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NUMERO 274 in edizione telematica 10 novembre 2019 IRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] il primo amore non si scorda mai "Dici che l’atletica non ti piace più, ma sono convinto che essa, come il primo amore, è sempre nel profondo del tuo cuore ...". Questo è un messaggio del mio vecchio amico Giors, che mi sollecita un parere sui Campionati mondiali di atletica leggera di Doha. E ha aggiunto: " Per me e per coloro che ti hanno sempre apprezzato sarebbe come un tuo ritorno a casa”. Va bene, e grazie per la fiducia. Il mio primo amore, ci ho pensato l'altro giorno, sembra che viva ancora, single, e compirà 84 anni il 14 dicembre ... Non è nostalgia, no, ma il mio ricordo. Per quanto riguarda l'atletica nel mio cuore? Non lo sapevo, ma tornando allo spettacolo di atletica, quello di Doha, per la prima volta dopo circa vent'anni, ho scoperto che questo amore è ancora lì, lui. Ecco perchéDagli anni di Samaranch, quelli del "denaro che contamina tutto", è vero , avevo gradualmente abbandonato lo spettacolo dell'atletica leggera. Ho visto una fiera immensa, un'organizzazione in cui le grandi società finanziarie competono l'una contro l'altra, solo per speculare sulle gesta di grandi atleti. E quindi, l’atletica era diventata una cosa che non riguardava più me, piccolo ciclista e maratoneta e da sempre lettore di Seneca, Ernst Jünger, Miguel Torga e Jean Sulivan che scrivevano: "Vivi nell'indifferenza e fai crescere il tuo giardino ". Fa parete della mia filosofia, io, fervente amante dei libri, ex studente e poi traduttore in agronomia. Ora a Doha ho visto per la prima volta il salto in alto, con questo straordinario arabo che non conoscevo. Che atleta meraviglioso, Barshim, che ha faticato a superare l’asta di 2m. 33 e che poi salta al primo tentativo 2 m. 35, quindi 2 m. 37. Vincitore, davanti al suo pubblico, il Qatar! E questo Kenyen, Kipruto, che nei 3000 m. siepi, ha battuto l’ etiope Girma etiope d’un respiro ... Meno di un respiro, perché a malapena 0,1 secondi. E questo lanciatore di peso (l'americano Kovacs), campione del mondo con 22 m. e 91, per UN centimetro in più rispetto al secondo e terzo … Tre prodotti dopanti di ultima generazione? Tre mutanti? Forse, ma di fronte all'exploit non ci pensiamo. Anche se nel 1968, al ritorno dei Giochi di Città del Messico, presso la Federal Sports School, a Macolin, lo svizzero Hubacher mi disse: "Mi ritiro, perché per lanciare oltre i 20 m. deve essere drogato ... "Rimarrà a 19 m. 16.E ancora questa gazzella bianca, una donna tedesca di 22 anni, il cui nome è difficile da dire, che coraggiosamente lotta contro due gazzelle nere, etiopi, e finisce

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NUMERO 274 in edizione telematica 10 novembre 2019 IRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

il primo amore non si scorda mai

"Dici che l’atletica non ti piace più, ma sono convinto che essa, come il primo amore,

è sempre nel profondo del tuo cuore ...". Questo è un messaggio del mio vecchio amico Giors, che mi sollecita un parere sui Campionati

mondiali di atletica leggera di Doha. E ha aggiunto: " Per me e per coloro che ti hanno sempre

apprezzato sarebbe come un tuo ritorno a casa”. Va bene, e grazie per la fiducia. Il mio primo amore, ci ho pensato l'altro giorno, sembra che viva ancora, single, e compirà 84

anni il 14 dicembre ... Non è nostalgia, no, ma il mio ricordo.

Per quanto riguarda l'atletica nel mio cuore? Non lo sapevo, ma tornando allo spettacolo di

atletica, quello di Doha, per la prima volta dopo circa vent'anni, ho scoperto che questo amore è ancora lì, lui. Ecco perchéDagli anni di

Samaranch, quelli del "denaro che

contamina tutto", è vero , avevo gradualmente abbandonato lo spettacolo dell'atletica leggera.

Ho visto una fiera immensa,

un'organizzazione in cui le grandi società

finanziarie competono l'una contro l'altra, solo per speculare sulle gesta di grandi atleti. E

quindi, l’atletica era diventata una cosa

che non riguardava più me, piccolo ciclista e maratoneta e da sempre lettore di Seneca,

Ernst Jünger, Miguel Torga e Jean Sulivan che

scrivevano: "Vivi nell'indifferenza e fai crescere il tuo giardino ". Fa parete della mia

filosofia, io, fervente amante dei libri, ex

studente e poi traduttore in agronomia.

Ora a Doha ho visto per la prima volta il salto in alto, con questo straordinario arabo

che non conoscevo. Che atleta meraviglioso, Barshim, che ha faticato a superare l’asta di 2m.

33 e che poi salta al primo tentativo 2 m. 35, quindi 2 m. 37. Vincitore, davanti al suo pubblico, il Qatar!

E questo Kenyen, Kipruto, che nei 3000 m. siepi, ha battuto l’ etiope Girma etiope d’un respiro

... Meno di un respiro, perché a malapena 0,1 secondi.

E questo lanciatore di peso (l'americano Kovacs), campione del mondo con 22 m. e 91, per UN centimetro in più rispetto al secondo e terzo … Tre prodotti dopanti di ultima generazione? Tre

mutanti? Forse, ma di fronte all'exploit non ci pensiamo.

Anche se nel 1968, al ritorno dei Giochi di Città del Messico, presso la Federal Sports School, a Macolin, lo svizzero Hubacher mi disse: "Mi ritiro, perché per lanciare oltre i 20 m. deve essere

drogato ... "Rimarrà a 19 m. 16.E ancora questa gazzella bianca, una donna tedesca di 22 anni, il

cui nome è difficile da dire, che coraggiosamente lotta contro due gazzelle nere, etiopi, e finisce

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SPIRIDON/2

terza con un tempo quasi del livello delle prestazioni dell'incomparabile Paavo Nurmi ... morto

nell'ottobre 1973, tre settimane prima dell'indimenticabile Abebe Bikila.

Giors, ricordi?, Spiridon aveva allora diciotto mesi e ci eravamo appena incontrati.

E improvvisamente ho scoperto che mi piace ancora l'atletica leggera. E perché?, mi sono chiesto. Come non amare l'atletica quando è tempestata da exploit di tale umanità! Ora ammetto

che questi atleti sono soprattutto uomini e donne con un grande cuore.

