La Valutazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili nella Provincia di Napoli
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
FACOLTA’ DI SOCIOLOGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN POLITICHE SOCIALI E DEL TERRITORIO
PROVA FINALE IN
METODI STATISTICI PER LA VALUTAZIONE DEI SERVIZI
LA VALUTAZIONE DEI PIANI TERRITORIALI DI POLITICHE GIOVANILI
NELLA PROVINCIA DI NAPOLI
RELATORE: Ch.mo Prof. Giancarlo Ragozini
CANDIDATA: Rita Cimmino Matr. M16/000108
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.
Italo Calvino
Indice
Introduzione ......................................................................................................................................... 1
Capitolo 1: La condizione giovanile nella società contemporanea ...................................... 4
1.1. I giovani come categoria sociale .................................................................................................. 4
1.2. Essere giovani nella società dell‟incertezza .............................................................................. 15
1.3. Le tappe di transizione verso l‟età adulta.................................................................................. 23
1.4. Le diseguaglianze nelle opportunità di emanciparsi dalla famiglia di origine... ................. 28
1.5. I valori, la fiducia nelle istituzioni e la partecipazione giovanile ........................................... 33
Capitolo 2: Le politiche giovanili ................................................................................................. 45
2.1. I giovani una priorità per l‟Europa ............................................................................................ 45
2.1.1. Gli interventi in materia di gioventù da parte dell‟Unione Europea tra gli anni
Novanta e Duemila .................................................................................................................... 49
2.1.2. Il Libro Bianco: un nuovo impulso per la gioventù europea .................................... 53
2.1.3. Il proseguimento degli obiettivi: la “Carta europea della partecipazione dei giovani
alla vita locale e regionale” e il “Patto europeo per la gioventù” ........................................ 57
2.2. I modelli nazionali di politiche giovanili ................................................................................... 62
2.3. Le politiche giovanili in Italia: una storia recente .................................................................... 69
2.3.1. L‟evoluzione delle politiche nel contesto nazionale ................................................... 70
2.3.2. Il Ministero per le Politiche Giovanili ........................................................................... 78
2.3.3. Il ruolo delle Regioni e degli Enti locali........................................................................ 84
2.4. I giovani in Campania e le politiche per la gioventù ............................................................... 88
2.4.1. Il settore delle Politiche Giovanili e la legislazione regionale .................................... 91
2.4.2. I servizi presenti sul territorio ed i progetti attivati ..................................................... 95
Capitolo 3: La valutazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili
nella Provincia di Napoli .................................................................................. ..99
3.1. L‟oggetto di valutazione: la programmazione dei Piani Territoriali di Politiche
Giovanili .......................................................................................................................................... 99
3.1.1. La ripartizione territoriale per ambiti distrettuali ...................................................... 103
3.1.2. I requisiti richiesti ai Comuni per aderire ai Piani ..................................................... 107
3.1.3. Le linee d‟azione previste e le risorse finanziarie impiegate .................................... 110
3.2. Il processo di valutazione .......................................................................................................... 114
3.2.1. Il disegno di ricerca valutativo...................................................................................... 116
3.2.2. Gli obiettivi della valutazione ....................................................................................... 117
3.2.3. L‟approccio, la metodologia e le tecniche impiegate ................................................ 119
3.2.4. Lo strumento di rilevazione dei dati ............................................................................ 123
3.3. I risultati della programmazione .............................................................................................. 127
3.3.1. Le dimensioni esplorate all‟interno dell‟analisi del contesto locale: le
problematiche e i bisogni emergenti ..................................................................................... 128
3.3.2. Le priorità di programmazione e gli obiettivi strategici ........................................... 137
3.3.3. L‟analisi del sistema locale dei servizi Informagiovani e del sistema di
partecipazione giovanile: Forum, Consulte e Associazioni ................................................ 142
3.3.4. Le risorse finanziarie impiegate .................................................................................... 149
3.3.5. La coerenza tra le sezioni che compongono i documenti ....................................... 155
3.3.6. L‟innovatività degli interventi ....................................................................................... 162
3.3.7. Un caso di eccellenza: il PTG del distretto con Comune capofila Portici ............ 169
Conclusioni ....................................................................................................................................... 173
Appendice ......................................................................................................................................... 179
Riferimenti Bibliografici ............................................................................................................... 185
Sitografia ............................................................................................................................................ 191
Ringraziamenti ................................................................................................................................ 193
1
Introduzione
La complessità delle società moderne rende arduo il compito di definire
l‟universo giovanile, poiché questa fase della vita è divenuta maggiormente
instabile ed il passaggio verso la maturità non è netto ed individuabile.
In particolare nella società italiana, il prolungamento del percorso
formativo, la dilatazione dei tempi di accesso al mercato del lavoro e la scarsa
propensione verso l‟autonomia abitativa, sono fenomeni che avrebbero il
duplice effetto di posticipare l‟attraversamento delle tappe di transizione e di
allungare il periodo di dipendenza economica dalla famiglia di origine.
Le nuove generazioni, assumono ruoli e responsabilità tipiche della
condizione adulta sempre più tardi e le politiche giovanili devono rapportarsi
ad ampie fasce di popolazione, che non rappresentano un gruppo omogeneo,
ma un universo variegato con bisogni ed esigenze differenti. Questi aspetti
rivelano quanto sia utile prestare attenzione alla fase giovanile, per riflettere su
quali interventi realizzare per rispondere ai bisogni di questa fascia di età molto
eterogenea.
In letteratura non è presente una definizione comune, univoca e condivisa
di cosa si intende per politiche giovanili, dato che ogni paese possiede un
proprio quadro politico nazionale e decide quali sono le finalità a cui devono
corrispondere gli interventi rivolti ai giovani. Analizzare questo tipo di
politiche, significa proiettarsi in un ambito particolarmente dinamico, ricco di
fermenti e progettualità, innescate da forti cambiamenti avvenuti sia a livello
internazionale che all‟interno dei singoli paesi.
Le politiche giovanili comprendono una serie di interventi trasversali che
attengono a diversi ambiti (come ad esempio quelli che riguardano il lavoro, la
formazione professionale, l‟istruzione, la salute, ecc.) il che rende molto
complessa una possibile definizione. Queste azioni sono accumunate dalla
2
valenza pubblica e dalla finalità generale di fornire ai giovani «opportunità,
mezzi, possibilità e percorsi per vivere in modo positivo la fase di transizione
alla vita adulta» (Campagnoli 2010, p.79).
Analizzando le istituzioni preposte alla programmazione e alla realizzazione
delle politiche giovanili nel nostro Paese, ci si trova di fronte a una realtà
spesso frammentata e contraddittoria. Basti pensare che a differenza degli altri
contesti europei, non vi è una legge quadro o un‟Agenzia nazionale per lo
sviluppo delle politiche giovanili ed inoltre, ad esclusione degli Informagiovani,
manca un sistema di coordinamento dei principali servizi per i giovani. In
questo panorama spesso sono state trascurate le peculiarità territoriali e
soprattutto ignorati i bisogni dei soggetti destinatari delle politiche.
La Regione Campania negli ultimi anni ha avviato un percorso innovativo
di programmazione che sulla base di alcuni principi e linee guida europee, ha
portato alla realizzazione di interventi che mirano allo sviluppo del
protagonismo e della cittadinanza attiva dei giovani.
La recente programmazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili,
punta alla costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi,
stimolando le potenzialità e le risorse locali. Questi Piani introducono
un‟innovazione nel quadro delle politiche giovanili, in quanto per la prima
volta vengono progettati interventi in maniera integrata, secondo una logica di
partecipazione allargata, valorizzando lo sviluppo locale e superando il
frazionamento comunale. I PTG hanno lo scopo di promuovere la
costruzione da parte dei Comuni, associati in distretti scolastici, di piani
organici che mettano a sistema tutti gli interventi di politiche giovanili presenti
sul territorio, spesso in maniera scollegata ed episodica. Grazie a queste
importanti sperimentazioni, le politiche giovanili si configurano sempre più
come politiche di sviluppo locale.
Il presente lavoro parte da questi assunti. Nello specifico, esso si struttura in
tre capitoli.
3
Nel primo capitolo, dopo una prima riflessione sul concetto di gioventù,
saranno analizzati gli aspetti connessi alla condizione giovanile nella società
contemporanea, con riferimento al superamento delle tappe di transizione che
conducono i giovani verso l‟età adulta. Particolare attenzione sarà dedicata
anche allo studio delle diseguaglianze relative alle opportunità per gli individui
di emanciparsi dalla famiglia di origine, con il riferimento ad alcune variabili
socio-demografiche, che spesso incidono sulla condizione giovanile. Inoltre
attraverso gli studi sui giovani, l‟intento sarà quello di avviare una riflessione
più organica circa le nuove generazioni, andando oltre quelle visioni che
inquadrano tali soggetti come assenti dalla vita pubblica, sfiduciati nei
confronti delle istituzioni e privi di valori.
Il secondo capitolo, invece, offre una panoramica delle politiche giovanili
presenti sul piano nazionale ed internazionale. Partendo dallo studio di alcuni
importanti documenti europei, saranno presentati i principi che hanno guidato
tali politiche a svilupparsi a livello nazionale e regionale.
Nel terzo capitolo verranno analizzati i Piani Territoriali di Politiche
Giovanili della Provincia di Napoli, attraverso una valutazione ex ante della
programmazione degli interventi. Questo tipo di valutazione viene svolta
prima dell‟approvazione e della successiva implementazione di una politica
pubblica. Lo scopo è quello di rilevare le potenzialità delle azioni, in modo da
offrire una prospettiva più ampia e realistica degli effetti possibili. Prima di
iniziare la valutazione, sarà indispensabile elaborare un disegno di ricerca
valutativo, per avere un quadro sistematico di come condurre l‟analisi, utile per
illustrare gli obiettivi, lo scopo della valutazione, l‟approccio metodologico e le
tecniche da impiegare. In questa sede l‟attività valutativa sarà indirizzata alla
formulazione di osservazioni critiche circa gli obiettivi e le strategie distrettuali,
per analizzare come si è cercato di rispondere effettivamente ai bisogni locali e
giovanili. Il giudizio verterà infine sul grado di coerenza dei documenti e sul
livello di innovatività delle iniziative.
4
Capitolo 1: La condizione giovanile nella società contemporanea
«Non ne potevo più di vedere questa generazione raccontata sempre e soltanto come un branco
indistinto di depressi, composto da picchiatori e prostitute in erba. Non ne potevo più di video di
stupri e violenze girati con i telefonini nei gabinetti delle scuole e nelle aule, caricati su YouTube e
poi ripresi con prosopopea scandalistica da giornali e tv, commentati da psicologi e sociologi col
piglio paternalistico di chi dispensa diagnosi, prescrive ricette, dice “noi adulti”, “questi
giovani”, “aiutiamoli”. Tutte le volte che sento gli psicologi e i filosofi dire in televisione
“dobbiamo aiutarli” mi sembra parlino di una popolazione dell’Angola, della Birmania o della
Namibia, e non dei loro figli».
Andrea Bajani – Domani niente scuola
1.1. I giovani come categoria sociale
Uno dei primi passi da compiere quando si analizzano le politiche giovanili,
è definire l‟oggetto di studio. Per capire chi sono i giovani, occorre riflettere su
alcuni fenomeni che hanno contribuito ad estendere i confini temporali di
questa fase della vita, fino a comprendere strati sempre più ampi della
popolazione. La realtà giovanile è per sua stessa natura mutevole, ed è per
questo motivo che definire la gioventù non è un‟impresa semplice, anche
perché nonostante siano presenti importanti contributi sia di carattere
scientifico che divulgativo, ancora non si è giunti ad un pieno accordo tra gli
studiosi. Proprio per la natura della tematica troppo complessa e dinamica non
si è mai arrivati al punto di elaborare una vera e propria teoria dei giovani
(Tomasi 2000).
Nel corso degli anni, diverse discipline hanno individuato parametri per
classificare i soggetti in base ad alcune attribuzioni e caratteristiche comuni1,
1Nel 1994 il sociologo Alessandro Cavalli sottolineava come diverse discipline utilizzino specifici criteri per definire i giovani, come ad esempio la maturità biosomatica o quella biopsichica, rivelando in ogni caso la difficoltà di delineare confini e punti di rottura netti tra infanzia, giovinezza e età adulta.
5
tuttavia individuare criteri specifici e confini netti per attribuire un‟etichetta
univoca a determinati segmenti sociali utilizzando come parametro l‟età,
appare un‟impresa tanto ardua quanto suggestiva (Diamanti 2007).
Sicuramente risulta difficile parlare di giovani, tratteggiarne il profilo, senza
incorrere in semplificazioni. In passato questo concetto era definito
approssimativamente, poiché mancavano studi e ricerche sui giovani, che non
rappresentavano un oggetto di studio privilegiato2. Nell‟ultimo decennio del
secolo scorso, invece, sono proliferate le ricerche e sono state realizzate
numerose pubblicazioni. Tuttavia gli studiosi si sono sempre posti in maniera
strumentale, inquadrando le nuove generazioni in uno specifico ambiente,
interpretando il loro modo di agire in un singolo momento storico, o cercato
di comprendere in maniera asettica il loro comportamento politico, i loro
consumi, il livello di partecipazione e così via (Tomasi 2000). In alcuni casi
non sono mancate immagini stereotipate ed una serie di etichette
stigmatizzanti, attribuite per identificare tali soggetti come “devianti”, “a
rischio”, “disadattati”, “problematici” e tutte queste attribuzioni hanno trovato
eco nell‟attività giornalistica e marcatamente di cronaca nera (Poggio, Zanutto
1994). Il concetto di giovane e di età giovanile rischiano di diventare luoghi
comuni, fulcro di una retorica che attinge, in modo più o meno inconsapevole,
dal senso comune (Bourdieu 1992; d‟Eramo 2001). Talvolta risulta difficile
guardare al di là della semplice ideologia spontanea,3 poiché tale assunto ha
dato vita ad una serie di espressioni frequentemente utilizzate in maniera
2 Come spiega de Lillo (2007) gli studi sui giovani da marginali sono divenuti centrali a partire dagli anni Settanta, grazie ai movimenti studenteschi, quando per la prima volta si è riflettuto sul ruolo dei giovani nella società, visti come attori protagonisti del cambiamento e portatori di spinte rivoluzionarie. Intorno agli anni ‟80 nasce una vera e propria sociologia dei giovani e si sviluppano tematiche e ricerche empiriche che saranno la base per importanti ricerche future. 3 Come illustra d‟Eramo (2001) quello di giovane rappresenta il classico concetto di “ideologia spontanea” di cui parlava Bourdieu. Infatti, nella cosiddetta “sociologia volgare”, esistono diverse dicotomie spontanee come ad esempio ricchi/poveri, giovani/vecchi, emarginati/integrati, ed ognuna di queste opposizioni è profondamente carica di connotazioni e di significati presenti nell‟immaginario collettivo.
6
convenzionale, quali ad esempio: disagio giovanile, delinquenza giovanile,
disoccupazione giovanile, e via dicendo. Come ritiene de Lillo (2007), i giovani
non possono essere chiamati in causa solo quando si è pronti a metterli sul
banco degli imputati. Nella rappresentazione che gli adulti hanno dei giovani
sembrano prevalere i tratti negativi su quelli positivi, così come avviene nelle
immagini mediatiche, che riportano ogni giorno fenomeni di bullismo, di
violenza negli stadi, di stragi del sabato sera, e lamentele di insegnanti che non
riescono a gestirli (de Lillo 2007).
I soggetti ai quali non è possibile attribuire l‟etichetta di disagio non sono
interessanti per i media e, in alcuni casi, non lo sono neppure per chi si occupa
di condurre ricerche sui giovani. Troppo spesso «l‟allarmismo diviene più
appagante della rassicurazione e ciò che è “normale” è come se non esistesse»
(de Lillo 2007, p.20).
La complessità delle società moderne rende poco facile definire una volta
per tutte l‟universo giovanile, poiché l‟entrata dei giovani nella società avviene
oggi in modo assai differenziato. Tuttavia si cercherà di andare al di là del
senso comune, tentando di superare stereotipi e preconcetti che investono la
condizione giovanile.
La trattazione sociologica negli ultimi decenni ha offerto notevoli
contributi, permettendo di compiere riflessioni sistematiche e smentendo
alcune “false teorie”. In particolare Cavalli (1980) ha contribuito a screditare le
tesi di alcuni autori4 che consideravano erroneamente i giovani dapprima come
una classe sociale, poi come una classe di età. In effetti i giovani non
costituiscono una classe sociale, in quanto non sono collocati stabilmente nella
struttura sociale del lavoro, piuttosto essi possono appartenere a diverse classi
sociali a seconda della posizione che occupa la famiglia di origine. Proprio per
questo la gioventù è un fenomeno attualmente riscontrabile in quasi tutte le
4 La tesi che i giovani costituiscano una classe sociale era stata sostenuta da J. e M. Rowntree, 1968.
7
classi sociali. Un altro modo che consente di fare chiarezza sul tema è spiegare
i motivi per cui tali soggetti non costituiscono neppure una classe di età, in
quanto la gioventù è una condizione sociale slegata dai processi biologici. In
merito a quest‟ultima considerazione bisogna dimostrare che la gioventù
rappresenta una costruzione sociale, non determinata biologicamente. Per
comprenderne i motivi, sarà necessario soffermarsi brevemente sui diversi
modi di definire l‟età, per poi effettuare una distinzione fra due ambiti molto
diversi, ovvero: l‟età biologica e l‟età sociale (d‟Eramo 2001).
Le età segnano i mutamenti degli esseri umani nelle varie fasi della vita
(Cavalli 2004, p.14) e oltre a rappresentare una caratteristica ascritta degli
individui, costituiscono uno status di transizione, poiché nel corso della vita5 si
passa da un‟età all‟altra. Per quanto riguarda l‟età biologica si considera
generalmente un processo di maturazione fisica dell‟individuo, che si misura
attraverso un semplice conteggio di anni; mentre per età sociale si fa
riferimento alla costruzione sociale dell‟età, in base alle norme condivise da
una comunità. In tutte le società vi sono vari strati o coorti di individui di età
simile, nati nello stesso arco temporale. Tali strati oltre ad essere diversi per
ampiezza e composizione, differiscono anche per lo status ed i diversi ruoli
ricoperti nel tempo: infatti i diritti, i doveri e le ricompense vengono distribuite
in maniera diversa a seconda dell‟età, mentre i comportamenti ritenuti adeguati
possono essere definiti sia da norme formali, come quelle giuridiche, sia da
quelle informali, ovvero le regole e le aspettative comunemente valide per una
società. Le costituzioni, le leggi ed i vari regolamenti, stabiliscono a che età
andare a scuola, votare, entrare nel mercato del lavoro, a quanti anni è
possibile sposarsi o andare in pensione a seconda dei Paesi e dei contesti
storici (Bagnasco, Barbagli, Cavalli 1997). Tuttavia accanto alle norme formali
5 In sociologia il concetto di corso di vita ha sostituito quello di ciclo di vita, ritenuto inadeguato, poiché troppo ancorato alle modalità di passaggio meccaniche e dunque non in grado di coglierne le sempre più frequenti sovrapposizioni (Bichi 2000).
8
una persona può essere considerata giovane rispetto ad alcune norme
informali. Ad esempio, nella maggior parte delle società occidentali
contemporanee, un individuo di ventotto anni può essere definito “giovane”
in riferimento alla sua posizione nel mercato del lavoro, ma nel mondo
sportivo verrà sicuramente percepito come “maturo” o addirittura “vecchio”,
mentre al contrario quando si parla di “giovane scrittore” si considerano
persone sopra i quaranta anni. In questi casi si fa riferimento alla percezione
sociale dell‟età, che diviene relativa in quanto non rappresenta un mero dato
anagrafico, ma un‟attribuzione variabile a seconda della posizione e dei ruoli
che le persone occupano all‟interno delle relazioni sociali.
Quindi per delineare con maggiore chiarezza i contorni della giovinezza,
sarà necessario riflettere sulle diverse fasi del ciclo di vita e sulle trasformazioni
avvenute nel corso del tempo, che hanno inciso sulla determinazione della
categoria sociale dei giovani. La riflessione sociologica ha chiarito in che modo
i fattori storici, economici e sociali influiscano sul superamento delle fasi della
vita e sulla definizione delle categorie sociali. Infatti nelle società premoderne,
l‟assunzione all‟interno di un nuovo stadio di vita ed il cambiamento di status
era unicamente dettato dall‟età e non avveniva in coincidenza con la
maturazione psicologia e sociale, poiché questi passaggi erano legati ad
avvenimenti biologici e naturali dell‟individuo (nascita, pubertà, morte). Quindi
l‟età era il fattore che determinava il passaggio da una fase all‟altra del ciclo di
vita e le fasi erano scandite da riti di passaggio6 che rappresentavano «l‟esame
che i candidati dovevano superare per attraversare i confini molto definiti e
netti tra bambino e giovane, e tra giovane e adulto» (Romano 2004, p.23).
Nella società contemporanea non solo il criterio dell‟età non è più ammesso
come parametro per definire la transizione da una fase all‟altra, ma anche i
6 I riti di passaggio accompagnano avvenimenti e situazioni connesse o meno ad avvenimenti biologici come la nascita, il matrimonio, la morte ed altre situazioni che possono essere gestite socialmente mediante rituali. In particolare i riti di passaggio consentono di legare la vita individuale alla vita comunitaria e di scandire il percorso di vita in tappe precise che supportano l‟individuo nel corso della transizione.
9
tradizionali riti di passaggio sono venuti a mancare7, contribuendo a rendere
più individuale e indeterminato quello che in precedenza costituiva un
passaggio netto, in cui si abbandonava la condizione giovanile per entrare in
quella adulta.
Il corso della vita di un individuo è frutto di un processo continuo
composto da fasi che rappresentano “insiemi aperti”, poiché non contengono
delimitazioni o confini netti che consentano di precisare il momento esatto in
cui termini una fase e ne inizi un‟altra (d‟Eramo 2001, p.30). La gioventù, da
questo punto di vista, rappresenta «uno stadio sociale del ciclo di vita tipico
delle società moderne» (Cavalli 2008, p.18) che segna «il passaggio dallo status
sociale di bambino a quello di adulto» (Bagnasco, Barbagli, Cavalli 1997,p.388).
Ma i modi ed i tempi di questa fase cambiano con il periodo storico e con il
tipo di società. Basti pensare che nelle società precedenti non esisteva una fase
della gioventù dotata di caratteristiche sociali definite; ma per giovinezza si
intendeva principalmente uno stato di benessere, salute e vigore del corpo
apprezzato proprio per la sua brevità (d‟Eramo 2001). Per le generazioni
precedenti è possibile addirittura parlare di «assenza di gioventù»8 in quanto vi
era un ingresso precoce nel mondo adulto in seguito all‟assunzione di ruoli e
responsabilità, quindi diventare biologicamente giovani significava essere
considerati sociologicamente adulti. Come spiega Cavalli è evidente che:
«nelle società precedenti non vi era una fase della gioventù dotata di caratteristiche sociali definite; (…) i ruoli sociali venivano appresi ed esperiti precocemente quasi sempre attraverso l‟imitazione di modelli familiari o parentali. Nelle società contadine si cominciava da bambini a lavorare nei campi, mentre nella società artigianale si andava presto a bottega (…) All‟inizio dell‟industrializzazione, la classe operaia mandava i propri figli in fabbrica ancora bambini, o comunque, più tardi, appena la legge lo consentiva». (Cavalli 1980, p.520).
7 Secondo alcuni studiosi, nell‟epoca della tarda modernità, i riti di passaggio tra le diverse fasi della vita non sono affatto scomparse, bensì si sono trasformati e talvolta sono entrati a far parte di azioni consuete o quotidiane (Rivière, 1995). 8 Cavalli A. (1980) “La gioventù: condizione o processo?”, in Rassegna italiana di sociologia, vol. XXI, n. 4, p.520.
10
Questa condizione è possibile ritrovarla anche nella società attuale, ma ci si
riferisce principalmente a classi sociali minoritarie e marginali. Per questi
soggetti la fase giovanile rappresenta un dato puramente anagrafico e non un
fatto sociale9. Quindi il concetto di giovane assume una valenza relativa in
quanto non ha un significato univoco, ma variabile a seconda del contesto,
delle epoche storiche, del tipo di cultura e della società di riferimento (Buzzi,
Cavalli, de Lillo 2002). In epoche precedenti, in assenza di mezzi economici e
di mobilità sociale, il ventaglio di possibilità di un individuo era più ristretto e
della gioventù sociale potevano beneficiare solo pochi eletti, mentre per la
maggior parte degli individui, una volta abbandonata l‟infanzia, vi era un
ingresso precoce nel mercato del lavoro. Essere giovani era una prerogativa ed
un privilegio, riservato ai figli delle classi superiori e coincideva con la figura
dell‟erede, ovvero di colui che possedeva un certo patrimonio fornitogli dai
genitori, senza però assumersi le responsabilità ed i compiti sociali per gestire
tali risorse. Nelle società che hanno preceduto quella contemporanea tale
condizione è quindi «definibile in termini di fase di transizione nell‟ambito di
un processo che ha come sbocco l‟accesso a posizioni adulte appartenenti alle
classi dirigenti».10 In “Sociologia della famiglia” Saraceno e Nandini affermano che
in passato:
«l‟entrata nello status adulto, cioè di persona socialmente autonoma, non dipendeva né dallo sviluppo delle capacità individuali, né tanto meno dalla decisioni legislative, ma più dalle strategie familiari complessive. Così, una donna non diventava adulta pienamente se non quando si sposava, e anche in questo caso solo quando era moglie del capofamiglia. Un uomo diveniva adulto non già quando iniziava a lavorare, il che poteva avvenire molto presto, e neppure quando terminava la propria formazione, ma solo quando diveniva capo di casa, al controllo delle risorse familiari» (Saraceno, Naldini 2001,pp.131-133).
Michael Brake (1985) sostiene che è solo a partire del quindicesimo secolo
in Inghilterra che la società inizia ad interessarsi ai giovani, introducendo
9 Ivi. 10 Ibidem, p. 521.
11
norme atte a regolamentare il loro comportamento per contrastare la
criminalità, correlata al fenomeno migratorio. Da questo momento in poi si
delinea una fascia di età caratterizzata per particolari stili di vita e consumi
(Tommasi 2000). Inoltre grazie all‟ascesa della borghesia e all‟affermarsi della
società industriale tale condizione riguardò sempre più fasce della popolazione.
Ad indagare come tali aspetti contribuiscono a definire la condizione della
gioventù gli studiosi Dal Lago e Molinari sostengono che:
«La costruzione sociale della categoria della giovinezza risponde a bisogni e a dinamiche ben precisi. Non a caso è nel corso dell‟Ottocento, in concomitanza con l‟affermarsi della società industriale e con l‟ascesa della borghesia a classe dominante, che prende corpo il mito della giovinezza come età formativa del percorso di vita.» (Dal Lago, Molinari 2001, p.13)
Come spiega Amaturo (2000) le trasformazioni che hanno coinvolto le
società verso la fine dell‟Ottocento ed inizio Novecento, hanno contribuito ad
estendere la concezione di giovane a larghi strati di popolazione ridefinendo le
tappe della vita. Con la scolarizzazione di massa e l‟introduzione di politiche di
welfare si delinea una nuova categoria sociale, connotata dalla peculiarità di
essere inserita nel circuito dei consumi senza ancora essere in grado di
provvedere al proprio mantenimento economico in quanto non produce
reddito. In Italia verso la fine degli anni „50 alcuni studiosi iniziarono a parlare
della giovinezza come “età sociale” in quanto i consumi di massa si estesero,
grazie al boom economico, contribuendo a delineare la nuova figura del
giovane inteso come soggetto «inserito nel mercato dei consumi, ma non
ancora entrato in quello del lavoro o della produzione» (d‟Eramo 2001, p.32).
Da quanto emerso fin ora appare chiaro che non è possibile studiare i
giovani in maniera decontestualizzata, al di là di un preciso ambito
socioculturale e cornice temporale, ma d‟altra parte non è nemmeno possibile
confrontarli al di fuori dalle altre categorie sociali, poiché si tratta di un
concetto di natura relazionale e non distributiva (De Lillo 2007, p.12) in
quanto si è giovani in relazione alle altre fasi del ciclo di vita. La fase giovanile
12
dunque non avrebbe senso se non contestualizzando la condizione adulta, in
quanto tali concetti si definiscono reciprocamente. Tuttavia non è sufficiente
considerare la gioventù come un processo transitorio che ha come esito
l‟entrata nel mondo adulto. Essere giovani va inteso come una condizione
sociale, poiché a differenza di un processo in continuo divenire, rappresenta
uno stato in cui l‟esito non è garantito ed il passaggio verso la maturità non è
netto ed individuabile. Nel definire la gioventù come condizione e non come
processo Cavalli afferma che: «mentre un processo è un complesso di pratiche
tese verso un esito prevedibile, una condizione è una situazione di attesa di un
esito imprevedibile»11. L‟autore definisce i giovani come un‟entità sociale tipica
delle società moderne, in quanto, mentre nelle società tradizionali si pensava
alla gioventù come ad un‟età biologica, scandita da riti di passaggio in
coincidenza con cambiamenti del ciclo di vita individuale, con l‟avvento della
modernità e l‟affermarsi delle società industriali, vengono meno gli ancoraggi
alle tradizionali fasi di transizione (Cavalli 1980). Nelle società attuali, gli
studiosi osservano una sorta di ampliamento di questa fase, dovuta
all‟allungamento del periodo di formazione/scolarizzazione, ai problemi
connessi all‟accesso ad un mercato del lavoro, poco favorevole alle nuove
generazioni ed alle politiche di welfare scarsamente indirizzate a sostenere
l‟autonomia dei giovani e quella delle giovani coppie (de Lillo 2007). La
coerenza tra gioventù anagrafica e gioventù sociale è attualmente messa in
discussione a causa di processi che hanno prolungato l‟acquisizione
dell‟indipendenza da parte delle nuove generazioni. Nel corso del tempo sono
mutate le condizioni relative al sistema economico, politico e sociale che di
conseguenza hanno portato gli studiosi a ridefinire la condizione giovanile, che
non rappresenta più una fase preparatoria all‟assunzione di compiti adulti e
all‟acquisizione delle competenze necessarie per occupare un ruolo sociale
11 Cavalli A. (1980) “La gioventù: condizione o processo?, in Rassegna italiana di sociologia, XXI, pp.519-542.
13
definitivo, perché questa fase si è prolungata nel tempo ed è divenuta
maggiormente instabile.
In generale essere giovani può essere inteso sia come una fase della vita che
come una categoria sociale. Se si intende l‟essere giovani come una fase della
vita, si farà riferimento soprattutto al periodo compreso tra l'infanzia e l'età
adulta. Per categoria sociale invece si intende rappresentare i giovani come un
gruppo con esigenze specifiche, degli interessi e caratteristiche proprie,
influenzati dalla stessa società, da istituzioni e regole comuni (Buzzi, Cavalli,
de Lillo 2002). Come spiega Zurla:
«Se è vero che i giovani sono interpretabili anche in termini di categoria sociale prodotta da specifiche istituzioni quali, ad esempio, i sistemi di welfare, il mercato del lavoro e la famiglia, allora il cambiamento di queste istituzioni verificatosi negli ultimi decenni ha contribuito a modificare sensibilmente la loro condizione» (Zurla 2007, p.20).
Il dibattito sulle trasformazioni della transizione ha visto emergere due
posizioni. La prima attribuisce principalmente ai fattori strutturali le maggiori
difficoltà incontrate dai giovani a raggiungere la condizione adulta. In
particolare, il prolungamento del percorso formativo, la dilatazione dei tempi
di accesso al mercato del lavoro e la scarsa propensione verso l‟autonomia
abitativa, sono fenomeni che avrebbero il duplice effetto di posticipare
l‟attraversamento delle altre fasi della transizione e di allungare il periodo di
dipendenza economica dalla famiglia d‟origine (Schizzerotto 2002). La seconda
posizione valuta l‟effetto delle trasformazioni strutturali non solo in termini di
allungamento della durata della transizione, ma anche in relazione alle
modificazioni avvenute nello stesso modello di passaggio (Buzzi 2007). Il
percorso verso l‟età adulta sarebbe sempre più individualizzato e, così come
sostenuto da Cavalli e Galland (1996), accanto al tradizionale modello di
transizione in cui le diverse fasi si succedono secondo un ordine prestabilito, si
vanno progressivamente affermando una serie di situazioni intermedie e di
frontiera in cui ruoli adulti ed adolescenziali possono addirittura coesistere. Si
14
viene a creare dunque una condizione di semidipendenza (Cavalli, Galland
1996) in quanto i giovani possono essere dipendenti economicamente dalla
famiglia ed allo stesso tempo liberi di compiere delle scelte e godere dei
privilegi dell‟età adulta, acquisendo competenze necessarie a ricoprire ruoli
sociali stabili. Pertanto a seguito di questi cambiamenti, che nel tempo hanno
influito sul conseguimento delle tappe, anche le indagini sui giovani hanno
dovuto adeguarsi. Negli anni Cinquanta, più che di giovinezza, vi era
un‟attenzione particolare all‟adolescenza12, in quanto gli studi erano rivolti ad
fascia di età compresa tra i 15 ed i 20 anni. Successivamente le indagini
condotte dall‟Istituto Iard, realizzate a partire dai primi anni Ottanta, si
interessano ai giovani considerando quei soggetti di età compresa tra i 15 ed i
24 anni. Col passare del tempo, però i risultati emersi dalle rilevazioni hanno
mostrato un progressivo differimento delle tradizionali tappe di passaggio
dall‟adolescenza all‟età adulta, e ciò ha comportato un‟estensione della fascia
di età che definiva i giovani. Infatti nelle rilevazioni successive degli anni ‟90,
per poter studiare la realtà giovanile, il limite è stato protratto a 29 anni, fino a
giungere nell‟ultima indagine del 2004, a prolungare l‟età massima fino a 34
anni13. Per questo motivo Cavalli (2002) ha parlato di un passaggio da una
gioventù corta (che andava dai 15 ai 24 anni) ad una gioventù lunga (dai 15 ai
34 anni).
Secondo gli studiosi, una persona, diventa adulta quando ha varcato cinque
diverse soglie, ovvero: a) ha terminato gli studi, b) è entrata nel mondo del
lavoro ed ha un‟occupazione relativamente stabile, c) ha lasciato la casa dei
genitori, d) si è sposata, e) è diventata padre o madre (Barbagli, Castiglioni,
Dalla Zuanna 2003, p.14).
12 Per adolescenza si intende una fase del ciclo della vita caratterizzata dal cambiamento fisico, sessuale e psicologico, come implica l'etimologia della parola: "crescere" dal latino "adolescere". In tale fase di passaggio si evidenziano processi di sviluppo diversi come l'avvento della pubertà, le trasformazioni del corpo, l'acquisizione del pensiero astratto operativo-formale, il disinvestimento dei legami infantili e lo sviluppo dell'identità. 13 Alcune recenti ricerche hanno considerato i giovani anche fino a 39 anni (de Lillo 2007).
15
Tuttavia, in particolare negli ultimi decenni, nel nostro Paese si riscontra
una tendenza a procrastinare il superamento delle tappe che segnano il
passaggio verso l‟età matura.
Analizzare la giovinezza comunque non implica soltanto verificare come gli
individui passano da una fase all‟altra, cambiando la propria condizione:
dall‟essere studente all‟essere lavoratore, dall‟essere dipendente dalla famiglia al
divenire autonomo, dall‟essere figlio a divenire genitore (Cioni, Tronu 2007).
Occorre prestare attenzione alla giovinezza come una fase della vita a se
stante, in cui i diversi passaggi non vengono compiuti nello stesso modo e
nello stesso arco temporale, ed inoltre la transizione non assume gli stessi
significati per tutti soggetti indistintamente.
Dato che la gioventù attualmente rappresenta una condizione sociale,
slegata dai processi di maturazione biologica, occorre prestare attenzione in
particolar modo a cosa vuol dire essere considerati giovani nella società
contemporanea, analizzando il complesso passaggio che ha condotto dalla
società tradizionale alla società moderna.
1.2. Essere giovani nella società dell’incertezza
Le profonde trasformazioni che hanno interessato i Paesi occidentali negli
ultimi decenni, hanno contribuito a generare nuovi rischi e forme di
vulnerabilità. A partire dalla fine degli anni ‟60 con la destrutturazione del
modello fordista, l‟indebolirsi della famiglia stabile fondata sul cosiddetto
modello del male breadwinner e sulla ripartizione dei compiti in base al genere,
con la crisi dei sistemi di protezione sociale, i rischi e il corrispondente senso
di insicurezza, hanno riguardato sempre più individui e sempre più fasi del
corso di vita (Saraceno 1990; Castel 1997; Ranci 2002; Paci 2005). In
16
particolare negli ultimi anni l‟allungamento dei percorsi scolastici, la crisi del
mercato del lavoro, la posticipazione dell‟evento nuziale e genitoriale, hanno
modificato il periodo giovanile e messo in crisi la certezza del percorso verso
la condizione adulta. La giovinezza non costituisce una fase preparatoria
all‟assunzione di compiti e all‟acquisizione delle competenze necessarie ad
occupare un ruolo sociale definitivo, ma una condizione «di attesa di un esito
imprevedibile» (Cavalli 1980, p.524). Le nuove generazioni, infatti, assumono i
ruoli e le responsabilità tipiche della condizione adulta sempre più tardi e le
politiche giovanili devono quindi rapportarsi ad ampie fasce di popolazione,
che non rappresentano un gruppo omogeneo, ma un universo variegato con
bisogni ed esigenze differenti. A tal proposito è stato sostenuto che lo stesso
concetto di condizione giovanile diventa riduttivo per coglierne l‟eterogeneità
(Grossi 2002a).
Infatti ci possono essere «tante condizioni giovanili, tanti percorsi verso la
vita adulta, tanti modi di vivere questa fase del ciclo di vita» (Buzzi, Cavalli, de
Lillo 2002, p.520). In particolare quello che maggiormente sembra
caratterizzare la gioventù moderna rispetto alle società tradizionali è che «oggi
essere giovani vuol dire vivere in una dimensione di incertezza» (Cavalli 1997,
p.16). In questo tipo di società tali soggetti si trovano costantemente di fronte
alla necessità di dover scegliere per costruire il proprio avvenire.
Come riportato in alcuni importanti documenti europei, i giovani
rappresentano oggi un gruppo “in divenire”14, ovvero, essi devono essere in
grado di costruire la propria biografia e valutare tutte le possibili alternative in
base alle proprie risorse ed alle proprie preferenze, scontrandosi con un
mondo in rapida trasformazione e dalle mille opportunità, in cui gli scenari
futuri appaiono sempre più difficili da prevedere e di conseguenza diventa
14 Un esempio è il “Libro Bianco della Commissione Europea: Un nuovo impulso della Gioventù
Europea” del 2001 e la “Carta Europea della Partecipazione dei Giovani alla vita locale e regionale” del
2003.
17
sempre più complesso prefigurare un preciso percorso di realizzazione
personale. Rispetto alle generazioni precedenti:
«la maggior parte dei giovani non sono posti di fronte ad un destino sociale ineluttabile, non dovranno più, come succedeva alla gran parte dei loro coetanei in epoche passate, seguire le orme dei padri e dei nonni, ma hanno di fronte a sé una pluralità di opzioni e opportunità, reali o soltanto immaginarie, tra le quali scegliere». (Cavalli 1994, p.333)15
Nella società contemporanea, emergono maggiori opportunità per i giovani
di «emanciparsi dai vincoli della famiglia di origine e dunque di sottrarsi,
perlomeno sul piano formale, al proprio destino di classe» (De Luigi, 2007,
p.49) Tuttavia se da un lato aumentano le opportunità, dall‟altro lato cresce
l‟insicurezza ed è forse questo il costo da pagare nei confronti del processo di
avanzamento della modernità.
Per il sociologo Zygmund Barman «il disagio della modernità nasceva da
un tipo di sicurezza che assegnava alla libertà un ruolo troppo limitato nella
ricerca della felicità individuale. Il disagio della post-modernità nasce da un
genere di libertà nella ricerca del piacere che assegna uno spazio troppo
limitato alla sicurezza individuale» (Bauman 1999, p.10).
Nel momento in cui la società post-moderna mette gli individui nella
condizione di essere liberi di scegliere, allo stesso tempo li rende sia
responsabili che colpevoli delle conseguenze delle proprie azioni. L‟individuo
giovane, quindi, sente l‟obbligo di costruire un proprio itinerario, trovandosi a
fronteggiare costantemente con i vincoli e le risorse sotto il profilo formativo,
lavorativo, sociale e culturale che influenzano profondamente le opportunità ei
i percorsi di transizione verso l‟autonomia. Ciò comporta che:
«l‟individuo deve imparare, pena una condizione di svantaggio permanente, a concepire sé stesso come centro dell‟azione, come ufficio-pianificazione in merito alla propria biografia, alle proprie capacità, ai propri orientamenti, alle proprie relazioni» (Beck 2000, p.195).
15 Cavalli A., voce Giovani, Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani, vol. IV, Roma 1994, p.333.
18
Infatti nella nuova modernità «pochi chiederebbero oggi il sacrificio delle
libertà individuali per il bene della società: non è la libertà individuale che deve
legittimarsi per la sua utilità sociale, ma è la società che deve legittimarsi in
termini di servizio reso alla libertà del singolo» (Bauman 1999, p.21).
La variabilità delle traiettorie biografiche personali, segnate da percorsi
sempre più individualizzati, porta tali soggetti a dover scegliere tra una
molteplicità di modi di essere e costruire il proprio futuro, ma in assenza di
ancoraggi stabili e punti di riferimento forti e tutto questo rende
maggiormente problematica l‟assunzione dei ruoli adulti.
Paradossalmente a questa maggiore autonomia derivante dall‟indebolimento
delle principali istituzioni e dalla loro capacità di strutturare ed organizzare la
vita sociale degli individui, subentra il senso di insicurezza e la perdita di
autodeterminazione.
Questa nuova libertà di scelta è accompagnata, inevitabilmente, da un
sentimento di responsabilità, verso se stessi e verso le conseguenze derivanti
dalle proprie azioni. Se questo progetto dovesse a fallire, ossia, laddove la
costruzione della propria vita crollasse improvvisamente, o non si riuscissero a
trovare le risorse necessarie per proseguire, l‟individuo si addosserà totalmente
la responsabilità del proprio fallimento. Quindi nella società del rischio il senso
di colpa diventa il fardello aggiuntivo di ogni insuccesso (Giddens 1994).
La costruzione dell‟identità, non essendo più sostenuta dalla tradizione,
diventa un progetto individuale, un vero e proprio “dovere”, insomma, che
ciascun soggetto è chiamato ad assolvere in una società dove il cambiamento è
diventato la regola e l‟unica certezza di cui le persone possono disporre
(Giddens 1999).
In un‟epoca che non lascia spazio alla progettazione a lungo termine il
presente rimane l‟unica dimensione, l‟unico tempo della vita, dato che il
passato ha perso la propria funzionalità, mentre il futuro diventa sempre più
vago e incerto. Ogni azione e ogni decisione viene considerata revocabile,
19
modificabile; nulla può apparire irreversibile in una società appiattita sul
presente che invece è reversibile, incerta, fluida e mutevole.
