La Vendetta Del Gargoyle

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LA VENDETTA DEL GARGOYLE di Loris Fabrizi Era già da un'ora che Jey Spinadipesce stava aspettando sul molo. Non passava un minuto che non maledicesse ad alta voce la sorte che lo aveva messo in quel guaio. Malediceva in continuazione; ormai era diventato un incomprensibile borbottio uniforme, interrotto solo da colpi di tosse gracchianti e da poderosi sputi di catarro diretti nelle acque oltre la banchina, talmente calme e nere che a Jey sembrava un mare di olio per motori. «Maledetta notte e schifosa umidità!» urlò rivolto solo alla desolazione del molo. In effetti quella notte non era delle migliori per Spinadipesce: l'umidità non faceva che aggravare la sua bronchite cronica, probabilmente gli era salita anche qualche linea di febbre. La nebbia era così fitta e densa che gli aveva impregnato tutto il maglione anche sotto il lungo giaccone militare e gli sembrava di respirare fumo. La cosa che più lo innervosiva era però proprio quell'attesa. Il suo mandante gli aveva spiegato che un ritardo nella consegna era più che probabile data la stranezza del tipo che doveva incontrare. Gli aveva detto ogni cosa. Eppure non poteva non essere preoccupato. Sapeva che se non svolgeva questo lavoro poteva dire addio ai suoi progetti di pensionamento. Rifletté che poteva dire addio anche ai suoi progetti di colazione per domattina. La Famiglia Caromino infatti non era gente che scherzava, specie da quando il Syntaur aveva sballato tutto il mercato della droga di quella lurida città. Maledisse ancora una volta l'idiozia che gli aveva fatto pestare i piedi a Don Bianco. Ora per evitare di essere ammazzato gli toccava portare una partita di Syntaur appena sfornata nei magazzini di Don Caromino entro l'alba. Il problema era che del corriere ancora non si vedeva traccia. - Maledetti negri - pensò tra sé e sé - non sono capaci di fare nulla. - Don Caromino gli aveva infatti detto di non preoccuparsi se vedeva un tizio alto e nero, perché era lui che doveva dargli la droga. Fra un'imprecazione e l'altra si accorse che il solito 'plock' del grumo di catarro che finiva in acqua era più che altro un 'pluff'. L'acqua fino ad allora immobile si stava agitando, come se fosse scossa in profondità dalle eliche di una nave. Quando poco dopo la nebbia si fece ancora più fitta e l'acqua cominciò a ribollire, Jey Spinadipesce pensò che se la stava facendo sotto a sufficienza e andò ad avvertire il suo compare. «Mike, ehy Mike, accendi la macchina.» Accese anche la sua. Si trattava di un carico grosso e aveva dovuto chiedere aiuto anche a un suo amico per trasportare tutta la "roba" ai magazzini. Col rumore dei motori al minimo e la luce dei fari accesi si sentiva un po' più tranquillo. La tranquillità appena acquisita svanì nella nebbia quando udì una voce cupa e profonda, molto vicina ma proveniente da tutte le direzioni: «Jonathan McPinfish, sei tu il ricevente.» Non si trattava di una domanda. Jey si mise una mano alla fronte per alleviare l'acuto fastidio che improvvisamente lo aveva colto fra gli occhi, sembrava come se stessero premendo con forza un dito in mezzo alle sopracciglia. «Ehm... sono io, ma tu chi sei?» Spinadipesce iniziò a sudare per il nervosismo. L'ultima persona ad averlo chiamato Jonathan era stata sua madre prima di abbandonarlo a casa di amici quando aveva sette anni e nessuno sapeva che il suo cognome era McPinfish.

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Un misterioso individuo si aggira per la città alla ricerca di informazioni e di vendetta ed è disposto a tutto per di averle, anche a lasciare dietro di sé una scia di sangue. Ma chi è davvero il Gargoyle?

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LA VENDETTA DEL GARGOYLEdi Loris Fabrizi

Era già da un'ora che Jey Spinadipesce stava aspettando sul molo. Non passava un minuto che non maledicesse ad alta voce la sorte che lo aveva messo in quel guaio.

Malediceva in continuazione; ormai era diventato un incomprensibile borbottio uniforme, interrotto solo da colpi di tosse gracchianti e da poderosi sputi di catarro diretti nelle acque oltre la banchina, talmente calme e nere che a Jey sembrava un mare di olio per motori.

«Maledetta notte e schifosa umidità!» urlò rivolto solo alla desolazione del molo.In effetti quella notte non era delle migliori per Spinadipesce: l'umidità non faceva che

aggravare la sua bronchite cronica, probabilmente gli era salita anche qualche linea di febbre. La nebbia era così fitta e densa che gli aveva impregnato tutto il maglione anche sotto il lungo giaccone militare e gli sembrava di respirare fumo.

La cosa che più lo innervosiva era però proprio quell'attesa.Il suo mandante gli aveva spiegato che un ritardo nella consegna era più che probabile

data la stranezza del tipo che doveva incontrare. Gli aveva detto ogni cosa. Eppure non poteva non essere preoccupato.

Sapeva che se non svolgeva questo lavoro poteva dire addio ai suoi progetti di pensionamento. Rifletté che poteva dire addio anche ai suoi progetti di colazione per domattina.

La Famiglia Caromino infatti non era gente che scherzava, specie da quando il Syntaur aveva sballato tutto il mercato della droga di quella lurida città.

Maledisse ancora una volta l'idiozia che gli aveva fatto pestare i piedi a Don Bianco. Ora per evitare di essere ammazzato gli toccava portare una partita di Syntaur appena sfornata nei magazzini di Don Caromino entro l'alba.

Il problema era che del corriere ancora non si vedeva traccia.- Maledetti negri - pensò tra sé e sé - non sono capaci di fare nulla. -Don Caromino gli aveva infatti detto di non preoccuparsi se vedeva un tizio alto e nero,

perché era lui che doveva dargli la droga.Fra un'imprecazione e l'altra si accorse che il solito 'plock' del grumo di catarro che

finiva in acqua era più che altro un 'pluff'.L'acqua fino ad allora immobile si stava agitando, come se fosse scossa in profondità

dalle eliche di una nave.Quando poco dopo la nebbia si fece ancora più fitta e l'acqua cominciò a ribollire, Jey

Spinadipesce pensò che se la stava facendo sotto a sufficienza e andò ad avvertire il suo compare.

