La vera differenza Emmanuel Macron: quanto conta l’immagine · della pillola abortiva Ru486....

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Direttore ARTURO DIACONALE Martedì 25 Aprile 2017 Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 79 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORME ED I DIRITTI UMANI delle Libertà RAPONI A PAGINA 7 “Il viaggio di Enea”, umanità in movimento CULTURA SOLA A PAGINA 5 Ultimo tango a Parigi: affonda la Quinta Repubblica ESTERI MELLINI A PAGINA 3 Migranti, terroristi, intolleranti, ignoranti PRIMO PIANO La vera differenza tra Francia e Italia È una sfida dall’esito quasi scontato quella tra Emma- nuel Macron e Marine Le Pen. Il “quasi” riguarda un margine d’incertezza infinitesimale, ma che non può essere escluso a priori. Se l’intera sinistra e parte dei “Les Repubblicains” di Fillon confluisse sulla Le Pen , la candidata del Front National potrebbe scavalcare Macron e vincere la battaglia per l’Eliseo. Ma l’ipotesi è solo di scuola e su di essa nessuno sarebbe disposto a scommet- tere cinquanta centesimi. Il realismo, quindi, spinge a considerare il leader di “En Marche!” più che favorito. Ed è su questa base che si deve va- lutare il grado di emulazione e di trascinamento che il risul- tato delle elezioni francesi potrà avere su quelle italiane del prossimo anno (o del pros- simo autunno). Al momento un Macron italiano non esiste. di ARTURO DIACONALE Emmanuel Macron: quanto conta l’immagine Q ueste presidenziali fran- cesi pongono l’ennesima domanda: in politica, conta l’immagine? È fin troppo facile rispondere che il problema è più complesso, anche perché lo è davvero. Ma nella com- plessità di una gara a cinque, fra cui una bella donna quasi cinquantenne, la questione dell’immagine non è affatto se- condaria. Non è che qui si vo- glia stabilire a chi sia piaciuto o piaccia Emmanuel Macron, benché a leggere le Borse di Parigi e Milano la vittoria per due punti su Marine Le Pen ha contato, eccome, nei mercati e, come si dice, dalle parti della “gauche”, nei poteri forti. E si capisce pure che la scomparsa simultanea dei socialisti e dei gollisti non può non aver av- vantaggiato il nuovissimo can- didato, banchiere e già ministro di un François Hol- lande che non soltanto non si è ripresentato... Continua a pagina 2 Il populismo sfascista non paga E ra appena uscito il primo exit poll, relativo al primo turno delle presidenziali fran- cesi, e il candidato repubbli- cano François Fillon ha dimostrato grande spessore politico, pronunciando una chiara indicazione politica: “L’estremismo porta solo di- sgrazie e divisioni - ha esordito rivolgendosi ai suoi elettori - per questo vi chiedo di restare uniti e determinati dobbiamo scegliere chi è preferibile, l’astensione non fa parte dei miei geni, soprattutto quando c’è un partito estremista, co- nosciuto per la sua violenza e l’intolleranza. Il suo pro- gramma porterebbe il Paese al fallimento, aggiungerebbe caos all’Europa. Non c’è altra scelta che votare Emmanuel Macron”. Un discorso da vero stati- sta, da politico responsabile che esprime una grandeur au- tentica, lontana anni luce... di PAOLO PILLITTERI Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 SANTORI A PAGINA 2 La Chiesa e Grillo: il generale predica bene ma la truppa razzola male POLITICA TAWIL A PAGINA 4 Palestinesi: sciopero della fame o fumo negli occhi? ESTERI Lezione francese per il centrodestra Le divisioni dell’area moderata in Francia e il mancato sfondamento elettorale di Marine Le Pen indicano che in Italia il centrodestra può vincere solamente se unito e se a guida liberale di CLAUDIO ROMITI

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Direttore ARTURO DIACONALE Martedì 25 Aprile 2017Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 79 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORME ED I DIRITTI UMANI

delle Libertà

RAPONI A PAGINA 7

“Il viaggio di Enea”, umanità in movimento

CULTURA

SOLA A PAGINA 5

Ultimo tango a Parigi: affonda la Quinta Repubblica

ESTERI

MELLINI A PAGINA 3

Migranti, terroristi,intolleranti, ignoranti

PRIMO PIANO

La vera differenza tra Francia e Italia

Èuna sfida dall’esito quasiscontato quella tra Emma-

nuel Macron e Marine Le Pen.Il “quasi” riguarda un margined’incertezza infinitesimale, mache non può essere escluso apriori. Se l’intera sinistra eparte dei “Les Repubblicains”di Fillon confluisse sulla LePen , la candidata del FrontNational potrebbe scavalcareMacron e vincere la battagliaper l’Eliseo. Ma l’ipotesi è solodi scuola e su di essa nessunosarebbe disposto a scommet-tere cinquanta centesimi.

Il realismo, quindi, spinge aconsiderare il leader di “EnMarche!” più che favorito. Ed

è su questa base che si deve va-lutare il grado di emulazione edi trascinamento che il risul-tato delle elezioni francesipotrà avere su quelle italianedel prossimo anno (o del pros-simo autunno).

Al momento un Macronitaliano non esiste.

di ARTURO DIACONALE

Emmanuel Macron: quanto conta l’immagine

Queste presidenziali fran-cesi pongono l’ennesima

domanda: in politica, contal’immagine? È fin troppo facilerispondere che il problema èpiù complesso, anche perchélo è davvero. Ma nella com-plessità di una gara a cinque,fra cui una bella donna quasicinquantenne, la questionedell’immagine non è affatto se-condaria. Non è che qui si vo-glia stabilire a chi sia piaciutoo piaccia Emmanuel Macron,benché a leggere le Borse diParigi e Milano la vittoria perdue punti su Marine Le Pen hacontato, eccome, nei mercati e,come si dice, dalle parti della

“gauche”, nei poteri forti. E sicapisce pure che la scomparsasimultanea dei socialisti e deigollisti non può non aver av-vantaggiato il nuovissimo can-didato, banchiere e giàministro di un François Hol-lande che non soltanto non si èripresentato...

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Il populismo sfascistanon paga

Era appena uscito il primoexit poll, relativo al primo

turno delle presidenziali fran-cesi, e il candidato repubbli-cano François Fillon hadimostrato grande spessorepolitico, pronunciando unachiara indicazione politica:“L’estremismo porta solo di-sgrazie e divisioni - ha esorditorivolgendosi ai suoi elettori -per questo vi chiedo di restareuniti e determinati dobbiamoscegliere chi è preferibile,l’astensione non fa parte deimiei geni, soprattutto quandoc’è un partito estremista, co-nosciuto per la sua violenza el’intolleranza. Il suo pro-

gramma porterebbe il Paeseal fallimento, aggiungerebbecaos all’Europa. Non c’è altrascelta che votare EmmanuelMacron”.

Un discorso da vero stati-sta, da politico responsabileche esprime una grandeur au-tentica, lontana anni luce...

di PAOLO PILLITTERI

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SANTORI A PAGINA 2

La Chiesa e Grillo: il generale predica bene

ma la truppa razzola male

POLITICA

TAWIL A PAGINA 4

Palestinesi: sciopero della fame o fumo negli occhi?

ESTERI

Lezione francese per il centrodestraLe divisioni dell’area moderata in Francia e il mancato sfondamento elettorale di Marine Le Penindicano che in Italia il centrodestra può vincere solamente se unito e se a guida liberale

di CLAUDIO ROMITI

In questi giorni leggiamo di un avvi-cinamento al mondo cattolico del

Movimento 5 Stelle guidato da BeppeGrillo. A riprova di questa simpatia cisarebbero diversi indizi. Il più impor-tante sembrerebbe essere la recente in-tervista rilasciata dal leader grillino alquotidiano cattolico Avvenire. E l’in-tervento del direttore del quotidianodella Cei, Marco Tarquinio, sulle pa-gine del Corriere della Sera a spiegarela decisione di ospitare il fondatore delM5S, illustrando anche i punti di sin-tesi e raccordo tra grillini e alcune po-sizioni d’Oltretevere.

Questo è forse il momento più altofin qui registrato di questa sintonia, egiunge dopo alcune puntate prece-denti che hanno visto la sindaca diRoma, Virginia Raggi, partecipare adappuntamenti ufficiali come la messadi Natale nell’Ostello della Caritas dialcuni mesi fa o, più di recente, l’ini-ziativa appena annunciata di una ma-ratona interreligiosa per le strade diRoma, la Via Pacis, con la missione dipromuovere la conoscenza della ric-chezza culturale e religiosa della città.

Eppure, i dubbi sull’opportunità diun accostamento tra il mondo catto-lico e quello grillino sono tanti, e tro-vano giustificazione nelle tanteiniziative del M5S nelle istituzioni incui i suoi rappresentanti sono presenti,come nella Regione Lazio dove anchelo scrivente è eletto, contrastanti conil fondamento della Famiglia così caroal Vaticano e alla dottrina cattolica.