In generale è la stessa concezione di rischio a cambiare, diventando
qualcosa di ineliminabile e quindi accettabile, poiché entra a far parte del
vivere quotidiano, infatti: «accanto ad una certa proiezione nel presente, da
alcuni anni connaturata con l‟esperienza giovanile, la tendenza più nuova
sembra essere orientata ad una particolare diffusione dell‟accettabilità del
rischio» (Buzzi, Cavalli, de Lillo, 1997, pp. 359-360). La tradizionale valenza
negativa del concetto di rischio si è recentemente trasformata assumendo
anche una connotazione positiva quando rappresenta una componente
centrale del successo personale.
Nell‟elaborazione teorica di Giddens (1994) è possibile notare come la
cultura del rischio sia favorita dalla società moderna. Il sociologo inglese,
infatti, afferma che ci si trova di fronte ad «un nuovo profilo di rischio
introdotto dall‟avvento della modernità» (Giddens 1994, p.111). Secondo
l‟autore oltre agli aspetti più minacciosi del rischio, emergono anche lati
positivi uno dei quali rappresentato dal dischiudersi di possibilità straordinarie
in termini di ampliamento della libertà di azione del soggetto, a patto che però
che essi siano capaci di utilizzare in maniera auto-riflessiva le nuove
opportunità offerte dalle mutevoli e variegate situazioni.
L‟individuo giovane vede ampliarsi sempre più le proprie possibilità di
scelta: se in passato i criteri di definizione dell‟identità individuale e sociale, la
programmazione del proprio destino, le definizione del proprio ruolo
all‟interno della famiglia e della società erano predeterminati e socialmente
definiti, oggi l‟origine socio-culturale perde sempre più (anche se non
totalmente) un ruolo deterministico, lasciando margini più ampi alla
discrezionalità individuale nelle scelte di vita.
Se da un lato questo significa che vi è un riconoscimento sempre maggiore
del diritto all‟affermazione individuale, dall‟altro lato comporta il passaggio da
20
un sistema di riferimenti stabile ad un sistema caratterizzato dal mutamento
continuo.
Di conseguenza i giovani si trovano a confrontarsi con la necessità di
fronteggiare l‟incertezza attraverso l‟acquisizione di quella capacità di agire,
assumendosi le responsabilità derivanti dalle proprie azioni. Peraltro nel
momento in cui:
«le istituzioni non costituiscono più un quadro stabile a lungo termine, il singolo deve improvvisare la propria biografia, oppure cavarsela senza pretendere che il senso della propria identità trovi sempre delle conferme» (Sennett 2006, p.8).
L‟incessante sforzo proteso all‟auto-realizzazione, costituisce per i giovani, e
non solo, una sorta di “vita sperimentale” (Beck 2000, p.85) in cui gli individui
si trovano ad agire senza alcun modello da seguire, dovendosi basare sui
risultati progressivi conseguiti dall‟esperienza.
Utilizzando una metafora la tradizione potrebbe essere raffigurata con
l‟immagine di una barca attraccata al proprio porto sicuro, in un mare calmo,
in cui la fortuna ed il calcolo della probabilità del rischio, aiutano il giovane
marinaio negli spostamenti a giungere ad una meta prestabilita seguendo una
rotta. Al contrario con la modernità questa barca viene liberata, sradicata dal
proprio porto sicuro, permettendo una navigazione in mare aperto, in cui si
aprono nuovi scenari. Tuttavia diventa difficile non smarrirsi in un mare di
opportunità, tenendo stretta “la bussola” per continuare a mantenere la rotta
della propria esistenza (Giddens 1991), poiché bisogna disporre di strumenti
adatti e risorse necessarie a fronteggiare le difficoltà incontrate lungo il
percorso; e se il giovane marinaio non sarà abile ad affrontare i rischi, più
facilmente verrà travolto dalle onde.
A questi nuovi rischi subentra inevitabilmente un sentimento di
inquietudine, di un‟insicurezza ontologica, connessa all‟idea che questi rischi
non siano più gestibili o prevedibili dai soggetti, e come sostiene Rampazi
(2005) siamo nell‟era dell‟incertezza biografica.
21
La costruzione dell‟identità diventa un progetto da realizzare in una società
in cui il processo di individualizzazione16 accompagna gli individui ed in
particolare accomuna le biografie dei giovani contemporanei, poiché:
«la biografia delle persone è staccata da determinazioni prefissate e viene messa nelle loro mani, aperta e dipendente dalle loro decisioni. La proporzione di opportunità di vita che sono fondamentalmente chiuse alla possibilità di prendere decisioni è in ribasso, mentre cresce la componente della biografia che è aperta e che deve essere costruita personalmente» (Beck 2000b, p.195).
Quindi le biografie diventano “autoriflessive” e la vita di ogni individuo
diventa una “biografia a rischio” (Beck 2008, p.14), poiché ogni scelta
comporta dei rischi e dei costi, dal momento in cui quasi tutto dipende dalle
decisioni individuali, ed è sugli individui che gravano le conseguenza di
eventuali “errori di valutazione” (ivi.). Tuttavia questa ricerca volta alla
costruzione della propria vita, spesso non è sostenuta da un‟adeguata
consapevolezza dei percorsi da intraprendere e delle difficoltà da affrontare.
Secondo Ranci il vero cambiamento «proviene spesso non dall‟obbligo di
scegliere, ma proprio dalla difficoltà di prendere decisioni autonomamente»
(Ranci 2002, p.544) Si è quindi di fronte ad un paradosso generazionale: i
giovani risultano contemporaneamente più avvantaggiati e più fragili rispetto al
passato. Avvantaggiati dal dischiudersi di potenziali percorsi di scelta,
dall‟avere a disposizione maggiori credenziali da spendere, dall‟occasione di
potersi elevare socialmente, ma allo stesso tempo sono fragili per il senso di
smarrimento dovuto alla rottura delle pratiche sociali standardizzate, dallo
sradicamento dai tessuti collettivi di socialità e dal venir meno della solidità
delle istituzioni. In un tipo di società in cui vi è un inserimento precario nei
principali “sistemi di integrazione sociale” rappresentati dalla famiglia, dal
lavoro, dalle reti sociali di sostegno e dai sistemi di protezione sociale (Ranci
2002, p. 536) la condizione giovanile si caratterizza anche per una maggiore
16 In termini sociologici il processo di individualizzazione può essere definito come un modo con cui i soggetti, con l‟avvento della modernità, si liberano dai vincoli dei modelli sociali tradizionali e dalla rigidità di norme e sanzioni.
22
vulnerabilità. Come sostiene Ranci è proprio da quest‟instabilità che trae
origine la vulnerabilità sociale17 che a differenza del rischio «si fonda sulla
difficoltà di stabilire destinazioni ed obiettivi finali da raggiungere» (Ranci
2002, p.544). Secondo l‟autore la vulnerabilità può essere descritta come:
«una situazione di vita in cui l‟autonomia e la capacità di autodeterminazione dei soggetti è permanentemente minacciata da un inserimento instabile dentro i principali sistemi di integrazione sociale e di distribuzione delle risorse» (Ranci 2002, p.546).
Talvolta gli insuccessi, le difficoltà e le delusioni della vita portano, il
giovane ad una sorta di “paralisi biografica” di incapacità di superare gli
ostacoli che si incontrano nel cammino verso la maturità e l‟indipendenza. Un
effetto perverso che porta a restare intrappolati in questa condizione di
gioventù forzata e di non riuscire a raggiungere l‟indipendenza.
Come ritiene Amartya Sen (1999), per i soggetti occorre non solo avere le
risorse, ma anche la capacità e la consapevolezza di spenderle nel modo giusto.
Quindi i giovani devono essere messi in grado di poter espletare quei
funzionamenti che attengono nello specifico «all‟essere in grado di prendere
parte alla vita della comunità» (Sen1994, p.20) di entrare nel mondo adulto, di
acquisire quelle capacità di agency (Sen 1994, p.85) volte alla realizzazione di
obiettivi e valori che intendono perseguire.
I giovani in particolare sono attori impegnati in un momento che costituisce
una fase a sé della biografia, nebulosa, di transizione, in cui coesistono aspetti
contraddittori e caratteristiche non generalizzabili. La gioventù in questo senso
rappresenta una fase di costruzione, di preparazione alla vita adulta, scandita
da passaggi sfumati, a cui manca una sequenzialità, un ordine preciso, ed in cui
il conseguimento delle tappe verso l‟autonomia risulta essere discontinuo e
differenziato. Si può in definitiva sostenere che gli individui definiti giovani
sono coloro che hanno ancora davanti a sé la maggior parte della loro vita 17 Ranci C., “Fenomenologia della vulnerabilità”, in Rassegna Italiana di Sociologia, n. 4, Ottobre-Dicembre 2002.
23
(Buzzi, Cavalli, de Lillo 2002, p.520) in cui il futuro è ancora indeterminato e
questa fase rappresenta una condizione transitoria in cui è difficile delineare
confini netti e specifici, non seguendo un percorso lineare né tantomeno
prevedibile.
La transizione verso l‟età adulta diviene più fluida e discontinua,
frammentata in percorsi e traiettorie differenti.
In quest‟ottica occorre porre attenzione alla pluralità delle carriere e dei
percorsi biografici, che possono realizzarsi in una società in cui il rischio, la
vulnerabilità e l‟incertezza entrano a fa parte della quotidianità.
In sostanza le tappe di transizione si ramificano in una serie di percorsi più
fluidi e intermittenti, e crescere diventa: «un‟avventura prolungata
caratterizzata dall‟aggiustamento continuo di una traiettoria ormai priva di
riferimenti forti e sicuri» (Zurla 2001, p.16).
1.3. Le tappe di transizione verso l’età adulta
Un‟ampia serie di studi ha segnalato che a partire dagli anni trenta del
secolo scorso, si è assistito ad una progressiva standardizzazione delle fasi di
transizione dovuta ad una sorta di stabilità sia sociale che economica. Il
calendario degli eventi biografici in precedenza era scandito da una sorta di
linearità nei processi di passaggio che avvenivano in maniera sequenziale per
buona parte degli individui. Dalla fine degli anni Settanta invece tale processo
si inverte, e comincia una fase caratterizzata dalla de-standardizzazione della
transizione alla vita adulta (Ranci 2010). La sequenzialità tipica della
transizione si scompone in fasi sempre meno standardizzate ed emergono
traiettorie molto più differenziate e discontinue. Analizzare la popolazione
giovanile seguendo una prospettiva diacronica, permette di comprendere i
24
processi di trasformazione che hanno riguardato nello specifico il nostro
Paese. Necessaria quanto interessante diviene la riflessione sulla transizione,
utile soprattutto per illustrare i mutamenti sociali ed analizzare i tempi e i modi
in cui si realizza il passaggio verso l‟età adulta. Le tappe di transizione presenti
in letteratura ed individuate nel corso di vari studi sono cinque18:
a) la conclusione del percorso formativo;
b) l‟entrata nel mondo del lavoro in modo stabile;
c) la separazione dalla famiglia di origine;
d) la formazione di un nuovo nucleo familiare;
e) l‟assunzione di un ruolo genitoriale.
Il conseguimento di queste cinque dimensioni è possibile ricondurlo a due
assi principali, ovvero, quello scolastico-professionale e quello familiare-
matrimoniale, che introducono progressivamente il giovane a nuovi ruoli e
responsabilità. Gli studi condotti dall‟istituto Iard, ponendosi come obiettivo
quello di analizzare il mondo giovanile, hanno dovuto progressivamente
estendere i confini temporali, poiché i processi che conducono verso l‟età
adulta si allungano sempre più e forse non è nemmeno possibile conoscere
davvero se e quando essi si concludono definitivamente (Zanutto 2005). Le
recenti ricerche Iard del 2004, dal momento in cui si rivolgono ad una fascia
compresa tra i 15 ed i 34 anni, includono coorti di età molto disomogenee tra
loro, per cui si è dovuto effettuare una suddivisione in classi di età fra loro
comparabili. Prendendo come indicatori l‟età in classi ed il superamento delle
tappe di transizione, sono stati esplorati i cambiamenti che hanno inciso sulla
condizione giovanile e sulle fasi di transizione, con risultati in alcuni casi
sbalorditivi. Come è possibile osservare dalla Tabella 1, nel 2004 nel nostro
18 Cavalli 1994, rilevazioni dell‟istituto Iard (1983, 1987, 1992, 1996, 2000, 2004); Livi Bacci 2008.
25
Paese il 35,5% dei giovani di età compresa tra i 25-29 anni non ha ancora
completato il percorso formativo, contro il 24% circa rispetto al 1996.
Nonostante sia aumentata la domanda di istruzione oltre l‟età dell‟obbligo, ciò
che sorprende è un numero consistente di ultratrentenni ancora in formazione
(che costituiscono il 20,5%). Questo fenomeno sembra legato ad una difficoltà
nell‟accesso al mondo del lavoro che spinge i giovani a puntare sul
proseguimento degli studi per avere maggiori chances di inserimento nel mondo
lavorativo, per sfuggire alla disoccupazione ed avere maggiori occasioni di
mobilità sociale19. Stando ai dati dell‟ultima indagine Iard, quindi ben il 23% di
giovani con più di trent‟anni non è ancora inserito nel mercato del lavoro ed il
36% degli over trenta vive ancora con i genitori20. Il ritardo verso l‟acquisizione
dell‟indipendenza abitativa, risulta essere una peculiarità del nostro Paese,
poiché il distacco dalla famiglia di origine e l‟autonomia abitativa si realizzano,
nella maggioranza dei casi, con il matrimonio o con l‟inizio di una convivenza
e non con un progetto individuale di indipendenza. Come si avrà modo di
osservare concorrono a delineare questa situazioni da un lato i fattori
economici, dall‟altro quelli culturali. Tutto questo conduce verso il fenomeno
della cosiddetta “famiglia lunga” caratterizzato dalla coabitazione di genitori e
figli ormai anagraficamente adulti (Scabini, Donati 1998). Per quanto riguarda
la quarta tappa, è tuttavia possibile individuare un tred positivo, infatti nelle
ultime indagini, si registra un lieve aumento del numero dei matrimoni o delle
convivenze, che sono cresciute (tra il 2000 ed il 2004) passando dal 4,8%
19 L‟istruzione resta il più importante fattore di mobilità sociale, ed esercita comunque una sua autonoma influenza sulla posizione occupazionale, infatti l‟effetto diretto della scolarità sulla collocazione all‟interno della stratificazione occupazionale è tre volte superiore all‟effetto dell‟origine sociale. Ciò significa che a parità di provenienza familiare, le differenze di istruzione producono sempre significative disuguaglianze di destino occupazionale, ma a volte un grado elevato di scolarità, può compensare, almeno in parte, un‟estrazione sociale non particolarmente vantaggiosa (Schizzerotto, Barone 2006). 20 Mentre nel 2000, il quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile evidenziava come nella fascia di giovani tra i 30 e i 34, il 28% non avesse mai lavorato, il 25% non avesse raggiunto l‟indipendenza abitativa, mentre il 41% non avesse avviato un‟esperienza di convivenza ed il 56% non avesse ancora figli.
26
all‟8,4% tra i 21-24enni e dal 23,4% al 27,1% dei 25-29enni. Dopo un netto
calo registratosi tra il 1992 ed il 2000, quindi nel 2004 è emersa questa leggera
ripresa. Un ulteriore segnale positivo riguarda la nascita del primo figlio che
coinvolge il 16% dei 25-29enni e sale lievemente rispetto al 2000 dove
l‟incidenza era ferma al 12%. Quest‟ultimo fattore appare fondamentale «per la
riproduzione fisica e culturale della società» (Buzzi 2007, p.34).
Tabella 1. Il superamento delle tappe di transizione per classe di età ed anno di indagine dell’Istituto Iard
Fonte: rielaborazione da C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo, Rapporto giovani. Sesta indagine dell‟Istituto Iard sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2007, p. 36.
27
Dall‟osservazione degli indicatori è possibile effettuare molteplici
considerazioni. In primo luogo è stato possibile osservare un aumento del
numero di persone che continuano gli studi e permangono nel circuito
formativo. Se da un lato questa tendenza risulta essere un segnale positivo,
poiché sta a significare che vi è un aumento della domanda di istruzione, per
cui i soggetti preferiscono avere maggiori credenziali da spendere prima di
accedere al mercato del lavoro, si attesta dall‟altro un‟inversione di tendenza.
Infatti mentre in precedenza il ciclo formativo aveva precisi confini temporali,
ora la formazione può continuare anche in età adulta, quando si sono ormai
raggiunte le altre tappe, quindi l‟uscita dalla scuola ha perso quel carattere di
irreversibilità (Gasperoni 1997). Di conseguenza anche l‟entrata nel mondo del
lavoro avviene con maggiore ritardo. Le difficoltà nel raggiungere
l‟indipendenza economica, ha innalzato l‟età media in cui ci si sposa, anche se
rimane abbastanza elevata la proporzione dei giovani che restano a vivere nella
casa dei genitori pur essendo usciti dal ciclo formativo ed entrati in quello
lavorativo. Questo è un fenomeno in cui non solo concorrono fattori
economici e sociali, ma anche elementi culturali. Il modello educativo delle
famiglie italiane tende, in effetti, a ridurre la spinta all‟autonomia dei giovani, in
quanto la presenza di stili educativi tolleranti e collaborativi, l‟ampia autonomia
concessa ai figli, le scarse richieste provenienti dai genitori riguardo la gestione
domestica della casa e la partecipazione alle spese familiari, possono in parte
spiegare questa sorta di “pigrizia” delle nuove generazioni ad accollarsi gli
oneri della vita adulta (Buzzi, Cavalli, de Lillo 2007). Inoltre la
flessibilizzazione del mercato del lavoro, pur favorendo una maggiore
partecipazione al mondo delle professioni, ha reso più fragili le carriere sociali
degli individui, introducendo forme contrattuali instabili ed a termine, che
hanno reso più difficile l‟accesso al mercato del credito e della casa e quindi
anche la probabilità di uscita, da parte dei giovani, dal nucleo familiare di
origine. Questa prospettiva risulta generalmente connessa al matrimonio «ma il
28
matrimonio e la nascita dei figli vengono rinviati ad un futuro indeterminato»
(Barbagli, Castiglioni, Dalla Zuanna 2003, p.13). Avere dei figli non è più un
evento scontato, ma rappresenta una scelta, sempre più programmata e
difficile, come testimonia il ridottissimo indice di fertilità delle coppie nel
nostro Paese, ed inoltre quando si diventa genitori lo si fa sempre più tardi
(Barbagli 2003; Pinnelli 2007).
Gli studiosi hanno utilizzato il termine “giovane-adulto” per riferirsi a quei
soggetti che sono anagraficamente adulti, ma sociologicamente giovani, che
non hanno raggiunto la piena maturità ed indipendenza, né tantomeno ruoli e
responsabilità per essere considerati pienamente adulti. Tali soggetti
prolungando la permanenza in famiglia, ritardano il matrimonio ed anche la
nuzialità, per avere un tempo dilazionato di scelte possibili, in vista delle
opportunità formative o di ingresso nell‟ambito professionale. Questo
fenomeno è stato ricondotto da Cavalli (1994) alla tendenza dei giovani di oggi
alla “valorizzazione del sé”, che li porta a rimandare quanto più possibile ogni
scelta che non consenta la piena autorealizzazione.
1.4. Le diseguaglianze nelle opportunità di emanciparsi dalla famiglia di origine
Alla luce di queste considerazioni, occorre approfondire la questione che
interessa i diversi casi in cui queste tappe vengono raggiunte, che spesso si
configurano come effetti di disparità sociali.
Come ha ben evidenziato A. de Lillo (2007) sono proprio questi fenomeni a
mettere in luce le evidenti differenze sociali e culturali interne alle nuove
generazioni. I soggetti che hanno a disposizione un buon capitale sociale e
culturale avranno maggiori opportunità di riuscire ad affrontare l‟incertezza,
29
senza lasciarsi travolgere dalla frammentarietà della propria vita, disponendo di
solidi punti di riferimento, a differenza di chi invece non possiede tali risorse.
Le diseguaglianze delle opportunità di conseguimento delle tappe riguarda
in particolare alcune categorie di soggetti. Dagli studi Iard è infatti emerso che
alcune variabili socio-anagrafiche influenzano la condizione dei giovani in
rapporto alla transizione.
In primo luogo occorre analizzare il genere, la variabile che ancora oggi
costituisce una fonte di diseguaglianze primaria. Come è possibile notare dalla
Tabella 2, le donne risultano essere coloro che maggiormente vivono in casa
con i genitori in condizione di studenti e che creano una nuova famiglia senza
avere una collocazione professionale. Gli uomini invece si trovano
maggiormente nella condizione di essere lavoratori che vivono con i genitori.
Nel nostro Paese inoltre le diseguaglianze territoriali sono ancora molto
significative ed incidono anche sulla condizione giovanile. Infatti per quanto
riguarda le regioni meridionali, si registra una prevalenza di giovani che vivono
in casa dei genitori e che sono disoccupati; mentre al Nord i soggetti che
accedono con maggiore facilità ad un lavoro e riescono costruirsi una propria
famiglia sono più del doppio che nel Sud.
Particolare importanza, infine, riveste l‟appartenenza di classe. L‟origine
sociale esercita una duplice influenza, poiché genera disuguaglianze sia
rispetto alle opportunità di istruzione, sia rispetto ai destini occupazionali e
questi due requisiti sono fondamentali, perche ci consentono di parlare di
disuguali opportunità nei destini sociali degli individui (Barone, Schizzerotto
2006). Per stabilire l‟appartenenza sociale dei giovani si considera il capitale
culturale dei genitori, e dai dati è possibile osservare che coloro che ritardano il
passaggio verso l‟età adulta sono soprattutto i giovani appartenenti a famiglie
di alto livello di scolarità, che proseguono gli studi e vivono ancora alle
dipendenze. La maggior probabilità di uscita dalla famiglia di origine, invece,
30
si fa più rapida per i giovani appartenenti a strati sociali bassi, che escono con
maggiori probabilità dal circuito formativo per entrare nel mercato del lavoro.
Dalla tabella seguente (Tab. 2) è possibile osservare come con l‟aumentare
del livello di scolarità familiare, diminuisce la probabilità dei giovani di
diventare autonomi.
Rispetto a quanto emerso dall‟ultima rilevazione Iard, appare chiaro che il
genere è una variabile determinante dei processi culturali intesi in senso molto
ampio, concernenti cioè non solo con la stratificazione occupazionale, ma
anche con gli aspetti formativi, economici e sociali. Risulta evidente che
trovarsi nella condizione donna, giovane e residente al Sud, crea maggiori
difficoltà di inserimento.
Realizzare delle ricerche per capire dove e come le differenze di genere
intervengono nella vita sociale, permette di risolvere una parte dei conflitti che
complicano la nostra società.
II mondo del lavoro costituisce probabilmente lo spazio sociale dove le
differenze di genere sono più ignorate e allo stesso tempo, il luogo dove
esercitano in modo maggiore i loro effetti.
Il risultato è che per lavorare, le donne hanno dovuto adeguarsi al modello
maschile in vigore, sacrificando molti dei loro bisogni ed accollandosi un
surplus enorme di fatica e di responsabilità.
Un'altra possibilità è stata quella di rinunciare a professioni più qualificate e
limitare le loro aspirazioni.
Oggi le cose stanno lentamente cambiando, ma il mondo del lavoro resta il
luogo cruciale in cui è urgente monitorare, studiare ed analizzare con
attenzione le differenze di genere.
Questo porterebbe un indubbio miglioramento non solo della condizione
delle donne, ma anche della capacità produttiva complessiva della società.
31
Come si è avuto modo di constatare, la condizione giovanile subisce anche
l‟influenza dell‟origine sociale che incide sul proseguimento dei percorsi
formativi e determina anche un prolungamento dell‟uscita da casa dei genitori.
Infatti appare confermata l‟esistenza di diseguaglianze di opportunità fra chi
proviene da contesti sociali diversi: i figli di coloro che hanno alti livelli di
istruzione sono coloro che ritardano l‟accesso al mondo adulto per dedicare un
periodo maggiore alla formazione, a differenza di quei soggetti che
dispongono di un basso capitale culturale, i quali escono precocemente dalla
condizione di studente per assumere nuovi compiti e responsabilità più
prossimi alla condizione adulta. Infine si conferma particolarmente accentuato
il divario all‟interno del nostro Paese.
Nelle regioni meridionali i giovani che vivono da disoccupati in casa dei
genitori sono quattro volte in più di quanti se ne riscontrano invece nelle
regioni settentrionali, mentre al Nord i giovani che lavorano e che sono riusciti
a costruirsi una propria famiglia sono più del doppio che del Sud.
Tabella 2. La tipologia giovanile sulla base del superamento delle tappe di transizione all’età adulta per alcune variabili anagrafiche Sesso Età
Tipi Maschi Femmine 15-17 anni
18-20 anni
21-24 anni
25-29 anni
30-34 anni
Studenti che vivono con i
genitori
31,0 34,0 94,9 70,3 43,6 14,0 4,0
Inattivi che vivono con i genitori 8,5 7,5 1,4 10,3 11,2 10,9 5,2
Lavoratori che vivono con i
genitori
34,0 19,9 3,4 17,3 34,1 41,2 24,5
Coniugati e/o con figli che
vivono con i genitori
1,4 1,9 0,3 0,3 0,9 2,2 2,7
Single che vivono indipendenti 5,3 5,3 - 1,4 2,8 7,9 7,9
Non lavoratori che vivono con
una nuova famiglia
0,6 12,2 - 0,3 3,6 7,3 12,2
Lavoratori che vivono con una
nuova famiglia
18,3 19,3 - 0,3 3,8 16,5 43,5
32
Livello di scolarità familiare Area geografica
Tipi Alto Medio-Alto Medio Basso Nord Centro Sud
Studenti che vivono con i
genitori
57,3 48,2 26,9 7,9 28,9 30,9 36,7
Inattivi che vivono con i
genitori
6,6 6,4 8,9 9,1 3,9 7,2 12,4
Lavoratori che vivono con i
genitori
16,7 21,8 33,5 29,8 29,9 30,6 23,4
Coniugati e/o con figli che
vivono con i genitori
0,2 1,0 1,7 3,2 0,7 1,7 2,7
Single che vivono
indipendenti
5,9 5,4 5,1 4,9 7,4 6,3 2,7
Non lavoratori che vivono
con una nuova famiglia
1,9 3,3 6,6 13,7 3,7 5,0 9,8
Lavoratori che vivono con
una nuova famiglia
11,5 13,9 17,4 31,4 25,6 18,4 12,3
Fonte: rielaborazione da C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo, Rapporto giovani. Sesta Indagine dell‟Istituto Iard sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2007, p.39.
Inoltre secondo una recente indagine condotta dall‟Istat nel dicembre
200921, riguardante un campione di dieci mila individui (precedentemente
intervistati in occasione dell‟indagine “Famiglia e soggetti sociali” condotta nel
novembre del 2003), la permanenza prolungata dei giovani in famiglia è uno
dei principali problemi che attualmente investe il nostro Paese. Fattori
economici, in particolare l‟accesso dei giovani al mercato del lavoro e al
mercato abitativo da un lato, e fattori culturali dall‟altro, sono fondamentali
nella realizzazione dell‟uscita dalla famiglia di origine. Si considerano in
quest‟indagine persone tra 18 e 39 anni, comprendendo una fascia che pur non
essendo più giovane permane ancora in modo rilevante nella casa dei genitori.
Le persone dai 18 ai 39 anni che nel 2003 vivevano nella famiglia di origine
erano poco più di 8 milioni 300 mila, pari al 47,7% degli individui della stessa
classe di età. Tra i maschi la percentuale raggiungeva il 53,5%, tra le donne il
21 Rapporto Istat “Le difficoltà nella transizione dei giovani allo stato adulto e le criticità nei percorsi di vita femminili”, Dicembre 2009. Cfr. http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20091228_00/
33
41,7%. Tra i 30 e i 34 anni vivevano presso la casa dei genitori quattro uomini
su dieci e due donne su dieci. Anche dai 35 ai 39 anni la proporzione delle
persone che vivevano nella famiglia di origine era considerevole: il 17,5% degli
uomini e il 9,3% delle donne.
I dati dell‟indagine di ritorno hanno evidenziato che tra il 2003 e il 2007
pochi uomini e poche donne il 20,8% nel complesso hanno lasciato la casa dei
genitori. Su 100 che nel 2003 avevano dichiarato di essere certi di uscire dalla
famiglia di origine, ne sono usciti poco più della metà (53,4%). Tra coloro che
invece avevano dichiarato che probabilmente avrebbero lasciato la casa dei
genitori, solo il 24,2% l‟ha fatto.
Dunque, nonostante l‟intenzione ed il desiderio espresso molti sono i
giovani che poi non sono usciti dalla famiglia di origine.
Questi aspetti rilevano quanto sia utile osservare attualmente la fase
giovanile, per riflettere su quali interventi siano necessari per rispondere ai
bisogni giovanili e quali politiche adottare per facilitare l‟acquisizione
dell‟autonomia e la possibilità per i giovani di realizzare un modello di vita più
autonomo e soddisfacente.
1.5. I valori, la fiducia nelle istituzioni e la partecipazione giovanile
Seppure le nuove generazioni rappresentano il futuro e costituiscono una
chiave di lettura utile per interpretare i mutamenti sociali, è opinione condivisa
che tali soggetti subiscano passivamente tali trasformazioni, senza esserne
parte attiva. Più che costituire una spinta al cambiamento, essere anticipatori di
quello che verrà, i giovani sembrano piuttosto raffigurare lo status quo, di una
34
società appiattita sul presente, che rinuncia a guardare e progettare il proprio
futuro.
Gli studiosi della condizione giovanile ricordano quanto «i giovani abbiano
smarrito la loro soggettività sociale e ancora di più la loro soggettività politica.
I giovani vivono in una sorta di limbo che inibisce una seria previsione sui loro
comportamenti futuri» (Bettin Lattes 2001, p.123).
In questa sede l‟intento sarà quello di avviare una riflessione più organica
circa le nuove generazioni, andando oltre quelle visioni che inquadrano i
giovani come assenti dalla vita pubblica, sfiduciati nei confronti delle
istituzioni e privi di valori.
In primis occorre riflettere sull‟universo valoriale dei giovani in quanto tali
principi orientano il loro agire. Da un punto di vista sociologico i valori
costituiscono «vere e proprie mappe mentali sulle quali ciascun individuo
fonda il proprio spazio morale interno» (de Lillo 2007, pp.153-154) e quindi
una componente fondamentale per comprendere anche la complessità delle
società (Secondulfo 2005). In letteratura essi vengono considerati dei criteri
guida alla base delle azioni e dei comportamenti sia individuali che collettivi.
Gli assetti valoriali contengono una componente morale e normativa, in
quanto consentono agli individui di formulare giudizi su ciò che si considera
giusto o sbagliato in astratto e contengono riferimenti circa l‟approvazione e
disapprovazione sociale (Garelli, Palmonari, Scialla 2006).
Secondo il sociologo americano Talcott Parsons l‟ordine e l‟integrazione
sociale derivano da un quadro valoriale comune, fortemente condiviso dagli
individui. Gli studi sociologici a tal proposito dimostrano una concezione
orientativa dei valori, secondo la quale l‟ordine sociale e l‟integrazione nella
società, sono l‟esito di un sistema di valori fortemente condiviso (Scialla 1993).
Quando si considerano i sistemi valoriali bisogna precisare che essi sono una
caratteristica propria di ciascuna società e gruppo sociale che rappresenta la
specifica funzione di adattamento a quel gruppo al suo ambiente.
35
La famiglia, la scuola e gli altri agenti di socializzazione trasmettono modelli
di comportamento, orientamenti di valore, concezioni del mondo, stili di vita e
definiscono le opportunità economiche, sociali e culturali che ne influenzano
la progettualità e le prospettive future.
Parlando di valori giovanili non si può prescindere dal considerare i
numerosi cambiamenti strutturali avvenuti nella società che hanno inciso
direttamente o indirettamente sulla condizione giovanile. Gli andamenti
demografici, ad esempio, hanno avuto importanti ripercussioni sui rapporti
familiari e sulla socializzazione. Il progressivo contenimento dei tassi di natalità
e la diffusione del figlio unico, hanno contribuito a sovvertire il tradizionale
assetto familiare: da una parte i giovani richiedono un accompagnamento
all‟indipendenza sempre più prolungato, dall‟altra essi hanno visto accrescere i
loro margini di libertà. Il sociologo de Lillo (2007, p.13) ha messo in evidenza
come in questo tipo di società ci troviamo di fronte al fenomeno della
cosiddetta “famiglia lunga” in cui i rapporti prevalenti avvengono con i
genitori ed i nonni e non fra i pari (come fratelli, cugini ed altri coetanei).
Tutto questo ha comportato delle trasformazioni all‟interno dei rapporti inter-
generazionale all‟interno della sfera familiare che hanno inciso sui ruoli e gli
stili di vita dei giovani. Il rapporto tra le nuove generazioni e quelle precedenti
sembra essere meno conflittuale (basti pensare alla libertà di cui godono i
giovani d‟oggi nella gestione delle relazioni sociali e nell‟ambito domestico) ed
emergono nuovi modelli educativi. In proposito Charmet (2008) sostiene che
l‟autorità genitoriale è attualmente messa in discussione ed il rapporto tra padri
e figli si è sbilanciato a favore di questi ultimi, che detengono un potere
negoziale sempre maggiore. L‟equilibrio tra le parti è quindi capovolto: si passa
da un tipo di rapporto in cui era il figlio a doversi guadagnare la benevolenza
dei genitori, ad un altro in cui accade l‟opposto, ovvero, è il genitore a dover
ottenere e meritare le attenzioni e l‟affetto del figlio.
36
Partendo da alcuni dati delle ricerche Iard relativi al quadro valoriale, è
possibile trovare conferma di quanto la famiglia sia considerata una sfera
molto importante nella vita dei soggetti, collocandosi al secondo posto, nella
scala valoriale22. Nel 2002 il quinto Rapporto Iard parlava di “famiglia
innanzitutto” (de Lillo 2002, p.41) come un luogo sicuro nel quale trovare
rifugio, sostegno e certezze. La famiglia viene vista dai giovani come un punto
di riferimento stabile, un elemento fondante della propria identità e uno
strumento di realizzazione personale, nonché il centro della sfera affettiva.
Oltre alla famiglia, punto di riferimento primario e necessario, un‟altra
dimensione importante è quella relazionale. Dai dati emerge un‟apertura dei
giovani verso gli altri, anche se confinata principalmente all‟interno della
socialità ristretta che include la famiglia, gli amici e l‟amore. Le relazioni intime
e affettive sono ritenute molto importanti dalla quasi totalità dei giovani italiani
(de Lillo 2007). Dunque prevalgono maggiormente quei valori prossimi alla
sfera della socialità ristretta e della vita privata. Al contrario tutto ciò che
attiene all‟impegno civico ed alla sfera pubblica ha rilevanza contenuta.
Il ripiego verso la sfera privata va interpretato alla luce del più complesso
mutamento socio-culturale avvenuto a partire dagli anni Settanta, a cui hanno
fatto seguito processi di individualizzazione e di crescita del relativismo
valoriale (Bazzanella 2010.) Il venir meno di quelle ideologie onnicomprensive
e totalizzanti (sia religiose che laiche) a seguito del processo di secolarizzazione
ha affievolito la funzione delle norme tradizionali, socialmente condivise, e il
valore delle ideologie. Come evince dalla Tab. 3, la religione e l‟impegno
politico sono considerati aspetti poco importanti e si collocano tra gli ultimi
posti della gerarchia dei valori. Per quanto riguarda gli aspetti connessi
all‟impegno verso la patria ed all‟attività politica vi è un vero e proprio
22
Dagli studi Iard è possibile osservare come la famiglia sia sempre stata ai primi posti della scala valoriale. Tuttavia nell‟ultima rilevazione tale valore è preceduto da quello della salute, un criterio introdotto per la prima volta all‟interno delle indagini e che quindi non consente di effettuare comparazioni diacroniche.
37
allontanamento. La disaffezione giovanile nei confronti della politica, è un
dato emerso negli studi Iard sin dagli anni Ottanta, tanto che è divenuta di uso
frequente da parte degli studiosi del settore l‟espressione “eclisse della politica”
(Ricolfi 2002).
Tuttavia i giovani non possono essere considerati del tutto estranei ai temi
che riguardano la società civile o privi di valori collettivi, al contrario essi
considerano molto importanti i valori della democrazia, del rispetto per le
regole, della sicurezza e dell‟ordine pubblico, mostrando anche un discreto
interesse per l‟impegno sociale.
Tra gli altri aspetti giudicati rilevanti incontriamo, inoltre, la pace e la libertà,
ritenuti fondamentali da sette giovani su dieci. Siccome tali valori sono
fortemente collettivi, questo dato può apparire dissonante rispetto a quanto
affermato in precedenza sull‟irrefrenabile ascesa della socialità ristretta (de Lillo
2002). Tale questione può essere spiegata tenendo conto che tali valori
possono essere stati interpretati dai soggetti non come collettivi, ma come
individuali, prerequisiti necessari al singolo individuo per poter condurre
liberamente la propria esistenza, alla libera affermazione del sé, in quanto utili
all‟autorealizzazione personale. Accanto a questi aspetti bisogna tener conto di
un‟altra sfera valoriale giovanile che attiene al mondo del lavoro.
Le trasformazioni avvenute in ambito economico, hanno potuto incidere
sulla concezione stessa del lavoro e sul significato attribuito a tale dimensione.
Infatti non bisogna dimenticare che la possibilità di diventare adulti e quindi
essere economicamente indipendenti e di realizzarsi professionalmente,
diventa per i giovani sempre più difficile, come attestano gli alti livelli di
disoccupazione giovanile e la precarietà lavorativa dovuta all‟esasperazione di
quegli elementi di flessibilità, che troppo spesso si traducono in «una
condizione di precarietà esistenziale» (Rossi 2007, p.84). Tutto questo sembra
riversarsi sull‟universo valoriale in quanto i giovani considerano meno
importanti nella loro vita il fare carriera, il guadagnare molto, il prestigio
38
sociale ed il benessere economico. Per quanto riguarda l‟item del lavoro, invece,
pur perdendo punti percentuali,23 rimane comunque una dimensione molto
importante per quasi due giovani su tre.24
Tabella 3. Gli aspetti importanti della vita dei giovani in Italia
Fonte: rielaborazione da C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo, Rapporto giovani. Sesta indagine dell‟Istituto Iard sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna 2007, p. 141.
23 Confrontando i dati delle varie indagini Iard in base all‟anno di rilevazione è possibile fare una comparazione diacronica. Per quanto riguarda l‟item del lavoro è possibile notare che dal 1989 al 2004, la percentuale di persone che lo giudicano molto importante è diminuita. Per maggiori approfondimenti vedi Iard, 2007. 24 Istituto IARD Rps, Valori e fiducia tra i giovani italiani, Ministero Politiche Giovanili, 2007
39
Osservando la Tabella 3. è possibile constatare come la salute si colloca al
primo posto nella gerarchia dei valori. Questo aspetto rappresenta un valore
post-materialistico (Inglehart 1977) che riguarda la sfera individuale e la qualità
della vita. Tuttavia tale virtù non sembra tradursi nella abitudini dei giovani o
sul piano pratico in una forma di tutela del proprio corpo e del prendersi cura
di sé stessi, ma rivela una concezione piuttosto fatalistica della salute. Infatti si
riscontrano numerosi dati che mostrano come i comportamenti adottati dai
giovani vadano spesso nella direzione opposta al loro benessere (Buzzi,
Cavalli, de Lillo, 2002).
In questo contesto sarà utile effettuare una riflessione sulla fiducia dei
giovani verso alcune istituzioni ed in particolare verso la politica. Questo
discorso si inserisce in un contesto più ampio che riguarda anche quel «clima
relazionale di fiducia, di appartenenza, di senso civico che permette il buon
funzionamento delle istituzioni» (Putnam 1993, p.28). La fiducia è una
componente fondamentale di integrazione sociale e agisce sull‟interazione
sociale a diversi livelli (Cartocci 2000; Diani 2000; Bagnasco et al. 2001; La
Valle 2002). Infatti sul piano interpersonale, a livello micro, è l‟elemento che
permette la costruzione di relazioni positive ed efficienti tra gli individui, a
livello meso all‟interno del piccolo gruppo di riferimento, è il catalizzatore che
consente il raggiungimento di obiettivi comuni; mentre a livello collettivo in
una dimensione più ampia è intesa come fiducia espressa dai cittadini verso le
istituzioni e costituisce la premessa per un sistema politico, economico e
sociale stabile, efficiente e democratico. In questa sede sarà utile a fini
conoscitivi, considerare questo ultimo aspetto connesso al concetto
multidimensionale di capitale sociale.
A livello collettivo, gli esiti del capitale sociale possono essere osservati in
rapporto al sistema sociale locale in cui sono contestualizzate le relazioni. La
comunità, come sosteneva Tonnies (1887) è il luogo in cui i soggetti si
riconoscono reciprocamente, individuano uno spazio comune, un contesto di
40
relazioni caratterizzate da un linguaggio ed una base culturale condivisa, in
contrapposizione ad altri sistemi che portano invece a differenziarsi ed a
contrapporsi. In una società in cui c‟è coesione, fiducia reciproca, e maggiore
interattività tra i membri, si assiste ad un miglioramento della qualità della vita,
della politica dei governi e dell‟economia, il che si traduce in maggior ordine
pubblico, bassi livelli di criminalità e quindi maggiore benessere per i cittadini.
Robert Putnam (2004) analizza come l‟insieme degli aspetti della vita
sociale, come le norme e la fiducia, abilitano i partecipanti ad agire assieme in
maniera più efficace nel perseguimento di obiettivi comuni. L'autore pone
l'accento sulla caratteristica del capitale sociale che permette di svolgere
un‟azione collettiva per scopi comuni in gruppi ed organizzazioni. Nel corso
dei suoi studi, egli individua nella rete civica uno dei fattori che influisce
maggiormente sul rendimento delle istituzioni. La civicness è intesa come
diffusione di un‟ampia fiducia interpersonale, che facilita la cooperazione tra i
cittadini per portare avanti obiettivi comuni ed il funzionamento delle
istituzioni.
Anche F. Fukuyama (1996) analizzando le forme del capitale collettivo
accentua il carattere normativo di questa risorsa. Secondo l‟autore, infatti, non
è la società civile che produce capitale sociale, ma è il capitale sociale che
produce la società civile. L‟importanza del capitale sociale, basandosi sul
riconoscimento di interessi condivisi e universalistici e sulla partecipazione alla
vita pubblica, è sinonimo di democrazia in quanto determina anche un
controllo sull‟attività delle istituzioni e dell‟attività politica.
Numerose indagini sia nazionali che internazionali hanno mostrato come
nelle società contemporanee il livello di fiducia verso le istituzioni deputate
all‟organizzazione e alla gestione della res publica presenti un netto calo,
soprattutto nel nostro Paese (Sciolla 2004).
Secondo numerosi autori, questo atteggiamento di crescente sfiducia si
concretizza in uno scollamento progressivo degli individui dalla società. Tutto
41
questo rischia di minacciare i fondamenti stessi della democrazia e la
partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.
Le indagini condotte negli ultimi anni in Italia sulla condizione giovanile,
effettivamente hanno messo in luce il progressivo allontanamento dei giovani
dalla attività politiche e sociali. In particolare, i partiti politici non sembrano
più in grado di fornire risposte ai giovani o anche creare un‟appartenenza
collettiva ed una visione del mondo unitaria. Le ideologie si frantumano ed i
giovani tendono a costruirsi un‟identità all‟interno di percorsi meno tracciati e
meno compatti.
