il primo amore non si scorda mai - pierogiacomelli.comscrivevano: "Vivi nell'indifferenza e fai...
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NUMERO 274 in edizione telematica 10 novembre 2019 IRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]
il primo amore non si scorda mai
"Dici che l’atletica non ti piace più, ma sono convinto che essa, come il primo amore,
è sempre nel profondo del tuo cuore ...". Questo è un messaggio del mio vecchio amico Giors, che mi sollecita un parere sui Campionati
mondiali di atletica leggera di Doha. E ha aggiunto: " Per me e per coloro che ti hanno sempre
apprezzato sarebbe come un tuo ritorno a casa”. Va bene, e grazie per la fiducia. Il mio primo amore, ci ho pensato l'altro giorno, sembra che viva ancora, single, e compirà 84
anni il 14 dicembre ... Non è nostalgia, no, ma il mio ricordo.
Per quanto riguarda l'atletica nel mio cuore? Non lo sapevo, ma tornando allo spettacolo di
atletica, quello di Doha, per la prima volta dopo circa vent'anni, ho scoperto che questo amore è ancora lì, lui. Ecco perchéDagli anni di
Samaranch, quelli del "denaro che
contamina tutto", è vero , avevo gradualmente abbandonato lo spettacolo dell'atletica leggera.
Ho visto una fiera immensa,
un'organizzazione in cui le grandi società
finanziarie competono l'una contro l'altra, solo per speculare sulle gesta di grandi atleti. E
quindi, l’atletica era diventata una cosa
che non riguardava più me, piccolo ciclista e maratoneta e da sempre lettore di Seneca,
Ernst Jünger, Miguel Torga e Jean Sulivan che
scrivevano: "Vivi nell'indifferenza e fai crescere il tuo giardino ". Fa parete della mia
filosofia, io, fervente amante dei libri, ex
studente e poi traduttore in agronomia.
Ora a Doha ho visto per la prima volta il salto in alto, con questo straordinario arabo
che non conoscevo. Che atleta meraviglioso, Barshim, che ha faticato a superare l’asta di 2m.
33 e che poi salta al primo tentativo 2 m. 35, quindi 2 m. 37. Vincitore, davanti al suo pubblico, il Qatar!
E questo Kenyen, Kipruto, che nei 3000 m. siepi, ha battuto l’ etiope Girma etiope d’un respiro
... Meno di un respiro, perché a malapena 0,1 secondi.
E questo lanciatore di peso (l'americano Kovacs), campione del mondo con 22 m. e 91, per UN centimetro in più rispetto al secondo e terzo … Tre prodotti dopanti di ultima generazione? Tre
mutanti? Forse, ma di fronte all'exploit non ci pensiamo.
Anche se nel 1968, al ritorno dei Giochi di Città del Messico, presso la Federal Sports School, a Macolin, lo svizzero Hubacher mi disse: "Mi ritiro, perché per lanciare oltre i 20 m. deve essere
drogato ... "Rimarrà a 19 m. 16.E ancora questa gazzella bianca, una donna tedesca di 22 anni, il
cui nome è difficile da dire, che coraggiosamente lotta contro due gazzelle nere, etiopi, e finisce
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terza con un tempo quasi del livello delle prestazioni dell'incomparabile Paavo Nurmi ... morto
nell'ottobre 1973, tre settimane prima dell'indimenticabile Abebe Bikila.
Giors, ricordi?, Spiridon aveva allora diciotto mesi e ci eravamo appena incontrati.
E improvvisamente ho scoperto che mi piace ancora l'atletica leggera. E perché?, mi sono chiesto. Come non amare l'atletica quando è tempestata da exploit di tale umanità! Ora ammetto
che questi atleti sono soprattutto uomini e donne con un grande cuore.
Quando ho ricevuto il messaggio di Giors, ho letto - è vero, ovviamente – “Monsieur Jadis” , un libro di Antoine Blondin, uno dei più grandi giornalisti sportivi. Antoine Blondin ... La prima e
unica volta in cui l'ho visto è stato nel 1974 a Roma, ai Campionati europei di atletica leggera,
dov’era venuto per ammirare Paola Pigni , per esempio, e quella ragazza del nord, Grete Waitz, che passerà alla storia per aver dato carattere di nobiltà alla maratona femminile.
Guardai Blondin, ma rimasi a distanza, perché era al bar ... Proprio lui, un uomo così spirituale,
che avrebbe detto che si sarebbe rifiutato di entrare all'Accademia di Francia "perché ci sono
troppi bistrot tra la mia casa e la Salle des Sessions dell'Accademia” ... Ed è stato allora che Giors mi ha fatto conoscere un talento eccezionale, il giornalista Bruno
Bonomelli, apparentemente felice di sapere che ero di origini italiane. Fu lui a rivelarmi il nome
di Melpomene, la prima donna ad essere stata dalla Maratona ad Atene a Oh, la dolce vita! E lì, ricordo, incontrammo un "signore", un uomo straordinario che stava
diventato uno dei maggiori protagonisti del mondo sportivo internazionale: Primo Nebiolo. Ci
salutò cordialmente e ci presentò ai suoi accompagnatori dicendo:“questi sono gli amici di
Spiridon”. “Ma … ma … - dissi poi a Giors balbettando (come Blondin) – ma ho capito bene ciò che ha
detto?”. Era stato infatti grande.
Grazie, Giors, per avermi dato l'opportunità di riscoprire un’atletica veramente umana, e quindi così gentile
Noel Tamini, 7 ottobre 2019, sulla soglia di un nuovo inverno in Etiopia.