Proprio alla Pisana, sede del Consi-

glio regionale del Lazio, il primo attopresentato dal gruppo consiliare delM5S fu la proposta di legge datata 19giugno 2013 che aveva per titolo “Mi-sure contro le discriminazioni deter-minate dall’orientamento sessuale odell’identità di genere e per la tuteladei diritti derivanti dalle convivenzeaffettive”, nel cui dispositivo si pro-poneva, tra i principi fondamentali,l’istituzione del registro delle Unionicivili presso la Regione, contro quellediscriminazioni determinate dal-l’orientamento sessuale o identità digenere. Di lì a un mese, il 19 lugliodello stesso anno, il gruppo prendevaparte a un convegno Lgbt organizzatoin Regione, a riconferma della totale

adesione a un mondo chenon è propriamente assi-milabile alla visione catto-lica soprattutto riguardoalla famiglia naturale, piùvolte ribadita anche daiquotidiani più vicini alVaticano, ovvero quellacomposta da un padre,una madre e dai figli cheil Signore donerà loro. Lostesso avviene quotidiana-mente nei Municipi ro-mani e nei Comuni del

territorio nazionale dove le posizionidei rappresentanti del Movimento 5Stelle sono chiare e documentate a fa-vore di matrimonio gay e adozione daparte delle coppie gay, eutanasia, fe-condazione eterologa, legalizzazionedelle droghe leggere, sperimentazionedella pillola abortiva Ru486. In-somma, il generale tenta di arraffarevoti predicando bene ma poi la truppanelle istituzioni predica male proprioin contrapposizione alla dottrina dellaChiesa.

Senza volere scomodare, inoltre, leultime eminenti riflessioni di grandipensatori cattolici di riferimento su eu-tanasia e aborto, rispetto alle quali leposizioni del M5S sono assolutamente

divergenti: le prime volte alla tuteladella vita, le seconde più orientate al ni-chilismo in nome della laica autodeter-minazione dell’essere umano. Proprioin difesa della famiglia naturale, in oc-casione della legge di stabilità 2016 va-rata dalla Regione Lazio, il gruppo diFratelli d’Italia e con il sottoscrittoprimo firmatario aveva presentato unordine del giorno volto a promuovere“Iniziative per la tutela della famiglianaturale. Misure a contrasto della dif-fusione della teoria gender”. Un’inizia-tiva che voleva sottolineare la necessità,ispirata da solidi valori cattolici di rife-rimento, di introdurre un “Fattore Fa-miglia” quale criterio a sostegno dellepolitiche di reddito a sostegno delle fa-miglie laziali; la valorizzazione delladifferenza sessuale e complementaritàbiologica, funzionale e sociale che neconsegue; una Festa della Famiglia na-turale, fondata sull’unione tra uomo edonna. Questa proposta, ovviamente,è stata avversata dalla sinistra allaquale si è aggiunto proprio il Movi-mento 5 Stelle, che ha votato in ma-niera contraria.

Queste evidenti distanze ideologi-che, suffragate dagli atti che quotidia-namente gli eletti del Movimento 5Stelle compiono nelle istituzioni, con-

trastano in maniera evidente con le in-tenzioni e le parole del loro leaderBeppe Grillo. Queste aperture, inoltre,creano scoramento e confusione in chiquei valori li continua a difendere tuttii giorni in aula senza mai aver trovatosostegno e affidamento nel M5S. Nedobbiamo evincere che il tentativo daparte del mondo grillino di agganciarequello cattolico, è solo una pateticamanovra volta a irretire e sedurre unelettorato naturalmente distante dacerte posizioni e idee.

Come possono convivere dirittoalla vita e diritto alla morte? Pillolaabortiva, fecondazione eterologa efigli nati dal matrimonio tra un uomoe una donna? Famiglia naturale, ma-trimoni gay o cultura gender? Interru-zione di gravidanza e tutela delnascituro?

È chiaro che identità talmente di-stanti sui temi etici non sono fatte percamminare nella stessa direzione, masono antitetiche l’una all’altra. Il resto,le parole di Grillo e la sua “conver-sione” sulla via di Damasco, sono soloun imbroglio a fini elettorali.

(*) Consigliere regionale del Lazio e membro dell’Assemblea nazionale

di Fratelli d’Italia

zione a catena che scaturirebbe dalla vittorialepenista, farebbe esplodere i tassi d’interessesul debito, renderebbe quasi impossibile tro-vare nuovi finanziatori disposti a scommetteresull’Italia, mentre il risparmio andrebbe lette-ralmente in fumo.

Che ci piaccia o meno, la precaria stabilitàfinanziaria dell’Italia dipende in gran partedalla nostra permanenza nell’Euro, consenten-doci di rifinanziare un debito pubblico a tassimolto contenuti. Inoltre la credibilità di cuigode la moneta unica nel mondo, conferen-done un alto potere acquisitivo, ci consenteenormi vantaggi sul mercato delle materieprime e dei beni importati, facendoci restaresaldamente ancorati al circuito internazionaledei prestiti. Tutto questo, con una Le Pen che fasaltare il banco degli equilibri continentali conil suo sfascismo demagogico, diventerebbe ra-pidamente un lontano ricordo, proiettandol’Italia verso traumatiche esperienze comequelle che stanno vivendo i cittadini di Argen-tina e Venezuela.

In politica si può accettare una certa dose dicinismo e di strumentalità, tuttavia farlo sullabase di uno scenario, quello di una rottura in-controllata della zona Euro che ci porterebberapidamente nel baratro del fallimento, apparesintomo di una totale mancanza di visione e diresponsabilità.

CLaUDio roMiti

2 L’oPinionE delle Libertà martedì 25 aprile 2017Politica

la Francia moderata e spaventata, non soltantodal terrorismo islamico ma dalla radicalità le-penista, necessita di un volto calmo e rassicu-rante, centrista ma guardando a sinistra,giovane ma con non poca esperienza privata epolitica.

Eppure quei due punti in più rispetto allaMarine Le Pen ci dicono qualcosa che ha a chefare con il coté privato e con l’immagine di Em-manuel Macron; intendendo per immaginel’assetto squisitamente mediatico e la perce-zione nel “popolo” della sua figura per dir cosìesterna, fotografata, passata in televisione e neimedia, compresi quelli dei gossip. Si parlava divolto rassicurante. Il volto, per l’appunto quellotrasmesso dai media, ha giocato un ruolo im-portante insieme - se non di più - alla storia pri-vata di Macron che, a sua volta, accentua i latimediatici con i pettegolezzi, così da costituireun unicum che ha pochi uguali, almeno in que-sta competizione d’Oltralpe. Innanzitutto Ma-cron è bello (rispetto a tutti gli altri), parla benee, pur non essendo un Cicerone, ha puntato suuno slogan di fondo semplicissimo perché chia-rissimo: “production, competition, Europe”.Certo, è un contenuto politico, ma la dice lungasulla non del tutto esplicita posizione altrui,adeccezione della Le Pen che, con la sua impo-stazione di estrema destra, si è collocata perl’appunto all’opposto, mostrando come e qual-mente il dualismo - facilitato da un sistema elet-torale da importare da noi, ma ne dubitiamofortemente - sia l’avventura elettorale più en-tusiasmante persino per una Francia non messaproprio bene.

Macron e la Le Pen sono due candidati fisi-camente belli e la donna, una donna, parte co-munque in vantaggio proprio in quanto donna.E per di più con una storia familiare in cui larottura col padre l’ha sollevata dal fascismotout court spingendola piuttosto in un clima davecchia Oas (Organisation de l’armée secrète)con spot non meno chiari dell’avversario “so-vranismo, protezionismo, no Europa, noEuro”. Macron possiede tuttavia un surplusmediatico che sta nella sua storia personale:sposato con Brigitte Trogneux (ultrasessan-tenne) e nei tanti gossip che l’accompagnanotuttora, a cominciare dalla sopposta omoses-sualità per la sua “amicizia” con Mathieu Gal-let, presidente di “Radio France”, e con PierreBergé. Macron era un liceale quindicenne conuna professoressa, la Trogneux appunto, già le-gata in un matrimonio e con la quale in pochianni nacque l’amore. Lo “scandalo” di un nonancora quarantenne oggi sposato con una ul-trasessantenne ha ulteriormente giovato a Em-

segue dalla prima

...Chi azzarda paragoni con Matteo Renzi nontiene conto che l’ex premier nostrano si appre-sta a tornare alla segreteria del Partito Demo-cratico, cioè di un partito che si porta sullespalle l’eredità di una storia di sinistra in granparte simile a quella del Partito Socialista diFrançois Hollande. Se dunque un effetto puòavere il voto francese sulla situazione politicaitaliana è certo che non si tratta dell’identifica-zione di Renzi con Macron, ma quella del Pdcon il Partito Socialista Francese. Con conse-guente rischio di crisi per la sinistra renziana.

Ma se un Macron italiano non c’è, esiste chipunta ad avere lo stesso ruolo della Le Pen nelnostro Paese. Cioè il leader della Lega, MatteoSalvini. Al quale, però, l’esperienza della Fran-cia dovrebbe insegnare che in un grande Paesea tradizione democratica, come sono la Fran-cia e anche l’Italia, è quasi impossibile conqui-stare il governo mantenendo delle posizioniposte agli estremi del quadro politico nazio-nale.

La leader del Front Nazional difficilmentepotrà entrare all’Eliseo da vincitrice. Malgradoabbia ripudiato il padre e punti a dare una co-loritura di sinistra al suo populismo integrale.Questo dato di fatto dovrebbe spingere Salvinia riflettere sul suo tentativo di essere l’espres-sione del lepenismo italiano e a ragionare che,in Italia come in Francia, si può vincere la bat-taglia per il governo solo da posizioni mode-rate d’ispirazione liberale e riformatrice.

