La via alla casa del povero

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Andiamo ai poveri ! La via alla casa del povero nell’azione vincenziana di Alessandro Floris

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Andiamo ai poveri ! La via alla casa del povero nell’azione vincenziana

di Alessandro Floris

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Introduzione : La luce della fede

1. La via alla casa del povero

2. Una via preparatoria

3. La via della vicinanza e della condivisione

4. La via dell’umiltà e del servizio

5. La via del cuore

6. La via dell’incontro e del dialogo

7. La via della preghiera

Conclusione : La via della carità e della giustizia

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Introduzione

La luce della fede

Celebrare il bicentenario della sua nascita non può significare compiere un viaggio nella memoria o fare un accademica rilettura della sua vita e della sua opera, ma analizzare e comprendere il significato profondo delle sue scelte, che si sono rivelate intuizioni profetiche , ancora oggi portatrici di novità.

Ma dove sta il segreto di questa perenne giovinezza di Federico Ozanam, della straordinaria vitalità e attualità del suo messaggio ?

Perché il suo pensiero, la sua vita sono per noi una sfida ed un impegno ?

Antonio Federico Ozanam era uomo di profonda vita interiore e viveva ogni avvenimento della sua esistenza come evento di fede , vissuta con lo spirito della fede e nell’ottica della fede. La fede era fondamento della sua azione . Possiamo affermare che lo scopo permanente del pensiero e dell’opera di Ozanam , l’eredità che ci lascia, è uno solo: rendere testimonianza alla fede, indicando il Vangelo come motore della storia e sorgente della Verità e dell’autentica liberazione dell’uomo. La fede è dunque la bussola che deve guidare anche il nostro cammino personale , la vita della Conferenza e il nostro servizio = lo sguardo sempre rivolto a Dio, l’azione orientata

alla salvezza eterna.

Giorgio La Pira ricordava che nelle Conferenze Vincenziane c’è un vedere e un agire : c’è prima una visione della fede che abbraccia la totalità del panorama. Poi viene la visione di carità: agisci. Ma l’agire vincenziano deve partire da lì “ da questa visione della fede e della grazia”.

Ma in ogni ambito della sua vita egli seppe agire da credente , uomo di fede profonda, che amava la Chiesa e contribuì con coraggio al suo rinnovamento in un’epoca difficile e tormentata , prefigurando in anticipo di oltre un secolo , una moderna teologia del laicato cattolico, che invitava i cristiani ad impadronirsi della storia , di tutti gli ambiti della vita e

della società , per esserne fermento e trasformarla alla luce del messaggio evangelico. Questa è la sfida che anche oggi Federico lancia a ciascuno di noi e alle nostre Conferenze : agire da credenti , vivendo pienamente la dimensione di laici cristiani in ogni ambito della vita, per essere fermento evangelico, sale della terra, luce del mondo.

Per questo oggi vogliamo analizzare insieme le grandi intuizioni profetiche , che confermano l’attualità del suo pensiero e della sua azione e che rappresentano il fondamento della nostra azione anche nell’attuale contesto storico .

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1. La via alla casa del povero

♦ Era ancora universitario a Parigi quando Federico con i suoi amici fu provocato direttamente da un gruppo di studenti non credenti: “Voi che dite di essere cattolici che cosa

fate? Dove sono le opere che dimostrano la vostra fede e che possono farla rispettare ed amare?”.

Sono parole quanto mai attuali e che devono interrogare oggi anche la mia vita, la vita di ciascuno di noi. Che cosa facciamo noi cattolici , oggi, per trasformare la società alla luce del Vangelo ? Qual è il nostro ruolo ?

La risposta di Federico la conosciamo bene e fu profondamente innovativa, audace, profetica. Direi rivoluzionaria.

