La valutazione economica delle politiche idriche: dall ... allegati/materiale de Carli/2003. de...

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La valutazione economica delle politiche idriche: dall’efficienza alla sostenibilità Alessandro de Carli (*) , Antonio Massarutto (**) , Vania Paccagnan (***) Introduzione Il paradigma dello “sviluppo sostenibile” ha rivoluzionato il quadro concettuale della valutazione delle politiche pubbliche in campo ambientale, offrendo un riferimento teorico per integrare il contributo delle diverse discipline entro una prospettiva orientata al lungo periodo. Con particolare riferimento alle discipline economiche, esso ha permesso di arricchire l’approccio neoclassico fondato sulla visione esclusivamente utilitaristica e statica dell’environmental economics, grazie alla comprensione del ruolo del capitale naturale (KN) nel processo economico, integrando i consueti indicatori monetari dell’analisi costi-benefici, con altre considerazioni pertinenti alla sfera ecologica, sociale, culturale etc (Ekins et al., 2003). Come è ben stato messo in evidenza da Turner (1993) ed Ekins (2000), la questione cruciale è duplice, e riguarda: la sostituibilità del KN nelle “funzioni di produzione” in cui esso entra come input: un certo KN è critico per una certa funzione se esso non può essere sostituito da altri input né da altre forme di KN. la sostituibilità delle dimensioni di valore fra loro: una certa funzione ambientale (es. la balneazione in un fiume) può essere considerata compensabile da altri benefici (es. un bene di consumo che procuri identica soddisfazione); altre funzioni ambientali non sono sostituibili, nemmeno da altre risorse naturali. Quando queste condizioni si verificano, il KN risulta sostituibile solo in forma imperfetta; occorre garantire la conservazione e riproduzione di quella particolare (*) Iefe, Università Bocconi (**) Università di Udine e Iefe, Università Bocconi (***) Iefe, Università Bocconi e Dipartimento di Pianificazione, IUAV, Venezia

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La valutazione economica delle politiche idriche: dall’efficienza alla

sostenibilità

Alessandro de Carli(*), Antonio Massarutto(**), Vania Paccagnan(***)

Introduzione

Il paradigma dello “sviluppo sostenibile” ha rivoluzionato il quadro concettuale della valutazione delle politiche pubbliche in campo ambientale, offrendo un riferimento teorico per integrare il contributo delle diverse discipline entro una prospettiva orientata al lungo periodo. Con particolare riferimento alle discipline economiche, esso ha permesso di arricchire l’approccio neoclassico fondato sulla visione esclusivamente utilitaristica e statica dell’environmental economics, grazie alla comprensione del ruolo del capitale naturale (KN) nel processo economico, integrando i consueti indicatori monetari dell’analisi costi-benefici, con altre considerazioni pertinenti alla sfera ecologica, sociale, culturale etc (Ekins et al., 2003). Come è ben stato messo in evidenza da Turner (1993) ed Ekins (2000), la questione cruciale è duplice, e riguarda: − la sostituibilità del KN nelle “funzioni di produzione” in cui esso entra come

input: un certo KN è critico per una certa funzione se esso non può essere sostituito da altri input né da altre forme di KN.

− la sostituibilità delle dimensioni di valore fra loro: una certa funzione ambientale (es. la balneazione in un fiume) può essere considerata compensabile da altri benefici (es. un bene di consumo che procuri identica soddisfazione); altre funzioni ambientali non sono sostituibili, nemmeno da altre risorse naturali.

Quando queste condizioni si verificano, il KN risulta sostituibile solo in forma imperfetta; occorre garantire la conservazione e riproduzione di quella particolare

(*) Iefe, Università Bocconi

(**) Università di Udine e Iefe, Università Bocconi

(***) Iefe, Università Bocconi e Dipartimento di Pianificazione, IUAV, Venezia

componente dello stock di KN. Il paradigma della sostenibilità permette di tenere conto, da un lato, dell’irriducibilità di molte dimensioni di valore al calcolo economico (ossia della loro incomparabilità con altre dimensioni di valore); dall’altro lato, della possibilità di sostituire KN con altri input (capitale, lavoro e tecnologia) per ottenere determinate funzioni ambientali. Questa sostituibilità è generalmente possibile fino a un certo livello e per certe funzioni ambientali; oltre, si entra in una “zona grigia”, nella quale il fattore decisivo è lo sviluppo tecnologico; si individua in tal senso un approccio “debole” o “forte”, in funzione della maggiore o minore propensione a ritenere “critiche” certe componenti del KN o ad adottare una visione pessimistica o prudente in merito alla capacità della tecnologia di superare i “limiti alla crescita” (Turner, 1993). Negli ultimi 15 anni, si è cercato di rendere operativo questo approccio traducendolo in sistemi di misurazione e di valutazione applicabili al contesto concreto (Perrings e Vincent, 2003; Clinch et al., 2002; Oecd, 2001; Segnestam, 2002). A questo enorme sforzo di produzione di schemi concettuali e indicatori non sempre ha corrisposto un’adeguata riflessione in merito alle basi teoriche del ragionamento, e la stessa natura interdisciplinare del concetto di sostenibilità ha spesso favorito la sovrapposizione dei criteri più che la sintesi. Con il risultato che, quando questa enorme messe di dati viene trasferita nel dibattito politico o nella vulgata giornalistica, si corre spesso il rischio di effettuare valutazioni basate su criteri del tutto inadatti e inattendibili, o di discutere un gran numero di dati spesso fonte di confusione e non sempre davvero significativi per cogliere le criticità specifiche di ogni contesto settoriale e locale e orientare le decisioni e la scelta delle priorità. La traduzione di questo immane lavoro teorico e applicato in indirizzi e criteri per l’azione dei policymaker è stata perciò molto meno agevole di quanto si potesse supporre. Man mano che si passa da un livello più generale a uno più operativo, il concetto di sostenibilità rivela un insospettabile carico di ambiguità e di indeterminatezza, a dispetto della sua apparente ovvietà ed autoevidenza. Non sono mancati coloro che, sconfortati dalla sproporzione fra le ambizioni teoriche del concetto e la sua capacità di proporsi effettivamente come guida e criterio per orientare il policymaking, ne hanno proposto addirittura l’abbandono. Altri studiosi non si sono scoraggiati, ma hanno piuttosto indirizzato la propria ricerca, da un lato, verso l’individuazione di “meta-indicatori”, ossia verso metodologie per la costruzione di indicatori “sensati” e “parsimoniosi”; dall’altro, verso un approccio orientato programmaticamente ad una sostenibilità intesa soprattutto come processo decisionale partecipato e democratico (Ekins et al., 2003; O’Connor, 1998, 2003). Il presente saggio si innesta in quest’ultimo filone di ricerca, proponendosi di esaminare il dibattito in un settore emblematico, quello dell’acqua, nel quale è massimo il carico di ambiguità insito nella definizione stessa di “uso sostenibile” e a maggior ragione negli indicatori di sostenibilità utilizzati per le valutazioni. L’attenzione si concentra in particolare sulla tematica della sostituibilità fra KN e infrastrutture fisiche. Sebbene l’acqua sia da considerarsi – complessivamente – un KN critico, la determinazione della scala territoriale alla quale debba valere un “bilancio in pareggio” fra risorse rinnovabili disponibili e usi non è agevole: infatti, a un costo presumibilmente elevato, ma finito, è possibile “rendere disponibile”

virtualmente qualunque quantità di acqua, essendo la disponibilità di risorsa rinnovabile largamente eccedente rispetto ad ogni necessità ipotizzabile. E’ invece la considerazione dei costi della creazione di capitale artificiale a suggerire la ricerca di un equilibrio a scale territoriali minori: costi monetari delle infrastrutture e dei servizi, innanzitutto; ma anche costi opportunità ambientali, legati alla scomparsa di funzioni ecologiche irrinunciabili svolte dalla risorsa naturale alla scala locale e all’esigenza “etica” di garantire l’accessibilità universale a queste funzioni irrinunciabili (Ekins et al., 2003). Si sviluppa dapprima una definizione di sostenibilità delle politiche idriche, sottolineando in particolare la molteplice valenza dell’acqua come KN da preservare e mantenere per le sue valenze ecologiche, come risorsa scarsa da allocare secondo principi di efficienza, come sistema di infrastrutture da sviluppare e mantenere correttamente, e infine come bene onnipresente in tutte le funzioni vitali, e in quanto tale da garantire come “uso meritorio”. Vengono successivamente passati in rassegna alcuni recenti studi dedicati alla definizione e alla misurazione della sostenibilità nel settore idrico, che in diversi modi si misurano con l’esigenza di trovare un efficace compromesso fra le caratteristiche “universali ed astratte” delle risorse idriche e le inevitabili specificità locali, sia in termini di dotazione di KN, sia in termini di “funzioni ambientali” cui la collettività attribuisce valore.

Il concetto di sostenibilità applicato alle risorse idriche

Sostenibilità ecologica, economica ed etica nel caso dell’acqua

I principi generali sui quali può essere impostata una definizione di uso sostenibile dell’acqua hanno trovato formulazione in una serie di documenti internazionali, dal capitolo 18 dell’Agenda 21 alla conferenza di Dublino del 1992, al V Programma Quadro di azione ambientale dell’Ue, fino alle recenti dichiarazioni comuni del summit di Johannesburg (2002) e del Forum Mondiale sull’Acqua di Kyoto (2003). Nella prospettiva adottata da questi documenti, ed oggi universalmente accettata, l’uso sostenibile delle risorse idriche riguarda sia la preservazione del KN per le generazioni future (sostenibilità ecologica), sia l’allocazione efficiente di una risorsa scarsa (sostenibilità economica), sia l’equa condivisione e l’accessibilità per tutti di una risorsa fondamentale per la vita e lo sviluppo economico (sostenibilità sociale) (Solanes e Gonzalez-Villareal, 1999; Kahlenborn e Kraemer, 1997). Dal primo punto di vista, come tutte le risorse naturali, l’acqua deve svolgere nel tempo diverse funzioni, quale fornitura degli input dei processi di consumo e produttivi, l’assimilazione dei materiali di rifiuto, ma anche più in generale funzioni

di sostegno degli ecosistemi, di modellazione del territorio e della sua fruibilità, o altre funzioni d’uso dirette come quella paesistica o ricreativa (Green, 2003). Si preferisce pertanto parlare di “funzioni ambientali” dell’acqua, piuttosto che di semplice “uso”, ad intendere tutte le dimensioni di valore cui non è necessariamente associato un prelievo. Tabella 1- Uso sostenibile delle risorse idriche: i quattro assi rilevanti

ASSE RILEVANTE

OBIETTIVI STRATEGICI

OBIETTIVI DI POLICY

Sostenibilità ambientale

Conservare le componenti critiche del KN per le generazioni future

• Garantire le funzioni ambientali irrinunciabili del KN idrico • Contenere le alterazioni del deflusso naturale entro un livello max • Evitare alterazioni permanenti della qualità dei corpi idrici • Mantenere condizioni di naturalità negli alvei fluviali

Sostenibilità economica

Garantire che l’acqua sia allocata in modo efficiente, massimizzando il benessere sociale

• Efficienza allocativa: → L’acqua deve essere allocata privilegiando gli usi con il più

alto valore sociale → Il costo di fornitura dei servizi idrici deve essere

confrontato con il loro valore (comprese le componenti di bene pubblico ed esternalità)

• iEffic enza-x: i costi di gestione devono essere minimizzati →

→ non incoraggiare sovra-capitalizzazione, over-staffing, etc → la copertura dei costi deve essere garantita solo per i costi

efficienti La regolazione tariffaria deve assicurare un’ottima alloca• zione

ibuenti del rischio economico tra azionisti, utenti e contr

Sostenibilità finanziaria o, degli

assets fisici

• adeguato per la conservazione delle

• pitale artificiale minimizzare

Riproduzione, nel lungo period

• Garantire la stabilità finanziaria dei sistemi idrici • Compensare adeguatamente gli input del processo produttivo

Garantire un cash flowinfrastrutture idriche Ogni nuova infrastruttura accolla alla generazione successiva i costi per la conservazione del cal’artificializzazione del sistema

Equità

iano

la

condizioni eque

• bisogni idrici” (le funzioni ambientali di base

• troppo onerosa la fornitura a determinate

• mente accettata di dividere i costi di gestione delle risorse idriche

Garantire che ssoddisfatte lecomponenti meritorie deldomanda, a

Identificare i “fabnon negoziabili) Mantenere il livello e la dinamica dei prezzi al di sotto della soglia che rende categorie di utenti Raggiungere in maniera democratica e social

Sotto questo profilo, è necessario evitare danni irreparabili alla risorsa, derivanti da un eccessivo sfruttamento o inquinamento, così come governarne i profili di disponibilità

nel tempo e nello spazio in modo da garantire alle generazioni future l’accesso alle

della risorsa

nanziario e al mantenimento del valore dello stock investito

ciò significa associare ad alcune funzioni ambientali la caratteristica di “merit good”.