A Tokyo, a Tokyo ! (con il Listone Fidal) E' stato il mantra ricorrente impiegato dal presidente federale Alfio Giomi per scansare dalla povertà del presente che ha caratterizzato la sua reggenza Fidal, l'interpretazione autentica essendo che sì, a Tokyo finirà il suo mandato . . . Il recente listone Fidal di atleti élite dice di 49 posti (9 riservati a staffettisti/e ancora da nominare) in un elenco gonfiato dall'insospettato successo di una finale mondiale centrata dalla staffetta corta femminile e dalla trovata di IAAF ed IOC di aggiungere la ciofeca della staffetta mista per . . . stare al passo coi tempi. Dei 49 élite, 11 staccano l'appellativo di “top” per il 2020 : ragionevolmente solo un Tamberi che ritrovi la forma del 2016 potrà essere da medaglia a Tokyo, magari assieme ad una X da estrarre dai tre della particolare parrocchia della marcia. Per gli altri una finale sarebbe già un successo (un mezzo miracolo per un Eseosa Desalu sui 200). Le due staffette femminili, assai ordinarie e senza i due o tre “top players” - o quasi – delle formazioni maschili restano in previsione fuori dalla finale e non si capisce perchè non siano già stati indicati i nomi di Zaynab Dosso e Vittoria Fontana che pure valgono le già nominate della 4x100 e sono migliori in potenza (specie la seconda) rispettivamente come prima ed ultima delle frazioniste. Sarà dura strizzare sugo da una confezione Fidal con tante rape (a livello internazionale), ma alla fine del suo doppio giro il buon Giomi potrà sempre commentare che l'importante era partecipare . . . Mauro Molinari [email protected]
SPIRIDON /3
fuori tema
Quanta strada dal 4:52.0 segnato da Cadet Marshall il 2 settembre 1852 sulla pista di 440y del Military College Sports di
Addiscombe… Nessuno ne ricorderà il nome il prossimo 21
novembre, quando la World Athletics riunirà a Montecarlo, per la
terza volta, i grandi che hanno scritto le migliori pagine nella
corsa del miglio, la distanza nata inglese e tale rimasta negli
ammirevoli riti e tradizioni che fanno del paese oltre Manica una
realtà insuperata. Mancheranno nomi importanti. Sconsigliato dai
suoi 89 anni,sarà assente John Landy, l'australiano che abbassò
di quattordici decimi il leggendario 3:59.4 con cui, un mese e
mezzo avanti, alle sei del pomeriggio del 6 maggio del 1954,
Roger Bannister aveva scolpito sulla pista dell'Oxford Iffley Road il "primo sotto quattro minuti". Mancherà il connazionale Herb
Elliott, anch'egli avanti nelle primavere, il cui 3:54.5 dell'agosto
1958 viene dalle bibbie statistiche considerato "the most dramatic
record in the history of the event": quasi tre secondi meno del
precedente primato. Da anni trasferitosi nell'emisfero australe,
mancherà l'iconoclasta Steve Ovett, le cui deliziose trasgressioni hanno meritato un capitolo a parte, e
dei più imbarazzanti, nella storia del mezzofondo britannico e dei notabili locali. Ma il pacchetto dei
presenti è regale. Chi ne avrà voglia, potrà rispolverare date, luoghi e prestazioni su qualsiasi testo di
atletica o consultando il sito della defunta sigla della IAAF: i nomi appartengono a Peter Snell, a Michel
Jazy, a Jim Ryun, Filbert Bayi, John Walker, Sebastian Coe, Steve Cram, Nourredine Morceli, Hicham el
Guerrouj, 45 anni, il più giovane, con il suo imbattuto 3:43.13 firmato nel 1999 sulla pista dell'Olimpico romano. Per completare il quadro dei dodici apostoli, secondo scrittura di Giorgio Cimbrico, mio
fratello e mia lettura preferita, ecco Ron Delany, vincitore sui 1.500 a Melbourne nel lontanissimo 1956,
Eammon Coghlan, implacabile rifinitore nelle traiettorie indoor, e Kip Keino, principe delle savane e
sulla pista di Città del Messico. Due italiane, con alti meriti, sulla passerella monegasca, Paola Pigni, le
cui avventure nelle lunghe distanze a cavallo degli anni Sessanta e Settanta fecero scuola, e Gabriella
Dorio, prima sulla distanza metrica al traguardo di Los Angeles. Restando in argomento World Athletics,
lascia basiti l'ultimo parto prodotto dai dirigenti internazionali circa il programma gare dei meeting
della Diamond League ed esposto nel testo di uno sbadato comunicato in cui superficialità ed incuria
lasciano immutate sedi da tempo trasferite, com'è il caso di Roma e dell'Olimpico, saliti di latitudine, per
il 2020, all'Arena di Milano. Un format, mai termine fu più sciaguratamente appropriato, della durata di
novanta minuti, con il quale l'atletica, castrandosi,confina per il futuro in un'indecente casa di riposo
specialità come disco, triplo, 200, 3.000 siepi, bruciando storia, tradizioni, identità, e pure estetica, di una disciplina divenuta preda dei network internazionali e mortificata in classi di atleti e categorie senza
che il signor Coe, con i suoi compagni, si renda conto della volgarità, ecco, della volgarità, di
un'iniziativa che tra l'altro renderà ancora più ripetitivi, noiosi, anestetizzati, monchi di attese, di silenzi,
di imprevisti, meeting già minacciati da inaccettabili regie televisive che nulla hanno della bellezza pure
rintracciabile, e che iddio le conservi, nelle oasi organizzative sparse ovunque, e soprattutto sul territorio
europeo. Che brutti, questi futuri dell'atletica. Tutto ciò mentre il panorama nazionale, con anticipi
preelettorali di tale ampiezza temporale da rendere passibili di scomposizione ipotesi di consorterie e di
alleanze annunciate, apre il conto alla rovescia ad un'assemblea federale dalle inclassificabili novità
evolutive e da classificabili corse ai posti di rilievo.
SPIRIDON/4 L’atletica italiana vive i suoi bassi ma l’eredità di Giomi fa gola
La stagione dell’atletica vive gli ultimi palpiti. Sedentaria, da fermo e posticipata visto il collocamento dei
mondiali in data insolita. Ovvio che ci sia una scia di rumor e retroscena imprevedibili alla metà di
novembre. Abbiamo fatto in tempo a chiudere la stagione sul versante italiano esattamente come
l’avevamo aperta. Cioè male. I mondiali militari hanno mostrato l’estremo grado di imborghesimento
degli atleti con le stellette. Spedizione di serie B con atleti in piena smobilitazione (non gli altri, gli
stranieri, vedi la Naser). Netto peggioramento complessivo rispetto ai primati stagionali (i “personali”
sono un’autentica utopia) e piazzamenti ingloriosi. L’ennesimo segnale di un sistema di reclutamento e
di incentivazioni che non funziona più. Eppure quella è la magna pars dell’atletica italiana. Un sistema
che toglie spazio alle società civili, ne risucchia i migliori talenti e spesso non li valorizza. Eppure è uno
splendido momento per lo sport giovanile. Le nostre squadre di calcio (Under 17), basket (Under 16,
Under 19), pallavolo (Under 17) e pallanuoto (under 17 e under 20) hanno occupato podi europei e
mondiali nel corso dell’ultimo anno. E talenti come la Pilato nel nuoto, Sinner nel tennis, Tortu
nell’atletica lasciano ottimamente sperare per il futuro. Ma nello sport la motivazione è tutto e non è
sufficiente la prospettiva di arraffare uno stipendio ministeriale a decretare un progetto di crescita.