“ In verità noi pensammo- dirà nel 1853,- che in questo rimprovero (l’obiezione che veniva fatta

dai non credenti. “ Che fate voi come cristiani, oggi?) vi fosse purtroppo del vero, poiché non

facevamo nulla. Allora si fece strada nei nostri cuori il proposito di operare: Dobbiamo fare ciò che è

più gradito a Dio, cioè quello che faceva Nostro signore Gesù Cristo quando predicava il Vangelo:

“Andiamo ai poveri!.”

♦ Questo costituisce un atto rivoluzionario , poiché percorrere “ la via alla casa del

povero “significava non soltanto compiere un gesto di umanità o di assistenza al bisogno , ma il primo passo di un processo di trasformazione della società : egli infatti credeva in una rigenerazione della società non attraverso la forza e la scienza , ma attraverso la carità, che è nel cuore stesso della fede e acquista spessore evangelico, rendendola fermento

dell’intera società. Quello di Ozanam era un monito ai giovani borghesi della sua epoca tormentata e a tratti drammatica, a uscire dal proprio egoismo e dalla cecità della loro condizione di classe privilegiata, chiusa in sé stessa, nella difesa dei propri interessi.

Riecheggia nelle parole di Papa Francesco questa convinzione di Ozanam e dei suoi giovani amici:

“ Sono tanti i rivoluzionari nella storia, sono stati tanti. Ma nessuno ha avuto la forza di questa

rivoluzione che ci ha portato Gesù: una rivoluzione per trasformare la storia, una rivoluzione

che cambia in profondità il cuore dell’uomo. Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi

politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo. La vera

rivoluzione, quella che trasforma radicalmente la vita, l’ha compiuta Gesù Cristo attraverso la sua

Risurrezione: la Croce e la Risurrezione. … E’ una vera rivoluzione e noi siamo rivoluzionarie

perché noi andiamo per questa strada, della più grande mutazione della storia dell’umanità ( B

XVI). Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano!

L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri

dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore

che viene da un cuore mutato, da un cuore di pietra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore

umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cristo che noi tutti abbiamo ricevuto. “

♦ Ma questo esige una conversione del cuore, una sorta di spoliazione ( Kenosis) = uscire da sé stessi per incontrare l’altro; aprire le porte del proprio cuore e della propria vita

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all’altro; mettersi in gioco , in discussione; passare dalla logica del dare qualcosa al dono di sé. Era ( ed è anche oggi) un invito :

- a riconoscere la propria personale povertà , cioè la fondamentale uguaglianza di tutti davanti a Dio, perchè condividiamo la comune fragilità della natura umana; tutti siamo peccatori e bisognosi di misericordia ; tutti siamo sullo stesso piano, con la medesima dignità di figli di Dio ;

- ad abbracciare la povertà , come disposizione interiore ( spirito di povertà, umiltà e semplicità = rinuncia ad ogni logica di potere e di prevaricazione) , ma anche come un nuovo modo di essere, di vivere ( uno stile sobrio ed essenziale di vita) ;

- a lasciarsi evangelizzare dai poveri. I poveri sono anche maestri privilegiati della nostra conoscenza di Dio; la loro fragilità e la loro semplicità smascherano i nostri egoismi, le nostre false sicurezze, le nostre pretese di autosufficienza e ci guidano all’esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio, a ricevere nella nostra vita il suo amore, la sua misericordia di Padre che, con discrezione e paziente fiducia, si prende cura di noi, di tutti noi.

♦ In fondo possiamo riassumere così questi atteggiamenti: è riconoscere che i poveri sono

“ la carne di Cristo” . Noi contempliamo Cristo Crocifisso nella persona dei poveri.

"Sembra che per amare si debba vedere e noi non vediamo Dio se non con gli occhi della fede, e la

nostra fede è così debole! Ma, gli uomini, ma i poveri, li vediamo con gli occhi della carne, sono qua

e noi possiamo mettere il dito e la mano nelle loro piaghe e i segni della corona di spine sono

visibili sulla loro fronte, e noi dovremmo cadere ai loro piedi e dire loro con l'apostolo: Tu sei il mio

Signore e il mio Dio. Voi siete i nostri padroni e noi saremo i vostri servitori, voi siete per noi

l'immagine sacra di quel Dio che non vediamo, e non sapendolo amare in altro modo, noi l'ameremo

nella vostra persona" (a Louis Janmot, Lione, 13 novembre 1836).