Tutto ciò si traduce in un ripiegamento nel privato ed a un allontanamento
dei giovani dalla politica e dalle attività che attengono alla sfera pubblica
(Amerio 2000). Infatti «la grande maggioranza dei giovani ha certamente, in
tutta Europa, voltato le spalle alla politica, se per politica si intende la gestione
quotidiana degli affari pubblici attraverso le organizzazioni dei partiti. Sono
pochi i giovani che nutrono fiducia nei partiti» (Cavalli 2002, p.518).
Le forme tradizionali di partecipazione, come ad esempio l‟iscrizione ad un
partito e l‟impegno elettorale decrescono, lasciando spazio ad un tipo di
partecipazione più prossima all‟associazionismo (Amaturo, Savonardo 2006).
Ciò tuttavia non deve essere interpretato come forma di apatia, di indifferenza
o disinteresse da parte dei giovani quanto piuttosto di un nuovo modo di
intendere e definire la partecipazione. I partiti e i movimenti non sembrano
più in grado di rispondere alle esigenze delle nuove generazioni, sono di
conseguenza percepiti come distanti e portatori di interessi personali e non
attivi per il bene collettivo, infatti per i soggetti «è quasi dato per scontato che
chi ha raggiunto il potere lo usi per fare gli interessi propri e della propria
parte, al punto che quando ciò poi effettivamente accade non suscita più
neppure scandalo»25.
25 Ibidem
42
In un‟indagine condotta Ministero della Gioventù APCom nel gennaio
2009, i dati di sfiducia (Fig. 1) da parte dei giovani nei confronti del mondo
istituzionale sono impressionanti. Sintetizzato con un punteggio da 1 a 10 il
voto relativo alla credibilità delle principali istituzioni nazionali, emerge che le
organizzazioni che godono di maggior fiducia sono quelle in cui si percepisce
come meno influente la politica dei partiti. Grande fiducia è posta nelle
associazioni di volontariato e nelle forze dell‟ordine e questo lascia supporre
quanto i giovani nutrano un bisogno di nuovi canali di partecipazione, ma
anche di sicurezza.
Figura 1. Giovani e politica, la fiducia nelle istituzioni (punteggi da 1 a 10)
Fonte: Ministero della Gioventù APCom (Gennaio 2009)
43
Dunque i giovani dimostrano di non essere passivi, ma al contrario sono
sensibili a nuovi temi e questioni di interesse pubblico e chiedono nuovi modi
di esprimere la loro presenza. Questo dimostra che «è in atto un processo di
trasformazione della cultura politica su basi generazionali» (Cioni 2007, p.12).
Utilizzando le parole di Cavalli: «sembra proprio che quella parte dei
giovani che ha mantenuto un forte impegno sociale avverta l‟esistenza di uno
scarto tra la limitatezza di orizzonti della contesa politica all‟interno dei loro
paesi e l‟urgenza, etica prima che politica, delle grandi questioni di portata
mondiale (il terrorismo, la pace, l‟ambiente, la fame, la povertà) e che quindi
sia alla ricerca di nuovi canali di partecipazione politica attraverso i quali
esprimere la propria presenza» (Cavalli 2002, p.519).
In definitiva è possibile affermare che l‟universo giovanile rappresenta una
ricca risorsa per la società locale, ma paradossalmente, per quanto ciò sia
abbondantemente affermato da ricerche e da dibattiti pubblici, si fa difficoltà a
riconoscere i giovani come soggetti capaci a pieno titolo di partecipare e di
compiere delle scelte ragionate e consapevoli. I giovani sono considerati
assenti e poco partecipi alla vita politica e sociale, e tutto questo non fa altro
che alimentare una sorta di profezia che si auto adempie, per cui i giovani
considerati passivi sfuggono alla vita pubblica e si rifugiano in una dimensione
privata e più individuale. Sembra quasi che la sfiducia verso le capacità dei
giovani sia ripagata con la stessa moneta e produce effetti sul piano della
partecipazione politica e della fiducia nelle istituzioni. Questi giovani silenziosi,
invisibili, costretti a vivere proiettati solo nel presente, che crescono in una
società diversa in costante mutamento, in cui i percorsi di vita sono sempre
meno lineari e individuali, sono invece portatori di valori profondi, di una
forte identità, di una grande creatività e capacità di iniziativa, che può essere
fonte di non pochi stimoli per chi si trova a gestire e ad implementare le
politiche locali e nazionali. Essi sono dotati di una dimensione relazionale ed
affettiva forte che pongono alla base del processo di crescita e
44
autorealizzazione del sé, il quale tende a svilupparsi con una costante
attenzione al mantenimento delle proprie radici d‟appartenenza, una comunità
basata su rapporti familiari, di amicizia e di esperienze comuni. Anche se il
distacco dalle forme tradizionali di partecipazione alla vita politica è evidente,
come lo è anche il distacco dai classici temi offerti dalla politica. Tuttavia
evince un diverso bisogno di espressione del proprio senso di comunità
attraverso nuove forme di associazionismo e partecipazione non
convenzionale. I giovani sviluppano un maggiore interesse verso questioni del
tutto nuove ed altrettanto importanti. Quindi occorre sperimentare diversi
canali di condivisione e inclusione, tentando nuove strategie di azione. In
questo contesto sarà utile riflettere su quali opportunità sono offerte ai
giovani e quali vie sono maggiormente inclusive per incrementare il loro livello
di partecipazione alla vita pubblica.
Negli ultimi anni la parola chiave su cui si fondano i principali documenti
europei è la partecipazione, poiché è solo attraverso il coinvolgimento che si
costruiscono società democratiche. Le politiche giovanili hanno consentito il
coinvolgimento dei giovani in diversi progetti, ed hanno programmato
interventi per accrescere la loro soggettività, offrendo nuovi strumenti e
opportunità per esprimere e sviluppare le proprie idee e partecipare
maggiormente alle decisioni riguardanti i problemi pubblici e della comunità.
Un modo tutto nuovo quindi per i giovani di far sentire la propria voce,
tornando ad essere protagonisti.
45
Capitolo 2: Le politiche giovanili
" Tutto ciò che ha giovinezza, quindi futuro, troverà rispondenza nel mondo e vi echeggerà ".
Robert Schuman
2.1. I giovani una priorità per l’Europa
In ambito europeo è possibile intravedere i primi interventi pubblici a
favore dei giovani a partire dal secondo dopoguerra. Queste nuove azioni,
inizialmente comprese in diversi settori di policy, erano prevalentemente
finalizzate a tutelare specifici bisogni delle fasce più deboli della popolazione26
e in particolare erano mirate all'inserimento lavorativo ed al sostegno di
politiche educative27.
La Comunità economica europea nei trattati costitutivi di Roma del 1957
inseriva indirettamente la questione giovanile all‟interno della più vasta politica
culturale promossa dalla stessa28. Infatti, anche se non erano stati individuati
strumenti concreti di intervento, vennero introdotte norme contenenti lo
“sviluppo della conoscenza nei giovani”, quale nucleo portante della società29.
Vi era un‟opinione condivisa dai suoi fondatori, che il miglioramento delle
comuni condizioni sociali sarebbe stato naturale corollario della futura
integrazione e cooperazione economica europea. Tali politiche, inizialmente,
non riconoscevano i giovani come una categoria sociale, ma come gruppo
definito unicamente dall‟appartenenza ad un certo intervallo di età, variabile a
seconda dei contesti nazionali.
26 Rapporto Iard, Studio sulla condizione e sulle politiche giovanili in Europa, Gennaio 2001.
http://www.istitutoiard.it/data/ricerche/Europa.PDF 27 Cfr. http://www.irer.it/Rapportifinali/2006A010_RapportoFinale.pdf/ 28 Rossi T., (a cura di), Informagiovani : dai centri di informazione locali al sistema informativo nazionale
per i giovani / Ministero dell'interno, Direzione generale dei servizi civili, Roma 1993. 29 Palumbo (2001) Il Programma d‟azione comunitaria “Gioventù” a norma della Decisione del Parlamento
Europeo e del Consiglio 1031/2000/CE. Cfr. http://www.diritto.it/articoli/europa/palumbo.html
46
Successivamente i cambiamenti derivati dalla contestazione giovanile del
1968, hanno contribuito ad alzare la soglia di attenzione da parte dei governi
nei confronti delle giovani generazioni. A partire dagli anni Settanta, infatti, gli
Stati nazionali avviarono programmi specifici in favore dei giovani, che
vennero identificati come una categoria sociale, degna di attenzione da parte
dei decision makers. Tuttavia le politiche erano ad uno stadio embrionale ed i
destinatari di tali progetti erano ancora individuati in base alla sola età
anagrafica e non in rapporto al loro status, al ruolo che essi ricoprivano nella
società (in qualità di studente, lavoratore, disoccupato) o in base all‟esposizione
di un particolare rischio o situazione di disagio.30
Uno dei primi promotori per le politiche giovanili fu il Consiglio
d'Europa31, la cui azione orienta ancora oggi la promozione e
l‟armonizzazione delle politiche giovanili nei diversi Paesi.
Nel 1972 il Consiglio d‟Europa istituì la Fondazione e il Centro Europeo
della Gioventù con sede a Strasburgo. Gli obiettivi che la Fondazione
Europea per la Gioventù (FEG) persegue sono diversi. Tra questi bisogna
ricordare il ruolo di incoraggiare la cooperazione fra i giovani fornendo
sostegno finanziario alle attività giovanili per promuovere la pace, favorire la
comprensione e la cooperazione cercando di imprimere nella società i valori
fondamentali del Consiglio d‟Europa, ossia i diritti dell‟uomo, la democrazia, la
tolleranza e la solidarietà.
Per quanto riguarda il Centro europeo della gioventù è definito negli
statuti come un‟istituzione educativa, strumento di partecipazione della
gioventù europea e delle organizzazioni giovanili, al fine di facilitare la
cooperazione tra le organizzazioni non governamentali e i governi (Tomasi
1986).
30 D‟Elia A., Le politiche giovanili: origini, evoluzioni, stato dell‟arte, Bari 28 aprile 2006. 31 Il Consiglio d‟Europa, è un‟organizzazione internazionale costituita nel 1949 con il Trattato di Londra. Come finalità si occupa di difendere i diritti dell‟uomo, promuovere la democrazia, difendere l‟identità culturale europea e ricercare soluzioni ai problemi sociali. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Consiglio_d'Europa
47
Successivamente, a seguito del quarantennale delle Organizzazione delle
Nazioni Unite (ONU) nel 1985 fu inaugurato l‟Anno internazionale della gioventù
(AIG), con l‟intento di incoraggiare il dialogo e la comprensione tra le
generazioni e promuovere gli ideali della pace, il rispetto dei diritti umani, la
libertà e la solidarietà32.
In occasione dell‟Anno Internazionale della Gioventù, venne organizzato
un evento a Parigi, presso il Centro informazione e documentazione giovani
(CIDJ), per inaugurare un Comitato organizzativo Informagiovani formato
da operatori e funzionari di 10 Paesi, tra cui l‟Italia.33
Risale invece al 1985 la prima Conferenza Europea dei Ministri
Responsabili per la Gioventù, che ebbe come tema principale la
partecipazione dei giovani. Il documento, approvato dai partecipanti,
impegnava gli Stati membri all‟istituzione di un Consiglio Nazionale della
Gioventù, autonomo ed indipendente. Tale impegno risultava essere
assolutamente in linea con la promozione del protagonismo sociale dei giovani
auspicato dall‟ONU.
In seguito a questa prima ed importante esperienza nel 1986 si costituisce
l'Associazione europea per l'informazione e la consulenza dei giovani
denominata ERYCA. Tale Agenzia ancora oggi garantisce un coordinamento
ed una rappresentanza europea in materia d‟informazione e di consulenza per i
giovani34. Inoltre promuove l'innovazione in materia di informazione e il
dialogo permanente fra gli operatori di questo campo, consentendo la
formazione degli stessi e gli scambi professionali, così come la diffusione delle
migliori metodologie di informazione, basandosi sulle esperienze più
innovative per identificare i bisogni dei giovani35.
32 Cfr. http://www.unric.org/it/attualita/26861-anno-internazionale-della-gioventu 33 Rossi T., (a cura di), Informagiovani: dai centri di informazione locali al sistema informativo nazionale
per i giovani / Ministero dell'interno, Direzione generale dei servizi civili, Roma 1993. 34 Le finalità dell‟Agenzia europea per l‟informazione e la consulenza dei giovani, sono espresse negli articoli 2 e 3 dello Statuto dell‟ERYCA (Bruxelles, 27-28 maggio 1991). 35 Cfr. http://eryica.org/en/content/eryica-brief
48
Nel 1988 il comitato dei Ministri del Consiglio d‟Europa, riconobbe
l‟importanza del settore della gioventù e la necessità di rendere permanente la
cooperazione: venne così costituito il Comitato Direzione Europea di
Cooperazione Inter-governamentale nell’ambito della gioventù (CDEJ).
Tale Comitato rappresenta una figura di riferimento sotto molteplici aspetti,
svolgendo diversi compiti tra cui quello di promuovere la cooperazione tra i
governi e avviare ricerche e riflessioni sulle politiche giovanili nazionali,
stimolando lo scambio di informazioni e di esperienze fra i governi. Inoltre il
CDEJ ha il compito di consigliare il Comitato dei Ministri per assicurare un
supporto appropriato nei programmi e nelle attività, agendo come
responsabile della programmazione e della pianificazione delle attività di
cooperazione intergovernativa nel settore giovanile.
Successivamente nel 1990 il Consiglio d'Europa approvò la “Carta Europea
della Partecipazione alla vita Comunale e Regionale” che, in coerenza con l'obiettivo
di un'integrazione europea, promosse la partecipazione e la cittadinanza attiva
come incentivo alla vita pubblica ed alla volontà di cambiamento. Tale
documento rappresenta un quadro di riferimento per lo sviluppo di politiche
giovanili locali incentrate «sulla concertazione degli interventi anziché su
approcci separati nei vari settori» (Campagnoli 2009, p.19)36. Tale iniziativa
costituisce infatti una delle prime rilevanti indicazioni a livello internazionale in
materia di politiche giovanili. Nello specifico, il punto di partenza di tale
documento è che la partecipazione attiva dei giovani alle decisioni ed alle
attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire delle
società più democratiche, più solidali e più prospere37. Viene così introdotto
un nuovo concetto di partecipazione dei giovani alla vita pubblica in quanto
risorsa della società. In questi anni vengono approvati dalla Comunità Europea
36 Iard, Esperienze di politiche giovanili in provincia di Milano, Terzo rapporto dell‟Osservatorio Giovani della Provincia di Milano, 2009 Cfr.http://www.provincia.milano.it/giovani/doc/Esperienze_di_politiche_giovanili.pdf 37Cfr.http://www.georivista.it/rivista/cerca-orientamento/carta-europea-di-partecipazione-dei-giovani-alla-vita-locale-e-regionale/
49
anche i programmi Gioventù per l‟Europa (1988-1999) ed Erasmus nati per
favorire scambi tra i vari Paesi e sviluppare nelle future generazioni l‟idea di
appartenenza a quella che sarà poi l‟Unione Europea.
2.1.1. Gli interventi in materia di gioventù da parte dell’Unione Europea tra gli anni Novanta e Duemila
Sul piano internazionale è sempre stato presente un atteggiamento di
apertura e sensibilità verso l'universo giovanile e sin dai primi anni Novanta
venne riconosciuta la necessità del coinvolgimento, della partecipazione e
dell'ascolto dei giovani, per rendere concreti gli obiettivi prefissati dalle
direttive.
Grazie al Trattato di Maastricht del 1993, si sono sviluppate nel tempo
diverse azioni comunitarie che riguardavano più direttamente i giovani: in
campo educativo, in quello dell‟occupazione, della formazione professionale,
ed anche in quello dell‟accesso alle tecnologie dell‟informazione. In particolare
gli art. 149 e 150 del trattato sull'Unione Europea38 prevedono competenze
comunitarie nei settori dell'Istruzione, della Formazione e dell'Educazione non
formale. L‟art. 14939 costituisce la base giuridica della cooperazione a livello
38 Trattato di Maastricht, Capo 3: Istruzione, Formazione professionale e Gioventù. Cfr: http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/dat/12002E/pdf/12002E_IT.pdf 39 Trattato di Maastricht Capo 3: Art. 149. Comma 1. «La Comunità contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche». Comma 2. «L'azione della Comunità è intesa: a sviluppare la dimensione europea dell'istruzione, segnatamente con l'apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri, a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l'altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio, a promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento, a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione degli Stati membri, a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività socioeducative, a incoraggiare lo sviluppo dell'istruzione a distanza». Cfr. Trattato sull‟Unione europea (in GU 29 luglio 1992, n. C 191)
50
europeo che consentirà lo sviluppo di varie azioni comunitarie riguardanti
direttamente o indirettamente i giovani, in modo da promuovere lo scambio di
esperienze tra gli stati membri per quanto riguarda l‟istruzione, lo studio di
lingue straniere e la mobilità, offrendo occasioni di studio all‟estero ed il
riconoscimento dei titoli di studio e delle attività formative conseguite.
L‟art. 15040 riguarda nello specifico la formazione professionale, intesa
soprattutto come formazione permanete volta ad agevolare l‟inserimento
professionale e l‟adattamento alle trasformazioni avvenute nel mercato del
lavoro. In particolare il Comma 2 di tale articolo attesta che la Comunità si
impegna a «facilitare l'accesso alla formazione professionale ed a favorire la
mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei
giovani».
A questo articolo segue poi il numero 151, che promuove la cooperazione
culturale a livello europeo. Anche se i giovani non sono citati direttamente,
sono coinvolti perché interessati alle azioni previste in tale ambito, come ad
esempio il programma Cultura 2000.
L'impegno dell‟UE per l‟istruzione e la formazione professionale, troverà il
suo seguito in una serie di progetti significativi come: Socrates, Leonardo da Vinci
(1995) e Servizio Volontario Europeo (1996-1999). Tali programmi, insieme ai
precedenti Gioventù in azione (1989-1999) ed Erasmus, hanno contribuito in
40 Trattato di Maastricht Capo 3: Art. 150. Comma 1. «La Comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi per quanto riguarda il contenuto e l'organizzazione della formazione professionale». Comma 2. «L'azione della Comunità è intesa: a facilitare l'adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale; a migliorare la formazione professionale iniziale e la formazione permanente, per agevolare l'inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro; a facilitare l'accesso alla formazione professionale ed a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani; a stimolare la cooperazione in materia di formazione tra istituti di insegnamento o di formazione professionale e imprese; a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri». Cfr. Trattato sull‟Unione europea (in GU 29 luglio 1992, n. C 191)
51
modo significativo all'acquisizione di nuove competenze, offrendo ai giovani
opportunità di mobilità, apprendimento sia formale che informale e scambi
internazionali.
Una maggiore organicità, coerenza degli obiettivi e sistematizzazione dei
principi di tali politiche, che consenta una valutazione ed un controllo della
qualità dei programmi dell'informazione e dei servizi erogati, verrà a
consolidarsi solo negli anni „90.
Di particolare importanza è la Raccomandazione n. R (90) del Comitato
dei Ministri del Consiglio d‟Europa, che rappresenta il primo documento
sull‟Informazione e la Consulenza per i giovani, che oltre a disciplinare le politiche
giovanili a livello europeo, ha lo scopo di promuovere il controllo sulla qualità
delle informazioni erogate. Grazie a questa raccomandazione adottata dal
Comitato dei Ministri, furono create strutture come i Centri di informazione
giovanili che rispondano a ben precise regole di accesso e di promozione
dell'autonomia dei giovani. Inoltre venne promosso il coordinamento di una
politica di informazione accessibile e disponibile per tutti gli utenti.
Nel 1998 con la “Dichiarazione di Lisbona sulle politiche ed i programmi per la
gioventù” e con l‟istituzione della “Giornata mondiale della gioventù” il 12 agosto di
ogni anno, i vari Stati membri si sono impegnati a intraprendere azioni in
settori trasversali e a favorire la partecipazione giovanile, lo sviluppo, la pace,
l‟istruzione, l‟occupazione, la sanità e la prevenzione dall‟uso di sostanze
stupefacenti (Campagnoli 2010, p.71).
In seguito grazie alla “Carta Europea dell'informazione alla gioventù” (Bratislava,
1993) approvata dalla quarta assemblea generale della ERYCA, venne proposta
l'idea di congiungere la dimensione dell'informazione a quella della
partecipazione giovanile. La partecipazione, come vedremo, sarà considerata
uno degli obiettivi principali, per garantire un ruolo attivo dei giovani alla
creazione di politiche concrete ed integrate. Tale documento, verrà poi ripreso
ed adottato dal Congresso dei poteri locali e regionali d‟Europa nel 2003, a dieci anni
52
dall‟adozione del primo, in un momento di valutazione dei progressi compiuti
in materia di partecipazione giovanile.
Con la Strategia di Lisbona, definita nel marzo del 2000, venne
definitivamente sancito il ruolo fondamentale che le giovani generazioni
europee devono avere nella creazione «dell'economia della conoscenza più
competitiva e dinamica del mondo»41. Le priorità della Strategia di Lisbona
definite dai documenti ufficiali sono:
- Internet. Innanzitutto viene riconosciuta l‟importanza dei sistemi di
comunicazione, ed in particolare della diffusione di rete telematica
internazionale quale strumento per consentire di raggiungere in modo più
capillare i cittadini, attraverso servizi pubblici on line, un'amministrazione
elettronica, servizi di apprendimento elettronico e di telesalute. Per avviare un
vero processo che porti allo sviluppo di tale Strategia è fondamentale la
diffusione di Internet anche nelle scuole, in modo da eliminare
progressivamente il digital divide.
- Ricerca. Per quanto riguarda il settore ricerca è di fondamentale importanza
la definizione di uno spazio comune di analisi, in cui i centri di studi e le scuole
siano collegate tra loro ed abbiano la possibilità di comunicare e collaborare
per la ricerca. Inoltre, si punta a rendere più semplice la mobilità dei ricercatori
ed a favorire iniziative per trattenere in Europa i giovani talenti.
- Il Settore Produttivo. Per lo sviluppo del settore produttivo, la Strategia di
Lisbona individua nelle piccole e medie imprese il cuore dell'economia
europea. Per evitare che il loro dinamismo venga ostacolato da regolamenti
diversi e contrastanti nei vari Paesi, è prevista l'elaborazione di una carta
europea per le piccole imprese e il sostegno all'avviamento di imprese ad alto
contenuto tecnologico.
41 Comunicazione della Commissione dell'11 marzo 2003, “Politica dell'innovazione: aggiornare
l'approccio dell'Unione europea nel contesto della strategia di Lisbona”.
53
- Le Politiche Sociali. Molta attenzione viene posta nel settore delle politiche
sociali. Infatti la Strategia individua due principali problemi, il primo riguarda
la carenza di personale qualificato con competenze tecnologiche e conoscenza
di lingue straniere ed il secondo riguarda invece l'invecchiamento della
popolazione. Per risolvere tali questioni l'Unione ha il compito di promuove la
mobilità di studenti e ricercatori mediante i programmi comunitari esistenti ed
il riconoscimento delle qualifiche e dei periodi di studio e formazione. Per
quanto riguarda il problema dell'invecchiamento, i governi dell'Unione
dovranno ridurre gli incentivi al prepensionamento e aumentare gradualmente
di circa cinque anni l'età di effettiva cessazione dell'attività lavorativa.
Inoltre la strategia di Lisbona punta a far crescere l'occupazione, portandola
dal 61% di media al 70% entro il 2010 e ad aumentare nello stesso periodo il
numero delle donne occupate dal 51% al 60%.42
I giovani rappresentano per l‟Unione Europea delle risorse umane
indispensabili, su cui puntare per lo sviluppo ed è per questo motivo, che essi
dovrebbero essere inclusi in tutti i piani strategici, sia locali che nazionali.
Come ogni risorsa che diventa rara, i giovani devono essere valorizzati,
permettendo loro di esprimere al meglio le proprie potenzialità, per contribuire
con il loro apporto allo sviluppo delle società del domani.
2.1.2. Il Libro Bianco: un nuovo impulso per la gioventù europea
L‟Europa ha quindi segnato l‟inizio di una nuova fase delle politiche
giovanili, trovando ulteriori sviluppi nel 2001 grazie all'adozione del Libro
Bianco della commissione, dal titolo “Un nuovo impulso per la gioventù europea”.
L‟iniziativa fu presentata nel novembre 2001 dal Commissario europeo
42 Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Strategia_di_Lisbona
54
Viviane Reding responsabile dell‟istruzione e della cultura, dopo una
consultazione iniziata nel 2000 in cui 600 partecipanti, tra cui 450 delegati
giovani provenienti da trenta paesi, hanno espresso insieme le loro idee in
merito a temi importanti quali: la partecipazione, l'occupazione, l'istruzione, il
benessere e i valori europei43. Tale documento è nato dall'osservazione che,
nonostante l'estensione delle azioni comunitarie, le istituzioni europee e gli
Stati membri non erano riusciti ad avere una visione unitaria e condivisa
dell'insieme delle politiche per la gioventù. Il Libro Bianco contiene
indicazioni dello scenario, delle sfide, dei temi e delle priorità per
l‟elaborazione di una politica per i giovani nell‟arco di un decennio. La vera
rivoluzione sta nel pensare alle nuove generazioni come una forza sulla quale
costruire la società, e quindi considerare i giovani come una risorsa e non
come un problema. Tale documento ha come obiettivo quello di consentire
una nuova forma di governance, che coinvolga tali soggetti nel processo
decisionale comunitario. Questa impostazione strategica viene ripresa sulla scia
di un importante documento antecedente: il Libro Bianco sulla Governance44. Per
governance si intende in questo caso «l‟insieme delle regole, dei meccanismi e
delle prassi che influiscono sull‟articolazione dei diversi poteri esercitati,
nonché l‟apertura del processo decisionale dell‟Unione per consentire la
partecipazione dei cittadini alle decisioni che li riguardano»45 L‟intento è quello
di favorire il protagonismo dei giovani attraverso il coinvolgimento e la
partecipazione diretta nei progetti dalla fase di ideazione a quella di
realizzazione, nonché nelle procedure previste per la valutazione degli stessi.
Le politiche giovanili, secondo il Libro Bianco, devono coniugare la
dimensione locale e la dimensione europea, le attività settoriali e la visione
d‟insieme per far fronte alle gradi sfide della società ed ai grandi cambiamenti
in atto, quali: l‟evoluzione demografica e sociale, con relativo impatto sui
43 Cfr. http://www.empolese-valdelsa.it/Eures/Guide/Guida%20Europa.pdf 44 “La governance europea. Un libro bianco”, COM (2001) 428, luglio 2001. 45 Tratto dal “Libro Bianco Gioventù: un nuovo impulso per la gioventù europea” del 2001
55
sistemi previdenziali e sulle dinamiche dell‟immigrazione, i mutamenti che
riguardano le forme di vita e lavoro che investono direttamente la gioventù,
l‟integrazione europea e la globalizzazione.46
Inoltre all‟interno del Libro Bianco vengono considerati cinque principi
fondamentali che si intendono perseguire:47
- Apertura: assicurare un‟informazione e una comunicazione attiva nei
confronti dei giovani, formulata nel loro linguaggio, per far sì che
comprendano il funzionamento delle politiche loro rivolte.
- Partecipazione: assicurare la consultazione dei giovani e promuovere
la loro partecipazione alle decisioni che li riguardano e, in linea
generale, alla vita delle loro collettività.
- Responsabilità: sviluppare un'attività di cooperazione nuova e
strutturata per elaborare soluzioni concrete in risposta alle aspirazioni
dei giovani.
- Efficacia: valorizzare la risorsa costituita dalla gioventù, affinché possa
meglio rispondere alle sfide della società e contribuire al successo delle
diverse politiche.
- Coerenza: sviluppare una visione integrata delle diverse politiche che
riguardano la gioventù e dei diversi livelli d‟intervento pertinenti.
Attraverso questi principi, emerge chiaramente la necessità di considerare i
giovani come una risorsa da valorizzare e di grande importanza per lo sviluppo
delle società dell‟informazione. Quindi diviene di fondamentale importanza
coinvolgere tali attori direttamente nelle decisioni e nei programmi politici loro
rivolti secondo un approccio bottom up. Per realizzare una partecipazione attiva
e propositiva, vi è soprattutto l'idea che alla base delle iniziative, vi debba
46 D‟Elia A., Le politiche giovanili: origini, evoluzioni, stato dell‟arte, Bari 28 aprile 2006, p.9 47Cfr.http://db.formez.it/fontinor.nsf/5c85dc5bc1730276c1256e45003b6707/E583D7CC56459B7DC1256F4D0054131D/$file/Libro_Bianco_Gioventu.pdf
56
essere la trasparenza informativa, poiché solo attraverso canali comunicativi
diretti e accessibili vi potranno essere interventi coerenti ed integrati per le
politiche. Occorre quindi che i Paesi realizzino occasioni di scambio, che
abbiano come obiettivo quello di infondere nei giovani il senso di
appartenenza alla comunità, favorendo la comunicazione con le istituzioni e
sviluppando il senso di cittadinanza attiva.
Il valore del Libro Bianco risiede sia nel contenuto programmatico e
progettuale, che nel metodo partecipato con cui sono state identificate le
problematiche comuni a tutti i giovani dell‟Unione48, da fronteggiare attraverso
il coinvolgimento dei giovani stessi. Tale documento è stato seguito da una
risoluzione per la cooperazione europea, approvata dal Consiglio Istruzione e
Gioventù il 30 maggio 2002. Tale cooperazione si articola in due punti
fondamentali: l'applicazione del metodo aperto di coordinamento49(in termini
di partecipazione, informazione, volontariato e ricerca) e la trasversalità delle
politiche giovanili con alti ambiti intersettoriali (come l'istruzione, la
formazione e l'occupazione).
Successivamente con il seguito del Libro Bianco nel 2003 venne posto
come obiettivo quello di incentivare la partecipazione effettiva nel contesto
civico di riferimento, promuovendo una maggiore inclusione dei giovani nei
sistemi rappresentativi democratici ed un migliore accesso alle informazioni ed
alle opportunità che vengono loro offerte.
L‟Unione europea intende promuovere una comunicazione attiva nei
confronti dei giovani, formulata nel loro linguaggio, per far sì che
comprendano il funzionamento dell‟Europa e delle politiche che li riguardano.
Tra gli obiettivi vi è quello di assicurare la loro partecipazione sia alle decisioni 48 Tali problematiche riguardano il prolungamento della gioventù, il ritardo all‟ingresso nella vita adulta, l‟indebolimento del ruolo istituzionale della scuola, della famiglia e delle istituzioni tradizionali come agenti di integrazione, il ritardo nella conquista dell‟autonomia e la presenza di percorsi di vita non lineari. 49 Creato ed adottato nel quadro della politica dell‟occupazione e del processo di
Lussemburgo, definito poi come strumento della Strategia di Lisbona.
57
che, in linea generale, alla vita delle loro collettività, sviluppando una
cooperazione nuova e strutturata tra gli Stati membri e le istituzioni europee
avviando soluzioni concrete in risposta alle aspirazioni dei giovani. Uno dei
capisaldi del Libro Bianco è valorizzare la risorsa costituita dalla gioventù,
perché possa meglio rispondere alle sfide della società, contribuire al successo
delle diverse politiche che la riguardano e costruire l‟Europa di domani.
2.1.3. Il proseguimento degli obiettivi: la “Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale” e il “Patto europeo per la gioventù”
Il quadro di cooperazione auspicato risponde ad un'esigenza forte di
ridefinire una visione d'insieme degli interventi in ambito europeo, con
l'obiettivo di creare uno spazio di opportunità per avvicinare i giovani alle
istituzioni loro più prossime.
Su questi propositi venne approvata la “Carta Europea della
partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale” (Consiglio
d'Europa 21 maggio 2003), documento che offre linee guida ed orientamenti a
cui devono ispirarsi le politiche giovanili a livello nazionale e regionale. Il nodo
centrale consiste nella valorizzazione della “risorsa giovani” attraverso il
coinvolgimento diretto alla vita della comunità locale. Si afferma all‟interno del
documento che tali soggetti devono poter disporre di strumenti per
partecipare attivamente come cittadini alla vita pubblica locale e regionale. Per
garantire una maggiore partecipazione civile, gli enti locali hanno il compito di
far sì che i giovani possano integrarsi nella società, ed hanno il dovere preciso
di sostenere non solo quei soggetti maggiormente a rischio di esclusione, ma
tutti i giovani indistintamente, perché possano meglio rispondere alle sfide
della società e contribuire al successo delle diverse politiche.
58
Vengono definiti gli ambiti di intervento a livello settoriale, che ricoprono
vastissime aree di interesse tra cui: tempo libero, salute, formazione,
educazione, inoltre vengono promosse politiche contro la disoccupazione,
politiche abitative e di miglioramento dell‟ambiente urbano, politiche contro
ogni forma di discriminazione, di violenza e dipendenza. Gli interventi quindi
guardano alla gioventù con un‟ottica di 360 gradi, ed intendono abbattere le
barriere sociali per ovviare a qualsiasi forma di difficoltà che ciascun soggetto
può incontrare lungo il percorso di transizione verso lo stadio adulto.
La Carta europea quindi contiene principi guida destinati agli enti locali sulle
modalità di attuazione delle politiche riguardanti la gioventù, offre un
inventario degli strumenti atti a stimolare la partecipazione dei giovani e
fornisce consigli su come attuare il quadro istituzionale per favorire tale
partecipazione. In particolare al Titolo II intitolato “Gli strumenti per la
partecipazione dei giovani”, si attesta che per ottenere una piena partecipazione alla
vita politica, associativa e sindacale bisogna mettere a disposizione dei giovani
un certo numero di strumenti: informativi, tecnologici, comunicativi,
organizzativi, ecc.
Ancora una volta l‟informazione assume un ruolo chiave in quanto per
partecipare attivamente bisogna conoscere, essere pienamente informati sulle
attività e sui progetti. Gli enti locali e regionali dovrebbero quindi migliorare i
centri esistenti di informazione e di consulenza destinati ai giovani, in modo
tale da offrire dei servizi di qualità, tesi a soddisfare le esigenze espresse dai
giovani.
Nel Novembre 2005 i capi di Stato e di governo europei hanno stipulato un
Patto Europeo per la Gioventù. Tale azione coincide con la fine del primo
ciclo di attuazione del Libro bianco. Secondo la Commissione, le misure e le
azioni proposte in tale patto devono basarsi sulle strategie europee per
l'occupazione e l'inserimento sociale, nonché sul programma di lavoro
"L'istruzione e la formazione 2010 ". L'obiettivo principale è quello di migliorare
59
l'istruzione, la formazione, la mobilità, l'inserimento professionale e
l'inserimento sociale dei giovani europei, facilitando l‟armonizzazione fra la
vita familiare e la vita professionale. Vengono individuati alcuni temi principali,
come l'esigenza di sviluppare la solidarietà tra le generazioni in una società che
invecchia e l'esigenza di garantire una preparazione mediante l'istruzione e la
formazione.
Nello specifico i principali ambiti d'intervento sono:
- Promuovere la cittadinanza attiva dei giovani. Questo significa che
gli stati devono in primo luogo, aderire agli obiettivi comuni imposti dal
Libro Bianco attraverso il metodo aperto di coordinamento50,
assumendosi l‟impegno di sostenere la trasversalità del tema della
gioventù in tutte le politiche. In secondo luogo hanno il compito di
promuovere anche altri strumenti che permettono la partecipazione
attiva, come il programma Gioventù in azione, il portale del Forum Europeo
dei Giovani e l‟European Knowlege Center on Youth Policy (EKCYP)51;
- Promuovere l’occupazione e l’integrazione sociale. Il Patto
Europeo per la gioventù intende promuovere l‟educazione e la
formazione, l‟occupazione e l‟inclusione sociale per i giovani europei in
modo tale da conciliare il lavoro con la vita familiare.
- Promuovere la dimensione giovanile in altre politiche. Viene
esplicitato il ruolo della Commissione europea, la quale ha il dovere di
garantire che ciò avvenga effettivamente, in modo tale, da eliminare
ogni forma di discriminazione sociale.
50 Il metodo aperto di coordinamento costituisce uno strumento fondamentale per armonizzazione le politiche sociali europee con il rispetto delle specificità nazionali e regionali e con la valorizzazione di un approccio decentralizzato. 51 L'EKCYP è una attività di ricerca attuata in cooperazione tra il Consiglio d'Europa e la
Commissione Europea messa a disposizione per vari attori quali i policy-makers, le
organizzazioni non governative ecc.
60
L‟Unione Europea deve anche contribuire allo sviluppo della mobilità dei
giovani, garantendo contemporaneamente che le forme di educazione non
formale abbiano la giusta riconoscenza una volta concluse le esperienze
all‟estero. Per realizzare tali obiettivi sono stati previsti due programmi per il
periodo 2007-2013, ovvero “Gioventù in azione” ed il “Long Life Learning”52.
Il programma in favore dell‟apprendimento continuo mira a promuovere
l‟Europa della conoscenza a tutti i livelli ed a rafforzare i rapporti tra le
istituzioni scolastiche europee, promuovendone l‟integrazione. Il progetto
“Gioventù in azione”53 invece ha lo scopo incoraggiare la partecipazione dei
giovani alla vita pubblica in particolare dei soggetti più svantaggiati,
sviluppando il loro spirito d'iniziativa, d'imprenditorialità e di creatività. Il
programma comporta cinque obiettivi generali che sono: promuovere la
cittadinanza attiva, sviluppare la solidarietà, favorire la comprensione reciproca
dei giovani di paesi diversi, sostenere la cooperazione europea nel settore della
gioventù.
La Commissione ha presentato nel 2009 una Comunicazione dal titolo "Una
strategia UE per i giovani – Investire e Rafforzare. Un metodo aperto di coordinamento
rinnovato per affrontare le sfide e le opportunità dei giovani"54. Questa strategia invita
sia gli Stati membri che la Commissione a cooperare nel settore giovanile
attraverso un metodo aperto di coordinamento. Inoltre propone un approccio
transettoriale, con azioni a breve e lungo termine, che include tutte le aree
politiche concernenti i giovani europei. La Strategia sottolinea l‟importanza del
52 Per il periodo 2007-2013, l‟UE ha stazionato circa 7 miliardi di euro a favore dell'apprendimento permanente (Long life learning) e 900 milioni di euro circa per il programma “Gioventù in azione”. 53 “Gioventù in Azione” è un programma rivolto ad una fascia di età compresa tra i 13 ed i 30 anni ed ha come obiettivo quello di sviluppare tra i giovani il senso di responsabilità, d'iniziativa, d'interesse per gli altri, di cittadinanza e la partecipazione attiva a livello locale, nazionale ed europeo. II programma comprende scambi giovanili internazionali, servizio volontario europeo, e progetti con i Paesi terzi. 54 Cfr. http://www.eurodesk.it/politiche-giovanili-introduzione
61
lavoro giovanile e definisce misure per migliorare sia l‟attuazione delle
politiche a favore della gioventù, sia il dialogo con le giovani generazioni.
La nuova strategia per la gioventù rappresenta il seguito di un ampio lavoro
di consultazione realizzato nel 2008, grazie al coinvolgimento di autorità
nazionali e di organizzazioni giovanili. I giovani stessi sono stati consultati
online e conseguentemente invitati a fornire il proprio feedback sulle proposte
della Commissione, segno di una nuova fase delle politiche di promozione
delle azioni volte ad incentivare il dialogo permanente, come proposto
dall‟UE. Nel novembre 2009, il Consiglio UE dei Ministri per la Gioventù,
composto da 27 Stati membri dell‟UE, ha adottato una Risoluzione su un
quadro rinnovato per la cooperazione europea nel settore giovanile per il
prossimo decennio. La Risoluzione si basa sulla Comunicazione della
Commissione dell‟aprile 2009 “Una Strategia UE per i Giovani: Investire e
Rafforzare”. La nuova Strategia UE per i Giovani definisce tra gli obiettivi
generali quello di garantire le pari opportunità per i giovani nell‟istruzione e nel
mercato del lavoro e promuovere la cittadinanza attiva, l‟inclusione sociale e
solidarietà dei giovani.
In definitiva dopo questo breve excursus sulle politiche europee in favore
della gioventù, è possibile comprendere i motivi per cui i giovani
rappresentano una risorsa su cui l‟Europa ha voluto puntare, soprattutto negli
ultimi quindici anni, attraverso azioni che hanno cercato e tuttora intendono
offrire occasioni di crescita e sviluppo. Vi è la necessità di ripensare al ruolo
indispensabile dei giovani nel processo di crescita del capitale umano europeo
per sviluppare, come previsto dalla strategia di Lisbona, “la società della
conoscenza”. Si considera in questo caso l‟Unione Europea come una
“comunità epistemica”55 portatrice di idee innovative in quanto ha contribuito
a modificare la costruzione delle politiche nazionali, influenzandone: le
55 Per una definizione di comunità epistemica si veda la voce in Capano G., Giuliani M. (a
cura di), Dizionario di politiche pubbliche, Carocci Editore, Roma 2005.
62
soluzioni, le decisioni, gli obiettivi, gli strumenti, generando un apprendimento
della policy. Come emerso dalla consultazione degli Euro-documenti risulta
evidente quanto la partecipazione dei giovani alle decisioni e all'attività a livello
locale e regionale sia essenziale se si vogliono costruire delle società
democratiche ed inclusive. L‟idea è quella di progettare con i giovani e per i
giovani, fornendo strumenti concreti ed efficaci per la partecipazione,
infondendo un senso civico di responsabilità e di cittadinanza attiva.
2.2. I modelli nazionali di politiche giovanili
Nel corso nel Novecento e in particolare a partire dal Secondo Dopoguerra,
in tutti i Paesi occidentali si è potuto assistere ad un consolidamento
progressivo di sistemi di protezione sociale, attraverso riforme legislative ed
investimenti finanziari sempre più consistenti destinati a settori quali:
previdenza sociale, sanità, istruzione, lavoro, eccetera. L‟influenza europea
sugli assetti di welfare è divenuta, dagli anni Novanta, sempre più evidente
attraverso lo sviluppo di interventi di tipo regolativo: norme e dispositivi
legislativi, soprattutto direttive, miranti ad armonizzare le legislazioni nazionali
sulla base di principi comuni o di norme che fissano standard minimi (Naldini
2006).
Pur all‟interno di alcuni indirizzi comunitari, favoriti dalla legislazione sovra-
nazionale dell‟Unione, i sistemi di welfare dei singoli Paesi56, hanno dato vita nel
56 Il sociologo danese Esping-Andersen, in The Three Worlds of Welfare Capitalism, ha introdotto una classificazione dei diversi sistemi di welfare state strutturata in tre tipologie riconoscibili in base alle loro diverse caratteristiche. Questa tripartizione è fondata sulle differenti origini dei diritti sociali che ogni Stato concede ai propri cittadini. L‟autore ha così individuato i seguenti modelli di welfare: il modello liberale, tipico dei paesi anglosassoni (Gran Bretagna, Nuova Zelanda, U.S.A.); il modello conservatore, che è vigente soprattutto nell'Europa continentale (Germania, Austria, Belgio, Italia); infine il modello social-
63
corso degli anni a modelli di implementazione delle politiche altamente
diversificati, come rivelato dalle numerose indagini comparative di settore57.
In questo quadro non è stato semplice per le politiche giovanili assumere un
riconoscimento ed uno statuto proprio.
