La valutazione della performance della scuola: metodologie ... · set di indicatori di performance...

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1 La valutazione della performance della scuola: metodologie e strumenti. Anna Morrone Email: [email protected] La valutazione delle performance tra costi e benefici sociali: nuove metriche, nuove sfide, nuove retoriche? Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia “Modelli di welfare e modelli di capitalismo. Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa” Macerata, 22-24 settembre 2016

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La valutazione della performance della scuola: metodologie e strumenti.

Anna Morrone

Email: [email protected]

La valutazione delle performance tra costi e benefici sociali: nuove metriche,

nuove sfide, nuove retoriche?

Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia

“Modelli di welfare e modelli di capitalismo.

Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa”

Macerata, 22-24 settembre 2016

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La valutazione della performance della scuola: metodologie e strumenti1.

Nel corso degli ultimi decenni, sull’onda della riforma del settore pubblico, nota come “New Public

Management” (NPM) e finalizzata ad aumentare la produttività e l’efficacia dei servizi resi alla

collettività, all’insegna del famoso sintagma “fare meglio con meno”, anche nel settore

dell’istruzione una varietà di organizzazioni a livello internazionale, nazionale e locale ha iniziato a

raccogliere e diffondere informazioni sullo stato di salute della scuola. Questo processo ha portato,

quindi, anche per la scuola, alla progettazione di sistemi di misurazione della sua performance con

la definizione di set specifici di indicatori, che intendono esplorare le dimensioni dell’efficienza e

dell’efficacia attraverso le lenti della qualità e dell’equità. La performance educativa si può

considerare come una realizzazione di valori, valori etici democratici e professionali, che trovano

manifestazione concreta se sono offerte a tutti gli studenti, a prescindere dalle loro abilità innate e

condizioni socio-economiche di partenza, pari opportunità per un apprendimento funzionale al

conseguimento di competenze cognitive e trasversali. Non solo, quindi, competenze di base nella

literacy e numeracy, ma anche capacità di problem solving, decision-making, civismo, creatività e

imprenditorialità, che dovranno consentire loro di svolgere un ruolo di cittadini attivi e resilienti

nella società. Nell’ambito del settore pubblico, la scuola si caratterizza come organizzazione

professionale “a valore multiplo” e fatta in “co-produzione”, poiché la sua mission dipende, oltre

che dall’insegnamento, da una costellazione di altri elementi determinanti per l’efficacia

dell’apprendimento, come clima scolastico, benessere dello studente e tanti altri, ma anche dalla

partecipazione delle famiglie.

Questa complessità può essere colta, come dimostrano studi e ricerche, mediante un approccio

olistico e sistemico, che colloca le scuole e il sistema di istruzione di un Paese nell’ambito 1 Questo contributo prende spunto da un elaborato, che esamina in chiave critica lo stato dell’arte dei sistemi di

misurazione e gestione della performance nel settore dell’istruzione in Italia. In particolare, rileva i gap esistenti tra

teoria e pratica e tra letteratura scientifica e tecnica, sia domestica che internazionale.

La prospettiva di analisi adottata è quella della governance multilivello nel sistema dell’istruzione, che parte dai driver

della misurazione e gestione della performance dell’istruzione (i paradigmi del New Public Management e, più

recentemente, della New Public Governance) evidenziando, tra l’altro, l’origine e l'evoluzione del framework del

Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) italiano. L’analisi si spinge fino a delineare lo stato dell’arte della misurazione

della performance del sistema di istruzione nel nostro Paese, anche tramite l’illustrazione critica delle caratteristiche del

set di indicatori di performance ad oggi disponibile.

Dopo una panoramica sul performance measurement e performance management e una rassegna su potenzialità e limiti

del “valore aggiunto” nella scuola, il lavoro esplora l’uso di dati e informazioni di performance, inclusi quelli derivanti

dal testing standardizzato, nell’ottica dei processi di Data Driven Decision Making e del Data Driven Improvement and

Accountability, per indirizzare le policy dell’istruzione e, in generale, le scelte strategiche ai livelli macro-meso-micro

di governance del sistema. Una breve disamina sugli scenari, in materia di uso di dati e informazioni di performance,

aperti dal disposto della Legge n. 107/2015 (“La Buona Scuola”) chiude l’elaborato.

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istituzionale di riferimento al fine di considerare quanto più possibile i trade off sia tra i molteplici

livelli di governance e di responsabilità sia tra le molteplici dimensioni della performance

educativa.

Come sostiene Bouckaert, nel corso degli anni la performance di un settore, di un’organizzazione,

di una politica o di un programma è diventata sempre più estesa, spostando il focus da quanto si

produce o si eroga alla qualità del prodotto o servizio e poi ancora all’impatto di tale qualità sul

soddisfacimento dei bisogni della collettività; è diventata anche sempre più intensa, portando

all’incremento di indicatori e della complessità dei sistemi; infine, è diventata più esterna,

richiedendo la rendicontazione dei risultati ai portatori di interesse.

E’ ampiamente riconosciuto che nel settore pubblico si misura per apprendere e migliorare, per

guidare e controllare la gestione, per rendere conto all’esterno affinché siano soddisfatti i bisogni

della collettività. Da queste funzioni emerge di per sé che misurare la performance significa, come

avvertono gli studiosi, aver chiaro, in primo luogo, il concetto stesso di performance con le sue

caratteristiche e, in secondo luogo, le fasi del processo di misurazione in cui definizione e selezione

degli indicatori rivestono un ruolo centrale.

Il termine performance, divenuto di uso comune negli studi di management del settore privato e

pubblico, significa portare completamente a termine un’azione; pertanto, si distingue dal concetto di

risultato perché, come evidenziato anche dal General Accounting Office (GAO, 2003), contiene in

sé non solo il risultato dell’agire ma anche l’agire che ha portato a tale risultato. E’ un concetto

complesso perché si estende su più dimensioni e più livelli, che Bouckaert e Halligan hanno

sintetizzato con i criteri di ampiezza (span) e profondità (depth).

L’ampiezza o estensione orizzontale della performance fa riferimento al contenuto (risorse,

processi, servizi, risultati, impatti), la profondità, che si estende in senso verticale, riguarda invece il

suo ambito di responsabilità e di analisi: livello micro o individuale, meso o organizzativo e macro

o di sistema. In realtà, questi tre livelli possono assumere a seconda della disciplina connotazioni

diverse2.

