cambiamenti di oltre 10 Hz entro ogni vocale.

In G003-TU4: ‘fai un mezzo cerchio andando verso sinistra’,

per esempio, i tre correlati coincidono sulla tonica dell’attributo del sintagma nominale (SN) oggetto: I e d relativamente alte (-5 dB dove il range si estende tra -2 e -14 dB; 90 ms per il nucleo); f0 max e scarto di 29 Hz (per gli esempi in questo paragrafo e anche tutte le TU direttive si veda appendice 9 che contiene i grafici dei parametri acustici)

In G119-TU5 ‘curva un poco poco in basso’ I max (= 0 dB) è sull’indefinito ‘poco’, oltre all’impennata dell’f0 rispetto alle sillabe circostanti (f0 si colloca nella fascia AM) e la durata vocalica della tonica (95 ms) maggiore rispetto agli altri nuclei entro la TU (esclusa la vocale finale, interessata dall’allungamento per esitazione).

In G029-TU7 ‘inizia a arrivare verso dove sta la figura barche’ l’accento principale è assegnato a ‘barche’, invece che all’imperativo nella cui realizzazione sono attivati meno correlati; sul sostantivo a fine TU, oltre lo scarto di f0, le durate (nucleare e sillabica) si presentano alte per effetto dell’allungamento prepausale (rispettivamente 127 e 355 ms). L’intensità è la massima della TU (-14 dB) anche se si tratta di fine TU.

In G029-TU8 ‘e fermati dove coincide la punta più alta della barca’ sul verbo imperativo, che riceve l’accento principale, la durata è media (dn = 81 ms), ma I, anche se è media (-10 dB), s’innalza sulla vocale tonica rispetto alle vocali circostanti (sulla vocale precedente = -13 dB; sulle seguenti = -14 e -16 dB). Lo

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scarto di f0 non supera notevolmente lo scarto sulla tonica del sostantivo ‘barca’ a fine TU la quale presenta valori alti di durata (dn =120 ms; ds = 288 ms) e valori bassi di I (-16 dB sulla tonica) come ci si aspetta a fine TU. Dopo la tonica del verbo l’f0 cambia direzione, mentre il calo sulla tonica di ‘barca’ fa parte di un movimento discendente più esteso per cui si è optato per l’assegnazione dell’accento principale al verbo che presenta un picco e spicca per il valore relativamente alto di f0 e degli altri parametri (da 237 a 250 Hz).

In G039-TU1 ‘ora fai un mezzo cerchio’ l’accento principale è assegnato al sostantivo nel sintagma nominale oggetto ‘cerchio’ che presenta scarto di f0 (18 Hz) non minore degli scarti sull’imperativo (15 Hz) e sull’aggettivo ‘mezzo’ (18 Hz). L’f0 sul sostantivo cala fino a arrivare al minimo del range della TU (fascia BB del range del parlante). Essendo a fine TU, le durate della tonica sono alte (dn = 132 ms; ds = 323 ms), e pure l’intensità è media (-3 dB), non bassa.

In G045-TU2 ‘ora fai un mezzo cerchio verso destra’ l’accento principale cade sull’imperativo, sulla tonica del quale si verifica uno scarto di f0 di 39 Hz e I relativamente media (-4 dB); il nucleo tonico è un dittongo e presenta durata maggiore di tutti i nuclei della TU (dn = 155 ms), anche i nuclei finali. Sul complemento oggetto ‘cerchio’, però, anche se l’intensità è massima (0 dB), l’assenza di scarto di f0 ci rende favorevoli all’assegnazione dell’accento principale al verbo. Un’altra variazione di f0 non considerata alquanto significativa si verifica sull’attributo ‘mezzo’ entro il SN oggetto: l’escursione è minore di quella verificata sul verbo, l’intensità non è maggiore (-5 dB) neanche la durata nucleare (88 ms).

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3.3.2.2.2. Casi problematici

Si potrebbero anche trovare casi problematici in cui non si presenta alcuna delle variazioni stabilite come criteri di assegnazione dell’accento principale. In tali casi non si può arrivare a una decisione. Nel nostro corpus abbiamo un caso di questo tipo. In G005-TU7 non si presentano scarti o cambiamento rilevanti di f0: l’andamento tonale cambia lievemente lungo la TU; l’intensità massima non è accompagnata da qualunque innalzamento di f0 né incremento di durata; le durate non presentano differenze notevoli dentro la TU, anche se si riscontra il fenomeno dell’allungamento prepausale.

G005-TU7

120

160

200

240

e n!i~ tts j E rri sa l i jE v\E r_f s o ss !a f i G u @a

f0

40

80

120

160

dnf0

dn

Figura 25: tracciato di f0 e valori di durata vocalica in G005-TU7: ‘e inizi a risalire verso 'sta figura’. L’andamento melodico è abbastanza monotono e le durate sono notevolmente alte solo all’attacco e alla fine, su sillabe atone.

Altri casi problematici sono quelli in cui si presenta più di un accento principale. La problematicità risale al fatto che l’analista,

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durante la procedura d’assegnazione del grado accentuale, si trova davanti a una scelta difficile, il che lo potrebbe indurre a lasciare aperta la questione, assegnando il grado accentuale più forte a due elementi accentabili invece che a uno. Tuttavia, nel presente lavoro si è cercato sempre di favorire una sola parola come portatrice dell’accento principale; questo non toglie, però, che la presenza di più di un accento principale è un fenomeno riconosciuto (cfr. CAPUTO, 1992).

Per esempio, in G119-TU3 l’attacco porta l’accento principale, ma anche la prominenza sul sostantivo a fine TU ‘arrivo’, che è veicolata maggiormente dalla lunga durata e da uno scarto melodico di 10 Hz, si può considerare accento principale.

G119-TU3

120

160

200

240

dzadz dz a d e v\ !i !a r i v\a r e f i n!o~ !a~ Dar ri v O

f0

0

40

80

120

dnf0

dn

Figura 26: f0 e durate vocaliche in G119-TU3: ‘Zazà devi arrivare fino ad arrivo’

In G091-TU6 anche se l’accento principale non cade

sull’imperativo ‘passa’, che è stato l’elemento lessicale più ripetuto nel corso del turno, questi rimane evidenziato dalla durata alta del nucleo tonico e dal calo forte (con escursione di 40 Hz) del livello di f0 all’attacco della tonica del verbo, dove il calo continua fino al minimo di f0 nella TU.

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In G099-TU2: ‘a me serve che tu passi’ il verbo che esprime l’azione data come comando ‘passi’ porta l’accento principale veicolato dalla massima intensità nella TU, da durata alta e da un’escursione di f0 (movimento complesso) su un livello medio e medio-alto di f0. Tuttavia, il pronome tonico ‘me’ è evidenziato dal massimo di f0 entro la TU (fascia AA) e da un movimento complesso ascendente-discendente con scarti maggiori di quelli sul verbo che porta l’accento principale. L’intensità e la durata, però, sono più alte sul verbo.

G099-TU2

0100200300

a m m e zE*r v e G et t u p_vas s i

f0

-12-8-40I

Figura 27: due grafici che mostrano i vari parametri acustici della stringa in G099-TU2: ‘a me serve che tu passi’. Nel grafico di sopra vediamo che la f0 è lievemente più alta e presenta un movimento complesso sul pronome tonico. Dal secondo grafico, invece, si vede che le durate sono notevolmente più alte sul verbo ‘passi’.