Questi giovani talenti saranno campioni anche da senior o si spegneranno descrivendo parabole già
metabolizzate dalla storia dello sport?
Fa polemica intanto il precoce arruolamento dei Carabinieri giovani promesse minorenni di 17 anni. Non
è un po’ troppo presto per entrare in un gruppo sportivo militare? Tra il caso Cucchi, il caso Mollicone, le
accuse per i vertici, un altro piccolo fardello sul collo del corpo militare. In questo finale di stagione ci
rimane la liquidazione dei falsi miti creati nella scuderia di Salazar. Bombe tossiche in arrivo su
personaggi esaltati e quasi idolatrati survoltati dall’uso sistematico di doping. La deregulation dello sport
globalizzato è ancora a regime visto che la Russia non si è ancora messa in regola e probabilmente alcuni
suoi atleti saranno ancora gestiti senza nazionalità all’altezza dell’Olimpiade 2020. Lo spettro delle
pratiche sportive della DDR (proprio mentre si ricorda il trentennale dell’abbattimento del Muro di
Berlino) è ancora vivo e cogente. Intanto si assiste alla rivendicazione sindacale per l’esclusione di alcune
gare dal programma della Diamond League. Promette battaglia Christian Taylor per il triplo e con un
fondo di verità e di giustizia. Visto il momento effervescente della specialità con tanti atleti vicini ai 18
metri non ci sembra proprio una decisione saggia l’esclusione, pur considerando l’esigenza del turn over
delle specialità. Intanto si riaffaccia l’illazione su un possibile ritorno alle gare di un riqualificando
Schwazer per i prossimi Giochi. Una notizia piuttosto sconvolgente e inattesa anche considerando le
recenti dichiarazioni dell’ex atleta, mediaticamente in versione di sereno padre di famiglia lontano da
prospettive di ritorno all’agonismo. Ma nel recinto dialettico dell’atletica italiana quello di cui più si
discute è la lunga volata per l’elezione del nuovo presidente federale. Il grande numero di candidati (da
5 in su, a seconda dei punti di vista) dimostra che la poltrona è ambita e che la gestione di Giomi ha
come messo il tappo a tante velleità pronte a metabolizzare ambizione e progetti di rivincita. Nel
mucchio aspiranti presidenti già bocciati, outsider che attendono di riconvertirsi in una cordata o
dirigenti come Roberto Fabbricini che hanno speso una vita nello sport e che dopo la lunga traversata
nel Coni vogliono mettere a frutto un ampio bagaglio di esperienze. Gli apparentamenti sembrano
decisivi perché nessuno dei candidati sembra in grado di vincere da solo. Non è un argomento che faccia
sognare l’opinione pubblica visto l’attuale andamento dimesso dello sport che amiamo però la scelta è
decisiva per quel rilancio e quelle scelte programmatiche latitanti da tempo. Una scelta che non
influenzerà Tokyo 2020 ma il successivo quadriennio.
Daniele Poto
SPIRIDON/5
Incredibile, ma vero. Forse perché l’autunno è la stagione scelta dalla natura per questo, i salvatori della patria atletica crescono come funghi. Manca un anno alle elezioni federali che designeranno il successore di Alfio Giomi, al quale lo statuto vieta di ricandidarsi, e già esistono cinque pretendenti, uno dei quali però non ha ancora un volto preciso, alla successione.Per chi non fosse informato ecco il riepilogo.
Il primo ad annunciare la propria disponibilità è stato Stefano Mei, ex azzurro e vincitore del titolo europeo dei diecimila nel 1986 a Stoccarda, il quale terminata la carriera di atleta si è impegnato in quella dirigenziale, entrando a far parte nel 2001 del Consiglio Federale della Fidal e diventando in seguito anche Consigliere Nazionale del Coni e presidente dell’Associazione Italiana Olimpici. Quindi è stato nominato presidente della Commissioni Atleti in seno alla Fidal e, un paio di anni fa, dell’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia. Mei nel 2016 ha tentato di contrapporsi a Giomi nella corsa al vertice dell’atletica, risultando però sconfitto abbastanza nettamente. Adesso vuole riprovarci e fra pochi giorni presenterà il suo programma a Milano.
Nell’ultima decade di ottobre ha rotto gli indugi anche il generale della Guardia di Finanza Vincenzo Parrinello, attuale vicepresidente vicario che, dopo esserne stato l’ideale delfino, sta ripercorrendo la strada che nei primi Anni Novanta del secolo scorso portò l’allora colonnello Gianni Gola ad occupare la poltrona che Primo Nebiolo, con grande lungimiranza, aveva tenuta per un ventennio, imprimendo una svolta epocalea tutto il movimento, prima a livello nazionale quindi internazionale. Indubbio che Parrinello conosca bene le stanze dei bottoni, così come il fatto che abbia sempre tenuto un profilo basso. Però lo è altrettanto che è stato partecipe della crisi in cui è caduta la nostra atletica e che la sua estrazione minacci di avvilire, se non cancellare, sempre più le società non militari.
In risposta all’annuncio di Parrinello, ecco presentarsi subito l’emiliano Alberto Morini, già vicepresidente vicario durante la gestione Franco Arese, che a Giomi aveva cercato di contendere la poltrona nelle elezioni del 2012. Indubbiamente è un politico, ma per lui vale in parte il discorso fatto per Parrinello, in quanto durante gli anni di Arese non contribuì a imporre quel rinnovamento di cui la nostra atletica avrebbe avuto un macroscopico bisogno.
