La tua prima foto non si scorda mai

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LA TUA PRIMA FOTO NON SI SCORDA MAI Le interviste ai nostri grandi fotografi da piccoli. Open Books #01

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Le interviste ai nostri grandi fotografi da piccoli.

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LA TUA PRIMA FOTO NON SI SCORDA MAILe interviste ai nostri grandi fotografi da piccoli.

Open Books #01

Che cosa facevano i fotografi che amiamo da piccoli? Che età avevano quando hanno scattato la loro prima foto? E perchè oggi girano il mondo con una reflex, un telefonino, una Polaroid, l’importante è poter scattare? Queste sono le loro storie.

SEVENDays-INsceglie i migliori fotografi. racconta foto bellissime. vende stampe perfette.

Alessandro Piersigilliil segreto è viaggiare da soli

Alessandro, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande?In questa foto avevo poco meno di 1 anno e già assaporavo la vita da spiaggia nel mio bel “lettino”. Cosa volevo far da grande? Il “trattorista”, termine che usavo per indicare coloro che guidano i trattori. Si, niente ingegnere dottore astronauta, ma trattorista

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Io e la mia “ginger sister” al galoppo su di un cavallo bianco mentre veniamo immortalati dalla “precisione” di mio padre.

La tua prima foto non si scorda mai.Sono sincero, non ho una mia prima foto. Sono tutte prime per me. Ognuna ha la sua importanza. Ma non scorderò mai quando, tra gli otto e i dieci anni, rubavo quotidianamente la Kodak Instamatic di mio padre, per giocarci.

Fotografia in viaggio: svelaci un segreto del mestiere.Mio personale punto di vista: viaggiare da soli.

Il progetto benefico che ti ha coinvolto sui clochard della tua città è molto interessante. Ce lo racconti meglio?Semplice. Fare del bene mi fa stare bene. Avevo letto un articolo sul giornale quotidiano della mia città nel quale parlavano del sempre più grande numero di “senza tetto” con grandi difficoltà. A quel punto mi è scattato qualcosa ed ho pensato: cosa posso fare nel mio piccolo? Ed ho quindi contattato il responsabile della Caritas della mia città al quale gli avevo chiesto se era possibile portarsi nei luoghi nascosti della città per poter immortalare la situazione di vita dei “clochard”. E da li è partito tutto. La mostra benefica, il libro ed altre iniziative. Non avevo fotografato i loro volti… ma ciò che loro vedono.

Dov’è stata scattata esattamente la tua fotografia “Flag on the beach”?Cottesloe Beach – Perth – WA, durante la prima Domenica di sole dopo il mio arrivo in questo favoloso continente.

Il tuo prossimo viaggio sarà verso…La mia permanenza in Australia sta giungendo al termine…per ora. E visto che per metà Febbraio devo essere in Italia in quanto ho un lavoro che mi aspetta, mi avvicino piano piano a casa passando per Indonesia e Thailandia. Insomma, un mix culturale non indifferente nel giro di poco tempo. Ma una volta tornato nello stivale inizierò da subito a programmare la prossima partenza… in Australia?!

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Alessandro Vincidai bus londinesi agli orti di Milano

Alessandro, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.Foto scattata da mio padre. Avevo 3 o 4 anni. Penso che qui sognavo e basta. Qualche anno dopo, come molti bambini, sognavo di fare il calciatore e magari di segnare un gol come quello di Tardelli nell’82 e sollevare al cielo la Coppa del Mondo.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Un autoscatto “improvvisato” di mio padre ad Agrigento con tutta la famiglia: io 16 anni, capelli lunghissimi e gonfi (inguardabile!)

La tua prima foto non si scorda mai.Non era il primo amore? La prima foto che mi ricordo (sono un po’ smemorato!) in un viaggio a Londra, scattata dall’autobus che dall’aeroporto ci avrebbe portati al residence, attraverso il vetro del finestrino.

Qual è il luogo comune più falso sulla città di Berlino?Non ho avuto modo di conoscere la città così come avrei voluto, perché ho dedicato quasi tutto il mio tempo (5 giorni) a portare a termine il mio nuovo progetto. Ma ci tornerò sicuramente! Posso comunque dire che i Berlinesi non sono poi così freddi come si pensa, anzi sono molto disponibili.