Sentite quale sintonia con le parole di Papa Francesco:

“ Bisogna uscire da noi stessi e andare sulle strade dell’uomo per scoprire che le piaghe di Gesù sono

visibili ancora oggi sul corpo di tutti quei fratelli che hanno fame, sete, che sono nudi, umiliati,

schiavi, che si trovano in carcere e in ospedale. E proprio toccando queste piaghe, accarezzandole, è

possibile «adorare il Dio vivo in mezzo a noi».

Le piaghe di Gesù le trovi facendo opere di misericordia, dando al corpo, al corpo e anche

all’anima, ma sottolineo al corpo del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è

nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le

piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede a lui tramite queste piaghe».

Non è sufficiente, ha aggiunto ancora il Papa, costituire «una fondazione per aiutare tutti», né

fare «tante cose buone per aiutarli». Tutto questo è importante, ma sarebbe solo un comportamento

da filantropi. Invece, ha detto Papa Francesco, «dobbiamo toccare le piaghe di Gesù,

dobbiamo accarezzare le piaghe di Gesù. Dobbiamo curare le piaghe di Gesù con

tenerezza. Dobbiamo letteralmente baciare le piaghe di Gesù». La vita di san Francesco, ha

ricordato, è cambiata quando ha abbracciato il lebbroso perché «ha toccato il Dio vivo e ha vissuto in

adorazione». «Quello che Gesù ci chiede di fare con le nostre opere di misericordia è quello che

Tommaso aveva chiesto: entrare nelle piaghe».

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2. Una via preparatoria

Questa è l’ispirazione di fondo nella nascita della prima Conferenza, il 23 Aprile 1833 , a Parigi, che la conduce a divenire scuola di apprendistato ( una via preparatoria) per l’ impegno sociale dei laici cristiani, e soprattutto i giovani: essa non si proponeva nei suoi scopi originali di riformare la struttura sociale , ma anzitutto di fortificare la fede dei suoi membri mediante la pratica in comune della carità e il soccorso ai poveri., preparandoli ad essere soggetti ispiratori di cambiamento sistemico.

La Conferenza diviene così uno strumento formidabile per far sperimentare attraverso il servizio ai poveri la vita buona del Vangelo: la carità come luogo e forma privilegiata per vivere la testimonianza del Vangelo, non nel chiuso delle sacrestie, nel recinto di un piccolo gruppo , in modo autoreferenziale, ma immergendosi nella storia degli uomini, per farsene carico e contribuire a trasformarla : allora anche un piccolissimo gesto di carità, un sorriso, una stretta di mano, un bacio, una carezza, ha una forza immensa , creativa, rigenerativa, acquista valore di testimonianza che si espande e contribuisce a costruire una società più giusta e fraterna. A edificare la civiltà dell’amore.

“ Noi siamo convinti – dice Ozanam- ,che la scienza delle benefiche riforme non si impara sui

libri e alla tribuna delle pubbliche assemblee, ma nel salire alle soffitte del povero, nel sedersi al suo

capezzale, nel soffrire il freddo che egli soffre, nello strappare con l’effusione di un amichevole

colloquio il segreto del suo animo desolato.” ( Discorso all’Assemblea generale del 14 dicembre 1848). Ecco la pedagogia della compassione.

Nelle parole di Papa Francesco sembrano riecheggiare le parole di Federico Ozanam:

Bisogna “… imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le

periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto

quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di

consolazione, di aiuto. Questo è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del

nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie , dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire

sempre! “ E ancora più recentemente:

“L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del

necessario per condurre una vita dignitosa. Prima di tutto, andare ai poveri: questo è il primo.