Nel nostro Paese le forze che si contrappon-gono alla sinistra e al grillismo hanno ungrande vantaggio sulle omologhe forze politi-che francesi. Alle spalle hanno vent’anni non dicontrapposizione, come quella tra il Front Na-zionale e i gollisti, ma l’unità dell’intero cen-trodestra. Chi punterà su questa differenza traFrancia e Italia potrà vincere le elezioni delprossimo anno (o del prossimo autunno)!

artUro DiaConaLE

...ma non ha fatto nemmeno votare per Ma-cron lasciando comunque intendere che nonvoleva danneggiarlo nel primo turno. Ed è per-sino ovvio constatare che nella corsa all’Eliseo

manuel Macron in questa tornata, se è verocome è vero che lui stesso ha reso sempre piùvisibile mediaticamente, fino al bacio pubblicodell’altra sera, quella disparità d’età che ha nonsolo attirato l’attenzione in sé e per sé, ma haspinto simpatie nuove a un Macron il cui scopoessenziale era ed è di evitare una vittoria lepe-nista con tutto quel che segue.

Ben lontana dal rappresentare un’ecceziona-lità rischiosa nel giudizio della grande panciafrancese, la coppia Brigitte-Emmanuel ha mo-strato, al contrario, un richiamo tranquilliz-zante, una sorta di messaggio oltre lasentimentale unione felice, verso una stabilitàper dir così politica. Chi di noi non ha avuto ti-more di un’affermazione clamorosa di un ultra-destra, data per di più vincente dopo CharlieHebdo e l’assassinio di qualche giorno fa delpovero poliziotto nel cuore di Parigi? Chi nonha ragionato sul ruolo della paura su un eletto-rato sospinto automaticamente verso l’autori-tarismo e l’antipolitica?

Il dato di oggi, ma non è detto che fra duesettimane valga il principio del repetita iuvantin un’Europa dove la minaccia dell’ideologiaterroristica islamica potrebbe provocare fatti edanni clamorosi, è che la Francia profonda nonè su una direzione reattiva unica, anzi. Nonsolo, ma Macron ha compiuto una campagnamediatica facendo di necessità virtù, compresaun’unione matrimoniale a dire di molti strava-gante perché rara, eccezionale, ma non per isentimenti. La loro sottolineatura forse nonpiacerà ai giovani yuppies della “gauche” e puredella “droite”, ma oggi ha funzionato. Domani,chissà...

PaoLo PiLLittEri

...da quella assolutamente insensata portataavanti da Marine Le Pen e alla quale, ahinoi, siispira una buona parte della destra italiana edell’informazione della medesima area. So-prattutto per un Paese economicamente e fi-nanziariamente sempre in bilico come il nostro,fare il tifo per la vittoria del Front Nationalequivale, per dirla fuor di metafora, a quel ma-rito che per fare un dispetto alla moglie si re-cide i testicoli.

Per farla breve, il trionfo dei sovranisti fran-cesi causerebbe l’inevitabile rottura della zonaEuro, con tutta una serie di devastanti conse-guenze per l’Italia. E non bisogna essere deigeni per comprendere che una uscita trauma-tica dalla moneta unica, determinata dalla rea-

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Il populismo sfascista non paga

Emmanuel Macron: quanto conta l’immagine

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La Chiesa e Grillo: il generalepredica bene ma la truppa razzola male

di Fabrizio Santori (*)

3l’oPinione delle libertàPrimo Pianomartedì 25 aprile 2017

Siamo ad oltre settant’anni dallafine della Seconda guerra mon-

diale e, puntuale come una colica re-nale, arriva il solito pistolottodell’Associazione Nazionale Parti-giani d’Italia (Anpi) sull’attualità del-l’antifascismo, sulle ragioni dellalibertà guadagnata eroicamente con-tro la tirannia nera, sulla purezza deisentimenti che ardevano nel pettodelle anime belle partigiane con pro-saico sventolio finale di finti pericoliautoritari e xenofobi che, come diconsuetudine, ogni anno sono sem-pre dietro l’angolo e non vanno sot-tovalutati. È una liturgia stanca cheipocritamente viene perpetuata dianno in anno e che ormai contienemolteplici elementi che svariano trail grottesco e l’antistorico.

Sarebbe troppo facile ripercorrerele vicende patrie toccando argomentisottaciuti fino all’altro ieri perchéstridenti con la narrazione delle gestaeroiche dei Partigiani (ci riferiamo aldramma delle foibe o ai molteplicicasi di sterminio e violenza ben de-scritti da Giampaolo Pansa), ma nonlo faremo per non alimentare qual-cosa che somiglia più a una zuffa dapiazza del Sessantotto che a un di-battito storico. Quello che appare as-surdo è che a distanza di settantadueanni dalla fine della guerra ci sia an-cora qualcuno pronto a farci credereche le ragioni della resistenza sianoda celebrare perché attuali e chel’Anpi sia un’associazione viva e at-tiva nella società.

A dire il vero di Partigiani ancorain vita ce ne sono pochini e sonodegli attempati vecchietti alla sogliadei cento anni impegnati a combat-tere la loro personale guerra col

tempo che passa. Ragion per cui nonsi capisce proprio chi pretenda dirappresentare una associazione com-posta in maggioranza da gente cheper fortuna la guerra non l’ha vistama fa solo reducismo antifascista diprofessione.

Invece, con la solita disinvoltura,costoro continuano a menarla conroba successa nella prima metà delNovecento riesumandola per conve-nienza con il solo fine di guadagnarsivisibilità e consenso il 25 aprile perpoi amministrarlo tutto l’anno po-nendo veti, dando patenti di presen-tabilità o dando e togliendo agibilitàpolitica. Peccato che, da quando ab-biamo memoria, delle loro fantoma-tiche festanti celebrazioni non si ha

ricordo perché le loro manifestazionisono sempre state un tripudio diodio verso i vinti misto a campanili-smo da derby di calcio senza un bar-lume di spirito di pacificazionenazionale o di rievocazione compo-sta di una tragedia.

Il livore e il disprezzo verso chi le-gittimamente combatté per ciò chereputava giusto non riesce a esseretenuto a freno e nemmeno la insa-ziabile voglia di mettere la mordac-chia a chi viene reputato un nemicopolitico e quindi etichettato generi-camente come fascista in una confu-sione puramente voluta tra passato epresente. Ieri Silvio Berlusconi era unpericoloso fascista, oggi lo sarà Ma-rine Le Pen, domani lo sarà Matteo

Salvini perché contro l’immigrazioneselvaggia e magari lo sarà ancheGiorgia Meloni che è nata nel 1977e il fascismo forse lo avrà visto incartolina.

Si tratta di pura retorica dell’anti-fascismo, un frullato di storia e di at-tualità montato con il solo intento dirivendicare con arroganza il merito(in gran parte degli Alleati) di averfatto l’Italia e per questo di poter de-cidere oggi chi può parlare e chi in-vece è fascista. Giocano a fare idemocratici ma sono naturalmentedotati di un indomabile spirito divi-sivo che per sopravvivere si ostina anon consegnare alla storia una vi-cenda dolorosa, impedendo che av-venga l’agognata pacificazione

indipendentementeda chi avesse torto oragione. E lo spiritodivisivo emerge pre-potentemente anchenei confronti dellealtre componenti par-tigiane come a volerriaffermare con forzail sospetto che i com-battenti comunisti nel1945 non avessero acuore la libertà mavolessero solo abbat-tere una dittatura perimporne una nuovadi segno opposto.

Adesso i signoridell’Anpi, non po-tendo prendersela conle destre al governo,hanno deciso di but-tare giù dalla torre laBrigata Ebraica pen-sando bene di farloro l’affronto di in-vitare al corteo del

25 aprile una delegazione filo pale-stinese per evidenti questioni di ca-rattere ideologico. Pronta la reazionedelle comunità ebraiche che proprionon ci stanno a sfilare con gli eredidel Gran Mufti di Gerusalemme chesi alleò con Hitler e che si sono resiresponsabili di ripetute aggressioni,avvenute negli anni passati, ai dannidei rappresentanti della BrigataEbraica. Non si è fatta attendereneppure la reazione del Partito De-mocratico, che si guarda bene dalfare uno sgarbo agli amici ebrei e chequindi diserterà la manifestazionementre molto più democristiana-mente la sindaca Virginia Raggi e lasinistra “de lotta” si sciropperannotutte e due le manifestazioni per nonpestare i calli a nessuno.

Il Gran Mufti? I Palestinesi? Il na-zifascismo? La Resistenza? Siamo nel2017 e tutto questo odio basato suvicende accadute quasi cento anniorsono non fa bene a nessuno ed èun fatto tutto italiano.

Avete mai visto Danimarca, Nor-vegia, Olanda, Belgio, Lussemburgoe Francia manifestare per l’invasionetedesca del 1940? Pensate che i tede-schi dell’ex Germania Est siano incollera con i Russi per l’occupazionedi Berlino del 1945 nonostante siaterminata da pochi decenni? O cre-dete che gli Ungheresi manifestinoancora il loro sdegno per l’invasionesovietica del 1956 che tanto piacquea Giorgio Napolitano?