2 Tipicamente, il livello macro include la performance di un Paese, quello micro la singola organizzazione e il livello

meso una determinata politica di settore (sanità, istruzione) (Van Dooren, 2010: p. 25). In ambito educativo, questa

tripartizione analitica indica il sistema di istruzione nazionale, che ingloba quello regionale, che a sua volta comprende

la singola istituzione scolastica; ma sono possibili chiaramente anche altri livelli di analisi. Infatti, se si assume una

prospettiva globale, anziché nazionale, la configurazione reticolare macro-meso-micro sarà data da: sistemi

internazionali di istruzione, sistema nazionale, sistema regionale/locale; oppure partendo dalla prospettiva della singola

istituzione scolastica, la configurazione diventa scuola-classe-studente.

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Alla natura multidimensionale e multilivello della performance è strettamente connesso il passaggio

da una concezione della performance, tipica delle prime ondate di riforma in senso manageriale del

settore pubblico, come processo di produzione, caratterizzato dalla trasformazione di input in

output, a quella che considera la performance come sistema integrato (regime performance), volto

alla realizzazione di valori pubblici, la cui misura concreta è data dagli impatti o outcome finali

sulla collettività. La stessa riforma del settore pubblico italiano, sancita dal decreto legislativo n.

150 del 2009, è considerata dal legislatore finalizzata alla realizzazione, mediante la messa in atto

del ciclo della performance, di un sistema di valori interdipendenti.

L’impegno della comunità scientifica, pertanto, è indirizzato oggi a rilevare anche la performance

del livello più aggregato come quella del settore pubblico nel suo complesso, che è costituita

dall’intreccio, e non dalla semplice sommatoria, delle performances delle molteplici organizzazioni

che lo compongono. Occorre, come sostenuto da diversi studiosi, una “visione più sistemica e meno

particolaristica dei sistemi di misurazione e valutazione della performance” perché è necessario

considerare l’ambiente istituzionale in cui un’organizzazione si trova ad operare e la configurazione

a rete delle diverse organizzazioni e istituzioni che compongono l’intero sistema.

Si tratta di un’evoluzione concettuale e operativa, in cui il focus dal modello di NPM si sposta verso

quello di New Public Governance, che privilegia la prospettiva interorganizzativa delle reti, “una

composizione armonica di relazioni verticali e formali con relazioni orizzontali e informali”, e

punta ad un’integrazione delle prospettive micro, meso e macro.

Anche nel settore dell’istruzione gli sforzi di teorici e ricercatori sono mirati a individuare un

sistema di misurazione in grado di tener conto dell’armonizzazione di dimensioni e livelli coinvolti

nel funzionamento del sistema al fine di contribuire al miglioramento della performance educativa,

di guidare gli agenti scolastici nella gestione e di manifestare all’esterno la responsabilità dei

risultati raggiunti. In particolare, il dibattito è centrato sulla rilevazione e misurazione dei criteri che

connotano qualità ed equità e sulla conseguente ricerca di indicatori in grado di catturarne l’entità.

La misurazione della performance è un processo scandito da una serie di fasi, che vanno dalla

definizione degli aspetti o fenomeni da misurare, alla selezione degli indicatori più adatti a cogliere

tutti gli elementi del fenomeno, o almeno quelli salienti, per evitare i rischi connessi ad una sua

riduzione (scelte politiche sbagliate o valutazioni inique della performance organizzativa e

individuale). Seguono le fasi della raccolta e dell’analisi dei dati, che richiedono rispettivamente di

attingere alle fonti e agli strumenti più idonei per la rilevazione e di tener conto del livello di

aggregazione e disaggregazione dei dati in base a funzione e uso prefissati; infine, si passa alla fase

della rendicontazione dei dati, differenziando contenuto e format delle informazioni da comunicare,

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in maniera chiara e comprensibile, ai vari portatori di interesse interni e esterni cui sono dirette. E’

un processo articolato che richiede per ogni fase il rispetto di specifici requisiti di qualità. Una delle

fasi centrali e più complesse è sicuramente quella del “come” misurare, vale a dire la definizione e

selezione degli indicatori cui è affidato il compito di guidare, mediante informazioni significative,

valide e affidabili, le decisioni ai vari livelli (macro, meso e micro) di responsabilità per la

produzione e la manifestazione della performance. Il sistema di indicatori proprio del settore

dell’istruzione, costituito da indicatori semplici e compositi, può essere inquadrato nel modello

CIPP, acronimo di Context, Input, Process, Product, le quattro componenti che lo caratterizzano. Il

modello è stato elaborato alla fine degli anni sessanta del secolo scorso da Stufflenbeam, negli Stati

Uniti, per valutare gli impatti delle politiche scolastiche, a seguito dello stanziamento di appositi

fondi alle scuole per il miglioramento degli apprendimenti degli studenti svantaggiati. Ispirato ai

metodi di evaluation studies (valutazione di programmi e politiche pubbliche), interessati a

comprendere il perché dei valori di determinati output/outcome, si configura come un quadro

concettuale complessivo per la valutazione formativa o a fini di miglioramento e sommativa o a fini

di accountability di programmi, progetti, risorse umane, istituzioni e sistemi; è stato utilizzato per

valutazioni interne ed esterne in diversi settori e sottoposto a diverse revisioni. Si caratterizza come

un modello flessibile, un work in progress, secondo le parole del suo ideatore. Le sue componenti

sono funzionali alla realizzazione dei valori sottesi al settore indagato.

L’idea centrale del modello CIPP è una valutazione funzionale alle decisioni attraverso la

connessione dei processi valutativi e dei processi decisionali. Quando si predispone un programma

educativo sono individuati quattro momenti decisionali, ad ognuno di essi corrisponde un tipo di

studio valutativo. In questa valutazione ex ante si considerano gli obiettivi da perseguire, i metodi

da impiegare e gli usi cui è destinato. In particolare, la valutazione di contesto è utile per

individuare punti di forza e di debolezza dell’ambiente istituzionale, caratteristiche degli utenti e

loro bisogni formativi; la valutazione degli input serve ad identificare possibili strategie alternative

in rapporto ai bisogni formativi, alle contingenze ambientali, alla scelta delle procedure,

all’allocazione delle risorse disponibili e al potenziale costo-efficacia per raggiungere gli obiettivi;

la valutazione di processo è adeguata ad accertare la realizzazione del programma e la sua

congruenza con le scelte programmatiche; la valutazione di prodotto, infine, serve ad identificare il

complesso dei risultati del programma in rapporto ai bisogni formativi e alle scelte programmatiche.