G099-TU2

100

200

300

a m me zE*r v e G et t u p_vas s i

ds

50100150200250

dn ds

dn

f0

I

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In G071-TU1 l’accento cade sull’infinito ed è veicolato principalmente dalla durata; tuttavia, l’intensità e l’f0 si presentano alte all’attacco della TU sul verbo deontico e sulla negazione. Tale situazione rende difficile una decisione di assegnazione dell’accento principale, ma la prova d’ascolto può aiutare la scelta.

G071-TU1 deontico e accento principale

110

140

170

200

d_f e i Ze r_f k_j ja rE_0

f0

0

50

100

150

dn f0

dn

Figura 28: G071-TU1:‘no, non lo devi cerchiare’. L’accento principale è

assegnato all’infinito che assume una durata alta che fa spiccare il verbo

alla prova d’ascolto. Il grande scarto sul verbo non si profila sulla sola

tonica, ma è esteso su due sillabe, la tonica e la postonica.

3.3.2.3. Posizione degli accenti principali

I dati riguardanti gli accenti principali si possono esporre in varie maniere per arrivare a diverse considerazioni. Una prima statistica riguarda la posizione dell’accento principale rispetto agli altri accenti lessicali all’interno della TU. Da questa fisionomia

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faremo più avanti una classificazione dei correlati fisici che accompagnano ogni gruppo individuato secondo la posizione (vedi infra § 3.3.2.3.1.). Per un’altra identificazione della collocazione degli accenti principali verranno adoperati criteri morfosintattici e semantico-pragmatici (§ 3.3.2.3.2.).

3.3.2.3.1. Accenti finali e non finali

Trattiamo prima della posizione degli accenti tra gli accenti lessicali nella TU e li dividiamo in due gruppi: accenti principali finali di TU e accenti principali non finali di TU.

Il primo gruppo contiene gli accenti principali che coincidono con l’ultimo accento lessicale di TU; l’altro gruppo comprende gli accenti principali in tutte le altre posizioni; all’interno di quest’ultimo viene a sua volta individuato un sottogruppo che racchiude gli accenti principali che si presentano entro l’ultimo sintagma nella TU:

Posizione accento Percentuale

Ultimo accento 41% Ultimo sintagma 10% Altro 49%

Tabella 10: posizione dell’accento principale di TU rispetto agli altri accenti lessicali.

Da questa tabella si ricava che l’accento principale cade in più della metà dei casi in posizione non finale di TU. Tale percentuale risulta grande e significativa se consideriamo

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l’opinione diffusa che prevede la collocazione dell’accento principale più a destra della TU. AGARD & DI PIETRO (1965), per esempio, ritengono che una differenza principale tra l’intonazione in inglese e in italiano sta nella localizzazione quasi fissa dell’accento principale sull’ultima parola accentata, caratteristica che, secondo i due autori, non si riscontra in inglese.

Un parere diverso che riguarda la lingua inglese si riscontra in CRUTTENDEN (1986) il quale considera il pitch come il maggior correlato dell’accento principale o del ‘nucleus’ e lo identifica con l’ultimo accento della stringa. Con la posizione di Cruttenden si trovano d’accordo altri studiosi, per cui si legge in The Encyclopedia of Language and Linguistics che “the last conent word in the sentence receives sentence stress in English” (p.4357).

Anche in italiano si propone che la prominenza melodica e la maggior lunghezza temporale dell’unità tonale in un pattern non marcato coincidono in posizione finale dell’unità (ROSSI, 1998: 226-227).

3.3.2.3.2. Collocazione su elementi morfosintattici

3.3.2.3.2.1. Dati

Nel § 3.2.1.1.2. si è effettuata una classificazione morfosintattica che serva alla distinzione tra i direttivi diretti (imperativi) e indiretti (deontici e altro). In questa sede serve un’altra tipologia sintattica per individuare gli elementi morfosintattici su cui cadono gli accenti principali. Un ulteriore approfondimento consiste nell’inserimento di tali elementi nel loro

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contesto pragmatico e legare tale aspetto all’assegnazione dell’accento principale.

Ora presentiamo le fisionomie sintattiche più frequenti nelle TU:

1) Direttivo + sintagma nominale oggetto 18 TU, di cui un oggetto interrotto;

2) Direttivo + avv., locuzioni avverbiali 14 TU (sono per lo più avv. di luogo);

3) Direttivo + sintagma preposizionale (SP) 15 TU, di cui due interrotti.

Nella tabella seguente esponiamo gli elementi sintattici che

portano o che si presume che portino accenti principali, il loro numero e la loro percentuale rispetto al totale degli accenti principali assegnati nel corpus:

Elemento

accentato Numero casi Percentuale

Imperativo 26 42% Deontico 0 0%

SN oggetto 13 21%

Locuzioni avverbiali e sintagmi preposizionali

15 24%

Tabella 11: distribuzione degli accenti principali sui direttivi e sugli altri elementi sintattici più frequenti nel corpus.

Oltre agli elementi morfosintattici suindicati, sono stati

rilevati altri elementi che portano l’accento principale:

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♦ parole che si presentano in proposizioni al di fuori delle proposizioni direttive G029-TU7 ‘dove sta la figura barche’, G067-TU3 ‘fino addo' sta sto viale della verità’, G119-TU3 ‘Zazà’ (5%);

♦ l’infinito del sintagma verbale deontico in due TU: G003-TU5 e G071-TU1 (3%);

♦ l’oggetto dislocato a sinistra in G121-TU2 (2% ca.); ♦ l’indicativo ‘passi’ in G099-TU2 ‘a me serve che tu

passi’ (2% ca.).

3.3.2.3.2.2. Discussione

3.3.2.3.2.2.1. Accentazione dei direttivi

Prima di commentare quanto riportato nella tabella, facciamo un cenno all’accentazione del verbo in italiano. In letteratura il verbo (non imperativo) si considera un elemento prosodicamente depresso nelle TU con ordine delle parole (S)VCompl., un elemento, cioè, accompagnato da valori melodici, energetici e temporali bassi (CAPUTO, 1992). Non sembra, però, che gli imperativi seguano tale ‘principio’: tra 54 imperativi nel corpus, 26 portano l’accento principale di TU (48% degli imperativi).

Infatti, si vede dalla tabella che gli imperativi formano il gruppo di elementi morfosintattici che più attira l’accento principale.

Non si riscontra, però, alcuna accentazione forte del deontico ‘dovere’: causa dell’assenza di deontici che portano l’accento principale potrebbe essere l’incompiutezza del senso trasmesso dal deontico. Insieme il deontico e l’infinito costituiscono il sintagma verbale dal senso compiuto; il deontico, invece, non si regge da

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solo e non trasmette un’azione a sé stante. Ciò non toglie che il verbo servile ‘dovere’ è molto significativo dal punto di vista modale, in quanto dà forza alla richiesta dell’azione trasmessa dall’infinito, le dà la veste di un’azione ‘obbligatoria’; in altre parole, il deontico introduce e serve alla presentazione dell’azione richiesta. Un simile discorso si può fare riguardo alla proposizione ‘a me serve che tu passi’ in G099-TU2.

In due TU deontiche (G003-TU5 ‘la devi circumnavigare questa figura’; G071-TU1 ‘no, non lo devi cerchiare’) l’accento principale coincide con l’infinito, il quale trasmette l’azione da fare da parte della follower. In G003-TU5 il giver dà ulteriori chiarimenti riassumendo con il verbo accentuato l’azione esatta da eseguire.

Es: G003: descrivigli un ce+ / un mezzo cerchio <pl> dove c'è scritto partenza fai un mezzo cerchio andando verso sinistra <pl> la devi circumnavigare questa figura

In G071-TU1, invece, nega l’azione che la follower pensa di dover eseguire e accentua questa azione volendo introdurre la giusta azione che si deve fare.