Si tratta di Nazioni proiettateverso il futuro che non hanno biso-gno di mezzucci pseudo ideologici odi campare col torcicollo. Hannoaltro da fare e si vede. Purtroppoanche quest’anno la Corazzata Po-tëmkin dovremo sorbircela noi. Bellaciao.

25 Aprile, anche quest’anno la Corazzata Potëmkin

C’è un fenomeno della vita delPianeta e dell’Europa in parti-

colare, che incombe sull’Italia, che neè uno dei punti di più alta criticità eche l’Europa non sembra voler con-siderare per quello che è, cioè il piùrilevante, tragico e complesso che inItalia, più che altrove, viene affron-tato (ma potremmo dire benissimo“non affrontato”) perché ci rifu-giamo nelle astrattezze moraleggiantio nella vellicazione degli aspetti piùepidermici, degli episodici in cui sipresenta.

Siamo in prima linea di fronte al-l’ondata migratoria dei Paesi chechiamavamo il “Terzo Mondo” eche, volendo proprio ricorrere allastoria, dovremo dire ex coloniali.Siamo, finora, un Paese risparmiatodagli assalti terroristici; fenomeno,piaccia o non piaccia, connesso alprimo. Un crocevia, assai probabil-mente, del movimento dei terroristiin azione in Europa. Siamo la porti-neria “accogliente” di un’Europa cheassai meno di noi è disposta ad af-frontare la questione secondo leastrattezze e le prediche di soluzioniideali.

Siamo, soprattutto, un Paese incui le idee e gli atteggiamenti praticirelativi a tutto ciò restano aggrovi-gliati ed affrontati alla giornata,mentre sembra che a noi spetti il pri-mato delle retoriche e dell’ignoranzaimprevidente su ciò che tutto questosignifica e comporta. Concetti come:accoglienza, società multietnica, di-versità, terrorismo, guerra, integra-zione, vengono facilmente usati avanvera, con notazioni che variano aseconda delle fasi e delle occasioni,

senza tenere mai conto delle connes-sioni che l’una cosa ha con le altre,così che ognuno di questi termini (edel modo di considerare i relativiproblemi) ne risulti deformato e de-viato.

Prendiamo il termine “acco-glienza”, alla cui diffusione e assun-zione a canone e dogma del“politicamente corretto” molta re-sponsabilità è quella che ne porta ilPapa Bergoglio. Nella sua astrattezzae mancanza di opportune precisa-zioni, limiti, condizioni, il termineequivale a quello del dovere di ar-rendersi anche di fronte a un’inva-sione, e, anzi, la fine del concetto

stesso di appartenenza di un territo-rio a un popolo, se non dello stessoconcetto di “popolo”, “nazione”,ecc..

L’“accoglienza” delle prediche delPapa populista è, del resto, nella suaastrattezza, non meno crudele dellainsensibilità totale di fronte a trage-die di certi popoli. E profondamenteingiusta moralmente. L’astrattezza,così concepita, ad esempio, com-porta che il dovere relativo faccia ca-rico su una parte dell’umanità,mentre la morale di Bergoglio com-porta e presuppone che si tratta diun dovere di tutti gli uomini versotutti gli altri. Mi spiego: se non si dà

per scontata la necessità di porre li-miti, filtri, difese contro il flusso mi-gratorio, si arriva a concepire il“dovere dell’accoglienza” come con-dizionato solo dalla geografia.

I cosiddetti “migranti africani emedio-orientali” sbarcano in Italia enon in Giappone o in Argentina. Ildovere dell’accoglienza, comunque sivoglia fondarlo, non può incomberesugli italiani più che sui giapponesi esugli argentini. È chiaro che, per-tanto, ogni astrattezza è ipocrita epericolosa. Altra cosa, benché con-nessa, è quella della società multiet-nica e dell’integrazione (terminiabbastanza evidentemente non solo

non coincidenti, ma confliggenti).Una società “multietnica” non pre-suppone affatto l’“integrazione”delle varie etnie, e anzi, nella suaespressione più netta, la esclude.

Ma, soprattutto, se si vuole par-lare di “integrazione” degli immi-grati, in qualsiasi senso e a qualsiasilivello, occorre porsi il problema dellimite dell’immigrazione, tanto piùdifficile (e inutile) essendo l’integra-zione di frazioni troppo consistentedi stranieri immigrati. Non solo: masi pone e con carattere prioritariol’esigenza di una selezione (la chia-mino pure “discriminazione”) traetnie ed etnie non essendo concepi-bile una “integrazione generale”.

Analogo discorso vale per quelche riguarda la cosiddetta “acco-glienza” e il terrorismo. Chi parla esostiene l’“accoglienza”, in genererespinge una soluzione non formaleed ancor più il rimpatrio degli “ac-colti”, come pure l’eliminazione oanche la persecuzione dei clandestini.Tanto vale limitare la lotta al terro-rismo al conflitto a fuoco dopo gliattentati, rinunciando a ogni genera-lizzata ed efficace prevenzione.

Se è del tutto evidente che il ter-rorismo non si combatte espellendoi musulmani e impedendo che ne ar-rivino altri, è altrettanto evidenteche con una politica di “acco-glienza” indiscriminata e di rinunziaanzitutto, alla repressione della pre-senza di clandestini, è assai difficileche possa essere imbastita un’effi-cace azione di contrasto, preven-zione e repressione del terrorismo.Che, non lo dimentichiamo, da unmomento all’altro potrà estendere lesue sanguinose aggressioni qui tranoi in Italia.

Migranti, terroristi, intolleranti, ignorantidi Mauro Mellini

di Vito MassiMano

Ipalestinesi hanno un’abitudine ra-dicata di regolare i conti interniconcentrando il loro malcontento ela violenza su Israele. Questa prassiè chiara a coloro che hanno seguitonegli ultimi decenni gli sviluppi inambito palestinese ed è parte inte-grante della strategia palestinesevolta a minare, isolare, delegitti-mare e distruggere Israele. Ma co-loro che conoscono meno la culturae le tattiche palestinesi hanno diffi-coltà a comprendere la mentalitàpalestinese. Le autorità di Washin-gton, Londra, Parigi e di altre capi-tali occidentali raramenteincontrano il palestinese medio, cherappresenta la voce autentica deipalestinesi.Piuttosto, questi funzionari in-

contrano i politici e gli accademicipalestinesi di Ramallah – gli“esperti” che in realtà non sonoaltro che truffatori. Questi palesti-nesi capiscono molto bene la men-talità occidentale e utilizzanoquesto per abbindolare i funzionarioccidentali come vogliono.La reazione occidentale allo scio-

pero della fame indetto il 17 apriledai palestinesi detenuti nelle carceriisraeliane è un esempio calzante. Losciopero è stato organizzato daMarwan Barghouti, un alto diri-gente di Fatah, che sta scontandouna condanna a cinque ergastoliper il ruolo avuto in una serie di at-tacchi terroristici contro civili israe-liani. Barghouti è in carcere da 15anni.Va notato che, nonostante il

lungo periodo di reclusione, questoè il primo sciopero della fame in-detto da Barghouti, malgrado lepessime condizioni di detenzioneche lo hanno presumibilmentespinto a intraprendere questa ini-ziativa. Oppure potrebbe esserciqualche altro fattore dietro l’im-provviso e profondo disagio di Bar-ghouti?In realtà, lo sciopero della fame

non è affatto correlato alle condi-zioni di vita nelle carceri israeliane.Piuttosto, esso è direttamente colle-gato alla lotta di potere che infuriada tempo all’interno della fazionedi Fatah. Più che una mossa controIsraele, questo digiuno a oltranzalancia un messaggio rivolto al pre-

sidente dell’Autorità palestinese(Ap) Mahmoud Abbas (che è anchepresidente di Fatah). Lo scorso novembre, Barghouti è

risultato vincitore delle elezioni in-terne di Fatah. Il suo status di pri-gioniero e il coinvolgimento nelterrorismo continua ad essere ilprincipale motivo per cui Barghoutiè così popolare tra i palestinesi. Lasua vittoria elettorale avrebbe do-vuto fargli ricoprire il ruolo di nu-mero due dopo Abbas e molti siaspettavano che il presidente del-l’Ap lo nominasse come suo vice.Nel mese di febbraio, però, il Co-

mitato centrale di Fatah, un organi-smo dominato dai fedelissimi diAbbas, ha inferto uno schiaffo aBarghouti, ignorando la sua vitto-ria schiacciante e nominando qual-cun altro (Mahmoud Aloul) comevicepresidente di Fatah. La nominadi Aloul ha fatto infuriare i sosteni-tori di Barghouti, che si sono af-frettati ad accusare Abbas e i suoisostenitori di emarginare il leaderdi Fatah in carcere e di cercare di“seppellirlo”.La moglie di Barghouti, Fadwa,