Sostenibilità ambientale: la dimensione intergenerazionale

funzioni ambientali critiche. In quanto bene ambientale scarso, l’utilizzo dell’acqua dovrebbe implicare un principio di responsabilità degli utilizzatori per i costi provocati in termini di sottrazione della risorsa ad altri usi meritevoli (polluter-pays principle); ma dal momento che per rendere disponibile l’acqua è necessario utilizzare risorse economiche a loro volta scarse, il concetto di responsabilità economico-finanziaria si dovrebbe estendere anche al costo del lavoro e del capitale necessario per fornire i servizi idrici (Massarutto, 2003a; Rogers et al., 1998; 2002). In questo senso, una certa funzione ambientale dell’acqua sarà da considerare sostenibile se il beneficio sociale sarà superiore al costo sociale, inteso sia come costo opportunitàin funzioni ambientali alternative, sia di quello del lavoro e del capitale. In quanto infrastruttura che comporta livelli di investimento notevoli e profili temporali molto lunghi, il “capitale idrico artificiale” pone a sua volta delicati e spesso sottovalutati problemi di equità intergenerazionale con riferimento all’allocazione del costo fi(Massarutto, 2003a). In quanto bene fondamentale per la vita, l’accesso all’acqua (o meglio, alle funzioni ambientali irrinunciabili dell’acqua) dovrebbe essere garantito a chiunque come un “diritto soggettivo”: dunque, se non gratuitamente, almeno a condizioni economiche tali da non discriminare i soggetti sociali più deboli; questo principio “etico” può essere dedotto, esplicitamente o implicitamente, anche da numerosi documenti e accordi internazionali e si può dunque ritenere acquisito a livello di diritto internazionale (Gleick, 1998; Johnstone, 2002). Nel linguaggio economico,

unque un vincolo di sostenibilità forte all’uso del KN

e Minimum Standard (SMS) definito su basi

Vi sono pochi dubbi che l’acqua rappresenti, come stock complessivo, un KN critico. Essa è onnipresente in ogni funzione vitale, è fondamentale come input produttivo per l’agricoltura e l’industria, è componente primaria di ogni ecosistema, fornisce una serie di utilità dirette (es. usi ricreativi, paesaggio), è depositaria di valori simbolici, religiosi, identitari. Per tutte queste funzioni ambientali l’acqua è un bene insostituibile, imponendo d(Turner e Dubourg, 1993). In termini generali, si può sostenere che il KN idrico dovrebbe quindi essere sfruttato in modo tale da non intaccarne la disponibilità futura; un indicatore generale potrebbe dunque essere rappresentato da una qualche misura quantitativa e qualitativa dello stock di risorse naturali disponibili, per il quale andrebbe imposto il vincolo di essere non decrescente e/o superiore ad un Safscientifiche (Turner e Dubourg, 1993). Poiché il deflusso idrico è continuo, la quantità effettivamente disponibile varia in

ogni istante e ovviamente nello spazio; ma l’esistenza di “serbatoi” naturali (ghiacciai, laghi, falde sotterranee) e artificiali permette in genere di considerare la risorsa rinnovabile su base stagionale. Data la variabilità stocastica, anche in funzione dei cambiamenti climatici, ciò può significare anche esigenza di non programmare usi dell’acqua che eccedano una disponibilità media (o minima), dai quali potrebbe dipendere un eccesso di pressione sul KN negli anni critici. Sfruttamento eccessivo e inquinamento sono fenomeni in buona parte reversibili, nel senso che un eccesso di sfruttamento e un certo livello di inquinamento oggi pregiudicano per lo più altre funzioni d’uso attuali, senza necessariamente implicare conseguenze per le

endo

cessione

la

o ritenersi del tutto “naturali”,

unzioni

riferimento alle funzioni

generazioni future. Tuttavia questo è vero fino a un certo punto: le falde profonde, ad esempio, si rinnovano solo in tempi molto lunghi; l’inquinamento del suolo o l’eutrofizzazione comportano conseguenze di lunghissimo periodo; un deflusso idrico insufficiente in certe stagioni può modificare permanentemente un ecosistema, causando l’estinzione di specie ittiche o alterazioni all’equilibrio idrogeologico del bacino; l’artificializzazione dell’idrosistema (es. arginatura, canalizzazione, realizzazione di invasi e dighe) ha in genere effetti permanenti e reversibili solo con enormi difficoltà. Questo discorso può essere reso operativo nella scelta degli indicatori sia introducendo vincoli di SMS riferiti a quelle componenti quantitative e qualitative che risultano indispensabili per supportare le funzioni ambientali critiche, sia imponper certi indicatori di qualità ambientale un obiettivo di miglioramento continuo. Dal punto di vista quantitativo, la definizione di un SMS dovrebbe garantire come minimo la conservazione o il ripristino di un regime idraulico compatibile con la tutela degli ecosistemi, con gli usi instream non negoziabili e con l'assetto del territorio. Questo concetto è ormai presente nella legislazione di molti paesi attraverso l’introduzione del vincolo di “deflusso minimo vitale” cui subordinare la condi prelievi per usi civili, agricoli e industriali (Fontana e Massarutto, 1995). Dal punto di vista qualitativo, una definizione del SMS dovrebbe partire dalla garanzia dei processi ecologici fondamentali. La Dir. 2000/60/CE (già parzialmente anticipata in Italia dal Dlgs. 152/99) prevede a questo scopo l’obiettivo di far ricadere tutte le acque superficiali come minimo nella classe “buono” (o superiore in funzione delle destinazioni d’uso previste). Per raggiungerlo saranno necessari interventi perriduzione dei carichi inquinanti e/o nuovi investimenti nel sistema di depurazione. Tuttavia, sebbene abbastanza logica e semplice sul piano concettuale, questa operazione può essere anche molto difficile, se si considera che in un paese sviluppato sono ben poche le componenti di KN idrico che possanessendo intervenute nei secoli radicali trasformazioni. Quello che dovrebbe essere garantito dunque non è tanto la preservazione di un ipotetico “stato di natura”, ma piuttosto la garanzia della riproducibilità delle fambientali rilevanti rispetto alle quali una determinata risorsa idrica è critica. Un analogo approccio è quello che porta, ad esempio, a individuare livelli massimi ammissibili di concentrazione di certe sostanze nell’acqua per renderla atta a determinate destinazioni; nella fissazione di questi limiti si può utilizzare un criterio di tipo economico, oppure criteri più rigidi e inderogabili, anche in funzione dell’applicazione di un “principio precauzionale” con

ambientali ritenute più critiche in un determinato contesto. Come si può intuire da queste considerazioni, la stessa definizione di “KN utilizzabile” è dunque almeno in parte ambigua e condizionata da una serie di valutazioni di tipo politico e soggettivo.

Sostenibilità ambientale: la dimensione intra-generazionale

nativi dell’acqua che dovessero essere sacrificati (Massarutto,

essere

per l’applicazione del modello neoclassico sono legate alle difficoltà computazionali

Una volta stabilito in aggregato qual è il volume di acqua (o la capacità di assorbimento di sostanze inquinanti) effettivamente disponibile, si tratta di allocarlo fra le diverse possibili destinazioni d’uso. L’acqua è una risorsa scarsa, nel senso di essere presente in quantità data e limitata; questa quantità potrebbe peraltro risultare eccedente rispetto agli usi potenziali, nel qual caso non viene a configurarsi una scarsità in senso economico; per definizione scarse sono invece le risorse economiche (lavoro e capitale) che devono essere utilizzate per realizzare opere e infrastrutture. L’uso dell’acqua implica pertanto un costo, in primo luogo in termini di costo opportunità delle risorse economiche impiegate per fornire i servizi idrici (e dei relativi costi esterni, rappresentati ad esempio dall’impatto delle infrastrutture sul paesaggio); in secondo luogo, ma solo eventualmente, in termini di costo opportunità legato a impieghi alter2003a; Green, 2003). Secondo l’approccio neoclassico, una risorsa scarsa dovrebbe essere allocata in modo tale da uguagliare il suo valore marginale (disponibilità a pagare) nei diversi potenziali utilizzi; questo potrebbe essere garantito in particolare da un meccanismo di attribuzione agli utilizzatori del costo marginale, comprensivo sia del costo dei servizi idrici, sia dei costi opportunità ambientali connessi alla sottrazione della risorsa ad altri usi potenziali (Spulber e Sabbaghi, 1994). Anche senza volersi spingere fino all’introduzione di un vero e proprio mercato, la valutazione puòimpostata secondo il classico schema dell’analisi costi-benefici (Florio, 1992). Peraltro, questo principio teorico è difficile da applicare, soprattutto in considerazione della presenza di esternalità e beni pubblici o quasi-pubblici (dunque, di un valore sociale maggiore rispetto a quello che gli individui potrebbero esprimete in un ipotetico mercato), in un contesto di forte interdipendenza per lo meno di alcune infrastrutture1, e di valori meritori e non negoziabili (come il riconoscimento di diritti soggettivi ad accedere a determinate quantità di acqua). Le difficoltà che ciò comporta

1 Tipico è il caso degli invasi e dei serbatoi, che possono rendere disponibile l’acqua per diversi usi civili e produttivi, ma anche altri benefici come quelli connessi ad es. alla regimazione idraulica, alla stabilizzazione delle portate a valle, alla laminazione delle piene.

nel monetizzare le esternalità ambientali2, alla limitata trasferibilità dei risultati da un contesto all’altro, all’elevata vulnerabilità della valutazione rispetto ad assunzioni necessariamente arbitrarie, come quella relativa al tasso sociale di sconto da impiegare (Winpenny, 1997; Green, 2003); e, più in generale, al fatto che non può tenere conto di tutti gli obiettivi sociali e in particolare di quelli non economici (O’Connor, 1998). Sulla base delle considerazioni appena svolte, il principio neoclassico non può essere considerato una condizione né necessaria né sufficiente ai fini del raggiungimento di un uso sostenibile dell’acqua (Massarutto, 2003a; 2003b). Il rifiuto di una logica economica di stampo neoclassico, peraltro, può facilmente portare all’eccesso opposto di giustificare qualunque intervento. La politica idrica del passato ha teso in effetti a ragionare in termini di “fabbisogno”, inteso come variabile indipendente da soddisfare, in funzione delle scelte in materia urbanistica e di politica industriale e agricola, assunte come dato esogeno. Questo approccio “supply side” è sottoposto a critiche sempre più serrate da parte dei sostenitori di un approccio orientato invece al management della domanda e di una visione dell’acqua come “bene economico” (Rogers et al. 1998, 2002) tuttavia, anche di recente, esso è riapparso in autorevoli documenti istituzionali come il rapporto dell’International Panel on Financing Water Infrastructure (Winpenny, 2003). Sebbene con la consapevolezza dei limiti dell’approccio neoclassico, l’allocazione delle risorse idriche fra i diversi usi e/o la realizzazione di infrastrutture per espandere la disponibilità non può sottrarsi al confronto con una logica di tipo costi-benefici, che indirizzi la risorsa disponibile verso gli usi caratterizzati dalla maggiore disponibilità a pagare, e intervenga con investimenti in capitale artificiale solo qualora essa sia superiore ai costi necessari. Possiamo suggerire pragmaticamente che gli indicatori prescelti potrebbero continuare a basarsi sulla logica di un calcolo di tipo monetario, introducendo vincoli quantitativi esogeni rappresentativi delle destinazioni d’uso “non negoziabili” e/o assunte come “bene meritorio” da parte del decisore politico3, ed evidenziando in che

2 La caratteristica dell’acqua di essere una risorsa fluente, mobile e non “consumabile” rende spesso problematica la valutazione: ogni intervento antropico finisce per condizionare, direttamente o indirettamente, molti usi diversi da quelli per il quale l’intervento viene prospettato; per questa ragione è sempre necessaria una valutazione “olistica” che tenga conto di tutti gli usi diretti o indiretti dell’acqua che potrebbero essere coinvolti. Questa valutazione richiede peraltro complessi modelli idrogeologici che descrivano il bilancio idrico di una particolare regione.