Es: F070: #<G069> devo <pb># devo cerchiare valle <eeh> va+ / viale della verità? <pb>

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200

G071: no non lo devi cerchiare <pl> <inspirazione>

Anche nell’asserzione di G099-TU2 è accentato il verbo che si riferisce all’azione richiesta ‘passi’ ‘vivamente’:

Es: G095: e comunque passaci in mezzo <pl> <f.vocale> <pl>

F096: <mbe'> , poi ? G097: ci sei ? <pb> hai fatto ? F098: no non l'ho fatto perché sta più

lontano non <eeh> poi c'è albergo <pb> sopra <pb> #<G099>discoteca#

G099: #<F098><inspirazione> no !# a me serve che tu passi <pl> tra <pl> l'ambulante <pl> e queste barche <pl> passaci in mezzo

In G121-TU2, anche se l’accento principale cade sull’oggetto dislocato a sinistra, ciò non toglie che l’infinito assume una notevole forza accentuale veicolata dalla durata e dall’abbassamento dei valori di f0 fino al minimo della TU. Tale abbassamento fino all’estremo minimo di f0 nella TU veicola anch’esso una sensazione di prominenza così come l’innalzamento di f0 dà sensazione della prominenza (cfr. BOLINGER, 1958: 111-112; § 2.3.2.).

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201

3.3.2.3.2.2.2. Accentazione dei complementi (riferimenti al modo e allo spazio)

Abbiamo appena accennato al fatto che gli imperativi formano il gruppo omogeneo di elementi morfosintattici che più attira l’accento principale. Se, invece, confrontiamo la classe dei verbi direttivi alla classe dei complementi, ci troviamo davanti a due insiemi quasi alla pari per quanto riguarda la ricezione della maggior forza accentuale della TU.

I complementi qui osservati sono costituiti da due gruppi diversi dal punto di vista della funzione: i SN oggetti si riferiscono alle parti del disegno che la follower dovrebbe mettere nella sua mappa; le locuzioni avverbiali e preposizionali costituiscono per lo più riferimenti orientativi nello spazio del contesto visivo.

Rievocando la situazione in cui si trovano gli interlocutori, troviamo che serve un orientamento rispetto al contesto visivo che occorre modificare (mappa della follower); a tal fine bisogna eseguire delle azioni che consistono nel disegnare certe linee sulla mappa. A questo si può legare il frequente ricorso all’accentazione di tre tipi di parole: i direttivi che trasmettono le azioni, i complementi oggetti che si riferiscono al disegno da fare e i sintagmi avverbiali e preposizionali che orientano al contesto visivo (funzione deittica).

Da questo punto di vista, se incorporiamo i due infiniti accentati nelle TU deontiche (G003-TU5 e G071-TU1) e l’indicativo ‘passi’ in G099-TU2 con gli imperativi nel confronto tra le azioni e i complementi, troviamo che il 47% degli accenti principali cade sugli elementi verbali che si riferiscono ad azioni. Il gruppo di parole che serve per l’orientamento nel contesto

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visivo diventa ancora più grande se aggiungiamo al 24% dei sintagmi avverbiali e preposizionali il 5% degli elementi che si riferiscono ai punti di riferimento sulla mappa: sono le parole che non si presentano nelle proposizioni direttive (G029-TU7 ‘dove sta la figura barche’, G067-TU3 ‘fino addo' sta viale della verità’, G119-TU3 ‘Zazà’.

Nel primo capitolo (§ 1.1.3.3.2.), nel corso della nostra esposizione degli scambi comunicativi più frequenti osservati nei dialoghi Map Task a nostra disposizione, abbiamo detto che i parlanti usufruiscono frequentemente della funzione referenziale del linguaggio facendo continui riferimenti al contenuto delle mappe. Tale funzione referenziale del linguaggio non sembra evidenziata solamente sul piano segmentale tramite la frequenza d’uso, ma anche sul piano prosodico tramite la ricezione da parte di questi elementi morfosintattici dell’accento principale in più del 40% delle TU.

Calcolando la percentuale dei complementi (oggetti e locuzioni avverbiali e preposizionali) accentati rispetto alla loro presenza nelle TU, risulta che il 57% di questi elementi morfosintattici porta una prominenza principale.

Oltre agli avverbi di modo e di luogo contati nelle statistiche di sopra, si riscontrano nel corpus avverbi testuali, quelli cioè che collegano due porzioni di testo secondo diverse modalità (conclusiva, avversativa, di presa di posizione, ecc.):

Es: G005-TU4: e arriva praticamente Es: G091-TU2: allora passa

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Si osserva, però, che nessun avverbio testuale riceve l’accento principale nelle TU da noi analizzate. Dal momento che sappiamo che gli avverbi di modo e di luogo nel nostro corpus danno riferimenti importanti per il compimento del compito, possiamo pensare che gli elementi di minore rilievo semantico vengono prosodicamente depressi.

I complementi non adempiono alle mere funzioni referenziali

e orientative, ma possono avere un’ulteriore portata pragmatica. In G025-TU2: con la parola ‘sinisitra’, la quale porta l’accento, il parlante contraddice e corregge quanto detto dalla follower:

Es: F024: ma non lo posso fare perché l'ho fatto da+ <ehm> nell'altra direzione quindi va verso<oo> la destra del foglio <pb> il cerchio è rivolto verso la #<G025> destra del foglio#

G025: #<F024> no deve# andare verso la sinistra del foglio <pb> cancella e vai verso sinistra <P>

In G119-TU5 l’indefinito ‘poco’ che fa parte della locuzione avverbiale ‘un poco poco’ porta l’accento principale; la locuzione, ormai fissa nell’uso, è costituita in effetti dalla ripetizione dell’indefinito in segno di maggior rafforzamento del significato. Tale rafforzamento non è compito solo del piano segmantale, ma anche della codifica prosodica.

Es: G119-TU5: curva un poco poco verso <oo>

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Tutto quanto detto e la ‘mappa’ dell’accentazione forte nel nostro corpus conferma e va in accordo con l’osservazione tanto ribadita in letteratura che l’accentazione evidenzia e porta al centro dell’attenzione certi elementi lessicali in segno della loro rilevanza. L’accento, cioè, può funzionare come espressione prosodica dell’interesse del parlante in certi idee e concetti.

3.3.2.4. Configurazione prosodica degli accenti principali

Il correlato più stabile degli accenti finali di TU è la durata che si presenta alta o massima sulla tonica; ciò è dovuto al fenomeno dell’allungamento prepausale (prepausal lengthening; cfr. § 2.2.2.1.4.). L’f0 assume variazioni notevoli dei valori e arriva, in alcuni casi, ai minimi del range delle rispettive TU; ciò è legato al fenomeno della declinazione intonativa (declination). I si presume che arrivi a livelli relativamente bassi o minimi a fine TU; invece, si presenta alta o addirittura massima nel 52% degli accenti principali finali (in contrasto con la declination).

Per quanto riguarda i correlati degli accenti non finali di TU, rispetto agli altri correlati che possono realizzare la forza accentuale, l’escursione di f0 è il parametro più costante (72%), seguita dall’intensità alta o massima (56%), e poi dalla durata alta o massima (50% degli accenti) e infine l’f0 massima (22%).

Gli accenti non finali collocati entro l’ultimo sintagma hanno come correlato costante l’escursione notevole di f0, nonostante la declination intonativa.

Parametro Accento finale Accento non

finale

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Movimento f0 significativo molto significativo

f0 medio-alta medio-bassa

I Medio-alta alta

d alta o massima medio-alta

Tabella 12: i parametri che accompagnano più costantemente i due tipi di accenti: finali e non finali.