è arrivata perfino ad accusare

Abbas di “soccombere” alle mi-nacce di Israele. I funzionari israe-liani hanno criticato aspramentel’esito delle elezioni interne diFatah, vinte da Barghouti, definen-dolo come un voto per il terrori-smo. Fadwa Barghouti ha asseritoche il marito si è piazzato al primoposto nelle elezioni “il che significache è il numero due di Fatah. Nonsi può ignorare la posizione di Mar-wan Barghouti”.Non è la prima volta che la mo-

glie del leader di Fatah lancia ac-cuse contro Abbas. In passato, ladonna ha accusato Abbas e la lea-dership dell’Autorità palestinesedi imporre il silenzio stampa susuo marito. In una lettera indiriz-zata al presidente dell’Ap, Fadwaha espresso “rammarico e dolore”per il fatto che Abbas non l’abbiaaiutata nella sua campagna per laliberazione del marito. E ha inol-tre affermato che tanto Fatahquanto la leadership dell’Autoritàpalestinese non hanno elargitofondi a sostegno della campagnaper il rilascio del suo consorte.Non è un segreto che Abbas de-

testi la concorrenza. Dichiara

guerra a chiunque osi sfidare ilsuo potere, soprattutto all’internodella sua stessa fazione Fatah.Mohammed Dahlan, ad esempio,un ex comandante della sicurezzapreventiva dell’Ap nella Striscia diGaza e considerato il nemico nu-mero uno di Abbas, è statoespulso da Fatah su ordine delpresidente dell’Autorità palesti-nese. Dahlan, deputato di Fatah, èstato privato dell’immunità parla-mentare dallo stesso Abbas. At-tualmente vive negli Emirati ArabiUniti, ma è ricercato dal presi-dente dell’Ap perché accusato di“corruzione” e “omicidio”.Barghouti, però, rappresenta

per Abbas un problema imme-diato. Il palestinese medio nontollererà la diffamazione, almenonon in pubblico, di nessun palesti-nese rinchiuso in una prigioneisraeliana. Abbas vede Barghouticome una reale minaccia, soprat-tutto in seguito ai sondaggi di opi-nione che mostrano che Barghoutipotrebbe facilmente vincere qual-siasi elezione presidenziale. Bar-ghouti a piede libero sarebbe unincubo per Abbas.

Pertanto, non c’è altro che odiotra Abbas e Barghouti, i due sonoimpegnati in una lotta di poterecombattuta dietro le quinte. Bar-ghouti vuole succedere ad Abbas,mentre quest’ultimo lavora sodoper emarginarlo. Secondo fontipalestinesi, Abbas non è contentodello sciopero della fame indettoda Barghouti. Egli ritiene che Bar-ghouti stia cercando di rubargli laluce dei riflettori, soprattutto allavigilia della sua visita a Washin-gton per incontrare il presidenteDonald Trump. Abbas, che vuoleessere sempre al centro dell’atten-zione mediatica, non può soppor-tate che Barghouti occupi i titolidei giornali e sia stato addiritturainvitato a scrivere un editorialenel New York Times.Tuttavia, Abbas non è il solo

ad avere problemi. Anche Mar-wan Barghouti sa bene che nondeve lavare i panni sporchi diFatah in pubblico. E allora checosa bisogna fare? Attuare la tra-dizionale tattica diversiva: diri-gere la colpa verso Israele.Barghouti tutto d’un tratto èmolto preoccupato per le condi-zioni di vita in carcere e chiedepiù privilegi. Egli afferma cheIsraele imprigiona i palestinesiper la loro “resistenza pacifica”.Barghouti sa che non aiuta la suapopolarità dichiararsi pubblica-mente contro Abbas. E allo stessomodo, Abbas utilizza lo scioperodella fame per incitare controIsraele ed esigere che tutti i terro-risti palestinesi, compresi quelliche hanno le mani sporche di san-gue, siano rilasciati senza condi-zioni. Lo sciopero della fame èsolo fumo negli occhi per coprirei reali problemi esistenti all’in-terno di Fatah e non ha nulla ache fare con le condizioni dei de-tenuti nelle carceri israeliane.Privato dei suoi orpelli occi-

dentali, lo “sciopero della fame”indetto da Barghouti è in realtàuna lotta tra Abbas e un altropretendente al trono di Fatah. Eancora una volta, viene incolpatoIsraele – lo Stato che presumibil-mente “maltratta” i terroristi pa-lestinesi incarcerati.

(*) Gatestone InstituteTraduzione a cura di Angelita La Spada

4 l’oPiNioNe delle libertà Esteri martedì 25 aprile 2017

Siamo ormai giunti a un puntodi rottura. Abbiamo varcato,forse da tempo e senza renderceneconto, o peggio senza ammetterlo,la soglia di un conflitto tra culturee realtà incompatibili. L’ultimo atto terroristico di Pa-

rigi, nel quale ha perso la vita, tragli altri, un giovane poliziotto, è ladimostrazione che la convivenzatra Occidente e Islam radicale nonè possibile. Ha scritto bene su“L’Intraprendente” Magdi Cri-stiano Allam nel suo articolo tito-lato: “È guerra. Islamica”. Non èun dettaglio indifferente; anzi, èquello che fa la differenza. Pertroppo tempo, sulle cronache na-zionali, buoniste, abbiamo lettosolamente “atti di terrorismo”,senza ulteriori dettagli e margina-lizzando il fatto che gli attentatifossero di natura religiosa. Di na-tura islamica. Il fatto che le stragiabbiano avuto come teatro laFrancia non è per niente casuale. Sì perché la Francia è il Paese

nel quale sono stati consacrati,anche attraverso la rivoluzione, itre valori più profondi e inviola-bili della Repubblica: libertà,uguaglianza e fratellanza. Un

motto altisonante, tanto impor-tante quanto dimenticato. Soffo-cato dall’odio di persone che

hanno come unico obiettivo as-soggettare l’Occidente e seminareil terrore fra la gente. Da Charlie

Hebdo al Bataclan, passando perNizza e per l’omicidio di padreJacques Hamel, la Francia ha pa-

gato un prezzo altissimo. Troppevite spezzate, troppi innocenti. Si-curamente troppo buonismo eipocrisia. L’attentatore degliChamps-Élysées era noto alleforze dell'ordine come persona ra-dicalizzata e pericolosa. Insomma, è giunto il momento

di capire che all’Europa è stata di-chiarata guerra, da un nemico,molto preciso: il fondamentalismoislamico. Un pericoloso antagoni-sta che si è insinuato tacitamentenelle città europee, e che sembrasempre più prendere piede e mie-tere vittime. Non ci può essere in-tegrazione con chi ti vuoledistruggere. Non ci può essere in-tegrazione con chi non cerca undialogo. “Quello che è accaduto ci ri-

porta alla pericolosità del terrori-smo e all’esigenza di una difesasalda, forte, decisa e responsabileche garantisca costantemente i va-lori della democrazia e della li-bertà”. Così ha parlato il nostroPresidente della Repubblica, Ser-gio Mattarella. Sono belle, impor-tanti ed efficaci parole. Ma credoche il tempo delle parole sia finitoe che alle dichiarazioni debbanoseguire i fatti. Sperando che nonsia troppo tardi.

Libertà, uguaglianza e terrorismodi Federico di Bisceglie

Palestinesi: sciopero della fame o fumo negli occhi?di Bassam Tawil (*)

Lo sciopero della fame indetto dal terrorista palestinese Marwan Barghouti, (nella foto a sinistra), in carcere da 15 anni, è unaprotesta contro il presidente dell’Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas (nella foto a destra). I sostenitori di Barghouti ac-cusano Abbas e i suoi fedelissimi di aver emarginato il leader di Fatah e di cercare di “seppellirlo”.

Secondo quanto riferito dafonti stampa, in occasione del

105esimo anniversario della nascitadel defunto fondatore della Coreadel Nord, Kim Il-sung, Pyongyangha tentato di lanciare un missiledalla base militare di Simpo, sullacosta orientale del Paese, ma il lan-cio è fallito. Militari sudcoreani estatunitensi hanno dichiarato che ilmissile è esploso subito dopo il lan-cio. Non è ancora chiaro di che tipodi missile si trattasse. Inizialmente, ilComando Usa del Pacifico aveva ri-ferito che poteva trattarsi di un mis-sile balistico, ma in seguito unfunzionario degli Stati Uniti ha dettoche era assai improbabile. Sarebberoin corso accertamenti per identifi-care il tipo di missile. Altre fontistampa riportano che, malgrado gliannunci iniziali di una cosiddetta“Armada” nei pressi della Corea, ilgruppo d’attacco navale Usa, CarlVinson, si sarebbe trovato (e si tro-verebbe ancora) a migliaia di migliadalla penisola coreana e probabil-mente non arriverà nella zona primadi fine aprile.

Secondo quanto riportato da“Defense News”, le navi non sistanno dirigendo direttamente versola penisola come originariamente ri-portato. Al contrario, il gruppo, che

comprende anche i cacciatorpedi-niere lanciamissili Uss Wayne E.Meyer e Uss Michael Murphy e l’in-crociatore missilistico Uss LakeChamplain, starebbe prendendoparte ad esercitazioni in programmacon l’Australia. Il 15 aprile, riporta“Defense News”, il gruppo di at-tacco Usa si trovava a circa 3.500

miglia di distanza dalla Corea, pas-sando attraverso lo Stretto dellaSonda tra le isole indonesiane di Su-matra e Java.