Anche in Italia si è avviato un processo, per quanto tardivo rispetto ad altri
contesti, di riconoscimento di specifici bisogni dei giovani e della necessità di
dare statuto ai contesti in cui discutere, generare e implementare le politiche
giovani.
Tale processo ha portato ad un nuovo sistema di riferimento, che si
allontana dai tradizionali ambiti di intervento rivolti al disagio e alla
prevenzione e si indirizza, al contrario, verso politiche dell‟agio, atte a favorire
lo sviluppo del protagonismo e della cittadinanza attiva tra i giovani.
Le politiche giovanili si caratterizzano per la particolarità di essere citizen
centred, ovvero definite non solo in base all‟oggetto o al contenuto degli
interventi, ma in base ai destinatari.
Questa natura trasversale rispetto agli ambiti tradizionali (lavoro, istruzione,
salute, politiche sociali, culturali ecc.) porta con sé rischi di sovrapposizione e
mancanza di integrazione con le politiche settoriali. Da un punto di vista
operativo questo si è tradotto in qualche caso in azioni frammentate o in
democratico, che si caratterizza per il grado universalistico degli interventi, è tipico invece dei paesi del Nord Europa. Inoltre diversi studiosi hanno ipotizzato un altro modello, ovvero quello del welfare mediterraneo che accomuna i paesi dell‟Europa meridionale quali: la Grecia, la Spagna, il Portogallo ed anche l‟Italia. 57“Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in Italia e in Europa”, dell‟Osservatorio permanente sulla condizione dell‟infanzia e dei giovani, è la prima ricerca comparativa realizzata nel nostro Paese a cura di Arianna Bazzanella. L‟idea di uno studio sulle politiche giovanili in Italia e in Europa nasce nel 2008. Il lavoro si configura come un aggiornamento di quanto messo a punto in precedenza a partire dallo “Studio sulla condizione e sulle politiche giovanili” realizzato dall‟Istituto IARD di Milano per conto della Direzione Generale e Ricerca della Commissione Europea. Particolarmente innovativi sono stati i Piani Giovani di Zona, descritti in un‟altra pubblicazione di Iprase, uno strumento di partecipazione divenuto punto di riferimento nel contesto nazionale che ha visto poi nascere i PLG (Piani Locali Giovani). La seconda parte della ricerca è composta dai case study realizzati in Danimarca, Germania, Gran Bretagna e Slovenia, mentre la parte finale è una sistematizzazione di indicatori e mappe sulla condizione giovanile in Italia e in Europa. Per un approfondimento: http://www.iprase.tn.it/attivit%C3%A0/studio_e_ricerca/OGI/download/eurogiovani.pdf
64
forme di raccordo tra gli interventi dei diversi settori; altre volte nella
creazione di strumenti organizzativi, amministrativi e finanziari specificamente
dedicati alle politiche giovanili (ministeri, assessorati, uffici, fondi in bilancio).
Nel 2000 lo “Studio sulla Condizione e sulle Politiche Giovanili”,
coordinato dalla Direzione Generale Ricerca della Commissione Europea, ha
individuato quattro modelli di politiche giovanili presenti in Europa. Questo
studio prende come riferimento per la costruzione dei modelli i seguenti
parametri:
- l’origine dei finanziamenti (distinguendo tra quelli pubblici e privati);
- il livello di attuazione delle iniziative (se sviluppate sul piano
nazionale o locale)
- il grado di universalismo o particolarismo degli interventi
(stabilito tenendo conto del livello di copertura degli interventi a
seconda dei destinatari)
- le aree tematiche di riferimento (esclusione sociale, educazione,
lavoro, mobilità, ecc.)
Il primo modello individuato è definito “universalista” e comprende i paesi
del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) che hanno
da tempo sviluppato un sistema di protezione sociale incentrato sui principi di
universalismo e cittadinanza sociale. In questi Paesi la demercificazione è alta,
il sistema cioè tende a ridurre l‟importanza del mercato come fonte di bisogni
e rischi sociali, perseguendo politiche di welfare volte a promuovere
un‟eguaglianza sociale tra i destinatari degli interventi ed un pieno diritto di
cittadinanza e di inclusione sociale.
Il “modello comunitario” di politiche giovanili, comprende i paesi anglosassoni
(Irlanda e Regno Unito) caratterizzati da un regime di welfare liberale, orientato
al mercato ed alla prova dei mezzi per accedere alle risorse. Gli interventi
previsti nel settore delle politiche giovanili sono principalmente preventivi e
65
riguardano: l‟esclusione dal mercato del lavoro, la lotta alla criminalità, la
riduzione della dispersione scolastica, la prevenzione di comportamenti
antisociali e dell‟uso di droghe.
Il “modello di tutela” comprende, invece, i paesi dell‟Europa centrale (Austria,
Belgio, Francia, Germania, Liechtenstein, Lussemburgo e Paesi Bassi) che si
caratterizzano per politiche essenzialmente orientate verso la prevenzione del
disagio giovanile ed hanno un buon grado di apertura in senso universalistico.
Infine il “modello centralizzato” comprende quei paesi dell‟Europa
mediterranea (Italia, Grecia, Portogallo e Spagna), caratterizzati da un grado di
particolarismo ed un orientamento preventivo delle politiche.
Diversi autori sostengono che questi Paesi sono caratterizzati da un welfare
di tipo mediterraneo, in cui la demercificazione è sbilanciata, ovvero è molto
elevata per certe categorie di individui e molto bassa per altri. La
destratificazione, invece, è bassa, si creano quindi nuove differenziazioni
trasversali a quelle di classe: tra gli insiders, titolari di spettanze forti e gli
outsiders titolari di spettanze deboli o privi di spettanze.
Adoperando un grafico bidirezionale in cui le ascisse rappresentano il grado
di particolarismo ed universalismo e le ordinate l‟orientamento e le priorità
degli interventi verso la promozione o la prevenzione, si ottengono quattro
quadranti che illustrano il posizionamento dei quattro modelli di politiche
giovanili europee.
66
Figura 2. Modelli di politiche giovanili: una rappresentazione grafica
Fonte: Bazzanella A., (a cura di) Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in
Italia e in Europa. Uno studio comparato, Provincia autonoma di Trento - IPRASE del Trentino
2010, p.13
A seguito delle recenti trasformazione avvenute all‟interno del panorama
europeo, sia a livello macro (allargamento dell‟Europa a 27 Stati) che micro
(decentramento dei poteri all‟interno degli Stati centralizzati) questo studio è
stato rivisto e aggiornato nel 2006.
Nello specifico alla luce delle riforme avvenute negli ultimi anni, l‟intento è
stato quello di indagare sulle analogie e le differenze esistenti tra i vari Paesi
presi come casi di studio (realizzati a partire dal Libro Bianco e dal Patto
Europeo per la Gioventù) ed inoltre verificare l‟impatto che le linee guida
europee hanno avuto sulle politiche in favore della gioventù all‟interno dei
singoli Stati membri. I paesi presi come riferimento sono: Italia, Germania,
Danimarca, Regno Unito e Slovenia. Nel recente studio è stata inclusa
nell‟analisi la Slovenia, un paese dell‟est Europa che recentemente è entrato a
far parte dell‟Unione, per cui è stato ritenuto interessante osservare lo stato di
avanzamento in materia di interventi promossi in favore della gioventù.
67
Rispetto alla governance delle politiche giovanili è possibile affermare che in
tutti questi Stati esiste un Ministero come riferimento, ma vi sono poi
soluzioni differenti per elaborare le politiche e strutture diverse per garantire il
coordinamento (quali Conferenze, Commissioni, Unità di cui si sono dotati
Regno Unito, Germania e Danimarca). L‟integrazione verticale con gli altri
livelli territoriali esiste sicuramente nel Regno Unito e in Germania, meno in
Danimarca e Slovenia, mentre è in via di sperimentazione in Italia.
In tutti i paesi analizzati è possibile notare un buon livello di trasversalità
degli interventi, ma allo stesso tempo un basso grado di integrazione tra i
diversi Ministeri. Ad esempio in Danimarca e nel Regno Unito le politiche
giovanili rientrano nell‟ambito delle competenze del Ministero della Pubblica
Istruzione, in Slovenia sono accorpate a quelle dello Sport, mentre in
Germania sono comprese nelle politiche del Ministero per la Famiglia, gli
Anziani, le Donne. In Italia invece vi è una delega al Ministero della gioventù
ad hoc proprio per coordinare le azioni di Governo inerenti le politiche in
favore dei giovani in ogni ambito, tra cui istruzione, sociale, educazione,
cultura. Tuttavia nel nostro Paese, non esiste ancora una legge quadro in
materia di politiche giovanili, non vi è nemmeno un‟Agenzia nazionale per lo
sviluppo delle politiche giovanili ed inoltre, ad esclusione degli Informagiovani,
manca un sistema di coordinamento dei principali servizi per i giovani (Forum,
Consulte, ecc.).
Nello specifico per quanto riguarda il livello di evoluzione delle politiche
giovanili è stato possibile osservare un‟apertura verso la promozione e
l‟universalismo in quasi tutti i Paesi (Fig. 3).
In Italia ci si è avvicinati verso un tipo di approccio promozionale con una
più ampia inclusione dei destinatari. Quindi dal modello centralizzato ci si
avvia verso un modello di tipo universalitstico. In Danimarca si conferma un
sistema universalistico con un‟apertura verso le politiche di contrasto
all‟esclusione sociale ed all‟istruzione. Nel Regno Unito si consolida un
68
modello comunitario con attenzione alla prevenzione, ma con una maggiore
apertura verso la promozione e la partecipazione giovanile. La Germania
sembra passare da un modello di tutela ad uno più universalistico. Mentre per
quanto riguarda la Slovenia, anche se non è possibile fare un confronto
diacronico è possibile intravedere i caratteri di un modello universalistico.
Figura 3. L’evoluzione dei modelli nel corso degli ultimi anni
Fonte: Bazzanella A., (a cura di) Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in
Italia e in Europa. Uno studio comparato, Provincia autonoma di Trento - IPRASE del Trentino
2010, p.13.
Quindi, questi ultimi anni hanno rappresentato un periodo di forte
mutamento nel quadro delle politiche giovanili nei Paesi europei. Sono
notevolmente mutate la filosofia e le modalità di intervento con il passaggio a
politiche volte sia alla de-istituzionalizzazione ed alla territorializzazione degli
interventi, sia alla lotta all‟esclusione sociale e alla promozione sociale.
Nonostante le soluzioni politiche e strutturali differenti dei Paesi europei, sono
state riconosciute tendenze comuni generate anche dalla maggiore sensibilità
che i governi a tutti i livelli hanno mostrato per i giovani, non visti unicamente
69
in “negativo”, come categoria vulnerabile e a rischio, ma come risorsa che ha
bisogno di essere alimentata, sostenuta e promossa.
I temi su cui intervengono le politiche sono comuni in molti Stati, anche se
naturalmente variano la gestione e l‟importanza delle iniziative. Accanto ai
settori tradizionali dell‟istruzione, formazione, introduzione al mondo del
lavoro, trattamento della devianza, attività di tempo libero, associazionismo,
servizio militare e civile, è in atto una convergenza recente sulla tematizzazione
della partecipazione politica e, più in generale, della cittadinanza attiva dei
giovani e dell‟integrazione sociale dei giovani immigrati. Inoltre la riflessione
sugli strumenti e le modalità con cui vengono affrontate le politiche giovanili
tendono a convergere verso una strutturazione e formalizzazione forte a livello
centrale. Il metodo aperto di coordinamento rappresenta lo strumento che
consente di agire seguendo linee-guida comuni. A differenza della prima
strategia di intervento della Comunità europea, che operava con norme
sovranazionali vincolanti, si tratta di un approccio “soft” e attento alle
specificità nazionali. L‟obiettivo non è quello di giungere a politiche comuni e
omogenee, ma di individuare obiettivi comuni che possono però essere
raggiunti con politiche diverse a seconda dei vari contesti nazionali. Tale
metodo dovrebbe generare incentivi in favore dell‟attuazione da parte dei
governi nazionali e subnazionali di decisioni coordinate nel rispetto delle
specificità locali e nazionali.
2.3. Le politiche giovanili in Italia: una storia recente
In letteratura non è presente una definizione comune, univoca e condivisa
di cosa si intende per politiche giovanili, dato che ogni paese possiede un
proprio quadro politico nazionale e decide quali sono le finalità a cui devono
corrispondere gli interventi rivolti ai giovani.
70
Analizzare questo tipo di politiche, significa proiettarsi in un ambito
particolarmente dinamico, ricco di fermenti e progettualità, innescate da alcuni
forti cambiamenti avvenuti sia a livello internazionale che all‟interno dei singoli
paesi.
L‟approccio adottato nell‟ambito della programmazione in favore della
gioventù negli ultimi decenni sul piano europeo è stato integrato, trasversale a
più settori di intervento, fondato su linee-guida comuni per quanto riguarda sia
i principi che le azioni. Tuttavia i diversi Paesi hanno seguito una specifica
evoluzione ed un proprio percorso di implementazione degli interventi. Per
questo motivo sarà utile riflettere sul percorso intrapreso dalle politiche
giovanili in Italia, per comprenderne sia l‟evoluzione che lo sviluppo. L‟analisi
verterà sui seguenti punti cercando di offrire una panoramica:
- dei principali riferimenti Costituzionali e legislativi in favore della
gioventù;
- del percorso intrapreso dai Governi, le cui azioni hanno portato alla
nascita prima del POGAS e poi del Ministero della Gioventù in Italia.
- delle iniziative promosse dai Comuni e dalle Regioni attraverso progetti
e servizi istituiti per i giovani;
- dell‟evoluzione degli interventi per la gioventù, che da politiche del
disagio, si sono affermate come politiche dell‟agio, promuovendo
azioni volte a contrastare non solo le problematiche giovanili, ma anche
a favorire il protagonismo e lo sviluppo della “risorsa giovani”.
2.3.1. L’evoluzione delle politiche nel contesto nazionale
Con la nascita dello Stato repubblicano grande attenzione è stata rivolta
all‟infanzia, all‟adolescenza ed alla gioventù. Nel Dopoguerra, chiaramente,
l‟approccio dei Costituenti era più orientato alla tutela del lavoro minorile ed
alla protezione dalla povertà e dallo sfruttamento (Campagnoli 2009). Tuttavia
71
vi è l‟esplicito riferimento anche alla garanzia delle pari opportunità e dei diritti
dell‟infanzia e della gioventù.
Il fondamento giuridico delle politiche giovanili in Italia è costituito
dall‟articolo 31 della Costituzione che al comma 2 specifica che “la Repubblica
protegge la maternità, l‟infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”58.
Inoltre dall‟articolo 37 della Costituzione emerge un maggiore impegno
verso la tutela del lavoro minorile.59 Al di là di questi principi, tuttavia, le
politiche giovanili in Italia hanno faticato molto prima di affermarsi. Il
rimando nell‟attuazione dei principi costituzionali si evince soprattutto per
quanto riguarda il ritardo dei primi interventi che hanno avuto come
destinatari i giovani.
I primi esempi di progetti e servizi pubblici in favore della gioventù, infatti,
sono nati per iniziativa dei Comuni e delle Regioni a partire dalla fine degli
anni „70 ed hanno posto le basi per un‟azione “dal basso” che ancora oggi
rappresenta una caratteristica distintiva delle politiche giovanili in Italia. Infatti
a differenza degli altri Paesi europei in cui la questione giovanile è stata
considerata uno dei compiti istituzionali dello Stato, in Italia inizialmente
avvenne il contrario, poiché l‟iniziativa è provenuta dagli Enti locali. Inoltre a
determinare l‟agenda del Governo furono le varie “emergenze” relative ai
problemi giovanili (Campagnoli 2010). Quindi gli interventi non rientravano in
una programmazione organica ed a lungo termine, ma erano volti alla ricerca
di soluzioni atte a tamponare alcune problematiche ritenute di particolare
urgenza ed in questo modo si agì soprattutto in chiave preventiva, dato che le
58 Articolo 31 Cost. «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l‟adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l‟infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». 59 Articolo 37 Cost. «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l‟adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione».
72
principali tematiche riguardarono nello specifico l‟emarginazione, la
prevenzione del disagio e la lotta alla criminalità. In questo quadro, le politiche
giovanili, a differenza di quanto accadde negli altri paesi europei, hanno avuto
delle difficoltà a svilupparsi. Tali azioni sono comparse in Italia alla fine degli
anni Settanta, in risposta ai comportamenti dei giovani, protagonisti ormai del
tessuto sociale. Queste politiche sono nate con l‟obiettivo di raggiungere
l‟integrazione sociale dei giovani considerati scarsamente adattati (Baraldi,
Ramella 1999).
Nell‟aprile del 1970 si tenne a Roma un “Incontro di studio” promosso dal
Segretario Nazionale per la Gioventù, sul tema “Una politica per la gioventù negli
anni „70”. In quegli anni, la finalità dell‟azione politica era quella di integrare i
giovani all‟interno del tessuto sociale e culturale. L‟opinione diffusa era che
questi soggetti dovevano ricevere assistenza, per essere in grado di adattarsi al
contesto sociale e culturale in cui erano inseriti. Tuttavia non vi era ancora una
logica progettuale ben precisa, poiché gli interventi erano ancora in una fase
pioneristica. In quegli anni vennero elaborati i primi “Progetti Giovani“
grazie all‟iniziativa degli Enti Locali. Tali azioni riguardano interventi di
prevenzione del disagio ed erano rivolti in particolare a coloro che vivevano
situazioni di difficoltà sociale, per sperimentare nuove forme di adattamento60.
Sono gli anni delle manifestazioni studentesche, in cui i collettivi giovanili
rivendicano spazi per esprimere il loro protagonismo sociale. Quindi vi era una
lettura del mondo giovanile come ribelle e deviante, da integrare nel tessuto
sociale, di conseguenza le azioni politiche erano mirate e preventive.
Le logiche progettuali in materia di politiche giovanili cambiarono
lentamente, a seguito delle trasformazioni che riguardarono le nuove
generazioni, che a differenza delle precedenti erano considerate meno attive e
disinteressate alle questioni politiche. Si cercò quindi di incentivare la
partecipazione e puntare sull‟accesso dei giovani all‟informazione. Per questo
60 Cfr. http://www.comune.torino.it/infogio/spg/storia%20del%20settore.pdf
73
motivo sorgono i primi Centri Informazione Giovanile (CIG) dai quali
scaturisce la necessità di creare momenti di confronto. Quest‟iniziativa implica
un preciso impegno da parte dello stato centrale sia nell‟ambito del
coordinamento, che delle risorse. Il primo Centro Informagiovani fu quello
del Comune di Torino inaugurato nel 1982 sulla base del modello francese.
Segue nell‟ambito di queste iniziative, l‟istituzione nel 1983 del primo
Osservatorio Metropolitano Giovanile (OSMEG della provincia di Milano),
un centro organizzato su banche dati automatizzate.
Nel 198561 si svolse il primo Convegno nazionale sui servizi informativi
per i giovani nel corso del quale, data la positività di quelli già operativi, fu
necessario un coordinamento nazionale. Le finalità erano quelle di poter
confrontare le diverse esperienze ed i diversi modelli operativi, analizzare e
proporre soluzioni, sviluppare ed estendere i rapporti con i servizi europei, e
poter procedere alla formazione degli operatori. Per questo motivo, verso la
fine dello stesso anno, prese vita il Coordinamento Nazionale Sistema
Informativo Giovanile (CNSIG)62 composto dai rappresentanti di diversi
ministeri, funzionari di alcune regioni e rappresentanti di centri di ricerca in
campo sociale.
Negli anni „90 le politiche giovanili si orientarono nuovamente verso
tematiche inerenti l‟emarginazione e la lotta alla criminalità. In sostanza in
quegli anni, ci si poneva come interrogativo cosa fare per i giovani, per
prevenire il disagio, per evitare situazioni di rischio e di malessere sociale.
Le principali leggi nazionali, che finanziarono gli interventi in favore dei
giovani furono il Dpr 309/90 (seguito dalla legge 45/99) che istituì il “Fondo
Nazionale per la lotta alla droga” e la legge 261/91 contenente norme atte a
61In occasione dell‟anno internazionale della gioventù, nel corso del quale ha luogo la prima
Conferenza Europea dei ministri responsabili per le politiche giovanili. 62 Il Coordinamento nazionale è stato poi sciolto negli anni „90 ed anche se sono stati
realizzati diversi tentativi per ricostituirlo, ciò è stato possibile solo nel 2007. Cfr.
www.informagiovani.anci.it
74
costituire i “Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in
attività criminose”. Per quanto riguarda le azioni previste in quegli anni, non è
ancora possibile inquadrare vere e proprie politiche per i giovani, poiché
queste forme di intervento erano episodiche e prevalentemente volte al
contrasto del disagio giovanile. In molti casi ha prevalso un pensare ai giovani
come soggetti deboli e privi di capacità ed i governi guardavano alla
disoccupazione, alla microcriminalità, alla tossicodipendenza come fenomeni
allarmanti, correlati al disagio giovanile. Quindi vi era un approccio di tipo
assistenzialistico, che ha dato l‟input all‟attuazione di progetti e servizi che
ponevano i destinatari in un ruolo di fruitori-utenti passivi.
Un passo in avanti si ebbe con la legge 285/97 per la “Promozione di diritti ed
opportunità per l‟infanzia e l‟adolescenza” che istituiva il Fondo Nazionale per
l’infanzia e l’adolescenza, finalizzato alla realizzazione di interventi a livello
nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità
della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione
dell‟infanzia e dell‟adolescenza. La nuova legge propose una diversa modalità
di lavoro, quella della progettazione comune, incentrata sull‟intreccio di una
rete sociale territoriale. Questi elementi si inseriscono all‟interno di un
processo di cambiamento radicale, che è avvenuto con una serie di interventi
legislativi che hanno modificato il carattere assistenziale delle politiche.
Nel 2000, con la legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e di servizi sociali vi fu una riforma radicale del modello assistenziale
italiano, che ha influito sulla programmazione degli interventi anche in materia
di politiche giovanili. Infatti la L. 328/2000 rappresenta la più grande novità
nel campo dei servizi sociali in Italia e presuppone la costruzione di un nuovo
sistema di gestione dei servizi, ma anche la possibilità di stipulare accordi,
convenzioni che permettono una programmazione partecipata di tutti gli attori
sociali, sia cittadini che operatori. Tale legge si fonda sul principio di
75
sussidiarietà63 introdotto dalla legge 59/1997 “Delega al governi per il conferimento
di funzioni e compiti alle regioni e enti locali”(c.d. “Bassanini 1”). Per realizzare i
servizi sociali in modo unitario ed integrato, la legge prevede che gli Enti
locali, le Regioni e lo Stato, ognuno nell‟ambito delle proprie competenze,
provvedano alla programmazione degli interventi e delle risorse. Inoltre viene
promossa la programmazione partecipata, che costituisce il nucleo centrale
degli interventi; tutti gli attori, infatti, sono chiamati in causa per la costruzione
di nuove politiche di promozione del benessere sociale (Trapanese 2005).
Grazie alla L. 328/2000 le persone vengono riconosciute, oltre che come
destinatari degli interventi, anche come soggetti attivi, capaci di collaborare.
Una finalità delle politiche sociali è infatti quella di potenziare la capacità
propulsiva di tutti gli attori nel territorio. Si passa quindi da «una concezione di
welfare orientato all‟assistenzialismo ad un sistema di interventi sociali orientati
alla cura, prevenzione e promozione del benessere» (De Ambrogio 2005,
p.42). Gli enti locali provvedono alla realizzazione dei servizi insieme ai
cittadini, alle istituzioni ed agli organismi non lucrativi di utilità sociale. Per
questo è necessario un maggior coordinamento, così da definire punti di
riferimento comuni per l'attività di tutti gli operatori del sistema. Il
coordinamento è possibile se c'è un documento programmatico comune, che
la legge individua nel Piano di zona e nella Carta dei servizi sociali alla
Persona64. Lo sviluppo di questa iniziativa portò nel 1972, alla costituzione del
63 Il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative vengono svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini, ma esse possono essere esercitate dai livelli amministrativi territoriali superiori, solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto: in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e pertanto più vicini ai bisogni del territorio; in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime. Vedi Staderini F., Diritto degli enti locali, CEDAM , Padova, 2009 64 La Carta dei Servizi Sociali riveste grande importanza, perché dovendo promuovere il benessere dei cittadini, stabilisce un patto tra l'Ente locale e la cittadinanza, basato su principi chiari e condivisi. Pertanto viene realizzata tenendo conto: a) della volontà dell'Ente di fornire un servizio di buona qualità ai cittadini e a coloro che si trovano sul territorio,
76
primo Ministero ai problemi della gioventù65 guidato da Italo Giulio Caiati.
Tale Ministero ebbe vita breve infatti venne a mancare con la caduta del
Governo Andreotti-Malagodi66. Prima del successivo Ministero alle politiche
giovanili bisognerà attendere ben 34 anni.67 Per questo motivo Campagnoli
definisce questa situazione come una sorta di “black out istituzionale”
(Campagnoli 2009, p.17).
In particolare i Piani Sociali di Zona (PdZ) sono lo strumento fondamentale
per definire e costruire il sistema integrato di interventi e servizi sociali, ovvero
di un sistema che mette in relazione i vari soggetti operanti sul territorio,
istituzionali e non, con l‟obiettivo di sviluppare e qualificare i servizi sociali per
renderli flessibili ed adeguati ai bisogni della popolazione (De Vivo 2004). Il
processo di costruzione dei PdZ parte dal territorio e si sviluppa sia attraverso
il lavoro dei Comitati di Distretto, per la parte politica, sia attraverso il lavoro
di tavoli tecnici e tematici, cui partecipano non solo le istituzioni, ma anche il
Terzo Settore, il mondo della cooperazione sociale e del volontariato, le
organizzazioni sindacali e varie forme di associazionismo (Cerase 2005).
assumendo impegni concreti e rendendoli pubblici; b) del coinvolgimento di tutti i soggetti che, avendo partecipato alla definizione dei Piani di zona, erogano le prestazioni sociali sulla base di contratti di servizio, prevedendo costanti momenti di confronto; c) della previsione di periodici momenti di valutazione partecipata sull'andamento dei servizi, nella consapevolezza che le dimensioni della qualità non sono misurabili solo in base ad indicatori oggettivi, ma anche attraverso la condivisione delle esperienze, per attuare un costante miglioramento dei servizi stessi; d) della partecipazione attiva del cittadino alla definizione del progetto nonché della sua eventuale rielaborazione degli interventi; e) della garanzia del rispetto dei reciproci diritti e doveri, per stimolare un continuo confronto tra Servizi Sociali Associati e cittadini. Cfr. http://www.urp.it/allegati/La%20carta%20dei%20servizi.pdf 65 Da notare che il termine pensato per tale Ministero è segno di una rappresentazione condivisa del mondo giovanile come entità problematica, generativa di preoccupazioni o, al più, da mettere sotto tutela. Anche gli interventi quindi erano rivolti all‟assistenzialismo ed alla prevenzione, piuttosto che alla promozione della gioventù. 66 Il Governo Andreotti II, detto anche Andreotti-Malagodi, fu in carica dal 26 giugno 1972 al 7 luglio 1973. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Governo_Andreotti_II 67 Il successivo Ministero sarà istituito nel 2006 con il Governo Prodi.
77
Tabella 4. Lo sviluppo delle politiche giovanili in Italia.
Periodo Lettura mondo
giovanile Finalità azione politico tecnica
Logica progettuale
Aspetti di peculiarità
Nodi critici
1975-‘80
Ribellione Integrazione –adattamento culturale e politico
Ancora non definito
Fase pionieristica: pochi soggetti esploratori di qualcosa di nuovo per l’Italia
Assenza riferimenti e isolamento delle esperienze
Assenza finanziamenti nazionali
1980-‘90
Assenza dei giovani dalla sfera politica (riflusso nel privato), scoperta della soggettività e della quotidianità
Inclusione politica e partecipazione
Castello che ingloba tutte le aree di vita dei giovani vs segmento specifico di interesse
Strategie delle connessioni
Scoperta di nuovi bisogni (informazione)
Individuazione adolescenza e progetti collegati
Diffusione culturale anche alle altre aree politiche
Dispersione delle esperienze
Debolezza politica,ma primi riconoscimenti
Pochi soldi
1990-‘00
Devianza sociale (droga), disagio
Protezione sociale, prevenzione del disagio, distinzione dei destinatari,
Scoperta soggetti particolari (gruppi informali)
Microazioni che includono il tutto
Separazione tra parti del progetto pur in una logica di tipo assemblativa
Progressivo allontanamento dell’area lavoro
Selettività degli interventi
Sviluppo autonomie potenzialità individuali e dei gruppi informali
Avvento Europa e possibilità di finanziamenti e scambi culturali, linguistici, formativi, lavorativi.
Avvento leggi emergenziali (droga e devianza)
Sviluppo legislazione regionale
Molti soldi ma assenza di coordinamento e integrazione tra varie leggi di finanziamento
Assenza programmazione nazionale e territoriale
Progettazione coatta e in fotocopia
Crisi d’identità delle politiche giovanili
2000
Cittadinanza, risorsa per il cambiamento
Negoziazione dei conflitti
Comunicazione intergenerazionale (patto per il futuro)
Sviluppo potenzialità (ad es. nel settore artistico.
Connessione strategie
Accordi di programma
Riconoscimento differenze
Ruolo promozionale ente locale
Progettualità di
comunità
Avvento normative di riforma pubblica amministrazione
Logiche di partnership territoriale
Ruolo terzo settore
Aumento di giovani stranieri
Necessità di riconoscere la dimensione di genere
Famiglia lunga
Riconoscimento
politico
Fonte: C.A. Dondona, R. Gallini, R. Maurizio, Le politiche per i giovani In Italia, IRES – Regione
Piemonte, 2004 (Rapporto di ricerca)
78
Dagli anni ‟90 in poi si è quindi destabilizzato il modello preventivo degli
interventi e si è giunti verso un modello di promozione per quanto riguarda sia
gli obiettivi che le strategie per mettere in atto le decisioni. Così come visto in
precedenza, in Italia fino agli anni ‟80 vi erano interventi frammentati avvenuti
sulla scia di altre politiche guidate da una logica preventiva, ma verso la fine
degli anni ‟90 si verifica un vero e proprio cambio di paradigma.
Per comprendere le cause di tale cambiamento, si possono osservare sia le
variabili endogene che le variabili esogene nella loro interazione reciproca. I
fenomeni che hanno portato ad un cambiamento di rotta delle politiche
giovanili, possono essere compresi solo se si prende in esame il contesto
politico, economico e sociale italiano.
In quegli anni le spinte esogene, provenienti dall‟UE, sono venute ad
incrociarsi con gli stimoli derivanti dal basso, come l‟avvio del decentramento
amministrativo ed il rafforzamento delle pratiche di concertazione tra
istituzioni pubbliche e istituzioni private.
Inoltre con la riforma del sistema dei servizi sociali e soprattutto grazie
all‟individuazione di principi cardine della programmazione partecipata, che
prevedono il coinvolgimento attivo di tutti gli attori presenti sul territorio,
sono mutate le logiche di intervento anche nel campo delle politiche giovanili.
Tale processo, dunque ha avviato il nostro Paese verso politiche atte a
favorire lo sviluppo del protagonismo dei destinatari degli interventi, ed è
emersa la necessità di costruire politiche giovanili che vedano le giovani
generazioni non come utenti passivi, ma come cittadini attivi.
2.3.2. Il Ministero per le Politiche Giovanili
A livello centrale dal 1996 al 2001, le competenze in materia di politiche
giovanili sono state attribuite al Dipartimento Affari Sociali presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Successivamente nel maggio del 2006
79
venne istituito dal Governo Prodi, il Ministero per le Politiche Giovanili e le
Attività Sportive (POGAS) il cui ufficio faceva capo al ministro senza
portafoglio Giovanna Melandri.
A livello normativo con il Decreto legge 181/200668, la Presidenza del
Consiglio ha assunto la competenza statale in materia di sport e le funzioni di
indirizzo e coordinamento in materia di politiche giovanili.69 Nello stesso anno
con successivo decreto (D.P.C.M. del 15 giugno 2006) le funzioni di indirizzo
e coordinamento di tutte le iniziative, anche normative in materia, sono state
assegnate al Ministro che tra l‟altro è delegato:
- a coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare l‟attuazione delle
politiche in favore dei giovani in ogni ambito, ivi compresi quello
economico, fiscale, del lavoro, dell‟istruzione e della cultura, anche
mediante il coordinamento dei programmi finanziati dall‟Unione
Europea;
- a predisporre le azioni di Governo in materia di scambi internazionali
giovanili;
- ad esercitare, congiuntamente con il Ministro della solidarietà sociale, le
funzioni di indirizzo e vigilanza dell‟Agenzia nazionale italiana del
programma comunitario gioventù, nonché prendere parte alle attività
del Forum nazionale dei giovani.
Appena istituitosi, il POGAS ha stilato un Piano nazionale giovani70,
contenente delle linee d‟azione da attuare nell‟arco della legislatura. Il Piano
Nazionale si è posto come strumento trasversale inerente a più ambiti. Infatti il
Documento di Programmazione Economica e Finanziaria del Governo Prodi
per gli anni 2007-2011 attesta che: «il Governo si impegna ad avviare un vero
68 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2006 e convertito nella legge n. 233 del 17 luglio 2006. 69 Decreto Legge n. 181 del 18 maggio 2006 (articolo 1, comma 19) 70 Fonte: http://www.pogas.it/cms-upload/piano-nazionale-giovani.pdf
80
e proprio Piano nazionale per i giovani che risponda agli obiettivi dell‟accesso
alla casa al lavoro, all‟impresa, al credito ed alla cultura». Nello specifico gli
obiettivi previsti sono quelli di:71
- Agevolare l‟accesso dei giovani al mondo del lavoro;
- Sviluppare e valorizzare le competenze e la formazione dei giovani;
- Favorire l‟accesso alla casa per i giovani;
- Contrastare il divario digitale;
- Promuovere la creatività e favorire i consumi culturali “meritori”;
- Favorire e ampliare la partecipazione alla vita pubblica e la
rappresentanza;
- Stimolare il dialogo interreligioso e interculturale;
- Combattere il disagio giovanile;
Nel 2007, accanto agli uffici di diretta collaborazione del Ministro fu
istituito il Dipartimento per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive72
con l‟obiettivo di costruire una struttura di coordinamento e di indirizzo
versatile.
Per gli obiettivi previsti, il Ministero ha messo in atto alcune misure, stilato
dei protocolli e promosso diversi concorsi e bandi. In particolare, per quanto
riguarda il tema di promozione della creatività giovanile, è stato indetto il
concorso “Giovani Idee cambiano l‟Italia”; mentre per promuovere la
partecipazione alla vita pubblica, è stata istituita l‟Agenzia nazionale
Giovani, con funzioni di indirizzo e vigilanza.
71 Piano Nazionale Giovani, 2006, p. 24 72 Il Dipartimento della Gioventù è l'ufficio nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri delegato ad esercitare le funzioni di indirizzo e coordinamento di tutte le iniziative, anche normative, in materia di politiche giovanili e attività sportive. Nel 1972 durante il Governo Andreotti II, era stato istituito un Dipartimento per i problemi della Gioventù, che poi è stato istituito nuovamente il 18 maggio 2006 con la formazione del Governo Prodi II, che lo rinomina Dipartimento per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive, collocandolo al fianco degli altri ministeri per i giovani e lo sport presenti in quasi tutti i Paesi dell'Unione Europea.
81
La cooperazione istituzionale è stata considerata essenziale per il
perseguimento degli obiettivi indicati, per valorizzare le esperienze positive già
esistenti e per imprimere alle politiche giovanili una caratteristica di organicità
complessiva. Quindi le Regioni, insieme con le istituzioni locali e le diverse
amministrazioni centrali, sono state coinvolte attraverso lo strumento degli
Accordi di Programma Quadro (APQ)73 per programmare gli interventi
individuando i settori prioritari nei quali concretizzare le azioni, destinare
finanziamenti, sollecitare nuove progettualità. A sostegno delle azioni per la
stipula di tali accordi, sono state avviate una serie di attività per mettere a
punto specifici strumenti di intervento collegati all‟attuazione del Quadro
Strategico Nazionale 2007-2013.74
Il Pogas ha provveduto in seguito a ripartire, con Decreto Ministeriale del
21 giugno 2007, il Fondo Nazionale per le Politiche Giovanili al fine di
realizzare il massimo livello di cooperazione tra Governo ed enti territoriali in
materia di politiche giovanili. L‟intesa sulla ripartizione del Fondo per il 2007
ha consentito di individuare la quota destinata a finanziare le attività delle
Regioni e delle Province autonome mediante la sottoscrizione di appositi
Accordi di Programma Quadro. Nello specifico, è previsto un investimento di
130 milioni di euro all‟anno per tre anni75 che, grazie ai sistemi di co-
finanziamento delle Regioni (APQ), arrivano ad oltre 500 milioni di euro76.
73 L‟APQ è sottoscritto dalla Regione, dal Ministero dell‟Economia e delle Finanze, e dalle Amministrazioni centrali a seconda della natura e del settore degli interventi previsti e rappresenta uno strumento di programmazione operativa che consente di dare avvio immediato agli investimenti previsti. 74 L'Italia ha presentato un Quadro Strategico Nazionale con l'obiettivo di indirizzare le risorse della politica di coesione europea. La proposta italiana per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 è stata messa a punto in versione definitiva a seguito della conclusione del
negoziato con Bruxelles, ed è stata approvata dalla Commissione europea il 13 luglio del 2007. Fonte:
http://www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp 75 Con la legge Finanziaria del 2007. 76 http://www.pogas.it/cms-upload/piano-nazionale-giovani.pdf
82
Parte dei finanziamenti sono stati adoperati per l‟attuazione di 27 Piani
Locali Giovani (PLG)77 in 16 Regioni. I PLG rappresentano una novità
molto importante in quanto attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento
dei giovani nei processi decisionali, consentono di armonizzare interessi diversi
ed individuare obiettivi comuni, per l‟attuazione di politiche giovanili orientate
allo sviluppo locale.
Nel 2008 il nuovo Governo Berlusconi IV ha modificato il nome
dell‟ufficio in Dipartimento della Gioventù, affidandolo al ministro Giorgia
Meloni. Le novità sono molte, innanzitutto il POGAS cessa di esistere ed al
suo posto viene istituito il Ministero della Gioventù, dedicato unicamente
all'universo giovanile. Tale Ministro ha proseguito sulla scia delle azioni
precedenti ed ha definito quattro precise linee d‟azione.
La prima è quella definita "Diritto al futuro", che comprende un insieme di
misure volte a combattere la condizione di precarietà che i giovani si trovano
ad affrontare; quindi sono posti al centro del programma temi quali il lavoro,
la casa e la famiglia. La seconda consiste nella rivisitazione dell'accordo
“Diamogli credito” che intende garantire agli studenti risorse economiche
sufficienti per potersi sostenere nel periodo di apprendimento. Il Ministero
dunque intende rinegoziare questo accordo con gli istituti di credito, affinché i
prestiti erogati possano rappresentare un concreto supporto agli studi. Vi è poi
la promozione del progetto “1000 talenti”, ossia di un piano di assegnazione
di borse di studio per i giovani selezionati allo scopo di poterli formare e
inserire nelle amministrazioni centrali e periferiche, nazionali ed internazionali.
77 Il Piano Locale Giovani rappresenta il tentativo di condensare le esperienze e le differenti progettualità realizzate in un territorio, in una prospettiva di stabilità, integrazione e partecipazione. Quindi è uno strumento che coinvolge soggetti diversi che condividono la necessità di un lavoro comune per favorire lo sviluppo del territorio, migliorando la qualità della vita della comunità nel suo insieme. Il progetto ha durata biennale e ha l‟obiettivo di accrescere e favorire l‟accesso al lavoro, sviluppare la cittadinanza attiva, migliorare la qualità della vita dei giovani, incrementare lo sviluppo e la fruizione della cultura, favorire la pratica sportiva e avviare percorsi per l‟inclusione sociale.
83
Quarta linea d‟azione del Ministero della gioventù è quella di “Incoraggiare la
meglio gioventù”, ovvero promuovere sotto vari aspetti il diritto alla
partecipazione dei giovani, una partecipazione attiva che diventa lo strumento
per garantire alle giovani generazioni la possibilità di essere cittadini attivi e
responsabili e di sentirsi appartenenti alla comunità.
Tuttavia nonostante i passi in avanti e le buone pratiche avviate,
permangono alcuni aspetti critici come è emerso dalla ricerca del 2010 di
Arianna Bazzanella78. Innanzitutto la debolezza del sistema italiano va
attribuita all‟assenza di una legge quadro in materia di politiche giovanili. Sono
state inoltre riscontrate non poche difficoltà di concertazione e di capacità di
co-decisione da parte degli attori. Oltretutto si registra ancora un divario tra i
principi enunciati nelle sedi comunitarie e le prassi realizzate, così come anche
tra gli intenti e le azioni concrete (Rapporto Eurogiovani, 2010). Vi è inoltre la
mancanza di controllo sull‟efficienza e sull‟efficacia degli interventi anche
perché a livello centrale, non esiste un Osservatorio Ministeriale sui giovani,
mentre il Forum Nazionale dei Giovani, ha stipulato un accordo con il CNEL
per dar vita ad un Centro Studi che ha già pubblicato diverse ricerche. Altro
elemento su cui focalizzare l'attenzione è la disparità piuttosto forte nella
distribuzione territoriale dei servizi e dei progetti, soprattutto fra le regioni del
nord e del sud d'Italia. Come afferma Campagnoli: «nel nostro Paese, parlare
in generale di “politiche nazionali” è sempre difficile, perché emergono
differenze territoriali e sociali così ampie da comportare squilibri fino al punto
di avere la sensazione che l‟Italia non possa che procedere a “due velocità” tra
Nord e Sud del Paese». (Campagnoli 2010, p.93).
78Bazzanella A., (a cura di) Investire nelle nuove generazioni: modelli di politiche giovanili in Italia e in Europa. Uno studio comparato, Provincia autonoma di Trento - IPRASE del Trentino, 2010.
84
2.3.3. Il ruolo delle Regioni e degli Enti locali
Da un punto di vista giuridico, le politiche giovanili locali e regionali si
fondano sulla riforma dell‟ordinamento delle autonomie locali (Legge 142/90
e Dlgs 267/00) e sul federalismo amministrativo basato sul principio di
sussidiarietà (Legge 59/97 e Legge Costituzionale 3/01).
In assenza di un indirizzo da parte dello Stato, le Regioni ed i Comuni sono
stati i principali protagonisti nel definire gli orientamenti delle politiche
giovanili in Italia.
I Comuni sin dagli anni „70 hanno rivestito un ruolo importante nel
contesto di attuazione delle politiche per i giovani, tanto che hanno iniziato a
sperimentare autonomamente alcune iniziative. Questo fu possibile anche in
ragione delle nuove competenze delegate dallo Stato alle Regioni ed ai Comuni
nel 1977 e come visto in precedenza dal Consiglio d‟Europa e dai suoi
Programmi promossi in favore dei giovani.
L‟assenza di una legge quadro nazionale sulle politiche giovanili ha
incentivato molti Comuni italiani a svolgere funzioni che hanno corrisposto in
pieno alle loro prerogative di titolari di politiche di welfare e responsabili ed
erogatori di servizi a favore dei giovani, soprattutto per quanto riguarda
l‟educazione, l‟informazione, il tempo libero e la partecipazione. A partire dal
1981 inoltre sono stati istituiti in Italia i primi Informagiovani, spesso
nell'ambito dei "Progetti Giovani" adottati dai Comuni.