3 Ad esempio, possono essere definiti indicatori di soglia minima, del tutto analoghi al SMS, con riferimento sia a variabili quantitative (es. una dotazione giornaliera pro-capite minima; allacciamento alle reti di distribuzione e fognatura) sia qualitative (es. standard igienico-sanitari).

modo questi vincoli incidono sul costo finale dell’alternativa prescelta (Fontana e Massarutto, 1995). Una volta garantito il rispetto di questi valori minimi, ulteriori costi per fornire quantità aggiuntive o livelli qualitativi superiori dovrebbero essere compensati dai relativi benefici, includendovi anche le dimensioni di esternalità e bene pubblico (Rogers et al., 1998; Green, 2003; Massarutto, 2003a). Va ancora osservato che, una volta chiariti i sottili legami di interdipendenza fra i diversi usi dell’acqua, soluzioni migliori dal punto di vista allocativo presuppongono cambiamenti nei regimi dei diritti di proprietà sulle risorse e in quanto tali difficilmente attuabili (Massarutto, 1996). Limitandoci qui solo alle componenti utilitaristiche, l’analisi empirica mostra che, per gli usi produttivi in particolare, la reazione degli utilizzatori si manifesta oltre un certo prezzo-soglia, oltre il quale diventa antieconomica la stessa attività idroesigente; al di sotto della soglia, invece, la domanda risulta essere piuttosto rigida (Massarutto, 2003a). In un recente lavoro dedicato all’irrigazione in Europa, ad esempio, questa soglia risulta essere nell’intorno di 0,2-0,3 €/m3 per le colture a pieno campo e fino a 5 volte superiore per determinate coltivazioni ad elevato valore aggiunto, come l’orticoltura in serra (Massarutto, 2003c). Usi come quello civile legittimano invece costi di fornitura anche di un ordine di grandezza più alti, iniziando a evidenziare una significativa elasticità della domanda solo al di sopra di valori nell’ordine di un paio di €/m3 (Oecd, 1999; Dalhuisen et al., 2001); mentre l’uso turistico può, al limite, permettersi costi ancora superiori. Il costo di fornitura dipende dalle caratteristiche idrografiche locali, tuttavia si può ritenere che valori come quello indicato per l’irrigazione verrebbero facilmente superati se si ipotizzassero schemi idrici di scala territoriale superiore a quella del bacino idrografico, e sempre che siano realizzabili invasi e sistemi di distribuzione a costi contenuti. Viceversa, per certi usi (es. villaggi turistici in zone particolarmente aride) è ipotizzabile, in mancanza di alternative, anche il ricorso a trasferimenti a lunghissima distanza o al limite alla “backstop technology” rappresentata dalla dissalazione, che allo stato attuale della tecnologia può produrre acqua potabile con un costo di 1 €/m3 cui vanno aggiunti i costi di sollevamento e distribuzione (Cabrera e Cobacho, 2003). In generale, come si vede, la valutazione di questa componente della sostenibilità non oppone particolari problemi teorici, ma semmai ne oppone di ordine pratico e analitico: essa risente in particolare di numerosi fattori site-specific e deve essere valutata localmente, in relazione sia con le caratteristiche idrografiche e territoriali, sia con le funzioni ambientali rilevanti in ogni determinato contesto.

Sostenibilità finanziaria

L’analisi del par. precedente può essere ulteriormente sviluppata, considerando la particolare valenza del “capitale artificiale”. Come si è detto, in assenza di intervento umano l’acqua sarebbe disponibile in luoghi

e periodi diversi rispetto a quelli in cui la domanda si manifesta; l’investimento in infrastrutture rende disponibili maggiori quantità e con maggiore continuità, rendendo possibili gli insediamenti e i processi produttivi; un discorso del tutto analogo si dovrebbe fare per l’utilizzo del suolo per gli insediamenti umani, che è reso possibile dalla regimazione dei corsi d’acqua e dall’eliminazione delle zone stagnanti. Fin dall’antichità, l’accesso alle funzioni fondamentali dell’acqua è legato alla realizzazione di interventi antropici, dai più semplici ai più complessi come le grandi sistemazioni idrauliche che resero possibile lo sviluppo della civiltà egiziana e di quella mesopotamica. L’accumulazione di capitale fisso nelle infrastrutture idriche è un processo dal respiro secolare. Il capitale rappresentato dalle infrastrutture idriche è un’altra componente di quello stock di capitale che la generazione presente trasferisce alla successiva: se, come si è argomentato sopra, l’obiettivo deve essere quello di trasmettere “funzioni ambientali” e non meramente risorse, esistono diverse possibili combinazioni di KN e artificiale che possono assolvere alle medesime funzioni4. Un indicatore fondamentale da considerare consiste pertanto nella conservazione del valore dello “stock di capitale idrico”, composto dalle risorse naturali e dalle infrastrutture fisiche. Al fine di garantire la sostenibilità, ogni generazione dovrebbe trasmettere alla successiva almeno una non diminuita capacità di accedere alle funzioni ambientali del capitale idrico: dunque, occorre che l’eventuale artificializzazione sia sostenuta da un processo di investimento tale da non deprezzare nel tempo il valore del capitale investito e/o accantonare le risorse economiche per ricostituirlo al termine dell’utilizzo. L’investimento in capitale artificiale, in linea di principio, consente di rendere “utilizzabile” qualunque risorsa idrica potenziale; tuttavia, questo è possibile solo aumentando i costi fissi del sistema (connessi con il costo del mantenimento e rinnovo del capitale investito). Questo investimento si caratterizza per i profili temporali assai lunghi (nell’ordine di decenni o anche di secoli) e, come si è detto, altera in modo significativo i profili di disponibilità della risorsa nell’intero bacino: coinvolgendo dunque non solo gli usi direttamente interessati all’opera, ma più in generale tutte le altre funzioni ambientali dell’acqua all’interno del medesimo bacino. Affinché il trasferimento del “capitale idrico” da una generazione all’altra sia rispettoso dei principi della sostenibilità, è dunque indispensabile che ogni generazione si faccia carico dei costi da essa generati, evitando di scaricare su quelle future oneri finanziari impropri (es. debiti contratti per finanziare i costi operativi, infrastrutture non correttamente ammortizzate). Questo significa che un altro

4 Ad esempio, la funzione “disponibilità per l’approvvigionamento idropotabile” può essere garantita sia dalla presenza di falde di buona qualità e sufficiente disponibilità ben distribuite sul territorio, sia dalla concentrazione dei prelievi su poche risorse di qualità più pregiata, previa realizzazione di una rete di adduzione a lunga distanza. Ai fini di questa funzione – e solo di questa – potrebbe essere teoricamente accettabile il degrado di un particolare acquifero utilizzato da una certa comunità locale, purché la medesima comunità sia messa nelle condizioni di accedere ad altre risorse alle medesime condizioni economiche.

indicatore fondamentale di sostenibilità è costituito dalla modalità di copertura del costo (operativo e di capitale), che dovrebbe essere interamente a carico della generazione che fruisce dei relativi benefici. In prima battuta, non rileva qui più di tanto la ripartizione fra entrate tariffarie e fiscali, o le modalità di sussidiazione incrociata fra aree territoriali, purché il costo sia interamente sostenuto dalla corrispondente generazione (Massarutto, 2003a). Va evidenziato infatti che nel caso dell’acqua sono presenti numerose componenti di bene pubblico o quasi-pubblico, che possono giustificare un ricorso alla fiscalità per la copertura di almeno una parte dei costi; tuttavia, in tempi più recenti, è aumentata la consapevolezza che una responsabilizzazione economica degli utilizzatori è una fondamentale componente dell’efficienza economica, nella logica del polluter-pays e user-pays principle (Massarutto, 2003a). La tariffazione e il ricorso a meccanismi di mercato, in questa prospettiva, può svolgere sia un’importante funzione allocativa, sia di gestione della domanda. Va ancora sottolineato che le entrate tariffarie hanno natura più strutturale e prevedibile di quelle fiscali, che dipendono dalle decisioni governative in materia di legge finanziaria e quindi potrebbero sottrarre improvvisamente risorse al settore idrico per ragioni di equilibrio di bilancio, cosa che è accaduta in Italia nella prima metà degli anni Novanta (Massarutto, 1998). Sia a livello comunitario (cfr. la Direttiva Quadro sulle Acque, 2000/60/CE) sia a livello nazionale (legge Galli, 36/94) si auspica il ricorso a strumenti endogeni di finanziamento (tariffe) che consentano la copertura integrale dei costi (full-cost recovery principle, FCR), intesi come costi industriali (di gestione e di capitale) che ambientali. Questo risponde alla necessità di alleggerire gli obblighi finanziari in capo al soggetto pubblico, in un momento storico in cui l’industria idrica deve far fronte ad ingenti investimenti per il raggiungimento degli standard ambientali. Per tutti questi motivi, un indicatore ulteriore di sostenibilità economica dovrebbe essere rappresentato dalla capacità delle tariffe di sostenere il costo; indicatore che dovrebbe tendere ad essere elevato – possibilmente il 100%, compatibilmente con gli obiettivi etici ed equitativi di cui si dirà nel prossimo paragrafo. Un’ulteriore componente di sostenibilità economica, infine, può essere riferita alla dinamica stessa del processo di artificializzazione. Infatti, se l’artificializzazione del sistema idrico è in qualche misura necessaria, bisogna essere consapevoli che ogni intervento umano comporta una trasformazione difficilmente reversibile. Ogni successivo aumento del grado di artificializzazione del sistema idrico pone un’ipoteca sul futuro, nel senso che farà gravare sulle generazioni successive il relativo costo (e potrebbe addirittura impedire alle generazioni future di realizzare i propri investimenti, perché gravate dei costi fissi di quelli passati). Indicatore di sostenibilità in questo caso sarà la velocità con la quale cresce lo stock di capitale fisso relativo ai servizi idrici; indicatore che dovrebbe restare il più basso possibile (compatibilmente, è ovvio, con le necessità di investimento determinate dall’esigenza di soddisfare gli obiettivi ambientali ed etici. Questa dimensione di valore economico potrebbe essere concettualizzata come un “valore di opzione”, nel senso che la rinuncia ad effettuare oggi un investimento in infrastrutture permetterà alla generazione futura di mantenere l’opzione se intervenire

o no. A parità di funzioni ambientali rese, in altre parole, un sistema idrico meno artificializzato ha un valore maggiore di uno più artificializzato, in quanto mantiene per il futuro maggiori gradi di libertà e dunque migliore capacità di adattamento ad eventuali futuri shock (Massarutto, 2002)