La Chiesa è sempre stata presente nei luoghi dove si elabora la cultura. Ma il primo passo è sempre

la priorità ai poveri. Ma anche dobbiamo andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura,

nell’altezza del dialogo, del dialogo che fa la pace, del dialogo intellettuale, del dialogo ragionevole.

E’ per tutti, il Vangelo! Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare

pauperisti, o una sorta di “barboni spirituali”! No, no, non significa questo! Significa che dobbiamo

andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo

conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là!

Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti

quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti

gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la

testimonianza.”

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3. La via della vicinanza e della condivisione.

♦ Ma come “ andare ai poveri “ ? L’andare ai poveri esige tre atteggiamenti e tre dinamiche , che lo stesso Papa Francesco ci suggerisce nel discorso al Centro Astalli a Roma. Ascoltiamo le sue parole e pensiamole riferite all’esperienza delle nostre Conferenze e nostra personale.

“ Servire. Che cosa significa? Servire significa accogliere la persona che arriva, con attenzione;

significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano, senza calcoli, senza timore, con

tenerezza e comprensione, come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli. Servire significa

lavorare a fianco dei più bisognosi, stabilire con loro prima di tutto relazioni umane, di

vicinanza, legami di solidarietà. Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia,

di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione.

Accompagnare. La sola accoglienza non basta. Non basta dare un panino se non è

accompagnato dalla possibilità di imparare a camminare con le proprie gambe. La carità

che lascia il povero così com’è non è sufficiente. La misericordia vera, quella che Dio ci dona e

ci insegna, chiede la giustizia, chiede che il povero trovi la strada per non essere più tale.

Difendere. Servire, accompagnare vuol dire anche difendere, vuol dire mettersi dalla parte di chi

è più debole. Quante volte leviamo la voce per difendere i nostri diritti, ma quante volte siamo

indifferenti verso i diritti degli altri! Quante volte non sappiamo o non vogliamo dare voce alla voce

di chi ha sofferto e soffre, di chi ha visto calpestare i propri diritti, di chi ha vissuto tanta violenza

che ha soffocato anche il desiderio di avere giustizia!

♦ Già Federico Ozanam aveva chiari questi concetti. Egli così ci spiega il significato vero del servizio ai poveri, del servizio di carità, di una Carità vera: “ L’assistenza che umilia quando si preoccupa soltanto di garantire le necessità terrene

dell’uomo, onora quando al pane che nutre aggiunge

la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che solleva dall’abbattimento”

In queste parole egli esprime il significato più profondo dell’accoglienza e della carità ( che non è elemosina o filantropia) . “ L’assistenza umilia quando si preoccupa soltanto di garantire le necessità terrene

dell’uomo “ .

L’ assistenza , di cui parla Federico Ozanam , non fa riferimento esclusivamente ad un gesto di soccorso ad un bisogno materiale o all’erogazione di servizi o risorse, come inteso nell’accezione comune del termine, cioè un’azione che soddisfa un bisogno, o che fornisce un servizio come risposta ad una necessità . Ozanam non utilizza mai il termine “ materiale “ per indicare i bisogni dell’uomo. Parla piuttosto di “ necessità terrene”, “ soccorsi

temporali” e poi di “ pane che nutre ”. Federico Ozanam si spinge oltre. Non pone al centro la condizione di necessità , la situazione di disagio o di privazione, piuttosto la persona , tutta la persona , mettendo a nudo l’esigenza di una interazione tra soggetti , cioè di una relazione. “ al pane che nutre aggiunge la visita che consola, il consiglio che illumina , la stretta di

mano che solleva…”

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4. La via dell’umiltà e del servizio.

"Quelli che sanno la via della casa del povero, quelli che hanno spazzato la polvere della sua

scala, non bussano mai alla sua porta senza un sentimento di rispetto: sanno che, ricevendo da essi

il pane come ricevono da Dio la luce, l'indigente li onora; sanno che nulla pagherà mai due lacrime

di gioia negli occhi d'una povera madre o la stretta di mano d'un galantuomo che viene messo in

condizione d'attendere il ritorno del lavoro" (Ozanam ne L'Ere Nouvelle", Oeuvres Complétes, voi. VII, Melanges, pag. 301).