Hai da poco inaugurato la tua prima mostra personale a Milano, “Urbi et orti”. Un aneddoto interessante?Durante la realizzazione del reportage ho conosciuto un po’ per caso un signore indiano che mi ha invitato a visitare il suo orto personale (abusivo) realizzato molto artigianalmente: non avendo a disposizione l’acqua per innaffiare, aveva ideato un sistema molto ingegnoso per la raccolta dell’acqua piovana, scavando una grossa buca nel terreno e ricoprendola con un enorme telo di plastica.

Come trovi l’ispirazione? Stai già lavorando a nuovi progetti?Dipende… a volte spinto dalla curiosità, a volte dopo aver letto un articolo interessante come nel caso di “Berlin Snakes”, altre volte per l’esigenza di esprimere concetti o sensazioni personali.Sto lavorando ad un paio di progetti, ma per ora solo “mentalmente”: preferisco avere tutto ben chiaro in testa prima di iniziare a scattare: riguardano comunque sempre l’ambiente urbano e il rapporto uomo/natura.

Un turista per la prima volta a Vibo Valentia: qual è la foto che non può mancare?Vibo Valentia sta in collina, quindi offre sicuramente panoramiche interessanti da molti punti della città. Fossi io la guida, accompagnerei il turista in una stradina alle porte di Vibo, probabilmente sconosciuta anche alla maggior parte dei Vibonesi, che porta ad una vecchia galleria ferroviaria abbandonata: da lì si domina tutto il golfo di Sant’Eufemia, da Capo Suvero a Capo Vaticano.

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Alexander Kesselaarl’Australia è un paese meraviglioso da fotografare. Ma cerco ovunque la bellezza.

Alexander, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande qui?Probabilmente avevo 4 anni e sognavo di diventare un cameraman. In questa foto stavo di fronte alla macchina fotografica, ma era chiaro che questo non faceva per me. Il mio posto è sempre stato dietro l’obiettivo, è lì che mi sento a casa. Ho finito per fare della fotografia il mio mestiere, ma come ci sono arrivato è tutta un’altra storia.

Meno di venti parole per una fotografia di famiglia che ti viene in mente.In una stanza con i miei genitori e i miei fratelli, molto buia e sfuocata.

La tua prima foto non si scorda mai.Ricordo anche i dettagli tecnici. Camera: Nikon FM2, pellicola: Fuji Neopan 1600, sviluppata in Diafine.La prima volta che ho scattato una foto, sapevo che sarebbe andata bene sin dal momento dello scatto. E’ una grande sensazione quando sai che hai messo a segno il colpo giusto. Ed è stata anche una delle prime volte in cui ho visto un’immagine passare dall’idea, allo sviluppo, fino alla fase finale della stampa. Mi considero molto fortunato ad avere imparato a fotografare quando si usava ancora la pellicola.

Quanto conta vivere in Australia per fare foto fighissime?Non è poi così importante. Ci sono così tanti posti incredibili e stimolanti, sono ovunque nel mondo. Usa la tua creatività per raccontare una storia e connettiti con le persone attraverso le immagini. A quel punto non importa dove ti trovi. L’Australia è un grande paese per fare fotografia, ma le mie foto spesso funzionano perché provo a trovare la bellezza nel mondo. Non prendo ma l’ambiente che mi circonda come qualcosa di scontato, esco ed esploro.

Sfatiamo ai nostri lettori almeno un luogo comune sull’Australia.Sono tutti veri, in particolare quelli sui canguri che vano in giro saltellando per le strade di Sydney!

La fotografia mostra la realtà oppure mostra l’idea che se ne ha?Le fotografie sono un’interpretazione della realtà. La realtà è molto soggettiva, comunque. Una situazione, diverse interpretazioni.

La tua ultima foto scattata (be honest!).Scattata con il mio iPhone questa mattina, su una passeggiata attraverso un parco locale.

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Andrea Pescei miei riferimenti sono quei colleghi che ritengo più bravi di me.