Quando ho ricevuto il messaggio di Giors, ho letto - è vero, ovviamente – “Monsieur Jadis” , un libro di Antoine Blondin, uno dei più grandi giornalisti sportivi. Antoine Blondin ... La prima e

unica volta in cui l'ho visto è stato nel 1974 a Roma, ai Campionati europei di atletica leggera,

dov’era venuto per ammirare Paola Pigni , per esempio, e quella ragazza del nord, Grete Waitz, che passerà alla storia per aver dato carattere di nobiltà alla maratona femminile.

Guardai Blondin, ma rimasi a distanza, perché era al bar ... Proprio lui, un uomo così spirituale,

che avrebbe detto che si sarebbe rifiutato di entrare all'Accademia di Francia "perché ci sono

troppi bistrot tra la mia casa e la Salle des Sessions dell'Accademia” ... Ed è stato allora che Giors mi ha fatto conoscere un talento eccezionale, il giornalista Bruno

Bonomelli, apparentemente felice di sapere che ero di origini italiane. Fu lui a rivelarmi il nome

di Melpomene, la prima donna ad essere stata dalla Maratona ad Atene a Oh, la dolce vita! E lì, ricordo, incontrammo un "signore", un uomo straordinario che stava

diventato uno dei maggiori protagonisti del mondo sportivo internazionale: Primo Nebiolo. Ci

salutò cordialmente e ci presentò ai suoi accompagnatori dicendo:“questi sono gli amici di

Spiridon”. “Ma … ma … - dissi poi a Giors balbettando (come Blondin) – ma ho capito bene ciò che ha

detto?”. Era stato infatti grande.

Grazie, Giors, per avermi dato l'opportunità di riscoprire un’atletica veramente umana, e quindi così gentile

Noel Tamini, 7 ottobre 2019, sulla soglia di un nuovo inverno in Etiopia.

A Tokyo, a Tokyo ! (con il Listone Fidal) E' stato il mantra ricorrente impiegato dal presidente federale Alfio Giomi per scansare dalla povertà del presente che ha caratterizzato la sua reggenza Fidal, l'interpretazione autentica essendo che sì, a Tokyo finirà il suo mandato . . . Il recente listone Fidal di atleti élite dice di 49 posti (9 riservati a staffettisti/e ancora da nominare) in un elenco gonfiato dall'insospettato successo di una finale mondiale centrata dalla staffetta corta femminile e dalla trovata di IAAF ed IOC di aggiungere la ciofeca della staffetta mista per . . . stare al passo coi tempi. Dei 49 élite, 11 staccano l'appellativo di “top” per il 2020 : ragionevolmente solo un Tamberi che ritrovi la forma del 2016 potrà essere da medaglia a Tokyo, magari assieme ad una X da estrarre dai tre della particolare parrocchia della marcia. Per gli altri una finale sarebbe già un successo (un mezzo miracolo per un Eseosa Desalu sui 200). Le due staffette femminili, assai ordinarie e senza i due o tre “top players” - o quasi – delle formazioni maschili restano in previsione fuori dalla finale e non si capisce perchè non siano già stati indicati i nomi di Zaynab Dosso e Vittoria Fontana che pure valgono le già nominate della 4x100 e sono migliori in potenza (specie la seconda) rispettivamente come prima ed ultima delle frazioniste. Sarà dura strizzare sugo da una confezione Fidal con tante rape (a livello internazionale), ma alla fine del suo doppio giro il buon Giomi potrà sempre commentare che l'importante era partecipare . . . Mauro Molinari [email protected]

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SPIRIDON /3

fuori tema

Quanta strada dal 4:52.0 segnato da Cadet Marshall il 2 settembre 1852 sulla pista di 440y del Military College Sports di

Addiscombe… Nessuno ne ricorderà il nome il prossimo 21

novembre, quando la World Athletics riunirà a Montecarlo, per la

terza volta, i grandi che hanno scritto le migliori pagine nella

corsa del miglio, la distanza nata inglese e tale rimasta negli

ammirevoli riti e tradizioni che fanno del paese oltre Manica una

realtà insuperata. Mancheranno nomi importanti. Sconsigliato dai

suoi 89 anni,sarà assente John Landy, l'australiano che abbassò

di quattordici decimi il leggendario 3:59.4 con cui, un mese e

mezzo avanti, alle sei del pomeriggio del 6 maggio del 1954,

Roger Bannister aveva scolpito sulla pista dell'Oxford Iffley Road il "primo sotto quattro minuti". Mancherà il connazionale Herb

Elliott, anch'egli avanti nelle primavere, il cui 3:54.5 dell'agosto

1958 viene dalle bibbie statistiche considerato "the most dramatic

record in the history of the event": quasi tre secondi meno del

precedente primato. Da anni trasferitosi nell'emisfero australe,

mancherà l'iconoclasta Steve Ovett, le cui deliziose trasgressioni hanno meritato un capitolo a parte, e

dei più imbarazzanti, nella storia del mezzofondo britannico e dei notabili locali. Ma il pacchetto dei

presenti è regale. Chi ne avrà voglia, potrà rispolverare date, luoghi e prestazioni su qualsiasi testo di

atletica o consultando il sito della defunta sigla della IAAF: i nomi appartengono a Peter Snell, a Michel

Jazy, a Jim Ryun, Filbert Bayi, John Walker, Sebastian Coe, Steve Cram, Nourredine Morceli, Hicham el

Guerrouj, 45 anni, il più giovane, con il suo imbattuto 3:43.13 firmato nel 1999 sulla pista dell'Olimpico romano. Per completare il quadro dei dodici apostoli, secondo scrittura di Giorgio Cimbrico, mio

fratello e mia lettura preferita, ecco Ron Delany, vincitore sui 1.500 a Melbourne nel lontanissimo 1956,

Eammon Coghlan, implacabile rifinitore nelle traiettorie indoor, e Kip Keino, principe delle savane e

sulla pista di Città del Messico. Due italiane, con alti meriti, sulla passerella monegasca, Paola Pigni, le

cui avventure nelle lunghe distanze a cavallo degli anni Sessanta e Settanta fecero scuola, e Gabriella