L’escursione di f0 viene considerata generalmente su un solo nucleo sillabico, tranne per alcuni casi in cui non si possono trascurare movimenti molto significativi sia dal punto di vista acustico (grandi scarti che arrivano certe volte a 90 Hz) sia dal punto di vista percettivo, che si verificano su due sillabe, sulla pretonica e la tonica o sulla tonica e la postonica. I movimenti di f0 possono essere o semplici o complessi.

In G043-TU1 l’imperativo porta l’accento principale veicolato dallo scarto di f0 e dall’intensità massima sulla tonica del verbo, ma se si considera il movimento più esteso che inizia dalla pretonica, si osserva una grande escursione melodica oltre al picco che assume la pretonica:

G043-TU1 accento principale

140

200

260

320

n!o~n tS~ !a~ n d~!a 4 !e

f0

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206

Figura 29:. Movimento discendente (semplice) che inizia dal picco sulla pretonica (f0 max della TU; fascia XA) e si estende sulle consonanti sonore fino alla tonica dell’imperativo ‘ non c’andare’ in G043-TU1: ‘ma non c’andare proprio sopra’.

In G025-TU2 sulla pretonica e la tonica l’f0 assume un’escur-

sione di 68 Hz in un movimento semplice:

G025-TU2 accento principale

140160180200220

s !i~ n !i~ ss !a

f0

Figura 30: escursione di f0 su ‘sinistra’ nell’ultimo sintagma di G025-TU2: ‘deve andare verso la sinistra del foglio’ dove G contraddice e corregge quanto detto da F.

In G121-TU2 la considerazione del movimento ascendente, verificatosi su pretonica e tonica, è dovuta non solo allo scarto di 89 Hz, ma anche alla riduzione fonica della presunta testa della sillaba tonica [mo]. L’assenza della testa sostituita da una vocale [!o] crea una zona in cui le due sillabe sono fuse e il tracciato di f0 è continuo in maniera tale da favorire la rilevazione del movimento più esteso sui tre foni vocalici invece della ricerca di confini molto difficili da imporre tra la pretonica e la tonica:

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G121-TU2 accento principale

130170210250290

!a!u t_v !O~ !o~ !o~ b_f!i l!i~

f0

Figura 31: movimento semplice (ascendente) esteso su tre foni vocalici che costituiscono le pretoniche e la sillaba tonica dove la f0 arriva al picco; queste vocali portano l’accento principale in G121-TU2: ‘automobili non le devi pensare’.

In G069-TU1 si verifica un salto di f0 tra i due nuclei tonico e

postonico nell’ultimo elemento lessicale nella locuzione avverbiale ‘in basso’; il movimento discendente sulla tonica, ascendente sulla postonica creano nel loro insieme un movimento complesso discendente-ascendente che assume scarti notevoli accompagnati da durate alte (fine TU) e anche da I alta.

G069-TU1 accento principale

120

160

200

240

b a ss O

f0

100110120130140150

dn f0

ds

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Figura 32: movimento complesso che si profila sulla tonica e sulla postonica. L’innalzamento finale crea il movimento ascendente nel profilo globale in segno di sospensione.

In quest’ultimo esempio il movimento melodico influenza notevolmente l’andamento globale nella TU; in G021-TU6 il valore di f0 sulla postonica, alto quanto il valore sulla tonica, conserva la salita arrivata al picco, ‘T’ in termini INTSINT, sulla tonica della stessa parola (l’avverbio); così, il profilo globale viene definito ascendente. Se, invece, il valore sulla postonica fosse stato notevolmente minore rispetto a quello sulla tonica, l’andamente sarebbe stato identificato ascendente-discendente.

G021-TU6

120

160

200

240

v!a i d i 4 i tt o

f0

Figura 33: profilo globale ascendente nella TU sospensiva G021-TU6: ‘vai diritto’, dove il valore di f0 sulla postonica continua la costante salita melodica.

Si rilevano movimenti complessi anche entro il solo nucleo vocalico sia in parole che portano accenti principali sia in elementi evidenziati. In G099-TU2 si rilevano due movimenti complessi uno dei quali costituisce la configurazione melodica dell’accento principale di TU:

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G099-TU2 accento principale

120

150

180

210

p_v a ss i

f0

Figura 34: movimento complesso ascendente-discendente sulla tonica del verbo subordinato portatore di accento principale in G099-TU2: ‘a me serve che tu passi’.

L’altro movimento complesso si verifica sul pronome tonico;

G099-TU2 pronome tonico

230240250260270280

m e

f0

Figura 35: movimento complesso ascendente-discendente di f0 sul pronome tonico ‘me’ in G099-TU2.

In questa TU il pronome tonico non è cosiderato l’elemento portatore di accento principale, in quanto le configurazioni energetiche e temporali sul verbo sono più alte (cfr. § 3.3.2.2.2.).

Si osserva un movimento complesso anche in G119-TU3:

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210

G119-TU3 accento principale

150180210240

dz a ddz a

f0

Figura 36: G119-TU3: ‘Zazà devi arrivare ad arrivo’. Sulla tonica si verifica un movimento complesso ascendente-discendente. Si osserva anche il salto del livello melodico dalla pretonica alla tonica.

La durata costituisce un parametro importante sia per gli

accenti finali che per gli accenti non finali. A fine TU può essere un parametro decisivo come in G071-

TU1 dove sembra che, nella prova d’ascolto, la durata dia maggior rilievo all’infinito ‘cerchiare’ rispetto alle altre parole che, malgrado le configurazioni melodiche e energetiche alte, non spiccano come l’infinito.

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G071-TU1

050

100150200250

n!O~ !o~ !o~ d_fe i Z e r_f k_j j a rE_0

ds

507090110130150dn

Figura 37: 2 grafici di G071-TU1: ‘no, non lo devi cerchiare’. Il primo mostra le durate sillabiche e nucleari, le quali costituiscono in questa TU i parametri decisivi nell’assegnazione dell’accento principale; il secondo grafico mostra la f0 e I.

Quando, invece, si tratta di accenti all’interno della TU, la durata è sempre accompagnata da altri parametri. È interessante in proposito che le durate dentro la TU possano essere relativamente alte e anche massime, come in G003-TU5:

G071-TU1

110

150

190

230

n!O~ !o~ !o~ d_fe i Z er kj a rE_0

f0

-10

-5

0I

f0

I

ds

dn

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212

G003-TU5

0

100

200

300

!a D e i Z!i k!u~ n n!a~ v\i G a 4 E w!es s!a f_v e G u 4a

ds

050100150200dn

ds

dn

Figura 38: le durate massime si verificano su una tonica all’interno della TU; è la sillaba che porta l’accento principale.

Non di rado l’intensità, in posizione finale, assume valori

relativamente alti, nonostante la declinazione (52% degli accenti principali):

G011-TU1

-10-8-6-4-20

tse z i G u r !a v\e D!i bb !E~ n!E~

I

Figura 39: l’avverbio in G011-TU1: ‘sei sicura?, vedi bene’ porta l’accento principale correlato, tra l’altro, da I alta.

così come in posizioni non finali (56% degli accenti):

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213

G021-TU5

-15

-10

-5

0

f!ae kw !el m!E~ ddz !o Zer_f k_j j!o v\Es s!o s!i~ nists 4!a…

I

Figura 40: I alta sulla parola che porta l’accento principale in G021-TU5: ‘fai quel mezzo cerchio verso sinistra circumnavigando colibrì’.