Giovanni Campagnoli79, sostiene che questo meccanismo innescò, fin da
allora, sperimentazioni e buone pratiche molto originali, tanto che ancora oggi
alcune eccellenze si fondano su quei principi, avendo introdotto nei progetti
79 In riferimento alla ricerca condotta da Giovanni Campagnoli, si veda il Capitolo 1: “L‟evoluzione dei compiti e dei ruoli delle politiche giovanili in Italia” in “Esperienze di politiche giovanili in provincia di Milano”, Terzo rapporto dell‟Osservatorio Giovani della Provincia di Milano dello IARD.
85
locali le logiche del principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale80. In
questo contesto i Comuni italiani hanno dimostrato capacità di scambio,
confronto ed emulazione delle pratiche, permettendo la diffusione spontanea
di modelli, sperimentati con successo da alcune Amministrazioni pilota.
Tuttavia non mancano alcune criticità di questi interventi tra cui la carenza di
fondi81, l‟essere considerati opzionali rispetto a compiti ritenuti invece propri
della Pubblica Amministrazione, e la scarsa capacità di fare sistema, tutto
questo condusse per molto tempo verso un tipo di sviluppo «a macchia di
leopardo» (Campagnoli 2010, p.129). Ciò, rappresenta un ulteriore segnale
delle disuguaglianze territoriali presenti nel nostro Paese, già forti sul piano
delle disponibilità economiche soprattutto tra Nord e Sud.
Le Regioni invece hanno cominciato ad occuparsi di politiche giovanili
negli anni „80 e „90. Una posticipazione dovuta anche al generale ritardo con
cui queste istituzioni sono entrate sulla scena istituzionale: infatti, seppur
previste dalla Costituzione del 1948, le prime elezioni regionali si tennero in
Italia solo nel 1970 ed i primi trasferimenti di competenze vi furono con le
leggi del 1977. Come nel caso dei Comuni, le iniziative regionali tentarono di
colmare la carenza di legislazione e di riferimenti centrali in materia di giovani,
ma fino agli anni 2000 finirono per essere settoriali e limitati ad oggetti
specifici.
Come stabilito dal nuovo articolo 117 della Costituzione, con la riforma
del Titolo V del 2001, le Regioni hanno assunto un ruolo di primordine in
quanto sono loro attribuite le competenze legislative in materia di politiche
giovanili, che rientrano nell‟ambito delle materie residuali e quindi di
80 In base al principio di sussidiarietà spetta agli Enti locali e, segnatamente, ai Comuni il compito di attuare le politiche giovanili in quanto autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati. 81 Bisogna tenere conto che le realtà comunali sono per lo più medio piccole (il 75% dei Comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti) e quindi con limitate risorse a disposizione.
86
competenza regionale82. La questione è tuttavia controversa in quanto le
politiche giovanili non possono essere considerate come singola materia,
poiché si tratta di interventi trasversali e che pertanto possono toccare diverse
materie, alcune rientranti nella competenza regionale concorrente (di cui
all‟articolo 117, comma 3, della Costituzione), altre nella competenza regionale
esclusiva83. Inoltre con l‟istituzione del Ministero alle Politiche giovanili è stata
definita come modalità di rapporto tra Stato centrale e Regioni per lo sviluppo
di politiche giovanili la concertazione che avviene attraverso la Conferenza
Unificata Stato Regioni ed Autonomie Locali84. Così, dopo un solo anno
dall‟istituzione del Ministero, nella Conferenza Unificata del 14 giugno 2007, si
è raggiunta l‟intesa di suddividere il Fondo per le politiche giovanili. In
particolare, le risorse destinate alle azioni per il territorio vengono suddivise tra
Regioni (e Province Autonome), rappresentanze dei Comuni e delle Province.
Si è stabilito con il D.P.C.d.M. del 29 ottobre 2008 (secondo la suddivisione
stabilita di 75 milioni di euro) di destinare alle Regioni (e Province Autonome)
l‟80% di questa quota, ai Comuni il 16%, mentre alle Province il 4% (Rapporto
Eurogiovani 2010, p.132). La programmazione regionale definisce un proprio
“Quadro Strategico” che avviene sulla base di Accordi di Programma Quadro
(APQ) siglati tra ciascuna singola Regione ed il Ministero. Si tratta di uno
strumento della programmazione negoziata, che consente di concordare col
Governo obiettivi, settori e aree in cui effettuare interventi per lo sviluppo del
territorio regionale. Dai contenuti degli APQ regionali, emergono, tra i temi
82 La riformulazione della norma contenuta nell‟art.117 ha profondamente modificato il riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni, infatti, lo Stato diventa soggetto a competenza enumerata, in base alle materie indicate nell‟articolo, mentre le Regioni diventano soggetti a competenza generale. Il nuovo testo fissa in modo tassativo le competenze esclusive e concorrenti dello Stato, mentre attribuisce alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione statale. 83 Cfr. http://www.irer.it/Rapportifinali/2006A010_RapportoFinale.pdf/ 84 La Conferenza Unificata è stata istituita dal Dlgs. 281 del 28 agosto 1997 e mira a favorire
la cooperazione tra l‟attività dello Stato e il sistema delle autonomie; esamina le materie e i
compiti di comune interesse.(art. 9, comma 2, del d.lgs. 281/1997).
87
che accomunano tali accordi, quattro azioni specifiche volte a promuovere: la
partecipazione, il volontariato, l‟informazione ed il miglioramento delle
conoscenze sulla gioventù da parte dei poteri pubblici.
Per quanto riguarda gli aspetti positivi a livello regionale emerge che: in ogni
Regione c‟è almeno un Ufficio dedicato alle politiche giovanili, così come
anche nei loro siti web, in cui si trovano sempre precisi riferimenti alle pagine
regionali in materia. Per quanto riguarda lo stato di avanzamento degli Accordi
di Programma Quadro, sono stati sottoscritti 21 APQ con un‟ampia
documentazione e articolati in una struttura uniforme di 12 articoli più gli
elenchi, sia degli interventi attuativi che programmatici, ed è anche prevista
una relazione tecnica ed una scheda per ogni singola attività/intervento.
Inoltre 17 su 21 APQ (81%) hanno un titolo preciso, segno di voler conferire
loro un‟identità chiara e precisa per quanto riguarda il loro contenuto.
Tuttavia per quanto riguarda le difficoltà incontrate nella predisposizione
degli Accordi di Programma Quadro, le concertazioni a livello locale tra
Regioni, rappresentanze delle Province e dei Comuni, sono state in generale
più difficoltose di quelle tra Stato centrale e Regioni stesse e meno proficue dal
punto di vista dei risultati in termini economici relativi ai cofinanziamenti.
Quasi totalmente assente è la progettazione condivisa con il mondo giovanile
(di cui si evidenzia la mancanza di organismi di rappresentanza progettuale) ed
il coinvolgimento del Terzo Settore. Infatti, a differenza di molti altri Stati
europei, in Italia non vi è una rete di organizzazioni che si occupano di
giovani. Inoltre in Italia non esiste un‟iniziativa regionale o nazionale sulla
Carta giovani85. Infine sebbene gli Osservatori sui Giovani siano previsti dalla
normativa regionale in almeno 12 Regioni, quelli attivi e che svolgono con
continuità la loro azione sono molti meno (Rapporto Eurogiovani 2010).
85 La Carta giovani è un‟iniziativa promossa solitamente a livello comunale nelle grandi e medie città, per agevolare i giovani nella fruizione di servizi sia pubblici che privati. A seconda delle formule, la Carta permette l‟accesso a musei, impianti sportivi, biblioteche, ostelli, ecc. oltre a sconti e facilitazioni.
88
Per quanto riguarda le Province pur beneficiando solo di quote residuali, si
sono comunque distinte negli anni per aver sostenuto e promosso
direttamente numerose attività: come progetti di interesse provinciale o sovra-
comunale, ricerche, bandi, sostegno tecnico, assistenza alla progettazione dei
Comuni, funzione di raccordo di interventi sul territorio, offrendo attività
formativa ed informativa ad operatori e funzionari comunali. Tutto ciò, spesso
con risorse marginali e con poca integrazione con altri Assessorati, all‟interno
della stessa Amministrazione provinciale. Le Province in alcuni casi, hanno
iniziato a svolgere un ruolo forte, attivandosi per creare alleanze virtuose sul
territorio con Università, Fondazioni bancarie, Unioni di categoria, Camera di
Commercio, ecc. Tutta questa attività, ha permesso all‟UPI (Unione Province
Italiane) di essere riconosciuta dal Ministero come partner privilegiato nello
sviluppo degli interventi per i giovani. Nella stipula degli accordi tra Governo
ed Enti Locali, all‟Unione delle Province è stato assegnato un doppio ruolo, sia
propositivo che consultivo. Infatti, l‟UPI beneficia dal Ministero di un
contributo annuo di 3 milioni di euro, da utilizzare per interventi posti in
essere direttamente dalle Province. Inoltre, rispetto alla funzione consultiva, le
UPI devono essere sempre interpellate dalle Regioni in fase di predisposizione
degli APQ.
2.4. I giovani in Campania e le politiche per la gioventù
La Campania ha il grande vantaggio di possedere un prezioso capitale
umano su cui investire: i giovani. Infatti è la Regione più giovane d‟Italia,
potendo contare su 1.565.599 giovani su 5.824.662 abitanti86, pari circa al 28%
della popolazione nel 2010. Queste cifre segnano un‟importante differenza con
86 http://demo.istat.it/pop2010/index.html
89
la situazione italiana nel suo complesso, caratterizzata da un marcato
invecchiamento della popolazione87. Oltre la metà di questi giovani risiede
nella provincia di Napoli, che si qualifica come la provincia più giovane
d‟Italia88. Tuttavia vi sono molti ostacoli che impediscono di esprimere le
potenzialità dei giovani. Osservando i dati Istat del 2009, emerge che il
problema della disoccupazione riguarda prevalentemente la fascia di età tra i
15 ed i 24 anni che in Campania raggiunge il 38%. Inoltre molto elevata è la
percentuale di giovani donne disoccupate (41,7%).
Tabella 5. Tasso di disoccupazione 15-24 anni per sesso e regione Anno 2009 (valori percentuali)
Regioni Totale Maschi Femmine Piemonte 6,8 6,1 7,8
Valle d'Aosta 4,4 3,5 5,6
Lombardia 5,4 4,6 6,4
Trentino-Alto Adige 3,2 2,6 4,0
Veneto 4,8 3,6 6,4
Friuli-Venezia Giulia 5,3 4,5 6,4
Liguria 5,7 4,6 7,1
Emilia-Romagna 4,8 4,2 5,5
Toscana 5,8 4,2 7,8
Umbria 6,7 4,7 9,3
Marche 6,6 6,2 7,2
Lazio 8,5 6,8 10,8
Abruzzo 8,1 6,5 10,5
Molise 9,1 7,8 11,0
Campania 12,9 11,4 16,0
Puglia 12,6 10,8 16,2
Basilicata 11,2 9,6 13,9
Calabria 11,3 9,9 13,9
Sicilia 13,9 12,4 16,6
Sardegna 13,3 11,5 16,0
ITALIA 7,8 6,8 9,3
Fonte: Istat, 2009
87 In Italia nel 2010 i giovani dai 15 ai 34 anni sono 13.793.850 su un totale della popolazione di 60.340.328 pari al 22,8%. 88 Nella provincia di Napoli secondo i dati Istat aggiornati al 2010 i giovani dai 15 ai 34 anni sono 844.591 su un totale di 3.079.685 di abitanti, pari al 27,4%
90
La comparazione con il dato nazionale conferma la tendenza, infatti mentre
nel 2009 la percentuale era del 25,4%, a marzo 2011 l‟Istat segna un nuovo
record: il tasso di disoccupazione giovanile (fascia 15-24 anni) continua a salire
e si attesta al 28% , il che vuol dire che attualmente 1 giovane su 3 nel nostro
Paese è disoccupato. La rilevazione Istat indica che il tasso tocca il suo
massimo per le ragazze del Mezzogiorno, quasi la metà (il 42,4%) è infatti
senza lavoro.
Questi dati sono ancora più allarmanti, perché non imputabili alla mancanza
di qualificazione dei lavoratori giovanili nella nostra Regione, visto che è in
aumento il livello di istruzione universitaria, soprattutto per le ragazze che tra
l‟altro conseguono i risultati migliori e nel breve tempo.
Secondo l‟indagine Istat condotta per l‟anno accademico 2007-2008,89 in
Campania le giovani donne laureate a 25 anni sono molto di più dei loro
coetanei maschi, infatti le laureate costituiscono il 22,7% mentre i laureati il
14,7%.
Tabella 6. Indicatori dell'istruzione universitaria per regione Anno accademico 2007-2008
Laureati per 100 persone di 25 anni
Regioni M F MF
Piemonte 13,1 18,3 15,7
Valle d'Aosta 15,1 19,2 17,1
Lombardia 14,2 18,4 16,3
Trentino-Alto Adige 9,6 14,4 12,0
Veneto 13,6 17,8 15,7
Friuli-Venezia Giulia 15,8 23,4 19,5
Liguria 17,9 25,7 21,8
Emilia-Romagna 13,6 19,3 16,4
Toscana 14,4 21,5 17,9
Umbria 15,1 26,4 20,6
Marche 15,8 25,8 20,7
Lazio 17,6 25,3 21,4
89www.istat.it/lavoro/sistema_istruzione/Tavuniv8.xls
91
Abruzzo 17,9 27,4 22,6
Molise 19,7 31,5 25,7
Campania 14,7 22,7 18,7
Puglia 15,1 24,1 19,6
Basilicata 17,7 28,4 23,1
Calabria 16,2 27,2 21,7
Sicilia 13,6 19,7 16,6
Sardegna 12,0 23,1 17,4
ITALIA 14,7 21,7 18,1
Nord 13,9 18,8 16,3
Centro 16,2 24,3 20,2
Mezzogiorno 14,8 23,3 19,0
Fonte: Istat, 2007-2008
Tali fattori costituiscono una delle maggiori cause di allungamento della
condizione giovanile e contribuiscono ad alimentare il cosiddetto fenomeno
della “famiglia lunga”, caratterizzato da un maggiore ritardo nell‟uscita dalla
famiglia di origine.
Alla luce dei dati, bisogna allora interrogarsi su cosa è stato fatto e come si
intende proseguire per offrire occasioni concrete ai giovani di emanciparsi e
raggiungere l‟autonomia.
Le politiche giovanili dovrebbero trovare nuove strade per arginare questi
fenomeni ed intervenire con azioni di sostegno e di incentivo all‟occupazione
soprattutto femminile ed agire con politiche di sviluppo territoriale in
particolare nel Mezzogiorno.
2.4.1. Il settore delle Politiche Giovanili e la legislazione regionale
Il Settore Politiche Giovanili della Regione Campania ricopre un ruolo
trasversale ed assume diverse competenze. Principalmente svolge il compito di
curare iniziative tendenti ad innalzare i livelli della formazione, favorire
92
l'inserimento sociale e lavorativo dei giovani, nonché d'incentivare lo sviluppo
dell‟imprenditorialità giovanile.90
Il quadro di riferimento legislativo regionale in cui la Campania ha elaborato
le proprie politiche risale al 1989, con la L.R. n.14/1989 che ha come oggetto:
“Istituzione del Servizio per le politiche giovanili e del Forum regionale della gioventù”. In
questo modo la Regione Campania è stata una delle prime91 ad aver istituito il
Servizio per le politiche giovanili che costituisce la struttura di
coordinamento di tali politiche ed è la stessa Regione che ne definisce i
parametri di azione. La legge regionale assegna a questo Servizio la funzione di
promuovere studi e indagini, raccogliere dati e diffondere informazioni relative
alla condizione giovanile; valutare l'impatto della politica regionale; curare
iniziative tendenti ad innalzare i livelli della formazione, favorire l'inserimento
sociale e lavorativo dei giovani, incentivando lo sviluppo anche di forme di
imprenditorialità giovanile. Inoltre esercita un'azione di supporto nei
confronti dei singoli Assessori, volta a favorire l'adozione di provvedimenti di
loro competenza e conseguire una politica coordinata a favore dei giovani e di
promuovere l'adempimento di convenzioni internazionali, direttive e
regolamenti comunitari concernenti settori a forte impatto per la condizione
giovanile nell'ambito delle proprie competenze92.
Con questa legge, si istituiscono: il Forum regionale della Gioventù,
l‟Osservatorio sulla condizione giovanile e l‟Albo Regionale delle
Associazioni Giovanili (art. 5 della L.R. n. 14/1989).
Nel 1996 venne approvata la legge sugli Informagiovani n. 26
“Promozione ed incentivazione del servizio Informagiovani” grazie alla
quale la Regione consolida il binomio informazione/partecipazione attraverso
la promozione dei Servizi Informagiovani, «ai fini dello sviluppo
90 Fonte: http://www.giovani.regione.campania.it/index.cfm?m=99 91 Fonte: http://2006.campaniagiovani.it/articoli/details.php?ID=211 92L.R. n.14/ 1989 Articolo 2. Cfr.http://www.scouteguide.it/politichegiovanili/Documenti/Campania_LR_14_1989.pdf
93
dell'informazione, quale necessario strumento per favorire l'interazione e la
partecipazione dei giovani e come prevenzione primaria, nel quadro del
superamento degli ostacoli di ordine culturale, sociale ed economico, che
impediscono la piena maturazione» (L.R. 26/1996 Art.1). La Regione
Campania propone inoltre la costruzione di una rete di strutture, di diversa
tipologia, dei Servizi Informagiovani, raccordate tra di loro e distribuite sul
territorio; tale rete è denominata "Sistema Informativo Regionale
Giovanile" (S.I.R.G.).
Si ricorda che l‟anno successivo si tenne la prima conferenza regionale sulle
Politiche Giovanili del 1997, costruita al fine di discutere e proporre idee e
progetti propulsivi sul tema della gioventù.
Molto importante è la Circolare 2/2000 del settore Politiche Giovanili, in
cui viene dato ampio rilievo alla partecipazione sottolineando che «è quanto
mai urgente accelerare i processi partecipativi, al fine di rendere operativa la
rappresentatività dei giovani nelle strutture istituzionali e associarli alla
cogestione dei progetti che li riguardano a partire, nello specifico, da quelli
istitutivi delle strutture informative previste dalla legge, fino a quelli di
programmazione e pianificazione delle relative attività, in modo da fargliene
assumere direttamente la responsabilità e renderli compartecipi di una politica
che essi stessi conducono».
La L.R. n. 14 del 2000 che ha come oggetto la “Promozione ed incentivazione
dei Servizi Informagiovani e Istituzione della rete territoriale delle strutture” offre una
rivisitazione ed una trasformazione della legge regionale precedente,
occupandosi in particolare delle funzioni di programmazione, coordinamento
e pianificazione territoriale della Regione in rapporto alle esigenze e ai bisogni
informativi dei giovani. Viene dichiarato esplicitamente che la Regione
Campania ha il compito di promuovere l‟istituzione dei Servizi Informagiovani
della rete, vigilare e coordinare gli interventi e le attività.
94
La Regione dimostra così di essere consapevole delle potenzialità sottese al
binomio informazione/partecipazione, sostenendo che l‟interazione reciproca
tra queste due dimensioni possa contribuire ad alimentare concretamente la
cittadinanza attiva dei giovani. Per questo motivo, attraverso il Settore
Politiche Giovanili, costante è la sua azione di sensibilizzazione nei confronti
degli Enti locali e varie sono le iniziative promosse in questo campo.
Attualmente le competenze e le finalità del Settore Politiche Giovanili nella
Regione Campania rispondono a quattro priorità93:
- Informazione: per migliorare l'accesso dei giovani all'informazione, la
partecipazione alla vita pubblica e la loro crescita come cittadini attivi, è stata
ampliata la rete informativa dei servizi Informagiovani sviluppandola nel
S.I.R.G. (Sistema informativo regionale giovanile).
- Partecipazione: viene incoraggiata la cittadinanza attiva e la partecipazione
effettiva dei giovani alla vita democratica. In tale ottica un ruolo fondamentale
è svolto da organismi di rappresentanza quali il Forum regionale della
gioventù, i Forum comunali e provinciali, e la Consulta regionale dei ragazzi
della Campania.
- Formazione: sono previsti interventi di Istruzione e Formazione Tecnica
Superiore (IFTS) per la formazione di quadri e tecnici a media ed alta
professionalità, che si affiancano ai percorsi di formazione di secondo e terzo
livello.
- Progetti e scambi: vengono promosse le attività socio-culturali organizzate
da associazioni o enti, in diversi settori (cultura, azione sociale, mobilità dei
giovani lavoratori, studenti o volontari, ecc.) mediante politiche di scambio,
che favoriscano la solidarietà ed una consapevolezza della Cittadinanza
Europea.
93 Come riportato sul sito www.giovani.regione.campania.it
95
2.4.2. I servizi presenti sul territorio ed i progetti attivati
L‟Assessorato della Campania dispone di un Centro risorse che ha attivato
un Osservatorio che produce documentazione, studio, raccolta, archiviazione,
implementazione e coordinamento di tutte le informazioni di interesse
giovanile pubblicandole sul portale della regione Campania. L‟Osservatorio
sulla condizione giovanile in Campania conduce studi, ricerche ed analisi sui
problemi giovanili e fornisce il necessario supporto tecnico-scientifico al
Servizio per le politiche giovanili e al Forum regionale della gioventù
(Dondona, Gallini, Maurizio 2004). Questo, seppur previsto dalla L.R
14/1989, venne istituito soltanto nel 2003. Nello stesso anno si è inoltre
costituito un Comitato promotore al fine di rendere operativo il Forum
istituito dalla suddetta Legge Regionale.94 Nel maggio 2003 le organizzazioni
promotrici sono state ricevute, prima, dall‟Assessore Regionale alle Politiche
Giovanili, e poi dal Presidente del Consiglio Regionale, deputato alla
convocazione dell‟organismo. Gli incontri istituzionali hanno avuto un grande
successo, infatti il Forum è stato poi costituito ufficialmente il 25 febbraio
2004 e attualmente è formato da un'Assemblea composta da 26 componenti di
cui 13 in rappresentanza delle Associazioni giovanili nazionali e/o regionali,
iscritte all'Albo Regionale delle Associazioni Giovanili e 13 rappresentanti per
ciascuna forza politica giovanile regionale95. La Regione, inoltre, nel 2008 ha
stipulato con il Ministero della Gioventù un Accordo di Programma Quadro
94 Come emerge dalla consultazione del sito web dell‟Osservatorio, l‟obiettivo di tale struttura è quello di monitorare la condizione giovanile al fine di ottenere una conoscenza approfondita e globale dei giovani, che sia in grado di cogliere la dinamicità del mondo giovanile, delle variazioni che intervengono riguardo a interessi, abitudini, attività, e che aiuti a cogliere anche le esperienze positive che vivono i giovani e che permettono loro di crescere e di divenire adulti. Le attività dell'Osservatorio si sviluppano attraverso l'esplorazione, la rilevazione e la documentazione delle realtà culturali giovanili in Campania, lo studio teorico ed empirico (ricerca), la realizzazione di progetti e iniziative di intervento con il contributo e a supporto del protagonismo e della progettualità giovanile (ricerca-azione, eventi, produzioni). Fonte: http://www.giovani.regione.campania.it/index.cfm?m=75 95Fonte: http://www.giovani.regione.campania.it/index.cfm?id=596
96
(APQ), in forza del quale una parte delle risorse del Fondo Nazionale per le
Politiche Giovanili passa alla Regione e da questa agli Enti Locali.
La Regione ha promosso l'attivazione dei Servizi Informagiovani, che
negli ultimi si sono consolidati come strumenti innovativi di grande rilevanza
sociale in grado di supportare i processi partecipativi e decisionali giovanili,
allargandone le opportunità, favorendo, più in generale, quelli di transizione
nelle fasi della vita. I servizi Informagiovani che devono rispettare norme e
standard di servizio definiti a livello nazionale e regionale, sono servizi sociali a
disposizione di tutti i giovani, senza discriminazioni né barriere (fisiche,
culturali, psicologiche o d'altro tipo). Inoltre, compito delle strutture è favorire
il coinvolgimento delle organizzazioni giovanili e degli operatori del settore
dell'informazione a livello regionale e locale, nella definizione e nell'attuazione
di nuove strategie informative. Nel dicembre 2007 il Ministero e l’ANCI
hanno stipulato la convenzione sull’Azione di Sistema per la promozione di un
Coordinamento Nazionale Informagiovani, nel quale sono state illustrate la
governance del progetto e le singole azioni da avviare nel corso del triennio 2008-
2010. Allo stesso modo, per attivare la partecipazione istituzionale dei giovani
la Regione Campania promuove lo sviluppo del sistema dei Forum Giovanili.
Il Forum Regionale della Gioventù, organismo autonomo, ha il compito di
rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei giovani, attraverso la loro
partecipazione attiva alla vita sociale e politica. Tale sistema partecipativo
svolge la funzione di essere un tramite per la diffusione di stimoli provenienti
dall’azione dei Forum comunali e provinciali offrendo, pertanto, ai giovani un
luogo in cui possano esprimersi liberamente e fare proposte progettuali. Allo
stesso tempo, tale organismo consente ai Comuni, agli Enti Locali ed alle
istituzioni, di consultare i giovani su questioni specifiche.
Per quanto riguarda i progetti maggiormente significativi, che la Regione
Campania ha avviato nel corso degli ultimi anni, si riporta una breve
97
descrizione dei Piani Locali Giovani e dei Piani Territoriali di Politiche
Giovanili.
In Campania i Piani Locali Giovani hanno interessato solamente due
Comuni, ovvero, Portici96 nel corso di due sperimentazioni e Napoli97 nel
corso di una sperimentazione realizzata nell‟annualità 2009-2010. Tali
sperimentazioni sono state affidate entrambe all‟ANCI e si sono avvalse della
partecipazione e dell‟assistenza tecnica della rete ITER.98 Il Piano locale
giovani può essere definito come uno strumento utilizzato per l‟attuazione di
politiche giovanili orientate allo sviluppo locale nel suo complesso e
all‟aumento della partecipazione dei giovani all‟interno dei processi decisionali
locali. L‟attore collettivo principale è la comunità locale in quanto il progetto
nasce con l‟obiettivo di sostenere l‟azione degli Enti locali, che in partenariato
con gli attori sociali portatori di interesse offrano importanti contributi per le
Politiche giovanili. I PLG, inoltre, hanno il compito di realizzare sistemi di
azioni che creino concrete opportunità di autonomia delle giovani generazioni.
Tali azioni sono identificate in diversi ambiti, che riguardano principalmente
l‟occupazione, l‟accesso alla casa e al credito.
Per quanto riguarda i Piani Territoriali di Politiche Giovanili (PTG),
come avremo modo di approfondire nel prossimo capitolo, costituiscono
un‟assoluta novità per la programmazione regionale in materia di politiche per
la gioventù. I PTG hanno lo scopo di promuovere la costruzione da parte dei
Comuni, associati in distretti scolastici, di piani organici che mettano a sistema
tutti gli interventi di politiche giovanili presenti sul territorio, spesso in maniera
scollegata ed episodica. In particolare per quanto riguarda gli interventi riferiti
96 Portici ha preso parte sia alla prima sperimentazione nel 2007 che alla seconda nel 2009. 97 Il PLG di Napoli è stato approvato con D.G.M. n. 1092 del 23/07/2008 e realizzato nell'annualità 2009-2010 98 Iter è un'associazione di enti locali e associazioni no profit (delegata dagli Enti locali a rappresentare la partnership) finalizzate all'allargamento della partecipazione e alla promozione dei diritti dei cittadini giovani. Fonte: http://www.reteiter.it/
98
all'offerta informativa, alla partecipazione e al protagonismo giovanile, ciò è
reso possibile attraverso il rafforzamento e l'istituzione dei Forum per la
gioventù ed alla progettazione di rete tra comuni, scuole, associazioni giovanili
ed altri soggetti interessati alla condizione giovanile. Inoltre i Piani Territoriali
di Politiche Giovanili, agiscono in un‟ottica integrata e organica, consentendo
il coinvolgimento e la condivisione degli obiettivi da parte di vari attori, a
partire dagli stessi giovani, che spesso sono tenuti fuori dalle scelte che li
riguardano e che hanno finalmente l‟occasione di esprimere le loro idee ed
opinioni nel corso della progettazione.
Grazie a queste importanti sperimentazioni, le politiche giovanili si
configurano sempre più come politiche di sviluppo e di crescita di capitale
umano. Si tratta di politiche flessibili ed adattabili a seconda dei contesti
territoriali, basate sul coinvolgimento e la partecipazione attiva dei giovani e
dei diversi attori che operano direttamente o indirettamente per i giovani.
Inoltre questi progetti offrono un modello innovativo di governance nel quadro
di una programmazione negoziata, seguendo un approccio integrato e
complessivo.
99
Capitolo 3: La valutazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili nella Provincia di Napoli
" I giovani in tutto il mondo hanno aspirazioni e desideri di partecipare a pieno titolo nella vita
delle loro società. Sono i principali agenti di cambiamento sociale, di sviluppo economico e
innovazione tecnologica. Dovrebbero vivere in condizioni che favoriscano la loro creatività, gli
ideali, la passione, sviluppando una tensione al miglioramento della loro società. Sono di fronte
ad un paradosso: integrarsi nella società attuale ed esserne contemporaneamente una forza per
trasformarla".
Onu: “Making Commitments Matter
Toolkit for young people to evaluate national youth policy” 2007.
3.1. L’oggetto di valutazione: la programmazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili
La Regione Campania ha avviato da tempo un percorso innovativo di
programmazione delle politiche giovanili, che sulla base della Carta Europea
della Gioventù è teso a valorizzare l‟autonomia degli enti locali e la
partecipazione dei cittadini, soprattutto giovani, ai processi decisionali. Di qui
la promozione, nell‟ambito delle “Linee Operative del Quadro Strategico per le
politiche giovanili della Regione Campania” (Deliberazione n. 1805/2009), di Piani
Territoriali di Politiche Giovanili (PTG). La metodologia di tali Piani, apre una
nuova fase nella pianificazione degli interventi e dei servizi rivolti alla
popolazione giovanile, proponendosi come strumento di sperimentazione a
livello territoriale, di un sistema coerente e organico di azioni, che superando la
tradizionale frammentarietà del settore, tenga conto delle risorse e delle
peculiarità dei diversi territori e risponda efficacemente ai bisogni locali. Grazie
ai PTG le politiche si aprono a processi di pianificazione strategica,
impiegando nuovi strumenti di programmazione. Questi interventi intendono
superare un approccio reattivo e contingente alla lettura dei problemi, evitando
analisi basate su azioni troppo frammentate e ideazioni deterministiche,
favorendo l‟attivazione di processi di cooperazione tra attori locali, volti a
formulare delle strategie condivise a medio-lungo termine. Il compito della
100
programmazione diventa quello di mobilitare una pluralità di attori attivando la
cooperazione e l'integrazione fra diversi settori, politiche e livelli istituzionali.
Infatti, i PTG prevedono misure integrate ed intersettoriali per costruire piani
organici che sistematizzino tutti gli interventi in favore dei giovani presenti sul
territorio. L‟obiettivo è uscire dalla visione tradizionale di elaborare singoli
progetti suddivisi tra diversi livelli istituzionali, poiché è evidente che senza un
filo conduttore tali azioni sono slegate ed episodiche, quindi poco coerenti e
producenti in termini di risultati concreti e duraturi.
Attraverso le esperienze maturate nel corso degli ultimi anni, nel campo
dell‟informazione, con il potenziamento della rete SIRG, con la promozione di
una forte partecipazione dal basso dei giovani attraverso i Forum e con la
promozione di progettualità attraverso specifici programmi, è stato ritenuto
necessario far confluire le azioni esistenti in un progetto unico. Infatti, vi è
un‟opinione condivisa da parte degli amministratori, che le azioni realizzate
sinora, abbiano avuto valenza debole sia nella fase progettuale che nella fase
attuativa con tempi e modalità di realizzazione diversi, segnando uno sviluppo
disomogeneo sul territorio regionale. Gli interventi sono stati attivati quasi
esclusivamente sulla base di una personale sensibilità degli attori locali,
producendo una diffusione a “macchia di leopardo” con provvedimenti
episodici e privi di una visione di insieme99.
L‟idea maturata con la programmazione dei PTG, invece, è quella di
costruire un disegno coerente con una finalità unitaria, non solo per
promuovere una forte interazione tra le azioni ed i servizi esistenti, ma anche
per offrire un nuovo modo di elaborare gli interventi futuri, per giungere ad
una visione d‟insieme.
Grazie ai Piani territoriali di Politiche Giovanili le istituzioni hanno
l‟occasione di elaborare, insieme ai giovani, le linee programmatiche di azione.
99 Dichiarazione dell‟assessore regionale alle Politiche Giovanili Alfonsina De Felice nella Prefazione dell‟opuscolo della Regione Campania “Piani Territoriali di Politiche Giovanili” 2010.
101
Vi sono quindi tutte le premesse per realizzare un cambiamento sostanziale
nei processi decisionali e attuativi delle politiche, in quanto lo sviluppo dei
progetti può essere il frutto di una costruzione sociale condivisa. Si mira ad
ottenere un processo di sviluppo che parte “dal basso” attraverso un'attività di
concertazione e dialogo tra i diversi attori che operano nell‟ambito delle
politiche giovanili.
Si sposta finalmente l‟attenzione verso le specifiche esigenze locali,
ponendosi come obiettivo lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse
endogene del territorio. Per realizzare gli obiettivi a cui è stata data priorità
nella programmazione, si ha la necessità di riflettere sulle specifiche esigenze e
bisogni del contesto locale, cercando di realizzare interventi che tengano conto
dei punti di forza e di debolezza dei luoghi in cui tali azioni vengono
implementate. La programmazione va intesa soprattutto come momento di
confronto e partecipazione, prevedendo uno scambio creativo in cui ciascun
attore, portatore di una specifica definizione dei problemi, delle priorità e delle
domande emergenti, contribuisce a creare una visione d‟insieme della
comunità locale. Quindi il progetto ha la funzione di favorire la comunicazione
ed il dialogo permanente tra la popolazione giovanile e gli Enti locali.
I PTG utilizzano uno degli strumenti principali delle politiche di
governance,100 ovvero quello della programmazione negoziata,101 che rappresenta
«una politica pubblica per lo sviluppo» (Cerase 2005, p.9).
100 Le politiche di governance attengono ad un concetto di gestione del potere pubblico maturato in alcuni paesi industrializzati in particolare tra gli anni „70 ed „80. Quello della governance è un concetto appartenente alla cultura anglosassone, che poi ha successivamente trovato applicazione nelle politiche pubbliche ed economiche di numerosi stati capitalistici che si basano su di un‟economia di mercato. Il termine è in contrapposizione al concetto di "government", termine che indica un tipo di azione intrapresa dallo stato centrale con poca possibilità di mediazione delle scelte gestionali politico-economiche da parte di altri soggetti, come quelli privati. La governance, invece, si esplica come intervento di più attori, sia governativi che non governativi. Essa è parte della programmazione negoziata tipica di paesi democratici ed industrializzati nei quali la cooperazione coattiva fra i diversi soggetti ha portato ad importanti risultati a livello regionale e di conseguenza nazionale. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Politiche_di_governance
102
Come sostiene Cerase (2005) caratteristica principale di tali interventi è la
concertazione, grazie alla quale viene costruita una strategia di azione
condivisa. Inoltre attraverso il dialogo si integrano le istanze e le risorse per
pianificare e realizzare un determinato progetto.
L‟aspetto innovativo risiede nel confronto tra attori diversi, portatori di vari
interessi, che sono chiamati a sedersi intorno ad un tavolo per avviare una
determinata esperienza pattizia. I piani di un‟azione programmata, si fondano
sulle logiche di una «azione negoziata che implica processi di azione dagli esiti
incerti ed imprevedibili in quanto frutto di una negoziazione tra attori essi
stessi non individuabili a priori e quindi di per sé costantemente aperta a
sempre nuovi e continui aggiustamenti» (Cerase 2005, p.12).
Il metodo di lavoro dei PTG è orientato alla costruzione di reti sociali
ampie tra attori territoriali quali: Informagiovani, Forum, associazioni giovanili,
gruppi informali e soggetti del volontariato giovanile, parrocchie, Istituti
scolastici, ecc. Tuttavia gli esiti di tale processo sono tutt‟altro che scontati.
L‟esperienza di concertazione non implica di per sé che sia avvenuta una reale
collaborazione; infatti non sempre si riescono ad istaurare rapporti di
cooperazione e di fiducia reciproca tra le parti interessate. In base a come la
rete si configura è possibile comprendere le modalità in cui è avvenuto il
101Nell'ordinamento italiano, la programmazione negoziata è definita come: «regolamentazione
concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private
per l'attuazione di interventi diversi, riferiti ad un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione
complessiva delle attività di competenza» nell'ambito delle Regioni e degli altri Enti locali (legge
n.662/1996, articolo 2 comma 203 lettera a). Nell‟ambito della programmazione negoziata,
possono distinguersi due livelli d‟intervento. Un primo livello in cui l‟iniziativa è proposta
dallo Stato e dalle Regioni e prevede la partecipazione degli enti locali e di tutti i soggetti
interessati alla realizzazione dei programmi, come nel caso delle Intese Istituzionali di
Programma e degli Accordi di Programma Quadro. Un secondo livello è invece
contraddistinto da un maggiore coinvolgimento delle autonomie locali e dei soggetti non
istituzionali, non solo partecipi alle iniziative, ma anche promotori come nel caso dei
Contratti di Programma, dei Contratti d‟Area e dei Patti Territoriali (questi ultimi sono molto
simili nelle logiche di programmazione ai PTG).
103
confronto ed il livello di coinvolgimento dei vari attori. Occorre quindi
un‟attenta analisi di come le istituzioni ed i rappresentanti degli interessi
giovanili hanno istaurato il dialogo e come si è tradotta nella pratica
l‟esperienza della programmazione negoziata.
Il piano, inoltre, rappresenta lo strumento di programmazione locale adatto
per sua natura a sviluppare il coordinamento e l‟integrazione dei molteplici
interventi a favore dei giovani, presenti in vari ambiti di politiche pubbliche
(sociali, sanitarie, urbanistiche, del lavoro, dell‟istruzione e della cultura) ed in
più enti locali (Comuni ripartiti in distretti). Il Piano è quindi finalizzato allo
sviluppo di sinergie tra competenze in capo a diverse amministrazioni
pubbliche (con strumenti quali accordi di programma e protocolli di intesa tra
Comuni, Province, ASL, Centri per l‟impiego, scuole, ecc.) e diversi servizi
gestiti in collaborazione con una pluralità di attori sociali sia pubblici che
privati (organizzazioni non profit, sindacati, ecc.).
3.1.1. La ripartizione territoriale per ambiti distrettuali
Una volta descritte le finalità e gli strumenti impiegati per la
programmazione, si procede ad analizzare la ripartizione territoriale
sovracomunale corrispondente ai distretti scolastici, ritenuta ottimale per la
gestione degli interventi in maniera coordinata.
I Piani territoriali di Politiche Giovanili si rivolgono all‟intero territorio
regionale, per realizzare modelli di gestione associata dei servizi e degli
interventi, tenendo conto delle specificità provinciali e distrettuali. I distretti
sono 62, di cui ben 10 fanno parte della rete di Napoli (distretti 40-49). Solo il
distretto 30 è diviso in due Comuni per consentire il riferimento a due
Province diverse.
La ripartizione segue il modello della rete degli Informagiovani organizzata
grazie alla L.R. 14/2000 in un Sistema Informativo Regionale Giovanile
104
(SIRG), articolato per ambiti distrettuali (ex distretti scolastici), in cui i Comuni
sedi di distretto hanno il ruolo di Capofila di rete e si collegano con gli altri
grazie ad apposite convenzioni. Tale modello, consolidato e realizzato sul 90%
del territorio regionale, diventa la base di riferimento su cui costruire i PTG. In
questo modo è possibile che Comuni di uno stesso distretto ragionino insieme
sulle opportunità, le criticità ed i vincoli, predisponendo progetti condivisi e
rilanciando le strutture informative. I distretti hanno il compito di incentivare
il protagonismo dei giovani, dei Forum e di ogni forma di aggregazione
giovanile, per realizzare percorsi che attivino la partecipazione e promuovano
la cittadinanza attiva. In questo modo i territori hanno l‟opportunità di
sperimentare accordi, che da un lato valorizzano l‟autonomia degli enti locali e
le iniziative dei cittadini, e dall‟altro offrono l‟opportunità di inserire in una
programmazione coerente e organica gli interventi previsti nelle linee di
azione.
In totale su 62 distretti, sono stati elaborati 55 Piani di cui 4 provinciali e 51
distrettuali. Ciò significa che l‟89% dei distretti ha avviato la procedura dei
PTG, mentre l‟11% dei documenti o non sono stati presentati alla Regione
Campania, oppure sono in attesa di integrazioni.
Infatti dei 55 presentati, quelli non completamente conformi alla
modulistica sono 4 e riguardano i Piani di tre distretti del casertano ed uno
dell‟Amministrazione Provinciale di Napoli. Quindi il 7,2% dei Piani non è
stato approvato.
Ad eccezione di soli tre distretti ovvero Maddaloni102 S. Maria Capua
Vetere103 e Mondragone104, tutti gli altri Comuni capofila hanno presentato la
documentazione, anche se alcuni con esito negativo. Per quanto riguarda il
102 Per Maddaloni è stata riscontrata una rinvenienza economica. 103 Per S. Maria Capua Vetere il Piano non è stato presentato a causa di una rinvenienza economica. 104 Ha avuto una proroga per la presentazione del PTG ed è stata riscontrata una possibile rinvenienza economica
105
Piano del comune di Piedimonte Matese105 e quello di Capua, essi sono stati
revocati ed in attesa di rimodulazioni, mentre per quanto riguarda i Comuni
capofila di Frattamaggiore e Marano, pur avendo fatto pervenire la
documentazione necessaria per aderire al Piano, non hanno fornito specifiche
integrazioni per l‟approvazione dello stesso e sono in attesa di integrazione e
rinegoziazione.
Come è possibile osservare (vedi Tabella 7) per quanto riguarda gli esiti, vi
sono 48 Piani positivi e quindi approvati e 7 Piani negativi, quindi non
approvati. Dunque il 13% dei Piani ha avuto un esito negativo e di
conseguenza non è stato approvato. Un altro aspetto da tener presente è che
nonostante le diverse sollecitazioni da parte del Settore Politiche Giovanili, 13
Comuni hanno presentato il Piano esclusivamente in formato cartaceo e non,
come richiesto dalla procedura, allegando ad esso il Cd-Rom. Quindi circa il
24% dei PTG non sono disponibili in formato elettronico. Di seguito si
riporta la tabella con i distretti ripartiti per provincia.