Sostenibilità etica e sociale

Il principio dell’efficienza economica, in realtà, incontra alcuni limiti precisi nel fatto che l’acqua è un bene essenziale, dalla cui disponibilità dipendono in modo cruciale i processi vitali ed ecologici. Il riconoscimento di questa natura di bene essenziale ha almeno due ordini di conseguenze in termini di obiettivi da garantire per conseguire la sostenibilità. In primo luogo, la regolazione dell’accesso alla risorsa idrica e alle infrastrutture deve risultare democraticamente accettata e legittimata, ispirandosi a un criterio di solidarietà fra individui, fra diversi settori di impiego, e fra diverse aree geografiche (Solanes e Gonzalez-Villareal, 1999). L’esigenza di legittimazione democratica si è dapprima concretizzata nella filosofia dell’”integrated river basin management”, inteso come pianificazione pubblica di tipo top-down di impianto fondamentalmente tecnocratico (Massarutto, 1997; Barraqué, 1995; Bressers et al., 1995) e in tempi più recenti come esigenza di introdurre forme di partecipazione “dal basso” nei modelli di governance della risorsa idrica, nella logica di Agenda 21 e più in generale di un approccio partecipato alla pianificazione territoriale (Cabrera et al., 2002; Pahl-Wost, 2002; Nardini, 1997; Dente, 1995). Da parte degli economisti, questo passaggio viene giustificato con la presenza di “fallimenti dello stato” dovuti alla difficoltà di pervenire a una definizione condivisa di “interesse generale” e alla “cattura” del regolatore da parte di interessi particolari (Toman, 1998; Verbruggen, 1993; Anderson, 1983). Ma più in generale, è proprio la “criticità” dell’acqua, la sua onnipresenza nelle più diverse funzioni di utilità; il fatto di essere portatrice dei più diversi valori d’uso e di non uso, economici e non; l’eterogeneità delle situazioni e dei contesti stessi da cui si origina l’attribuzione di valore a rendere particolarmente pregnante l’esigenza di un processo decisionale che sia legittimato il più possibile da un meccanismo democratico e aperto e da una logica partecipativa e non tecnocratica (Solanes e Gonzalez-Villareal, 1999; Kahlenborn e Kraemer, 1997). Queste ragioni suggeriscono l’importanza fondamentale di un approccio alla valutazione di tipo partecipato, nella quale le dimensioni rilevanti del conflitto, gli indicatori che i rappresentano e che ne definiscono il valore emergano attraverso un confronto con (e fra) gli stakeholder (O’Connor, 1998). A livello normativo, il primo approccio trova in Italia il suo culmine nella l.183/89, che fa proprio il concetto di gestione integrata delle risorse idriche e introduce lo strumento del “piano di bacino” (Massarutto e Pesaro, 1996; Diamantini e Zanon, 1996); il secondo, già precorso da alcuni precedenti (Massarutto e Nardini, 1997), trova la sua più compiuta espressione nella convenzione di Aarhus e nel caso

specifico dell’acqua all’approvazione della Dir. 2000/60, nella quale la componente partecipativa gioca un ruolo fondamentale5 (Croci, 2003; Kallis e Nijkamp, 2001; Pahl-Wost, 2002). In secondo luogo, la soddisfazione della domanda di acqua, almeno entro certi limiti, dovrebbe essere garantita a tutti, a condizioni che la rendano accessibile a tutti a prescindere dalla collocazione sociale o geografica. In questo senso, i servizi idrici essenziali dovrebbero far parte di quell’insieme di “dotazioni di base” e di “funzionalità” che definiscono i diritti fondamentali dell’individuo, da garantire a prescindere dall’efficienza (Tobin, 1970; Sen, 1982; Gleick, 1998). E’ chiaro che questa affermazione, portata alle sue estreme conseguenze, potrebbe essere male interpretata come uno stimolo a realizzare infrastrutture idriche a tutti i costi, a prescindere da considerazioni di efficienza economica, dunque anche nei casi in cui il valore (misurato come “disponibilità a pagare”) ecceda il costo di fornitura. Si pone dunque una delicata questione nel determinare il confine fra i diritti “inalienabili” e gli usi per i quali invece sia opportuno riservare una valutazione di tipo costi-benefici. Questa distinzione non potrà farsi una volta per tutte, ma sarà funzione di circostanze storiche, geografiche e sociali. Con riferimento agli usi civili, la questione va riferita essenzialmente al potere di acquisto delle famiglie, assumendo che l’accesso a un certo quantitativo minimo di acqua si può considerare un diritto non negoziabile. Qui le politiche finalizzate alla riduzione della domanda dovrebbero fare un uso più limitato della leva tariffaria, o per lo meno individuare le categorie di utilizzatori che necessitano protezione in tal senso. E’ necessario dunque trovare un equilibrio fra la necessità “etica” di non lasciare insoddisfatta la domanda di acqua e quella di non incoraggiare modelli insediativi e produttivi eccessivamente dissipativi nel consumo di acqua. In pratica, garantire a tutti l'accessibilità al servizio di fornitura di risorsa idrica implica che il consumo corrispondente ai fabbisogni essenziali non deve costare troppo rispetto al reddito disponibile. Vari autori sembrano ritenere critica la soglia dell’1% del reddito familiare annuo (Kallis e Coccossis, 2001); peraltro numerosi studi dimostrano come questa soglia possa essere abbondantemente superata nei paesi in via di sviluppo (Hall, 2000) e negli stessi paesi sviluppati, qualora il principio del FCR venga inteso troppo alla lettera. Barraqué (1995) mostra che l’aspetto più critico in Europa sembra essere quello relativo ai nuovi investimenti in reti fognarie previsti dalla Dir. 91/271/CEE, e deduce da questo la necessità di prevedere meccanismi finanziari integrativi che permettano di non scaricare interamente e immediatamente questi costi sulle tariffe. In altri casi, si documenta come una tariffazione ispirata al FCR possa fare eccedere la soglia critica almeno per alcune fasce di consumatori più deboli (famiglie numerose a basso reddito, persone necessitate ad elevati consumi di 5 In particolare, l’art. 14 della Direttiva recita: “Gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’attuazione della presente direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici”.

acqua come gli ammalati in dialisi), giustificando quindi per lo meno l’esistenza di programmi di sostegno mirati per queste categorie (Oecd, 1999; Jones, 2000). All’interno degli usi civili, inoltre, possono esservi usi che non possiedono necessariamente caratteristiche “meritorie”: si pensi all’irrigazione dei giardini, alle piscine, oppure alle utenze commerciali e turistiche (alberghi, seconde case). Più complesse sono le valutazioni da fare riguardo agli altri usi dell’acqua, e in particolare a quello agricolo (con riferimento soprattutto all’approvvigionamento irriguo) e industriale (dove l’aspetto critico riguarda più spesso il nodo della depurazione). Il dilemma qui riguarda soprattutto le aree svantaggiate, che non potrebbero sopportare il costo “pieno” di questi servizi pena una riduzione drastica della propria competitività. Se una certa socializzazione dei costi dei servizi idrici con riferimento a queste aree può essere politicamente desiderabile, è peraltro da discutere se il modo più efficiente per sostenere l’economia di queste regioni consista nel fornire incentivi distorsivi (come quello di fornire sottocosto i servizi idrici, incoraggiando l’insediamento di attività idroesigenti o inquinanti) piuttosto che attraverso sostegni di altro tipo (es. trasferimenti lump sum, sgravi fiscali etc). Nel caso dell’irrigazione, ad esempio, è stato mostrato che l’erogazione di acqua sottocosto nelle regioni aride dell’Europa mediterranea non migliora significativamente la competitività economica dell’agricoltura, né favorisce un’allocazione dell’acqua che ne concentri l’uso sulle colture più redditizie (Massarutto, 2003c). D’altro canto, per molti paesi in via di sviluppo l’esistenza di un settore agricolo in grado di garantire l’autosufficienza alimentare può ancora essere un obiettivo desiderabile, e in questi casi la disponibilità di acqua può essere considerato un “bene meritorio”. Un ulteriore obiettivo cui viene attribuito valore nei documenti internazionali è quello della governance locale e della correlata responsabilità economica: ogni bacino di utenza dovrebbe tendere a coprire i propri costi, per evitare di far pesare i propri problemi su altri e per poter meglio controllare la spesa aumentando l'efficienza del sistema. Peraltro, data la grande eterogeneità e disparità di condizioni di accesso, l’applicazione di questo principio potrebbe portare a differenze anche assai vistose fra le diverse aree territoriali, finendo per cozzare contro principi condivisi di equità. l'idea è ricorrere alla solidarietà nazionale per compensare gli svantaggi intrinseci (meteo-climatici e territoriali) di una zona attraverso trasferimenti fisici di risorsa idrica, o trasferimenti di flussi finanziari e una certa perequazione tariffaria. Si tratta del resto di un principio comunemente accettato in altri settori, come quello elettrico. In ultima istanza si tratta di trovare un equilibrio fra l’applicazione rigorosa del principio “chi inquina paga” e l’equità a livello nazionale o sopranazionale.

Il concetto di “carrying capacity” applicato al settore idrico

Quanto detto in precedenza può aiutarci a definire la “carrying capacity” del capitale

idrico. In termini generali, la carrying capacity dovrebbe corrispondere alla massima pressione antropica sopportabile dal KN senza evidenziare una qualche forma di insostenibilità a lungo termine (Costanza et al., 1997). Più precisamente, il concetto di carrying capacity va riferito alla presenza di governance issues, situazioni cioè in cui il KN non è in grado di soddisfare contemporaneamente tutte le funzioni ambientali teoricamente desiderate (O’Connor, 1998). Figura 1 – Uno schema logico per definire la “carrying capacity” del capitale idrico

Tasse / sussidi

Governance Issues

Vincoli ecologici

Infrastrutture e servizi idrici

Funzioni ambientali disponibili

Funzioni ambientali desiderate

Stakeholder 3 ...