E’ un quadro di riferimento generale che sottolinea come la finalità più importante della valutazione

non è testare (to prove), ma migliorare (to improve).

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Rileva, ai fini di una disamina su origine ed evoluzione dei sistemi di misurazione della

performance educativa, che il modello CIPP rappresenta lo schema di base del movimento noto

come ricerca sull’efficacia della scuola (School Effectiveness Research) ed è stato assunto anche a

fondamento del framework di VALSIS, “Valutazione del Sistema scolastico e delle Scuole”: il

sistema di indicatori dell’istruzione messo a punto, su mandato del MIUR, dall’INVALSI (Istituto

nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) e applicato negli

ultimi anni, attraverso una serie di sperimentazioni in alcune scuole del territorio nazionale, con il

preciso scopo di pervenire ad un sistema nazionale di valutazione rispondente quanto più possibile

alla realtà degli assetti normativi, organizzativi e gestionali del nostro sistema educativo.

La School Effectiveness Research o SER indica un vasto filone di studi e ricerche empiriche, che si

è sviluppato a partire dagli anni settanta del secolo scorso a livello internazionale con la finalità

specifica di indagare la performance della scuola e misurarne l’efficacia. Gli studi di SER sono

costituiti complessivamente da tre linee principali: la “ricerca sull’effetto scuola” (School Effect

Research), volta ad evidenziare l’apporto della scuola alla crescita formativa degli studenti e la cui

evoluzione è segnata dall’utilizzo attuale di modelli statistici multilivello; la “ricerca sulle scuole

efficaci” (Effective School Research), indirizzata a rilevare dati sull’efficacia delle scuole e

pervenuta negli anni ad un’integrazione di metodi quantitativi e qualitativi per lo studio simultaneo

di classi e scuole; la “ricerca sul miglioramento della scuola” (School Improvement Research),

interessata a capire il funzionamento delle “buone” scuole e giunta oggi ad esaminare i processi utili

al cambiamento della scuola mediante modelli sempre più sofisticati (multiple lever). Pertanto, sul

piano metodologico l’evoluzione complessiva di SER è contraddistinta dall’utilizzo di analisi

multilivello.

Gli studi si sono concentrati su due domande di ricerca: cosa rende una scuola ’buona’ (efficace) e

come si può rendere migliore una scuola. All’interno di SER si configurano, sostanzialmente, due

programmi di ricerca; da un lato, il paradigma delle scuole efficaci (school effectiveness), che

sostiene l’uso di metodi statistici per risalire alle variabili che influenzano gli apprendimenti degli

studenti e per stimarne l’impatto in termini quantitativi; dall’altro, si afferma il paradigma per il

miglioramento della scuola (school improvement), che è interessato a comprendere come è possibile

migliorare la scuola e si dedica, quindi, a studi e ricerche, anche su piccola scala, che prendono in

esame la leadership e la gestione scolastica come fattori che, pur essendo più distanti dal processo

di apprendimento degli studenti, creano le condizioni organizzative in grado di influire

sull’efficacia dei metodi di insegnamento. I due programmi nel corso degli anni novanta si

integrano, avvalendosi dei punti di forza reciproci. Il principale contributo di SER al dibattitto sui

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valori dell’istruzione, sulle finalità della scuola, sulla qualità delle esperienze educative e sulle

variabili di una buona scuola si riscontra nella comprensione del funzionamento della scuola e dei

processi che avvengono a livello di sistema, di scuola, di classe e del modo in cui possono influire

sugli esiti di apprendimento degli studenti. La gamma di fattori individuati come determinanti del

successo o fallimento di una scuola ha consentito di selezionare le variabili che più di altre hanno

un impatto significativo sugli apprendimenti degli studenti, fornendo in tal modo una fonte di

conoscenza per costruire un sistema di indicatori di performance. Agli studi di SER si deve anche

l’elaborazione di modelli integrati in cui variabili chiave, individuate attraverso ricerche e studi di

caso, sono state collegate in sistemi multilivello.

Un esempio di modello integrato, denominato “contesto, input, processi, output”, è stato messo a

punto da Scheerens per la misurazione della qualità dell’istruzione.

Il modello riconosce in primo luogo la natura gerarchica di condizioni e processi presenti nel

funzionamento dell’istruzione pubblica, la cui performance può essere analizzata e discussa a

diversi livelli di governance.

Nel modello, diversi livelli (globale, nazionale e locale) sono rappresentati nella dimensione

contesto; la scuola e la classe sono posti all’interno della dimensione processo, e il livello studente,

con le sue caratteristiche di background socio-economico e abilità innate, è ricompreso nella

dimensione output.

Le dimensioni comprendono sia variabili plasmabili (malleable) sia vincoli ambientali dati (given

ambiental constraints), detti anche condizioni “antecedenti”. Le variabili plasmabili, come clima

scolastico o pratiche di insegnamento, lasciano spazio agli attori del sistema, siano essi decisori

politici o agenti scolastici, mentre quelle vincolanti non possono essere modificate facilmente da

decisioni e azioni degli attori. Infatti, le caratteristiche socio-economiche degli studenti come le loro

abilità innate sono date, così come il carattere urbano, periferico, rurale o montano del territorio su

cui insiste una scuola. La distinzione tra le diverse variabili, ricomprese in questi due tipi, non è

però così netta perché la dimensione della scuola, ad esempio, può essere vista come una variabile

data, ma in una prospettiva di lungo periodo si può considerare anche come variabile soggetta a

cambiamento, a seguito di politiche scolastiche nazionali che decidono di modificare con appositi

regolamenti il dimensionamento degli istituti (numero minimo e massimo di studenti per istituto).

Un altro caso è quello della composizione della popolazione studentesca in termini di status socio-

economico medio; questa variabile, in genere, è trattata come condizione “data”, fuori dalla portata

di politiche finalizzate al miglioramento del processo primario di insegnamento-apprendimento;

tuttavia, una scuola potrebbe avere esplicite politiche o regolamenti di selezione e ammissione per

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controllare la composizione della platea studentesca. Questo modo di operare, in conflitto con il

criterio dell’equità, si palesa di solito come effetto disfunzionale, noto in letteratura come cream

skimming o cherry picking, soprattutto in presenza di meccanismi di quasi-mercato e di

accountability forte per le scuole.