Andrea, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.Da piccolo non avevo particolari idee su cosa volevo fare.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Mi viene in mente solo la foto di mia nonna davanti ad un panettone da 4Kg che continuiamo a fare ogni anno a Natale.

La tua prima foto non si scorda mai.Mia mamma usava una piccola Instamatic con i flash a bulbo monouso… non me la lasciava mai usare perchè temeva che facessi foto mosse. Poi una volta mi permise di fotografare una veduta del suo paese di origine. Non credo fosse venuta mossa. (tiè)

Come, dove e quando è nato lo scatto “Come se tenesse conto del coraggio, la storia“?La foto è del 2010, io e la mia ragazza volevamo esporre qualcosa ad una rassegna di teatro così abbiamo cercato di raccontare un’opera interpretata da Gaber: “Alessandro e Maria”, vista attraverso il filtro delle nostre storie personali. Abbiamo così esorcizzato un momento difficile.

Qual era il tema della tua esposizione fotografica al Lens Based Art Show di Torino?A Torino ho esposto un paio di foto tra le quali quella appena citata. Non ne sapevo nulla di come si presenta una foto e le mie erano imbarazzanti di fronte alle cornici elaborate ai pannelli metallici e alle carte fine art degli altri. Pessimo.

Da fotografo, qual è stata l’esperienza più gratificante?Non sono un artista e nemmeno mi sento tale, sono un artigiano, faccio matrimoni e bottiglie di vino… se aveste bisogno… E comunque questa è la più grande soddisfazione.

Hai dei punti di riferimento nel mondo della fotografia?I miei riferimenti sono quei colleghi del circondario che ritengo più bravi di me.

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Beatrice Avallonetutte le mie foto alla rinfusa

Beatrice, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande qui.Credo che avessi 5 o 6 anni in questa fotografia, e probabilmente volevo fare la veterinaria o qualcosa che c’en-trasse con gli animali. Con il passare del tempo – e con una craniata data svenendo dal veterinario vedendo iniettare una siringa nella zampa del mio cane – ho cambiato idea.

Meno di venti parole per una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Non sono una grande fan delle fotografie di famiglia, ma di recente ho visto una foto – che avrà minimo una decina d’anni – con mia madre, mia sorella e me. E sia io che mia sorella abbiamo delle orribili treccine in testa, e mi ha fatto ridere!

La tua prima foto, quella che non si scorda mai.Onestamente non ricordo uno scatto preciso, anche perché, se mi guardo indietro, gli scatti che facevo non mi piacciono più! Bensì ricordo il periodo in cui ho iniziato a fotografare: era un’estate di un paio d’anni fa, ed ero al mare!

Come conservi tutte le tue foto stampate? Con metodo o alla rinfusa?Le conservo tutte alla rinfusa, e alcune in degli album, in un grosso cassetto: facendo così, è molto divertente andare a cercarle, perché non sai mai cosa potresti ritrovare!

Vuoi fotografare una tua amica ma si nasconde vergognosa. Scatti lo stesso?Solitamente, come mi è già capitato – e i miei soggetti lo sanno – fotografo lo stesso, cercando di prendere il soggetto alla sprovvista: se viene un bello scatto, cercherei di convincerla a non doverlo cancellare!

Sei davanti a una scena stupenda, ma hai dimenticato la macchina. Come la prendi?Fotograferei con qualsiasi cosa, anche con il cellulare, se il momento lo dovesse richiedere. Se non dovessi avere proprio alcun mezzo con me, pazienza: ci saranno altri momenti da fotografare in futuro!

L’ultima foto che avresti voluto fare, ma non sei riuscita a scattare.Ai fulmini, durante un temporale. Ho fatto diverse prove, ma non ho ancora raggiunto il risultato che vorrei otte-nere!

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Costanza Mansuetiil mio primo servizio per Pitti Bimbo. Dove la modella ero io.

Costanza, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.Questa foto è per la collezione estate Modiatalia Bimbo 1978, il primo Pitti Bimbo che ho fatto. All’epoca avevo già scritto la mia poesia, e decisi che volevo fare la scrittrice.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Anni ottanta, ci siamo tutti, tranne mia madre che scatta. Noi fratelli siamo vestiti in maniera assurda.