Dorio, prima sulla distanza metrica al traguardo di Los Angeles. Restando in argomento World Athletics,

lascia basiti l'ultimo parto prodotto dai dirigenti internazionali circa il programma gare dei meeting

della Diamond League ed esposto nel testo di uno sbadato comunicato in cui superficialità ed incuria

lasciano immutate sedi da tempo trasferite, com'è il caso di Roma e dell'Olimpico, saliti di latitudine, per

il 2020, all'Arena di Milano. Un format, mai termine fu più sciaguratamente appropriato, della durata di

novanta minuti, con il quale l'atletica, castrandosi,confina per il futuro in un'indecente casa di riposo

specialità come disco, triplo, 200, 3.000 siepi, bruciando storia, tradizioni, identità, e pure estetica, di una disciplina divenuta preda dei network internazionali e mortificata in classi di atleti e categorie senza

che il signor Coe, con i suoi compagni, si renda conto della volgarità, ecco, della volgarità, di

un'iniziativa che tra l'altro renderà ancora più ripetitivi, noiosi, anestetizzati, monchi di attese, di silenzi,

di imprevisti, meeting già minacciati da inaccettabili regie televisive che nulla hanno della bellezza pure

rintracciabile, e che iddio le conservi, nelle oasi organizzative sparse ovunque, e soprattutto sul territorio

europeo. Che brutti, questi futuri dell'atletica. Tutto ciò mentre il panorama nazionale, con anticipi

preelettorali di tale ampiezza temporale da rendere passibili di scomposizione ipotesi di consorterie e di

alleanze annunciate, apre il conto alla rovescia ad un'assemblea federale dalle inclassificabili novità

evolutive e da classificabili corse ai posti di rilievo.

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SPIRIDON/4 L’atletica italiana vive i suoi bassi ma l’eredità di Giomi fa gola

La stagione dell’atletica vive gli ultimi palpiti. Sedentaria, da fermo e posticipata visto il collocamento dei

mondiali in data insolita. Ovvio che ci sia una scia di rumor e retroscena imprevedibili alla metà di

novembre. Abbiamo fatto in tempo a chiudere la stagione sul versante italiano esattamente come

l’avevamo aperta. Cioè male. I mondiali militari hanno mostrato l’estremo grado di imborghesimento

degli atleti con le stellette. Spedizione di serie B con atleti in piena smobilitazione (non gli altri, gli

stranieri, vedi la Naser). Netto peggioramento complessivo rispetto ai primati stagionali (i “personali”

sono un’autentica utopia) e piazzamenti ingloriosi. L’ennesimo segnale di un sistema di reclutamento e

di incentivazioni che non funziona più. Eppure quella è la magna pars dell’atletica italiana. Un sistema

che toglie spazio alle società civili, ne risucchia i migliori talenti e spesso non li valorizza. Eppure è uno

splendido momento per lo sport giovanile. Le nostre squadre di calcio (Under 17), basket (Under 16,

Under 19), pallavolo (Under 17) e pallanuoto (under 17 e under 20) hanno occupato podi europei e

mondiali nel corso dell’ultimo anno. E talenti come la Pilato nel nuoto, Sinner nel tennis, Tortu

nell’atletica lasciano ottimamente sperare per il futuro. Ma nello sport la motivazione è tutto e non è

sufficiente la prospettiva di arraffare uno stipendio ministeriale a decretare un progetto di crescita.

Questi giovani talenti saranno campioni anche da senior o si spegneranno descrivendo parabole già

metabolizzate dalla storia dello sport?

Fa polemica intanto il precoce arruolamento dei Carabinieri giovani promesse minorenni di 17 anni. Non

è un po’ troppo presto per entrare in un gruppo sportivo militare? Tra il caso Cucchi, il caso Mollicone, le

accuse per i vertici, un altro piccolo fardello sul collo del corpo militare. In questo finale di stagione ci

rimane la liquidazione dei falsi miti creati nella scuderia di Salazar. Bombe tossiche in arrivo su

personaggi esaltati e quasi idolatrati survoltati dall’uso sistematico di doping. La deregulation dello sport

globalizzato è ancora a regime visto che la Russia non si è ancora messa in regola e probabilmente alcuni

suoi atleti saranno ancora gestiti senza nazionalità all’altezza dell’Olimpiade 2020. Lo spettro delle

pratiche sportive della DDR (proprio mentre si ricorda il trentennale dell’abbattimento del Muro di

Berlino) è ancora vivo e cogente. Intanto si assiste alla rivendicazione sindacale per l’esclusione di alcune

gare dal programma della Diamond League. Promette battaglia Christian Taylor per il triplo e con un

fondo di verità e di giustizia. Visto il momento effervescente della specialità con tanti atleti vicini ai 18

metri non ci sembra proprio una decisione saggia l’esclusione, pur considerando l’esigenza del turn over

delle specialità. Intanto si riaffaccia l’illazione su un possibile ritorno alle gare di un riqualificando

Schwazer per i prossimi Giochi. Una notizia piuttosto sconvolgente e inattesa anche considerando le

recenti dichiarazioni dell’ex atleta, mediaticamente in versione di sereno padre di famiglia lontano da

prospettive di ritorno all’agonismo. Ma nel recinto dialettico dell’atletica italiana quello di cui più si

discute è la lunga volata per l’elezione del nuovo presidente federale. Il grande numero di candidati (da

5 in su, a seconda dei punti di vista) dimostra che la poltrona è ambita e che la gestione di Giomi ha

come messo il tappo a tante velleità pronte a metabolizzare ambizione e progetti di rivincita. Nel

mucchio aspiranti presidenti già bocciati, outsider che attendono di riconvertirsi in una cordata o

dirigenti come Roberto Fabbricini che hanno speso una vita nello sport e che dopo la lunga traversata

nel Coni vogliono mettere a frutto un ampio bagaglio di esperienze. Gli apparentamenti sembrano

decisivi perché nessuno dei candidati sembra in grado di vincere da solo. Non è un argomento che faccia

sognare l’opinione pubblica visto l’attuale andamento dimesso dello sport che amiamo però la scelta è

decisiva per quel rilancio e quelle scelte programmatiche latitanti da tempo. Una scelta che non

influenzerà Tokyo 2020 ma il successivo quadriennio.

Daniele Poto

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SPIRIDON/5

Incredibile, ma vero. Forse perché l’autunno è la stagione scelta dalla natura per questo, i salvatori della patria atletica crescono come funghi. Manca un anno alle elezioni federali che designeranno il successore di Alfio Giomi, al quale lo statuto vieta di ricandidarsi, e già esistono cinque pretendenti, uno dei quali però non ha ancora un volto preciso, alla successione.Per chi non fosse informato ecco il riepilogo.