… Stakeholder n

Stakeholder 2

Stakeholder 1

Indicatori di sostenibilità ecologica ed ecnomica

Indicatori di soddisfazioneper gli stakeholders

Prezzo / costo

Vincoli istituzionali

Nella figura 1, il discorso viene meglio chiarito. Il KN (un certo corpo idrico) è in grado di supportare un certo vettore di combinazioni fra la diverse funzioni ambientali. Se la domanda di funzioni ambientali eccede questa disponibilità, sorge un problema di politica idrica: la risorsa evidenzia per un motivo o per l’altro la propria scarsità. L’esistenza di una governance issue non è peraltro di per sé sinonimo di raggiungimento della carrying capacity, per due motivi. Innanzitutto, la collettività può ben essere disposta a rinunciare ad alcune funzioni ambientali di quel particolare corpo idrico, sia rinunciando tout court, sia ricorrendo

ad altri corpi idrici6. In secondo luogo, la collettività può investire in sistemi artificiali e/o acquistare “servizi idrici” che, con un certo impiego di lavoro e capitale, suppliscono alla scarsità della risorsa, rendendo disponibili altre risorse o permettendo di estrarre maggiori funzioni ambientali da quella considerata. Ad esempio, un sistema di riuso dell’acqua depurata a fini irrigui consente di ridurre i prelievi lordi dal corpo idrico, a parità di acqua utilizzata. Ovviamente, il costo dei servizi idrici dovrà essere in qualche modo pagato, evitando di trasferire oneri sulla generazione futura. Questo costo può essere pagato in molti modi, attraverso le tariffe o attraverso il sistema fiscale; tuttavia vi sarà anche in questo caso un “limite alla crescita” (rappresentato dal livello massimo sopportabile di tariffa o di carico fiscale). Dunque si può sostenere che il raggiungimento della carrying capacity richieda contemporaneamente diversi fattori: • che una determinata pressione antropica determini il sacrificio di funzioni

ambientali irrinunciabili (o un costo sociale intollerabile7); • che l’eventuale sostituzione del KN con servizi idrici avvenga in modo efficiente

(ossia, la disponibilità a pagare, misurata dal valore sociale delle funzioni ambientali rese disponibili, sia maggiore del costo dei servizi

• che il costo dei servizi sia imputato correttamente, considerandolo come costo pieno di lungo periodo, attribuendolo in linea di principio ai soggetti beneficiari delle funzioni ambientali e/o ripartiti sulla collettività in altro modo, purché questo sia trasparente e democraticamente accettato

• infine, che il costo dei servizi idrici superi la soglia della “sostenibilità sociale”, ad esempio perché viola il requisito dell’accessibilità alle dotazioni di base, garantita in modo equo e non discriminatorio.

Un esempio può aiutare a capire il discorso. Si supponga che il problema da valutare consista nella sostenibilità di un determinato carico inquinante su un certo corpo idrico. Se l’inquinamento eccede la capacità di assorbimento del corso d’acqua, questo si renderà indisponibile per alcune funzioni ambientali; si supponga che la collettività non sia disposta a tollerare questo sacrificio. Il carico inquinante sversato può essere ridotto, a parità di carico lordo (ossia di popolazione equivalente che gravita sul corpo idrico) in vari modi. Ad esempio,

6 Ad esempio, se il fiume x non è balenabile, posso rinunciare a fare il bagno in un fiume e usare altrimenti il tempo libero, oppure posso andare a fare il bagno in un altro fiume.

7 La “tollerabilità” del costo sociale è ovviamente difficile da valutare a priori; possiamo tuttavia adottare un criterio empirico nel ritenere “non tollerabile” un costo che di fatto non viene accettato dalla comunità sociale poiché viene a mancare il consenso politico. Ovviamente ragionando in questo modo i “limiti sociali” alla crescita della pressione antropica saranno, fra l’altro, funzione dei meccanismi politico-istituzionali di decisione.

potrebbero essere introdotti migliori sistemi di depurazione (il cui costo verrebbe scaricato sulla tariffa del servizio idrico); oppure, promuovendo l’adozione di tecnologie più pulite nell’industria o nella zootecnia (il cui costo graverebbe sui rispettivi operatori economici riducendone la competitività). In alternativa, potrebbe essere aumentato il livello di deflusso nel corpo idrico, riducendo i prelievi (es. irrigui): il costo di questa misura corrisponderebbe alla riduzione del valore aggiunto agricolo dovuto alla minore irrigazione. Se nessuna di queste azioni correttive fosse possibile (perché tecnicamente non fattibile, o perché il costo è maggiore del valore sociale, o perché esso non è socialmente accettabile), ne dovremmo dedurre che è la pressione ambientale ad essere troppo elevata (ossia, che la carrying capacity è stata raggiunta).

Dalla definizione alla misurazione

Gli approcci tradizionali

Un modo più tradizionale di approcciare il problema, con riferimento soprattutto agli aspetti quantitativi, è sintetizzabile nell’impiego di indici che descrivano la criticità dell’approvvigionamento idrico nelle diverse realtà territoriali. Si possono così ipotizzare indicatori basati sul concetto di “water barrier” (Raskin et al. 1996), che considera la disponibilità pro/capite e la sua evoluzione nel tempo in rapporto con la dinamica della popolazione; o di “use/resource ratio” (Oecd, 1998), che parte dal confronto fra flusso di risorsa rinnovabile disponibile e pressione rappresentata dagli usi dissipativi e dalla loro dinamica; o, ancora, il rapporto fra risorse provenienti da altri paesi e risorse totali, per identificare la vulnerabilità di alcuni paesi al comportamento di quelli situati a monte. A titolo puramente esemplificativo, si consideri la tab. 2, nella quale vengono messi a confronto i principali indicatori di “water stress”: alla scala planetaria, le risorse disponibili (ossia, il deflusso annuo effettivo) superano largamente quelle utilizzate. Spostandoci a scale territoriali più piccole, il ragionamento rimane valido, anche se alcune aree (ad es. il Medio Oriente e l’America Latina) evidenziano disponibilità pro-capite critiche e un’elevata intensità di utilizzo, con (nel caso del Medio Oriente) evidente sovra-utilizzo degli acquiferi e ricorso a tecnologie non convenzionali come la dissalazione. Alla scala nazionale (tab. 3), queste disparità si accentuano, sia perché molto ineguali sono le disponibilità in termini di afflusso meteorico, la densità di popolazione e altri fattori geografici; sia perché il clima influisce sui quantitativi utilizzati, soprattutto per la presenza dell’irrigazione. Nel caso italiano, è possibile scendere in un dettaglio maggiore solo utilizzando un

diverso indicatore di disponibilità, più pessimistico, che considera le risorse utilizzabili e non le precipitazioni (tab. 4). La disponibilità pro-capite evidenzia nel complesso una situazione di stress moderato, con significative disparità regionali. Tabella 2 – Indicatori di stress idrico alla scala continentale8

Deflusso effettivo pro-capite Risorse utilizzate / risorse disponibili

m3 Livello di stress % Livello di stress Mondo 7.750 Nessuno 8% Basso Africa 5.960 Nessuno 6% Basso

Africa centrale 20.587 Nessuno 0% BassoAfrica orientale 1.211 Moderato 5% Basso

Africa settentrionale 442 Molto elevato 173% ElevatoAfrica meridionale 3.471 Nessuno 5% BassoAfrica occidentale 4.441 Nessuno 3% Basso

Africa sud-orientale 17.607 Nessuno 5% BassoAsia + Pacifico 3.690 Molto elevato 18% Moderato Australia e N.Zelanda 35.015 Nessuno 3% Basso

Asia centrale 3.597 Nessuno 69% ElevatoAsia orientale 2.270 Nessuno 22% Medio

Asia meridionale 1.314 Moderato 54% ElevatoSud-Est Asia 10.594 Nessuno 6% Basso

Resto Oceania 127.066 Nessuno 0% BassoEuropa 601 Elevato 7% Elevato

Europa centrale 2.962 Nessuno 20% ModeratoEuropa orientale 20.020 Nessuno 3% Basso

Europa occidentale 4.588 Nessuno 13% ModeratoAmerica Latina 404 Molto elevato 2% Basso

Caraibi 2.532 Nessuno 17% ModeratoAmerica centrale 7.842 Nessuno 8% Basso

America Sud 34.646 Nessuno 1% BassoMedio Oriente 885 Elevato 185% Elevato

Penisola araba 147 Molto elevato 397% ElevatoResto Medio Oriente 894 Elevato 151% Elevato

America del Nord 19.500 Nessuno 9% Basso

Disponibilità: >1700: nessuno; 1000-1700: moderato; 500-1000: elevato; < 500: molto elevato Usi/risorse: 0-10%: basso; 10-20%: moderato; 20-40%: medio; > 40%: elevato Fonti: nostra elaborazione su dati UNEP e Oecd, 1998

8 I dati da noi utilizzati hanno solo valore esemplificativo, data l’incertezza assai elevata su cui si basano le stime dei deflussi effettivi e dei prelievi. La definizione Oecd della disponibilità è data da precipitazioni – evapotraspirazione + afflussi dall’estero, ma nei dati di molti paesi le definizioni adottate sono diverse e/o le misurazioni approssimative.

L’intensità di uso identifica al Nord una situazione di “stress elevato” dovuta più all’elevatissima intensità di uso (soprattutto per irrigazione) che a una limitata disponibilità, mentre al Sud e soprattutto nelle Isole si evidenziano fenomeni di scarsità assoluta (disponibilità < 1000). Tabella 3 – Indicatori di stress idrico alla scala nazionale per alcuni paesi Oecd Prelievi/disponibilità Disponibilità pro capite % Livello di stress m3 Livello di stress CAN 1,3 Nessuno 97.692 Basso MEX 15,3 Moderato 4.837 Basso USA 19,9 Moderato 9.397 Basso JPN 20,5 Medio 3.366 Basso KOR 33,9 Medio 1.593 Moderato AUS 6,8 Nessuno 19.118 Basso NZL 0,6 Nessuno 95.000 Basso AUT 4,2 Nessuno 10.476 Basso BEL 45,1 Elevato 1.619 Moderato CZ 11,5 Moderato 1.565 Moderato DK 12,3 Moderato 1.138 Moderato SF 2,1 Nessuno 21.429 Basso FRA 16,9 Moderato 3.254 Basso D 21,9 Medio 2.237 Basso GRE 12,1 Moderato 6.860 Basso HUN 4,7 Nessuno 11.915 Basso ISL 0,1 Nessuno 550.000 Basso IRL 2,6 Nessuno 12.692 Basso ITA 2,6 Nessuno 3.769 Basso LUX 3,7 Nessuno 3.784 Basso NL 4,9 Nessuno 5.918 Basso NOR 0,7 Nessuno 78.571 Basso POL 16,9 Moderato 1.657 Moderato POR 15,1 Moderato 7.351 Basso SK 1,4 Nessuno 15.000 Basso SPA 28,6 Medio 2.762 Basso SWE 1,5 Nessuno 20.000 Basso CH 4,8 Nessuno 7.500 Basso TUR 17 Moderato 3.412 Basso UK 20,7 Medio 1.111 Moderato Oecd 11,6 Moderato 7.931 Basso Fonte: nostra elaborazione su Oecd, 2001 Simili indicatori possono essere utili per una prima valutazione generale riferita alla risorsa idrica nel suo complesso, ma non sono certo sufficienti né a valutare le criticità specifiche, né ad individuare le azioni di policy.In primo luogo, essi descrivono la situazione relativa alle risorse nel loro complesso, ma non sono necessariamente applicabili per ogni singola componente del capitale idrico (il ruscello x, l’acquifero y, il bacino idrografico z). Infatti, a certe condizioni, tecnologia e capitale umano possono surrogare la scarsità fisica o il degrado qualitativo della risorsa, seppure a un

certo costo. Si lascia dunque irrisolto il problema della scala territoriale alla quale deve essere rispettato il “bilancio idrico” fra risorse naturali disponibili e impieghi. Nella maggior parte dei casi la letteratura suggerisce di fare riferimento alla dimensione territoriale del bacino idrografico, che è quella entro la quale si esauriscono in genere i fenomeni di esternalità e sono praticabili interventi artificiali a costi ragionevoli (The World Bank, 1997); tuttavia, anche questo principio richiede di essere meglio precisato, sia perché può essere possibile trasferire risorse da un bacino all’altro, sia, all’opposto, perché alcuni problemi richiedono di essere valutati a una scala locale (sotto-bacino, sistema acquifero sotterraneo, problemi di deflusso minimo e/o di funzioni d’uso particolari come quelle paesistiche ed ecologiche). (Massarutto, 1993; Merrett, 1997). Un’altra ovvia limitazione di questi indicatori è il loro riferirsi a una situazione media annua, trascurando la distribuzione delle precipitazioni nel tempo; la maggiore o minore capacità naturale di laminazione (falde, laghi, ghiacciai). Infine, essi non considerano gli aspetti qualitativi, e dunque ragionano su una disponibilità “teorica” che potrebbe non esserci in realtà. Tabella 4 – Indicatori di stress idrico alla scala regionale per l’Italia9 Disponibilità pro-capite Prelievi/disponibilità % Livello di stress m3 Livello di stress Nord 2.546 Nessuno 41% Elevato Centro 1.841 Nessuno 21% Medio Sud 1.519 Moderato 31% Medio Isole 775 Elevato 69% Elevato Italia 1.963 Nessuno 37% medio Fonte: nostra elaborazione su dati Irsa-Cnr, 1999 Ancora, essi colgono la criticità relativamente ad alcune funzioni ambientali (gli usi civili, irrigui e industriali) ma non tutte. Va poi sottolineato che il dato relativo alla disponibilità è stimabile con grande incertezza, e richiederebbe di prendere in considerazione anche gli aspetti qualitativi, oltre che l’utilizzabilità effettiva delle risorse (come si è visto per l’Italia, il rapporto fra il dato stimato con il criterio Oecd e uno che tenga conto della reale utilizzabilità comporta una significativa riduzione, da 155 a 110 km3 su scala nazionale). Essi nondimeno sono utilizzabili per fornire alcune informazioni generali, con riferimento particolare alle funzioni ambientali rappresentate dagli usi di prelievo. Proiettati sulla base delle tendenze demografiche in atto, degli scenari di disponibilità