“Guardando Gesù noi vediamo che Lui ha scelto la via dell’umiltà e del servizio. Anzi, Lui

stesso in persona è questa via. Gesù non è stato indeciso, non è stato “qualunquista”: ha fatto una

scelta e l’ha portata avanti fino in fondo. Ha scelto di farsi uomo, e come uomo di farsi servo, fino

alla morte di croce. Questa è la via dell’amore: non c’è un’altra. Perciò vediamo che la carità non è

un semplice assistenzialismo, e meno un assistenzialismo per tranquillizzare le coscienze. No,

quello non è amore, quello è negozio, quello è affare. L’amore è gratuito. La carità, l’amore è una

scelta di vita, è un modo di essere, di vivere, è la via dell’umiltà e della solidarietà. Non c’è

un’altra via per questo amore: essere umili e solidali. La solidarietà ti obbliga a guardare all’altro e

darti all’altro con amore. L’umiltà di Cristo non è un moralismo, un sentimento. L’umiltà di

Cristo è reale, è la scelta di essere piccolo, di stare con i piccoli, con gli esclusi, di stare fra noi,

peccatori tutti. Attenzione, non è un’ideologia! E’ un modo di essere e di vivere che parte

dall’amore, parte dal cuore di Dio.” ( Papa Francesco in visita a Cagliari )

“Siamo servi inutili”diceva Federico Ozanam. Il vincenziano riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. In definitiva, egli scopre di essere uno strumento nelle mani del Signore,

liberandosi così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza.

Questo fa dire a Federico:

“ Si, noi siamo degli inutili servitori; ma noi siamo dei servitori, e il salario non ci verrà dato che

a condizione del lavoro che faremo nella vigna del Signore, nella parte che ci verrà assegnata…

Andiamo semplicemente dove la Provvidenza misericordiosa ci conduce, felici di vedere la

pietra su cui dobbiamo posare il piede, senza volerne scoprire tutto il seguito e tutte le sinuosità del

cammino.” ( Lettera a Lallier- 5 novembre 1836)

♦ La “ via alla casa del povero” diventa così la via dell’umiltà e del servizio , una visita che reca consolazione e ancor di più consiglio che illumina : solo così si riattiva il circuito del colloquio con sé stessi e con gli altri , aprendo la persona ad una limpida comunicazione tra pensiero e cuore , tra ragione e sentimento : sentimento e ragione hanno bisogno l’uno dell’altro. Ritornano le parole di Ozanam:…testa e cuore… La via che noi spesso percorriamo dà risposte solo ai bisogni e non alla persona: ci chiediamo qual è il bene della persona, in quel contesto, nella prospettiva della sua crescita, della sua autonomia e dignità ?

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5. La via del cuore

Pensando a questo , rileggiamo un ulteriore contributo che Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas est , offre alla nostra riflessione :

“ Il programma del cristiano — il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù ( potremmo dire il programma del vincenziano)— è « un cuore che vede ». Questo cuore vede

dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente ( non dice bisogno di qualcosa, di beni materiali, ma bisogno di amore). “

♦ Secondo il modello offerto dalla parabola del buon Samaritano, la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata situazione, costituisce la

necessità immediata: gli affamati devono essere saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati visitati, ecc. ( Come afferma Papa Francesco: curare le

ferite e scaldare i cuori )

Per questo per il servizio che le persone svolgono per i poveri e i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza professionale ( la carità fatta con intelligenza, senza improvvisazione o pressapochismo, non soltanto lasciandosi guidare da un moto istintivo dell’animo, da un vago sentimentalismo o umanesimo compassionevole) i volontari devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giusto, assumendo poi l'impegno del proseguimento della cura. Non fermarsi al curare , ma “ prendersi cura” ( cfr Il Samaritano lo caricò sul giumento e lo portò alla locanda).