Il primo ad annunciare la propria disponibilità è stato Stefano Mei, ex azzurro e vincitore del titolo europeo dei diecimila nel 1986 a Stoccarda, il quale terminata la carriera di atleta si è impegnato in quella dirigenziale, entrando a far parte nel 2001 del Consiglio Federale della Fidal e diventando in seguito anche Consigliere Nazionale del Coni e presidente dell’Associazione Italiana Olimpici. Quindi è stato nominato presidente della Commissioni Atleti in seno alla Fidal e, un paio di anni fa, dell’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia. Mei nel 2016 ha tentato di contrapporsi a Giomi nella corsa al vertice dell’atletica, risultando però sconfitto abbastanza nettamente. Adesso vuole riprovarci e fra pochi giorni presenterà il suo programma a Milano.

Nell’ultima decade di ottobre ha rotto gli indugi anche il generale della Guardia di Finanza Vincenzo Parrinello, attuale vicepresidente vicario che, dopo esserne stato l’ideale delfino, sta ripercorrendo la strada che nei primi Anni Novanta del secolo scorso portò l’allora colonnello Gianni Gola ad occupare la poltrona che Primo Nebiolo, con grande lungimiranza, aveva tenuta per un ventennio, imprimendo una svolta epocalea tutto il movimento, prima a livello nazionale quindi internazionale. Indubbio che Parrinello conosca bene le stanze dei bottoni, così come il fatto che abbia sempre tenuto un profilo basso. Però lo è altrettanto che è stato partecipe della crisi in cui è caduta la nostra atletica e che la sua estrazione minacci di avvilire, se non cancellare, sempre più le società non militari.

In risposta all’annuncio di Parrinello, ecco presentarsi subito l’emiliano Alberto Morini, già vicepresidente vicario durante la gestione Franco Arese, che a Giomi aveva cercato di contendere la poltrona nelle elezioni del 2012. Indubbiamente è un politico, ma per lui vale in parte il discorso fatto per Parrinello, in quanto durante gli anni di Arese non contribuì a imporre quel rinnovamento di cui la nostra atletica avrebbe avuto un macroscopico bisogno.

La quarta candidatura è nata in pratica a Formia, dove si era riunito un gruppo di amici, coinvolti con differenti titoli nell’atletica degli anni migliori, e riguarda Roberto Fabbricini, ex segretario generale del Coni e fino al maggio scorso presidente di Sport&Salute, nonché già segretario generale della Fidal. La sua competenza è fuori discussione, e quella che poteva sembrare una promozione amicale ha trovato disponibilità nell’interessato, alla cui figura guarderebbe anche con interesse il Coni, ammesso che il romanocentrico Malagò abbia ancora potere in seno alle Federazioni e, in questo caso, all’atletica.

Fin qui dunque le candidature espresse. La quinta è un interrogativo come nome ma non come sostanza. Esiste infatti un documento, che sta girando in tutta Italia, i cui circa duecento firmatari – tra i quali due Consiglieri Federali uscenti e due presidenti di Comitati Regionali – propongono una radicale riorganizzazione e modernizzazione della struttura, proponendo prima di trovare l’accordo sui programmi quindi di scegliere il candidato e la squadra in grado di realizzarli. In pratica un accordo sulla sostanza, prima che sui nomi, che si prefigge di non buttare via le esperienze del passato ma di proporre una versione nuova per il futuro all’insegna del motto “coraggio e visione”. A fronte di tanta abbondanza di candidati presidenziali, resta comunque il problema dei “signori” dei voti, ossia di quei dirigenti o presunti tali abilissimi nel collezionare deleghe e poi nell’imporre elementi a loro graditi per i vari ruoli federali: per restare ad un recente passato con loro ha dovuto fare i conti Arese così come Giomi. E non è detto che già qualcuno dei candidati annunciati si proponga come continuatore di questa triste tradizione, perché – è bene sempre ricordarlo – per alcuni è più importante la poltrona che il vero bene dell’atletica.

Giorgio Barberis

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SPIRIDON/6

Certo di anni ne sono passati.

Ma quanti? Appena venti... Ma da quando? Dal 7 novembre del 1999, l'ultimo giorno di Primo, concluso

in una clinica, senza appello, per aver rifiutato la semplice idea del male.

Io ormai lo frequentavo poco e per dirla tutta ero reduce da una stagione complicatissima, professionale,

politica ed associativa, succeduta giusto a quella infausta conclusione del ventennio FIDAL nell'87/88,

quando per voler troppo ci ritrovammo espropriati dell'idea, del progetto, del successo e dell'incredibile

bilancio fatto di risultati e meriti, ma anche di sacrifici

e bisogni ammortati nell'humus degli ideali, motivati

dall'ottimismo della volontà. Su questo, con lui in

vita, non ho avuto mai occasione di confrontarmi, ma

ancora mi chiedo, perché mai quel pomeriggio del 5

settembre 1987 il Generale Santantonio mi chiese all'improvviso la cortesia di sostituire il mio collega

vicepresidente del Col . Gianni Gola nel turno di

premiazione,mettendomi in un imbarazzante

confronto con le titaniche protagoniste del lancio del

peso e peggio ancora con l'apocalittico tsunami di

fischi, che mi sommerse, mentre andavano

contemporaneamente in onda gli annunci, gli squilli

delle trombe (probabilmente del giudizio) e due

contemporanee rincorse ( dì Sergey Bubka e Giovanni

Evangelisti) quelle che avrebbero messo in corto

circuito la storia, con un salto nel buio lungo trentadue anni e della cui contezza non abbiamo ancora la misura definitiva. Insomma, poco conta quel che accadde a me in quel momento, ma sicuramente è

contata e parecchio in senso negativo, disastroso per tutti, quella combinazione chimica, quella

manifestazione di lucida follia, cui per un po' mi rifiutai di credere, tanto appariva surreale che qualcuno

I'avesse concepita, tanto sembrava gratuita, seppure demenziale e suicida l' inutile azzardo. Per questo, io

preferisco ricordare con affetto il prima di Primo, quando lo avevo conosciuto da semplice Presidente

della FISU, vittima e carnefice della goliardia, che pervadeva il gruppo dirigente del CUSI, che appena

dopo il trionfo organizzativo dei XVII Giochi non esitava a mettere in mezzo un personaggio tutto d'un

pezzo come Marcello Garroni, referente CONI, tra lo sconcerto di Amos Matteucci e l'imbarazzo di me

medesimo, giovane di segreteria nel team di un vigoroso buon maestro, tal quale era Vincenzo Vittorioso,

oggi ancora sulla breccia come Presidente del Settore Salvamento della F. l. N. Un giorno, forse, vi

racconterò come e perché Primo divenne il candidato alla Presidenza della Federatletica, pur non essendo

stato organico alla fase rivoluzionaria del “Movimento di Rinnovamento” e come e perché

non divenne Presidente in prima battuta ,

nonostante la forza maggioritaria comprovata sin

dall'esito del primo dei due congressi del 1969.