Tabella 7. I distretti territoriali suddivisi per Provincia e
gli esiti dei Piani
Numero Distretto Avellino Esito finale del Piano
1 Ariano Irpino Positivo
2 Atripalda Positivo
3 Mercogliano Positivo
4 Grottolella – Cervinara Positivo
5 Lacedonia (ex Carife) Positivo
6 Lioni (ex S.Angelo dei
Lombardi)
Positivo
30 Quindici Positivo
105 Il Piano è stato revocato ed è da rinegoziare, perché non inserito nel Decreto di liquidazione
106
Numero Distretto Benevento Esito finale del Piano
7 Benevento Positivo
8 Airola Positivo
9 Telese Terme Positivo
10 Morcone Positivo
11 San Marco dei Cavoti Positivo
Numero Distretto Caserta Esito finale del Piano
12 Caserta Positivo
13 Maddaloni Non presentato
14 Marcianise Positivo
15 Aversa Positivo
16 Santa Maria Capua
Vetere
Non presentato
17 Capua Revocato
18 Mondragone Non Presentato
19 Sessa Aurunca Positivo
20 Teano – Sparanise Positivo
21 Piedimonte Matese Revocato
22 San Cipriano d'Aversa Positivo
23 Vairano Patenora Positivo
Numero Distretto Caserta Esito finale del Piano
12 Caserta Positivo
13 Maddaloni Non presentato
14 Marcianise Positivo
15 Aversa Positivo
16 Santa Maria Capua
Vetere
Non presentato
17 Capua Revocato
18 Mondragone Non Presentato
19 Sessa Aurunca Positivo
20 Teano – Sparanise Positivo
21 Piedimonte Matese Revocato
22 San Cipriano d'Aversa Positivo
23 Vairano Patenora Positivo
Numero Distretto Napoli Esito finale del Piano
24 Ischia Positivo
25 Pozzuoli Positivo
26 Marano In attesa di integrazioni e rimodulazioni
27 Frattamaggiore Ex Revoca, integrazioni pervenute, ma è da rinegoziare
28 Afragola Positivo
29 Casavatore Positivo
30 Cicciano Positivo
31 Acerra Positivo
32 Ottaviano Positivo
33 Somma Vesuviana Positivo
34 San Giorgio a Cremano Positivo
35 Portici – Ercolano Positivo
107
3.1.2. I requisiti richiesti ai Comuni per aderire ai Piani
Per quanto riguarda l‟ambito delle competenze, gli attori incaricati di
presentare il Piano sono le Amministrazioni Provinciali ed i Comuni capofila
dei distretti, insieme ai comuni che hanno stipulato con essi apposite
convenzioni. Le Provincie si occupano dell‟organizzazione della rete
provinciale, attraverso l‟elaborazione di un Piano di Coordinamento, mentre i
Comuni associati in distretti si interessano dell‟intera programmazione,
elaborando appositi Piani Territoriali di Politiche Giovanili. Questi attori
devono essere dotati di alcuni requisiti minimi, ovvero devono aver adottato
36 Torre del Greco Positivo
37 Torre Annunziata Positivo
38 Castellammare di Stabia Positivo
39 Sorrento Positivo
40-49 Napoli Positivo
Numero Distretto Salerno Esito finale del Piano
50 Salerno Positivo
51 Amalfi Positivo
52 Cava dei Tirreni Positivo
53 Nocera Inferiore Positivo
54 Sarno Positivo
55 Mercato San Severino Positivo
56 Battipaglia Positivo
57 Eboli Positivo
58 Acropoli Positivo
59 Roccadaspide Positivo
60 Vallo della Lucania Positivo
61 Sala Consilina Positivo
62 Sapri Positivo
108
alcuni importanti documenti europei106 ed essere in possesso di standard
organizzativi e funzionali previsti per Agenzie, Centri e Punti Informagiovani.
I Comuni individuati dalla L.R 14/2000 come capofila, qualora non
potessero essere disponibili per il coordinamento dei PTG, potranno essere
sostituiti dopo una concertazione territoriale ed un accordo stipulato con la
Regione (come specificato dall‟articolo 5 delle Linee guida di Funzionamento
del Comitato distrettuale di coordinamento delle Politiche giovanili). Le
Province, invece, avranno risorse necessarie per svolgere un ruolo di “Agenzie
di coordinamento territoriale” come già avveniva in passato con la rete degli
Informagiovani.
Ai Piani Territoriali di Politiche Giovanili, possono aderire anche quei
Comuni sprovvisti di Forum e/o del Servizio Informagiovani, in quanto la
finalità consiste proprio nell‟estendere e potenziare questi settori prevedendo
la strutturazione e la messa in opera sia di una rete informativa capillare, sia dei
canali di partecipazione giovanile.
Sono inoltre previste forme di esternalizzazione della gestione del Servizio
Informagiovani da parte dei Comuni, a patto che gli Enti locali si avvalgano
esclusivamente della collaborazione di organismi senza scopo di lucro. Come
riportato sul sito della Regione Campania, i PTG godono del sostegno e
dell‟assistenza tecnica del Settore Regionale delle Politiche Giovanili per
elaborare una progettualità in 5 mesi, potendo contare su risorse attribuite in
base alla numerosità degli abitanti dei Comuni, ai quali è richiesto un
cofinanziamento del 25%. Il Comune qualora non disponesse della quota
finanziaria necessaria per aderire al PTG, può essere destinatario di un
contributo proveniente da terzi, ma dovrà figurare sempre il Comune quale
soggetto co-finanziatore; quindi eventuali contributi provenienti da terzi
106 Tra cui il “Libro Bianco della Commissione Europea- Un nuovo impulso per la gioventù europea” del 2001, la “Carta europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale” del 2003; la risoluzione del Consiglio d‟Europa del 25 novembre 2003 (contenente obiettivi comuni sulla partecipazione e informazione dei giovani) e la Carta adottata a Bratislava il 19 novembre del 2004 dalla XV Assemblea Generale dell‟ERYCA.
109
dovranno essere conferiti allo stesso, che provvederà ad effettuare la propria
compartecipazione107.
Inoltre i distretti hanno bisogno di nominare un Comitato per la gestione
distrettuale. Tale Comitato prende il nome di “Comitato distrettuale di
coordinamento delle Politiche Giovanili”108 e svolge diverse funzioni, tra
cui quelle di programmazione, supervisione, monitoraggio e valutazione delle
azioni previste.
La sua funzione principale è consentire che avvenga una consultazione ed
una concertazione fra i Comuni, i responsabili dei Servizi Informagiovani ed i
Forum della gioventù. Inoltre, tale organo sostiene progetti innovativi di
cittadinanza attiva, di partecipazione, di inclusione, di promozione delle
opportunità, di creatività e progetti a carattere artistico e culturale, messi in
campo da più soggetti in collaborazione tra loro, come ad esempio le
associazioni giovanili, i gruppi informali di giovani ed i Forum.
Il Comitato distrettuale, avendo il compito di concertare la
programmazione, seguire gli sviluppi delle attività in progress e di monitorare le
azioni previste dal piano, oltre ad essere un organo tecnico e amministrativo,
107 http://www.giovani.regione.campania.it/index.cfm?m=211 108 Come specificato all‟interno delle Linee guida di funzionamento, il Comitato è formato
da: un dirigente delle politiche giovanili del Comune capofila con competenze alle politiche
giovanili; un responsabile del Centro Informagiovani; dai responsabili dei Punti
Informagiovani; dai presidenti dei Forum Giovanili attivi in ambito distrettuale. Inoltre il
Comitato deve riunirsi almeno una volta ogni tre mesi e comunque quando per necessità ne
faccia espressa richiesta perlomeno un terzo dei componenti. Tale organismo ha il compito
di deliberare quando è presente la maggioranza dei componenti, altrimenti tali decisioni non
possono essere ritenute valide. Inoltre ciascun componente titolare deve assicurare, in caso di
assenza, la presenza del proprio supplente formalmente delegato. Come riportato
dall‟articolo 3 delle Linee guida di funzionamento del Comitato, laddove non sia stato
istituito alcun organismo di partecipazione giovanile, al fine di garantire la presenza dei
giovani all'interno del Comitato, i responsabili delle aggregazioni giovanili possono
partecipare avendo un ruolo meramente consultivo.
110
rappresenta per la Regione un garante di qualità per realizzare un‟azione
integrata di informazione, partecipazione e progettazione di iniziative per i
giovani.
Il termine ultimo per la presentazione dei Piani era prefissato per il 31
maggio 2010, così come indicato dagli indirizzi Regionali (D.D. n. 4 del
02/02/2010) e tali documenti dovevano obbligatoriamente contenere al loro
interno la descrizione degli interventi programmati nelle Azioni: A)
Informiamoci, B) Partecipiamo, C) Progettiamo e H) Azioni di Sistema.
Per i Comuni era infine possibile presentare il Piano ed ottenere i
finanziamenti, pur non essendo ancora in grado di presentare la
rendicontazione del progetto Azione A 2008/2009, poiché i contributi relativi
a tale azione erano stati erogati con notevole ritardo, ed in alcuni casi sono
ancora in corso. In questo modo viene data la possibilità di presentare
comunque i Piani ed ottenere i finanziamenti, provvedendo successivamente a
fornire la rendicontazione richiesta.
3.1.3. Le linee d’azione previste e le risorse finanziarie impiegate
Nell‟anno 2008 il Settore delle Politiche Giovanili ha approvato le Linee
Operative attuative dell‟Accordo di Programma Quadro con la delibera 777
del 30/04/2008. Tali linee operative stabilivano che in tali Piani dovevano
essere previste le seguenti azioni:
A. Informiamoci - Promozione e incentivazione dei servizi
Informagiovani e coordinamento della rete SIRG;
B. Partecipiamo - Promozione e incentivazione della cittadinanza
attiva;
C. Progettiamo - Sostegno ai progetti innovativi e di rete in materia di
politiche giovanili;
111
D. Una Regione giovane, dinamica e competitiva – Scambi
culturali dei giovani;
E. Osserviamoci - L‟osservatorio;
F. Formiamoci - Interventi formativi di qualità per i giovani;
G. Interventi per strutture dedicate ai giovani – Una Regione
giovane per i giovani;
H. Azioni di sistema (1. Azioni innovative e sperimentali 2. Piano di
comunicazione e di governance);
La Giunta Regionale della Campania, con l‟approvazione del bilancio
gestionale 2009 (nella D.G.R. n. 261 del 23/02/2009) ha stabilito, invece, che
le azioni da includere nei Piani devono essere le seguenti: A, B, C, H. Esse
sono tese a favorire il consolidamento della rete Informagiovani, la
partecipazione giovanili attraverso i Forum, il sostegno delle attività progettuali
ed il miglioramento delle strutture. Per la realizzazione dei PTG e le connesse
funzioni dell‟Agenzia Provinciale, le risorse finanziarie ammontano a
€.6.200.199.
Di notevole interesse è osservare nello specifico le quote destinate a
ciascuna azione ed i criteri impiegati per l‟allocazione delle risorse.
L‟Azione A è volta a consolidare e potenziare i servizi Informagiovani
attraverso il coordinamento della rete SIRG e si pone come obiettivo quello di
rendere tali strutture polivalenti, in grado da un lato di fornire servizi qualificati
di informazione, orientamento, accompagnamento e consulenza, dall‟altro di
divenire un luogo di incontro per la promozione del capitale sociale. In
particolare tale azione è volta a:
- consolidare i Centri Risorse Distrettuali;
- ampliare i tempi di apertura dei servizi;
- rafforzare le attività di back office;
- realizzare la Cityzen Analysis;
112
- promuovere ed ampliare le multicanalità;
- adeguare tutti i servizi agli standard di qualità regionali;
- realizzare progetti per il coinvolgimento dei giovani.
Le risorse complessivamente impiegate per tale azione sono pari a
€.2.215.000,00 ripartite nel seguente modo: il 70% utilizzate per l‟ampliamento
della rete e del rafforzamento del servizio Informagiovani ed il 30% per
l‟elaborazione di progetti, che prevedono il coinvolgimento diretto dei giovani
all‟erogazione degli stessi. I 54 Centri Informagiovani riceveranno una quota di
€.15.000,00 uguale per tutti, il 70% della rimanente cifra sarà suddivisa in base
alla popolazione giovanile ed il 30% in base al numero dei comuni afferenti al
distretto.
L‟Azione B è tesa a promuovere lo sviluppo della partecipazione giovanile,
attraverso il consolidamento dei Forum, in quanto organi consultivi
obbligatori in materia di politiche giovanili. Le risorse saranno impegnate
affinché il Forum offra ai giovani spazi per esprimersi, favorendo tutte le
forme aggregative atte a promuovere la cittadinanza attiva e sviluppare forme
partecipative. Inoltre tramite i Forum i giovani possono:
- avere la possibilità di presentare delle proposte all‟ente locale per
costruire o migliorare il rapporto tra i giovani e le istituzioni;
- promuovere iniziative pubbliche, convegni dibattiti, ricerche in
materia di politiche giovanili.
Le risorse per l‟Azione B ammontano a €.692.405,00 e seguono tale
suddivisione: l‟1% è destinato al funzionamento del Forum, il 79% alla
realizzazione dei progetti loro elaborati ed il 20% ad azioni di animazione
territoriale. Per quanto riguarda le logiche interne di spesa il 10% della quota è
ripartita sulla base della popolazione giovanile, l‟80% sulla base dei Forum
attivi ed il 10% in base al numero dei comuni afferenti al distretto.
113
L‟Azione C, è rivolta al sostegno di attività progettuali per la cittadinanza
attiva, la partecipazione, l‟inclusione e la promozione di opportunità per
sostenere la creatività giovanile. In particolare i progetti si orientano verso:
- la promozione di forme di partecipazione e di aggregazione
giovanile;
- lo sviluppo sostenibile e la tutela ambientale;
- la promozione della cultura della convivenza e dell‟integrazione
contro ogni forma di discriminazione;
- la realizzazione di campagne di sensibilizzazione per la sicurezza
stradale e contro l‟alcolismo.
Per tale azione sono destinati €.1.296.094 ed è prevista la seguente
distribuzione: il 60% delle risorse serviranno per la realizzazione di progetti di
rete, mentre il 40% per quei progetti proposti da associazioni, gruppi informali
e Forum giovanili. Il 50% delle risorse saranno ripartite in base alla
popolazione giovanile e l‟altra metà basandosi sul numero dei comuni afferenti
al distretto.
Infine l‟Azione H, mira a realizzare uno sviluppo omogeneo dei servizi
attraverso la fornitura di attrezzature multimediali, tecnologie ed arredi, che
consentano di superare il digital divide esistente ed offrire nuove possibilità di
informare i giovani. In particolare le spese serviranno per:
- istituire nuovi Centri Informagiovani e Punti Informagiovani dotati di
tecnologie;
- attrezzare i Forum giovanili;
- allestire Centri Polifunzionali per i giovani.
I fondi destinati per l‟Azione H rappresentano spese di investimento per un
totale di €.996.700,00. Anche in questo caso la metà dei fondi è attribuita in
114
base alla popolazione giovanile e l‟altra metà in base al numero dei comuni
afferenti il distretto.
Da precisare che per quanto riguarda esclusivamente l‟Azione G,
denominata “Interventi per strutture dedicate ai giovani”, essa non rientra nella
documentazione, dato che sarà predisposto un apposito bando per
l‟attribuzione dei fondi, con successivo atto regionale. Tale azione è volta alla
realizzazione di esperienze pilota per la realizzazione di Centri Polifunzionali
Giovanili. Le risorse finanziarie previste per quest‟azione, saranno assegnate
sulla base dei risultati delle valutazioni di un apposito bando e sulla base degli
indirizzi presenti all‟interno delle linee guida.
Il Settore Politiche Giovanili, infatti, individuerà gli interventi da ammettere
a contributo sulla base di apposito Avviso Pubblico aperto a Comuni singoli o
associati ai sensi di del Dlgs. 267/2000.
3.2. Il processo di valutazione
Negli ultimi anni la valutazione delle politiche pubbliche è divenuta oggetto
di attente riflessioni, non solo in ambito accademico-scientifico, ma anche in
quello amministrativo. Il motivo di tale interesse per l‟attività valutativa è
individuabile nella sua utilità come strumento di gestione e controllo
dell‟efficacia e dell‟efficienza delle azioni delle istituzioni pubbliche ed è per
questo motivo che negli ultimi tempi viene prescritta anche in atti legislativi109.
La valutazione è un‟importante attività di ricerca sociale (Stame 1998; Bezzi
2001; Weiss 1998) che ha come obiettivo primario la formulazione di un
giudizio in merito ad un‟azione di interesse collettivo (Bezzi 2001). Tale
109 Nel caso dei Pianti Territoriali di Politiche Giovanili è prevista una valutazione interna condotta dal Comitato Distrettuale di Coordinamento delle Politiche Giovanili.
115
giudizio deve essere formulato rigorosamente attraverso metodi e procedure
codificabili, utilizzando delle tecniche disponibili per la ricerca di base
(Palumbo 2001). Inoltre la valutazione è un processo integrato da inserire nelle
varie fasi di programmazione, di progettazione e di implementazione di una
politica pubblica.
Il percorso di programmazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili è
tutt‟ora in corso e quindi è stato possibile effettuare un tipo di valutazione ex
ante. Questo tipo di valutazione viene svolta prima dell‟approvazione e della
successiva implementazione di una politica pubblica. Lo scopo è quello di
rilevare le potenzialità di quest‟ultima in modo da offrire una prospettiva più
ampia e realistica degli effetti possibili. Si ricorre a questo tipo di valutazione
soprattutto per aiutare i decisori a scegliere tra scenari diversi o fra modalità di
esecuzione alternative di una stessa politica. Tale attività è di grande supporto
nei processi di acquisizione delle informazioni, per la selezione delle alternative
e nella scelta vera e propria. Inoltre la valutazione è indispensabile per le
istituzioni pubbliche che operano in contesti complessi e dinamici in cui sono
chiamati a programmare e innovare.
Claudio Bezzi (2001), all‟interno della valutazione ex ante, distingue tra
impatti, effetti ed implementazione.
La valutazione ex ante degli impatti si effettua prima di prendere una decisione
e quando si ha un‟idea iniziale piuttosto vaga delle strategie, delle quali non si
conoscono le caratteristiche. Lo scopo è quello di fare previsioni in merito ai
pregi e ai difetti delle possibili alternative e strade da intraprendere nel corso
decisionale.
La valutazione ex ante degli effetti, invece, si esegue nel momento in cui si ha
uno scenario chiaro ed una strategia sommariamente definita, ma non si è
ancora pervenuti ad una decisione definitiva. L‟obiettivo principale della
valutazione in questo caso è quello di stimare gli effetti in modo tale da
disegnare correttamente il progetto operativo.
116
Infine, la valutazione ex ante dell‟implementazione, viene svolta prima di avviare
la fase operativa (ma con una decisone già presa sulle strategie), per verificare
le modalità concrete dell‟implementazione della politica pubblica.
Prima di iniziare la valutazione è necessario elaborare un disegno di ricerca
valutativo, per avere un quadro sistematico di come condurre l‟analisi, utile per
illustrare gli obiettivi, lo scopo della valutazione, l‟approccio metodologico e le
tecniche impiegate.
3.2.1. Il disegno di ricerca valutativo
Il disegno di ricerca costituisce un progetto utile per fornire argomentazioni
e rendere giustificabile ogni scelta metodologica, quindi rappresenta «il cuore
della valutazione» (Bezzi 2001, p.162).
Nella ricerca valutativa l‟identificazione degli obiettivi e delle attività che si
intendono esaminare è una delle prime azioni da svolgere, e si tratta di una fase
non solo molto delicata, ma anche cruciale. La valutazione è un processo
complesso, gli elementi da tenere in considerazione sono numerosi e ancora di
più lo sono le interrelazioni tra i vari aspetti che compongono l‟oggetto di
analisi. Senza aver definito un disegno di ricerca, quindi, risulta difficile
effettuare una valutazione. Infatti, non è possibile procedere con l‟analisi se
non si ha una risposta chiara sui motivi per cui si valuta. È dunque necessario
capire gli scopi della valutazione e formulare delle opportune domande
valutative (Bezzi 2001). Bisogna comprendere la natura dell’evaluando: a chi si
rivolge, perché è stato avviato e quali sono gli attori coinvolti. Il valutatore
deve osservare la situazione, raccogliere informazioni preliminari per capire
quali sono gli aspetti da mettere al centro del suo lavoro, verificare le risorse
disponibili ed i tempi della valutazione.
In un secondo momento il ricercatore dovrà definire l‟approccio, la
metodologia e le tecniche valutative che gli sembrano più opportune per
117
l‟analisi. Le proprietà dell’evaluando dovranno essere analizzate con uno
strumento operativo di valutazione, per costruire indicatori, che consentiranno
di misurare le diverse componenti dell’oggetto di analisi e giungere alla
valutazione finale dei risultati. Il problema più corposo del disegno di ricerca
riguarda l’individuazione degli indicatori. Scegliere gli indicatori sbagliati
significa, infatti, compromettere tutta la valutazione giungendo ad un giudizio
finale scientificamente scorretto. Siccome si tratta di un’operazione complessa,
spesso è utile ricorrere a gruppi di indicatori piuttosto che ad uno singolo,
derivati da fonti informative differenti ed in grado di misurare in maniera più
accurata un determinato fenomeno. La scelta degli indicatori dipenderà dalle
finalità dell'analisi da cui discenderanno a loro volta i criteri di giudizio che
guideranno il processo valutativo.
3.2.2. Gli obiettivi della valutazione
Prima di iniziare la valutazione è utile riflettere sulla natura dell‟oggetto di
studio e sugli obiettivi conoscitivi che spingono il ricercatore ad effettuare
l‟analisi. Come afferma Bezzi: «la complessità dell‟evaluando è correlata alla
complessità della definizione degli obiettivi e dei problemi generali
dell‟evaluando, alla loro non semplice identificazione, alla loro indispensabile
descrizione» (Bezzi 2001, p.181). Pertanto sarà necessario indicare in primo
luogo gli obiettivi della valutazione, per stabilire cosa mettere al centro della
ricerca e su quali aspetti focalizzare maggiormente l‟attenzione.
La finalità conoscitiva che ci spinge ad effettuare la valutazione dei Piani
Territoriali di Politiche Giovanili è di comprendere le modalità di
programmazione e le priorità individuate nel corso della progettazione degli
interventi (obiettivi conoscitivi). Un ulteriore scopo di indagine è apprendere
cosa ha funzionato e cosa bisogna invece migliorare (obiettivi formativi).
118
Inoltre si cercherà di comprendere la modalità di riparto dei fondi tra le
varie azioni, per capire se ci sono distretti che hanno investito meno risorse. Ai
Comuni aderenti al Piano, infatti, viene richiesto un finanziamento minimo del
25% delle risorse regionali, quindi è opportuno verificare se ci sono stati
distretti che non si sono attenuti alla soglia prevista, oppure sono andati oltre
al minimo atteso ed hanno fanno maggiori investimenti. Tuttavia non è stato
possibile valutare l‟efficienza della politica, poiché le risorse non sono state
ancora impiegate, quindi per gli aspetti finanziari si procederà con una
valutazione meramente descrittiva.
Attraverso la valutazione della programmazione dei PTG si mira a rendere
consapevoli i policy maker dei contenuti e dei metodi utilizzati, delle cause e
degli effetti delle scelte effettuate, in modo da poter offrire feedback ed
imparare da quanto appreso nel corso della prima sperimentazione.
L‟apprendimento ha come conseguenza pratica la modifica o la correzione
degli interventi (definiti nei Piani e non ancora implementati), l‟adozione di
nuove azioni (a sostituzione o completamento di uno precedente), oppure
l‟abbandono definitivo di una strategia a favore di un‟altra. Apprendere non
vuol dire per forza scegliere una soluzione oggettivamente migliore di un'altra,
ma solo abbandonare la precedente posizione cognitiva per assumerne una
nuova attraverso una rielaborazione delle conoscenze in proprio possesso, che
possono modificare fini e mezzi dell‟intervento. L’apprendimento è quindi una
prospettiva di rafforzamento delle capacità di governare una politica pubblica
cercando di ottimizzare le performance (Lippi 2007). Nel caso specifico, l‟intento
sarà quello di offrire feedback utili alla Regione e sostenere l‟azione di
accompagnamento e coordinamento degli Enti locali nei processi di
pianificazione.
Inoltre si cercherà di evidenziare i punti di forza e di debolezza, i vincoli e le
opportunità emersi nella prima fase di programmazione, da utilizzare per
119
l‟avvio della seconda fase e fornire informazioni necessarie per una futura
valutazione in itinere degli interventi.
Oltre ad un miglioramento sotto il piano della capacità di produrre
politiche, la valutazione mira a rendere i policy maker maggiormente consapevoli
e responsabili sia dei programmi da adottare, sia dei possibili risultati della loro
azione. L‟accountability si riferisce quindi alla consapevolezza delle proprie
azioni, che i policy maker acquisiscono attraverso lo sviluppo della capacità
riflessiva incentivata dal processo di valutazione.
In questa sede l‟attività valutativa sarà indirizzata alla formulazione di
osservazioni critiche e costruttive, per rendere la programmazione locale ancor
più coerente con gli obiettivi e le strategie regionali e maggiormente aderente
ai bisogni locali. Il giudizio quindi verterà sul livello di coerenza dei documenti
tra le diverse sezioni che lo compongono e sul livello di innovatività delle
iniziative.
3.2.3. L’approccio, la metodologia e le tecniche impiegate
A questo punto si entra nel vivo della valutazione ed è necessario decidere
come concretamente valutare. Quindi si procede nel definire l‟approccio di
ricerca, la metodologia e le tecniche adoperate per la valutazione della
documentazione dei Piani.
L‟attività di valutazione, ha dovuto affrontare due principali ordini di
problemi: il primo concerne la complessità dell‟oggetto da valutare, il secondo
riguarda il livello di istituzionalizzazione dei documenti. La complessità
dell‟oggetto da valutare, come afferma De Ambrogio (2005), deriva dal fatto
che ci si occupa di analizzare una politica che include al suo interno una serie
di interventi da realizzare.
La valutazione delle politiche è infatti una modalità di produzione di
informazione a supporto delle decisioni pubbliche, che fornisce elementi utili
120
alla comprensione, ridefinizione ed eventuale riorientamento delle azioni
intraprese, con la finalità di renderle più efficaci e razionali nel raggiungimento
degli obiettivi prefissati.
Soprattutto nel campo della valutazione delle politiche, si consolida la
consapevolezza della necessità di un rinnovamento metodologico che riesca ad
adattarsi all‟accresciuta complessità delle attuali politiche pubbliche, dovuta in
particolar modo al superamento delle logiche settoriali a favore di una logica di
piano. Agire in una logica di piano «significa privilegiare la trasversalità e
promuovere le connessioni fra ambiti e settori di intervento tradizionalmente
separati […] promuovendo la costruzione di obiettivi complessivi condivisi
che diano senso e direzione alle singole azioni settoriali, in cui l‟interazione tra
i diversi interventi produca un effetto moltiplicatore in termini di esiti e
risultati» (De Ambrogio 2005, p.18).
Quindi prima che tali Piani siano implementati, occorre comprendere
come sono stati redatti i documenti, prestando attenzione alla forma,
all‟accuratezza ed al rispetto dei parametri indicati dalle linee guida regionali.
Una prima valutazione risulta particolarmente necessaria per analizzare quali
progetti sono stati ideati, in che modo i distretti hanno cercato di risolvere le
problematiche emerse e quali azioni risolutive sono state proposte.
In questo caso l‟approccio utilizzato per l‟analisi dei PTG è stato quello
interpretativo tipico dell‟analisi ermeneutica dei documenti110.
Per comprendere come è stata condotta questa prima fase di
programmazione, ci si è basati sull‟interpretazione dei documenti ufficiali, quali
fonti istituzionali. I dati secondari sono molto utili per la ricerca, perché non
risentono dell‟influenza del rapporto tra ricercatore ed oggetto di studio.
Ovviamente l‟aspetto negativo è che un testo riproduce un oggetto
110 L‟analisi ermeneutica si basa sulla capacità di interrogare e interpretare i significati di un testo o documento. Il valutatore interpreta e analizza i documenti in base agli obiettivi di ricerca, elaborando uno specifico strumento impiegato per la raccolta dei dati.
121
preesistente e non può essere interrogato dal ricercatore, qualora quest‟ultimo
lo considerasse incompleto o insufficiente (Corbetta 1999).
Talvolta i documenti non sono semplici da interpretare, scritti con
linguaggio tecnico o burocratico e spesso ricchi di retorica. Quindi spetta al
valutatore il compito di cogliere i significati latenti e soggiacenti alla struttura
del testo, per andare al di là del tipico linguaggio formale e restituire il senso
originario, che deriva sempre da un‟interpretazione e da un‟attività di codifica
dei dati, ricavati da un‟attenta lettura del documento e dall‟utilizzo di un
apposito strumento di rilevazione, che in questo caso consiste in una scheda
di valutazione.
Il presente lavoro si pone degli obiettivi piuttosto eterogenei, quindi per
quanto riguarda la scelta metodologica l‟analisi è stata condotta utilizzando
un mixed method111 che consente di integrare il metodo quantitativo con
quello quantitativo. L‟uso congiunto dei due approcci permette, infatti, una
ricostruzione più esauriente dell‟oggetto di valutazione.
Bisogna inoltre ricordare che allo stato attuale le differenze tra ricerca
qualitativa e ricerca quantitativa sono solo individuabili teoricamente. Se il
111 La tesi della convergenza mira nella pratica a rendere più validi entrambi i metodi, esaltandone le affinità, in modo da limitare gli svantaggi che ciascuno di essi inevitabilmente presenta (Campelli 1996). Facendo convergere i dati quantitativi con quelli qualitativi e viceversa, i loro difetti verrebbero dunque smussati. Delli Zotti (1996), nel suo saggio “Il Sociologo e le Sirene”, rifacendosi al lavoro di Schwartz e Jacobs (1987), ricorda che anche in sociologia come in statistica è piuttosto facile compiere errori del I e del II tipo. I metodi quantitativi, nello specifico, pur godendo del rigore statistico, della rappresentatività, della possibilità di generalizzare i risultati, potrebbero facilmente incorrere in errori del II tipo, trascurando per esempio relazioni esistenti, ma non rilevate o non analizzate. Di contro, i metodi qualitativi, pur consentendo la scoperta di informazioni più latenti, non riescono a conferire sufficienti giustificazioni alle loro intuizioni e potrebbero così rischiare di incappare in errori del I tipo, rilevando una relazione che invece non sussiste. La convergenza mira proprio a diminuire la probabilità di commettere questi errori, aggiungendo spessore e intuitività al quantitativo, e robustezza al qualitativo. Uno dei primi esempi di applicazione di tali principi, può essere individuato nello studio del 1933 di Lazarsfeld e altri studiosi sulla disoccupazione nel piccolo villaggio austriaco di Marienthal. In Italia, invece, l‟utilizzo del mixed method è stato utilizzato per uno studio molto importante commissionato dal Prin e realizzato nel 2005 volto a elaborare la nuova edizione della scala occupazionale costruita da De Lillo e Schizzerotto nel 1985.
122
confronto si sposta dal piano teorico a quello della pratica, allora non solo si
potrebbe evidenziare quanto i criteri di distinguibilità sono labili, ma
soprattutto che «non esiste un solo atto, una sola decisione di ricerca, che non
sia un‟inestricabile mix di qualità e quantità» (Campelli 1996, p. 25).
L‟uso di metodi qualitativi si rende, in tal caso, necessario, al fine di
scoprire – induttivamente – le dimensioni nascoste e sottostanti, formulare
ipotesi plausibili e scoprire nuovi nessi (Delli Zotti 1996). Il ricorso a metodi di
ricerca quantitativi, diventa invece auspicabile per mettere alla prova – in
modo deduttivo – il fenomeno e le ipotesi formulate. In particolare,
l‟approccio quantitativo permette di analizzare statisticamente i dati raccolti ed
effettuare delle generalizzazioni.
L‟analisi quantitativa quindi è stata utile per esaminare le variabili cardinali,
in particolare per quanto riguarda le caratteristiche generali dei distretti
(numero Comuni, numero distretti convenzionati e aderenti al Piano, ecc.), le
risorse impiegate, il numero dei servizi presenti sul territorio, il numero di
attività realizzate, ecc. Inoltre per quanto riguarda le variabili ordinali, come il
grado di approfondimento delle dimensioni demografiche, dei bisogni e delle
problematiche, per tali aspetti è stata utilizzata una tecnica di scaling.
L‟approccio qualitativo, invece, è stato utilizzato per indagare in profondità
sulle diverse dimensioni individuate nel corso dell‟analisi del contesto locale e
della SWAT analysis, inoltre è stato possibile riflettere sulle azioni proposte,
sugli obiettivi strategici, sulle priorità della programmazione, sulla
concertazione e sulla valutazione dei progetti.
Una volta definito come analizzare i documenti, la fase successiva consiste
nella costruzione dello strumento, che è rappresentato da una griglia di
valutazione utile per la raccolta dei dati. Tale strumento consente di rilevare
sia dati quantitativi, che riflettere su aspetti qualitativi. Infatti, oltre a
raccogliere informazioni generalizzabili in categorie prestabilite, all‟interno
della scheda vi sono sezioni in cui è anche possibile annotare aspetti specifici
123
per riflettere sulle singole azioni proposte, sulle problematiche emerse e sui
bisogni espressi (queste sezioni sono molto utili per un‟analisi qualitativa).
Per quanto riguarda l‟analisi quantitativa, è stato possibile giungere ad
un‟analisi attraverso un processo di operativizzazione per la trasformazione dei
concetti in variabili. Una volta raccolti i dati, è stato possibile inserirli
all‟interno di una matrice utile per successive elaborazioni statistiche.
Per quanto riguarda l‟analisi qualitativa, invece, la tecnica impiegata
consiste nella valutazione tassonomica, che consente di delineare la mappa
degli obiettivi e le connessioni tra questi e le priorità individuate per il loro
raggiungimento. La valutazione tassonomica è una sorta di analisi del
contenuto di tipo qualitativo, in cui il valutatore scompone il documento in
unità di senso minime e poi definisce questi frammenti secondo classificazioni
utili per l‟analisi valutativa (Bezzi 2007).
Questo tipo di valutazione generalmente si effettua quando si analizzano
importanti documenti istituzionali, come un Piano Operativo Regionale, un
Patto Territoriale o nel caso specifico un Piano Territoriale di Politiche
Giovanili. Si parte dunque dai documenti interrogandoli per avere un quadro
generale degli obiettivi ufficiali e dei progetti specifici da valutare.
Per quanto riguarda l‟analisi è stato possibile risalire alle dimensioni
maggiormente indagate, attraverso la valutazione tassonomica. In questo
modo si è giunti a delle classificazioni, in cui oltre agli aspetti principalmente
descritti nei documenti, sono emerse anche le problematiche ricorrenti, le
priorità della programmazione, gli obiettivi strategici, le problematiche ed i
bisogni dei giovani.
3.2.4. Lo strumento di rilevazione dei dati
Per esplorare i materiali in maniera uniforme e agevolare le comparazioni,
l‟analisi documentale è stata eseguita con un‟apposita griglia di valutazione,
124
volta a rilevare: la legittimità formale dei documenti di programmazione; la
coerenza interna degli stessi, rispetto alle analisi di contesto e agli obiettivi di
programmazione; l‟adeguatezza degli interventi e la presenza o meno di
elementi innovativi.
All‟interno delle sezioni della scheda di valutazione sono stati raccolti dati
sia quantitativi (finalizzati alla raccolta di informazioni numeriche) che
qualitativi (informazioni, problematiche e bisogni emergenti), trattati
separatamente con tecniche di analisi differenti.
Questa scelta è dovuta all‟importanza di entrambi i dati per le finalità
valutative. Infatti «anche nello strumento più usato dai ricercatori „quantitativi‟
per raccogliere dati si incontrano variabili „qualitative‟ […] D‟altra parte, gli
stessi esponenti della scuola più prestigiosa della sociologia „qualitativa‟, la
scuola di Chicago, non disdegnavano gli aspetti quantitativi […] Aspetti
qualitativi e aspetti quantitativi si riscontrano quindi in entrambi gli approcci, e
non mi sembra opportuno usare la contrapposizione qualità/quantità per
distinguerli» (Marradi 2007, pp.88-89).
A tal fine occorre adottare un impianto valutativo strutturato, ma anche
flessibile e con modalità aperte, utile per annotare informazioni e dati
qualitativi. La pratica valutativa mostra, infatti, che gli strumenti ed i percorsi
operativi, pur essendo oggetto di un‟accurata programmazione, richiedono una
discreta flessibilità esecutiva (Bezzi 2006), in caso contrario, si rischia di non
riuscire a produrre il necessario ritorno in termini di maggiore comprensione
dei fenomeni e semplificazione dei processi decisionali.
La griglia di valutazione è uno strumento che consente la sistematizzazione
di dati già esistenti e presenti nei documenti ufficiali. Tale strumento si
compone di diverse sezioni. La prima è volta a rilevare le informazioni di
carattere generale sul distretto, il numero dei Comuni che lo compongono,
quello dei Comuni convenzionati e di quelli aderenti al Piano.
125
Le dimensioni esplorate all‟interno dei documenti per quanto riguarda la
sezione B, relativa all‟analisi del contesto locale, sono state codificate nelle
seguenti categorie:
- caratteristiche demografiche;
- caratteristiche geo-morfologiche;
- trasporti e comunicazioni;
- infrastrutture;
- sicurezza e vivibilità del territorio;
- opportunità ricreative;
- mercato del lavoro;
- modalità altro112 (per altri aspetti esplorati e non codificabili a priori).
Per ogni dimensione sopraindicata è stato riportato il grado di
approfondimento di ogni aspetto esplorato (con una scala da 1 a 4), le relative
problematiche ed i bisogni espressi.
In relazione alla sezione C dei PTG sono state raccolte informazioni per
quanto riguarda il tipo di attori presenti e attivi sul territorio (Informagiovani,
Forum, Consulte, Associazioni) e le attività realizzate.
Nella sez. D è prevista sia un‟analisi SWAT che una riflessione sulle
problematiche individuate.
All‟interno della scheda di valutazione sono state elaborate categorie per
riassumere le caratteristiche frequenti e maggiormente descritte per quanto
riguarda i punti di forza, di debolezza, i vincoli e le opportunità. Stessa
operazione di categorizzazione per macroaree, è stata condotta anche per le
problematiche trasposte nella documentazione dei Piani.
112 L‟utilizzo della modalità residuale altro è stata utile per rielaborare successive categorie circa gli aspetti maggiormente frequenti, ed anche per effettuare un‟analisi qualitativa, riportando gli aspetti emersi, ma non generalizzabili.
126
Analogamente a quanto svolto nelle precedenti fasi, in relazione alle sez. F
e G sono stati descritti brevemente gli attori coinvolti, le azioni realizzate e gli
strumenti di concertazione adottati.
Inoltre all‟interno della scheda è previsto l‟utilizzo della tecnica di scaling per
rilevare quanto gli obiettivi strategici siano coerenti con l‟analisi del contesto e
con il sistema locale di partecipazione giovanile.
Sempre per la valutazione della coerenza dei documenti, molto utile è stato
riflettere sul grado di connessione complessiva tra:
- le caratteristiche del contesto locale e le priorità della
programmazione;
- i bisogni individuati e gli obiettivi dichiarati;
- gli obiettivi dichiarati e le azioni proposte;
- i bisogni individuati e le azioni proposte.
In questo caso, per esprimete il grado di connessione tra queste dimensioni è
stata adottata una scala da 1 a 4.
Per quanto riguarda il livello di innovatività dei progetti è stato utile
comprendere, se in relazione alle attività previste dal PTG è stata utilizzata una
metodologia di intervento basata sul coinvolgimento attivo del target e se vi è
un buon livello di integrazione con altri attori territoriali. Inoltre ci si è
interrogati sul grado di convergenza tra le politiche e quindi chiedendosi se
durante il processo di programmazione e di realizzazione delle attività hanno
collaborato diversi settori di intervento.
Per quanto riguarda il riparto delle risorse (sez. H), è stato utilizzato un
prospetto sintetico di quelle impiegate per ogni azione, distinguendo tra risorse
regionali e risorse comunali, restituendo i totali complessivi. Come accennato
in precedenza, per le risorse è stata effettuata una valutazione descrittiva,
poiché non è stato possibile valutarne l‟efficienza.
127
Infine la sezione M dei documenti è relativa alle modalità di valutazione
dei Piani. Si tratta di un tipo di valutazione interna, che la Regione ha richiesto
ai distretti, come requisito fondamentale per la programmazione. La griglia di
valutazione impiegata per la seguente analisi, è volta ad esplorare chi sono gli
attori a cui spetta il compito della valutazione formale, cosa hanno valutato,
come e quando. Per maggiore approfondimenti si rimanda all‟Allegato A
presente in Appendice.
3.3. I risultati della programmazione
In questo paragrafo saranno presentati i risultati derivati dall‟analisi dei Piani
Territoriali di Politiche Giovanili della Provincia di Napoli. Il lavoro si
concentra soprattutto sugli aspetti significativi, che sono emersi nel corso della
valutazione delle varie sezioni che compongono i documenti.
In particolar modo è stato possibile riflettere sulle caratteristiche generali
del distretto, sulle priorità della programmazione, sugli obiettivi strategici,
sull‟analisi del contesto locale, sui bisogni e le problematiche giovanili.
Inoltre l‟attività di ricerca è tesa ad individuare le pratiche concertative,
descrivendo quali sono gli attori coinvolti, gli strumenti impiegati e le modalità
previste per la predisposizione dei Piani. In particolare, è stato utile analizzare
le forme di integrazione e coordinamento delle attività progettuali tra i diversi
ambiti di politiche e anche tra i diversi settori di intervento, per comprenderne
il livello di sistematicità e di coerenza.
Un altro aspetto rilevante su cui si è soffermata l‟attenzione, è quello
relativo ai servizi esistenti: Informagiovani, Forum, Associazioni e Consulte.
In questo caso oltre alle priorità della programmazione è stata valutata
l‟analisi SWAT elaborata dai distretti, in cui i Comuni hanno avuto l‟occasione
di ragionare sui punti di forza, di debolezza, sui vincoli e sulle opportunità dei
servizi.
128
Nel corso dell‟analisi si discuterà anche sulla valutazione interna,
formalmente prevista nei Piani, e sulle modalità in cui è stata condotta.
Infine, dato che i Comuni dovevano contribuire con il 25% delle risorse
finanziarie proprie rispetto a quelle regionali, è stato valutato il riparto
complessivo delle risorse tra le varie azioni, tenendo conto anche
dell‟assegnazione dei finanziamenti in base alla popolazione giovanile presente
nei distretti della Provincia di Napoli.
3.3.1. Le dimensioni esplorate all’interno dell’analisi del contesto locale: le problematiche e i bisogni emergenti
A partire dall‟analisi del contesto socio-culturale dei diversi territori, i
distretti della Provincia di Napoli hanno avuto il compito di provvedere
all‟individuazione dei bisogni e delle problematiche giovanili, delineando
quindi interventi specifici in base al profilo dei giovani. In particolare il lavoro
si è concentrato su alcune delle principali dimensioni, individuando gli aspetti
maggiormente indagati all‟interno dei documenti. Per quanto riguarda il grado
di approfondimento delle tematiche analizzate, è stata utilizzata una scala da 1
a 4, in cui il livello di descrizione di ogni dimensione è stato ricavato
assegnando ad ogni valore numerico il seguente significato:
1= grado di approfondimento “basso”
2= grado di approfondimento “medio-basso”
3=grado di approfondimento “medio-alto”
4= grado di approfondimento “alto”
La prima dimensione analizzata, riguarda la descrizione delle
caratteristiche geo-morfologiche. In questo caso solo il 23,5% dei distretti
ha delineato tali aspetti territoriali, con un basso grado di approfondimento.
129
Inoltre, in questa sessione, non sono stati individuati i bisogni della
popolazione, mentre le problematiche sono emerse soltanto in due Piani113.