♦ La competenza è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Parliamo , infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno, abbiamo bisogno di umanità , dell'attenzione del

cuore. Perciò, oltre alla formazione anche tecnica e metodologica, occorre la formazione del

cuore : Coloro che operano la carità non devono ispirarsi alle ideologie del miglioramento del mondo, della sola liberazione dalla schiavitù sociale ed economica, ma farsi guidare dalla fede che nell'amore diventa operante (cfr Gal 5, 6). Devono essere quindi persone

mosse innanzitutto dall'amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risvegliandovi l'amore per il prossimo. ( DCE, 33)

♦ L'azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l'amore per l'uomo, un amore che si nutre dell'incontro con Cristo. L'intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell'altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l'altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona. ( DCE, 34).

“ La carità evangelica, poiché si apre alla persona e non soltanto ai suoi bisogni, coinvolge la

nostra stessa persona ed esige la conversione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza

accoglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli

spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle

proprie leggi. ”(Evangelizzazione e testimonianza della carità- n.39)

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6. La via dell’incontro e del dialogo

Qui introduciamo un’altra intuizione profetica di Ozanam .

“ Se la questione sociale che agita attualmente il mondo intorno a noi non è né un problema di

persone né un problema di forme politiche, ma è un problema sociale; se la lotta tra quelli che nulla

hanno e quelli che troppo hanno; se è lo scontro violento tra l’opulenza e la povertà che fa tremare il

suolo sotto i nostri passi, il nostro dovere di cristiani è di interporci fra questi nemici

inconciliabili e di fare in modo che… l’uguaglianza si restauri finchè sia possibile tra gli

uomini.”( Lettera a Lallier, 5 novembre 1836- n. 15)

♦ Ozanam comprende che per trasformare la società e creare un nuovo clima sociale, superando le contrapposizioni tra chi possiede troppo e chi non ha nulla , la solidarietà non basta più: nella sua epoca come ai nostri giorni, bisogna camminare verso nuove relazioni umane , occorre porle sotto il segno della fraternità, che diventi l’idea guida , l’orizzonte di riferimento dei laici cristiani , e anche dei non credenti , per costruire il dialogo, l’incontro, l’amicizia civile in una società in cui prevalgono schemi puramente economici, fondati sul profitto e sugli interessi di alcuni che rendono schiavi uomini e comunità, sacrificando i valori e le relazioni umane più vere e autentiche. Il campo dell’amicizia , sostiene Ozanam , è quello del disinteresse , del distacco dai beni materiali, della loro donazione , della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro. Per questo la Conferenza , realtà amicale, diviene così un autentico laboratorio che anticipa, sperimenta e prefigura questa amicizia civile, poiché entra in rapporto con la persona povera su un piano di pari dignità e di vera fraternità, in una autentica relazione di amore.

♦ Allora la mediazione di cui parla Ozanam non va confusa con una generica “ moderazione” o “ equidistanza” , ma è “ lo stare in mezzo”, costruire ponti tra opposti interessi, talora estremi, inconciliabili, rendendo possibile una qualche forma di incontro ,

di dialogo e , se possibile, di sintesi vivendo sulla propria pelle, nella propria esistenza quotidiana il senso ultimo di questa testimonianza .

Papa Francesco lo ripete alla classe dirigente del Brasile e a tutti ( e questo non fa che confermare l’attualità del messaggio di Ozanam):

“Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il

dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e

ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue

diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la

cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia…L'unico

modo di crescere per una persona, una famiglia, una società, l'unico modo per far progredire la vita

dei popoli è la cultura dell'incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di buono da dare e

tutti possono ricevere qualcosa di buono in cambio. L'altro ha sempre qualcosa da darmi, se

sappiamo avvicinarci a lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi. Questo

atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi, lo definirei come "umiltà sociale" che è ciò

che favorisce il dialogo. Oggi, o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell'incontro,

o tutti perdiamo, tutti perdiamo. Per di qui va il cammino fecondo.”