La quarta candidatura è nata in pratica a Formia, dove si era riunito un gruppo di amici, coinvolti con differenti titoli nell’atletica degli anni migliori, e riguarda Roberto Fabbricini, ex segretario generale del Coni e fino al maggio scorso presidente di Sport&Salute, nonché già segretario generale della Fidal. La sua competenza è fuori discussione, e quella che poteva sembrare una promozione amicale ha trovato disponibilità nell’interessato, alla cui figura guarderebbe anche con interesse il Coni, ammesso che il romanocentrico Malagò abbia ancora potere in seno alle Federazioni e, in questo caso, all’atletica.
Fin qui dunque le candidature espresse. La quinta è un interrogativo come nome ma non come sostanza. Esiste infatti un documento, che sta girando in tutta Italia, i cui circa duecento firmatari – tra i quali due Consiglieri Federali uscenti e due presidenti di Comitati Regionali – propongono una radicale riorganizzazione e modernizzazione della struttura, proponendo prima di trovare l’accordo sui programmi quindi di scegliere il candidato e la squadra in grado di realizzarli. In pratica un accordo sulla sostanza, prima che sui nomi, che si prefigge di non buttare via le esperienze del passato ma di proporre una versione nuova per il futuro all’insegna del motto “coraggio e visione”. A fronte di tanta abbondanza di candidati presidenziali, resta comunque il problema dei “signori” dei voti, ossia di quei dirigenti o presunti tali abilissimi nel collezionare deleghe e poi nell’imporre elementi a loro graditi per i vari ruoli federali: per restare ad un recente passato con loro ha dovuto fare i conti Arese così come Giomi. E non è detto che già qualcuno dei candidati annunciati si proponga come continuatore di questa triste tradizione, perché – è bene sempre ricordarlo – per alcuni è più importante la poltrona che il vero bene dell’atletica.
Giorgio Barberis
SPIRIDON/6
Certo di anni ne sono passati.
Ma quanti? Appena venti... Ma da quando? Dal 7 novembre del 1999, l'ultimo giorno di Primo, concluso
in una clinica, senza appello, per aver rifiutato la semplice idea del male.
Io ormai lo frequentavo poco e per dirla tutta ero reduce da una stagione complicatissima, professionale,
politica ed associativa, succeduta giusto a quella infausta conclusione del ventennio FIDAL nell'87/88,
quando per voler troppo ci ritrovammo espropriati dell'idea, del progetto, del successo e dell'incredibile
bilancio fatto di risultati e meriti, ma anche di sacrifici
e bisogni ammortati nell'humus degli ideali, motivati
dall'ottimismo della volontà. Su questo, con lui in
vita, non ho avuto mai occasione di confrontarmi, ma
ancora mi chiedo, perché mai quel pomeriggio del 5
settembre 1987 il Generale Santantonio mi chiese all'improvviso la cortesia di sostituire il mio collega
vicepresidente del Col . Gianni Gola nel turno di
premiazione,mettendomi in un imbarazzante
confronto con le titaniche protagoniste del lancio del
peso e peggio ancora con l'apocalittico tsunami di
fischi, che mi sommerse, mentre andavano
contemporaneamente in onda gli annunci, gli squilli
delle trombe (probabilmente del giudizio) e due
contemporanee rincorse ( dì Sergey Bubka e Giovanni
Evangelisti) quelle che avrebbero messo in corto
circuito la storia, con un salto nel buio lungo trentadue anni e della cui contezza non abbiamo ancora la misura definitiva. Insomma, poco conta quel che accadde a me in quel momento, ma sicuramente è
contata e parecchio in senso negativo, disastroso per tutti, quella combinazione chimica, quella
manifestazione di lucida follia, cui per un po' mi rifiutai di credere, tanto appariva surreale che qualcuno
I'avesse concepita, tanto sembrava gratuita, seppure demenziale e suicida l' inutile azzardo. Per questo, io
preferisco ricordare con affetto il prima di Primo, quando lo avevo conosciuto da semplice Presidente
della FISU, vittima e carnefice della goliardia, che pervadeva il gruppo dirigente del CUSI, che appena
dopo il trionfo organizzativo dei XVII Giochi non esitava a mettere in mezzo un personaggio tutto d'un
pezzo come Marcello Garroni, referente CONI, tra lo sconcerto di Amos Matteucci e l'imbarazzo di me
medesimo, giovane di segreteria nel team di un vigoroso buon maestro, tal quale era Vincenzo Vittorioso,
oggi ancora sulla breccia come Presidente del Settore Salvamento della F. l. N. Un giorno, forse, vi
racconterò come e perché Primo divenne il candidato alla Presidenza della Federatletica, pur non essendo
stato organico alla fase rivoluzionaria del “Movimento di Rinnovamento” e come e perché
non divenne Presidente in prima battuta ,
nonostante la forza maggioritaria comprovata sin
dall'esito del primo dei due congressi del 1969.
Certo, che lui ebbe la lucidità e la determinazione
di darsi un progetto, cui non potevano mancare le
gambe della comunicazione, della forma, dell’
organizzazione, dell'apparato tecnico e non ultimo
un respiro economico adeguato, che dobbiamo
riconoscerlo era soprattutto frutto della sua
capacità visionaria, di misterico alchimista capace di trasformare in oro quel che diversamente
sarebbe rimasto vile materia. Qualche giorno fa, qualcuno mi ha ricordato che lui era comunque pur
sempre schierato con la promozione sportiva, mai dimentico della sue radici socialiste. Posso anche
confermare che aveva una grande considerazione per il proprio gruppo dirigente e che soltanto l'ostilità
masochista del Palazzo H impedì allo sport italiano di avvalersi per intero della sua geniale sregolatezza,
maturando all'inizio degli anni novanta e forse anche prima quel ruolo che oggi ancora si invoca, sempre
in carenza costituzionale, anzi nel permanere di una diaspora che vede la corda tendersi al limite di una
irreparabile rottura. Ma tant'è. Primo, volato via “prematuramente” a settantasette anni, oggi sarebbe un
arzillo novantaseienne, con un bilancio ancora più ricco alle spalle e noi forse avremmo qualche medaglia
in più nel palmares, se non si fosse drammaticamente compromesso proprio quando l'acme si fece
virtuale, perdendo la coincidenza con lo straordinario vertice reale, quando il diapason di colpo smise di
vibrare e dopo il prima venne il dopo di Primo.