«Mike, ehy Mike, accendi la macchina.»Accese anche la sua. Si trattava di un carico grosso e aveva dovuto chiedere aiuto

anche a un suo amico per trasportare tutta la "roba" ai magazzini.Col rumore dei motori al minimo e la luce dei fari accesi si sentiva un po' più tranquillo.La tranquillità appena acquisita svanì nella nebbia quando udì una voce cupa e

profonda, molto vicina ma proveniente da tutte le direzioni:«Jonathan McPinfish, sei tu il ricevente.»Non si trattava di una domanda.Jey si mise una mano alla fronte per alleviare l'acuto fastidio che improvvisamente lo

aveva colto fra gli occhi, sembrava come se stessero premendo con forza un dito in mezzo alle sopracciglia.

«Ehm... sono io, ma tu chi sei?»Spinadipesce iniziò a sudare per il nervosismo.L'ultima persona ad averlo chiamato Jonathan era stata sua madre prima di

abbandonarlo a casa di amici quando aveva sette anni e nessuno sapeva che il suo cognome era McPinfish.

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«Ehy Mike, hai sentito anche tu?» chiese più per sentire una voce amica che per avere una vera risposta.

«Sentito cosa Jey? - rispose Mike - C'è talmente tanto silenzio che sentiresti cagare una mosca.»

Una sagoma iniziò a delinearsi tra la nebbia, puntava lentamente verso Jey.«Oh, eccoti finalmente»Lo spacciatore deglutì a forza.«Senti, sai già chi mi manda. Facciamo in fretta ok? Che ne dici?»La sagoma uscì dalla nebbia e con un passo calcolato si fermò eretta a pochi centimetri

dal naso di Jey. Era alto, ed era nero, ma non come Jey si aspettava.Dopo aver liberato la sua vescica per la paura attanagliante iniziò a balbettare qualcosa

mentre gli salivano le lacrime agli occhi.«La merce è già stata consegnata nelle vostre vetture.»La voce cupa sembrava urlargli direttamente nel cervello.Il rumore di vetri infranti proveniente dalle auto accese e il seguente strillo continuo di

clacson ruppero la tensione.Jey si girò lentamente, tremando.«Mike? Che sta succedendo?»Con i fari puntati negli occhi e la nebbia onnipresente riuscì solo a distinguere una

sagoma accasciata sul volante.Se avesse visto come era ridotta la faccia del suo compare, con la guancia schiacciata

sul clacson, probabilmente se la sarebbe data a gambe rimanendo poi nascosto in qualche vicolo del molo fino al giorno dopo. Invece si girò con la rabbia impressa negli occhi.

«Maledetti bastardi! Avete ammazzato Mike!»Benché il volto dello strano corriere fosse indecifrabile, Jey ebbe l'impressione che

fosse stupito quanto lui di quello che era accaduto. Poi, senza preavviso, l'alta figura inarcò le spalle e portò il petto indietro di scatto come se avesse ricevuto un forte colpo allo sterno.

Riassunse la posizione eretta per qualche istante, poi si accasciò a terra senza più muoversi.

Jey Spinadipesce ora stava maledicendo tutti i santi che avesse mai sentito menzionare, quando sentì come un soffio d'aria compressa al plesso solare.

Guardando il giaccone militare vide che non c'era niente, lurido e rattoppato come al solito, ma non c'era niente; non un foro, non una bruciatura. Allora perché si sentiva come se gli avessero sparato?

L'ultima cose che sentì prima che i timpani fossero sfondati da liquidi interni che spingevano per uscire fu una voce stridula e gracchiante.

«Addio! Addio!»- Maledetti pappagalli - pensò - Ora ci si mettono anche loro a prendermi in giro. -Il sangue che invadeva le cavità oculari gli impedì di vedere che non si trattava di un

pappagallo, ma di un merlo dal piumaggio grigio che gli volava attorno.Mentre sentiva fluidi vitali dal sapore dolciastro riempirgli la gola e il naso Jey

Spinadipesce si accosciò al suolo privo di vita senza capire che cosa lo avesse ucciso.

***

«Bel colpo! Bel colpo!» disse Vren svolazzando sopra i due cadaveri.

Dalla nebbia uscì una figura in impermeabile grigio-verde, i cui lunghi lembi svolazzavano a ogni passo. Slacciando l'impermeabile ripose la grossa pistola che aveva in mano in una fondina sotto l'ascella. Lasciò che la nebbia impregnasse la maglietta

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attillata che indossava sotto il soprabito aperto. Il freddo e l'umidità del molo non gli davano fastidio, aveva sopportato condizioni molto peggiori e il tessuto tecnico dei suoi abiti proteggeva bene l'imponente e definita muscolatura.

Il merlo grigio si andò ad appollaiare sulla spalla sinistra mettendosi a pulire il piumaggio con il becco.

Questo era uno degli atteggiamenti di Vren che non sopportava e glie lo fece notare sistemandosi il bavero alto che era finito sotto le zampe del pennuto e calcandosi meglio sulla testa il cappello di cuoio a tesa larga.

Vren si scosse infastidito arruffando le penne, e fissando avanti gracchiò.«E ora Bishop? E ora?»Bishop non rispose, per lo meno non a parole. Le sue corde vocali erano inerti e

atrofizzate; non aveva mai parlato e mai l'avrebbe fatto. Si limitò ad avvicinarsi con lunghe falcate al bordo della banchina.

Da dietro le lenti scure degli occhiali osservò per qualche istante il robusto spacciatore con l'aspetto di un alcolizzato e il corriere, poi si chinò sui corpi.

Perquisì rapidamente il cadavere con il soprabito verde militare, apparentemente senza trovare alcun ché di interessante. Lo trascinò sino al limitare della banchina tenendolo per i polsi e senza troppo sforzo lo gettò i acqua con una torsione delle spalle.

Per il corriere la cosa fu più complicata; nonostante fosse estremamente esile infatti la sua notevole altezza e la sua strana fisionomia lo rendevano molto più pesante di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.

Bishop impiegò diverso tempo per spostare il cadavere dalla testa allungata, concedendosi un po' di riposo solo quando si fu accertato che fosse stato inghiottito da quel placido mare d'ombra.

La luce era scarsa e la nebbia lo avvolgeva, quasi volesse nascondergli il mondo circostante, quasi a proteggerlo. Nonostante ciò riusciva a vedere la silhouette del suo riflesso sull'acqua oleosa.