La tua prima foto non si scorda mai.La prima volta che ricordo di averne avuta una in mano era in prima media, gita a San Marino, la rocca, il cielo è grigio, il mosso dà alla foto una atmosfera irreale.

Ti è mai capitato di rivedere una foto dopo tanto tempo e non riconoscerti più?Solitamente non mi riconosco quando mi fotografano.

Quanto conta davvero la tecnica per un fotografo, secondo te?Tanto. Che tu sia un fotografo di architettura in cui tutto deve essere nitido e preciso, di reportage in cui le condizioni di luce e di stress si traducono in immagini meno definite, devi comunque sapere cosa ottenere con il mezzo che hai in mano. Per essere un buon fotografo devi avere una discreta conoscenza tecnica. Per essere un grande fotografo bisogna avere una discreta tecnica ed un buon occhio.

Qual è stato il momento in cui hai realizzato che la fotografia sarebbe stata parte integrante della tua vita?A dodici anni. C’erano delle amiche di mia sorella ospiti a casa mia, una di esse, è uscita dall’oscurità dell’ingresso di casa con una macchina fotografica al collo. La luce della cucina l’ha illuminata di taglio come se fosse una scena teatrale.

La fotografia che non hai ancora scattato.Ogni volta che esco vedo tutte le cose che ancora non ho scattato. Ho voglia di scattare tutto quello che vedo e scoprirne altre… quale foto ancora non ho scattato?

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Elisa Chisana Hoshiin Giappone, ogni foto è una storia.

Elisa, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande qui?Questa foto me l’ha scattata mio papà a Revigliasco, nel giardino di casa. Avevo quattro anni e mezzo, era ancora il tempo dei vestitini romantici. Ricordo bene il momento di quello scatto. A quell’epoca sognavo di essere un gabbiano per poter, da grande, volare al mare ogni inverno.

Meno di venti parole per una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Noi abbronzatissimi in Corsica: la mamma in bikini, papà con la permanente, io un gran caschetto di capelli e il dito in bocca.

La tua prima foto, quella che non si scorda mai.Gita scolastica di terza elementare nel Canavese, al collo la mia prima macchina fotografica: una Kodak. La foto che preferisco cerca di immortalare uno dei fantasmi di un castello tra i merli della torre. Con un po’ di fantasia si può intravedere la sagoma di un ectoplasma. Sarà che la foto è proprio TANTO sfocata?

Il Paese più fotogenico che hai visitato?Il Giappone. Ogni foto racconta una storia. A Tokyo, poi, non ne parliamo! Potrei passare giorni in giro per Asakusa o Shibuya a scattare foto a qualsiasi cosa e a chiunque: quei costumi, quelle luci, quei contrasti. Magia pura.

Qual è il valore aggiunto di una foto con Instagram?Anzitutto il mezzo, molto immediato: scatti con il telefono. Il che è anche molto pratico per chi come me viaggia in luoghi in cui non è sempre prudente girare con al collo una macchina fotografica. Poi, chiaramente, quei filtri. Giocarci è divertentissimo.

Ci sono fotografie che non condividi online?In due casi non condivido le foto che scatto: le foto dei gadget super-trash che incontro per la via e le foto che faccio ai miei amici.

Scatti d’istinto o ci rifletti?Scatto d’istinto ma ho imparato a riflettere sulla luce. Per me è soprattutto la luce che fa una buona fotografia.

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Enrico Rossisognavo di progettare trattori.

Enrico, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande qui.Avevo 6 anni ed ero innamorato dei trattori. Mi affascinava la loro essenzialità e probabilmente il lavoro dei miei sogni sarebbe stato quello di progettarli.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Io ed i miei cugini in una sera d’estate che guardiamo uno spettacolo di marionette animate dai miei nonni.

La tua prima foto non si scorda mai.La foto di un ponte in una cittadina spagnola, poco dopo aver comprato la mia prima reflex. Quel ponte ha segnato per me un inizio.