Certo, che lui ebbe la lucidità e la determinazione

di darsi un progetto, cui non potevano mancare le

gambe della comunicazione, della forma, dell’

organizzazione, dell'apparato tecnico e non ultimo

un respiro economico adeguato, che dobbiamo

riconoscerlo era soprattutto frutto della sua

capacità visionaria, di misterico alchimista capace di trasformare in oro quel che diversamente

sarebbe rimasto vile materia. Qualche giorno fa, qualcuno mi ha ricordato che lui era comunque pur

sempre schierato con la promozione sportiva, mai dimentico della sue radici socialiste. Posso anche

confermare che aveva una grande considerazione per il proprio gruppo dirigente e che soltanto l'ostilità

masochista del Palazzo H impedì allo sport italiano di avvalersi per intero della sua geniale sregolatezza,

maturando all'inizio degli anni novanta e forse anche prima quel ruolo che oggi ancora si invoca, sempre

in carenza costituzionale, anzi nel permanere di una diaspora che vede la corda tendersi al limite di una

irreparabile rottura. Ma tant'è. Primo, volato via “prematuramente” a settantasette anni, oggi sarebbe un

arzillo novantaseienne, con un bilancio ancora più ricco alle spalle e noi forse avremmo qualche medaglia

in più nel palmares, se non si fosse drammaticamente compromesso proprio quando l'acme si fece

virtuale, perdendo la coincidenza con lo straordinario vertice reale, quando il diapason di colpo smise di

vibrare e dopo il prima venne il dopo di Primo.

Ruggero`Alcanterini

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SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula...

scelti da Frasca

Animula vagula, blandula, hospescomesquecorporisquae nunc abibis in loca

pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabisiocos. P. AeliusHadrianus, imp.

(Betica 76 d.C.-138 Baia).

Prima di conoscere la donna, trascorse lunghe sere nel buio di certe straducole,

ove stava acquattato, come uno scarafaggio, insieme a Ciccio Muscarà e a Saretto

Scannapieco, col pericolo di venir pestato da un marinaio. Talvolta, un fascio

improvviso di luce, da una porta spalancata con un calcio, illuminava tutti e tre, e

una voce cavernosa, invitandoli con un insulto affettuoso, li faceva fuggire sino al

centro della città. Una sera, essendosi Giovanni tutto inzuppato, e riempito

d'acqua le scarpe, un donnone lo tirò dentro, e chiuse la porta. Tutto fu rapido,

insipido e confuso. La sensazione più forte egli la provò nel rimettersi gli abiti,

ancora bagnati e gelidi, sul corpo che bruciava di febbre. Si ammalò la sera stessa,

e l'indomani narrò l'accaduto, fra colpi di tosse, ai due amici che gli sedevano al

capezzale. Forse la distanza fra lui e ladonna si sarebbe allungata in modo

irrimediabile, e per sempre, se una ragazza di campagna non avesse pensato a

rendergli la verità della donna non troppo indegna dell'idea che egli ne aveva. Da

Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati (Pachino 1907-Torino 1954), V

edizione Tascabili Bompiani, Milano 1988.

Le prime manifestazioni atletiche organizzate in maniera sistematica e codificata apparvero in Scozia. Nel 1827 i

Border Games, e nel 1840 circa gli Highland Games. I loro programmi si basavano soprattutto su gare di salto e di

lancio. Ma anche in Irlanda c'è sicuramente ancora materiale da scoprire sul XIX secolo, perché recenti ricerche di

John Brant hanno messo in luce che dal 1890 al 1918, su tutto il territorio irlandese, nella stagione agonistica si

tenevano gare di atletica alla media di 20 riunioni a settimana. Ma anche noi del terzo millennio dopo Cristo

facciamo parte della stessa continuità, e la storia degli atleti dei Tailtean Games e delle altre feste celtiche è anche la

nostra stessa storia, una parte di noi stessi che avevamo perduto ed abbiamo ritrovato. Oggi certamente non si

scende in pedana con le stesse motivazioni dell'antico irlandese. Però dobbiamo interrogarci sulla scoperta che gli

studi ci consegnano: lo sport è una creazione spirituale. Sta agli eredi di coloro che l'hanno inventato rivalorizzarlo

come tale ed inserirlo nel contesto culturale che gli compete. Da L'atletica leggera nell'antica Irlanda di Marco

Martini (Roma 1953-2018).

La cerimonia inaugurale dell'Olimpiade si presta a tutti i crimini dell'enfasi. Per non commetterli occorre

raffreddare le parole e schivare come la peste i luoghi comuni che rimbalzano da un'Olimpiade all'altra: essere,

cioè, cronisti semplici e disadorni nell'elencazione, nell'esposizione dei fatti controllati dagli occhi. Tuttavia la

prudenza è pericolosa. Essa può condurre, lungo i canali dell'antiretorica, a una sfuocata rappresentazione

dell'avvenimento. Allora non mi resta che abbandonarmi all'onda dei sentimenti e delle emozioni affidando alla loro

natura genuina e spontanea l'alibi della colpa eventuale di ampollosità nella quale finisce fatalmente per cadere chi

si accinge a descrivere il rito dell'apertura dei Giochi olimpici. L'alibi mi valga la clemenza del plotone di

esecuzione. Mi spari nel petto, mi risparmi le spalle. Nel futuro anche lontano non ci sarà storico del costume

romano che non registrerà nelle sue cronache il giorno 25 agosto 1960… Da Appunti per i posteri di Bruno Roghi

(Verona 1894-Milano 1962) tratti dall'Antologia della Letteratura sportiva italiana di Giuseppe Brunamontini,

Società Stampa Sportiva, Roma 1984.

Va ricordato che una certa cifra delle tasse universitarie per la legge 294 finanzia l'attività sportiva canonica dei

Cus, i Centri universitari sportivi. L'età media dei loro presidenti, per lo più di una longevità di carica imbarazzante,

è superiore ai 47 anni, grazie anche ad Ignazio Lojacono, Cus Bari, che è della classe '22, e Primo Nebiolo, Cus

Torino, del '23. Sono centri di potere, gestiscono impianti e miliardi non indifferenti, sono spesso delle marche

feudali dei partiti che o investono politicamente su di loro o li usano come merce di scambio, facendo divertire

qualcuno perché non scocci in aree più prelibate. Il livello del personale dirigenziale è quasi sempre impresentabile.