Nei giorni a ridosso delle celebra-zioni nordcoreane, la Cina, unico al-leato di peso della Corea del Nord,aveva, suo malgrado, preso posi-zione nei confronti della minacciosa

Pyongyang. Dopo l’incontro tra XiJinping e Donald Trump, negli StatiUniti, sarebbero seguiti tentativi di-plomatici da parte cinese per fer-mare un’escalation della guerra nellapenisola coreana. Ufficialmente nonsembravano aver avuto effetto glisforzi cinesi, viste le dichiarazionibellicose da parte nordcoreana eamericana. In base alle informazionidisponibili, alle tante ipotesi sul fal-limento del lancio del missile nor-dcoreano verrebbe da aggiungerneun’altra considerazione: quella se-condo cui Pechino sia riuscita a con-vincere Kim Jong-un a desistere,facendo abortire l’esperimento mis-silistico pochi secondi dopo il lancio,dando così la possibilità alla Coreadel Nord di salvare la faccia e, con-testualmente, continuare a esserecredibile davanti al suo popolo e almondo intero. Kim Jong-un avrebbecosì mantenuto fede alla promessadi proseguire con i test missilistici edi non temere gli americani. Dalcanto loro, gli Stati Uniti, nonavendo ravvisato una minaccia con-creta verso gli alleati, hanno ritenuto– almeno per ora – di non dover in-tervenire e, con tutta probabilità, si

sono ritenuti per il momento soddi-sfatti.

È pensabile che, sottobanco, ci siain realtà un’intesa tra Usa, Cina eCorea del Nord? Difficile da credere,ma è pur sempre un’ipotesi sulcampo. Sullo sfondo c’è l’attesa dieventuali futuri accordi sul nuclearenordcoreano. Se l’ipotesi di una me-diazione cinese fosse vera, Pechinoavrebbe disinnescato un conflitto,probabilmente nucleare, sull’uscio dicasa e si sarebbe resa protagonista diun successo diplomatico molto rile-vante per l’equilibrio strategico dellaregione. La Cina ha tutto l’interessedi preservare la stabilità e lo statusquo nella penisola coreana, e cioèuna Corea divisa e in funzione anti-occidentale, come cuscinetto per fer-mare l’influenza giapponese eamericana nella regione. Lo scoppiodi una guerra in quel quadrante geo-politico, infatti, avrebbe causato unacatastrofe per tutti i Paesi dell’area.Fortunatamente si tratta, per il mo-mento, di una guerra di soli an-nunci...

(*) Country analyst Think tankdi geopolitica “Il Nodo di Gordio”

5l’oPinionE delle libertàmartedì 25 aprile 2017 Esteri

Dal voto francese si attendeva laconferma di alcune novità deci-

sive per il futuro unitario dell’Eu-ropa. Conferme che ci sono state acominciare dalla conclamata crisi deipartiti tradizionali, espressioni deidue blocchi della sinistra e della de-stra di governo. Dopo decenni di al-ternanza alla guida del Paese, per laprima volta sono entrambi fuori dalballottaggio. Fuori dalla corsa il so-cialista Benoît Hamon e il gollistaFrançois Fillon, dentro invece Ma-rine Le Pen e il nuovo astro della po-litica transalpina, EmmanuelMacron. La sconfitta, tuttavia, nonpesa in egual misura sugli schiera-menti tradizionali. Mentre “les Ré-publicains” hanno subito un forteridimensionamento (19,91 percento), il Partito Socialista, con il6,35 per cento, è stato annientatonelle urne. Il che è in linea conquanto accaduto progressivamentein tutti gli altri Stati d’Europa chesono andati al voto nel recente pas-sato. Grecia, Spagna, Austria,Olanda, il leitmotiv non è cambiato:socialdemocrazia filo-europeistaasfaltata, blocco liberal-conservatorefortemente penalizzato.

In sintesi, gli elettori, ovunque sene abbia occasione, si esprimono perbocciare l’asse destra-sinistra che inEuropa ha sorretto la Grosse Koali-tion. Se è chiaro chi ha perso, biso-gna intendersi invece su chi abbiavinto il primo turno. I dati. Passa intesta Emmanuel Macron con il 23,7per cento dei consensi. Al secondoposto Marine Le Pen al 21,53 percento.

Chi è Macron? Attualmente po-trebbe definirsi un oggetto miste-rioso. Di certo è un prodottodell’alta burocrazia francese con unvissuto nel mondo della grande fi-nanza. Dopo una parantesi di go-verno al fianco di François Hollande,il giovanissimo aspirante alla presi-denza, privo di excursus politico, siè messo in proprio per fondare nel2016 un movimento nuovo, “EnMarche!”, di stampo progressista, ingrado di drenare l’elettorato in fugadalla sinistra moderata. Macron è unpost-ideologico che ama definirsi nédi destra né di sinistra. E neppure

centrista in senso classico. Macron èil nuovo che piace all’establishmentche su di lui ha puntato nella sfida al-l’euroscetticismo e al sovranismomontante.

Sul fronte opposto: Marine LePen. Di lei si sa molto, ma non abba-stanza. È la portabandiera della lottaalla mondializzazione selvaggia eallo strapotere dell’eurocrazia. È so-vranista, anti-immigrazione e si batteper il ripristino delle frontiere, ancheall’interno dell’Unione europea.Tutto lascerebbe intendere che leprossime due settimane di campagnaelettorale saranno poco più che unaformalità per il favorito Macron. So-prattutto dopo le dichiarazioni di so-stegno ricevute, a caldo, dai duegrandi sconfitti: il socialista Hamone il repubblicano Fillon. Ma niente èscontato. Vi sono due circostanze chepotrebbero rendere incerto l’esito fi-nale: il mancato endorsement delcandidato dell’estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon in favore di Macrone i fischi rimediati dai suoi stessi so-stenitori da Fillon quando ha annun-ciato l’appoggio a Macron. Nel 2002si era verificata una situazione soloapparentemente analoga: al ballot-taggio con il gollista francese JacquesChirac era andato Jean-Marie LePen. In quell’occasione funzionòl’appello alla difesa della “Republi-que” contro l’avanzata del neo-fasci-

smo lepenista. La sinistra, sconfittaal primo turno, pur turandosi il nasocorse in massa a votare il candidatodi destra per impedire la vittoria diJean-Marie Le Pen.

Oggi il quadro è profondamentocambiato. Marine Le Pen ha con-dotto il suo Front National a unatransizione verso la modernità che difatto l’ha disancorato dall’apparte-nenza a una tradizione ambigua enegativa della storia di Francia. Ilpercorso di Marine ha delle similitu-dini con quello che, a cavallo deglianni Ottanta/Novanta, condusse ilMovimento Sociale Italiano a evol-versi in Alleanza Nazionale. Tuttavia,con una differenza sostanziale. Men-tre il partito di Gianfranco Fini pun-tava alla conquista di un ruolonell’ambito del blocco sociale delceto medio moderato, Marine per-corre la strada all’inverso. Da unaconsolidata presenza nella difesadegli interessi dei ceti medi tradizio-nali, il nuovo Front National si fainterprete dei bisogni e delle aspetta-tive della classe operaia abbando-nata dalla sinistra. L’analisi dei flussidi domenica va nella direzione indi-cata. Marine Le Pen ottiene consensinei distretti industriali del nord-est,flagellati dalla crisi. Il popolo degliultimi, dei deboli, dei vinti della glo-balizzazione si schiera dalla suaparte. E se Macron raccoglie mag-

gior consenso dove il reddito mediopro capite è più alto, Marine vincetra i disoccupati. Non è un elementosecondario, giacché il voto di prote-sta anti-europeista, che al 19,64 percento è andato all’ultra sinistra diJean-Luc Mélenchon, potrebbe con-fluire, almeno in parte, al ballottag-gio su “Blu Marine”. Bisogneràvalutare quanto la pregiudiziale an-tifascista faccia aggio rispetto allanaturale repulsione che i ceti operai emeno abbienti nutrono verso un can-didato espressione di quell’establi-shment causa del depauperamentosociale della popolazione e della per-dita del potere d’acquisto dei salari.

Secondo elemento determinante.A fronte del discorso di ringrazia-mento pronunciato da Macron che siè rivelato vuoto di contenuti e Ma-cron stesso è apparso un burocratefreddo come un ghiacciolo, MarineLe Pen, nel saluto agli elettori, in-sieme ai temi tradizionali della suaproposta politica ha lanciato unsasso nello stagno che potrebbeavere significative conseguenze. A uncerto punto del discorso Marine hacitato Charles De Gaulle. Agli osser-vatori italiani può non voler diregranché, ma alla destra francese dicemoltissimo. Racconta di una rivolu-zione copernicana che va compien-dosi. Il Front National nasce nel1972 per raccogliere l’eredità di-

spersa del poujadismo e dei movi-menti nostalgici dell’imperialismo co-loniale francese al quale il generale DeGaulle aveva inferto un colpo mor-tale. A fianco del fondatore Jean-Marie Le Pen sfilano i reducidell’Algeria e delle organizzazioni pa-ramilitari come l’Organisation del’armée secrète (Oas) che avevanotentato d’impedire la perdita dellacolonia nord-africana. L’odio colti-vato dall’estrema destra verso il “Ge-nerale” era, se possibile, maggiore diquello nutrito contro la sinistra “co-munista”. Odio che non ha mai per-messo un processo di sintesi unitarianel campo della destra francese. Oggiil colpo di scena. Marine richiama ilpensiero di De Gaulle nel chiaro in-tento di costruire un ponte verso unaporzione di quel 19,91 per cento dielettorato “repubblicain” che nonvede di buon occhio la scelta di ar-rendersi senza condizioni al progres-sista Macron.