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7. La via della preghiera

♦ Non si può percorrere la via alla casa del povero senza camminare nei sentieri dell’anima, i sentieri della preghiera e della comunione con il Signore.

Occorre riaffermare l'importanza della preghiera di fronte all'attivismo e all'incombente secolarismo di molti cristiani , e anche di molti vincenziani, impegnati nel lavoro caritativo.

L'esperienza dell’aumento smisurato del bisogno , specialmente in questo momento storico di grave crisi, può, da un lato, spingerci a trasformare il cristianesimo in una ideologia del benessere sociale ed economico, nella presunzione di cercare e trovare la soluzione universale di ogni problema ( lavoro, casa…) Dall'altro lato, essa può diventare tentazione all'inerzia sulla base dell'impressione che, comunque, nulla possa essere realizzato, poco possiamo fare con le nostre forze. In questa situazione il contatto vivo con Cristo attraverso la preghiera è l'aiuto decisivo per restare sulla retta via: né cadere in una superbia che disprezza l'uomo e non costruisce in realtà nulla, ma piuttosto distrugge, né abbandonarsi alla rassegnazione che impedirebbe di lasciarsi guidare dall'amore e così servire l'uomo. La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un'urgenza del tutto concreta. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo.

♦ Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l'amore pieno di verità, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi.

Dice Papa Francesco: «Quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede e non è più discepolo di

Gesù». E l’unico antidoto contro tale pericolo è la preghiera. Perché «quando un cristiano non

prega, la sua testimonianza è superba». Ed egli stesso è «un superbo, è un orgoglioso, è uno sicuro

di sé, non è umile. Cerca la propria promozione ( e il successo della sua azione). Invece, quando

un cristiano prega non si allontana dalla fede: parla con Gesù».

Dunque « la preghiera è la chiave che apre la porta alla fede ». Papa Francesco ha poi puntualizzato che il verbo «pregare» non significa «dire preghiere»,

perché anche i dottori della legge «dicevano tante preghiere», ma solo «per farsi vedere». Infatti

«una cosa è pregare e un’altra è dire preghiere». In quest’ultimo caso si abbandona la fede,

trasformandola appunto «in ideologia moralista» e «senza Gesù».

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Conclusione

La via della carità e della giustizia

Federico Ozanam in tutta la sua pur breve esistenza seppe essere innovativo, veramente rivoluzionario , santificandosi come laico che seppe coniugare la sua opera di studioso e letterato ( uomo di pensiero) , preoccupato di cercare e comunicare la verità con rigore e spirito libero ed esigente , con l’impegno in difesa della dignità di ogni persona umana , nel servizio verso i più poveri e nella ricerca della giustizia sociale anche attraverso la strada della politica ( uomo d’azione). Fu in questo coraggioso e perfino audace. Federico è stato un uomo che è saputo andare al cuore del Vangelo, interpretando le esigenze di carità e di giustizia della sua epoca , non fermandosi ad una concezione assistenzialista della carità e divenendo uno degli iniziatori del pensiero sociale della Chiesa. E il suo pensiero e la sua opera, così vivi e attuali, sono uno stimolo per noi , per comprendere che siamo chiamati ad avere non solo una carità personale, non solo una carità pratica, ma anche una carità che deve essere sociale e politica. Nel mondo dei poveri di oggi, molte volte non è loro concesso di sedere alla stessa tavola , per condividere i beni di questo mondo, come noi facciamo. E questo non tanto perché essi non vogliono , ma perché le strutture della nostra società non permettono loro di arrivare alla tavola.( rfr P. Gay) Quella della carità sociale e politica è una dimensione della nostra carità, che ancora oggi stenta a svilupparsi. Percorrere ancora oggi “ la via alla casa del povero”, come fece Ozanam con i suoi giovani amici e prima di noi una schiera innumerevole di confratelli e consorelle, significa percorrere i sentieri dell’animo umano nella loro profondità, per andare incontro all’uomo, ad ogni uomo e a tutto l’uomo, per curare le ferite e scaldare i cuori, facendosi protagonisti di una vera rivoluzione d’amore. Poiché oggi, come dice Papa Francesco , vi è una vera emergenza uomo: la persona umana è

in pericolo. ! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. Voglio concludere con un brano tratto da un discorso di Papa Francesco: “ Cercate di essere sguardo che accoglie , mano che solleva e accompagna, parola di conforta ,

abbraccio di tenerezza.