Punto di forza del modello è la sua flessibilità nel descrivere il funzionamento dell’istruzione e può

essere utilizzato per illustrarne le differenti prospettive della qualità. Sottolineando alcuni aspetti e

le loro relazioni, è possibile, secondo Scheerens, esplorare sei prospettive d’indagine della qualità

dell’istruzione e attribuire, a seconda del punto di vista prescelto, maggiore importanza a una delle

quattro dimensioni del modello.

In base a tale schema e alle relazioni tra i suoi diversi elementi sono state formulate perciò diverse

definizioni della qualità, mostrandone il carattere multicriteriale.

Il modello ha lo scopo di spiegare le differenze di efficacia della scuola mettendo in relazione gli

apprendimenti degli studenti con tre variabili determinanti: contesto, input e processi. Le variabili

che costituiscono le dimensioni input e processi (a livello di scuola e di classe) sono quelle già

individuate e testate dalle ricerche del movimento delle scuole efficaci e, insieme a quelle del

contesto, consentono di costruire un sistema di indicatori per misurare e valutare il sistema

dell’istruzione e, nel contempo, la singola scuola, in un’ottica integrata o sistemica. Ciò che emerge

dagli studi sulle scuole efficaci e dalla definizione di un modello descrittivo integrato, che non è un

modello teorico con assunti e nessi causali, ma è un modello guida con funzione euristica, è che

avere una base di conoscenza empirica sugli effetti stimati in termini quantitativi di differenti fattori

(contesto, scuole, classi, studenti) offre la possibilità di identificare le leve su cui agire per

progettare e realizzare azioni di miglioramento.

Gli studi di SER, quindi, hanno fornito una cospicua base di conoscenza a modelli integrati per

misurare la qualità dell’istruzione, alla costruzione di sistemi di indicatori da parte sia di organismi

internazionali (OECD) per monitorare lo stato di salute dell’istruzione dei vari Paesi, sia di diverse

nazioni per progettare un proprio sistema di misurazione e valutazione dell’istruzione. Essi sono

anche alla base della costruzione del sistema di indicatori per la valutazione di sistema e delle

scuole, messo a punto dall’Invalsi, su mandato del MIUR.

L’Italia si è dotata, seppure in ritardo e in maniera lenta e progressiva rispetto a tanti altri Paesi, di

un Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) in materia di istruzione e formazione, istituito nel 2011

e dotato di apposito Regolamentato con il d.P.R. n. 80 del 2013.

L’esigenza di testare il modello di misurazione e valutazione della performance delle scuole e dei

dirigenti scolastici ha dato luogo negli ultimi anni ad una serie di sperimentazioni, promosse dal

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MIUR, coordinate e gestite dall’Invalsi in collaborazione con l’Indire (Istituto nazionale di

documentazione, innovazione e ricerca educativa) e il corpo ispettivo.

Una di queste sperimentazioni, il progetto “Vales” (Valutazione e Sviluppo Scuola), avviata

nell’anno scolastico 2012-2013, trova origine e fondamento nel quadro di riferimento teorico e nel

sistema di indicatori del progetto “Valsis” (Valutazione di sistema e delle scuole), realizzato

dall’Invalsi su mandato del MIUR a partire dal 2008. Tale progetto consente, da un lato, di

comprendere la cornice normativa, culturale e operativa del sistema di misurazione dell’istruzione

nel nostro Paese; dall’altro, di rilevare il sistema di indicatori elaborato. In altri termini, una sua

disamina permette di evidenziare da dove deriva l’impianto di misurazione della performance del

settore educativo a livello di sistema e di scuola, che il nostro Paese sta mettendo in atto.

L’Invalsi, partendo da una ricognizione delle esperienze internazionali su misurazione e valutazione

della performance della scuola, sceglie di tenere insieme le due prospettive, di sistema e di scuola,

in un unico quadro di riferimento teorico flessibile, capace di fornire più percorsi di lettura. La

scelta di fondo è, quindi, di un’ottica sistemica in grado di considerare la multidimensionalità della

performance educativa e mettere in luce la configurazione a rete dei vari livelli di responsabilità

nella governance del sistema. Seguendo il modello concettuale CIPP e quelli integrati delle scuole

efficaci, volti alla misurazione della qualità educativa per ogni ambito della performance (contesto,

risorse, processi, risultati), sono individuati indicatori, che interagiscono tra loro e con quelli degli

altri ambiti, producendo una serie di relazioni e connessioni che forniscono informazioni sul

funzionamento del sistema e aiutano a comprendere ciò che funziona più o meno bene ai fini del

conseguimento dei risultati. In tal modo è possibile rilevare quali processi dell’ambiente operativo

di una scuola, all’interno di un determinato contesto esterno, favoriscono o inibiscono la

realizzazione della mission educativa. Valsis si inserisce, pertanto, nel solco delle più recenti

ricerche sull’efficacia della scuola, connotata dai valori di qualità ed equità, da misurare mediante

un sistema di indicatori che prenda in considerazione sia l’ampiezza o estensione sia la profondità o

i diversi livelli di governance della performance educativa, applicando tecniche statistiche avanzate

e un’ampia gamma di strumenti di rilevazione dei dati, che va dal questionario all’intervista, ai

focus group, all’autovalutazione e all’osservazione sul campo. La prospettiva di Valsis sembra

orientata ad un’integrazione della tradizione di performance measurement con quella propria della

valutazione di programmi e politiche pubbliche, che va sotto l’etichetta di evaluation studies.

Il sistema di indicatori che ne deriva ha l’obiettivo di ricavare, una volta applicato, un costrutto di

qualità, di individuare cioè le variabili che nel contesto italiano aiutano a definire la qualità della

scuola o, come si usa dire con un sintagma di maggior impatto, i tratti della “buona scuola”.

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Emerge l’assunto che ogni set di indicatori per una determinata dimensione della performance

educativa contribuisce a definire un sistema di indicatori, caratterizzato non dalla semplice

sommatoria di indicatori singoli o compositi, ma dalla loro integrazione o azione sinergica. Tale

sistema, funzionale alla misurazione della performance, consente di impostare, almeno in teoria, un

sistema di misurazione strutturato in più livelli (macro, meso, micro) e dimensioni (contesto, input,

processi, risultati), ma anche aperto al contributo di soggetti esterni; di incorporare le informazioni

ricavate in maniera sistemica per un loro uso quanto più possibile coerente e completo.