Che cosa rende Parigi così speciale per un fotografo?Le foto scattate qui sembrano perdere ogni collocazione temporale e ciò le rende intramontabili, proprio come Parigi.

Fotografia per mostrare o per dimostrare?Per dimostrare, dimostrare che oltre alla pura immagine c’è un’intenzione, un sentimento, velato dietro la fotografia. Sta ne fotografo farli emergere.

Fotografia a colori o in bianco e nero?Bianco e nero: amo valorizzare i toni scuri in una foto. Ma in alcuni casi i colori sono inevitabili, la rendono di più facile lettura.

C’è qualcosa che non fotograferesti mai.I paesaggi naturali. Sono un fotografo di città e come tale prediligo i soggetti in continuo movimento.

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Giulia Piccariil giorno in cui NYC mi ha scelta.

Giulia, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.In questa foto avevo solo 9 mesi. Ogni volta che la guardo mi ricorda che basta sorridere alla vita per conquistarla…Quando ero piccola, piu’ o meno all’eta’ di 12 anni, sognavo di trasferirmi in America e giocare a pallacanestro nella WNBA: l’NBA professionale per le donne. La vita poi, mi ha comunque portato in America, ma ci sono voluti altri 16 anni…

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Sara’ banale, ma e’ il natale di 9 anni fa, con la mia famiglia. Dopo aver aperto i regali a pranzo mio padre andò a riposare. Misi la macchina fotografica sul cavalletto e la impostai su auto-scatto. Io, le mie sorelle, mio fratello e mia madre ci mettemmo a fare fotografie buffe e divertenti con i regali ricevuti. Ricordo che non ridevamo cosi’ tutti insieme da anni.

La tua prima foto non si scorda mai.Avevo 11 anni e presi la macchina fotografica di mia mamma e iniziai a fare fotografie a mio fratello appena nato, inquadrandolo dal babbo. Ai tempi c’erano ancora le macchine coi rullini e per ogni foto dovevi stare attento a non sprecare tutto il rullino. Ne finii uno da 24!!!

Quanto è stato importante la famiglia d’origine per realizzare i tuoi sogni?I miei genitori sono stati la chiave per cui, a 22 anni, dopo aver vissuto 2 anni a Londra, mi trasferii a Roma per studiare fotografia a livello professionale. se non fosse stato per quella telefonata di mia madre che mi disse “Torna! Ti aiutiamo noi!”, non so in quale parte del mondo sarei ora. E per una famiglia di 6 persone, dove solo il padre lavorava, quel “Torna!” e’ stato fondamentale. Coi sacrifici di tutti, poi ho preso il via e me la sono cavata da sola. Ma quella telefonata non la dimentichero’ mai…

Qual è il ricordo più bello legato alla città di New York City?Il ricordo piu’ bello legato a NYC e’ lo stesso giorno in cui NYC scelse me. Era il 2005. Non sei tu che scegli una citta’ come questa, e’ lei che sceglie te. E lei mi scelse, uno dei primi giorni dell’aprile 2005.

Come cambia l’atteggiamento verso la fotografia tra un fotografo italiano e uno americano?

Il fotografo americano ha una visione a 360 gradi perche’ la lingua, le usanze, i tempi, le conoscenze glielo permettono. Un fotografo italiano o comunque straniero, vede a 45 gradi. Gli altri 315 li devi scoprire tu con le tue forze.

Il tuo prossimo progetto avrà come tema…Il mio prossimo progetto non so ancora come si chiamerà e se sarà fotografico o scritto in maniera diversa…

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James K Flanaganfotografare il potenziale delle persone.

James, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.Avevo meno di cinque anni, avevo appena vinto una competizione locale. Mi sentivo come se potessi realizzare qualsiasi cosa, ma essendo una Bilancia non potevo decidere nulla, e ancora oggi non posso.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Una foto di mia mamma e la sua grande amica Chrissie. Ciò che mi viene in mente è la nascita della loro amicizia, del loro rispetto profondo, della loro comprensione reciproca, della loro lealtà e di un sacco di risate.