3.3.2.5. Configurazione prosodica del direttivo

3.3.2.5.1. Imperativo

Il verbo imperativo nel nostro corpus si realizza su livelli relativamente medi di f0: solo il 19% degli imperativi presenta livelli melodici alti e extra-alti (vedi tabella). Questo dato collima col fatto che la maggior parte dei direttivi realizza un accento non finale.

XA 4%

A 15%

M 63%

B 18%

Tabella 13: fasce melodiche degli imperativi e percentuale di ricorrenza.

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La posizione dell’imperativo all’interno della TU è stata determinata tramite il ricorso alla scala del tempo e la divisione della durata di ogni TU in tre parti uguali: inizio, metà e fine. In soli 3 casi il verbo costituisce tutta la TU.

Inizio TU 67% Metà TU 19% Fine TU 10% TU intera 4%

Tabella 14: le posizioni in cui ricorre il verbo direttivo all’interno della TU.

La maggior parte dei verbi direttivi, quindi, si colloca nel primo terzo della TU come primo elemento lessicale, oppure dopo un avverbio (es. ora, poi) o dopo la cogiunzione ‘e’.

Anche l’intensità sull’imperativo assume valori generalmente alti. Tra i 54 imperativi, 34 (63%) sono accompagnati da I max o alta sulla tonica; i casi in cui I si presenta bassa sulla tonica sono 11 (20%): 6 dei nuclei tonici sono costituiti dalla vocale chiusa [i] e uno dalla vocale chiusa [u]. È interessante segnalare che in alcuni di questi casi di I bassa sulla tonica chiusa, entro la stessa parola prosodica I passa con uno scarto notevole o a I alta o a I max sulle vocali aperte circostanti:

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215

G003-TU1

-8

-3

2

d!e s k i v\ i L

I G059-TU1

-10

-5

0

a r i v\ !a

I

G067-TU3

-8

-3

2

a rr i v\ !a

I G119-TU5

-8

-3

2

k u r v !a

I

Figura 41: profilo energetico su quattro direttivi (imperativi): ‘descrivigli’; ‘arriva’; ‘curva’. Si osserva l’escursione dei valori di I sulla tonica chiusa e sulle adiacenti atone aperte.

In generale, si presume che la durata sia influenzata dalla posizione della parola prosodica all’interno della TU; alla fine, per esempio, si verifica il fenomeno dell’allungamento prepausale, che si manifesta principalmente sull’ultima tonica e sull’ultima sillaba di TU, per cui ci si aspetta che le sillabe a fine TU presentino durate relativamente alte.

Detto ciò, le durate sillabiche e nucleari sugli imperativi sono generalmente alte: il 61% dei nuclei tonici degli imperativi

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216

assume durate alte o massime e il 18% durate medie (vedi infra le durate del deontico).

Nel corso del suo studio sulle interrogative, CAPUTO (1997) fa alcune osservazioni sulla configurazione prosodica sugli imperativi riscontrati in un corpus di italiano parlato spontaneo prodotto in area napoletana. I casi riscontrati nel suo corpus spontaneo sono pochi (14 direttivi tra cui 5 imperativi senza complementi), ma presentano configurazioni in certi versi simili alle configurazioni rilevate nel nostro corpus.

Oltre al profilo globale discendente, gli imperativi spiccano per configurazioni prosodiche alte all’interno della TU.

Tuttavia, il dato su cui non mi trovo d’accordo con CAPUTO (1997) riguarda le configurazioni prosodiche sugli imperativi. Caputo osserva ‘un interessante fenomeno di spostamento dell’accento lessicale in posizione iniziale’ (1997: 154) negli imperativi che hanno la prima sillaba atona; cioè f0, I e d si mostrano più alti sulla prima sillaba anche se non è lessicalmente tonica. Nel nostro corpus, invece, tra i 12 imperativi iniziali di TU che hanno la prima sillaba lessicalmente atona, soltanto 3 (25%) presentano sulla pretonica, o anche sulla postonica, configurazioni prosodiche più alte che sulla tonica.

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217

G025-TU3 imperativo

140170200230

k!a~n tS_f E l E

f0

-9-6-30I G025-TU3 imperativo

30

60

90

k!a~n tS_f E l E

dn

G043-TU1 imperativo

140200260320

n!o~n tS~!a~n d~!a 4 !e

f0

-6-4-20I

G043-TU1 imperativo

30

60

90

n!o~n tS~!a~n d~!a 4 !e

dn

G067-TU3 imperativo

110150190230

a r r i v\ !a

f0

-10

-5

0

I G067-TU3 imperativo

0

50

100

a r r i v\ !a

dn

f0

I dn

Figura 42: f0, I e dn in due grafici per ogni imperativo in G025-TU3: ‘cancella’; G043-TU1: ‘non c’andare’; G067-TU3: ‘arriva’. Si osserva che sulla pretonica non tutti i parametri si presentano più alti rispetto alla tonica, perché sulla tonica c’è sempre un parametro che si rileva più alto che sulla pre- o postonica.

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3.3.2.5.2. Deontico

Non si sono rilevati casi in cui il verbo deontico ‘dovere’ assume la forza accentuale principale nella TU.

Malgrado l’assenza di accenti principali sui verbi deontici, nel nostro corpus il deontico non rappresenta un’area di totale depressione prosodica, come si può vedere dai valori dei parametri riassunti in tabella:

M 8 TU

Fascia f0 B 4 TU

Scarto f0 oltre 20 Hz 6 TU

max 6 TU

alta, media 5 TU Intensità

bassa 1 TU

Tabella 15: tabella riassuntiva dei correlati più significativi dei deontici. Si osserva che le fasce del range melodico e energetico su cui si realizzano i deontici non sono basse per la maggior parte dei casi; si rilevano anche grandi scarti melodici nella metà dei casi.

Tuttavia, a causa della riduzione segmentale che colpisce una buona parte dei deontici del corpus, non è risultato facile rilevare estatti scarti sulla sola tonica; invece, certe volte è stata praticamente più accessibile la misurazione dello scarto che si estende su tutta la parola prosodica (sulla tonica e la postonica) con escursioni notevoli. La riduzione ha anche influenzato le durate che si presentano generalmente basse.

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Di seguito esponiamo un elenco delle riduzioni segmentali osservate. Tra le 11 TU deontiche si registra una forte riduzione fonica in 5 casi: tre casi di assenza della consonante [v]; 2 casi di forte riduzione con la presenza di un solo fono [e] che sostituisce l’intera parola.

G003-TU5: la devi circumnavigare aDeiZiku~nna~viGa4e

G025-TU2: deve andare dev\ea~nda6

G043-TU2: ci devi passa’ SieBassa

G043-TU2: non devi anda’ nOndeia~nda

G071-TU1: devi cerchiare deiZer_fk_jjarE_0

G073-TU3: ci devi passare Siep_fassE4e

G081-TU1: deve stare de*v\essa4e

G119-TU2: devi dev\i

G119-TU3: devi arrivare dev\iarrivare

G121-TU2: devi pensare Dev\iBentsare

G121-TU3: devi arrivare dev\iariv\ae

G125-TU2: non dovresti fare d!ov\@ess!if!ar!E

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3.3.2.6. Tra profilo globale e configurazioni locali:

riflessioni conclusive

Partirei dal profilo globale ascendente considerato a priori un pattern melodico di frequente ricorso, ma registrato una sola volta nel nostro corpus di TU direttive. A differenza del presente lavoro, i risultati ottenuti da CAPUTO (1991), in uno studio di italiano parlato sempre in area campana, mostrano che il profilo ascendente è il profilo tipico delle sequenze Verbo-Complemento in frasi dichiarative, l’andamento ascendente-discendente, invece, è considerato dall’autrice un caso particolare dell’andamento ascendente riscontrabile quando il complemento è costituito da più parole (CAPUTO, 1991: 20). Per quanto riguarda la configurazione melodica su certi elementi morfosintattici, Caputo segnala in corrispondenza dei verbi una zona di depressione, cioè di abbssamento dei valori.