Una svolta “gollista” di MarineLe Pen determinerebbe una salda-tura del voto a destra nella grandeprovincia francese che è fatta di agri-coltura penalizzata dalla globalizza-zione, di desertificazione industrialee di ceti medi produttivi tradizionalimessi in ginocchio dall’egemoniadelle grandi concentrazioni capitali-stiche transnazionali favorite dallepolitiche di Bruxelles. Se le due com-binazioni dovessero trovare riscon-tro nei prossimi giorni, insieme allaconfluenza sulla Le Pen dei votantiper l’altro candidato dell’estremadestra Nicolas Dupont-Aignant, cheha conseguito un non trascurabile6,3 per cento, e incrociare l’asten-sionismo dei delusi del primo turno,la partita del ballottaggio potrebberivelarsi tutt’altro che scontata.

La fotografia elettorale di dome-nica restituisce un nuovo assettodella politica con il quale, nostromalgrado, dovremo imparare a farei conti. Al tradizionale binomio del-l’alternanza destra/sinistra si sosti-tuisce, nella fase post-ideologica, lacoppia assiologica alto/basso: esta-blishment versus antisistema. Pre-pariamoci dunque a introiettarequesto schema di gioco perché diMacron e di Le Pen in giro per l’Oc-cidente se ne vedranno ancoramolti.

Ultimo tango a Parigi: affonda la Quinta Repubblica

I missili di Pyongyang: tra Cina e Stati Uniti

di CRistofaRo sola

di Elvio Rotondo (*)

La lirica è ancora una volta neiguai. Nonostante il programma

di aiuti straordinari per incoraggiareil risanamento delle maggiori fonda-zioni liriche (Legge Bray) dell’agostodel 2013, negli ultimi anni la situa-zione è peggiorata: in alcuni dei mag-giori teatri italiani manca il pubblico.Alla stessa Scala di Milano si vedonospesso file vuote e l’Opera di Firenzenon regge più di tre repliche per rap-presentazione (sovente a sala semi-deserta). Un’inchiesta del mensile“Classic Voice” mostra che alcunefondazioni hanno risposto aumen-tando i prezzi dei biglietti nella con-vinzione di attirare pubblico sceltoanche dall’estero. Oggi, secondo l’in-chiesta, “La Scala” è il teatro piùcaro d’Europa, ma ha perso pubblicopagante. La domanda è fortementeelastica ai prezzi, specialmente in unacrisi dell’economia reale che dura dacinque anni.

In questo quadro sconfortante cisono delle eccezioni; i circuiti dei tea-tri “di tradizione” che co-produconogli spettacoli e li portano nelle cittàd’arte, dividendo le spese, attraendopubblico (in quanto le poche replicheper città diventano ciascuna unevento) e ammortizzando i costi.

Una fondazione lirica relativa-mente piccola, il Teatro Lirico di Ca-gliari (città di 150mila abitanti), mache in effetti serve tutta la Sardegna,ha iniziato una strada originale: unasorta di alleanza con alcuni impor-tanti teatri americani. Negli StatiUniti i teatri sono privati e, trannepoche eccezioni, i costi di produzionesono più contenuti rispetto a noi. Ilteatro lirico cagliaritano e alcuni tea-tri statunitensi individuano insiemele produzioni artistiche darealizzare; le produzionihanno come base le comuniradici culturali, nonché af-finità accompagnate anchedalla ricerca di nuovi reper-tori per il teatro musicale. Ilprimo anno di collabora-zione artistica di Cagliaricon gli Stati Uniti prevede,tra le altre cose, la realizza-zione di tre nuove produ-zioni che valorizzanol’opera lirica italiana in uncontesto mondiale. Il pro-getto è stato inaugurato allaNew York City Opera (31marzo - 1, 4, 5 aprile 2017),dove è stata rappresentata“La campana sommersa”di Ottorino Respighi (nellefoto), una nuova produ-zione del teatro lirico che,dopo il grande successo ot-tenuto nell’aprile delloscorso anno nel capoluogosardo, ha consentito al pubblicoamericano di ascoltare un’opera chemancava a New York dal trionfaledebutto del 1928.

In questi giorni (23, 27, 29 aprile)debutta all’Opera Carolina diCharlotte (North Carolina) “Lafanciulla del West” di GiacomoPuccini, una nuova coprodu-zione internazionale tra Tea-tro Lirico di Cagliari, OperaCarolina, New York CityOpera e Teatro delGiglio di Lucca, conla collaborazionedei Teatri di Pisae Livorno.

Dopo Charlotte la produzione saràalla New York City Opera nel set-tembre di quest’anno, al Teatro Li-rico di Cagliari ad ottobre e quindiin Toscana.

Quest’estate debutterà a Cagliarie nei diversi siti archeologici dellaSardegna la terza nuova produzioneinternazionale: “L’ape musicale” diLorenzo Da Ponte. Si è scelta emble-maticamente questa deliziosa operapoiché il grande librettista e compo-sitore dedicò un’edizione di questo“ghiribizzo musicale” alla città diNew York (dove venne rappresen-tata il 20 aprile del 1830 al ParkTheatre), al suo arrivo negli StatiUniti. Dal 24 novembre, infine, sivedrà a Cagliari “La ciociara” diMarco Tutino (dal romanzo di Al-berto Moravia) che ha debuttatotrionfalmente alla War MemorialOpera House di San Francisco nel

giugno del 2015.Attraverso l’uti-

lizzo di fondi eu-ropei, Cagliari

ha avviatoun’importanteazione di valo-rizzazione dei

principali siti ar-cheologici isolani,

che hanno le caratteristi-che tecnico-naturali perospitare nuove produ-zioni, così da contri-buire alla valorizzazionedel territorio e per po-tenziare il turismo cul-

turale. In questo contesto s’inseri-sce la collaborazione con il Con-servatorio di Cagliari, chepartecipa con giovani diplomati ediplomandi, con gli enti locali econ la “Forte Arena” (il teatro al-l’aperto del “Forte Village Resort”di Santa Margherita di Pula). Unresort elegante della Sardegna me-ridionale, dunque, dove è stata co-struita un’arena in cui quest’estatesi terrà un’edizione storica del Ri-goletto (ideata dal compianto Pier-luigi Samaritani per il Teatro Regiodi Parma e riproposta da JosephFranconi Lee) con Leo Nucci comeprotagonista.

Il progetto di “Rifunzionalizza-zione del Parco della Musica e delTeatro Lirico di Cagliari - Interna-zionalizzazione e innovazione delleproduzioni anche per la valorizza-zione turistico-culturale degli at-trattori territoriali” è oggetto di unaccordo quadro sottoscritto tra laRegione Autonoma della Sardegna,il Comune di Cagliari, la Città Me-tropolitana di Cagliari, la Fonda-zione Teatro Lirico di Cagliari e ilConservatorio statale di musica“Giovanni Pierluigi da Palestrina”del capoluogo sardo. Il progetto èfinanziato con risorse pari a 4 mi-lioni e 700mila euro, nell’ambitodel Piano d’Azione Coesione e isti-tuzione dell’Azione “Progetti stra-tegici di rilevanza regionale”. Sitratta di una vera e propria citta-della della musica capace di ospi-tare 5mila spettatori all’interno diuna parco dotato di servizi e ca-ratterizzato da una piazza con la-stricato marmoreo, aree verdi

attraversate da un corso d’ac-qua artificiale, ponti lignei,

fontane con giochi d’ac-qua, diffusione musicalee una passeggiata co-perta. Auguri!

di GIusEPPE PENNIsI

Un “Patto Atlantico” per la lirica italiana6 L’OPINIONE delle Libertà Cultura martedì 25 aprile 2017

Una narrazione senza tempo chediventa anche un modo per ri-

percorrere la propria storia familiare,e soprattutto guardare avanti. Il Tea-tro Argentina ospita lo spettacolo “Ilviaggio di Enea” (dal 26 aprile al 7maggio) del drammaturgo canadeseOlivier Kemeid, scritto a partiredall’”Eneide” di Virgilio e adattato ediretto da Emanuela Giordano conundici attori e attrici in scena. E pro-prio alla regista chiediamo di parlar-cene.

Ce lo presenta?È il racconto di un uomo scon-

fitto, che viene da lontano, in cercadi un luogo di pace, così come ci èstato tramandato da Virgilio. Ke-meid, autore canadese di origini nor-dafricane di questa nuova versionedel viaggio di Enea, sui banchi discuola ha capito che è pure la vi-cenda della sua famiglia, migrata dal

Libano all’Egitto, poi fuggita a metàdell’Ottocento a Napoli, quindi a LeHavre e infine in Québec. Ma èanche la storia del contemporaneo,di questo periodo di esodo biblicoche sicuramente cambierà i destinidell’Europa, del mondo, e su cui nonpossiamo omettere pensieri, rifles-sioni che vadano al di là delle pole-miche politiche e dei bassi interessi.

Quella di Kemeid è stata ancheuna ricerca delle proprie radici?