L’assunto di base di Valsis è che la qualità del sistema e delle scuole è data da una composizione di

responsabilità a diversi livelli, che deve trovare espressione nella progettazione del sistema di

misurazione. A tal fine gli indicatori sono stati categorizzati secondo due criteri: il livello della

decisione, ossia a chi spetta decidere, e il livello dell’informazione, ossia il luogo in cui

l’informazione è raccolta. La performance delle scuole poggia su un sistema di valori, in primo

luogo qualità ed equità, che non possono essere concretizzati solo dalle scelte compiute dagli agenti

interni delle singole istituzioni scolastiche, ma anche dalle ricadute delle decisioni assunte dagli

attori di altri livelli di governance (locale, nazionale, internazionale); viceversa la performance di

un sistema scolastico non è determinata solo dalle politiche scolastiche decise a livello nazionale,

ma dipende anche da come il servizio è organizzato, gestito ed erogato dalle singole istituzioni

scolastiche autonome. Ogni agente in primo luogo è ritenuto essere responsabile (to be held

accountable) di scelte e attività sue proprie, tenendo conto però anche di scelte e attività di altri

attori ad altri livelli con cui nella realtà deve interagire, e in secondo luogo è chiamato a dar conto

dei risultati raggiunti (to give account). Nel conseguimento dei risultati è inclusa anche la capacità

di conoscere (e saper interagire con) le scelte e le attività degli attori, che concorrono alla

performance di un sistema.

La metodologia presupposta da Valsis, evidenzia, quindi, che la performance dell’istruzione è

multidimensionale e multilivello.

Il nascente sistema di valutazione dell’istruzione, disegnato mediante il progetto Valsis, poggia

dunque sulle teorie e le ricerche delle scuole efficaci, che d’altronde hanno ispirato anche

l’impostazione concettuale, operativa e tecnica della valutazione di scuole e sistemi educativi di

tanti Paesi, nonché le indagini e le ricerche degli organismi internazionali più autorevoli nel settore

dell’education. La ricerca dell’Invalsi, in questi ultimi anni, ha fatto da base ad alcune

sperimentazioni ministeriali, tra cui quella denominata Vales (Valutazione e sviluppo della scuola),

su misurazione e valutazione della performance di un campione di istituti scolastici.

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La sperimentazione Vales, promossa dal MIUR in collaborazione con Invalsi e Indire, prende avvio

nell’anno scolastico 2012-2013 e coinvolge 300 istituzioni scolastiche; si propone di testare e

affinare strumenti, percorsi e protocolli operativi per valutare le scuole e fornire un modello valido e

affidabile per dare attuazione al sistema nazionale di valutazione. L’ottica di fondo è promuovere

un processo ciclico di valutazione interna, valutazione esterna e miglioramento.

La misurazione e la valutazione della performance delle scuole serve a migliorare la qualità e

l’equità dell’istruzione attraverso una conoscenza quanto più possibile approfondita del

funzionamento della scuola: è questo l’assunto ribadito da Vales, sancito dal Regolamento

dell’SNV (d.P.R. n. 80/2013), declinato dalla Direttiva triennale Miur del 18 settembre 2014,

riguardante “Priorità strategiche del Sistema Nazionale di Valutazione per gli anni 2014/15,

2015/16, 2016/17” e dalla circolare ministeriale n. 47 del 21 ottobre 2014, relativa alla trasmissione

e all’illustrazione della citata Direttiva alle scuole.

Il quadro di riferimento teorico utilizzato in Vales prevede la misurazione della performance delle

scuole relativamente a tre ambiti: risultati, contesto e risorse, e processi. Rispetto allo schema di

Valsis, contesto e risorse sono stati accorpati in un’unica dimensione. Le tre dimensioni sono alla

base sia dell’autovalutazione da parte delle scuole che della valutazione esterna da parte del team di

esperti. L’idea è che gli aspetti della performance da valutare siano gli stessi, ma analizzati da due

punti di vista diversi: quello interno e quello esterno. La prospettiva interna, autovalutazione o

valutazione interna, serve come autoanalisi e per fornire quelle conoscenze di contesto interno e

dell’ambiente esterno circostante (la cd. “superiore conoscenza locale” dell’agent rispetto al

principal), direttamente in possesso degli agenti prossimi del servizio scolastico; quella esterna è

necessaria per contrastare i rischi di autoreferenzialità. Elementi centrali per un giudizio di

valutazione, da parte di un team di valutatori esterni, sono le misure dei processi e gli esiti delle

prove Invalsi misurati con la tecnica del valore aggiunto.

In questo modello di misurazione e valutazione dell’istruzione, l’autovalutazione rappresenta un

vero e proprio banco di prova per le scuole nell’uso di dati trasmessi dal centro, sia direttamente sia

tramite la sua agenzia (Invalsi), mediante un fascicolo elettronico (il cosiddetto “Fascicolo Scuola

in chiaro”), contenente una ricca serie di dati di contesto, input, processi e risultati. Mette alla prova

anche la capacità di ogni scuola di produrre evidenze specifiche proprie, vale a dire informazioni di

contesto e processuali supportate da dati, e non semplici descrizioni dell’esistente, ancorate

esclusivamente a impressioni ed opinioni. Il passaggio dalla dimensione meramente descrittiva ad

una basata sulle evidenze rappresenta per il nostro sistema scolastico, nella gran parte dei casi, un

modo di operare nuovo, ma indubbiamente necessario per apprendere su come migliorare il sistema.

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Il quadro concettuale di Vales, in linea con quello di Valsis, da cui deriva, mostra che ogni

dimensione comprende aree specifiche. Da qualche anno, con il passaggio dal Vales al Rapporto di

Autovalutazione (RAV) di ogni scuola è stato segnato l’avvio del sistema nazionale di valutazione

della scuola in Italia, i cui riferimenti normativi di base sono definiti dal Regolamento SNV (d.P.R.

n. 80/2013) e dalla Direttiva triennale MIUR n. 11/2014. Quest’ultima comprende anche la

tempistica dell’iter valutativo di tutte le scuole: il triennio 2014-2015/2016-2017 prevede

Autovalutazione per tutte le scuole, Valutazione esterna per una percentuale predefinita di scuole,

Piani di miglioramento e Rendicontazione sociale di tutte le scuole.

Per quanto attiene alla prima fase, l’autovalutazione, è stato predisposto dall’Invalsi il format del

RAV, corredato di una linea guida e di una mappa di 49 indicatori.