Ruggero`Alcanterini
SPIRIDON/7
Animula vagula, blandula...
scelti da Frasca
Animula vagula, blandula, hospescomesquecorporisquae nunc abibis in loca
pallidula, rigida, nudula, nec, ut soles, dabisiocos. P. AeliusHadrianus, imp.
(Betica 76 d.C.-138 Baia).
Prima di conoscere la donna, trascorse lunghe sere nel buio di certe straducole,
ove stava acquattato, come uno scarafaggio, insieme a Ciccio Muscarà e a Saretto
Scannapieco, col pericolo di venir pestato da un marinaio. Talvolta, un fascio
improvviso di luce, da una porta spalancata con un calcio, illuminava tutti e tre, e
una voce cavernosa, invitandoli con un insulto affettuoso, li faceva fuggire sino al
centro della città. Una sera, essendosi Giovanni tutto inzuppato, e riempito
d'acqua le scarpe, un donnone lo tirò dentro, e chiuse la porta. Tutto fu rapido,
insipido e confuso. La sensazione più forte egli la provò nel rimettersi gli abiti,
ancora bagnati e gelidi, sul corpo che bruciava di febbre. Si ammalò la sera stessa,
e l'indomani narrò l'accaduto, fra colpi di tosse, ai due amici che gli sedevano al
capezzale. Forse la distanza fra lui e ladonna si sarebbe allungata in modo
irrimediabile, e per sempre, se una ragazza di campagna non avesse pensato a
rendergli la verità della donna non troppo indegna dell'idea che egli ne aveva. Da
Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati (Pachino 1907-Torino 1954), V
edizione Tascabili Bompiani, Milano 1988.
Le prime manifestazioni atletiche organizzate in maniera sistematica e codificata apparvero in Scozia. Nel 1827 i
Border Games, e nel 1840 circa gli Highland Games. I loro programmi si basavano soprattutto su gare di salto e di
lancio. Ma anche in Irlanda c'è sicuramente ancora materiale da scoprire sul XIX secolo, perché recenti ricerche di
John Brant hanno messo in luce che dal 1890 al 1918, su tutto il territorio irlandese, nella stagione agonistica si
tenevano gare di atletica alla media di 20 riunioni a settimana. Ma anche noi del terzo millennio dopo Cristo
facciamo parte della stessa continuità, e la storia degli atleti dei Tailtean Games e delle altre feste celtiche è anche la
nostra stessa storia, una parte di noi stessi che avevamo perduto ed abbiamo ritrovato. Oggi certamente non si
scende in pedana con le stesse motivazioni dell'antico irlandese. Però dobbiamo interrogarci sulla scoperta che gli
studi ci consegnano: lo sport è una creazione spirituale. Sta agli eredi di coloro che l'hanno inventato rivalorizzarlo
come tale ed inserirlo nel contesto culturale che gli compete. Da L'atletica leggera nell'antica Irlanda di Marco
Martini (Roma 1953-2018).
La cerimonia inaugurale dell'Olimpiade si presta a tutti i crimini dell'enfasi. Per non commetterli occorre
raffreddare le parole e schivare come la peste i luoghi comuni che rimbalzano da un'Olimpiade all'altra: essere,
cioè, cronisti semplici e disadorni nell'elencazione, nell'esposizione dei fatti controllati dagli occhi. Tuttavia la
prudenza è pericolosa. Essa può condurre, lungo i canali dell'antiretorica, a una sfuocata rappresentazione
dell'avvenimento. Allora non mi resta che abbandonarmi all'onda dei sentimenti e delle emozioni affidando alla loro
natura genuina e spontanea l'alibi della colpa eventuale di ampollosità nella quale finisce fatalmente per cadere chi
si accinge a descrivere il rito dell'apertura dei Giochi olimpici. L'alibi mi valga la clemenza del plotone di
esecuzione. Mi spari nel petto, mi risparmi le spalle. Nel futuro anche lontano non ci sarà storico del costume
romano che non registrerà nelle sue cronache il giorno 25 agosto 1960… Da Appunti per i posteri di Bruno Roghi
(Verona 1894-Milano 1962) tratti dall'Antologia della Letteratura sportiva italiana di Giuseppe Brunamontini,
Società Stampa Sportiva, Roma 1984.
Va ricordato che una certa cifra delle tasse universitarie per la legge 294 finanzia l'attività sportiva canonica dei
Cus, i Centri universitari sportivi. L'età media dei loro presidenti, per lo più di una longevità di carica imbarazzante,
è superiore ai 47 anni, grazie anche ad Ignazio Lojacono, Cus Bari, che è della classe '22, e Primo Nebiolo, Cus
Torino, del '23. Sono centri di potere, gestiscono impianti e miliardi non indifferenti, sono spesso delle marche
feudali dei partiti che o investono politicamente su di loro o li usano come merce di scambio, facendo divertire
qualcuno perché non scocci in aree più prelibate. Il livello del personale dirigenziale è quasi sempre impresentabile.
Da Anni di merda di Oliviero Beha(Firenze 1949-Roma 2017), Tullio Pironti editore, Napoli 1993.
SPIRIDON/8
Victor Hugo nell’immaginario collettivo rappresenta il ribelle, il romantico appassionato, l’anticlericale. La sua visione del mondo si comprende dalle lunghe digressioni in “Notre
Dame de Paris” o ne “I Miserabili”. Un anticlericalismo ben visibile attraverso i personaggi ecclesiastici,
nonostante l’ammirazione dichiarata per le storie bibliche in cui compare un Dio Salvatore. Ritenuto
agnostico, non esterna alcun complesso nell’avvicinare un sacerdote e dirgli che non crede in Dio o in
alcun miracolo.
Nella notte del 22 maggio 1883, ottuagenario, si rivolge ad un sacerdote italiano, di passaggio a Parigi,
con termini arroganti. Tuttavia, dopo una lunga e intima
conversazione, lo saluta porgendogli un biglietto con il suo
nome, che fino ad allora non ha rivelato. Quel sacerdote è...