Quell'immagine di se stesso, quel volto dalla carnagione scura lo stava fissando e gli raccontava storie che già sapeva; ma ogni parola era una stilettata, una sferzata, un elettroshock.

Per questo motivo continuava il racconto di guerra e di orrori dei suoi ricordi, un dipinto surrealista dell'incubo verdeggiante di qualche giungla tropicale.

Quanti leali soldati erano morti? Solo per dimostrare a “loro” che lui era il più forte. Morti per un allenamento.

Un gigantesco rostro deformato da mille spine squarciò il quadro, trasformando la visione in volute e spirali di fumo, che il colossale roc trascinava col suo piumaggio grigio mentre precipitava sgraziato su di lui gridando con voce quasi umana.

«Mostro! Mostro!»Avrebbe voluto chiedergli come e perché, ma non poteva riuscirci.Il merlo grigio, sbatteva con foga le ali per restare sospeso a una spanna dal naso di

Bishop.«Arrivano! Arrivano!» gli ripetéBishop si rimise in piedi. Senza rendersene conto infatti si era accucciato sull'orlo del

molo con le ginocchia piegate e le mani poggiate a terra fra i piedi; sembrava un gargoyle.Scacciò in fretta il pensiero scuotendo la testa. Poteva innescare dei ricordi che non

desiderava sopportare in quel momento: Gargoyle era il suo nome in codice quando era operativo nelle H.A.S.

Le sirene della polizia udibili in lontananza lo aiutarono a rifocalizzare l’attenzione sul compito più imminente.

Vren aveva detto il vero, stavano arrivando, e lui doveva far sparire ogni traccia prima che i poliziotti si immischiassero in affari troppo grandi per loro.

Forzò in fretta i bagagliai delle auto accese.

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Bingo! Pieni al punto da scoppiare di sacchetti contenenti microcristalli azzurri: il Syntaur.

Gettò tutta la partita in acqua assieme al cadavere accasciato sul clacson.«Dannazione!»Avrebbe voluto dirlo accorgendosi delle macchie di sangue sul cemento del molo e

nell’auto, ma come sempre Vren si era mosso in coordinazione con i suoi pensieri e ne aveva fatto le veci.

Si era lasciato distrarre dai fantasmi del passato ed era stato impreciso. Se fosse accaduto in un altro contesto probabilmente un errore tale gli sarebbe stato fatale. Ma quella non era una situazione limite per lui. Le tracce di sangue non avrebbero comportato o compromesso nulla.

I fari di cinque volanti della polizia sfondarono la nebbia precedute dalle urla altalenanti delle sirene. Stridendo inchiodarono a pochi metri da Bishop.

Riparandosi dietro gli sportelli aperti i poliziotti gli puntarono contro pistole e fucili.«Resta fermo e alza le mani!»Sorrise a quell’affermazione paradossale. Doveva rimanere immobile e

contemporaneamente muoversi per dimostrare la sua innocuità.Sono cose che capitano quando si urla più per fare coraggio a se stessi che paura al

proprio interlocutore.Con movimenti lenti e sicuri mise le braccia a croce e poi le alzò sopra la testa.«Ancora tu? Che diavolo ci fai qui?» disse una voce collerica e conosciuta.Da dentro una volante uscì il commissario Stoarn e con la pistola ancora puntata si

avvicinò alla figura in impermeabile grigio-verde.«Già è la seconda volta che ti trovo sul luogo dove ci sarebbe dovuta essere una sortita

della narcotici. Anche stavolta si trattava di trafficanti di Syntaur. Non dirmi che non ne sapevi niente.»

«Allora?»Continuò dopo un attimo di pausa alzando la voce.«Che fai? Non rispondi? Credi che sia stupido? E quelle auto parcheggiate li col motore

acceso? Erano dei narcotrafficanti o vuoi dirmi che le hai portate tutte e due tu qui?»Bishop non mosse un muscolo, e siccome superava di quasi tutta la testa il

commissario, che pure non era basso, continuò a fissare nel vuoto oltre di lui. Vren invece svolazzò intorno ai due gracchiando.

«Muto! Muto!»«Muto un cazzo! Uccellaccio della malora» sbraitò Stoarn rimettendo la 9 mm nella

fondina.Si avvicinò deciso a Bishop e gli diede un secco spintone a mani aperte. Non ci fu il

passo indietro che l’ispettore si aspettava, solo una leggera flessione del torso per incassare il colpo. Stoarn sentì una morsa d’acciaio stringersi attorno al polso destro. Quando si accorse che era stato il suo avversario ad afferrarlo fu preso dal panico e dalla collera.

«In nome della legge! Mollami!»Rincuorato dal rumore di armi da fuoco che venivano caricate strattonò inutilmente con il

braccio, nel tentativo di liberarsi.Bishop guardò il commissario da dietro le lenti oscurate. Lo fissò negli occhi per alcuni

istanti, concentrato come se stesse prendendo la mira per sparare in mezzo agli occhi di un rinoceronte in carica. Quando non sentì più alcuna resistenza al polso da parte del commissario, lasciò la presa e alzò le mani.

Stoarn si portò d'istinto le mani fra le sopracciglia, come se avesse un cerchio alla testa.«Uh… non ti arresto... - disse con la voce confusa - ...solo perché non ho alcuna prova.

Ma non farti più trovare per la mia strada.»Vren si appollaiò sulla spalla del compagno fissando la schiera di poliziotti.

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«Andiamo!» continuò il commissario rivolto ai suoi uomini.«Commissario Stoarn - si intromise il giovane sergente Mollow - ma non dovremmo

fermarlo? Almeno per interrogarlo.»Stoarn, che nel frattempo si era voltato e si stava incamminando verso la sua macchina,

si fermò. Qualcosa non andava. Aveva dato un ordine. Nessuno osava contraddirlo.Quella checca di Mollow era nuovo, non lo sapeva, sarebbe stato punito per quel

suggerimento da secchione primo della classe. Ma ciò che aveva detto gli sembrava dannatamente giusto.

Se solo quel mal di testa gli avesse dato tregua un attivo e gli avesse permesso di pensare lucidamente...