Il RAV è strutturato in 5 sezioni: le prime tre riguardano le dimensioni della performance (contesto

e risorse, esiti e processi); la quarta è dedicata alla riflessione di ogni scuola sul processo di

autovalutazione in atto e sull’integrazione di eventuali esperienze autovalutative pregresse; la quinta

sezione invita le scuole ad individuare sia le priorità, che si intendono perseguire per migliorare gli

esiti degli studenti con la specificazione dei relativi traguardi o target di medio periodo (triennali),

sia gli obiettivi di processo, che connotano la definizione operativa delle attività funzionali al

perseguimento delle priorità, da porre nell’insieme alla base del piano di miglioramento.

La linea guida del RAV comprende per ogni dimensione della performance una serie di domande,

che dovrebbero indirizzare ogni scuola ad una lettura articolata dei dati disponibili, focalizzandosi

sui risultati raggiunti e individuando opportunità e vincoli per il contesto, nonché punti di forza e di

debolezza per gli ambiti inerenti a esiti e processi, secondo il noto framework dell’analisi SWOT.

Prevede, inoltre, per ciascuna area degli esiti e dei processi l’utilizzo di una rubrica di valutazione,

che invita la scuola ad esprimere un giudizio complessivo, utilizzando una scala di possibili

situazioni che va da 1 (Molto critica) a 7 (Eccellente).

La “Guida all’autovalutazione”, a cura dell’Invalsi, è accompagnata da una “Mappa degli indicatori

per il RAV”, che copre i tre ambiti della performance mediante un set di 49 indicatori con relativi

descrittori e loro fonte di provenienza/elaborazione. Si riporta, nella Figura 1, la rappresentazione

grafica del modello concettuale sotteso al RAV, derivante da quello della sperimentazione Vales,

che ha tratto impulso da Valsis.

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Figura 1 – Il modello RAV – Un sistema di 49 indicatori

Allo stato attuale, il sistema complessivo di indicatori della performance della scuola, ancora da

completare e da perfezionare in alcune aree (competenze trasversali), e con ulteriori indicatori che

potrebbero e dovrebbero derivare dall’elaborazione delle scuole, trova visibilità sul portale

ministeriale “Scuola in chiaro”, anche mediante un cruscotto che, esponendo il valore degli

indicatori ritenuti più robusti in termini di affidabilità e comparabilità, intende fornire a decisori

politici, agenti scolastici, famiglie e opinione pubblica in generale sia un’istantanea dello stato di

salute di scuole e sistema nazionale di istruzione, sia un quadro evolutivo dei risultati nel corso del

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tempo con riferimento alla singola scuola, all’intero sistema nazionale e a benchmark internazionali.

Si intende dare conto, quindi, non di una semplice fotografia dell’esistente, ma anche del processo

di sviluppo del sistema di misurazione e valutazione della scuola in Italia, focalizzandosi, dopo la

progettazione e l’implementazione del sistema di misurazione (performance measurement), sulla

gestione della performance educativa (performance management) come è avvenuto, d’altra parte,

per altri Paesi fin dagli anni novanta del secolo scorso.

Come è noto, l’ambito degli esiti educativi e formativi, pur non essendo l’unico da considerare,

occupa un ruolo centrale nella misurazione della performance dell’istruzione. Il grado di

standardizzazione e comparabilità di tali esiti a livello nazionale, ma anche per il confronto

internazionale, poggia in gran parte sul calcolo del “valore aggiunto”: una misura di performance.

Il “valore aggiunto”, il cui schema concettuale è proposto nella Figura 2, è una misura composita,

che consente attraverso elaborate e complesse operazioni tecnico-statistiche e metodologiche di

definire il contributo, che la scuola apporta al rendimento degli studenti al netto di fattori, che sono

fuori dal controllo della scuola stessa.

Figura 2 – Schema concettuale di valore aggiunto

Fonte: adattamento della Figura contenuta in Fondazione Giovanni Agnelli (a cura di), 2014

E’ un indicatore che risponde a finalità di trasparenza e accountability, scelta informata della scuola

da parte delle famiglie, miglioramento continuo di ogni singola scuola. Come tutte le misure di

performance, il valore aggiunto risponde all’esigenza di guidare il processo decisionale di politici e

amministratori a livello nazionale, regionale e locale in tema di allocazione di risorse e di politiche

scolastiche mirate per fornire un servizio di istruzione efficiente ed efficace.

Le informazioni che esso fornisce sono altrettanto importanti per guidare le decisioni e le azioni

degli operatori scolastici – dirigente e docenti – in termini soprattutto di miglioramento, sviluppo e

innovazione di prassi organizzative, pedagogiche e didattiche per realizzare la missione distintiva

Livello Studente

Livello Studente

Livello Studente

Livello Scuola

Livello Territorio

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della scuola: garantire a tutti gli studenti (equità) un percorso formativo conforme a standard

predefiniti (qualità).

L’applicazione dell’analisi di valore aggiunto nel nostro sistema di istruzione è recente, ma è in

progressivo sviluppo. Il modello di valore aggiunto applicato dall’Invalsi rientra nella categoria dei

modelli di valore aggiunto contestualizzato, poiché i punteggi dei test nazionali standardizzati sono

aggiustati con variabili relative alle caratteristiche personali (sesso, genere, stato di cittadinanza;

attitudini, motivazioni, cognizione di sé) e al background economico e socio-culturale degli

studenti, e con i fattori strutturali a livello di scuola. L’impegno dell’Invalsi, nell’ambito degli

sviluppi della misurazione della performance educativa, è volto ad ancorare le prove nazionali di un

medesimo studente da un livello scolare all’altro, per monitorare i progressi dalla situazione di

partenza in poi (quella del primo test), nonché a considerare nella misurazione dell’indicatore anche

l’indice di capitale sociale del territorio su cui insiste la scuola. Quello della misurazione del valore

aggiunto, come di altri indicatori cruciali per rilevare dati e informazioni di performance, utili al

miglioramento dell’istruzione, è un processo in continua e graduale evoluzione per il nostro sistema

nazionale di valutazione dell’istruzione.

Tra gli strumenti utilizzati per misurare e gestire la performance educativa ha assunto sempre più

rilievo il testing standardizzato, che è una modalità di accertamento dei livelli di abilità e

competenze degli studenti, adottato da un numero sempre maggiore di Paesi per fini di

monitoraggio, miglioramento e accountability del proprio sistema di istruzione, anche ad

integrazione delle rilevazioni standardizzate internazionali.