9 I dati differiscono da quelli delle tabelle precedenti perché le disponibilità sono stimate in maniera diversa, tenendo conto delle effettive possibilità di utilizzo; a livello nazionale, questo significa una riduzione del 30%. Ancora una volta, si invita a considerarli solo con valore esemplificativo.

locale adattati ai cambiamenti climatici nonché all’inquinamento, simili indicatori suggeriscono l’emergere di criticità significative in alcune zone del pianeta (es. Medio Oriente, Africa settentrionale) o a livello regionale, e sono alla base dei principali documenti di policy internazionali e delle azioni dei governi volte alla programmazione delle opere idriche.

Gli approcci analitici: il modello PSR

Data la multidimensionalità del concetto di sostenibilità, dunque, si dovrà tenere conto di tutte le dimensioni rilevanti, ed essere in grado di conciliare i conflitti tra gli obiettivi di ogni asse. Negli ultimi anni, da parte di molte istituzioni internazionali (es. Oecd, Unep, Eea) o nazionali (es. nell’ambito delle Relazioni sullo stato dell’ambiente) sono stati impiegati approcci di tipo analitico, con l’obiettivo di individuare sistemi di indicatori atti a descrivere con sistematicità i modelli di utilizzo dell’acqua e le criticità connesse. La maggior parte degli approcci analitici si è concentrata peraltro sulla sola componente ambientale della sostenibilità, accettando il concetto di CNC e riconoscendo implicitamente l’esistenza di alcune funzioni fondamentali svolte dalle risorse idriche. Un esempio di questo approccio è dato dagli indicatori di tipo pressure-state-response (PSR) (Oecd, 2001). Questi considerano le pressioni sull’ambiente naturale esercitate dalle attività umane. Spezzano i problemi ambientali nelle loro principali componenti, assegnando a ciascuna componente una variabile: la pressure variable considera ogni fatto che crea delle pressioni sull’ambiente (ad esempio l’aumento della popolazione o un progetto di diga), la state variable descrive le caratteristiche dell’ambiente, le response variable sono tutte le politiche od azioni miranti a risolvere il problema. Le informazioni di ogni categoria possono essere aggregate in indici. Il focus dell’analisi è solamente la componente ambientale: l’assunto è che l’obiettivo primario di policy sia il contenimento degli impatti ambientali. Questo, alla luce delle considerazioni fatte nel paragrafo introduttivo, non risulta sufficiente, ai fini della nostra analisi, visto che trascura i risvolti economici e sociali relativi all’utilizzo delle risorse idriche. A titolo esemplificativo, un aumento della disponibilità pro-capite di acqua, in seguito a investimenti infrastrutturali (si pensi alla costruzione di una diga), può risultare negativo dal punto di vista ambientale, ma migliorare le condizioni sociali delle popolazioni interessate dall’aumento dell’offerta. Il modello affianca agli indicatori ambientali come quelli analizzati in precedenza, altri indicatori di carattere economico e sociale, articolando il concetto di sostenibilità nelle tre dimensioni fondamentali (ambientale, economica e sociale). Questi indicatori presentano due importanti limiti: in primo luogo, la grosse mole di informazioni richieste ne diminuisce l’applicabilità. La raccolta di informazioni talvolta molto complesse non è agevole: è quindi preferibile concentrarsi su pochi indicatori significativi. Inoltre, non è ben chiaro come queste informazioni debbano essere integrate in un processo di formazione delle politiche.

Tabella 5 – Esempio di indicatori PSR per le risorse idriche INDICATORE INFORMAZIONE

DETTAGLIATA INFORMAZIONE AGGREGATA

Utilizzo Prelievo pro-capite annuale (mc) Prelievo per settore (%)

Domanda Domanda totale Efficienza nell’uso (%) Potenzialità di riuso (%)

Generazione N. di dighe (n.) Kw per ettaro inondato Produzione idroelettrica (mW) PR

ESS

UR

E

Emissione Emissioni di Nitrati (kg) Altre emissioni (kg)

Water Vulnerability Index

Disponibilità Riserve (mc) Tasso di ricarica (mc/anno) Precipitazioni annuali (mm) Prelievi annuali sulla risorsa disponibile (%)

STA

TE

Qualità BOD (mg/l) COD (mg/l) Eutrofizzazione Acidificazione Colibacilli (m/l)

Water Quality Index

Protezione Aree protette nel bacino idrografico Aree coltivate nel bacino idrografico

RE

SPO

NSE

Soddisfazione Accesso all’acqua potabile (%) Acquedotti (n.) Trattamento delle acque reflue (%) Tariffa idrica (€/mc)

Safe Water Index

L’Oecd (2001) suggerisce di utilizzare dei core indicators (40-50) che descrivano le condizioni ambientali, da integrare con altri indicatori socio-economici, allo scopo di identificare pochi indicatori chiave (all’incirca 10). Queste informazioni dovrebbero essere integrate con indicatori settoriali (agricoltura, energia, turismo). Lo scopo è di utilizzare questi indicatori per monitorare i progressi ambientali, da un lato, e aumentare la base informativa, dall’altro, per migliorare la consapevolezza del pubblico verso le tematiche ambientali. Non garantiscono tuttavia una scelta univoca

del tipo di risposta da dare a un problema ambientale10. L’analisi è quindi statica: l’approccio dà delle informazioni di natura quantitativa, facendo riferimento a grandezze fisiche od economiche. Descrivendo sinteticamente il fenomeno in esame, questo tipo di indicatori consente di indirizzare le decisioni di policy, nel momento in cui, ad ogni indicatore, sia attribuito un obiettivo. Questo set di indicatori, tuttavia, risulta inadeguato a catturare le determinanti di una politica idrica sostenibile: il numero di indicatori rischia facilmente di diventare enorme, senza che per questo si riescano a cogliere tutte le dimensioni localmente rilevanti (Correia et al. 1999). Gli indicatori tradizionali, infatti, non riescono a cogliere aspetti quali il principio di precauzione o la partecipazione degli utenti ai meccanismi di formazione delle politiche. Allo stesso modo non evidenziano i legami degli esiti di varie politiche settoriali e le conseguenze delle azioni congiuntamente su tutte tre le dimensioni. Il tentativo di seguire un approccio “olistico” può dunque facilmente portare all’individuazione di un numero spropositato di indicatori; occorre trovare un buon compromesso fra la capacità interpretativa del sistema di indicatori prescelto e la sua semplicità e parsimonia (Kahlenborn e Kraemer, 1997). I modelli di valutazione economici del tipo Sustainable Development Records (SDR, Nilsson e Bergström, 1995) hanno cercato di unire considerazioni ambientali a considerazioni di ordine economico (intorno alle infrastrutture idriche) e sociali (intorno agli utenti), in termini di efficacia, economicità e bilancio idrico. Mentre i modelli PSR mettono in evidenza soprattutto gli impatti antropici negativi (in termini di inquinamento), i SDR si concentrano sugli effetti positivi derivante dalla predisposizione di una serie di infrastrutture idriche. Tale approccio si concentra infatti non solo sulla risorsa, ma anche sui servizi idrici. La valutazione riguarda l’efficacia (quanto i servizi idrici sono capaci di fornire il servizio idrico richiesto), efficienza (nell’uso delle risorse e dei fattori produttivi) e la capacità della risorsa di sostenere i flussi materiali utilizzati. Il modello ha il merito di avere una visione più sistemica della realtà, imponendo il raggiungimento di obiettivi di servizio con il minimo uso della risorsa, avendo come vincolo la capacità di sostegno della risorsa idrica locale. Trascura tuttavia i problemi di accesso alla risorsa, dal punto di vista fisico (disponibilità pro-capite) economico (in termini di efficienza allocativa) e sociale (in termini di affordability ). Numerosi studi recenti hanno tentato di superare i limiti anzidetti proponendo approcci integrati, aventi l’ambizione di considerare simultaneamente le diverse dimensioni della sostenibilità e insieme di focalizzarsi sui processi di formulazione delle politiche come elemento discriminante nel governo sostenibile delle risorse idriche, con la finalità di supportare un’individuazione delle dimensioni rilevanti attraverso un approccio partecipativo e bottom-up. Nel seguito ci concentriamo su

10 Si consideri l’obiettivo del raggiungimento di una dotazione pro-capite minima. Questo può essere raggiunto attraverso varie opzioni: ad es. costruendo invasi, aumentando l’artificializzazione del sistema, con strumenti di demand management (leva tariffaria) o diminuendo le perdite di sistema.

alcuni dei lavori più rappresentativi.