Da Anni di merda di Oliviero Beha(Firenze 1949-Roma 2017), Tullio Pironti editore, Napoli 1993.

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SPIRIDON/8

Victor Hugo nell’immaginario collettivo rappresenta il ribelle, il romantico appassionato, l’anticlericale. La sua visione del mondo si comprende dalle lunghe digressioni in “Notre

Dame de Paris” o ne “I Miserabili”. Un anticlericalismo ben visibile attraverso i personaggi ecclesiastici,

nonostante l’ammirazione dichiarata per le storie bibliche in cui compare un Dio Salvatore. Ritenuto

agnostico, non esterna alcun complesso nell’avvicinare un sacerdote e dirgli che non crede in Dio o in

alcun miracolo.

Nella notte del 22 maggio 1883, ottuagenario, si rivolge ad un sacerdote italiano, di passaggio a Parigi,

con termini arroganti. Tuttavia, dopo una lunga e intima

conversazione, lo saluta porgendogli un biglietto con il suo

nome, che fino ad allora non ha rivelato. Quel sacerdote è...

Don Bosco al quale lo scrittore dedicherà poi uno dei suoi

migliori elogi, quello di “uomo leggendario”. Lo storico salesiano don Eugenio Ceria illustra l’ambito

dell’incontro (Annali della Società Salesiana, cap. XLVIII,

p. 516, Società Editrice Internazionale, novembre 1961):

«Ogni anno Don Bosco faceva un viaggio della Francia

meridionale per visitare le sue case e per domandare

limosine; ma nel 1883 si spinse fino a Parigi, dove si fermò

per più di un mese».

Il giornalista Charles d’Espiney nel 1891 riporta nei dettagli

il dialogo intercorso tra i due.

«Una sera a Don Bosco fu presentato un personaggio che gli

era completamente sconosciuto. Dopo tre ore di anticamera,

venne il suo turno: erano le undici. Appena entrato egli disse queste parole: “Non preoccupatevi, signore, se vi dico che

sono un non credente, e quindi non credo ai miracoli che

alcuni proclamano”.

Don Bosco rispose: “Non so chi ho l’onore di parlare, e non

voglio saperlo; Vi assicuro che non cercherò minimamente di farvi credere a ciò che non volete

ammettere. Non Vi parlerò più di religione: non sembra che l’argomento Vi interessi. Tuttavia ditemi: è

sempre stato così nella vostra vita?".

- “Nella mia infanzia, ho creduto come credevano i miei genitori e i miei amici; ma dal momento in

cui sono stato in grado di pensare e ragionare, ho messo da parte la religione e ho vissuto come

filosofo”.

- “Cosa intendete con queste parole: vivere da filosofo?”. - “Condurre una vita felice, senza credere nella vita soprannaturale o futura, un mezzo usato dai

sacerdoti per spaventare le persone semplici di poca istruzione”.

- “E voi, cosa credete, in effetti, della vita futura?”.

- “Non perdiamo tempo a occuparci di questa domanda: parlerò della vita futura quando sarò in

futuro”.

- “Vedo che state scherzando; ma, dato che siamo su questo argomento, abbiate la bontà di ascoltarmi:

in futuro può succedere che una grave malattia arrivi inaspettatamente".

- “Non c’è dubbio”, disse lo sconosciuto, che sembrava un uomo robusto, ma già di età avanzata,

“tanto più che alla mia età si è esposti a una serie di malattie”.

- “E queste malattie non potrebbero portarvi alla tomba?”.

- “È inevitabile, nessuno può fare a meno di rendere omaggio alla morte”.

- “E quando, arrivato alla vostra ultima ora, starete per entrare nella vostra eternità...?”. - “Avrò cura, essendo un filosofo, di non credere nel soprannaturale”.

- “E Vi impedirà, almeno in quel momento, di pensare all’immortalità della vostra anima?".

- “Niente: ma sarebbe un atto di debolezza che mi coprirebbe in modo ridicolo agli occhi dei miei

amici”.

- “Tuttavia, quando sarete alla fine della vostra vita, non vi costerà nulla portare pace alla vostra

coscienza!”.

- “Lo capisco, ma non penso sia necessario abbassarmi a questo punto”.

- “Se voi siete così, cosa state sperando? Presto il presente non vi apparterrà più; del futuro, non volete

essere informato al riguardo. Qual è la vostra speranza?”.

Lo sconosciuto abbassò la testa: stava meditando.

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SPIRIDON/9

Dopo un momento Don Bosco continuò: “Dovete pensare al futuro supremo. Di fronte avete ancora un

po’ di vita: approfittatene per entrare nel seno della Chiesa e per implorare la misericordia di Dio, sarete salvato e salvato per sempre. Se non lo fate, morirete incredulo, da

reprobo, e tutto sarà finito per voi. Non avrete più nulla da sperare

che il nulla, come dite voi, oppure la punizione eterna”. Il vecchio rispose: “Voi avete un linguaggio in cui non vedo la religione o la

filosofia: ma una parola da amico che non rifiuto di ascoltare. So che

tra tutti i miei amici, molto avanzati in fatto di filosofia, nessuno ha

mai risolto il problema: o una eternità di dannazione od il nulla!

Voglio meditare su quello che mi avete appena detto e, se potrò,

tornerò a trovarvi”.

Strinse la mano a Don Bosco, gli porse il suo biglietto da visita e

uscì. Don Bosco lesse il nome del suo visitatore: VICTOR HUGO».

Nel Volume XVI delle Memorie Biografiche (cap. 6, Edizione 1935) troviamo addirittura la descrizione di un secondo incontro.

«Quelle che conducono il mondo non sono le locomotive, ma le

idee» notava Victor Hugo.

Un exallievo? No! Ma...