La tua prima foto non si scorda mai.Mio zio, di ritorno da una vacanza in America, stava dormendo. Io ho preso il mio cane, Twink, e sono uscito in un campo pieno di pecore che apparteneva ad un altro mio zio. Nel vedere le pecore, immediatamente Twink finì dentro la tana di un coniglio.

Come e dove è nato il tuo scatto “Luck is a Lady“?Quella foto è nata nel mio appartamento. Penel, la donna nella foto, stava giocando una partita di bridge, quando ho notato la sua eleganza ed ho scattato la foto.

In generale, i tuoi scatti sono studiati o di istinto?Una volta, durante un servizio fotografico commissionato da una cantante lirica greca, mi sono preso così tanto tempo per creare le migliori condizioni per scattare che lei si spazientì, così ho scattato mentre era di spalle. Da allora, fotografo sempre ad istinto.

Che cosa non hai ancora fotografato e vorresti immortalare?Io lavoro nel campo dello sviluppo della Leadership e del Management, questo significa lavorare con le persone per identificare i loro aspetti positivi e negativi e le caratteristiche di ognuna di loro. Quindi vorrei fare una fotografia in cui la persona potrebbe vedere il suo potenziale e riconoscere la necessità di gestire gli ostacoli che impediscono loro di raggiungerlo.

Un nome di un fotografo che ami da scoprire.Ce ne sono molti, troppi per citarli tutti, ma sono tutti fotografi che catturano il momento, e in questo modo mostrano il loro talento e il loro potenziale.

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Mo Gelber8 milioni di persone in un deserto sono più interessanti di NYC. E il tempo è migliore.

Mo Gelber, quanti anni avevi in questa foto e che cosa sognavi di diventare?Avevo circa 11 anni. Ero con mia nonna al matrimonio di mio zio. Sono cresciuto in una casa piena di violenza e abusi. Ho voluto andare via, andare nella casa di mia nonna per scappare da mio padre. Lei era una suonatrice di pianoforte professionista. Mi ha insegnato a suonare il piano. Io volevo imparare a suonare la chitarra, ma non avevo soldi per acquistarne una, così ho usavo strisce di plastica di differenti misure per suonare tutte le note della scala.

Meno di 20 parole per raccontare una foto di famiglia che ti viene in mente.Mi piace guardare le vecchie foto di famiglia per vedere tutti miei parenti da giovani.

La tua prima foto, quella che non si dimentica mai.Quando avevo 17 anni sono andato ad un campo estivo. Avevo con me una macchina fotografica molto economica. Mi piaceva mettere un vaso pieno d’acqua sopra una porta e nascondermi dall’altra parte della porta per fotografare quando qualcuno apriva una porta e… faceva la doccia.

La gente dice che la fotografia non mente. E’ vero?E’ vero che la fotografia non mente, ma spesso le foto possono essere mostrate fuori dal loro contesto. Per esempio, alcune persone piangono ad un matrimonio. Se la didascalia non dice che si tratta di un matrimonio, queste persone potrebbero sembrare ad un funerale.

Ti avvicini il più possibile al soggetto quando lo fotografi, o resti distante?Se voglio avvicinarmi, utilizzo un teleobiettivo da distante. Ho paura che, se mi avvicinassi, i soggetti cambierebbero atteggiamento vedendomi con la macchina fotografica. E non potrei catturare le loro reali emozioni.

Perchè quasi tutti amano New York e fotografano questa città?Non perchè è New York. Probabilmente perchè c’è così tanta gente qui che trovi sempre qualcosa o qualcuno di interessante. Se accendi un grande flash su 8 milioni di persone in un deserto, probabilmente sarebbe più interessante di New York… e con un tempo migliore!

Tre buone ragioni per odiare New York.1) è molto caro affitare una casa. Non riesco a capire come ci siano persone che spendono 3,000 dollari al mese per vivere in una stanza piccolissima. Io preferisco vivere in una tenda in una foresta, gratis.2) C’è un traffico terribile, rumore, folla, una grande disparità tra chi è in salute e chi è povero, e un cattivo odore ovunque a causa dei pochissimi bagni pubblici.3) La gente a New York vive sempre al limite. Corrono sempre troppo forte e non hanno tempo per sè stessi. La gente a New York non è amichevole come in altre città.