Tabella 8. Grado di esplorazione delle caratteristiche geo-morfologiche
Frequenze %
Nessuno 13 76,5
Basso 4 23,5
Totale 17 100,0
Tabella 9. Le problematiche geo-morfologiche
Frequenze %
Si 2 11,8
No 15 88,2
Totale 17 100,0
Per quanto riguarda l‟area dei trasporti e delle comunicazioni, un solo
distretto114 ha analizzato tale dimensione, con un grado di approfondimento
molto basso (pari a 1 nella scala). In questo caso non sono emerse né le
problematiche né i bisogni locali.
Le caratteristiche demografiche, invece, sono state descritte dal 70,6%
dei distretti, anche se con un basso livello di approfondimento circa le
problematiche ed i bisogni del territorio. Infatti il 29,4% dei distretti ha
segnalato che tra le questioni più rilevanti, vi sono l‟emergenza abitativa, la
densità demografica e la mancanza di alloggi. Solo due distretti,115 invece,
hanno individuato i bisogni della popolazione, che riguardano in particolare i
giovani. Nei documenti è emerso il bisogno di trattenere la popolazione
113 Si fa riferimento al distretto 24 (Comune capofila Ischia) in cui si accennano le problematiche del territorio relative alla realtà isolana; ed al distretto 37 (Comune capofila Torre Annunziata) in cui vengono descritte le problematiche geo-morfologiche tipiche dei paesi vesuviani. 114 Si fa riferimento al distretto 28 (Comune capofila Afragola). 115 In questo caso i distretti sono il numero 24 (Comune capofila Ischia) ed il numero 29 (Comune capofila Casavatore).
130
giovanile sul territorio, incoraggiandoli a partecipare attivamente alla vita
sociale e politica.
Tabella 10. Grado di esplorazione delle caratteristiche demografiche
Frequenze %
Nessuno 5 29,4
Basso 5 29,4
Medio-Basso 2 11,8
Medio-Alto 3 17,6
Alto 2 11,8
Totale 17 100,0
Tabella 11. Le problematiche ricorrenti: ambito demografico
Frequenze %
Si 5 29,4
No 12 70,6
Totale 17 100,0
Tabella 12. I bisogni in ambito demografico
Frequenze %
Si 2 11,8
No 15 88,2
Totale 17 100,0
Gli aspetti correlati alle infrastrutture, sono delineati dal 64,7% dei
distretti, che hanno indicato le seguenti problematiche: uno scarso
coordinamento, una dislocazione della popolazione dalle infrastrutture ed un
peggioramento complessivo della qualità dei servizi. Tra i bisogni evince che
occorre potenziare maggiormente la scuola e attivare ulteriori infrastrutture
capaci di favorire il coinvolgimento giovanile. Inoltre c‟è stato un solo
131
distretto116 che ha proposto di migliorare la pianificazione territoriale, mentre
gli altri non hanno espresso alcun giudizio in merito a tale questione.
Tabella 13. Grado di esplorazione delle Infrastrutture
Frequenze %
Nessuno 6 35,3
Basso 6 35,3
Medio-Basso 2 11,8
Medio-Alto 1 5,9
Alto 2 11,8
Totale 17 100,0
Tabella 14. Le problematiche ricorrenti: infrastrutture
Frequenze %
Si 6 35,3
No 11 64,7
Totale 17 100,0
Tabella 15. I bisogni inerenti alle infrastrutture
Frequenze %
Si 3 17,6
No 14 82,4
Totale 17 100,0
Un‟altra tematica emersa, anche se poco ricorrente, poiché riportata dal
31,4% dei distretti, è quella relativa alla sicurezza ed alla vivibilità del
territorio. In questo caso le problematiche ed i bisogni sono più generici e
lacunosi all‟interno dei documenti. Spesso è stato fatto un vago accenno al
tema della microcriminalità e al senso di insicurezza che ne deriva.
116 Ci si riferisce al distretto 31 (Comune capofila Acerra)
132
Infine, sempre per quanto riguarda l‟analisi del territorio, in un solo
distretto è sorto il problema dell‟inagibilità degli spazi pubblici a causa
dell‟abbandono e dello stato di incuria in cui sono destinate tali strutture117. In
alcuni documenti sono stati, invece, rilevati i problemi legati all‟emergenza
ambientale, in particolare riguardo la gestione dei rifiuti118 ed all‟abusivismo
edile119. In questo caso è stato indicato il bisogno di interventi che abbiano una
visione strategica di sviluppo complessivo della realtà locale,120 che individuino
degli obiettivi comuni su cui agire121 offrendo anche luoghi di incontro e spazi
pubblici più sicuri, in cui i giovani possano interagire122.
Tabella 16. Grado di esplorazione degli aspetti legati all’ambito della
Sicurezza e della vivibilità del territorio
Frequenze %
Nessuno 12 70,6
Basso 2 11,8
Medio-Basso 1 5,9
Medio-Alto 1 5,9
Alto 1 5,9
Totale 17 100,0
Tabella 17. Le problematiche ricorrenti: sicurezza e vivibilità
Frequenze %
Si 4 23,5
No 13 76,5
Totale 17 100,0
117 Si fa riferimento al distretto 25 (Comune Capofila Pozzuoli) 118 All‟interno dell‟analisi del contesto territoriale, il Piano del distretto 31 (Comune capofila Acerra) sono emersi problemi ambientale e problemi legati allo smaltimento dei rifiuti. 119 In questo caso si fa riferimento ai distretti 34 (Comune capofila S. Giorgio a Cremano) e 37 (Comune capofila Torre Annunziata). 120 Nel Piano del distretto 35 (Comune capofila Portici) 121 Nel PTG del distretto 29 (Comune capofila Casavatore) è stato indicato che bisogna individuare obiettivi comuni di intervento per quanto riguarda quest‟aspetto, creando buone pratiche per lo sviluppo complessivo del territorio. 122 Bisogno emerso dall‟analisi del PTG del distretto numero 25 (Comune capofila Pozzuoli)
133
Tabella 18. I bisogni relativi all’ambito della sicurezza e della vivibilità
Frequenze %
Si 3 17,6
No 14 82,4
Totale 17 100,0
Molto più minuziosa è l‟analisi delle problematiche sociali (presente in 11
PTG) in cui il 64,7% dei distretti ne descrive le caratteristiche. Per quanto
riguarda il grado di approfondimento della tematica, il 23,5% assume valore 3
nella scala, il che significa che vi è un grado medio-alto di approfondimento,
mentre il 17,6 addirittura assume un valore 4, quindi con un alto grado di
approfondimento.
Tabella 19. Grado di esplorazione delle problematiche sociali
Frequenze %
Nessuno 6 35,3
Basso 2 11,8
Medio-Basso 2 11,8
Medio-Alto 4 23,5
Alto 3 17,6
Totale 17 100,0
Tabella 20. Le problematiche sociali
Frequenze %
Si 10 58,8
No 7 41,2
Totale 17 100,0
Tabella 21. I bisogni sociali
Frequenze %
Si 8 47,1
No 9 52,9
Totale 17 100,0
134
Nell‟ambito delle problematiche sociali, vengono delineati dettagliatamente
gli aspetti critici, che in alcuni casi riguardano prettamente i giovani, mentre
per altri la questione si estende ed investe tutta la popolazione. Per quanto
riguarda i giovani nello specifico, le problematiche sono inerenti alla
dispersione scolastica, alla delinquenza ed all‟uso di sostanze stupefacenti e/o
di alcolici; mentre la criminalità, il disagio sociale ed il rischio di esclusione e
marginalità, sono considerati fenomeni globali, che non riguardano
esclusivamente la condizione giovanile. In questo scenario si mette in evidenza
una stratificazione complessa del disagio di una fascia sempre più ampia della
popolazione, ma soprattutto giovanile, che vive in condizioni di arretratezza,
tali da mettere in discussione qualunque prospettiva di sviluppo. A tali
problemi spesso subentra il bisogno di interventi integrati che offrano
orientamento, informazione, sensibilizzazione e ascolto. Inoltre vi è la
consapevolezza di quanto sia necessario investire nella formazione,
potenziando anche le scuole, proprio perché la giovinezza è un periodo
dedicato all‟apprendimento ed all‟acquisizione di competenze e saperi,
compiuta di norma dagli istituti scolastici, visti come agenzie di socializzazione
preposte ad hoc, allo scopo di introdurre specificamente le giovani generazioni
nel mondo adulto. Inoltre è espressamente dichiarato che vi è il bisogno di
creare iniziative culturali, potenziare i servizi e le attività soprattutto per
impiegare il tempo libero.
Infatti, per quanto riguarda la dimensione inerente alle opportunità
ricreative, tali aspetti sono descritti dall‟82,4% dei distretti, con un livello
medio-alto di approfondimento. I bisogni individuati si riferiscono in
particolare alla necessità di spazi, di luoghi di aggregazione, di socializzazione,
utili sopratutto per impiegare il tempo libero, così come anche le
problematiche descritte riguardano nello specifico la carenza di strutture per i
giovani in grado di accoglierli.
135
Tabella 22. Grado di esplorazione delle opportunità ricreative
Frequenze %
Nessuno 3 17,6
Basso 3 17,6
Medio-Basso 5 29,4
Medio-Alto 5 29,4
Alto 1 5,9
Totale 17 100,0
Tabella 23. Le problematiche ricorrenti: opportunità ricreative
Frequenze %
Si 9 52,9
No 8 47,1
Totale 17 100,0
Tabella 24. I bisogni relativi alle opportunità ricreative
Frequenze %
Si 5 29,4
No 12 70,6
Totale 17 100,0
Il tema del lavoro è altrettanto frequente, esplorato dal 76,5% dei distretti,
con un livello di approfondimento medio-basso. Su questo argomento si sono
descritte soprattutto le problematiche, senza prevedere possibili soluzioni o
individuare i bisogni della popolazione giovanile. Per quanto riguarda i
problemi, rilevante è il tema della disoccupazione intellettuale, anche se come
nel caso delle problematiche sociali, tale fenomeno spesso è generalizzato
all‟intera popolazione e non riguarda solo i giovani.
Il lavoro nero, sottopagato o stagionale è un altro aspetto su cui sono state
condotte attente riflessioni all‟interno della documentazione. La
136
precarizzazione del lavoro è un fenomeno dilagante, ampiamente descritto,
che diventa una delle cause di sradicamento e di marginalità sociale e culturale.
Per questo motivo anche se non sono state proposte alternative valide a tali
questioni, il bisogno che traspare dall‟analisi del contesto locale è quello di
collegare l‟ambito formativo con quello professionale, per trattenere i giovani
talenti ed arginare il fenomeno dell‟emigrazione intellettuale.
Puntare sulla valorizzazione dei giovani, significa soprattutto arricchire il
territorio con capitale umano ed è per questo che alcuni distretti hanno
insistito nel sottolineare che bisogna arginare la fuga dei cervelli e valorizzare il
tessuto sociale.
Tabella 25. Grado di esplorazione del mercato del lavoro
Frequenze %
Nessuno 4 23,5
Basso 3 17,6
Medio-Basso 5 29,4
Medio-Alto 3 17,6
Alto 2 11,8
Totale 17 100,0
Tabella 26. Le problematiche ricorrenti: mercato del lavoro
Frequenze %
Si 10 58,8
No 7 41,2
Totale 17 100,0
Tabella 27. I Bisogni del mercato del lavoro
Frequenze %
Si 4 23,5
No 13 76,5
Totale 17 100,0
137
Per quanto riguarda le altre dimensioni che sono rientrate nella modalità
residuale, una preoccupazione emersa è quella relativa alla scarsa fiducia che i
giovani rivestono nelle istituzioni, il che è anche uno dei motivi che ha fatto
scaturire il bisogno di coinvolgerli e renderli partecipi attivamente alla vita
pubblica123.
In questa sede è stato ribadito che è compito delle istituzioni sostenere a
pieno il rafforzamento dell‟informazione e della partecipazione, attraverso una
serie di azioni che favoriscano l‟esercizio della cittadinanza attiva e
democratica dei giovani, cercando di rispondere pienamente ai loro bisogni,
offrendo loro l‟opportunità di crearsi un futuro, ma soprattutto la certezza che
il loro percorso di vita non sia più segnato da confini così labili ed incerti.
Quindi insistere sulle tematiche di partecipazione e di inclusione sociale, quali
elementi prioritari per la programmazione degli interventi, è di grande valore
anche in questa sezione che analizza il contesto locale.
3.3.2. Le priorità di programmazione e gli obiettivi strategici
In questo paragrafo sono analizzate le priorità della programmazione e gli
obiettivi strategici individuati dai distretti.
Nell‟ambito della redazione dei Piani della Provincia di Napoli, le priorità
della programmazione sono risultate molto eterogenee. Infatti è stato
complesso prevedere delle categorie esaustive all‟interno della scheda di
valutazione, perché molti aspetti non potevano essere inclusi
aprioristicamente, visto che sono emerse molte specificità locali ed ogni
distretto ha preferito orientarsi e dare preminenza ad aspetti specifici. Quindi
nel corso della valutazione è stato necessario aggiornare più volte lo strumento
123 In questo caso la questione della partecipazione e del problema della sfiducia dei giovani nelle istituzioni è ben espressa nella documentazione dei distretti 35 e 40-49, corrispondenti ai Comuni capofila di Portici e Napoli.
138
di analisi. Una volta interrogati i documenti, si è proceduto a rilevare le singole
priorità di intervento, per poi formulare in un secondo momento delle
classificazioni opportune per quanto riguarda le modalità più frequenti, mentre
le restanti priorità non generalizzabili, sono rientrate all‟interno della modalità
residuale “altro”.
Come primo aspetto si è potuto osservare che il 35,3% dei distretti ha
individuato la necessità di implementare la rete dei servizi esistenti,
migliorandone l‟offerta, mentre il 23,5 dei distretti ha evidenziato come
priorità l‟attivazione di nuove strutture. Partendo da ciò che è stato realizzato
nell‟ambito delle politiche giovanili, i distretti hanno maturato la
consapevolezza che occorre potenziare i servizi già operativi e rendere attivi
quelli previsti, ma non ancora funzionanti. Per realizzare quanto progettato, gli
amministratori locali hanno indicato all‟interno dei Piani la necessità di dotare
tali strutture di strumenti, attrezzature e personale adeguato.
Tabella 28. Priorità: implementare la rete dei servizi esistenti
Frequenze %
Si 6 35,3
No 11 64,7
Totale 17 100,0
Tabella 29. Priorità: attivare nuovi servizi
Frequenze %
Si 4 23,5
No 13 76,5
Totale 17 100,0
Un altro scopo della programmazione è stato quello di raggiungere un
bacino di utenti più esteso, infatti, il 29,5% dei distretti indica tale priorità,
139
proprio perché tali servizi, nati per i giovani, sono ancora poco conosciuti e
utilizzati dagli stessi.
Tabella 30. Priorità: raggiungere un maggior numero di utenti
Frequenze %
Si 5 29,4
No 12 70,6
Totale 17 100,0
Interessante è stato riflettere sulle altre priorità indicate, poiché l‟88,2% dei
distretti ha descritto specifiche esigenze, tra le quali vi sono quelle di condurre
campagne informative di promozione e pubblicizzazione delle attività,
realizzare incontri per incentivare il coinvolgimento dei giovani e favorire la
collaborazione con altri attori territoriali esistenti. Altri, invece, hanno indicato
delle priorità generali, che non riguardavano unicamente i servizi, ma un
insieme di interventi. Tra i più ricorrenti vi è quello di puntare sulla
formazione e creare opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.
Ancora una volta è presente un riferimento all‟interdipendenza delle
politiche, in particolare si insiste sul tema del lavoro e della formazione, per
fare in modo che i due ambiti si muovano su binari paralleli, offrendo
interventi congiunti.
Tabella 31. Priorità: altri aspetti
Frequenze %
Si 15 88,2
No 2 11,8
Totale 17 100,0
140
Per quanto riguarda l‟analisi degli obiettivi strategici124, il 70,6% dei distretti
ha indicato la necessità di garantire una maggiore informazione e
sensibilizzazione sull‟intero territorio. Assicurare una maggiore attività di
informazione, orientamento e una comunicazione attiva nei confronti dei
giovani, formulata nel loro linguaggio per far sì che comprendano il
funzionamento dei servizi e delle politiche che li riguardano, è ritenuto un
passo importante per coinvolgerli, promuovendo la loro autonomia. Inoltre
sviluppare un‟azione di sensibilizzazione sul territorio, offrendo occasioni di
incontro per discutere di tematiche legate non solo all‟ambito giovanile, ma
anche al contesto in cui vivono, può generare maggiore consapevolezza delle
opportunità offerte dal territorio.
Tabella 32. Informazione/sensibilizzazione del territorio
Frequenze %
Si 12 70,6
No 5 29,4
Totale 17 100,0
Un altro aspetto significativo, che è trasparso dalla documentazione,
riguarda la collaborazione interistituzionale, individuata come prioritaria dal
41,2% dei distretti. In particolare è stato indicato l‟obiettivo di migliorare il
dialogo e favorire una piena collaborazione a più livelli istituzionali. Tuttavia,
andando al di là della collaborazione istituzionale, meno rilevante è la
percentuale dei distretti che indicano che bisogna anche favorire il dialogo con
altri attori non appartenenti all‟ambito istituzionale (23,5%).
124 Gli obiettivi strategici, sono stati raggruppati in nove macroaree, che riguardano nello specifico: a) il radicamento territoriale dei servizi esistenti; b) la collaborazione interistituzionale; c) le attività di informazione/sensibilizzazione del territorio; d) i rapporti con l‟utenza; e) la formazione degli operatori; f) l‟attivazione di nuovi servizi; g) la collaborazione tra attori non istituzionali; h) la relazione con la formazione professionale; i) la relazione con il mercato del lavoro.
141
Tabella 33. Collaborazione interistituzionale
Frequenze %
Si 7 41,2
No 10 58,8
Totale 17 100,0
Tabella 34. Collaborazione con attori non istituzionali
Frequenze %
Si 4 23,5
No 13 76,5
Totale 17 100,0
Soprattutto il collegamento con il mercato del lavoro è particolarmente
ricorrente, anche in questa parte della documentazione; infatti il 47% dei
distretti lo indica come obiettivo strategico. In un contesto in cui permangono
alti tassi di disoccupazione, soprattutto giovanile, sono quindi opportune delle
misure volte a garantire l‟occupabilità per evitare le trappole della
disoccupazione strutturale e permanente.
Tabella 35. Relazione con il mercato del lavoro
Frequenze %
Si 8 47,1
No 9 52,9
Totale 17 100,0
142
3.3.3. L’analisi del sistema locale dei servizi Informagiovani e del sistema di partecipazione giovanile: Forum, Consulte e Associazioni
Nell‟ambito del sistema locale dei servizi e degli ambiti di partecipazione
giovanile, corrispondente alle sezioni C e D dei PTG, viene richiesta una
descrizione dei servizi Informagiovani e dei sistemi di partecipazione quali i
Forum, le Consulte e le Associazioni presenti sul territorio.
Il Servizio Informagiovani, vede accrescere la sua importanza nel corso
degli anni, sia perché fornisce supporti d’informazione ed orientamento ai
giovani, sia perché raccoglie, elabora e trasmette informazioni nei diversi
settori di interesse. Gli Informagiovani si diffondono sul territorio, diventando
il principale strumento delle politiche giovanili, ed anche all‟interno dei Piani, il
47,1% dei distretti descrive ampiamente le attività che sono state realizzate da
tali servizi125. Le attività realizzate attengono all‟ambito della formazione,
dell‟orientamento, dell‟informazione e dell‟animazione territoriale, attraverso
incontri periodici e collaborazioni con i diversi attori locali.
Tabella 36. Numero Informagiovani presenti
Numero
Informagiovani Frequenze %
1 2 11,8
2 3 17,6
3 1 5,9
4 1 5,9
5 3 17,6
6 2 11,8
7 3 17,6
12 1 5,9
Totale 16 94,1
Missing 1 5,9
Totale 17 100,0
125 In ben otto Piani si riporta una descrizione delle attività realizzate dagli Informagiovani.
143
Tabella 37. Numero Informagiovani attivi
Numero
Informagiovani Frequenze %
1 2 11,8
2 4 23,5
3 2 11,8
4 1 5,9
5 3 17,6
6 2 11,8
7 1 5,9
11 1 5,9
Totale 16 94,1
Missing 1 5,9
Totale 17 100,0
Tabella 38. Attività realizzate dagli Informagiovani
Frequenze %
Si 8 47,1
No 8 47,1
Totale 16 94,1
Missing 1 5,9
Totale 17 100,0
Per quanto riguarda le Consulte giovanili126, le esperienze locali sono
limitate, in particolar modo in Campania, ed è per questo motivo che in
nessun documento della Provincia di Napoli sono state analizzate.
Un altro aspetto rilevante è che nonostante la forte presenza
dell‟associazionismo giovanile sul territorio, all‟interno della sezione in cui
126 La Consulta giovanile è un organo consultivo comunale, che elabora proposte inerenti le tematiche giovanili ed esprime, a richiesta di qualsiasi membro della Giunta Municipale e/o del Consiglio Comunale, un parere propositivo e non vincolante, sulle tematiche che rientrano nella proprie finalità. Tale organizzazione non persegue finalità di lucro ed ha lo scopo di porre le problematiche giovanili all‟attenzione degli organi comunali, sviluppando nei giovani il senso di appartenenza alla propria comunità, promuovendo le loro progettualità. Tale strumento ha la funzione di favorire il raccordo tra i gruppi giovanili e le istituzioni locali; promuovendo, inoltre, tutto ciò che riguarda il mondo giovanile in termini di studi, ricerche, progetti, servizi, risorse, etc.
144
bisognava indicare gli attori maggiormente coinvolti, manca un riferimento
preciso al numero di associazioni presenti ed alle attività realizzate. Solo in un
Piano127 vengono indicate le associazioni sia presenti che attive, nonché il
settore di attività in cui sono coinvolte.
Come visto in precedenza, i Forum rappresentano un organismo di
partecipazione a carattere elettivo, che si propone di avvicinare i giovani alle
istituzioni, attraverso lo scambio di idee, proposte e suggerimenti. Il Forum,
inoltre, si rapporta con le organizzazioni giovanili, supportandole nella
realizzazione delle attività.
Nel corso dell‟analisi è emerso che il 70,6% dei distretti ha almeno un
Forum attivo. In un solo ambito territoriale128, quest‟organismo di
partecipazione manca del tutto, mentre in altri distretti è presente, ma non
attivo129. Le attività realizzate sono descritte approssimativamente nei
documenti, tuttavia quelle presenti sono riportate solo in 4 PTG e riguardano
la proposta delle azioni previste, le attività di orientamento e consulenza, e la
realizzazione di incontri per incentivare la partecipazione.
Tabella 39. Numero Forum presenti
127 Si fa riferimento al distretto numero 30 (Comune capofila Cicciano). 128 Nel distretto 29 (Comune Capofila Casavatore) non è presente nessun Forum. 129 Come nel caso dei distretti 25, 28 e 36 (Comuni Capofila Pozzuoli, Afragola e Torre del Greco) in cui sono previsti i Forum giovanili, ma nessuno è attivo.
Numero Forum Frequenze %
0 1 5,9
1 4 23,5
2 4 23,5
3 2 11,8
4 2 11,8
6 1 5,9
10 1 5,9
Totale 15 88,2
Missing 2 11,8
Totale 17 100,0
145
Tabella 40. Numero Forum attivi
Numero Forum Frequenze %
0 4 23,5
1 4 23,5
2 2 11,8
3 3 17,6
4 2 11,8
6 1 5,9
Totale 16 94,1
Missing 1 5,9
Totale 17 100,0
Tabella 41. Attività realizzate dai Forum
Frequenze %
Si 4 23,5
No 12 70,6
Totale 16 94,1
Missing 1 5,9
Totale 17 100,0
Nella tabella seguente si riporta il numero dei servizi presenti e attivi con il
riferimento ad alcuni indici statistici.
Tabella 42. Statistiche descrittive
N
Missing Minimo Massimo Media
Deviazione
standard
Numero IG presenti 16 1 1 12 4,69 2,892
Numero IG attivi 16 1 1 11 4,06 2,645
Numero Forum presenti 15 2 0 10 2,80 2,513
Numero Forum attivi 16 1 0 6 1,94 1,769
Numero Consulte presenti 16 1 0 0 0,00 0,000
Numero Consulte attive 16 1 0 0 0,00 0,000
Numero associazioni
presenti 16 1 0 4 0,25 1,000
Numero associazioni
attive nelle consulte 16 1 0 4 0,25 1,000
146
Attraverso l'analisi SWOT (sezione D dei PTG) è stato possibile riflettere
sui punti di forza e di debolezza, sui vincoli e sulle opportunità, sia dei servizi
che del sistema locale di partecipazione, al fine di far emergere quegli aspetti
capaci di favorire, oppure ostacolare il perseguimento degli obiettivi.
Nello specifico, l'analisi SWOT potrebbe essere considerata una sorta di
autovalutazione, che gli amministratori hanno condotto per riflettere sui fattori
endogeni ed esogeni, descrivendo l‟andamento complessivo dei servizi per
compiere una lettura incrociata di tutti gli aspetti individuati all‟interno
dell‟analisi del sistema locale.
I fattori endogeni si distinguono in punti di forza e di debolezza; i fattori
esogeni in opportunità e rischi. Tra i primi si considerano tutte quelle variabili
che fanno parte integrante del sistema, sulle quali è possibile intervenire per
perseguire gli obiettivi. Tra i secondi, invece, figurano variabili esterne al
sistema, che però possono condizionarlo sia positivamente sia negativamente.
In questo caso è stato possibile riflettere direttamente sul sistema locale al fine
di prevenire gli eventi negativi e mettere a profitto quelli positivi.
Dall‟analisi quantitativa non sono emersi dati significativi, infatti, la
modalità più frequente tra quelle previste era quella residuale. Questo significa
che ogni distretto ha orientato la propria analisi verso specifici aspetti non
generalizzabili in categorie prestabilite.
Per l‟analisi SWAT sono state quindi analizzate le singole sessioni,
attraverso un‟analisi qualitativa.
Per quanto riguarda i punti di forza, i distretti hanno indicato soprattutto
che vi è una buona attività informativa offerta dai servizi Informagiovani, oltre
ad una buona conoscenza e visibilità sul territorio. Inoltre vi è un‟ampia
descrizione delle strutture, di cui si cerca di migliorare l‟accesso ed estendere
gli orari di apertura. Tali servizi inoltre avranno l‟occasione di sperimentare
forme di collaborazione con altri attori istituzionali e questo aspetto è
considerato di grande importanza. Un ulteriore vantaggio è costituito dalla
147
numerosa presenza dei giovani sul territorio, che rappresentano una risorsa
umana indispensabile per potenziare le azioni previste.
Tuttavia tra i punti di debolezza vi sono indicate le modalità di
coinvolgimento dell‟utenza e la distanza spaziale tra le strutture. Bisognerebbe
promuovere maggiormente questi servizi puntando su una maggiore apertura,
ottimizzando anche la distribuzione sul territorio, per accrescere nei giovani la
convinzione che le istituzioni locali siano disponibili ad ascoltare le loro
necessità e maggiormente accessibili. L‟assenza di un coordinamento tra i
servizi del territorio, fino alla metà del decennio scorso, ha generato uno
scarso senso di fiducia tra i giovani della Provincia di Napoli, che spesso non
erano neanche a conoscenza delle risorse e delle opportunità messe a loro
disposizione. Le Amministrazioni comunali, quindi devono attivare processi di
partecipazione, sia durante che dopo la programmazione, cercando di definire
delle strategie efficaci per recuperare la fiducia persa, per riavvicinare i giovani
alle istituzioni e per avviare una collaborazione proficua.
Un altro aspetto indicato, riguarda le risorse territoriali che sono considerate
scarse o inadeguate per il funzionamento e l‟apertura delle strutture. Forse le
risorse sono gestite nel modo sbagliato, o magari servirebbe una maggiore
continuità nei finanziamenti. Quindi occorrono ulteriori indicazioni ai distretti
circa le modalità di selezione dei progetti da finanziare, il che necessita inoltre
di logiche meritocratiche e funzionali per la selezione degli interventi.
Un altro ambito carente riguarda la formazione del personale, che necessita
di essere potenziato. Dai Piani è emerso che i distretti hanno ritenuto
opportuno aumentare sia il numero degli operatori, che le ore di apertura dei
servizi. Anche per quanto riguarda l‟organizzazione degli spazi è stato messo in
evidenza che occorrono luoghi ed attrezzature adeguate per la fruizione. Per
alcuni distretti sono invece le modalità di scambio e di dialogo con gli altri
attori presenti sul territorio, nonché la scarsa partecipazione giovanile a
costituire il nodo critico. Questo sta a significare che deve avvenire un
148
confronto orizzontale tra attori di diversa estrazione, che ammetta una piena
collaborazione dettata dalle esigenze stesse dei problemi e delle tematiche da
affrontare. Un‟altra difficoltà riguarda la scarsa capacità delle istituzioni e della
pubblica amministrazione di comunicare con i giovani.
Occorre favorire il dialogo promuovendo una migliore comprensione da
parte di tutti gli attori dei problemi e delle potenzialità delle nuove generazioni.
Tali servizi e sistemi di partecipazione si devono porre come ponte per
facilitare la comunicazione ed il dialogo tra la popolazione giovanile e l‟ente
locale; affermandosi quindi come mezzi necessari per “dar voce” ai giovani
presenti sul territorio.
Per quanto riguarda le opportunità offerte dai servizi è stata indicata la
possibilità di migliorare l‟informazione, in quanto necessario strumento per
favorire l‟interazione e la partecipazione dei giovani.
Quasi in tutti i documenti è emerso che vi è un buon livello di
partecipazione e di associazionismo, per cui numerose sono state le occasione
che hanno avuto i distretti, nonostante le difficoltà sopracitate, di coinvolgere
le istituzioni e altri soggetti presenti sul territorio, per attivare percorsi di
governance negoziati e condivisi.
Analogamente ai punti di debolezza, anche nell‟analisi dei vincoli, è emersa
soprattutto una carenza del personale, che è inadeguato e impreparato alla
gestione dei compiti. Inoltre per quanto riguarda le risorse territoriali, sono
considerate scarse e insufficienti per l‟esercizio delle attività. Ancora una volta
tali aspetti incidono sul sistema funzionale dei servizi e delle strutture di
partecipazione giovanile. Tra gli altri aspetti vi è la scarsa collaborazione tra
pubblico e privato e la poca integrazione tra le politiche. Inoltre la lentezza
delle procedure amministrative, dovuta a motivi di carattere burocratico, ha
non di poco ostacolato la realizzazione degli interventi.
Alcuni distretti indicano che per superare questi vincoli c‟è bisogno di un
cambiamento socio-culturale da parte di tutti gli attori coinvolti; una
149
trasformazione che sia capace di mettere in discussione un sistema radicato
che poggia su meccanismi viziosi e consolidati di adattamento.
3.3.4. Le risorse finanziarie impiegate
Per quanto riguarda le risorse finanziarie, i distretti erano tenuti a versare un
minimo del 25% di risorse proprie rispetto alle risorse regionali. Dall‟analisi dei
dati è emerso che sul totale complessivo delle singole azioni i distretti hanno
rispettato la soglia prevista.
Tabella 43. Risorse finanziarie complessive
Provincia di Napoli
Risorse Regionali
Totale azioni
A-B-C-H
Risorse
Proprie 25%
Totale azioni
A-B-C-H
Totale
Ischia 60.846,05 15.211,51 76.057,56
Pozzuoli 85.405,19 21.351,30 106.756,5
Marano 142.950,56 35.737,64 178.688,2
Frattamaggiore 115.388,18 28.847,05 144.235,2
Afragola 42.439,36 10.609,84 53.049,2
Casavatore 81.286,56 20.321,64 101.608,2
Cicciano 124.896,52 31.224,13 156.120,7
Acerra 123.254,95 30.813,74 154.068,7
Ottaviano 79.078,38 19.769,60 98.847,98
Somma Vesuviana 79.251,42 19.812,86 99.064,28
S.Giorgio a Cremano 46.157,52 11.539,38 57.696,9
Portici 64.924,31 16.231,08 81.155,39
Torre del Greco 50.607,91 12.651,98 63.259,89
Torre Annunziata 75.435,29 18.858,82 94.294,11
Castellammare 107.850,59 26.962,65 134.813,2
Sorrento 67.317,76 16.829,44 84.147,2
Napoli 354.349,92 88.587,48 442.937,4
Totale 1.701.440 425.360,1 2.126.801
150
Quindi a questo punto è stato interessante osservare quanto effettivamente
è stato investito per ogni azione.
Per quanto riguarda l‟Azione A, in media la Regione ha finanziato 43.399,27
euro, mentre i distretti hanno investito 12.941,45 euro. Per l‟azione B la media
delle risorse regionali è di 8.998,49 euro, mentre i distretti hanno partecipato
mediamente con €.3.067,66 di risorse proprie. La media delle risorse regionali
per l‟azione C è di €. 27.361,43, mentre la media delle risorse proprie ammonta
a €.7.618,39. Infine per l‟azione H la media regionale di risorse è pari a
22.885,76 euro, mentre la media delle risorse distrettuali è di €.5.215,85.
Tabella 44. Statistiche descrittive
Risorse N Minimo Massimo Media
Deviazione
standard
RisorseA 17 24.512,32 135.709,19 43.399,27 26781,52
RisorseProprieA 17 6.128,08 34.000,00 12.941,45 8820,24
AltreRisorseA 17 0,00 42.398,63 4.298,80 12310,59
TotaleA 17 0,00 16.9636,49 55.184,75 35911,42
RisorseB 17 920,66 46.910,48 8.998,49 10731,49
RisorseProprieB 17 0,00 27.000,00 3.067,66 6384,26
AltreRisorseB 17 0,00 4.094,00 240,82 992,94
TotaleB 17 1.150,22 73.910,48 12.306,97 16708,27
RisorseC 17 9.007,37 11.3271,15 27.361,43 24083,92
RisorseProprieC 17 2.000,00 28.317,78 7.618,39 6918,27
AltreRisorseC 17 0,00 12.132,00 713,64 2942,44
TotaleRisorseC 17 2.321,85 141.588,93 35.141,29 30410,11
Risorse Regionali H 17 7.718,88 94.141,08 22.885,76 19908,61
Risorse ProprieH 17 0,00 23.535,27 5.215,85 5347,66
Altre RisorseH 17 0,00 10.082,00 593,05 2.445,24
Totale H 17 1.929,72 117.676,35 28.240,62 24895,74
Per esigenze operative, è stata eseguita un‟analisi delle frequenze ed in base
alla distribuzione dei dati, tali risorse sono state aggregate in classi. Dalla
Tabella 45 è possibile notare che il 35% delle risorse Regionali destinate
all‟azione A, non supera i 40.000,00 euro.
151
Tabella 45. Risorse regionali azione A in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 24.512 a € 29.434 5 29,4 29,4
Da € 31.200 a € 36.792 6 35,3 64,7
Da € 41.137 a € 46.571 4 23,5 88,2
Da € 57.697 a € 13.5709 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
Per quanto riguarda le risorse distrettuali destinate all‟azione A, il 58,8% dei
distretti non è andato oltre gli 11.000 euro, mentre il 23,5% ha investito una
somma che varia tra un minimo di 17.427,09 ed un massimo di 34.000 euro.
Tabella 46. Risorse proprie Azione A in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 6.128 a € 10.713 10 58,8 58,8
Da € 11.642 a €13.558 3 17,6 76,5
Da € 17.427,09 a € 34.000 4 23,5 100,0
Totale 17 100,0
Passando ad analizzare le risorse finanziarie regionali previste per l‟azione B,
dall‟analisi delle frequenze percentuali, il 35,3% delle risorse regionali, è
inferiore ai 6.000 euro, mentre se si tiene conto delle restanti classi il 41,1%
supera questa cifra.
Tabella 47. Risorse Regionali Azione B in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 920 a € 3.849 4 23,5 23,5
Da € 4.403 a € 5.693 6 35,3 58,8
Da € 7.423,a € 10.576 3 17,6 76,5
Da € 11.228 a € 46.910 4 23,5 100,0
Totale 17 100,0
Le risorse che i distretti hanno investito per l‟azione B, sono inferiori a
2.000 euro nel 70% dei casi.
152
Tabella 48. Risorse Proprie Azione B in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da €.0 a €.1.855 12 70,6 70,6
Da €.2.253 a €.2.888 3 17,6 88,2
Da €.7.000 a €.27.000 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
Osservando i dati presenti nella tabella 49 è possibile notare che il 35,3%
delle risorse regionali destinate all‟azione C, non supera i 24.000 euro. Solo
l‟11% delle risorse supera i 42.000 euro.
Tabella 49. Risorse Regionali Azione C in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 9.007 a € 15891 5 29,4 29,4
Da €16.634 a € 23.067 6 35,3 64,7
Da € 29184 a € 35422 4 23,5 88,2
Da € 42.671 a € 113.271 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
Per quanto riguarda le risorse proprie relative all‟azione C, dalla seguente
tabella è possibile osservare che il 41,2% delle risorse proprie sono inferiori a
5.000 euro, mentre il 29,4% delle risorse distrettuali non è maggiore di 8.000
euro, il 17,6% varia tra 8.000 e 11.000 euro e solo l‟11% degli investimenti
supera i 20.000 euro.
Tabella 50. Risorse Proprie Azione C in classi
Classi Frequenze % % cumulate
da € 2.000 a € 4.971 7 41,2 41,2
da € 5.388,8 a € 7296,18 5 29,4 70,6
da € 8.165,04 a € 11.761,02 3 17,6 88,2
da € 20.240 a € 28.317,78 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
153
Infine per quanto riguarda l‟azione H, il 52,9% delle risorse regionali
destinate a tale ambito non supera i 30.000 euro mentre il 35,3% delle risorse è
inferiore a tale cifra.
Tabella 51. Risorse Regionali Azione H in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 7.718,88 a €19.172,09 6 35,3 35,3
Da € 24.255,82 a € 29.440,09 9 52,9 88,2
Da € 35.464,87 a € 94.141,08 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
Dalla tabella 52 evince che il 70,6% delle risorse distrettuali destinate
all‟azione H sono inferiori a 3.000 euro, il 17,6% varia tra 6.000 e 8.000 euro,
mentre l‟11,8% degli investimenti è maggiore a 10.000 euro.
Tabella 52. Risorse Proprie Azione H in classi
Classi Frequenze % % cumulate
Da € 0,00 a € 4.793,02 12 70,6 70,6
Da € 6.063,95 a € 8.000 3 17,6 88,2
Da € 9.800 a € 23.535,27 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
Di particolare interesse è verificare il numero di risorse impiegate in base
alla popolazione giovanile. In questo caso sono stati considerati i giovani tra i
15 ai 34 anni suddivisi per distretto e residenti nella Provincia di Napoli. È
stato necessario elaborare alcuni rapporti statistici per confrontare i dati.
154
Tabella 53. Rapporti statistici popolazione giovanile e risorse finanziarie
Distretto
Tot. Risorse Tot Pop. Giovani
Distretto
Tot. Risorse
Distretto /
Tot. Giovani
Distretto
Tot.
Giovani Distretto
/ Tot.
Giovani Provincia
%
Tot. Risorse
Distretto /
Risorse Provincia
%
Indice Stat.
Rapp. %
Ischia € 76.057,56 18629 € 4,08 2,21 3,58 1,62
Pozzuoli € 106.756,50 44879 € 2,38 5,31 5,02 0,94
Marano €178.688,20 91374 € 1,96 10,82 8,40 0,78
Frattamaggiore €144.235,20 53436 € 2,70 6,33 6,78 1,07
Afragola € 53.049,20 19771 € 2,68 2,34 2,49 1,07
Casavatore €101.608,20 38998 € 2,61 4,62 4,78 1,03
Cicciano € 156.120,70 32349 € 4,83 3,83 7,34 1,92
Acerra € 154.068,70 62255 € 2,47 7,37 7,24 0,98
Ottaviano € 98.847,98 32556 € 3,04 3,85 4,65 1,21
Somma Vesuviana € 99.064,28 36601 € 2,71 4,33 4,66 1,07
S.Giorgio a Cremano € 57.696,90 14596 € 3,95 1,73 2,71 1,57
Portici € 81.155,39 28422 € 2,86 3,37 3,82 1,13
Torre del Greco € 63.259,89 24025 € 2,63 2,84 2,97 1,05
Torre Annunziata € 94.294,11 31718 € 2,97 3,76 4,43 1,18
Castellammare € 134.813,20 47047 € 2,87 5,57 6,34 1,14
Sorrento € 84.147,20 17788 € 4,73 2,11 3,96 1,88
Napoli € 442.937,40 250147 € 1,77 29,62 20,83 0,70
Totale €2.126.800,61 844591 € 2,52 100,00 100,00 1,00
In primo luogo, osservando il totale delle risorse assegnate per ogni
distretto suddiviso per il numero dei giovani, è emerso che i distretti con
Comune capofila di Ischia, Sorrento, Cicciano, Ottaviano e S. Giorgio a
Cremano, hanno avuto più risorse rispetto alla media.
Invece i distretti con Comune capofila di Marano e Napoli, hanno avuto
meno risorse. Per questi ultimi due distretti sono emersi dati significativi,
155
infatti dal rapporto tra il totale dei giovani che compongono i distretti e il
totale della popolazione giovanile provinciale, si evince che a Napoli è
residente il 30% e a Marano il 10%.
Seguendo unicamente il criterio di assegnazione delle risorse in base al
numero di giovani residenti, questi comuni meriterebbero più investimenti
finanziari, proprio perché sono quelli che hanno la più alta percentuale di
popolazione nella fascia di età giovanile.
Per quanto riguarda l‟indice statistico ottenuto dal rapporto tra i valori
percentuali è possibile osservare che i valori superiori a 1, indicano i distretti
che hanno avuto più risorse. È possibile notare che Pozzuoli, Marano, Acerra
e Napoli sono quelli il cui indice statistico è più basso (inferiore a 1), quindi
hanno avuto meno risorse rispetto alla popolazione giovanile.
3.3.5. La coerenza tra le sezioni che compongono i documenti
La scelta dell‟analisi della coerenza interna tra le varie sessioni che
compongono i documenti è molto utile nella fase di valutazione ex ante, in
quanto supporta la definizione della strategia e quindi contribuisce a migliorare
la scelta delle attività da realizzare in base ai bisogni ed agli obiettivi proposti.
In questa sede è stato necessario indagare sul grado di connessione tra diversi
aspetti esplorati, utilizzando una scala che assume valori da 1 a 4 (in cui 1
indica il minimo grado di connessione, mentre 4 il massimo livello di
connessione tra le dimensioni esplorate). In primo luogo si è indagato sulla
congiunzione tra i seguenti aspetti:
- le caratteristiche del contesto locale e le priorità della
programmazione;
- i bisogni individuati e gli obiettivi proposti;
- gli obiettivi dichiarati e le azioni proposte;
- i bisogni individuati e le azioni proposte.
156
Successivamente è stato analizzato il livello di coerenza tra:
- gli obiettivi strategici e l‟analisi del contesto locale
- gli obiettivi strategici e il sistema locale di partecipazione
Per quanto riguarda il grado di connessione tra le caratteristiche del
contesto locale e le priorità della programmazione, vi è un grado di coerenza
pari a 2 nel 41,2% dei casi, prossimo a 3 nel 35,3%.