Pierluigi Lazzarini

Exallievo e Storico di Don Bosco

FOTO D’EPOCA – Partenza della gara di maratona alle Olimpiadi di Parini nel 1908 a Parigi, al centro, maglietta bianca e calzoncini scuri, Dorando Pietri

Silenzio, mi gira Per chi è del tutto sordo il silenzio assoluto esiste (tremendo come il buio per i ciechi) ma per chi ci sente no. Anche nel chiuso ermetico della camera anecoica dopo un po’ cominciamo a sentire i rumori del nostro corpo che vive: i battiti del cuore, i respiri, il fluire del sangue nelle carotidi, il gorgoglìo della laringe mentre deglutisce la saliva, gli acufeni, i borborigmi intestinali… Figuriamoci in natura, dove oltre alla macchina del corpo in funzione ci sono scricchiolìi, fruscii, ronzii, rumori lontani… Ci sono momenti in cui il silenzio, inteso come assenza di rumori, suoni e parole, “cala”, come a Wimbledon prima di un servizio, o in chiesa durante l’elevazione. Altri in cui ci culla perché

assorbe e spalma sui nostri pensieri suoni lievi, gradevoli e continui: il crepitìo del fuoco nel camino, il frangersi del mare, il fruscìo del vento, l’abbaiare di lontani cani… Ci sono silenzi penosi, come quello di un telefono su cui non arriva una chiamata agognatissima, o antipatici come il silenzio-assenso, che è un imbroglio perché attribuisce arbitrariamente un sì o un no a chi tace, magari perché è indeciso o non può rispondere. Infatti se ne giovano i sindacati per drenare i contributi dalle buste paga dei lavoratori. Poi c’è il silenzio-rispetto-omaggio per i defunti (all’arrivo della bara, all’inizio delle partite) in cui si dovrebbe meditare, e invece parte l’applauso anti-imbarazzo. C’è l’ossimoro del silenzio assordante (quello su un argomento che dovrebbe far parlare) e il silenzio eloquente (quando l’assenza di risposta è una risposta). Ce ne sono tanti, insomma, di silenzi, ma quello dei cretini è raro. Loro

lo temono, perché fa pensare. [email protected]

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SPIRIDON/10

IN MEMORIA DI VLADIMIR BUKOVSKIJ

Nacque nel 1942. Studiò biofisica a Mosca. Espulso nel 1961 dall'Università per ragioni politiche, fu

arrestato per la prima volta nello stesso anno. Da allora la sua vita fu una spirale di arresti: rinchiuso in un ospedale psichiatrico di Leningrado, rilasciato nel 1965, alla fine dello

stesso anno fu nuovamente arrestato per aver partecipato ad una

manifestazione in favore di Siniavskij e richiuso in un ospedale psichiatrico per altri nove mesi.

Rilasciato nel luglio del 1966, venne ancora arrestato per aver

manifestato in favore di Ginzburg, Galanskov ed altri, e condannato a tre anni di colonia di lavoro correzionale. Rilasciato nel 1970, nuovamente

arrestato l'anno successivo e condannato a dodici anni, venne liberato nel

dicembre del 1976 in seguito allo scambio con il comunista cileno Corvalan. Bukovskij è tra gli ultimi autori ad inserirsi nella letteratura

nata all'ombra dei campi di concentramento sovietici. La pubblicazione di

Il vento va e poi ritorna ha fatto conoscere al mondo le sue doti eccezionali di scrittore.

La sua testimonianza è importante sia in senso documentario e letterario

sia per la ricostruzione delle circostanze in cui un giovane va maturando le ragioni della sua dissidenza: una lezione civile impartita al mondo

occidentale, schiavo di compromessi nell'ignorare fatti di sopraffazione e

di negazione della libertà.Denuncia di una dittatura nei suoi risvolti alienanti e mistificatori, il suo diario è anche storia del movimento dei

diritti umani sorto nell'URSS negli anni Sessanta e sviluppatosi

progressivamente: pur in carcere, pur in manicomio, Bukovskij è sempre presente come un simbolo con la sua radicale presa di

posizione, reazione estrema ad un'esperienza estrema.<<Una notte,

tardi, stavo tornandomene a casa. D'un tratto una macchina mi raggiunse. Alcuni giovanotti mi spinsero dentro e partimmo.

Viaggiammo per una mezz'ora circa.

Entrammo in un cortile, m'introdussero in una specie d'ufficio. Ero già stato fermato in precedenza, trattenuto per molte ore, e all'inizio non

mi stupii. Ma tranne i miei accompagnatori nel locale non c'era

nessuno. Mi portarono in una grande stanza senza finestre e priva di mobilio.

Non eravamo ancora entrati che un agente venuto dalla destra

all'improvviso mi colpì al volto. Un altro immediatamente cercò di colpirmi al plesso solare e di farmi cadere, ma io ero già all'erta e mi

scansai.

Balzai in un angolo, mi strinsi alla parete con la schiena, e con le mani e le braccia cercavo di ripararmi il viso e il basso ventre. Mi picchiarono a lungo, ad intermittenza, per

quattro ore. Uno mi afferrava per i capelli e mi tirava giù, cercando col ginocchio di colpirmi alla faccia.

Un altro mi percuoteva alla schiena, alle reni. Pensavo solo a non cadere, in quel caso mi avrebbero storpiato a calci. M'era difficile respirare, e la

testa era gonfia. Stanchi, presero riposo, mentre uno di loro si piegava verso di me e mi accarezzava la

guancia con un sorrisetto lascivo. E di nuovo si misero a picchiare. Erano le quattro del mattino quando mi spinsero in strada: 'non farti più vedere in piazza Majakovskij,

se non vuoi che ti uccidiamo', mi dissero.

Il mattino del 6 ottobre 1961 mi arrestarono. Mi svegliai all'improvviso con la sensazione che qualcuno mi guardasse fisso. Ai piedi del letto era il capitano del KGB Nikiforov. Come avesse fatto ad entrare nel

mio appartamento non lo so.

Giù all'ingresso attendeva una macchina che mi portò alla Malaja Lubianka>>. Vladimir Bukovskij è morto a settantasette anni a Cambridge, il 27 ottobre.

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SPIRIDON/11

di Pino Clemente

L’epopea di Gilgamesh, tramandata in caratteri cuneiformi, è il reperto archeologico più antico

di ogni altra opera, incluse quelle di Omero. Gilgamesh è il re del regno di Uruk, Mesopotamia,

tra il Tigri e l’Eufrate. Su quell'epopea nascerà nel 1992 l’opera in due atti di Franco Battiato,

l'autore culturalmente più ispirato della produzione musicale nazionale: la vittoria sulla morte,

l’eredità di affetti, i Sepolcri di Foscolo, e le opere. “Ilio due volte raso e due risorto,

splendidamente nelle mute vie, per far più grande l’ultimo Trofeo ai fatati Pelidi”, nella

concezione agonistica degli Eroi.

Gilgamesh, Achille e Sigfrido furono i piedi veloci, imbattibili. Poetava Pindaro che la velocità

è un dono degli Dei, armonia tra gli arti, alternanza tra la maggiore e la minore tensione, nei

minimi e ripetuti strappi al cordone ombelicale della terra. Nella scrittura di Giacomo Leopardi

ci imbatteremo nella riflessione poetica"nella velocità c’è una stilla dell’infinito". Più di un

secolo dopo, nella visione immaginifica di

Gianni Brera, "la nostra impotente ansia di

volo".