Si sentiva così confuso. Forse avrebbe davvero dovuto trattenere quel tizio.Vedendo la titubanza nei gesti del commissario, Bishop inclinò leggermente la testa in

avanti e da sotto la tesa del cappello fissò intensamente la testa dell’uomo a metà strada fra lui e i poliziotti.

«Andiamo…» ripeté Stoarn.«Ricordati - aggiunse senza girarsi - non voglio più trovarsi sulla mia strada!»

***

La strada…Così veniva chiamato in maniera ironica il percorso di guerra sul ghiacciaio. Un percorso

atroce per il fisico e la psiche. Doveva superarlo chi voleva accedere al grado successivo. Superarlo o morire nel tentativo. Non c’era la possibilità di astenersi dagli ordini nell’H.A.S. E l’esperimento continuava ignorando i fallimenti e sottoponendo a nuovi esami i successi.

Quante volte aveva percorso “la strada”, ogni volta più difficile?Quante? Ogni volta più mortale. Dieci? Venti? Cinquanta volte?Non poteva ricordarlo. Ma l’ultima volta l’aveva percorsa a ritroso e l’aveva portato al

cuore del vero nemico.

***

La strada era buia e polverosa, puzzava come una fogna a cielo aperto. Soltanto le bestie più schifose trovavano accogliente quel lurido vicolo troppo cresciuto; avevano rifiuti in quantità industriale dove vivere e da sgranocchiare e abbondanti pozzanghere melmose dove sguazzare: il paradiso dei ratti e degli scarafaggi.

Metà dei lampioni era stata rotta da teppisti e più della metà di quelli accesi stava per fulminarsi.

Lenny il barbone osservava questo paesaggio e rifletteva fra sé e sé. Ormai quella era la sua tana, da più anni di quanti volesse ricordare, eppure con quella luce e il vento che fischiava nei vicoli gli sembrava il posto più pericoloso e più merdoso del mondo.

- Forse sto esagerando - pensò senza troppo convincimento - devono esserci almeno uno o forse due posti al mondo più pericolosi di questo. -

Si guardò attorno con aria disgustata.- In quanto al resto però mantiene di sicuro il primato, con buono scarto rispetto al

secondo classificato. -L’unica cosa che gli desse sollievo e gli facesse vedere sotto una luce migliore ogni

cosa era una quotidiana dose di Syntaur.Assumere quella roba era un gesto contraddittorio per Lenny. Aveva sempre

considerato dei finocchi senza palle tutti quei giovinastri che si facevano di chissà quale droga tagliata con la stricnina ai bordi delle strade.

Lui poteva pure essere un barbone violento, scalognato e puzzolente, ma le palle le aveva e come. Aveva provato un po’ di tutto, eroina, cocaina, crack, ma lui era sempre

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stato più forte; aveva apprezzato l’esperienza senza diventarne schiavo e poi ci aveva riso sopra.

Il Syntaur era diverso. Aveva trovato la prima bustina addosso a un teppistello che aveva pestato a sangue.

Da quelle parte le invasioni di territorio si regolavano in quel modo, se ci riuscivi, se no soccombevi al più tosto e feroce.

Lenny ripensò trasognante alla polvere cristallina color azzurro cielo; ricordò che quella volta, allontanandosi dal corpo coperto di lividi, si era chiesto come funzionasse, come andasse assunta; poi nel dubbio ne aveva messa un po’ sulla lingua.

Il sapore era celestiale, forse stonava leggermente quel retrogusto chimico, che comunque a Lenny non dispiaceva. L’effetto valeva in ogni caso di sopportare qualsiasi cosa.

Era difficile da spiegare, alla fine il barbone decise che sembrava come di vivere ricordi di altre vite. Ricordi fantastici però. Un vortice di sensazioni in cui rientravano voli fra le stelle, paesaggi assurdi, architetture impossibili, esperienze con esseri bellissimi, ma che nulla avevano di umano, sapori indescrivibili, melodie aliene ecc.

Ora niente, aveva speso gli ultimi soldi per la dose di ieri. Il fatto di dover rinunciare a quella di oggi cominciava a farlo star male, anche fisicamente.

Cominciò a rovistare nel giaccone infeltrito.- Possibile - pensò - che non mi sia rimasto più nemmeno uno spicciolo? -Fortunatamente per Lenny, e a differenza delle altre droghe in commercio, il Syntaur

aveva un prezzo più che accessibile, anche per uno come lui. Sconsolato si arrese all’evidenza dei fatti e si sdraiò su un mucchio di cartoni appositamente predisposti sul marciapiede.

Con le spalle appoggiate al muro diede un’ultima occhiata alla sua fetida strada poi chiuse gli occhi e sperò che il mal di testa che gli era venuto passasse presto e lo facesse dormire, anche se per ora non faceva che aumentare d’intensità.

Si sentiva così intontito dal sonno e dall’astinenza che sentì a mala pena il gracchiare sommesso che si allontanava e qualcosa di leggero che gli era piovuto addosso dall’alto.

- Vuoi vedere che qualche piccione mi ha di nuovo cagato addosso? - chiese a se stesso aprendo a fatica gli occhi arrossati.

Tentando di stimare l’entità del danno subito dal suo soprabito si trovò invece con sua immensa sorpresa a rigirare fra le dita una banconota.

«Wow! Un pezzo da venti - disse ad alta voce girando la testa verso la direzione da cui aveva sentito gracchiare - Grazie amico!

Alzò la banconota in direzione dell’uccello grigio che si allontanava tra i fumi della strada buia.

L’euforia diede la forza a Lenny di tirarsi in piedi nonostante l’emicrania lancinante.Rigirando e controllando la banconota si infilò sorridendo in un vicolo: anche oggi

avrebbe avuto la sua dose di Syntaur, meglio sbrigarsi prima che finisse tutto.

***

Il neon sopra la grossa porta a vetri blindati componeva la scritta NONO GIRONE.Quale nome più appropriato per un posto dove si spacciava inferno e dannazione in

comode bustine monodose?Senza stare a rifletterci troppo su la figura in impermeabile grigio-verde entrò nel locale.Un tempo doveva essere stato un night di classe, ma ora il lucente intonaco scrostato

dalle colonne, le macchie sui divani di pelle, la ruggine sul corrimano delle scale, i profondi solchi sul legno del bancone e altro mostravano i segni della decadenza.