Le configurazioni melodiche sul verbo direttivo, come abbiamo detto, mostrano valori alti , ma quanto? Diamo uno sguardo alla posizione del verbo e alla sua configurazione melodica all’interno del profilo globale.

Anche se la sequenza VCompl. è quella più diffusa nel corpus, il verbo messo a confronto qui è al modo imperativo; il profilo globale, invece, è generalmente discendente o ascendente-discendente.

Delle 49 TU imperative, 28 hanno il profilo globale discendente. Tra 28 TU imperative dal contorno globale discendente, 22 hanno il Top sull’imperativo che si colloca a inizio TU (alcune volte preceduto da una parola funzionale); dopo il verbo o dopo la tonica del verbo si profila la discesa melodica.

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Questo dato costituisce una configurazione opposta a quella rilevata da CAPUTO (1991) nelle frasi dichiarative VCompl. Il verbo collocato verso l’inizio della TU è accompagnato da una zona non di depressione melodica, ma di alte configurazioni melodiche, e spesso anche prosodiche. Tali configurazioni melodiche sono le più alte della TU, il che imprime sull’intero pattern che si profila discendente, invece che ascendente.

In queste 22 TU, anche quando l’accento principale cade su un altro elemento al di fuori dell’imperativo, la configurazione melodica sull’imperativo corrisponde al Top dell’andamento globale, mentre l’accento principale in questi casi diventa un picco locale.

Una differenza principale tra il lavoro di Caputo e il corpus di questa ricerca è il modo verbale e l’atto linguistico espresso dal verbo: l’autrice studia le assertive, nel presente lavoro vengono studiate le frasi direttive veicolate per lo più dagli imperativi.

Potremmo proporre che la differenza tra i nostri risultati e

i risultati di Caputo risale alla portata dell’atto linguistico

direttivo con cui il parlante cerca di influire sull’interlocutore e

metterlo in moto tramite espressione diretta sia sul versante

sintattico (imperativo) sia sul versante prosodico. Da questa

prospettiva si può affermare che l’atto illocutivo e la

caratterizzazione semantico-pragmatica del discorso influisce

sul versante prosodico.

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Tale ipotesi di caratterizzazione prosodica del tipo

illocutivo non prevede una correlazione rigida o al cento per

cento, dal momento che, oltre all’interesse del parlante di

ottenere certi atti dal partner, sorgono altri interessi quali una

maggiore precisazione del modo dell’atto o certi dettagli

riguardanti l’ambiente in cui eseguire l’atto.

Data la posizione del direttivo prevalentemente iniziale di TU e visto che le configurazioni prosodiche sono talmente alte da attirare l’accento principale in 47% delle TU, la posizione dell’accento principale nelle TU che esprimono l’atto illocutivo direttivo si colloca in una buona parte delle TU in posizione non finale di TU, il che costituisce un dato opposto alla posizione diffusa che prevede la localizzazione dell’accento principale in posizione finale di TU in italiano.

CAPUTO (1997: 147) sostiene che nelle assertive, in una varietà dell’italiano, l’accento principale tende a localizzarsi sul costituente più a destra della TU; cioè in posizione postverbale e, in assenza di un elemento dopo il verbo, si colloca sul verbo.

Nel nostro corpus, invece, l’accento cade sul verbo anche in presenza di elementi postverbali. Abbiamo detto che il direttivo è accentato in 29 TU (26 imperativi, 2 infiniti in TU deontiche, 1 verbo subordinato in un’asserzione che esprime un direttivo indiretto; cfr. § 3.3.2.3.2.1.); soltanto in 9 TU di queste (31%) il verbo accentato costituisce l’elemento più a destra della TU.

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Alla luce dei dati, la localizzazione dell’accento principale a fine TU non sembra una caratteristica data per scontata e sembra ancora strettamente correlata a criteri semantico-pragmatici o illocutivi.

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CONCLUSIONI

Nella presente ricerca lo scopo principale è stato quello di trovare delle correlazioni o delle regolarità che legano la realizzazione prosodica (con particolare interesse all’accento e all’intonazione) a un tipo di atti linguistici. La parte sperimentale dello studio è stata condotta su un corpus di parlato semispontaneo raccolto in area campana secondo uno dei metodi di raccolta di corpora linguistici.

I primi due capitoli costituiscono la parte teorica, mentre l’ultimo presenta la parte applicativa. Il primo capitolo introduce al materiale linguistico utilizzato; il capitolo 1 (§ 1.2.) presenta il piano espressivo che si è inteso studiare in questa ricerca; nel capitolo 2 si cerca di fare una panoramica di alcuni punti rilevanti nello studio della prosodia: in particolare, l’accento e l’intonazione. L’ultimo capitolo presenta e analizza il corpus.

Dato che lo studio è stato condotto su un corpus raccolto in area campana, era necessario approfondire l’argomento delle varietà. Si è cercato nel Capitolo 1 di affrontare il discussissimo argomento dell’italiano standard e delle varietà con una sintesi della situazione delle varietà utilizzate dagli italiani e la posizione del parlato tra le varietà. Si è trattato anche dell’italiano parlato come varietà dell’italiano. L’importanza di tale argomento risale al fatto che la varietà della lingua costituisce uno degli elementi che caratterizzano e condizionano la produzione linguistica e si manifestano tra l’altro nella realizzazione fonetica del livello soprasegmentale, per cui, come si è accennato in varie sedi (cfr.

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introduzione; § 2.2.2.3.), alcuni studi si sono occupati di fenomeni prosodici in certe varietà regionali. Tale impostazione di ricerca riconosce la differenza che sussiste tra le realizzazioni prosodiche delle diverse varietà regionali. Infatti, tale differenziazione tocca anche gli altri assi di variazione linguistica e non solo la varietà regionale, ma questo è un argomento molto complesso quanto lo sono le stesse varietà a causa dei rapporti intrecciati che intercorrono tra le varietà e gli influssi reciproci che esercitano l’una sull’altra. La diatopia, tuttavia, rimane la variazione onnipervasiva che influisce sulle altre varietà (cfr. § 1.1.1.2.).

Il dialogo qui studiato si considera una produzione della varietà campana (varietà diatopica); contemporanea (varietà diacronica); di varietà diastratica media; infine, la situazione comunicativa sembra essere più informale che formale (varietà diafasica). Abbiamo a disposizione varie informazioni che aiutano a descrivere la varietà diafasica del dialogo come informale: il rapporto stretto e familiare tra gli interlocutori oltre la somiglianza tra il compito del Map Task e alcuni giochi di società, il che lo rende un compito poco antipatico. Tali informazioni non chiariscono solo il tipo di varietà, ma anche il tipo di atto illocutivo. L’importanza delle informazioni contestuali che caratterizzano la comunicazione viene considerata nel capitolo 1, nel corso della discussione del contesto situazionale, come indicatore non linguistico di forza illocutiva (cfr. § 1.2.4.). In base alle informazioni contestuali, è stata condotta una tipologia pragmatica degli atti direttivi individuati nel corpus (§ 3.2.1.2.).