La misure di tendenza centrale delle distribuzioni di dati in categorie
ordinate, devono tener conto sia delle frequenze delle singole categorie sia
dell‟ordine (posizione) delle categorie. Tra le misure di tendenza centrale in
questo caso è stato possibile calcolare la moda e la mediana, dato che si tratta
di variabili ordinali. È possibile affermare che in questo caso vi è nel
complesso un livello medio di coerenza fra le caratteristiche locali e le priorità
della programmazione, in quanto la mediana è pari a 3 e la moda pari a 2 (Vedi
Tabella 58).
Tabella 54. Grado di connessione tra le caratteristiche del contesto
locale e priorità della programmazione
Frequenze % % Cumulate
Medio-Basso 7 41,2 41,2
Medio-Alto 6 35,3 76,5
Alto 4 23,5 100,0
Totale 17 100,0
Nel seguente grafico sull‟asse delle ascisse sono riportate le modalità relative
al grado di coerenza che assume valori da 1 a 4, su quello delle ordinate le
frequenze espresse in valori percentuali.
157
Figura 4. Grado di connessione tra le caratteristiche del contesto locale e le priorità della programmazione
Per quanto riguarda il livello di connessione tra gli obiettivi dichiarati e le
azioni proposte vi è un grado di coerenza pari a 3 nel 64% dei casi.
Osservando le misure di tendenza centrale sia la moda che la mediana
assumono valore 3 (Tab. 58). In questo caso è possibile affermare che vi è un
buon livello di coerenza tra gli obiettivi e le azioni.
Tabella 55. Grado di connessione tra obiettivi dichiarati e azioni
proposte
Frequenze % %Cumulate
Basso 1 5,9 5,9
Medio-Basso 3 17,6 23,5
Medio-Alto 11 64,7 88,2
Alto 2 11,8 100,0
Totale 17 100,0
158
Figura 5. Grado di connessione tra obiettivi dichiarati e azioni proposte
Analizzando il grado di connessione tra i bisogni individuati e gli obiettivi
dichiarati, è emerso che vi è un grado di coerenza pari a 2 nel 41,2% dei casi.
Anche le misure di tendenza centrale confermano un basso livello di coerenza
tra questi aspetti, infatti sia la moda che la mediana assumono valore 2.
Tabella 56. Grado di connessione tra i bisogni individuati e gli
obiettivi dichiarati
Frequenze % % Cumulate
Basso 4 23,5 23,5
Medio-Basso 7 41,2 64,7
Medio-Alto 5 29,4 94,1
Alto 1 5,9 100,0
Totale 17 100,0
159
Figura 6. Grado di connessione tra bisogni individuati e obiettivi dichiarati
Nell‟esplorare le frequenze relative al grado di connessione tra i bisogni
individuati e le azioni proposte, è possibile notare che il livello è prossimo a 2
nel 47,1% dei casi. Per quanto riguarda le misure di tendenza centrale, sia la
moda che la mediana sono pari a 2. Nel complesso quindi è possibile sostenere
che vi è un basso livello di connessione tra le due dimensioni.
Tabella 57. Grado di connessione tra i bisogni individuati e
le azioni proposte
Frequenze % % Cumulate
Basso 3 17,6 17,6
Medio-Basso 8 47,1 64,7
Medio-Alto 6 35,3 100,0
Totale 17 100,0
160
Figura 7. Grado di connessione bisogni individuati e azioni proposte
Tabella 58 Misure di tendenza centrale
Grado di
connessione
Caratteristiche
del contesto
locale e priorità
della
programmazione
Grado di
connessione
Bisogni
individuati e
obiettivi
dichiarati
Grado di
connessione
Obiettivi
dichiarati e
azioni
proposte
Grado di
connessione
Bisogni
individuati e
azioni
proposte
N 17 17 17 17
Missing 0 0 0 0
Mediana 3 2 3 2
Moda 2 2 3 2
161
Inerente alla valutazione della coerenza interna delle sezioni che
compongono il documenti, è la verifica di quanto gli obiettivi strategici siano
coerenti con l‟analisi del contesto locale. Dal grafico è possibile osservare che
il 40% dei documenti dimostra una coerenza tra gli obiettivi strategici e
l‟analisi del contesto locale medio-alta in quanto il grado assume valore 3.
Figura 8. Grado di coerenza tra gli obiettivi strategici e l’analisi del
contesto locale
Infine è stato analizzato il grado di coerenza tra gli obiettivi strategici e
l‟analisi del sistema locale di partecipazione giovanile. Dal grafico è evidente
come oltre il 50% dei documenti ha una coerenza medio-alta prossima a 3.
Quindi è chiaro che queste due sessioni sono molto coerenti tra loro
all‟interno dei Piani.
162
Figura 9. Grado di coerenza tra gli obiettivi strategici e l’analisi del sistema locale di partecipazione giovanile
3.3.6. L’innovatività degli interventi
La finalità dei Piani prevede nuove modalità di intervento grazie soprattutto
ad un approccio bottom up, con servizi progettati sulla base di indicazioni
provenienti direttamente dal mondo giovanile, dalle associazioni e da soggetti
che hanno esperienza consolidata nelle politiche giovanili.
Un primo passo è quello di creare forme di integrazione favorevoli per uno
sviluppo territoriale, attraverso la messa a sistema di soggetti, attività, strutture
e servizi che garantiscono un‟offerta più ampia di prestazioni, frutto delle
diverse esperienze e competenze. Per realizzare quanto previsto sono state
anche impiegate forme di integrazione con altri settori di intervento.
163
Per valutare il livello di innovazione complessiva della programmazione,
sono stati analizzati vari aspetti. In particolare si è voluto comprendere se sono
state utilizzate metodologie di intervento basate sul coinvolgimento attivo del
target; se vi sono forme di integrazione tra attori territoriali diversi, o tra vari
settori di intervento; se i progetti hanno una prevalenza settoriale e se tale
specificità è congruente con il contesto locale.
Un altro aspetto innovativo della programmazione, riguarda il processo di
concertazione e gli attori coinvolti nella fase di progettazione. Infine si
discuterà sulle modalità di valutazione interna attraverso un‟analisi qualitativa,
per comprendere come è stata condotta la valutazione complessiva e se è
risultata coerente con quella prevista per le singole azioni.
Passando ad analizzare la presenza del coinvolgimento effettivo del target
nella progettazione delle azioni, si è tenuto conto delle modalità in cui i giovani
hanno partecipato alle iniziative previste. Dai dati è possibile osservare che il
64% dei distretti ha impiegato metodologie innovative di progettazione
partecipata, mentre il 35% non ha coinvolto direttamente i giovani.
Tabella 59. Coinvolgimento attivo del target
Frequenze %
Si 11 64,7
No 6 35,3
Totale 17 100,0
164
Figura 10. Coinvolgimento attivo del target
La cooperazione tra attori territoriali, economici e sociali diversi è uno dei
principali fattori di innovazione dei Piani. Infatti il 94,1% dei distretti ha
sperimentato forme di integrazione effettiva tra attori territoriali diversi. Solo
un distretto non ha impiegato questa modalità di scambio collaborativo130.
Dall‟analisi qualitativa è stato possibile osservare che gli attori più coinvolti
sono soprattutto gli Informagiovani, i Forum, i Centri per l‟impiego, le
associazioni giovanili e le scuole. Molto meno partecipi sono invece le ASL, i
Centri culturali ed i Servizi sociali.
Tabella 60. Integrazione effettiva tra attori territoriali
Frequenze %
Si 16 94,1
No 1 5,9
Totale 17 100,0
130 Si fa riferimento al distretto 36 (Comune capofila Torre del Greco)
165
Figura 11. Integrazione tra attori territoriali diversi
Per quanto riguarda le forme di integrazione con altri settori di intervento, il
64,7% dei distretti ha dichiarato che vi sono stati scambi interistituzionali. La
collaborazione tra i diversi settori ha riguardato soprattutto gli ambiti legati
all‟Istruzione ed alle Politiche sociali, mentre per quanto riguarda le altre
politiche (politiche del lavoro, sanitarie, educative, ambientali, ecc.) non sono
emerse connessioni con il settore delle politiche giovanili.
Tabella 61. Integrazione con altri settori di intervento
Frequenze %
Si 11 64,7
No 6 35,3
Totale 17 100,0
166
Figura 12. Integrazione con altri settori di intervento
Per quanto riguarda il livello di settorialità degli interventi, il 52,9% dei
distretti adottano interventi specifici e mirati in ambiti settoriali, ed il 35% della
settorialità è congruente con le specificità locali.
Tabella 62. La Settorialita degli interventi
Frequenze %
Si 9 52,97
No 8 47,1
Totale 17 100,0
Tabella 63. Congruenza della settorialità
Frequenze %
Si 9 35,3
No 3 17,6
Totale 9 52,9
Missing 8 47,1
Totale 17 100,0
167
Per valutare il processo di concertazione e gli attori coinvolti nella fase di
progettazione, i dati provenienti dai Piani non sono stati sufficienti. Infatti
poco è emerso all‟interno della documentazione su tale processo di
consultazione e programmazione; non sempre sono state descritte le modalità,
le azioni, gli strumenti adottati e gli attori coinvolti in questa fase. Inoltre,
all‟interno delle sezioni in cui veniva richiesto di descrivere tale processo
partecipativo, quasi mai i distretti si sono espressi in merito al coinvolgimento.
Quindi non è stato possibile comprendere se tali attori sono riusciti o meno ad
istaurare rapporti di cooperazione e di fiducia reciproca.
L‟intento della ricerca era quello di utilizzare la tecnica della network
analysis131, per comprendere le modalità in cui è avvenuto il confronto ed il
livello di coinvolgimento delle diverse parti interessate. Tuttavia in questa parte
dei Piani non è stato possibile comprendere come le istituzioni ed i
rappresentanti degli interessi giovanili hanno istaurato il dialogo e quanto si è
tradotta nella pratica l‟esperienza della programmazione negoziata.
Quest‟aspetto sicuramente è uno dei punti deboli della documentazione, su cui
bisogna insistere e proporre azioni migliorative. La documentazione lascia
aperti numerosi interrogativi. Come è avvenuta la concertazione? Quanto sono
stati coinvolti gli attori? In che modo i giovani hanno partecipato e quanto
effettivamente sono stati coinvolti nell‟elaborazione delle iniziative locali?
Quali occasioni hanno avuto durante gli incontri di manifestare le loro idee ed
esprimere le loro opinioni nella fase di programmazione? A queste domande
sfortunatamente non è stato possibile dare risposte adeguate nel corso
dell‟analisi dei documenti.
131 131La network analysis consiste in un insieme di tecniche finalizzate a misurare le relazioni sociali che scaturiscono da legami di diversa natura. Il compito dell‟analista delle reti sociali è quindi quello di realizzare modelli in grado di descrivere la struttura relazionale di un gruppo e di osservare l‟impatto di tale struttura sul funzionamento del gruppo e la sua influenza sui singoli attori.
168
Occorrerebbe approfondire maggiormente questi aspetti con ulteriori fonti
informative (verbali, delibere, allegati, ecc.) e magari impiegando altri strumenti
di indagine (interviste a testimoni privilegiati, focus group, questionari, ecc.).
Anche se non è stato possibile comprendere la modalità in cui è avvenuto il
confronto ed il livello di coinvolgimento delle diverse parti interessate, in ogni
modo nel corso dell‟analisi qualitativa è emerso che i distretti sembrano aver
acquisito una consapevolezza circa l‟importanza delle pratiche concertative,
per questo motivo è stato riconosciuto un ruolo importante al Comitato
tecnico di coordinamento, agli Informagiovani, ai Forum ed alle associazioni
giovanili, al fine di favorire il dialogo e la cooperazione sul territorio.
Per quanto riguarda lo strumento maggiormente impiegato vi sono stati
prevalentemente incontri consultivi e riunioni informali. Pochi distretti hanno
invece dichiarato che sono stati stipulati protocolli di intesa, convenzioni ed
accordi di programma. Si fa riferimento soprattutto a tavoli tecnici di
coordinamento, senza esplicitare quali sono stati gli argomenti oggetto di
discussione e come sia avvenuto il dialogo.
Anche per quanto riguarda le modalità previste per la valutazione interna
dei Piani, questa sessione risulta essere molto trascurata e non presente in tutti
i documenti. Questa carenza costituisce un aspetto molto negativo, poiché
significa che i distretti non si sono attenuti alle linee operative regionali, che
prevedono una valutazione dell'impatto degli interventi sulla condizione
giovanile. Inoltre all‟interno della sessione dei documenti, (Sez. M) in cui era
richiesta la descrizione del processo valutativo, la valutazione generale nella
maggioranza dei casi, non è risultata coerente con quella settoriale. Infatti nel
58,8% dei Piani (10 su 17) la valutazione complessiva è apparsa incoerente
rispetto a quella prevista per le singole azioni.
169
3.3.7. Un caso di eccellenza: il PTG del distretto con Comune capofila Portici
Nel corso dell‟analisi dei documenti, il Piano Territoriale del distretto 35
con Comune capofila Portici, è risultato essere uno dei migliori. Il distretto si è
distinto non solo per l‟approfondimento sulla condizione giovanile e sui
bisogni del territorio, ma anche per la coerenza ed il livello di innovatività delle
azioni proposte. La sezione B relativa all‟analisi del contesto risulta ben
schematizzata e per ogni area tematica sono delineate non solo le
problematiche, ma anche le possibili soluzioni. Al fine di migliorare gli aspetti
nevralgici, è stata data la priorità ad interventi sistematici che abbiano una
visione strategica di sviluppo complessivo della realtà locale e che pongano
particolare attenzione alle problematiche giovanili. In particolare si è puntato
su azioni organiche con l‟obiettivo di favorire l‟alternanza scuola lavoro e la
formazione permanente. Sono state individuate ottime strategie per quanto
riguarda le azioni volte ad incentivare la partecipazione, dimostrando una
notevole competenza nel campo delle politiche giovanili. Inoltre è stata
individuata l‟esigenza di costruire incontri tra giovani ed istituzioni, perché
queste occasioni sono viste come una possibilità di confronto necessario per
costruire progetti congiuntamente. Fondamentale per le amministrazione è
quindi chiamare i giovani a prendere parte a progetti in cui possano esercitare
fin da subito un‟influenza sulle decisioni e sulle attività, perché spesso questa
rappresenta la prima tappa di un processo che porterà al coinvolgimento di tali
soggetti nella vita della collettività, ivi compresa la vita politica. Dal Piano si
legge che «favorire la partecipazione significa sviluppare un più alto grado di
relazionalità, di intensità dei legami, di livello di fiducia» sviluppando in una
comunità «capitale sociale, che rappresenta un collante per la costruzione di
significativi legami sociali»132.
132 Piano del distretto 35, Comune capofila Portici, p. 4
170
Nella sezione C, in cui viene richiesto ai Comuni di presentare i servizi ed i
sistemi di partecipazione giovanile esistenti, la descrizione è completa, infatti
viene analizzato l‟intero percorso che ha portato all‟avvio di tutte le strutture
(in primo luogo del Centro e del Punto Informagiovani, poi dei due Forum),
fino alla realizzazione delle attività. Le azioni messe in atto riguardano
soprattutto il tema del lavoro, della formazione e della partecipazione. Accanto
a questi progetti, ve ne sono altri che provengono dalla politica nazionale, in
particolare si fa riferimento al Piano Locale Giovani; infatti Portici è l‟unico
comune della Regione Campania che ha partecipato sia alla prima che alla
seconda sperimentazione. Durante questo percorso sono state attivate delle
intense collaborazioni informali tra i due Forum ed il Centro Informagiovani
di Portici, che hanno congiuntamente proposto le azioni del PTG, per quel
che concerne le azioni B e C.
All‟interno della sezione D viene presentata la SWAT analysis in cui si
riflette molto attentamente su quali sono i punti di forza e le opportunità dei
servizi, dimostrando di possedere buone conoscenze del sistema territoriale ed
una grande consapevolezza dei punti deboli e dei vincoli da superare. Per
quanto riguarda la sezione E, relativa agli obiettivi strategici dei Piani, questi
aspetti risultano molto congruenti; infatti hanno un alto grado di coerenza sia
con l‟analisi del contesto locale, quindi risultano essere molto aderenti ai
bisogni del territorio, sia con il sistema locale di partecipazione giovanile,
quindi in sintonia con l‟organizzazione distrettuale. Per quanto riguarda la
congiunzione tra: obiettivi dichiarati e azioni proposte, bisogni individuati e
azioni proposte, obiettivi individuati e bisogni dichiarati, questi aspetti rivelano
un alto grado di connessione, mentre le caratteristiche del contesto locale e le
priorità della programmazione hanno un grado medio-alto di coerenza.
Per quanto riguarda le sezioni F e G, in cui viene richiesto di analizzare
l‟assetto organizzativo del distretto ed il processo di concertazione, a
differenza di altri Piani, queste sezioni sono meno retoriche e più dettagliate, in
171
quanto vengono descritti gli attori coinvolti, le attività realizzate e le difficoltà
incontrate. L‟assetto organizzativo ruota attorno al Comitato distrettuale, che è
stato istituito formalmente nel giugno 2009. Gli incontri che si sono susseguiti
hanno visto protagonisti sia i giovani dei due Forum, che hanno elaborato una
loro piattaforma di idee e di proposte, sia i referenti delle due amministrazioni
del Centro e del Punto Informagiovani. Il processo di concertazione ha avuto
alcune difficoltà operative dettate dalle scadenze elettorali delle due
amministrazioni comunali intercorse nell‟aprile 2009 a Portici e nel marzo
2010 ad Ercolano. In questo periodo è anche scaduto l‟affidamento esterno
della gestione del Centro Servizi Giovani di Portici nell‟ottobre 2009 ed è stato
costituito il Forum dei giovani di Portici nel luglio 2009. Tutti questi aspetti
hanno complicato il processo di concertazione ed è per questo motivo che
molto probabilmente sono stati realizzati solo degli incontri negoziali tra gli
attori per raggiungere il consenso sulle attività da realizzare.
Passando ad analizzare gli ambiti di innovazione dei Piani, è emerso che i
progetti hanno adottato, per la maggior parte delle azioni previste, una
metodologia di intervento basata sul coinvolgimento attivo del target. Inoltre si
rilevano forme di integrazione tra i diversi attori territoriali. In particolare si
dichiara che le attività saranno sviluppate con il supporto professionale di
esperti, che hanno maturato una lunga esperienza nel settore, con particolare
riferimento alla cooperativa Project Ahead, che attualmente gestisce in
affidamento il Centro di Portici. Ulteriori interazioni saranno invece sviluppare
con la Confcooperative di Napoli e la DG Enterprise della Commissione U.E.,
per quanto riguarda sia il programma Erasmus che l‟erogazione di borse di
studio. Tra i soggetti privati sono state coinvolte le banche, le imprese sociali
ed alcuni Enti di ricerca. Non sono mancate, inoltre, collaborazioni con una
serie di attori territoriali di diversi ambiti quali sindacati, associazioni
imprenditoriali, associazioni giovanili, parrocchie, dirigenti scolastici ecc., al
172
fine di discutere insieme al distretto sulla strategia migliore da adottare per
l‟attuazione degli interventi previsti.
Per quanto riguarda la prevalenza settoriale delle azioni, si riscontra una
settorialità congruente alle specificità locali. La dimensione prevalente delle
azioni, riguarda in particolar modo la promozione di attività di informazione e
sensibilizzazione sul territorio, proprio perché dall‟analisi del contesto è stato
individuato il bisogno di migliorare la comunicazione esistente, garantire una
maggiore attività informativa, sensibilizzare i giovani ad assumere
comportamenti responsabili, contrastare il disagio e la devianza. Anche se le
politiche giovanili non sono politiche assistenziali e non possono essere
considerate politiche del disagio, sicuramente nella Provincia di Napoli è
importante che nel quadro di politiche dedicate ai giovani, ci sia un‟attenzione
particolare ed una maggiore sensibilità per le fasce più svantaggiate, proprio
perché le politiche giovanili sono politiche di opportunità.
Le modalità di valutazione del piano sono state ben delineate in tutte le
azioni progettuali. Nel complesso la sezione M è meno dettagliata rispetto alla
valutazione delle singole azioni progettate ed è per questo motivo che esse non
sono coerenti tra di loro. Infatti in tale sezione vengono descritte soprattutto le
modalità di valutazione della custumer satisfaction, mentre nella valutazione delle
singole azioni sono individuati gli obiettivi da raggiungere nel medio termine
ed alcuni indicatori da utilizzare per misurare le performance. Il percorso di
programmazione è infatti tutt‟ora in fieri e per poter consolidare i risultati
raggiunti e superare le criticità esistenti, ha bisogno di alimentarsi di feedback
per migliorare. Da questo Piano emergono non solo importanti indicazioni per
la fase di implementazione degli interventi, ma anche per l‟attuazione di nuove
strategie da impiegare per la prossima programmazione. Quindi tale
documento sicuramente è da prendere in considerazione e può essere molto
utile alle amministrazioni pubbliche, che possono ricavare spunti necessari per
l‟apprendimento e bune prassi da seguire.
173
Conclusioni
Nel corso dello studio sulla condizione giovanile, è emerso che il tema dei
giovani è stato frequentemente associato ad un immaginario denso di problemi
e complessità. Questa chiave di lettura ha costituito una grossa barriera, perché
ha impedito di cogliere le dinamiche più importanti per fissare l‟attenzione su
aspetti non soltanto critici, ma anche positivi. L‟essere giovane non implica
soltanto una situazione di bisogno, ma anche un‟opportunità, poiché i giovani
possono rappresentare una ricca risorsa per i territori, un capitale umano su
cui investire per lo sviluppo delle comunità locali. Proprio sulla base di questi
principi promossi dall‟Unione Europea, attualmente si è potuto assistere ad un
cambiamento rivoluzionario anche nel nostro Paese. In Italia è stato avviato
un processo, per quanto tardivo rispetto ad altri contesti, che ha portato allo
sviluppo del protagonismo e della cittadinanza attiva dei giovani. Le politiche
giovanili negli ultimi anni hanno cercato di configurarsi come politiche di
investimento e di autonomia, volte a conseguire la piena realizzazione dei
diritti dei cittadini in età giovanile (Mesa 2008). La vera rivoluzione sta nel
pensare alle nuove generazioni come una forza sulla quale costruire le società,
e quindi considerare i giovani come una risorsa e non come un problema. Dal
Trattato di Lisbona in poi, nel nostro Paese è iniziato un percorso nuovo di
valorizzazione e di promozione delle risorse umane. A differenza di quanto
avveniva in passato, quando le azioni erano volte a contrastare situazioni di
emergenza e di disagio, le politiche giovanili si configurano come politiche
dell‟agio, finalizzate a favorire la crescita, l‟autonomia, l‟inserimento ed il
ricambio generazionale. Sono politiche trasversali e di sviluppo locale, perché
mettono al centro interventi per favorire percorsi di crescita, di formazione
professionale, aiutando i giovani a valorizzare le loro competenze nella società
in cui vivono, raggiungere l‟autonomia, trovare un‟abitazione, ricevere
assistenza. Si delineano quindi come un sistema composito e trasversale di
interventi, costituito da diversi attori e diverse strategie di azione. In questa
174
prospettiva, anche le attività finalizzate alla socializzazione, all‟educazione non
formale, all‟inclusione sociale, alla promozione della creatività, della
partecipazione e della cittadinanza attiva, vengono valorizzate e ritenute
necessarie per la creazione di un clima di fiducia e di collaborazione.
La Regione Campania con la programmazione dei Piani Territoriali di
Politiche Giovanili ha avviato un percorso innovativo di programmazione
delle politiche giovanili teso a valorizzare l‟autonomia degli Enti locali e la
partecipazione dei cittadini, soprattutto dei giovani, ai processi decisionali. Da
questi presupposti è nata l‟idea di ideare progetti tenendo conto non solo delle
risorse e delle peculiarità dei diversi territori, ma anche dei bisogni giovanili.
Nel corso della valutazione dei Piani della Provincia di Napoli, gli aspetti
maggiormente esplorati nell‟analisi del contesto locale hanno riguardato
soprattutto la sfera sociale e lavorativa. Per quanto riguarda i giovani, le
problematiche individuate sono inerenti alla dispersione scolastica, alla
microcriminalità, all‟aumento del consumo di sostanze stupefacenti e alcolici;
mentre la disoccupazione, il lavoro nero, il disagio sociale, il rischio di
esclusione e marginalità, sono considerati fenomeni globali, che nella società
contemporanea non riguardano esclusivamente i giovani. In questo scenario
emerge una stratificazione complessa del disagio di una fascia sempre più
ampia della popolazione, che vive in condizioni di arretratezza, tali da
richiedere sostegno ed azioni specifiche. Anche se le politiche giovanili non
sono politiche assistenziali e non possono essere considerate come politiche
del disagio, sicuramente nella Provincia di Napoli è importante che nel quadro
di interventi dedicati ai giovani, ci sia un‟attenzione particolare ed una
maggiore sensibilità verso le fasce più svantaggiate, proprio per garantire le
stesse opportunità a tutti i giovani indistintamente. Occorrono quindi politiche
capaci di rivolgersi ai destinatari in modo flessibile e che tengano conto delle
differenze individuali. Proprio per questo le politiche giovanili si caratterizzano
per la particolarità di essere citizen centred, ovvero definite non solo in base
175
all‟oggetto o al contenuto degli interventi, ma in base ai destinatari. Anche
questa caratteristica contribuisce a renderle trasversali ed elastiche, in grado di
offrire il giusto sostegno in base al profilo dei giovani.
I distretti hanno progettato azioni integrate per rispondere al bisogno di
orientamento, informazione, sensibilizzazione e ascolto. Su tali propositi, è
stato ritenuto necessario investire nella formazione, rafforzando le capacità dei
lavoratori meno qualificati, arginando la fuga dei talenti ed incentivando
l‟inserimento dei giovani nel tessuto produttivo. Inoltre è stata individuata
come prioritaria la realizzazione di iniziative culturali e di attività per impiegare
il tempo libero, poiché è emersa l‟esigenza di assicurare una maggiore attività
di comunicazione nei confronti dei giovani e di favorire la socializzazione,
creando spazi di aggregazione.
Tra le problematiche individuate rientrano lo scarso coordinamento, la
dislocazione della popolazione dalle infrastrutture ed un peggioramento
complessivo della qualità dei servizi. Partendo da ciò che è stato realizzato
nell‟ambito delle politiche giovanili, i distretti hanno maturato la
consapevolezza che occorre potenziare i servizi già operativi e rendere attivi
quelli previsti, ma non ancora funzionanti e dotare tali strutture di strumenti,
attrezzature e personale adeguato. Inoltre è stata data la priorità alle attività di
promozione e pubblicizzazione dei servizi, realizzando incontri per incentivare
il coinvolgimento dei giovani e favorire la collaborazione con gli attori
territoriali esistenti. Per realizzare quanto progettato, gli amministratori locali si
sono posti come obiettivo quello di raggiungere un bacino di utenti più esteso,
proprio perché tali servizi, nati per i giovani, sono ancora poco conosciuti e
utilizzati dagli stessi.
Nell‟analisi della coerenza dei documenti gli aspetti più correlati
riguardano: gli obiettivi dichiarati con le azioni proposte e gli obiettivi
strategici con l‟analisi del contesto. Poca coerenza vi è invece per quanto
riguarda i bisogni individuati e gli obiettivi proposti, così come anche tra i
176
bisogni individuati e le azioni proposte. L‟efficacia di una politica dipende
anche dalla coerenza degli interventi con i bisogni dei destinatari. Questo
indica che prima di implementare le azioni programmate, occorre uno studio
preliminare per conoscere i bisogni giovanili ed offrire risposte adeguate alle
loro reali necessità.
Un altro aspetto emerso nel corso dell‟indagine, riguarda le risorse
territoriali che sono considerate scarse o inadeguate per il funzionamento e
l‟apertura delle strutture. Proprio perché il progetto ha una durata ben precisa,
si teme una poca continuità dei finanziamenti, dovuta alla scadenza dei
programmi. Infatti nessun intervento può rivelarsi efficace se è episodico,
quindi occorre sviluppare e potenziare le iniziative di sistema, individuando
proposte e sollecitazioni utili per successive sperimentazioni. Sugli investimenti
è stato possibile effettuare delle considerazioni tenendo conto del numero di
risorse investite in base alla popolazione giovanile residente nei territori.
Dall‟analisi è emerso che in alcuni distretti i finanziamenti risultano essere
inadeguati. Oltre alla distribuzione dei fondi in base al numero dei giovani, è
necessario intervenire sulle modalità di selezione dei progetti da finanziare, che
necessitano di logiche meritocratiche. In tal modo si incentiva la competitività
e vengono premiate le azioni migliori. L‟adozione di sistemi di valutazione e di
incentivazione finanziaria, volti a premiare la qualità delle prestazioni da
raggiungere, permette di ottenere risultati omogenei, oltre ad una maggiore
efficacia ed efficienza.
Nel corso dell‟analisi i progetti sono apparsi molto innovativi per quanto
riguarda le metodologie utilizzate, che si basano sul coinvolgimento attivo del
target e per quanto riguarda le forme di cooperazione tra i diversi attori
territoriali. Tuttavia c‟è ancora molto lavoro da svolgere per attivare forme di
integrazione con altri settori di intervento, per favorire scambi interistituzionali
e per migliorare la connessione con altre politiche pubbliche nel lungo
termine. L‟interdipendenza delle politiche, soprattutto per quanto riguarda il
177
lavoro e la formazione, è stata indicata come esigenza prioritaria, per fare in
modo che i due ambiti si muovano su binari paralleli, offrendo interventi
congiunti.
Il metodo di lavoro dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili, per essere
orientato alla costruzione di reti sociali ampie di collaborazione, deve
prevedere uno scambio creativo in cui ciascun attore, portatore di una
specifica definizione dei problemi, delle priorità e delle domande emergenti,
contribuisca a creare una visione d‟insieme della comunità locale. Dall‟analisi
dei documenti, non è stato possibile analizzare le modalità in cui sia avvenuto
il confronto ed il livello di coinvolgimento delle diverse parti interessate. Molto
probabilmente questo problema è dovuto anche al motivo che le pratiche
concertative sono ancora agli arbori, ed anche la loro applicazione è
abbastanza recente nell‟ambito delle politiche giovanili. Inoltre è stato messo
in evidenza che l‟analisi dei documenti da sola non basta, quindi occorre
approfondire maggiormente questi aspetti con ulteriori fonti informative
(verbali, delibere, allegati, ecc.) e magari impiegando altri strumenti di indagine
(interviste a testimoni privilegiati, focus group, questionari, ecc.).
Oltre ad essere necessaria nella fase iniziale della progettazione delle
politiche, il ricorso a pratiche concertative diviene fondamentale soprattutto
per i successivi sviluppi di implementazione e di realizzazione degli interventi.
Infatti, tale processo non può avvenire sporadicamente ed esaurirsi subito
dopo l‟ideazione delle azioni e non può essere visto soltanto come
adempimento formale con cadenza periodica per eseguire degli obblighi
istituzionali. C‟è bisogno soprattutto di continuità in questi Piani e la strada
della programmazione partecipata sembra uno dei migliori modi per elaborare
pratiche di sviluppo integrato sul territorio ed assicurare una maggiore
partecipazione di tutte le istituzioni che si rapportano con i giovani. In questo
modo viene garantito il principio di sussidiarietà orizzontale tra lo Stato e la
società civile, riconoscendo inoltre ai cittadini un ruolo di soggetti
178
autonomamente attivi nel perseguimento dell‟interesse generale. Sviluppare
degli interventi organici e multisettoriali richiede anche la necessità di integrare
prospettive differenti, adottando una politica di prossimità, per fare in modo
che i giovani, insieme con gli attori istituzionali, possano dialogare su
problematiche comuni e riflettere su possibili azioni. In questo modo i giovani
diventano promotori delle politiche loro dedicate, proponendo soluzioni
alternative e proposte progettuali. Tuttavia per sviluppare un sistema
partecipato non basta la volontà delle amministrazioni di voler coinvolgere i
vari attori nel processo di progettazione, poiché la fiducia si costruisce con il
tempo e non è un percorso che si attiva in automatico. Occorre accrescere nei
giovani la convinzione che le istituzioni locali siano seriamente intenzionate ad
ascoltare le loro necessità, offrendo occasioni di incontro e confronto
reciproco. I Piani Territoriali di Politiche Giovanili, sono ancora in fieri, ma
potrebbero divenire uno strumento efficace se puntassero maggiormente sulle
pratiche concertative e sull‟analisi dei bisogni giovanili, favorendo l‟inclusione
di diversi attori nei processi decisionali e attuativi degli interventi.
In definitiva è possibile affermare che nonostante i limiti individuati, sia
stato fatto un passo in avanti rispetto al passato, quando i temi della
concertazione e l‟integrazione tra gli ambiti di intervento non erano presi in
considerazione nello sviluppo delle politiche giovanili. Si è potuto prendere
questa direzione anche grazie al cambiamento avvenuto a livello internazionale
e nazionale. Grazie a queste importanti innovazioni, le politiche giovanili si
configurano sempre più come politiche di sviluppo locale e di crescita di
capitale umano. Per rendere questi interventi ancora più flessibili ed aderenti ai
bisogni giovanili, occorre seguire un approccio integrato ed i Piani Territoriali
di Politiche Giovanili potrebbero rappresentare un metodo efficace per
programmare azioni di sviluppo locale, capaci di mettere a sistema esperienze
e progettualità, partendo da un‟attenta analisi delle diverse esigenze territoriali
e della condizione giovanile.
179
Appendice
Allegato A.
Scheda di valutazione impiegata per la valutazione dei Piani Territoriali di Politiche Giovanili.
1.Le caratteristiche generali del distretto
2. In relazione alla Sez. B dei PTG, indicare quali delle dimensioni individuate sono
presenti nella descrizione dei contesti territoriali, specificando il grado di
approfondimento con cui sono trattate (utilizzando una scala da 1 a 4), le problematiche
giovanili ricorrenti e i bisogni ad esse correlate.
Dimensioni Esplorate nel PTG Problematiche
ricorrenti
Bisogni
No Si (da 1 a 4)
Caratteristiche demografiche
Caratteristiche geo-
morfologiche
Trasporti e comunicazioni
Infrastrutture
Sicurezza e vivibilità del
territorio
Opportunità ricreative
Mercato del lavoro
Problematiche sociali
Altro, spec.
3. In relazione alla Sez. C dei PTG, indicare il tipo di attori territoriali esistenti e di attività
realizzate nei contesti di riferimento.
Presenti Attivi Attività realizzate
Informagiovani N. N.
Forum N. N.
Consulte N. N.
Associazioni N. N.
Distretto n. Per il Comune Capofila di
N. Com. del Distretto N. Comuni Convenzionati N. Com. aderenti al PTG
N. com. PTG/n. Com.
distretto
N. com. PTG / n.
convenzionati
N. com.
convenzionati/n.
Comuni distretto
180
4. In relazione alla Sez. D dei PTG, riassumere le caratteristiche rilevanti del sistema
locale di partecipazione giovanile.
P. di forza P. di debolezza
Conoscenza del territorio
Accessibilità delle strutture
Accessibilità delle informazioni
Visibilità sul territorio
Informazioni offerte
Tempestività della risposta
Disponibilità degli operatori
Competenze degli operatori
Modalità di scambio e collaborazione con
altri attori presenti sul territorio
Altro,
spec__________________________
Modalità di coinvolgimento
dell’utenza
Formazione degli operatori
Quantità risorse umane disponibili
Scarsa collaborazione con altri attori
presenti sul territorio
Risorse finanziarie disponibili
Tempestività della risposta
Scarsa attenzione al monitoraggio
Risorse territoriali scarse/
inadeguate
Altro,
spec__________________________
Opportunità offerte Vincoli
Ascolto /accoglienza
Informazione
Orientamento
Formazione
Convegni/seminari
Produzione di materiale informativo
Diffusione di materiale informativo
Risposte tempestive
Modalità strutturate di ricezione feedback
degli utenti
Supporto e accompagnamento nella
risoluzione di problematiche specifiche
Altro, spec.
____________________________
Inaccessibilità delle strutture
Scarsa tempestività delle risposte
Distanza spaziale tra le strutture
Quantità risorse umane disponibili
Formazione risorse umane
disponibili
Risorse territoriali scarse/inadeguate
Rigidità delle modalità di
funzionamento
Difficoltà di garantire pari
opportunità di accesso
Gratuità dei servizi offerti
Scarsa attenzione al monitoraggio e
alla valutazione
Difficoltà di coinvolgimento utenza
Altro,spec______________________
5. Quali sono le priorità di programmazione individuate nel PTG?
Implementare la rete dei servizi
esistenti
Attivare nuovi servizi
Migliorare l’accessibilità dei servizi
esistenti
Raggiungere un maggior numero di utenti
Favorire la collaborazione tra i
soggetti territoriali esistenti
Altro, spec.________________________
Migliorare l’offerta di servizi offerti Altro, spec.________________________
181
6. A quali delle seguenti macroaree è possibile ricondurre gli obiettivi strategici del
piano?
Il radicamento territoriale dei servizi
esistenti
L’attivazione di nuovi servizi
La collaborazione interistituzionale La collaborazione tra attori non istituzionali
Informazione /sensibilizzazione del
territorio
La relazione con la formazione
professionale
I rapporti con l’utenza La relazione con il mercato del lavoro
La formazione degli operatori Altro, spec._________________
7. Quanto gli obiettivi strategici individuati risultano
coerenti con l’analisi del contesto territoriale? 1 2 3 4
8. Quanto gli obiettivi strategici individuati risultano
coerenti con l’analisi del sistema locale di partecipazione
giovanile
1 2 3 4
9. In relazione alla sez. F e G, descrivi brevemente gli attori coinvolti, le azioni realizzate
(assemblee pubbliche, gruppi di lavoro, tavoli permanenti di concertazione,
sottoscrizione di protocolli operativi, manifestazioni di interesse, ecc..) e gli strumenti di
concertazione adottati (convenzioni, accordi di programma, protocolli di intesa, ecc…)
Attori coinvolti Azioni realizzate Strumenti di concertazione
adottati
182
10. Prospetto sintetico delle risorse finanziarie previste all’interno del PTG
Risorse
Regionali
Risorse
proprie
Altre
risorse
Totale
parziale
Rimodulazio
ne az. B
Azione A A1 € € € €
A2 € € € €
An
Azione B B1 € € € € €
B2 € € € € €
B3 € € € € €
Bn €
Azione C C1 € € € €
C2 € € € €
Cn
Azione H H1 € € € €
H2
Hn
Tot. parziale € € € € €
Tot. Complessivo €
11. In relazione a ciascun asse di attività, specificare il numero di proposte progettuali, il
tipo di azioni da realizzare, e le modalità di gestione
Progetti Attività previste*
Azione A N.
Azione B N.
Azione C N.
Azione H N.
*Le attività vanno ricondotte possibilmente a macro categorie. Di seguito alcuni esempi: potenziamento sportelli informativi, attivazione di nuovi sportelli, formazione degli operatori, realizzazione materiale informativo, potenziamento strumenti di comunicazione, creazione di banche dati, attività di sensibilizzazione del territorio, attività di orientamento, attività di ricerca, convegni dibattiti, manifestazioni culturali, ecc
183
12. I progetti presenti nel PTG hanno una prevalenza settoriale?
No Si
12.a Se si, quale?
__________________________________________________________________
13. Tale settorialità è congruente con le specificità locali?
No, perché
__________________________________________________________________
Si, perché
__________________________________________________________________
14. Alla luce dell’analisi delle sezioni B, C e D del PTG, quale grado di connessione è
possibile attribuire alle dimensioni individuate, utilizzando una scala da 1 a 4?
1 2 3 4
Caratteristiche del contesto locale (B e C) e priorità della
programmazione
Bisogni individuati e obiettivi dichiarati
Obiettivi dichiarati e azioni proposte
Bisogni individuati e azioni proposte
15. In relazione al complesso di attività progettuali previste nel PTG, è possibile
individuare metodologie di intervento basate sul coinvolgimento attivo del target?
No Si, spec. gli attori coinvolti e le attività previste
16. Si rilevano forme di integrazione effettiva tra attori territoriali diversi?
No Si, spec. le attività previste per ognuno di esse
Attori coinvolti Attività previste
184
17. Si rilevano forme di integrazione con altri settori di intervento?
No Si, spec. le attività previste per ognuno di essi
18. Descrivi sinteticamente le modalità di valutazione del Piano in riferimento al tipo di
attività realizzate, ai tempi di realizzazione e agli attori coinvolti
Chi valuta Cosa Quando Come
19. Si rilevano connessioni tra le modalità di valutazione del piano e gli strumenti di
valutazione previsti nelle singole schede progettuali?
No Si, spec.
________________________________________________________________
20. Indicare sinteticamente il N. e tipo di allegati (delibere, verbali, ecc…) al PTG
Tipo di documento Oggetto Data
Settori di intervento Attività previste
185
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193
Ringraziamenti
Nessuna tesi si scrive da sola. Tale lavoro viene quasi sempre
incoraggiato, alimentato ed ispirato dalla presenza delle persone che ti
stanno accanto e ti spronano ogni giorno a continuare. Colgo quest‟occasione
per esprimere la mia gratitudine verso tutti coloro che hanno saputo
arricchirmi come persona ed in questi anni hanno contribuito a farmi
crescere e maturare.
Un ringraziamento speciale innanzitutto è rivolto al Professor Giancarlo
Ragozini, che con estrema fiducia mi ha affidato questo lavoro e ne ha
seguito gli sviluppi con pazienza e disponibilità.
Alla professoressa Amalia Caputo, che anche dopo la Triennale ha
continuato a sostenermi sia sul piano professionale che umano.
All‟equipe di studio con cui mi sono confrontata nel corso di questi
lunghi mesi, perché con il loro apporto ed i loro consigli ho maturato
un‟esperienza di ricerca che ha fortificato le mie competenze ed arricchito le
mie conoscenze.
Desidero inoltre ringraziare le dottoresse Mariarosaria Berardi ed Anna
Cocozza, per avermi supportata nel migliore dei modi durante le ore
trascorse insieme, rendendo le mie giornate più serene.
Queste sono sicuramente le pagine più belle che scrivo, perché colorate
con ricordi e sfumature di pensieri. Ripensando alla mia carriera
universitaria non posso fare a meno di ringraziare tutti i miei compagni di
194
corsi, di studio, di risate, di piacevoli scambi di idee e chiacchierate in
cortile.
Un pensiero di grande amicizia è rivolto alle mie “giovani” compagne di
corso e col tempo divenute inseparabili alleate, con cui ho condiviso oltre agli
esami dei momenti davvero indimenticabili.
Ai compagni universitari della magistrale in Comunicazione Pubblica
ed al gruppo “post-it”, che rappresentano per me un grandissimo esempio
non solo di buona organizzazione e capacità di lavorare insieme, ma
sopratutto di vera amicizia.
Alle care dottoresse “unite” con le quali ho legato molto e che stimo
soprattutto per le loro capacità e la forte determinazione.
Ringrazio la mia famiglia perché mi è sempre accanto, nelle scelte
importanti e nei momenti più difficili, credendo in me senza esitazioni,
dandomi forza in ogni momento.
A Marco, che è sempre stato presente in tutti questi anni. A lui va un
ringraziamento particolare, perché mi ha sempre sostenuta e incoraggiata.
Insieme siamo una forza e mi auguro sia sempre al mio fianco,
condividendo ogni cosa come abbiamo sempre fatto.
Un grazie sincero ad ognuno di voi, perché oggi siete qui con me a
rendere questo giorno tra i più emozionanti della mia vita.