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Peter Zullonel deserto della Petrified Forest la prima adrenalina da fotografia.

Peter, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande.7 anni, il giornalista credo.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Gli immancabili compleanni a casa della nonna Carmela. La torta, io e dietro genitori, fratelli, zii, cugini…

La tua prima foto non si scorda mai.Non è stata proprio la mia prima foto. Ma la prima in cui l’emozione di aver catturato uno scatto, un momento irripetibile, mi ha dato un carica di adrenalina fortissima. Zona desertica della Petrified Forest in Arizona lungo la Route 66. Temporale in arrivo. I colori del deserto, le nuove le grigie e quella carica di energia che pervade l’aria. Ho cominciato a scattare a raffica e… sono riuscito a catturare un fulmine.

New York: facile o difficile da fotografare?Facile e… difficile. Facile perché in ogni strada, in ogni angolo, in ogni palazzo si posso trovare situazioni e scatti interessanti. Difficile perché i contrasti di ombre e luci non sono sempre semplici da addomesticare. E poi è la città più fotografata del mondo e essere originali negli scatti è impegnativo.

Il soggetto più difficile che sei riuscito a congelare in uno scatto.Sono particolarmente attratto dai riflessi. Un giorno in giro per Bologna mi sono trovato davanti ad una situazione in cui ce ne era uno contro luce su una vetrina di un negozio vicino a Piazza Maggiore. Ho cominciato a fare qualche foto ma non ero soddisfatto del risultato e cominciavo ad essere frustrato. La situazione di luce era troppo perfetta per lasciare perdere. Ho deciso quindi di prendermi tutto il tempo necessario. Alla fine una ragazza mi è passata davanti di fretta ma con un’andatura leggera e regolare. Una simmetria perfetta. La foto che volevo fare.

Italiani vs Americani: come cambia l’approccio alla fotografia?Opposto. Purtroppo in Italia manca un cultura fotografica e lo si evince anche dalla qualità delle foto pubblicate su molti giornali (che difatti non hanno photo-editor). È curioso che in questa generazione in cui siamo immagine dipendenti e abbiamo tutti in tasca una macchina fotografica, la fotografia non rientri in quasi nessun percorso scolastico.

L’errore da non fare se si vuole iniziare la carriera del fotografo.Pensare che per fare il fotografo ci vuole per forza l’ultimo modello di macchina fotografica uscito. Conosco fotografi professionisti di successo che lavorano con macchine fotografiche uscite già da un bel po’ (es Nikon D90) e fanno fotografie eccezionali.

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Sergio Tranquillii pirati, Parigi, New York e Las Vegas (dove ha rivinto tutto quello che aveva perso)

Sergio, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande?In questa foto dovrei avere tra i due e i tre anni. Sono vestito esattamente come sognavo sarei stato da grande: un pirata (un po’ Corsaro Nero un po’ Capitan Harlock). Cosa mi attirava in questa figura? Il senso di libertà, un orizzonte sempre nuovo da oltrepassare, il senso di avventura e di scoperta (anche di se stessi, oggi posso essere più consapevole: in fondo hanno anche un lato in ombra), la generosità d’animo, lo spirito di rivalsa verso ciò che è imposto. Nella foto i baffi sono disegnati, oggi li ho; al resto continuo a lavorare!Nella foto sono con lo zio con il quale sono sempre stato più legato. Per me era di più di tutti i supereroi messi assieme.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Mi viene in mente una salita di un paese di montagna; io e mia sorella che corriamo, le ginocchia sbucciate, si cadeva ogni giorno; i miei genitori alle spalle; un certo clima di festa. Una foto di famiglia in movimento.

La tua prima foto non si scorda mai.La prima foto che ho scattato? Credo fosse molto concettuale, senza rullino, con una macchinetta a forma di parallelepipedo che non ricordo più dove trovai, forse da mia nonna. La prima foto che mi è stata scattata: nudo, avvolto in un asciugamano rosa, me la rido.