Don Bosco al quale lo scrittore dedicherà poi uno dei suoi
migliori elogi, quello di “uomo leggendario”. Lo storico salesiano don Eugenio Ceria illustra l’ambito
dell’incontro (Annali della Società Salesiana, cap. XLVIII,
p. 516, Società Editrice Internazionale, novembre 1961):
«Ogni anno Don Bosco faceva un viaggio della Francia
meridionale per visitare le sue case e per domandare
limosine; ma nel 1883 si spinse fino a Parigi, dove si fermò
per più di un mese».
Il giornalista Charles d’Espiney nel 1891 riporta nei dettagli
il dialogo intercorso tra i due.
«Una sera a Don Bosco fu presentato un personaggio che gli
era completamente sconosciuto. Dopo tre ore di anticamera,
venne il suo turno: erano le undici. Appena entrato egli disse queste parole: “Non preoccupatevi, signore, se vi dico che
sono un non credente, e quindi non credo ai miracoli che
alcuni proclamano”.
Don Bosco rispose: “Non so chi ho l’onore di parlare, e non
voglio saperlo; Vi assicuro che non cercherò minimamente di farvi credere a ciò che non volete
ammettere. Non Vi parlerò più di religione: non sembra che l’argomento Vi interessi. Tuttavia ditemi: è
sempre stato così nella vostra vita?".
- “Nella mia infanzia, ho creduto come credevano i miei genitori e i miei amici; ma dal momento in
cui sono stato in grado di pensare e ragionare, ho messo da parte la religione e ho vissuto come
filosofo”.
- “Cosa intendete con queste parole: vivere da filosofo?”. - “Condurre una vita felice, senza credere nella vita soprannaturale o futura, un mezzo usato dai
sacerdoti per spaventare le persone semplici di poca istruzione”.
- “E voi, cosa credete, in effetti, della vita futura?”.
- “Non perdiamo tempo a occuparci di questa domanda: parlerò della vita futura quando sarò in
futuro”.
- “Vedo che state scherzando; ma, dato che siamo su questo argomento, abbiate la bontà di ascoltarmi:
in futuro può succedere che una grave malattia arrivi inaspettatamente".
- “Non c’è dubbio”, disse lo sconosciuto, che sembrava un uomo robusto, ma già di età avanzata,
“tanto più che alla mia età si è esposti a una serie di malattie”.
- “E queste malattie non potrebbero portarvi alla tomba?”.
- “È inevitabile, nessuno può fare a meno di rendere omaggio alla morte”.
- “E quando, arrivato alla vostra ultima ora, starete per entrare nella vostra eternità...?”. - “Avrò cura, essendo un filosofo, di non credere nel soprannaturale”.
- “E Vi impedirà, almeno in quel momento, di pensare all’immortalità della vostra anima?".
- “Niente: ma sarebbe un atto di debolezza che mi coprirebbe in modo ridicolo agli occhi dei miei
amici”.
- “Tuttavia, quando sarete alla fine della vostra vita, non vi costerà nulla portare pace alla vostra
coscienza!”.
- “Lo capisco, ma non penso sia necessario abbassarmi a questo punto”.
- “Se voi siete così, cosa state sperando? Presto il presente non vi apparterrà più; del futuro, non volete
essere informato al riguardo. Qual è la vostra speranza?”.
Lo sconosciuto abbassò la testa: stava meditando.
SPIRIDON/9
Dopo un momento Don Bosco continuò: “Dovete pensare al futuro supremo. Di fronte avete ancora un
po’ di vita: approfittatene per entrare nel seno della Chiesa e per implorare la misericordia di Dio, sarete salvato e salvato per sempre. Se non lo fate, morirete incredulo, da
reprobo, e tutto sarà finito per voi. Non avrete più nulla da sperare
che il nulla, come dite voi, oppure la punizione eterna”. Il vecchio rispose: “Voi avete un linguaggio in cui non vedo la religione o la
filosofia: ma una parola da amico che non rifiuto di ascoltare. So che
tra tutti i miei amici, molto avanzati in fatto di filosofia, nessuno ha
mai risolto il problema: o una eternità di dannazione od il nulla!
Voglio meditare su quello che mi avete appena detto e, se potrò,
tornerò a trovarvi”.
Strinse la mano a Don Bosco, gli porse il suo biglietto da visita e
uscì. Don Bosco lesse il nome del suo visitatore: VICTOR HUGO».
Nel Volume XVI delle Memorie Biografiche (cap. 6, Edizione 1935) troviamo addirittura la descrizione di un secondo incontro.
«Quelle che conducono il mondo non sono le locomotive, ma le
idee» notava Victor Hugo.
Un exallievo? No! Ma...
Pierluigi Lazzarini
Exallievo e Storico di Don Bosco
FOTO D’EPOCA – Partenza della gara di maratona alle Olimpiadi di Parini nel 1908 a Parigi, al centro, maglietta bianca e calzoncini scuri, Dorando Pietri
Silenzio, mi gira Per chi è del tutto sordo il silenzio assoluto esiste (tremendo come il buio per i ciechi) ma per chi ci sente no. Anche nel chiuso ermetico della camera anecoica dopo un po’ cominciamo a sentire i rumori del nostro corpo che vive: i battiti del cuore, i respiri, il fluire del sangue nelle carotidi, il gorgoglìo della laringe mentre deglutisce la saliva, gli acufeni, i borborigmi intestinali… Figuriamoci in natura, dove oltre alla macchina del corpo in funzione ci sono scricchiolìi, fruscii, ronzii, rumori lontani… Ci sono momenti in cui il silenzio, inteso come assenza di rumori, suoni e parole, “cala”, come a Wimbledon prima di un servizio, o in chiesa durante l’elevazione. Altri in cui ci culla perché
assorbe e spalma sui nostri pensieri suoni lievi, gradevoli e continui: il crepitìo del fuoco nel camino, il frangersi del mare, il fruscìo del vento, l’abbaiare di lontani cani… Ci sono silenzi penosi, come quello di un telefono su cui non arriva una chiamata agognatissima, o antipatici come il silenzio-assenso, che è un imbroglio perché attribuisce arbitrariamente un sì o un no a chi tace, magari perché è indeciso o non può rispondere. Infatti se ne giovano i sindacati per drenare i contributi dalle buste paga dei lavoratori. Poi c’è il silenzio-rispetto-omaggio per i defunti (all’arrivo della bara, all’inizio delle partite) in cui si dovrebbe meditare, e invece parte l’applauso anti-imbarazzo. C’è l’ossimoro del silenzio assordante (quello su un argomento che dovrebbe far parlare) e il silenzio eloquente (quando l’assenza di risposta è una risposta). Ce ne sono tanti, insomma, di silenzi, ma quello dei cretini è raro. Loro
lo temono, perché fa pensare. [email protected]
SPIRIDON/10
IN MEMORIA DI VLADIMIR BUKOVSKIJ
Nacque nel 1942. Studiò biofisica a Mosca. Espulso nel 1961 dall'Università per ragioni politiche, fu
arrestato per la prima volta nello stesso anno. Da allora la sua vita fu una spirale di arresti: rinchiuso in un ospedale psichiatrico di Leningrado, rilasciato nel 1965, alla fine dello
stesso anno fu nuovamente arrestato per aver partecipato ad una
manifestazione in favore di Siniavskij e richiuso in un ospedale psichiatrico per altri nove mesi.