Eppure l’ampia sala era gremita di gente. Nessuno ballava e pochi conversavano. Una cosa li accomunava tutti, giovani manager, straccioni, operai, signore in abito da sera e

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teppisti: erano tutti disperati, tutti dipendenti da Syntaur.Un merlo grigio si andò a poggiare sullo schienale di un divano di pelle proprio dove era

seduto Lenny il barbone.Non era certo una cosa comune, tutt’altro, ma nessuno si scompose, nessuno lo guardò

per più di un paio di secondi, come se avessero perso ogni volontà su cui poter fare affidamento. Era scomparsa dagli occhi di quelle persone ogni curiosità se non per le esperienze allucinogene che erano venute a ricercare al Nono Girone.

«Ciao Lenny!» gracchiò il pennuto grigio.Il barbone non si mosse. Un occhio poco attento avrebbe dubitato persino che stesse

respirando.«Grazie Lenny!»Ma Lenny continuava a tenere lo sguardo fisso nel vuoto davanti a se. I suoi occhi

spalancati neanche videro l’imponente figura in impermeabile e cappello a tesa larga che gli si parava davanti. La vista e tutti gli altri sensi erano infatti totalmente persi nelle visioni dettate dai cristalli di Syntaur.

«Addio Lenny!»L’impermeabile venne scostato appena quel tanto che era sufficiente per snudare la

canna di una strana pistola. Il 'fzz' prodotto dallo spostamento d’aria sarebbe comunque passato inosservato, ma Lenny non avvertì né il debole colpo al petto, né il sangue che saliva fino a soffocarlo per ordine del suo stesso cervello. Lenny il barbone finì la sua triste esistenza come era sempre vissuto: ignorato da tutti.

Il merlo lanciò un breve strillo, poi volò via. Bishop non poteva sapere se tutti i clienti del Nono Girone fossero drogati di Syntaur, ma Lenny si. Lo sapeva fin troppo bene.

Lo aveva osservato attentamente nelle ultime settimane. Acquistava la droga da uno spacciatore suo amico direttamente dalla strada. Lo spacciatore la acquistava a sua volta da qualcun altro e così via. Il giro era troppo lungo da seguire.

Uno come Lenny invece non poteva non sapere chi fosse il fornitore diretto, viveva da sempre per strada. Aveva avuto ragione. Non appena si era trovato in crisi per l’astinenza gli era bastato un semplice incentivo economico per condurlo involontariamente lì. Ma queste erano cose di cui Lenny non doveva più preoccuparsi.

Ucciderlo era stato un gesto di carità. Aveva visto altre volte in che modo atroce il Syntaur poteva consumare il corpo e la mente di una persona. La prima era stata Graam, nome in codice Manticora. Il suo compagno più fidato. L’unico amico che avesse amai avuto a parte Vren.

Il barbone almeno era morto senza sentire alcun dolore e senza svegliarsi dai suoi sogni sintetici.

«Ehy amico - disse una voce al contempo viscida e stridula - sei già partito o ti sei solo incantato?»

A parlare era stato Adrian, un ragazzo vestito di pelle nera che tentava di nascondere la sua inetttudine dietro un paio di occhiali da sole e una bizzarra capigliatura colorata.

«Ti serve una dose giusto?»Bishop indurì bocca e mento assumendo un’aria piuttosto minacciosa. Sembrava dire

chiaramente che era disposto a uccidere chiunque gli si frapponesse in quel momento.«Ok, ok, sei un duro.»Adrian si sistemò nervosamente una ciocca di capelli fucsia.«Come non detto, ne riparleremo quando inizierà a scoppiarti la testa.»Bishop non rispose nulla, neanche si mosse, ma il suo sguardo fece risuonare nella

testa di Adrian un avvertimento.- Entro domani ne riparlerai con tutti quei disgraziati che hai mandato all’altro mondo

con il Syntaur. -Un avvertimento che fece preferire allo spacciatore di allontanarsi dal suo interlocutore

con una risatina che voleva sembrare di derisione, ma esprimeva nervosismo e paura.

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Tutti notarono distrattamente che un grosso tipo in impermeabile grigio-verde e cappello di cuoio stava salendo la scala che portava agli uffici del proprietario del Nono Girone, seguito da un merlo grigio. Nessuno se ne preoccupò, ne sentì il bisogno di fare qualcosa. In fondo i sogni continuavano.

***

La guardia sbadigliò. Era la terza volta nel giro di cinque minuti. Stava tentando di ricordare il motivo per cui aveva deciso di lavorare in quel sordido buco di periferia.

Certo, era nuovo nel giro delle guardie del corpo e doveva accettare ogni incarico che gli permettesse di farsi una reputazione. Gli sembrava comunque di essere caduto piuttosto in basso, in fondo era stato un pugile dei pesi massimi di tutto rispetto prima che l’incidente lo costringesse a fermarsi.

Guardando la porta alle sue spalle sperò di ricevere qualche segno dal suo cliente. Come sempre non accadde nulla. Alfons Rodruego, il suo protetto, era un drogato. Della stessa roba sintetica che spacciava nel locale probabilmente.

Quando gli ordinava di fare la guardia davanti la porta del suo ufficio rimaneva li dentro per ore senza fare alcun rumore, senza dubbio in preda a qualche allucinogeno.

Dopo l’ennesimo sbadiglio tese l’orecchio per ascoltare se al piano di sotto stesse accadendo qualcosa di strano. La solita musica sommessa, il solito borbottio indecifrabile, e… passi.

Ascoltò di nuovo facendo maggiore attenzione; qualcuno stava salendo a passi svelti le scale che portavano al primo piano.

Sistemandosi l’abito di gessato grigio controllò che la pistola di grosso calibro fosse al suo posto.

Lavorava da due mesi al Nono Girone e nessuno era mai salito a quel piano tranne lui, Alfons e qualche prostituta occasionale. Di certo non si aspettava di vedere quello sconosciuto in soprabito lungo che stava venendo verso di lui.

«Ti sei perso? Torna giù» disse la guardia.Vide che il nuovo arrivato avanzava nonostante l'ordine. Non riusciva a interpretare la

sua espressione dietro il cappello di cuoio e gli occhiali scuri.«Se cerchi il signor Rodruego caschi male. È occupato.»L'altro non sembrò preoccuparsi degli impegni del signor Rodruego e continuò ad

andare avanti.- Che diavolo vuole quel tipo? - pensò - Cerca proprio guai? - «Sei capitato nel posto sbagliato amico.»- Niente, è pazzo. -«Ok, te la sei cercata.»La guardia estrasse la pistola, ma fece in tempo a fare solo quello, perchè con una

falcata sovrumana lo sconosciuto bruciò in un istante la distanza che li separava. Afferrò saldamente la mano che impugnava l’arma, prima che avesse il tempo di rivolgerla contro di lui, e glie la sbatté sul naso rompendoglielo.