Che cosa rende magica e unica la città di Parigi?A Parigi mi sento bene e lì ho degli amici speciali. È un luogo che mi stimola molto dal punto di vista culturale, Calvino scrive che è una gigantesca opera di consultazione) e con il quale mi trovo in sintonia riguardo al modo di vivere.Ho scoperto il grande piacere di parlare francese, non avendolo mai studiato mi affido all’immaginazione. A quanto pare ne sa più di me e io la seguo! Certo la mia pronuncia è da “marsigliese” ma mi dicono non così disprezzabile. E poi come non amare, lo racconta pure Bunuel, l’attenzione leggera, senza la quale la vita è inconcepibile, con la quale non ci si dimentica mai, ovunque si sia, di preoccuparsi di un piccolo aperitivo “tout en parlant”!

Ti ricordi uno scatto particolare fatto con la tua prima Polaroid?La Polaroid mi fu regalata per la prima comunione. Credo di aver sparato quei dieci scatti in pochi minuti, mi resta in mente l’auto di mio padre fotografata dal balcone.

La fotografia è scomparsa per un po’ della tua vita: com’è rinata successivamente la tua passione?Ho ricominciato a fotografare nel momento in cui ho sentito l’esigenza pressante di mettere in discussione il modo in cui guardavo (che non fosse falsamente naturale, in fondo è, se non altro, frutto di una composizione, di scelte) e al tempo stesso di far vedere agli altri ciò che vedevo io.

Qual è il ricordo più bello del tuo viaggio negli Stati Uniti?L’arrivo stesso, all’aeroporto, è stata una grande emozione. Quanti film e quanti romanzi hanno fatto entrare in me quei luoghi. Era un po’ come andare incontro al proprio immaginario. Il ricordo più bello sta proprio nelle sensazioni a fior di pelle legate al girovagare per le strade. Sento tutt’ora una grande attrazione per le città americane, più per la vita che si incontra in esse che per l’architettura. E poi sono riuscito ad andarmene da Las Vegas avendo rivinto tutto quanto avevo perso!

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Skip Huntla mia prima foto? Freddie Mercury in bianco e nero sotto una pioggia di luci.

Skip, quanti anni avevi in questa foto e cosa sognavi di fare da grande qui.Non ricordo quanti anni avevo. Penso circa 6 anni. Mi ricordo che sognavo che tutto ciò che volevo era tornare a casa da scuola per vedere il mio criceto Shirleen, un regalo di Natale.

Meno di venti parole una fotografia di famiglia che ti viene in mente.Non ricordo una sola foto di famiglia in cui ci fossimo tutti noi quattro fratelli e i nostri genitori. Ma ne ricordo una molto simpatica in cui mia mamma aveva un gesso dopo una caduta da cavallo in vacanza, e mio padre sembrava ubriaco.

La tua prima foto non si scorda mai.Ho fatto tantissime foto in poco tempo, ma la prima fotografia che mi ha legato a questo mestiere in modo definitivo è stato un bianco e nero che ho scattato a Freddie Mercury, ad un concerto dei Queen. Ero molto vicino al palco e le luci illuminavano il suo vestito. Era surreale.

Qual è il prossimo Paese che vorresti fotografare?Questa è una bella domanda. Ne ho molti, tra questi: Bali, Tibet, Bolivia.

Quanto il tuo umore influenza uno scatto?Sai, penso di aver scattato molte più immagini quando non ero particolarmente di buon umore, per qualche ragione. Se sono di ottimo umore, non penso a fare nient’altro che godermi il momento. Comunque, devo dire che quando scatto una bella fotografia, questo migliora moltissimo il mio umore.

Hai mai pensato “basta, smetto con la fotografia”?In effetti, lo faccio. E’ una cosa che mi succede abbastanza spesso. A volte, trascorro molti mesi senza fare uno scatto. Poi, mi sveglio e non riesco a smettere di fotografare… finché non sono di nuovo pieno.

Cosa non può mancare nella valigia di un fotografo in viaggio?Vorrei dire, prima di tutto una macchina fotografica. Poi, viaggio sempre con una borsa di plastica a tenuta d’acqua per metterci la macchina fotografica in caso di pioggia, le batterie supplementari e un piccolo cavalletto.

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