Un esempio di approccio analitico: il progetto Metron

Un esempio di questo approccio, riferito all’approvvigionamento idrico urbano, è quello proposto dal progetto Metron (Metropolitan Areas and Sustainable Use of Water), nell’ambito del V Programma Quadro UE (Kallis e Coccossis, 2001). Il punto di partenza consiste nel rifiuto di una prospettiva che si limiti a considerare come sostenibile la gestione che consente di raggiungere un equilibrio tra la disponibilità della risorsa e la domanda d’acqua su scala urbana nel tempo. Dal punto di vista operativo, si cerca una definizione multicriteri: “sustainability implies an expansion of the spatial and time horizon considered and a balance between a range of social, economic and environmental goals and the different needs of different people and groups” (Kallis e Coccossis, 2001). Nel momento in cui si devono prendere delle decisioni in merito, di conseguenza, gli obiettivi di policy non consistono solamente nel raggiungimento del bilancio idrico, ma fanno riferimento anche a criteri ambientali, economici e sociali. La volontà di considerare congiuntamente diversi obiettivi ripropone le difficoltà introdotte nel paragrafo precedente, in merito alla valutazione delle politiche. Metron rifiuta di utilizzare, come strumento di scelta, una semplice ACB. Nella scelta tra opzioni alternative quello che conta non è tanto il criterio scelto, ma il processo attraverso cui si perviene alla scelta. In questo senso, l’enfasi data in letteratura all’utilizzo di strumenti economici (Pearce e Turner, 1991) viene smorzata. La tariffazione e gli altri strumenti sono un mezzo per raggiungere obiettivi più ampi rispetto alla mera efficienza. Grande attenzione è data ai processi partecipativi, che, oltre ad assicurare l’accettabilità delle decisioni prese, sono garanzia della giustezza delle decisioni stesse. Date queste premesse, si individuano delle policy issues, ritenute critiche, da analizzare nei casi studio. Queste consistono ne: 1. l’allocazione dell’acqua tra usi multipli e potenzialmente conflittuali; 2. la scelta tra interventi dal lato della domanda (conservazione e risparmio della risorsa) e lo sviluppo di nuove fonti o sistemi di trattamento (supply-side); 3. all’interno degli interventi del primo tipo, la definizione della struttura tariffaria, che tenga conto di tutti i costi, economici ed esterni; 4. la ricerca di efficaci strutture regolative e istituzionali, considerata la natura della risorsa (bene pubblico) e dei servizi idrici (monopolio naturale). Una volta individuate le domande chiave, attraverso l’analisi comparativa di cinque casi studio (Amsterdam, Atene, Londra, Siviglia e Tel Aviv), si arriva a definire delle linee guida di policy. Il gruppo di lavoro, allo scopo di valutare la sostenibilità nelle risorse idriche nei cinque casi studio, ha utilizzato un set di indicatori, divisi in categorie (tab. 6): 1. servizi: per misurare il grado di soddisfazione connesso agli obiettivi del servizio; 2. qualità dell’acqua: per testare il grado di sicurezza della qualità dell’acqua

potabile e non; 3. capacità/offerta: per verificare il grado per il quale il livello di domanda

dell’acqua rientra nei margini della carrying capacity; 4. Efficienza/conservazione: per valutare il grado di efficienza nell’utilizzo delle

risorse idriche; 5. impatto ambientale: per prendere in giusta considerazione gli impatti del sistema

idrico sull’ambiente naturale; 6. sociale: per valutare le dimensioni di equità nell’utilizzo dell’acqua. Oltre a questi core indicators, sono stati elaborati degli explanatory indicators, allo scopo di considerare anche i mutamenti dei sistemi urbani. Questi considerano variabili strutturali del contesto quali la popolazione urbana, il tipo di insediamenti, la ricchezza pro-capite e totale, le caratteristiche climatiche e geografiche, etc.

Il progetto Water21

Il progetto di ricerca Water21, anch’esso sviluppato nell’ambito del V Programma Quadro UE, nasce con lo scopo di sviluppare una metodologia standardizzabile per consentire un audit delle politiche idriche alla scala locale, finalizzato a verificarne la coerenza con i principi generali della sostenibilità (Correia, 2001). Al centro dell’attenzione, deliberatamente, si pone il settore dei servizi idrici civili (acquedotto, fognatura e depurazione), con riferimento al quale la sostenibilità viene indagata facendo riferimento sia all’impatto complessivo esercitato sul KN disponibile localmente, sia con la costituzione e ricostituzione del capitale fisico, sia, infine, con il prezzo dell’acqua per l’utilizzatore finale. La metodologia proposta articola il concetto di sostenibilità nei tre “assi” (ecologico, economico ed etico), affrontandolo tuttavia con una prospettiva pragmatica e originale. Riguardo al primo aspetto, si rinuncia a definire uno schema di indicatori universalmente validi (al di là di quelli più ovvi e generalizzabili come il bilancio idrico), assumendo invece come dati gli obiettivi definiti, ai diversi livelli, dalla legislazione e dalla pianificazione attuativa. Ci si preoccupa piuttosto di valutare se il processo di formulazione e attuazione della policy è coerente con i principi di apertura alla partecipazione degli stakeholders, disponibilità e accessibilità delle informazioni, considerazione delle funzioni ecologiche rilevanti, di adozione di una scala territoriale e temporale appropriata, e, infine, la presa in considerazione di tutti i punti di vista “meritevoli”. Riguardo al secondo aspetto, ci si preoccupa di valutare se la generazione presente soddisfa alle proprie esigenze destinando sufficienti risorse economiche alla copertura dei costi dei servizi idrici. Al fine di risolvere il delicato problema dell’individuazione del costo di lungo periodo, si considera il costo di ricostruzione al nuovo delle infrastrutture esistenti e di quelle implicate dagli obiettivi previsti dalla legislazione e dai piani attuativi; vengono poi ipotizzati criteri di ammortamento coerenti con la regolamentazione settoriale dei diversi paesi.

Tabella 6 – Indicatori proposti dal progetto Metron

INDICATORE CALCOLO TARGETSERVIZIO Copertura del servizio % della popolazione urbana che ha un’offerta continua 100% Popolazione non allacciata % della popolazione non allacciata a causa di bollette insolute Efficacia del servizio % della popolazione interessata da interruzioni del servizio

Numero di reclami Tempo medio di risposta alle chiamate dei clienti

Minima

QUALITA’ Qualità dell’acqua potabile % dei campioni conformi alle direttive europee 100%

Qualità dell’acqua destinata agli usi idropotabili Rispetto degli standard europei e qualità non descrescente nel tempo

Vulnerabilità Numero dei campioni in cui è stata riscontrata la presenza di pesticidi o altre sostanze tossiche

N. di campioni

SICUREZZA DELLA FORNITURA Prelievi totali annui sul totale disponibile Sicurezza della risorsa Prelievi totali destinati all’approvvigionamento idropotabile

>100 e stabile

Totale prelievi annui/capacità acquedottistica Sicurezza del sistema Domanda annuale/capacità trattamento e rete di distribuzione

<1 e stabile

Rischio di fornitura Prelievi annuali/totale capacità invasi <1 EFFICIENZA/CONSERVAZIONE

Totale dei prelievi/popolazione servita (l/cap/giorno) Consumi pro-capite Totale dei prelievi a scopo idropotabile/totale della popolazione servita

Basso

Consumi economici Usi totali in tutti i settori economici/Pil (l/€) Stabile o decrescente Acqua non contabilizzata Usi finali/Totale dell’acqua prelevata (%) Basso e non crescente Costo dell’acqua e % di copertura tariffaria

Ricavi tariffari/Costi totali (operativi e del capitale) ≥1

Efficienza Energetica Energia utilizzata (kW)/litro Basso e non crescente Riutilizzo Ammontare complessivo riciclato per tutti gli usi/totale dell’acqua prelevata Alto e crescente Utilizzo di fonti secondarie Ammontare di acqua di seconda qualità utilizzata Il più possibile Contabilizzazione dei consumi % Utenti con contatore 100%

% Abitazione con contatore individuale % della risorsa contabilizzata

Incentivi alla conservazione Bolletta mensile per usi >30mc/bolletta mensile per usi > 12mc Almeno >3 IMPATTO AMBIENTALE Over-abstraction Prelievi annui della risorsa x/minimum environmental field < 1 Regolazione del deflusso % delle risorse per le quali un limite agli usi è stabilito Tutti gli usi regolati Impatti ambientali Indicatori site-specific a dimostrazione di importanti impatti derivanti da un progetto

idrico Entro soglie regolate

ASPETTI SOCIALI Accessibilità Costo della fornitura di 250mc annui/reddito disponibile basso Accessibile

(circa 1%) Uso pro-capite per le famiglie ad alto reddito/uso pro-capite per le famiglie a basso reddito

Equità intra-urbana

Proporzione del reddito speso per la fornitura idropotabile speso dai comuni ad alto reddito e basso reddito

Rapporto costante tra le differenze nell’utilizzo dell’acqua e del reddito

speso

Equità territoriale Usi pro-capite nell’area urbana/usi pro-capite nell’area di prelievo Rapporto costante tra le differenze nell’utilizzo dell’acqua e del reddito

speso

Fonte: Kallis e Coccossis, 2001

Infine, l’aspetto dell’equità viene esaminato dal punto di vista del prezzo dell’acqua per l’utilizzatore finale (definito come spesa media annua per famiglia e incidenza di questo valore sulla spesa totale di una famiglia media e di una in condizioni sociali critiche). Tabella 7 – Water 21: criteri di sostenibilità e relazione con le dimensioni rilevanti

Criteri di sostenibilità Ambientale Economica Sociale Gestione integrata e intersettoriale, in relazione con la pianificazione territoriale

+++ - -

Sistemi informativi accessibili a tutti gli attori e affidabili

+++ +++ +++

Scale spaziali e orizzonti temporali adeguati +++ +++ ++ Abilità a risolvere i conflitti tra attori +++ - + Flessibilità delle politiche e adattabilità a nuove situazioni

+ + +

Copertura dei costi e considerazione dei costi ambientali

++ +++ ++

Gestione idrica nel sistema regolativo - +++ - Flessibilità e trasferibilità dei diritti d’uso sulla risorsa

++ ++ +++

Trasparenza e responsabilità delle decisioni e delle politiche

- +++ +++

Comunicazione tra utenti e sviluppo di una cultura comune

++ ++ +++

Partecipazione degli utenti ai processi di decision-making

- - +++

Capacity building delle istituzioni e degli utilizzatori

+++ + +

Legenda +++ Relazione molto forte con l’asse di sostenibilità ++ Relazione significativa con l’asse di sostenibilità + Relazione debole con l’asse - Nessuna relazione con l’asse Fonte: Correia, 2001 Lo schema logico del modello permette dunque di dedicare attenzione esplicita alle strategie tecnologiche, viste come il corollario delle scelte di pianificazione. Una pianificazione che implichi il ricorso a grandi infrastrutture (poiché legittima la presenza di attività idroesigenti e/o di un carico inquinante superiore a quello “naturalmente” assorbibile) per essere giudicata sostenibile dovrebbe assicurarsi che i costi risultanti non siano scaricati sulle generazioni future e contemporaneamente che l’impatto sul consumatore finale non sia tale da rendere l’accesso all’acqua eccessivamente costoso per qualcuno. E’ importante sottolineare che la soluzione di

questo dilemma può essere ricercata seguendo più strade: quella del management della domanda, quella dell’impiego di tecnologie alternative e meno costose, quello della realizzazione di interventi con tecnologie idrauliche tradizionali; e, insieme, vanno considerati i possibili accorgimenti istituzionali per consentire un ottimale assorbimento del costo a carico della generazione attuale, considerando ad esempio la possibilità di introdurre meccanismi di cost-sharing su aree territoriali vaste, sistemi integrativi basati sulla finanza pubblica e/o su sussidi incrociati etc. In sostanza, Water21 propone una metodologia diretta alla definizione di “meta-indicatori”, ossia di categorie dalle quali ricavare attraverso un processo interattivo gli indicatori concretamente utilizzabili per la valutazione. Data l’inadeguatezza degli indicatori tradizionali, si preferisce ricorrere a criteri, che forniscono delle informazioni aggregate, incentrate intorno ai tre criteri di sostenibilità più volte richiamati nel corso del presente lavoro: l’idea è di condensare intorno a un numero esiguo e facilmente utilizzabile di criteri gli aspetti rilevanti di sostenibilità. La definizione di questi criteri non ha la pretesa di dare una definizione esaustiva di sostenibilità, ma solo di fornire una struttura, adattabile a una svariata gamma di situazioni, che renda possibile questa valutazione. La tab. 7 evidenzia come i criteri siano correlati con le dimensioni di sostenibilità. L’approccio ricalca la metodologia dell’analisi multicriteri. Ogni dimensione di sostenibilità viene scomposta in pochi criteri rilevanti (da 5 a 10), ogni criterio può essere valutato numericamente (ad esempio da 0 a 4)11. In base a questa metodologia, differenti opzioni di policy possono essere valutate.