Rilasciato nel luglio del 1966, venne ancora arrestato per aver
manifestato in favore di Ginzburg, Galanskov ed altri, e condannato a tre anni di colonia di lavoro correzionale. Rilasciato nel 1970, nuovamente
arrestato l'anno successivo e condannato a dodici anni, venne liberato nel
dicembre del 1976 in seguito allo scambio con il comunista cileno Corvalan. Bukovskij è tra gli ultimi autori ad inserirsi nella letteratura
nata all'ombra dei campi di concentramento sovietici. La pubblicazione di
Il vento va e poi ritorna ha fatto conoscere al mondo le sue doti eccezionali di scrittore.
La sua testimonianza è importante sia in senso documentario e letterario
sia per la ricostruzione delle circostanze in cui un giovane va maturando le ragioni della sua dissidenza: una lezione civile impartita al mondo
occidentale, schiavo di compromessi nell'ignorare fatti di sopraffazione e
di negazione della libertà.Denuncia di una dittatura nei suoi risvolti alienanti e mistificatori, il suo diario è anche storia del movimento dei
diritti umani sorto nell'URSS negli anni Sessanta e sviluppatosi
progressivamente: pur in carcere, pur in manicomio, Bukovskij è sempre presente come un simbolo con la sua radicale presa di
posizione, reazione estrema ad un'esperienza estrema.<<Una notte,
tardi, stavo tornandomene a casa. D'un tratto una macchina mi raggiunse. Alcuni giovanotti mi spinsero dentro e partimmo.
Viaggiammo per una mezz'ora circa.
Entrammo in un cortile, m'introdussero in una specie d'ufficio. Ero già stato fermato in precedenza, trattenuto per molte ore, e all'inizio non
mi stupii. Ma tranne i miei accompagnatori nel locale non c'era
nessuno. Mi portarono in una grande stanza senza finestre e priva di mobilio.
Non eravamo ancora entrati che un agente venuto dalla destra
all'improvviso mi colpì al volto. Un altro immediatamente cercò di colpirmi al plesso solare e di farmi cadere, ma io ero già all'erta e mi
scansai.
Balzai in un angolo, mi strinsi alla parete con la schiena, e con le mani e le braccia cercavo di ripararmi il viso e il basso ventre. Mi picchiarono a lungo, ad intermittenza, per
quattro ore. Uno mi afferrava per i capelli e mi tirava giù, cercando col ginocchio di colpirmi alla faccia.
Un altro mi percuoteva alla schiena, alle reni. Pensavo solo a non cadere, in quel caso mi avrebbero storpiato a calci. M'era difficile respirare, e la
testa era gonfia. Stanchi, presero riposo, mentre uno di loro si piegava verso di me e mi accarezzava la
guancia con un sorrisetto lascivo. E di nuovo si misero a picchiare. Erano le quattro del mattino quando mi spinsero in strada: 'non farti più vedere in piazza Majakovskij,
se non vuoi che ti uccidiamo', mi dissero.
Il mattino del 6 ottobre 1961 mi arrestarono. Mi svegliai all'improvviso con la sensazione che qualcuno mi guardasse fisso. Ai piedi del letto era il capitano del KGB Nikiforov. Come avesse fatto ad entrare nel
mio appartamento non lo so.
Giù all'ingresso attendeva una macchina che mi portò alla Malaja Lubianka>>. Vladimir Bukovskij è morto a settantasette anni a Cambridge, il 27 ottobre.
SPIRIDON/11
di Pino Clemente
L’epopea di Gilgamesh, tramandata in caratteri cuneiformi, è il reperto archeologico più antico
di ogni altra opera, incluse quelle di Omero. Gilgamesh è il re del regno di Uruk, Mesopotamia,
tra il Tigri e l’Eufrate. Su quell'epopea nascerà nel 1992 l’opera in due atti di Franco Battiato,
l'autore culturalmente più ispirato della produzione musicale nazionale: la vittoria sulla morte,
l’eredità di affetti, i Sepolcri di Foscolo, e le opere. “Ilio due volte raso e due risorto,
splendidamente nelle mute vie, per far più grande l’ultimo Trofeo ai fatati Pelidi”, nella
concezione agonistica degli Eroi.
Gilgamesh, Achille e Sigfrido furono i piedi veloci, imbattibili. Poetava Pindaro che la velocità
è un dono degli Dei, armonia tra gli arti, alternanza tra la maggiore e la minore tensione, nei
minimi e ripetuti strappi al cordone ombelicale della terra. Nella scrittura di Giacomo Leopardi
ci imbatteremo nella riflessione poetica"nella velocità c’è una stilla dell’infinito". Più di un
secolo dopo, nella visione immaginifica di
Gianni Brera, "la nostra impotente ansia di
volo".