Come effetto del contesto sulla comunicazione verbale, si è osservato che in questo dialogo, diafasicamente informale, l’espressione linguistica dei direttivi è caratterizzata dalla

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prevalenza degli imperativi e dalla scarsità degli atti indiretti. Intanto, gli imperativi non sembrano arroganti o segno di poco rispetto, in quanto la follower collabora liberamente senza sentirsi obbligata a eseguire le azioni richieste e non rinuncia a capire quel che deve fare. Sembra quindi che il grado di familiarità tra gli interlocutori giustifichi l’uso dei direttivi diretti e, nello stesso tempo, ne attenui l’intensità o la forza direttiva (cfr. § 1.2.3.).

Per quanto riguarda la costruzione del corpus, dopo la sintesi della situazione delle varietà dell’italiano si passa nel capitolo 1 alle difficoltà di raccolta di un corpus spontaneo, le quali inducono gli studiosi a cercare metodi sistematici di raccolta di corpora che non si possono chiamare spontanei, ma semispontanei. L’argomento è molto largo per cui è stato trattato un solo metodo di raccolta dei corpora; cioè il metodo utilizzato per l’elicitazione del dialogo analizzato in questa tesi. In base all’osservazione personale, si è fatto cenno alla natura dell’interazione in alcuni dialoghi raccolti secondo il metodo Map Task. Si è accennato ai ruoli degli interlocutori e si è arrivati all’osservazione che la cooperazione bilancia la comunicazione tra gli interlocutori; un altra riflessione sugli scambi comunicativi dimostra la prevalenza della tipologia domanda-risposta e dello scambio di indicazioni sul percorso.

Il paragrafo 1.2. è stato dedicato alla teoria degli atti linguistici e ad alcuni argomenti relativi: la teoria degli atti linguistici, ideata da J.L. Austin, si considera un tentativo di indagare i possibili usi della lingua nell’interazione di ogni giorno. È stato presentato il quadro generale di questa teoria, si è seguito in breve il suo sviluppo e si è presentato un esempio della critica rivolta ad essa dal punto di vista dell’analisi del discorso.

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Nel corso della presentazione degli atti illocutivi direttivi che costituiscono una grande classe all’interno degli atti linguistici, è stata effettuata un’esposizione delle forme sintattiche più abbinate alle richieste di azioni con particolare riferimento a quattro tipi di direttivi: il comando, l’istruzione, l’esortazione e la richiesta. Si presumeva, ancora prima dell’analisi del corpus, che queste sfumature del direttivo sarebbero state riscontrate nel dialogo Map task, un’ipotesi confermata nel capitolo 3, nel corso della delineazione di una fisionomia pragmatica dei direttivi del corpus (§ 3.2.1.2.).

Nel corpus prevalgono le istruzioni imposte dalla natura del compito, ricorrono i comandi, proprio nei casi in cui gli interlocutori si contraddicono e non si capiscono bene tra di loro. Come conferma di una caratteristica del parlato in generale (cfr. il cenno alla ripetizione nel parlato § 1.1.1.3.), la ripetizione ricorre all’interno degli atti direttivi con una percentuale notevole (23%).

Il Capitolo 2 costituisce la prima parte (la parte teorica) dello studio fonetico nella ricerca. Sono state introdotte definizioni dell’intonazione e poi dell’accento. Si è trattato dei parametri acustici coinvolti nella realizzazione dei due fenomeni prosodici; delle funzioni della prosodia; di alcune differenze terminologiche tra gli studiosi dei fenomeni prosodici .

Dopo la presetntazione del corpus della tesi in § 3.1., il § 3.2. presenta le analisi effettuate sul corpus. Oltre le analisi sintattico-pragmatiche, l’analisi prosodica è articolata principalmente nella misurazione dei tre parametri acustici della funzione prosodica e nella divisione delle stringhe in unità tonali secondo criteri fonetici. Nel paragrafo § 3.2.2.1. viene descritto il procedimento di misurazione dei parametri acustici i quali servono per la verifica dei

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criteri di divisione in TU e per l’identificazione degli accenti principali. Dopo la scansione di tutto il dialogo in unità tonali, è stata calcolata la percentuale delle unità contenenti atto direttivo rispetto nel totale di TU (§ 3.2.2.2.). Per la descrizione della curva melodica in ogni TU è stato adoperato un sistema fonetico per la trascrizione melodica (§ 3.2.2.3.). Tramite il sistema INTSINT, l’analista cerca di trascurare i piccoli eventi melodici che si presentano sul tracciato di f0 anche se non influenzano l’andamento globale.

Il paragrafo 3.3. è diviso in due parti: la prima riguarda il pattern melodico globale nella TU; la seconda tratta degli accenti principali: i loro parametri fisici, la loro posizione sia dal punto di vista sintattico sia dal punto di vista prosodico. Si conclude dalla prima parte del capitolo che i patterns globali prevalenti sono due: il profilo discendente e il profilo ascendente-discendente. Anche se non c’è una correlazione biunivoca tra un enunciato sospensivo o conclusivo da una parte e un certo profilo melodico dall’altra, si può affermare che la sospensione e la conclusività influenzano tale profilo, in quanto sussistono casi in cui l’ascesa melodica a fine TU costituisce l’unico segnale di sospensione, così come si è osservato che tutte le TU che finiscono in ascesa sono TU sospensive. Riprenderei l’osservazione avanzata in § 3.1.1.2.4. che, alla luce dei dati, non si può legare un solo profilo melodico all’atto linguistico direttivo, in quanto si presentano altri fattori pragmatici accanto alla semplice richiesta d’azione, come per esempio la sospensione e la conclusività.

Per quanto riguarda la posizione degli accenti principali, è stata confermata l’ipotesi diffusa che l’elemento che più interessa al parlante riceva più frequentemente la prominenza più forte. Di

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questi elementi si segnalano i verbi che vengono normalmente considerati come elementi prosodicamente depressi; quando, invece, esprimono atti direttivi, i verbi (specialmente i verbi imperativi) ricevono una notevole prominenza prosodica.

Un altro risultato di grande rilievo riguarda la posizione degli accenti principali rispetto agli altri accenti nella TU: gli accenti non finali di TU ricorrono con una frequenza tale da mettere in dubbio l’impostazione che prevede la coincidenza dell’accento principale con l’ultimo accento lessicale nella TU. Tale dato è ancora da mettere in relazione all’espressione direttiva: gli accenti principali non finali di TU cadono spesso sui verbi direttivi, il che vuol dire che l’atto linguistico esercita un influsso sulle configurazioni accentuali; ma non solo: il pattern melodico si configura a livelli alti in coincidenza con i verbi direttivi, influenzando di conseguenza la configurazione intonativa.

Tutto ciò dimostra che sussiste un influsso dell’atto linguistico e della situazione pragmatica sul profilo melodico e sugli accenti principali di TU. L’influsso pragmatico nel caso dei direttivi riscontrati nel corpus è notevole come abbiamo mostrato e pone l’interrogativo se esista una correlazione stabile tra modalità pragmatico-sintattica e profilo intonativo.

Non si può dare una risposta esauriente alla domanda, innanzitutto perché un solo studio non può avere l’ambizione di esaurire l’argomento. Poi, anche se il presente studio registra delle corrispondenze tra la forza prosodica e il verbo imperativo in particolare, le corrispondenze non sono al cento per cento o costanti. Inoltre, mi sembra che tale corrispondenza sussista tra il tipo pragmatico e la prosodia piuttosto che tra quest’ultima e il tipo sintattico; nel presente lavoro la tipologia sintattica non è

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considerata in sé, ma è considerata solamente come un veicolo dell’espressione e dell’atto linguistico. Eppure, il grado di dipendenza della prosodia sulla sintassi costituisce un argomento molto discusso e ci sono vari studi che indagano sui rapporti tra la prosodia e la sintassi.