Il poema di Gilgamesh, il re di Uruk, città

vicina al Golfo Persico, fu dunque scritto in

caratteri cuneiformi mille anni prima di ogni

altra opera a noi pervenuta. Si racconta di

questo Re saggio che sfidò Enkidu, un uomo

selvaggio e fortissimo che viveva allo stato

brado. Gilgamesh ascolta un consigliere astuto e, per indebolire l'avversario, assolda una donna

di piacere esperta indirizzandola nelle alture dove il selvaggio scorrazzava. Enkidu è subito

ammaliato e si lascia irretire: una settimana di amplessi, le gambe svuotate di testosterone sono

diventate molli, le ginocchia cedono, e non riesce a raggiungere e distanziare le gazzelle.

Nell’episodio, appare forse il primo esperimento sulla dibattuta questione dell’attività sessuale

in relazione all’agonismomaschile. A quanto appare, diversamente, le donne riceverebbero

dall’atto sessuale incentivi ormonali. Molte tra le più qualificate atlete, interpellate, non hanno

posto limiti “al prima e al dopo”.

Lo scontro fisico finale tra Gilgamesh e Enkidu si chiuderà senza vincitori né vinti. Quando i

due diverranno amici, l'uno fedele

all'altro, gli dei mal sopporteranno

l'eccesso di potenza, al punto di

insidiare la massima potestà del re,

raggiunto da Enkidu. Ne decideranno la

morte, che avverrà dopo dodici giorni di

lancinanti sofferenze. Causa definitiva

della morte di Enkidu, la vendetta nei

confronti di Gilgamesh, colpevole di

aver respinto le offerte amorose, con

garanzia d'immortalità, avanzate da Ishta, figlia di Anu, il massimo della potenza divina. E lo

stesso Gilgamesh, impegnato nell'edificare monumenti in onore del suo antico avversario, poi

divenuto grande tra gli amici, comprenderà come anche per un re il destino sarà identico.

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SPIRIDON/12

« Due parole prima di tornare a lavorare

veramente in sede. Complimenti per come sono stati svolti i lavori. Ho notato la più completa apertura

nella discussione di ognuno ed ho visto che tutti hanno potuto esprimere le proprie idee. Questo al di

là di ogni benevola previsione.

Complimenti anche per il ritmo tenuto (ho visto qualcuno alla fine piegare le ginocchia, ma non l'ho

visto cedere). Nel periodo estivo sarete impegnati con gli atleti che rappresenteranno l'Italia nelle varie

nazionali e sarete i loro affiancatori diretti. Nel periodo invernale, iniziando fin d'ora, sarete chiamati a

tenere conversazioni teorico-pratiche ai Corsi Assistenti Tecnici e seminari a livello regionale. Voi

dovrete portare in periferia, con unità di idee ed intenti, tutto ciò che è scaturito dai Vostri incontri in

questi giorni. Deve essere per Voi un punto fisso questo concetto: sono le Società che formano la Fidal e

gli Allenatori Sociali che creano gli atleti. Per questo i contatti periferici devono obbligatoriamente

essere stretti e cordiali e svolti con umiltà perché da tutti si può sempre imparare. In sostanza, in

periferia, non devono più andare i santoni ma gente preparata a tutte le forme di collaborazione, con il

rispetto massimo delle entità e delle personalità esistenti in loco. Un vivo ringraziamento alla

Commissione femminile per l'entusiasmo dimostrato nello svolgere i lavori. L'attività femminile

richiede l'incondizionato credo e la passione di tutti. Ci proponiamo di portare questa branca

dell'Atletica, che è parte vitale della Federazione, ad un valido livello internazionale, e ciò richiede un

delicato, difficile, ma non impossibile lavoro. Ed è quello che ci aspettiamo da Voi. Nei Corsi regionali

dovrete insegnare l'a, b, c dell'Atletica perché è perfettamente inutile fare sfoggio di sapienza e di

eloquenza quando il compito a noi affidato è quello di porre le basi fondamentali dell'impostazione

tecnica senza fronzoli ma con più spirito pratico. In sostanza ai giovani Allenatori si deve insegnare

come si imposta un ragazzino e non come agisce tecnicamente un campione. Prima di arrivare

all'Università ho sempre visto frequentare le scuole elementari e poi i licei. I vostri rapporti con i

tecnici regionali devono essere strettissimi. Ѐ in studio la ristrutturazione completa del Regolamento

dei Tecnici che sarà reso noto quanto prima, appena avuta l'approvazione del Consiglio Federale. I vari

settori tecnici hanno proposto modifiche al programma dell'attività giovanile. Occorre andare avanti e

con una certa gradualità per non turbare la già generosa attività delle Società. Il nostro gruppo deve

essere mosso da intenti e passioni comuni, fra 10 anni in questa sala mi auguro di vedere 400 persone e

non 40 come ora. L'entusiasmo che avete portato qui trasmettetelo anche fuori, a tutti i livelli. Vorrei

vedere, ad ogni incontro internazionale, lo stesso spirito dimostrato dagli atleti, dai dirigenti, nelle

ultime due ore dell'incontro di Verona (n.r.: 16/17 agosto 1969, Italia-Cecoslovacchia-Gran Bretagna)).

Dopo aver parlato molto di tecnica, rammentate che ingredienti determinanti per la buona riuscita del

nostro lavoro sono anche il cuore e la psicologia. Gli atleti sono uomini e come tali devono essere

trattati. La presenza del Presidente Federale, del vice Presidente Casciotti e del Consigliere

Alcanterini sta a dimostrare la perfetta simbiosi fra l'apparato tecnico e quello dirigenziale. Io spero di

avere trovato qui quaranta amici, non solo miei, ma con lo stesso sentimento fra di loro. Auguro buon

anno a Voi, alle Vostre Società e all'Atletica Italiana.Roma, 19dicembre 1969, intervento di Marcello

Pagani, Direttore tecnico nazionale, nella riunione degli allenatori federali.

Roma, 24 settembre 1970. «Alla Presidenza Federale. Io sottoscritto rassegno le dimissioni dall'incarico

affidatomi non potendo difendere la mia dignità di professionista ed essendo impossibilitato, dopo gli

ultimi fatti, a continuare il mio lavoro con serietà in un ambiente che non potrebbe più rispettarmi. Con

molto rammarico» . Marcello Pagani.