Il poema di Gilgamesh, il re di Uruk, città
vicina al Golfo Persico, fu dunque scritto in
caratteri cuneiformi mille anni prima di ogni
altra opera a noi pervenuta. Si racconta di
questo Re saggio che sfidò Enkidu, un uomo
selvaggio e fortissimo che viveva allo stato
brado. Gilgamesh ascolta un consigliere astuto e, per indebolire l'avversario, assolda una donna
di piacere esperta indirizzandola nelle alture dove il selvaggio scorrazzava. Enkidu è subito
ammaliato e si lascia irretire: una settimana di amplessi, le gambe svuotate di testosterone sono
diventate molli, le ginocchia cedono, e non riesce a raggiungere e distanziare le gazzelle.
Nell’episodio, appare forse il primo esperimento sulla dibattuta questione dell’attività sessuale
in relazione all’agonismomaschile. A quanto appare, diversamente, le donne riceverebbero
dall’atto sessuale incentivi ormonali. Molte tra le più qualificate atlete, interpellate, non hanno
posto limiti “al prima e al dopo”.
Lo scontro fisico finale tra Gilgamesh e Enkidu si chiuderà senza vincitori né vinti. Quando i
due diverranno amici, l'uno fedele
all'altro, gli dei mal sopporteranno
l'eccesso di potenza, al punto di
insidiare la massima potestà del re,
raggiunto da Enkidu. Ne decideranno la
morte, che avverrà dopo dodici giorni di
lancinanti sofferenze. Causa definitiva
della morte di Enkidu, la vendetta nei
confronti di Gilgamesh, colpevole di
aver respinto le offerte amorose, con
garanzia d'immortalità, avanzate da Ishta, figlia di Anu, il massimo della potenza divina. E lo
stesso Gilgamesh, impegnato nell'edificare monumenti in onore del suo antico avversario, poi
divenuto grande tra gli amici, comprenderà come anche per un re il destino sarà identico.
SPIRIDON/12
« Due parole prima di tornare a lavorare
veramente in sede. Complimenti per come sono stati svolti i lavori. Ho notato la più completa apertura
nella discussione di ognuno ed ho visto che tutti hanno potuto esprimere le proprie idee. Questo al di
là di ogni benevola previsione.
Complimenti anche per il ritmo tenuto (ho visto qualcuno alla fine piegare le ginocchia, ma non l'ho
visto cedere). Nel periodo estivo sarete impegnati con gli atleti che rappresenteranno l'Italia nelle varie
nazionali e sarete i loro affiancatori diretti. Nel periodo invernale, iniziando fin d'ora, sarete chiamati a
tenere conversazioni teorico-pratiche ai Corsi Assistenti Tecnici e seminari a livello regionale. Voi
dovrete portare in periferia, con unità di idee ed intenti, tutto ciò che è scaturito dai Vostri incontri in
questi giorni. Deve essere per Voi un punto fisso questo concetto: sono le Società che formano la Fidal e
gli Allenatori Sociali che creano gli atleti. Per questo i contatti periferici devono obbligatoriamente
essere stretti e cordiali e svolti con umiltà perché da tutti si può sempre imparare. In sostanza, in
periferia, non devono più andare i santoni ma gente preparata a tutte le forme di collaborazione, con il
rispetto massimo delle entità e delle personalità esistenti in loco. Un vivo ringraziamento alla
Commissione femminile per l'entusiasmo dimostrato nello svolgere i lavori. L'attività femminile
richiede l'incondizionato credo e la passione di tutti. Ci proponiamo di portare questa branca
dell'Atletica, che è parte vitale della Federazione, ad un valido livello internazionale, e ciò richiede un
delicato, difficile, ma non impossibile lavoro. Ed è quello che ci aspettiamo da Voi. Nei Corsi regionali
dovrete insegnare l'a, b, c dell'Atletica perché è perfettamente inutile fare sfoggio di sapienza e di
eloquenza quando il compito a noi affidato è quello di porre le basi fondamentali dell'impostazione
tecnica senza fronzoli ma con più spirito pratico. In sostanza ai giovani Allenatori si deve insegnare
come si imposta un ragazzino e non come agisce tecnicamente un campione. Prima di arrivare
all'Università ho sempre visto frequentare le scuole elementari e poi i licei. I vostri rapporti con i
tecnici regionali devono essere strettissimi. Ѐ in studio la ristrutturazione completa del Regolamento
dei Tecnici che sarà reso noto quanto prima, appena avuta l'approvazione del Consiglio Federale. I vari
settori tecnici hanno proposto modifiche al programma dell'attività giovanile. Occorre andare avanti e
con una certa gradualità per non turbare la già generosa attività delle Società. Il nostro gruppo deve
essere mosso da intenti e passioni comuni, fra 10 anni in questa sala mi auguro di vedere 400 persone e
non 40 come ora. L'entusiasmo che avete portato qui trasmettetelo anche fuori, a tutti i livelli. Vorrei
vedere, ad ogni incontro internazionale, lo stesso spirito dimostrato dagli atleti, dai dirigenti, nelle
ultime due ore dell'incontro di Verona (n.r.: 16/17 agosto 1969, Italia-Cecoslovacchia-Gran Bretagna)).
Dopo aver parlato molto di tecnica, rammentate che ingredienti determinanti per la buona riuscita del
nostro lavoro sono anche il cuore e la psicologia. Gli atleti sono uomini e come tali devono essere
trattati. La presenza del Presidente Federale, del vice Presidente Casciotti e del Consigliere
Alcanterini sta a dimostrare la perfetta simbiosi fra l'apparato tecnico e quello dirigenziale. Io spero di
avere trovato qui quaranta amici, non solo miei, ma con lo stesso sentimento fra di loro. Auguro buon
anno a Voi, alle Vostre Società e all'Atletica Italiana.Roma, 19dicembre 1969, intervento di Marcello
Pagani, Direttore tecnico nazionale, nella riunione degli allenatori federali.
Roma, 24 settembre 1970. «Alla Presidenza Federale. Io sottoscritto rassegno le dimissioni dall'incarico
affidatomi non potendo difendere la mia dignità di professionista ed essendo impossibilitato, dopo gli
ultimi fatti, a continuare il mio lavoro con serietà in un ambiente che non potrebbe più rispettarmi. Con
molto rammarico» . Marcello Pagani.