La vostra opera è ministero di consolazione.

Continuate a donare tempo , sorriso e amore ai fratelli e alle sorelle che ne hanno bisogno.

Ogni persona povera, malata e fragile possa vedere nel vostro volto il volto di Gesù , e anche voi

possiate riconoscere nella persona sofferente la carne di Cristo.”

Page 13: La via alla casa del povero

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SPUNTI PER LA RIFLESSIONE

1. Voi, operatori, volontari, benefattori, che non donate solo qualcosa o del tempo, ma che cercate di entrare in relazione con i poveri riconoscendoli come persone, impegnandovi a trovare risposte concrete ai loro bisogni. Tenere sempre viva la speranza! Aiutate a recuperare la fiducia! Mostrate che con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro - ancora di più -, si può avere ancora un futuro! ( Ozanam: “ … Salire alle soffitte del povero, sedersi al suo capezzale, soffrire il freddo che egli

soffre, strappare con l’effusione di un amichevole colloquio il segreto del suo animo desolato.” )

2. I poveri sono anche maestri privilegiati della nostra conoscenza di Dio. La loro fragilità e la loro semplicità smascherano i nostri egoismi, le nostre false sicurezze, le nostre pretese di autosufficienza e ci guidano all’ esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio, a ricevere nella nostra vita il suo amore, la sua misericordia di Padre che , con discrezione e paziente fiducia, si prende cura di noi, di tutti noi. ( Ozanam: “Voi siete i nostri maestri e padroni e noi saremo i vostri servitori, vo i siete per noi

l'immagine sacra di quel Dio che non vediamo, e non sapendolo amare in altro modo, noi l'ameremo

nella vostra persona" )

3. La sola accoglienza non basta. Non basta dare un panino se non è accompagnato dalla possibilità di imparare a camminare con le proprie gambe. La carità che lascia il povero

così com’è non è sufficiente. La misericordia vera, quella che Dio ci dona e ci insegna, chiede la giustizia, chiede che il povero trovi la strada per non essere più tale. ( Ozanam: ““ L’assistenza che umilia quando si preoccupa soltanto di garantire le necessità

terrene dell’uomo, onora quando al pane che nutre aggiunge la visita che consola,il consiglio che

illumina,la stretta di mano che solleva dall’abbattimento”)

4. Servire, accompagnare vuol dire anche difendere, vuol dire mettersi dalla parte di chi è

più debole. Quante volte non sappiamo o non vogliamo dare voce alla voce di chi ha sofferto e soffre, di chi ha visto calpestare i propri diritti, di chi ha vissuto tanta violenza che ha soffocato anche il desiderio di avere giustizia!

INTERROGHIAMOCI

- Mi chino su chi è in difficoltà , non solo per soccorrere il suo bisogno , ma soprattutto , per prendermi cura di lui , aprendomi all’incontro vero con l’altro come persona , come fratello, , oppure ho paura di sporcarmi le mani , di mettermi in gioco, di condividere la responsabilità del suo destino , facendogli spazio nella mia vita , accogliendolo veramente ? Come viviamo questa dimensione nella Conferenza ?

- So servire gli altri come Cristo che è venuto per servire fino a donare la sua vita , fino al martirio d’amore ? Riesco ad essere davvero “ buon amico di tutti “?

- Che cosa facciamo perché la Conferenza sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l’amore di Dio che rinnova la vita?

- Il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero , di chi ha fame! Affronto seriamente questa problematica, cercando di attuare uno stile sobrio ed essenziale di vita, che sconfigga la cultura dello spreco e dello scarto ?