Un sistema di indicatori per l’Italia

Il terzo esempio che analizziamo è il sistema proposto da Conte et al. (2001) nell’ambito del Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile. Lo schema riprende la filosofia di Water21, trasponendola tuttavia alla sfera della pianificazione di bacino (mentre l’approccio Water21 si rivolgeva espressamente ai sistemi idrici urbani). Si assumono quindi i tre assi della sostenibilità ecologica, economica ed etica, definendo per la prima dimensione obiettivi coerenti con quelli fissati dalla Dir. 2000/60/CE e dal D.Lgs.152/99, e individuando per le altre dimensioni obiettivi coerenti con la struttura dell’industria idrica prevista dalla l.36/94, vale a dire l’articolazione per ambiti territoriali ottimali all’interno dei quali vale un principio di copertura dei costi pieni attraverso le entrate tariffarie (Massarutto, 1998).

11 0 – molto insufficiente; 1 – insufficiente; 2 – sufficiente; 3 – buono; 4 – molto buono.

Tabella 6 – Indicatori proposti nel Piano nazionale per lo sviluppo sostenibile in Italia

SOSTENIBIILITA’ ECOLOGICA INDICATORI PER SETTORE OBIETTIVI

STRATEGICI OBIETTIVI OPERATIVI

CIVILE INDUSTRIALE AGRICOLO

Riduzione perdite nei sistemi idrici artificiali

Differenza % tra volume annuo di acqua prelevata ed erogata

Differenza tra volume annuo di acqua prelevata e utilizzata

Riduzione dei consumi finali Acqua erogata pro-capite Consumi per unità di PIL-industriale

Consumi per unità di PIL-agricolo

Conservazione e ripristino del regime idrico Riuso, sostituzione di quote

di risorse naturali con acque reflue

% di domanda industriale coperta attraverso il riuso di acque reflue

% di domanda coperta attraverso il riuso di acque reflue

Riduzione del carico recapitato ai corpi idrici

BOD recapitato / carico ammissibile

BOD e microinquinanti recapitati / carico ammissibile

Aumento della capacità di depurazione

% di popolazione servita da un trattamento secondario o appropriato

% di popolazione industriale servita da trattamento

Miglioramento dell’affidabilità della depurazione

% di scarichi che superano I limiti previsti

% di scarichi che superano i limiti previsti

Miglioramento dell’affidabilità delle reti di collettamento degli scarichi

Rete separata / totale della rete

Riduzione dei fanghi recapitati a discarica Q di fanghi Q di fanghi per unità di

PIL-industriale

Miglioramento della qualità

Riduzione dei carichi di fertilizzanti e antiparassitari Q annua di N, P,

antiparassitari

Miglioramento delle capacità autodepurative del territorio

Estensione di classi di uso del suolo adatte a gestire i carichi

SOSTENIBILITA’ ECONOMICO-FINANZIARIA

OBIETTIVI STRATEGICI

OBIETTIVI OPERATIVI INDICATORI SETTORI: CIVILE, INDUSTRIALE, AGRICOLO

Riduzione dell’accumulazione di capitale fisso Stock di capitale fisso per unità di acqua venduta

Copertura dei costi totali Ripartizione % del costo totale tra tariffa, sussidi, trasferimenti dallo stato, mancata copertura Equilibrio finanziario

Adozione di una tariffazione basata sul costo marginale Rapporto % tra differenza (costo marginale- tariffa adottata) rispetto alla tariffa stessa

SOSTENIBILITA’ ETICA INDICATORI PER SETTORE OBIETTIVI

STRATEGICI OBIETTIVI OPERATIVI

CIVILE INDUSTRIALE AGRICOLOSoddisfazione domanda Volume medio erogato /

volume medio domanda Deficit stagionale di

umidità del suolo Qualità del servizio

Affidabilità della fornitura

n. giorni di sospensione del servizio * n. utenti

Democraticità Trasparenza Identificazione e classificazione delle diverse forme di perequazione

Federalismo fiscale % di costi del servizio coperto dalla tariffa o da trasferimenti dalla regioneEquità Riduzione differenze nella

tariffa idrica Differenza tra la tariffa

massima e quella minima

% di reddito familiare speso per coprire i costi del fabbisogno essenziale

Accessibilità

Disponibilità di unadotazione idrica domestica

sufficiente ad un prezzo accettabile per tutte le classi

sociali % di reddito familiare delle

famiglie a basso reddito speso per coprire i costi del

fabbisogno essenziale Fonte: Conte et al., 2001

Rispetto a Water21, si cerca qui di definire un sistema di indicatori ex ante, riassunti nella tabella 6. Mentre nel caso di Water21 si puntava alla definizione di meta-indicatori, in questo caso si preferisce individuare un insieme di indicatori, fra i quali poi è possibile operare una selezione scegliendo quelli più appropriati a cogliere i problemi specifici dell’area in questione. Nella tabella 6 sono riassunti gli indicatori proposti. Questo schema può essere utilizzato ad esempio come meta-struttura per l’organizzazione dei dati e delle informazioni disponibili nella predisposizione di sistemi di reporting ambientale territoriale di supporto alla pianificazione di bacino, oppure per affrontare singole tematiche specifiche. Un’applicazione sperimentale di questa metodologia è stata realizzata con il progetto GOUVERNe, il cui obiettivo era quello di realizzare sistemi di supporto a processi di decisione partecipata nell’ambito della gestione delle acque sotterranee (O’Connor, 2003). Nell’ambito del progetto sono stati realizzati 4 casi di studio, nei quali si è utilizzata una metodologia consistente nell’individuazione dei “temi di governance” specifici per ogni particolare area, risultanti dalla compresenza di funzioni ambientali mutuamente escludentesi dato lo stock di “capitale idrico” (naturale e artificiale) esistente nell’area. Attraverso l’interazione con gli stakeholders locali, venivano individuate le issues critiche e gli indicatori appropriati (quantitativi e qualitativi), selezionati all’interno di un più ampio basket di indicatori possibili; su questa base, le conoscenze tecniche e scientifiche esistenti, organizzate attraverso modelli di simulazione, venivano utilizzate per descrivere il funzionamento dell’idrosistema e calcolare gli indicatori; attraverso una fase deliberativa partecipata, i diversi stakeholder venivano invitati ad attribuire un giudizio qualitativo che esprimesse il proprio livello di soddisfazione, e su questa base potevano essere esplorati ulteriori scenari con azioni correttive rispetto agli indicatori giudicati più critici. Il caso studio italiano, in particolare, si è focalizzato sul tema dell’individuazione , ai sensi della L.36/94, delle “aree di riserva”, vale a dire degli acquiferi che possono prestarsi, in ciascun ambito territoriale ottimale, a garantire qualitativamente e quantitativamente l’approvvigionamento idrico del territorio anche in caso di crisi degli acquiferi locali attualmente utilizzati.

Conclusioni

Una valutazione della sostenibilità nel settore idrico che aspiri ad essere rigorosa e scevra da giudizi di valore è resa particolarmente problematica dalla difficoltà di individuazione del “KN critico”, a proposito del quale far valere obiettivi di “strong sustainability”. L’acqua è sostituibile per certe funzioni ambientali, ma non per tutte; la specifica risorsa idrica locale è sostituibile da altre risorse idriche collocate altrove, in molti casi ma non in tutti; la sostituzione, anche quando tecnicamente fattibile, può comportare costi tali da comportare prezzi dell’acqua eccessivi e/o impiego di denaro pubblico al di là delle soglie di convenienza sociale. D’altra parte, l’esistenza di una

“governance issue” irrisolta (es. il mancato soddisfacimento di una funzione ambientale) non è di per sé sinonimo di insostenibilità, poiché la collettività potrebbe essere pronta a rinunciarvi in cambio di benefici alternativi (es. crescita economica). Dalla discussione che abbiamo svolto in questo saggio, emerge con chiarezza l’importanza decisiva della componente economico-finanziaria della sostenibilità, da un lato; e quella della componente politica, dall’altro. La dimensione economico-finanziaria è cruciale per una valutazione della sostenibilità dei modelli di utilizzo delle risorse idriche, dal momento che la variabile decisiva consiste essenzialmente nella fattibilità economica e nell’accettabilità sociale di processi di artificializzazione che possono supplire all’indisponibilità della risorsa idrica per qualche funzione ambientale. La fattibilità dipende da una valutazione dell’efficienza economica della soluzione proposta (il valore dell’acqua resa disponibile deve superare il costo del lavoro e del capitale impiegato, nonché dell’eventuale sottrazione dell’acqua ad altri usi e altri impatti sul territorio e sul paesaggio), ma anche dalle conseguenze in termini di affordability, nel momento in cui il costo dovesse essere imputato agli utilizzatori finali, vuoi direttamente attraverso le tariffe, vuoi indirettamente attraverso il sistema fiscale o altri meccanismi di sussidiazione. In questa prospettiva, si potrà sostenere che un certo modello di utilizzo dell’acqua a livello locale non è sostenibile (ossia, eccede la carrying capacity del KN) qualora una o più funzioni ambientali critiche non siano soddisfatte e/o per soddisfarle siano necessari interventi tali da violare i criteri della sostenibilità finanziaria (copertura dei costi a carico della collettività che ne beneficia) o etica (prezzo dell’acqua non superiore a certi valori critici). La componente politica, dal canto suo, è fondamentale nel dare contenuto a questi giudizi, ossia per rivelare quali sono le funzioni ambientali giudicate irrinunciabili e non fungibili, non in astratto, ma con riferimento alla specifica comunità umana interessata dalla valutazione. Lungi dall’essere un’operazione meramente tecnica e risolvibile con strumenti di valutazione di tipo tradizionale, l’applicazione dell’idea di sostenibilità comporta innovazioni di grande portata nella politica idrica, non solo nei suoi obiettivi e strumenti, ma nelle forme stesse della sua formulazione e dei suoi meccanismi di governance. La valutazione della sostenibilità deve essere perciò funzionale a una concezione di piano inteso in senso interattivo e come processo di apprendimento collettivo, invece che come esercizio di ottimizzazione fondato su una logica esclusivamente top-down; nel quale sistemi di valutazione rigidi nella scelta degli indicatori e dei criteri di valutazione lascia il posto a un coinvolgimento degli stakeholders sia nella definizione delle criticità più rilevanti per lo specifico contesto, sia nell’individuazione dei criteri di soddisfazione da garantire nella risoluzione di queste criticità (Munda et al., 1994; O’Connor, 1998). Un approccio alla sostenibilità come quello che abbiamo discusso in questo saggio può risultare utile sia in sede di pianificazione e costruzione partecipata delle politiche idriche, sia per governare il rapporto fra sistema delle politiche idriche e gestione dei servizi idrici, sempre più dominata da una logica che vuole quest’ultima caratterizzata

da autonomia imprenditoriale e dalla ricerca di meccanismi competitivi per selezionare gli operatori e regolare nel corso del tempo. I nuovi strumenti di pianificazione introdotti dal Dlgs 152/99 e dalla Dir. 2000/60, del resto, sollecitano questa evoluzione, anche perché rispetto al passato aumentano notevolmente i gradi di libertà e la discrezionalità decisionale del piano, nonché l’autonomia decisionale di soggetti “esterni” all’amministrazione pubblica, e dunque rendono più problematica la ricerca della legittimazione politica. Non si tratta dunque semplicemente di introdurre una componente economica nei processi di valutazione del piano (attraverso strumenti come l’analisi costi-benefici, l’analisi costi-efficacia o la VAS), né di sostituire una valutazione “monetaria” con una “multicriterio” rimanendo nell’ambito di una decisione di stampo “tecnocratico”; ma piuttosto di costruire meccanismi adatti a costruire il processo di azione collettiva attraverso un’individuazione dei problemi, delle strategie e delle azioni che goda del consenso degli attori che controllano le risorse pertinenti alla messa in opera della policy, responsabilizzi i diversi soggetti incentivandoli ad investire queste risorse nella direzione condivisa.

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