Il sangue iniziò a scorrere a fiumi dal muso tumefatto. Senza avere neanche il tempo di prendere fiato, la guardia si sentì afferrare la faccia da una mano vigorosa che con forza impietosa gli spinse la testa contro la parete, un’altra volta e di nuovo ancora senza che riuscisse a divincolarsi da quella stretta o a reagire in altro modo.

Lo sconosciuto si fermò solo quando vide allargarsi sul muro una chiazza rosso scuro. Lasciò andare il cadavere della guardia che si accasciò per terra tracciando sulla parete una strisciata di sangue e cervello spappolato.

***

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Bishop entrò nel nella stanza maleodorante sfondando la porta chiusa a chiave con un calcio.

La targa sulla scrivania lo informò che si trovava nello studio di Alfons Rodruego. Ma a quanto pareva il padrone di casa non poteva accoglierlo a dovere.

Dietro la scrivania invasa da carte e da bustine di Syntaur stava seduto un uomo sulla cinquantina, obeso e schifosamente sudato. La faccia inebetita e gli occhi spalancati fissi nel vuoto gli dicevano che era completamente fatto.

«Dove? Dove? Oh oh, Modificato! Modificato!» strillò Vren entrando.Poi si andò a poggiare sul davanzale dell’unica finestra presente.Bishop fissò Vren perplesso. Il pennuto stava sottolineando quello che era ovvio.Alfons aveva le maniche arrotolate fino al gomito e la camicia aperta sul davanti che

mettevano in evidenza delle piccola valvole innestate nella carne; una ventina in tutto sparse tra gli avambracci e il petto.

Tramite canule di plastica, ogni valvola era collegata a un macchinario dall’aspetto tecnologico e arcaico allo stesso tempo: un incrocio tra la postazione di hacker e il laboratorio di un alchimista.

Il macchinario non metteva alcun rumore e sembrava inerte, ma il liquido verdastro che confluiva verso e nel proprietario del Nono Girone era una prova che fosse attivo. Stava distillando veleno allucinogeno e avrebbe continuato fino al termine che era stato impostato.

Purtroppo per Alfons Bishop non aveva tempo da perdere. Estrasse un coltello dalla lama bianco opaco e recise i lunghi tubi che univano l’uomo alla macchina.

Il liquido smise di affluire, spargendosi invece per terra, costringendo il signor Rodruego a uno shockante risveglio dai suoi deliri onirici.

Prima che il corpulento trafficante di droga avesse il tempo di riprendersi, il Gargoyle recise gli stessi tubi di gomma che partivano dal suo corpo con il suo coltello dalla lama bianca e lo legò alla sedia imbottita su cui era seduto.

Sapeva che il modificato avrebbe metabolizzato quasi all’istante il Syntaur residuo tornando alla piena efficienza, per cui si assicurò che i nodi fossero ben stretti.

Un metabolismo capace di assorbire in poco tempo qualsiasi sostanza senza subire danni e capace di accelerare qualsiasi processo di guarigione. Questo, e la garanzia di assoluta inviolabilità della propria mente, spingeva numerose persone ad allearsi e a sottomettersi a “loro”.

Bishop si sedette sulla scrivania, proprio davanti al suo prigioniero e gli fece vedere che il coltello veniva posato sulla scrivania.

«Cosa vuoi da me? - chiese Rodruego con ostentata sicurezza - Soldi? Droga? Cosa? Parla imbecille, prima che i miei uomini entrino da quella porta e ti crivellino di colpi.»

Vren si alzò dal davanzale per spostarsi sulla spalla del suo compare.«Dove Loro? Dove incontro? Quando?» gracchiò fissando lo spacciatore negli occhi.Bishop si tolse con calma il cappello e gli occhiali. Rodruego trasalì, ora tutto aveva un

senso . Lo riconosceva, aveva sentito parlare di lui e di tutti i problemi che stava causando, ma l’orrore per i suoi padroni era più forte della paura per il suo sequestratore.

«Fottiti! Non riuscirai a estrarre nulla dal mio cervello. Ora ammazzami pure» disse con un sorriso rabbioso stampato sul volto.

«Altra idea! - gracchiò Vren - modificato guarisce molto in fretta!»Bishop prese il coltello e rialzandosi in piedi si avvicinò allo spacciatore fin quasi a

toccarlo.«Lunga notte!»

***

Era quasi l’alba ormai e la luminescenza che arrossava i vetri della finestra avvertì

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Bishop che gli era rimasto poco tempo. Non se ne preoccupò più di tanto, ormai aveva praticamente finito.

Ci aveva messo cinque ore, ma aveva ottenuto tutto ciò che gli serviva e che Rodruego poteva dirgli.

Finì di lavarsi le mani e uscì dal bagno del magazzino bevande. Caricò un carrello con cinque casse di liquore. Sarebbero dovute bastare, non c'era tempo per qualcosa di meglio.

Tornando verso l’ufficio ruppe diverse bottiglie per terra. Considerando che aveva fatto saltare con la sua pistola tutti gli alcolici che aveva potuto nel magazzino, ora il piano superiore del Nono Girone era un paradiso per gli alcolizzati.

«Presto! Presto!» gracchiò Vren.Bishop diede un’ultima occhiata alla guardia accasciata vicino alla porta. Chissà come si

chiamava.Il corpo di Alfons Rodruego tremava e si contorceva nel tentativo di far rimarginare

un’infinità di piccoli tagli dislocati su tutto il corpo.Riprese conoscenza solo quando gli furono svuotate addosso due bottiglie di Whisky.

Vide il maledetto che lo aveva ridotto in quello stato pietoso ripete l’operazione in tutta la stanza.

- Che diavolo sta facendo quel bastardo? - pensò.Quando lo capì provò a urlare ma l’unica cosa che ottenne fu un mugugno soffocato dai

suoi calzini, bloccati in bocca da numerosi giri di nastro da pacchi.Non riusciva a credere che stesse veramente dando fuoco alle carte che aveva sulla

scrivania.Vren volò fuori dalla finestra dell’ufficio al secondo piano, poco dopo Bishop lo seguì con

un balzo.