Per il settore istruzione del nostro Paese, al momento, i risultati del testing standardizzato - i test

Invalsi in lingua e matematica, somministrati con cadenza annuale, su base censuaria, a studenti di

livelli scolari predefiniti - costituiscono l’unica serie di dati oggettivi e comparabili, prodotti a

livello nazionale, essendo appena decollato il processo di valutazione delle scuole che, solo tra

qualche anno, consentirà comparazioni su un set di indicatori più ampio e con riferimento a

standard sia di apprendimento sia del servizio scolastico complessivo, la cui definizione è parte

integrante dell’agenda politica e tecnica che il Miur, con l’Invalsi, la sua agenzia di misurazione e

valutazione, ha sviluppato finora. La misurazione e la gestione della performance di ogni scuola in

base al set dei 49 indicatori, selezionati per il ciclo di valutazione interna-valutazione esterna-

miglioramento, dovrebbero iniziare a dare, nell’arco di almeno un triennio, un contenuto più

definito a un processo di valutazione del sistema educativo, capace di ispirare la progettazione di

politiche meno randomizzate e meno esposte al fascino della “tirannia del nuovo”, che crea non

poche discontinuità nei processi di riforma scolastica, con conseguenti effetti di disorientamento,

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frustrazione e demotivazione negli agenti scolastici e nelle famiglie. E’ auspicabile, invece, che sia

coltivata l’attitudine a dialogare con i dati disponibili per dare forma e contenuto, senso e

significato, a politiche basate sulle evidenze (evidence-based policy).

L’uso dei test ha prodotto, al pari di altri strumenti adottati nel settore pubblico per la misurazione

della performance organizzativa e individuale, una serie di distorsioni nel comportamento degli

agenti scolastici, accompagnata spesso da una deliberata manipolazione dei dati e da distorsioni

delle attività. I comportamenti perversi sono ascrivibili al concetto noto in letteratura come gaming

(“mettere in scacco il sistema”), di cui il cheating (“ imbrogliare, barare”) è una delle forme più

gravi. Le varie forme e gradazioni di gaming nella scuola sono individuate come teaching to the

test, narrowing of curriculum, cheating, esclusione degli studenti. La predominante denominazione

in inglese, utilizzata correntemente anche nel nostro Paese da esperti, professionisti e media, è di

per sé indice della portata e diffusività internazionale di tali comportamenti perversi.

Le informazioni di performance restituite dai test Invalsi, dalle varie edizioni delle indagini

internazionali OCSE PISA, cui l’Italia partecipa regolarmente dal 2000, e dai macro-indicatori della

pubblicazione annuale Education at a Glance dell’OCSE rappresentano solo alcune delle numerose

raccolte di dati, disponibili nel settore dell’education, per la comparazione a livello internazionale e

per l’uso a livello nazionale. Un uso, quest’ultimo, che può essere potenziato promuovendo in ogni

Paese analisi secondarie per fornire ai propri decisori politici ulteriori informazioni aggregate.

Questa ricchezza di dati si scontra con un loro uso ancora troppo scarso in alcuni Paesi più che in

altri per informare il processo decisionale dei responsabili dell’istruzione ai vari livelli. Si rende

necessario, pertanto, un maggiore equilibrio tra un’offerta più o meno ricca e una domanda alquanto

scarsa di informazioni di performance, facendo leva anche sulle opportunità offerte oggi dal digitale

in materia di uso dei dati.

Una delle sfide di questi anni per gli attori del sistema nazionale di istruzione sta proprio nell’uso

dei dati per creare e disseminare conoscenza, per indurre cambiamento e miglioramento nei processi

organizzativi, gestionali e formativi di ogni scuola.

Come si è già accennato, oggi, anche l’Italia, seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi dell’area

OCSE, dispone di un sistema nazionale di valutazione, regolamentato, che ha definito finalità e

caratteristiche della valutazione della performance di ogni scuola e del sistema nel suo complesso.

Il nostro decisore pubblico ha scelto di misurare la performance educativa per monitorare e

migliorare il servizio erogato da ogni scuola e per indirizzare le policy educative.

Ha stabilito che la misurazione ha valore se le sue fasi sono ben costruite e funzionali a fornire dati

di performance validi, affidabili e di qualità perché lo scopo della misurazione è essere utile a

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coloro che devono usare i dati, da essa forniti, per indirizzare scelte politiche, strategiche,

didattiche, a seconda del livello di responsabilità dei diversi attori coinvolti nella configurazione

annidata a rete della governance del settore dell’istruzione.

Il settore istruzione in Italia si è dotato, a tal fine, di un quadro di riferimento concettuale (Valsis)

che ha guidato l’elaborazione di indicatori, tarati sul contesto politico, culturale ed educativo

nazionale, validati sul campo attraverso una stagione di sperimentazione con diverse scuole del

territorio nazionale, fino a pervenire ad una mappa di indicatori, comparabili su base nazionale, per

avviare il processo di valutazione a livello di scuola e di sistema.

Si è dotato, inoltre, del testing standardizzato in lingua e matematica per rilevare il rendimento degli

studenti di livelli scolari predefiniti.

E’ sulla base anche di questi elementi, che è possibile definire lo stato dell’arte su misurazione e

valutazione della performance dell’istruzione in Italia.

E’ uno stato dell’arte che richiama alcuni tasselli di fondo che, seppure in evoluzione perché

recenti, sono individuabili nelle prove nazionali standardizzate, nel processo di valutazione delle

scuole appena avviato, nelle politiche di riforma, delineate da ultimo nella legge n. 107/2015, nota

anche come legge della “Buona scuola”.

I test standardizzati nazionali da un decennio, tra resistenze ed adesioni, forniscono una ricca serie

di dati aggiornati annualmente, oggettivi e comparabili, che possono e dovrebbero essere utilizzati

principalmente da tre soggetti: il decisore pubblico, il dirigente scolastico, i docenti.

Il decisore pubblico, che ha la responsabilità di Governo del sistema scolastico del Paese, dispone,

soprattutto con l’accrescersi delle rilevazioni sistematiche, con l’affinamento delle procedure e delle

tecniche di misurazione, nonché con la vasta gamma di dati delle rilevazioni internazionali, di uno

strumento di monitoraggio per orientare provvedimenti innovativi e di riforma, potendo calibrare e

tarare queste ultime sulla comprensione dei fattori che influenzano la qualità dell’istruzione.

Dispone di dati che informano sulle leve di policy da attivare, come la governance, per fornire alle

scuole la necessaria autonomia per realizzare le scelte strategiche esplicitate e declinate nei

documenti istituzionali (Piano dell’offerta formativa, Rapporto di autovalutazione, Piano di

miglioramento), e lo stanziamento di risorse finanziarie per traghettare il sistema verso il

miglioramento.