Non necessariamente, perchéguarda al futuro così come Enea erarivolto alla fondazione di Roma. Ilsuo testo non è tanto una dedica alleproprie radici quanto a un pensieroalto, dinamico, sul concetto di viag-gio dell’umanità. Ed è bello per que-sto, perché parla di amicizia, amore,guerra, ma è sempre legato al destinodi un uomo che deve fuggire dal suoPaese perché – e può succedere achiunque di noi – si trova da un mo-mento all’altro senza tutto ciò che

aveva fino ad allora. Perciò èuna dinamica verso il domani,più che rivolta all’indietro.Certamente Enea è l’eroe del séresponsabile, quindi tiene inbraccio il figlio che rappre-senta il futuro e sulle spalle ilpadre che è il proprio passato;e questa è la sua caratteristicaoriginalissima, di grande iconaeroica rivolta in avanti: la sal-vezza del figlio Ascanio è ilmotore della drammaturgia edell’epica. Noi abbiamo fattoun lavoro sincretico tra epica econtemporaneo, saltando l’an-tico e il moderno riscopriamole nostre radici di umanità inviaggio.

Quindi la migrazione come temacostante, senza tempo?

Da che mondo è mondo è un con-tinuo spostamento: quello di ebrei,armeni, caucasici, iracheni, nordafri-cani, mediorientali. Stiamo parlandodella cultura dell’umanità, che è fattadi passaggi e di fughe, per siccità,guerre, fame; nel bene e nel male è ilmotore del mondo, perché il mi-schiarsi delle razze costruisce uominibelli, forti e aperti, e comprendeanche tutto il dolore e la complica-zione di questo. “Il viaggio di Enea”è un testo potentissimo, perché parladella necessità e della naturale ten-denza dell’uomo a salvare la propriavita e quella dei propri cari. La do-manda che noi facciamo nello spet-tacolo è: “Immagina che succeda ate. Un notte sei andato a una festa,magari hai bevuto, ti addormenti euna palla di fuoco entra dalla fine-stra nella tua stanza, fai appena intempo a saltare giù dal letto che lefiamme prendono lenzuola, mate-rasso, coperte. Che fai?”.

Per l’allestimento e la regia c’èstato un confronto con l’autore?

L’interazione con Kemeid speropotrà essere buona, perché finoranon abbiamo avuto modo di parlare,ma io ho avuto bisogno di portare inscena la modernità del nostro Paese eanche Virgilio. Quindi c’è stato unadattamento necessario per far vi-vere i corpi in scena, però insommala storia è quella di Olivier.

Rispetto al linguaggio del testooriginale e alla traduzione c’è stataanche una valorizzazione dei versi diVirgilio?

Sperando che Kemeid apprezzi,non potevo fare altrimenti, siamo aRoma e la fondazione della città ri-corre proprio in questi giorni: sì, c’èstata una valorizzazione dell’Eneide,perché ci sono degli inserimenti cheho fatto del testo di Virgilio utiliz-zando come fonte alcuni versi inte-ramente ritradotti in manieracontemporanea, quindi senza com-piacimenti e svolazzi.

Il rapporto con gli attori?Molto forte e sofferto, perché toc-

chiamo temi delicatissimi, quindidobbiamo evitare qualsiasi enfasi egrido esagerato. È stato bellissimoperché comunque mi hanno seguito,

ci hanno creduto tutti, anche i piùgiovani. Siamo in undici in scena,perciò è uno spettacolo grande, im-portante, fisico, pieno di energia per-ché, sì, parla diguerra e di morte,ma cercando di sal-vare la pelle, la pro-pria dignità.

È presente ancheun coro: la sua fun-zione è come quellanel teatro antico?

No, è integratanel racconto, comese fosse continua-mente una sollecita-zione a ricordare; siinserisce tipo un’or-chestrazione.

All’estero lospettacolo era giàstato allestito?

Non so, però si-curamente in Italiaè una vera “prima”.

Dopo Roma?Innanzitutto ab-

biamo debuttato inallestimento a Por-denone, quindi an-dremo a Milano alTeatro Carcano, epoi probabilmentea un grande festival,ma non posso an-cora dire quale per-ché dobbiamo fare isopralluoghi per ca-pire se lo spettacolo

si possa collocare in uno spazio al-l’aperto.

(*) Foto di Luca d’Agostino

Ci sono realtà così lontane dal no-stro modo di vivere occidentale

di cui non vogliamo neppure sapere,a volte per paura, altre per indiffe-renza. Eppure esistono.

Nel dicembre del 2013 in Guineaun bambino di due anni si ammala. Isintomi sono febbre alta e vomito. Amarzo del 2014 il ministero della Sa-lute della Guinea informa “Medicisenza Frontiere” che la malattia stamietendo vittime per tutto il Paese.In pochi mesi il contagio si estende amacchia d’olio in tutta l’Africa occi-dentale. La misteriosa malattia èl’Ebola, una febbre emorragica. “Hoimparato a riconoscerla nei passistentati dei pazienti, nello sguardovitreo che non chiede nemmeno piùaiuto, nel tremore incontrollabile cheimpedisce di tenere un bicchiered’acqua o un cucchiaio di minestrain mano. In quei volti che sai che nonvedrai più il giorno dopo, perché nonarriveranno a domani”.

Nell’agosto del 2014, 183 opera-tori di Medici senza Frontiere lavo-ravano ad Elwa 3, uno dei centri piùgrandi istituiti per combatterel’Ebola, a Monrovia (Liberia).

Il nuovo libro di Valerio la Mar-

tire, romano di 35 anni, “Intocca-bili”, edito da Marsilio (i diritti del-l’autore saranno devoluti a “Medicisenza Frontiere”), è un romanzo-te-stimonianza di alcuni operatori chesono partiti per la missione e chehanno vissuto sulla propria pellequell’esperienza, quell’inferno che glirimarrà addosso per sempre.

“Durante l’emergenza Ebola eroresponsabile della comunicazione eraccolta fondi di Medici senza Fron-tiere, e fu proprio così che conobbiRoberto Scaini, il “dottor Robi”,sorta di protagonista del libro – ci haraccontato l’autore – Lui è partitoper la prima missione con il mio ro-manzo, ‘Stranizza’ (2013). Al ritornoci siamo sentiti, io gli chiedevo del-l’Ebola e lui mi chiedeva del libro. Ècosì che è nata l’idea di questo ro-manzo. Ne abbiamo parlato con Me-dici senza Frontiere, chiedendo lorose volessero essere coinvolti. Hannoaccettato, offrendomi il contatto dialtri operatori, in grado di fornirealtri pezzi di storia. Quello che rac-conto è tutto vero. Di inventato nonc’è nulla, ho solo cercato di creareuna trama narrativa che legasse i varipezzi”.

Il risultato, certamente riuscito,non è solo un libro di cui si apprezza

la capacità narrativa dell’autore, maun volume con una potenza emotivatravolgente, resa così forte probabil-mente dall’autenticità dei racconti.Quello che colpisce è la percezionedel tempo. Roberto ha trascorso aMonrovia 4 settimane, un tempo re-lativamente breve, un solo mese, ep-pure dal racconto emerge la lentezzadel passare dei giorni, delle ore, dimomenti così intensi che non sem-brano potersi condensare in un lassodi tempo tanto breve.

I primi giorni in cui è difficile abi-tuarsi alle regole imposte dall’epide-mia. Non ci si può toccare, è una “notouch mission”, devi riconoscere isintomi solo guardando e non puoineppure abbracciare chi ha appenasubito una perdita – da qui il titolodi Intoccabili – il personale gira per ilcampo con tute di plastica, guanti eocchialoni che li preservino dal con-tagio. Giorni in cui l’epidemiaavanza, assumendo caratteristichesempre più spaventose, il centro èpieno, e i corpi morti aumentano. Glioperatori non possono accoglieretutti, non c’è posto. Al Gate 1 ungiorno arriva, tra gli altri, un padre,suo figlio ormai quasi privo di forze.Aveva provato già due volte ad acce-dere al centro ma era stato riman-

dato a casa. Quella volta no, deci-dono di accogliere tutti i richiedenti,di montare una nuova tenda. Il padreconsegna al dottor Robi il bambino,Sunichie, che morirà il mattino dopo.

Ma il racconto dell’Ebola non èsolo questo; è anche il racconto dellostigma di chi parte e cheal ritorno non viene av-vicinato da amici e pa-renti per paura delcontagio. I racconti diRoberto Scaini si uni-scono a quelli di AlessiaArcangeli, infermiera, diUmberto Pellecchia, an-tropologo, di Luca Fon-tana, logista, di FanshenLionetto, dottoressa, inuna narrazione coraleche include tutti coloroche sono partiti e conti-nuano a partire mossidal desiderio di prestareaiuto. Durante l’epide-mia di Ebola in Africaoccidentale sono statecontagiate quasi 29milapersone. Circa un terzosono stati accolti in uncentro di Medici senzaFrontiere e 2500 sonostati salvati.

Probabilmente sono loro glieroi del nostro tempo. È servita lasensibilità di Valerio la Martire aconsegnarci un romanzo cosìstruggente e così autentico, ma èservito il loro coraggio a salvaremolte vite.

7l’opinionE delle libertà

di FEDErico raponi

di ElEna D’alEssanDri

martedì 25 aprile 2017

Fra gli “Intoccabili”, il nuovo romanzo di Valerio la Martire

Cultura

“Il viaggio di Enea”, umanità in movimento

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