***

La maggior parte dei clienti del Nono Girone non si accorse nemmeno che il fumo stava invadendo la sala. Quelli abbastanza lucidi da capire la situazione furono colti dal panico vedendo le fiamme iniziare a lambire le scale e si riversarono in massa verso l’uscita.

Adrian no, era più furbo di quei drogati col cervello bruciato. Si diresse spedito all’uscita sul retro, sarebbe uscito senza correre il rischio di finire calpestato.

La porta sul retro non si apriva. Fece persino forza con la spalla senza ottenere alcun risultato. Non era chiusa a chiave, era come se fosse bloccata dall’esterno.

- Al diavolo! - pensò il giovane spacciatore - Chi può aver sprangato la porta da fuori? -Senza darsi risposta decise che non voleva morire bruciato e corse anche lui verso la

porta principale.Il fuoco ormai era arrivato fino al salone, ma la gente era accalcata li senza uscire.

Adrian si fece largo a spinte e a gomitate tra la calca. Gli caddero gli occhiali e i capelli colorati persero la piega arrogante, ma alla fine riuscì ad arrivare alla porta di vetro blindato: era bloccata anche quella.

Fuori poté scorgere un tizio molto alto con un impermeabile grigio-verde che gli sorrideva da sotto la tesa del cappello. Gli sembrò che il merlo grigio appollaiato sulla sua spalla sinistra gli dicesse “addio”, anche se ogni rumore era superato dalle urla delle persone raggiunte dall’incendio.

La folla nel panico alle sue spalle lo schiacciava e batté le palme aperte delle mani sui vetri della porta, più e più volte, strillando insulti e minacce.

L’alta figura si confuse nella notte, ormai dissolta da squarci rossastri, allontanandosi dall’edificio in fiamme.

***

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«…ntasette corpi ritrovati carbonizzati nell’incendio che ha distrutto il Nono Girone. Le dinamiche del tragico evento non sono ancora state chiarite. Sembra che l’incendio sia scaturito al piano superiore diffondendosi poi in tutto il night. Non ci sono stati superstiti fra gli ospiti bloccati al suo inter…»

«Scusi sa - disse il tassista girando una manopola dell’autoradio per cambiare stazione - È che non sopporto più tutte queste scemenze che dicono.»

Aveva l’aspetto di uno scaricatore di porto: barba incolta, giubbotto di uno squallido blu stinto e berretto di lana calcato sin sulle sopracciglia cispose. Parlava con il tono di saccenza e superiorità che ci si sarebbe potuti aspettare da un affermato professore di fama internazionale.

«Vuole sapere che ne penso io?» chiese rivolto al passeggero, il quale non diede alcuno cenno di risposta.

«Penso sia tutta una bugia. Ci stanno tenendo nascosta la verità. Quelli del governo. Ha presente, no? Hanno sicuramente pagato o minacciato i giornalisti per non dire nulla. Ma quale incendio e incendio! Sono stati loro!»

Si girò di tre quarti sporgendosi dal sedile per guardare meglio il suo interlocutore.«Sono stati gli ET – disse riducendo il tono di voce a un sussurro - Ho sentito che

visitano la Terra da migliaia di anni. Beh, io li ho visti. Ha presente la provinciale sud, dove hanno messo tutti quei lampioni nuovi? Ecco, qualche giorno fa stavo tornando dalla festa di mio cognato. Pensi che non avevo neanche bevuto tanto. Quando a un certo punto mi accorgo di essere spiato. Mi guardo in alto, fuori dal finestrino, e li vedo. Centinaia di dischi luminosi che mi illuminano la strada. Capisce? Quegli stronzi volevano portarmi chissà dove: era una trappola! Allora mi sono detto: Richard, vecchio mio, o ti butti per campi o finisci coi denti trapanati e una microspia nel cervello. E allora vuole sapere che cosa ho fatto? Mi son…»

Il passeggero tirò fuori da una tasca del suo lungo impermeabile grigio-verde un biglietto con su scritto un indirizzo e glielo mise sotto gli occhi.

«Ah… sì… vuole che la porti qua?»Il tassista sembrava deluso di aver dovuto interrompere la narrazione delle sue gesta,

ma facendo una smorfia con la bocca, si girò e rimase fisso sulla strada, lasciandosi sfuggire solo un breve commento.

«Uh… è un tipo di poche parole lei…»Richard guardò nello specchietto retrovisore per tutto il tempo del viaggio, cercando di

capire chi si nascondesse sotto gli occhiali scuri e il cappello.Alla fine decise che quel individuo non gli piaceva affatto: troppo misterioso, troppo

silenzioso, troppo losco. Forse era matto, d'altronde andarsene in giro con un uccello sulla spalla non era affatto normale.

Molto più probabilmente era una spia di quei maledetti ET. Sapevano che lui sapeva e ora gli avevano messo un traditore della razza umana alle calcagna. Sì, doveva essere proprio così.

***

«Ma qui non c’è nulla!» disse Richard fermando il taxi nel punto indicato nel biglietto. Effettivamente si trovavano in uno spiazzo di ghiaia adiacente alla zona dei grandi

magazzini, ma il passeggero scese comunque, lasciando sul sedile il doppio di quanto avrebbe dovuto pagare per la corsa.

Il pennuto grigio si fermò un attimo per gracchiare al tassista.«Va via!»Poi raggiunse il suo compagno in direzione dei magazzini. Anche Richard vide le luci che partivano dai capannoni. Davano l’idea di fari da

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discoteca puntati verso l’alto.- Andare via? - pensò - Voi siete matti se pensate che vi lascerò andare tranquillamente

a parlare di me ai vostri schifosi padroni marziani. -Prese una pistola dal cruscotto del taxi e si allontanò anche lui nella stessa direzione

degli altri due.

***

Bishop osservava la scena cercando di capire quale fosse il modo migliore di agire.In un piazzale nascosto da capannoni tutt’attorno stava avvenendo l’incontro che voleva

interrompere.Da una parte cinque uomini in tenuta governativa erano appena usciti da una berlina

blindata. Le targhette sulle loro giacche portavano la sigla H.A.S., acronimo di Half Alien Squadron.