I dirigenti scolastici, che hanno la responsabilità della gestione unitaria della scuola e quella di

operare le scelte strategiche in raccordo con gli stakeholder della scuola stessa, possono ricavare da

un’analisi accurata dei dati utili strumenti per potenziare la loro capacità di risposta ai bisogni di

qualità reale della scuola, avviando analisi e un’azione riflessiva sui punti di forza e di debolezza,

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considerando i contesti, interno ed esterno, i climi, metodologie e didattiche, azioni di

aggiornamento e piani di formazione mirati per lo sviluppo professionale dei docenti. Possono

fornire impulso e coordinamento alle attività di autovalutazione, affinché diventino prassi comuni di

un processo sistematico e padroneggiato fino ad indirizzare la comunità professionale dei docenti,

gradualmente, verso una vera e propria cultura della autovalutazione.

I docenti, che sono responsabili della gestione della classe, ossia della crescita e dello sviluppo

formativo delle nuove generazioni, possono trovare nei risultati, mediante un feedback tempestivo,

supportati da azioni di accompagnamento e anche dall’utilizzo di software specifico per analisi e

interpretazione dei dati, uno strumento diagnostico, che aiuta a comprendere i bisogni formativi

degli alunni e a curvare di conseguenza l’attività didattica in classe.

Le prove nazionali standardizzate sugli apprendimenti degli studenti sono in costante evoluzione e i

suoi sviluppi riguardano la costruzione delle scale di competenza, che definiscono i livelli in termini

di competenze che uno studente mostra di possedere in relazione al suo grado scolastico; la

restituzione dei risultati dei test alle scuole in chiave diacronica, ossia in termini dei risultati delle

prove di ogni studente di un determinato livello scolare ancorate alle prove del suo livello scolare

successivo; l’affinamento della misura di valore aggiunto, considerando nel suo calcolo sia la

situazione iniziale di ogni studente sia l’indice di capitale sociale del territorio su cui insiste la

scuola, oltre al background dello studente e ai fattori strutturali della scuola, già inseriti nella misura

di valore aggiunto, attualmente disponibile e restituita come dato ad ogni scuola; l’affinamento del

calcolo dell’indice di propensione al cheating per scongiurare i “falsi positivi”; la predisposizione

della prova nazionale per l’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, che potrebbe

avere effetti sull’attenuazione della grade inflation; la riflessione sulla collocazione temporale della

prima prova del ciclo primario, ossia stabilire, insieme al decisore pubblico, se lasciarla in classe

seconda primaria o, invece, spostarla alla classe terza, armonizzando ulteriormente il contenuto

delle prove standardizzate con le Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo di istruzione,

dove i traguardi di competenza nella scuola primaria, sono previsti appunto, in linea con la migliore

tradizione psico-pedagogica, a partire dalla classe terza; il coinvolgimento strutturato della

formazione professionale nel testing standardizzato, essendo quest’ultimo praticato, ad oggi, solo a

livello sperimentale per istituti di alcune regioni settentrionali; l’inserimento della prova di lingua

inglese tra le prove nazionali.

Sul versante della misurazione e valutazione della performance complessiva a livello di scuola è

stato definito, dopo alcuni progetti sperimentali, finanziati anche con i fondi strutturali comunitari

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del settennio 2007-2013, un set dei 49 indicatori comparabili, in cui i dati del testing costituiscono

uno degli indicatori selezionati.

Il processo di valutazione di ogni scuola è scandito, come previsto dal Regolamento del SNV, da

quattro fasi, strettamente interconnesse: l’autovalutazione ancorata alle evidenze; la valutazione

esterna, da parte di un team di esperti; la redazione di un piano di miglioramento, basato su un

format predefinito, che segna la traiettoria di analisi e interpretazione dei bisogni rilevati, scelte

strategiche, obiettivi operativi, indicatori e target, sottolineando il ruolo degli agenti scolastici come

produttori, e non solo consumatori, di dati; la rendicontazione dei risultati raggiunti, da pubblicare

in maniera chiara e comprensibile sul Portale del Miur.

Nell’arco di un triennio, entro l’anno scolastico 2016/2017, la struttura su misurazione e gestione

della performance della scuola dovrebbe fornire un quadro più articolato, ragionato, basato su

evidenze e misure da rendere via via più robuste, in grado di fornire lo stato di salute di ogni scuola

e quello del sistema educativo a livello locale, regionale e nazionale.

Le prospettive di sviluppo su quest’area vertono sull’elaborazione di indicatori, ad oggi, ancora

mancanti, per le competenze trasversali degli studenti; indicatori sul capitale sociale dei territori;

ulteriori indicatori, evidenziati dalle scuole nel RAV. Obiettivo finale è pervenire ad un costrutto di

qualità della scuola italiana, esprimibile attraverso misure oggettive, affidabili e comparabili.

Come saranno utilizzati dalle scuole i dati disponibili per redigere il RAV; quale sarà la tenuta

effettiva di procedure, strumenti e rubriche a disposizione dei valutatori esterni; come saranno

redatti e realizzati i piani di miglioramento da parte delle scuole; cosa emergerà dalla

rendicontazione dei risultati raggiunti da ogni scuola; e ancora, quali saranno le azioni di

accompagnamento che dirigenti scolastici e responsabili dell’amministrazione scolastica

sovraordinata (Uffici scolastici regionali, Miur) metteranno in atto. Sono tutti buoni oggetti di

ricerca per la comunità scientifica e necessari spunti di riflessione per la comunità professionale

perché contribuiscono a rilevare punti di forza e criticità dello start up del sistema nazionale di

valutazione e a ricavare una base di conoscenza, tutta italiana, utile al miglioramento.

Altrettanto utile sarà verificare se le policy, lanciate di recente dal decisore pubblico, avranno una

implementazione efficiente, e conoscere, tramite opportune valutazioni di impatto (la cui scarsa

diffusività è stata oggetto di un’articolata disamina in un recente documento OCSE), la misura della

loro efficacia affinché mappe e traiettorie per il miglioramento dell’istruzione possano essere

aggiornate, allineate e, con ciò, rese funzionali per chi ha la responsabilità di guidare e per chi ha la

responsabilità di remare in un settore ritenuto leva strategica per accrescere PIL e BIL di ogni

collettività nazionale.

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