Gettando lo sguardo al di là della forma linguistica, rimane il nodo della complessità delle fisionomie pragmatiche e contestuali: è possibile delineare una fisionomia pragmatica prevalentemente oggettiva?

Concludendo, rimangono ancora molti dubbi e vari punti oscuri da chiarire prima di tentare una descrizione di una eventuale ‘grammatica’ intonativa o, più in generale, prosodica.

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INDICE SIGLE E ABBREVIAZIONI_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 4

Introduzione_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 5

Capitolo 1. DUE FACCE DELLA LINGUA 1.1.– Il parlato spontaneo come base di studio _ _ _ _ _ _ _ _ _ 9

1.1.1. L’italiano parlato _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 10 1.1.1.1. Standard e varietà _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 10 1.1.1.2. Varietà dell’italiano _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 13 1.1.1.3.Tratti del parlato _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 16

1.1.2. Il continuum diafasico _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 19 1.1.3. La costruzione di un corpus spontaneo_ _ _ _ _ _ _ _ 21

1.1.3.1. Il problema della costruzione di un corpus spontaneo _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _21

1.1.3.2. Il metodo del Map Task _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 24 1.1.3.3. L’interazione nel Map Task _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 27

1.1.3.3.1. Cenno ai ruoli _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _28 1.1.3.3.2. Scambi comunicativi _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _30

1.2. Gli atti illocutivi _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 35

1.2.1. Cenni generali alla teoria degli atti linguistici _ _ _ _ 36

1.2.2. Atti illocutori _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 38 1.2.2.1. Atti locutori, illocutori, perlocutori _ _ _ _ _ _ _ _ 38 1.2.2.2. Classificazione austiniana _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 40 1.2.2.3. Tassonomia searliana _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 41 1.2.2.4. Atti indiretti _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _44

1.2.3. Illocuzione direttiva _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 46 1.2.3.1. Generalità _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 46 1.2.3.2. Illocuzione direttiva e modalità verbale_ _ _ _ _ _ 48

1.2.3.2.1. il comando _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _48 1.2.3.2.2. l’istruzione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _51 1.2.3.2.3. l’esortazione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _54 1.2.3.2.4. la richiesta _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _55

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1.2.4. Il contesto _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 58 1.2.4.1. Contesto linguistico e contesto situazionale _ _ _ _ 58 1.2.4.2. Contesto e comandi_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 60

1.2.5. Intonazione e atto illocutorio _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 62

Capitolo 2. PROSODIA, INTONAZIONE E ACCENTO 2.1. Prosodia e intonazione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 67

2.1.1. Generalità e definizioni _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 67 2.1.2. Funzioni della prosodia _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 70

2.1.2.1. Funzioni paralinguistiche _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 70 2.1.2.2. Funzioni extralinguistiche _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 72 2.1.2.3. Funzioni linguistiche _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 72

2.1.3. Parametri dell’analisi prosodica _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 76 2.1.3.1. Durata _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 76 2.1.3.2. Intensità _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 77 2.1.3.3. Frequenza fondamentale _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 78

2.2. Unità di analisi prosodica _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 80 2.2.1. La sillaba _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 80

2.2.1.1. Definizione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 80 2.2.1.2. La griglia metrica _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 82

2.2.2. La TU _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 84 2.2.2.1. Criteri di divisione in TU _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 84

2.2.2.1.1. Criteri informazionali _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 85 2.2.2.1.2. Criteri sintattici _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 87 2.2.2.1.3. Criteri fonologici _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 88 2.2.2.1.4. Criteri fonetici _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 89 2.2.2.2. Struttura interna _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _92

2.2.2.3. Intonazione e significato _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 95 2. 3. L’accento _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 97

2.3.1. Definizioni _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 97 2.3.2. Parametri acustici dell’accento _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 99 2.3.3. Accento lessicale e accento di frase _ _ _ _ _ _ _ _ _ 102

2.3.3.1. Accento lessicale in italiano _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 105 2.3.3.2. Accento primario e secondario _ _ _ _ _ _ _ _ 108

2.3.4. Gradi accentuali _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 110

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CAPITOLO 3. ANALISI DEL CORPUS DI RIFERIMENTO 3.1. Corpus di riferimento _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 117

3.1.1. Corpus AVIP _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 117 3.1.2. Il dialogo A01 _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _118 3.1.3. Norme di trascrizione (ortografica e fonetica) _ _ _ _118

3.2. Analisi del corpus_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _119 3.2.1. Analisi sintattico-pragmatica _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _120

3.2.1.1. Clausole direttive _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 120 3.2.1.1.1. Percentuale dei direttivi _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 120 3.2.1.1.2. Classificazione morfosintattica dei direttivi _ 121

3.2.1.2. Profilo pragmatico _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 122 3.2.1.2.1. Istruzione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _126 3.2.1.2.2. Ripetizione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 127 3.2.1.2.3. Comando _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 130 3.2.1.2.4. Richiamo d’attenzione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 132 3.2.1.2.5. Esortazione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _133

3.2.2. Analisi prosodica _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _134 3.2.2.1. Parametri misurati _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 134

3.2.2.1.1. Piano temporale: durate foniche e sillabiche _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 135

3.2.2.1.2. Piano energetico: curva di I e intensità massima _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 139

3.2.2.1.3. Piano melodico: curva di f0 , contorni e livelli _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _140

3.2.2.2. Divisione in TU _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 143 3.2.2.2.1. Marche di confine _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _144 3.2.2.2.2. Casi problematici _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _153

3.2.2.3. Descrizione INTSINT della curva melodica _ _ _ 158

3.3. Patterns prosodici e accenti dell’illocuzione direttiva (nel corpus) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 161

3.3.1. Profilo globale _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 162 3.3.1.1. Criteri di classificazione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 162

3.3.1.1.1. Profilo discendente _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 163 3.3.1.1.2. Profilo ascendente _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 167 3.3.1.1.3. Profilo ascendente-discendente _ _ _ _ _ _ _167

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3.3.1.1.4. Profilo discendente-ascendente _ _ _ _ _ _ _170 3.3.1.2. Tipologia dei profili globali nel corpus _ _ _ _ _ 171

3.3.1.2.1. Profili principali _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 172 3.3.1.2.2. Altri profili _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 173 3.3.1.2.3. Casi particolari _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 175 3.3.1.2.4. Profili e funzione pragmatica _ _ _ _ _ _ _ _177

3.3.2. Accenti principali _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _181 3.3.2.1. Determinazione dell’estensione melodica _ _ _ _ _ _ _

_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 181 3.3.2.2. Assegnazione degli accenti principali _ _ _ _ _ _ _187

3.3.2.2.1. Criteri e procedimento _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 187 3.3.2.2.2. Casi problematici _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _190

3.3.2.3. Posizione degli accenti principali _ _ _ _ _ _ _ _ _194 3.3.2.3.1. Accenti finali e non finali _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 194 3.3.2.3.2. Collocazione su elementi morfosintattici _ _196 3.3.2.3.2.1. Dati _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 196 3.3.2.3.2.2. Discussione _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 198 3.3.2.3.2.2.1. Accentazione dei direttivi _ _ _ _ _ _ _ _198 3.3.2.3.2.2.2. Accentazione dei complementi (riferimenti al modo e allo spazio) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 200 3.3.2.4. Configurazione prosodica degli accenti principali

_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 203 3.3.2.5. Configurazione prosodica del direttivo _ _ _ _ _ _212

3.3.2.5.1. Imperativo _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _212 3.3.2.5.2. Deontico _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _216

3.3.2.6. Tra profilo globale e configurazioni interne: riflessioni conclusive _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 218 Conclusioni_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _223 Bibliografia_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 231