Dall’altra parte un veicolo a forma di disco composto da metallo nero e opaco aveva appena abbassato un portello dal quale si irradiava una malsana luminosità rossastra.

Gli uomini si disposero in attesa davanti alla macchina, mentre dal portello ormai totalmente abbassato fuoriuscivano tre creature. Alti più di due metri, avevano una struttura esile e incredibilmente asciutta, che metteva in risalto i lunghi muscoli al disotto della pelle color nero sanguigno e dall’aspetto limaccioso.

Non indossavano abiti, e sui loro corpi glabri non c’erano né segni particolari distintivi né discrepanze; come se fossero stati plasmati da un’unica massa fluida.

Le dita appuntite, quasi artigliate, testimoniavano la loro natura di predatori.Ciò che causava veramente orrore negli occhi di chi li osservava per la prima volta

erano però i loro visi. Grandi occhi obliqui e argentati, senza pupilla né palpebre, non erano seguiti da alcuna bocca e al posto del naso c’era solo una lieve protuberanza.

Quella folle maschera uniforme celante indicibili orrori siderali era incorniciata da una testa allungata, col mento appuntito e priva di orecchie visibili.

Bishop passò inosservato dietro il veicolo alieno; attese finché le sagome mostruose non si frapposero fra lui e la visuale degli uomini dell’H.A.S., dopodiché scivolò fino al portellone aperto.

Vi applicò quattro piccoli congegni a forma di cupola, due per ogni lato, poi digitò una sequenza numerico sulla tastiera di ognuno di essi.

Uno sparo ruppe il silenzio.Forse uno degli uomini dell’H.A.S. lo aveva scoperto e gli aveva sparato. Improbabile

dato che stavano ancora rendendo le armi dalle fondine e sembravano sorpresi quanto lui.Qualunque cosa stesse succedendo ormai a causa di quel colpo lo avevano visto,

anche gli esseri neri si erano girati.Iniziando a correre estrasse entrambe le sue pistole. La situazione era disperata, ma

vedere nelle sue mani le armi che gli erano familiari, sentirne il peso, lo rassicurò.Continuando a scappare tra i proiettili che gli piovevano attorno fischiando torse il busto

e con fredda precisione premette più volte i grilletti.Cinque 'fzz' su sei andarono no a segno, facendo crollare al suolo altrettanti agenti

umani.Sentì un dolore acuti tra gli occhi e girandosi vide che ognuno degli umanoidi neri aveva

puntato verso di lui un braccio teso. Gli sembrava di poter sentire le emanazioni uscenti dai palmi di quelle mani mostruose, canalizzate sul suo cervello dalla raggiera di dita artigliate. Il sangue iniziò a uscirgli dal naso e a premere dall’interno sui suoi timpani.

Mentre riponeva una pistola per prendere una sorta di piccolo telecomando pensò che doveva allontanarsi ancora.

Le budella cominciarono a contorcerglisi, costringendolo a correre abbassato mentre il sangue gli colava dalla bocca. Se avesse aspettato ancora sicuramente sarebbe morto.

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Premette il pulsante sul detonatore.

***

Nascosto dietro un capannone, Richard vide le prime due esplosioni eruttare fuori dal portellone del disco nero. Il fuoco al calor bianco investì le tre figure nere divorandole e consumandole in una fiammata. Le altre due esplosioni invasero l’interno del veicolo alieno trasformandolo in una gigantesca bomba.

Il boato fu più contenuto di quanto ci si aspettava, o forse era solo rimasto assordato dalle esplosioni precedenti, ma la detonazione produsse un flash di tale potenza da disgregare completamente due rimesse vicine e da far tremare l’intera zona dei magazzini.

Il tassista fu sbalzato a terra perdendo la pistola con cui aveva sparato poco prima, così poté vedere che l’esplosione si espandeva unicamente verso l’alto, lasciando relativamente intatti l’asfalto sotto di sé e gli edifici sotto il piazzale. Rialzandosi si sfregò gli occhi con il dorso della mano per farsi passare l’accecamento dovuto alla luce intensa.

Davanti agli occhi aveva ancora una miriade di lucciole luminose che danzavano per poi scomparire; riuscì lo stesso a vedere un corpo riverso faccia a terra non molto distante da lui. Era il passeggero che aveva portato fin lì.

Il suo impermeabile era bruciato e completamente rovinato, così come il cappello messo di traverso sul capo.

Che fosse morto? No, no, era vivo e si stava rialzando.«Cazzo!» disse il tassista correndo verso il tizio barcollante.L’alta sagoma si stava sfilando ciò che rimaneva del soprabito ormai inservibile.«Te l’avevo detto o no? C’erano gli ET! C’erano quegli stramaledetti fottuti mostri dello

spazio. Volevano rapire un po’ di terrestri, ma io gli ho sparato. Cazzo se gli ho sparato! E tu li hai fatti saltare in aria. Gliela abbiamo proprio fatta vedere. Che ci provino a mettere le loro schifose zampe sul nostro pianeta. Se ci provano a tornare gli rompiamo il culo. Se ne devono stare a casa loro. Giusto amico?»

Bishop indurì la bocca serrando i pugni mentre Vren gli si appollaiava sulla solita spalla.«Lascia che parli per conto di chi non può farlo - disse il merlo grigio - Voglio raccontarti

una storia. C’era una volta uno strano bambino fatto nascere per metà umano e per metà… per metà mostro dello spazio»

Bishop si tolse il cappello bruciacchiato rivelando una testa calva e leggermente allungata.

«Fu utilizzato assieme ai suoi fratelli da persone che si dicevano giuste per vincere guerre ingiuste.»

Bishop gettò per terra gli occhiali con una stanghetta rotta. Il suo volto scuro faceva risaltare gli occhi obliqui completamente bianco-argentei al centro dei quali vibrava una sfocata pupilla rossa.

«Ma lo strano bambino ormai cresciuto capì che era tutto sbagliato.»Richard rimase paralizzato dalla paura, scuotendo incredulo la testa da un lato all’altro.«Si ribellò agli uomini cattivi e ai mostri dello spazio che volevano dirgli cosa fare e

come farlo»Con un fobico «NO!», il tassista si girò e iniziò a scappare più veloce che poteva, mezzo

accecato dalle lacrime.«Beh, sai una cosa?»Bishop puntò la pistola mirando tra le scapole dell’uomo in fuga.«Li ha uccisi tutti!»'fzz'