la terapia del per-dono

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Edoardo Giusti - Barbara Corte

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Durante il percorso curatrivo in ambito delle relazioni d'aiuto si affrontano disagi e sofferenze di varia natura e in psicoterapia si attraversano spesso ricordi traumatici del passato che condizionano il presente. La correzione degli schemi relazionali disfunzinali e il superamento del rancore vissuto si realizza dopo l'espressione della rabbia. La cicatrizzazione sanatoria e definitiva delle ferite psichiche può avvenire soltanto con la dimensione emotiva del perdono che la ricerca scientifica ha evidenziato come indispensabile strumento terapeutico in questo testo.

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Edoardo Giusti - Barbara Corte

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al risentimento alla riconciliazione

Durante il percorso curativo in ambito delle relazionid’aiuto si affrontano disagi e sofferenze di varia natura

e in psicoterapia si attraversano spesso ricordi traumatici del passato che condizionano il presente.La correzione degli schemi relazionali disfunzionali

e il superamento del rancore vissuto si realizza dopol’espressione del dolore e della rabbia.

La cicatrizzazione sanatoria e definitiva delle ferite psichiche può avvenire soltanto con la dimensione

emotiva del perdono che la ricerca scientifica ha evidenziato come indispensabile strumento

terapeutico in questo testo.

Euro 29,00

Edoardo Giusti,Presidente dell’ASPIC e direttore della Scuola di specializzazione inPsicoterapia Integrata autorizzata con Decreto Ministeriale. È professorea contratto presso la Scuola di specializzazione in Psicologia Clinicadell’Università degli Studi di Padova. Svolge attività di ricerca clinica edi supervisione didattica per psicoterapeuti.

Barbara Corte,Psicologa, psicoterapeuta specializzata in psicoterapia pluralistica inte-grata presso l’ASPIC. Per diversi anni ha condotto gruppi terapeutici incomunità riabilitative. Svolge la sua attività privata a Roma.

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collana Psicoterapia & Counselingdiretta da Edoardo Giusti

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Centro Europeo di Ricercheper lo Studio delle Psicoterapie

Integrate e Comparate

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Sommario

Introduzione 9

Capitolo primo: La natura multidimensionale del perdono 131.1 Il perdono diventa scienza: il perdono in psicologia 131.2 Definizioni di perdono e dei principali

modelli nella letteratura psicologica 221.3 I fattori del perdono 321.4 La natura multidimensionale del perdono:

variabili biologiche, psicologiche e sociali 361.5 Perdono e ricerca: metodi e strumenti di studio 43

Capitolo secondo: Modelli evolutivi di sviluppo della capacità di perdonare 47

2.1 Le origini del rancore nelle prime relazioni affettive 472.2 Lo sviluppo della capacità di perdonare nel bambino 522.3 Le origini della capacità di perdonare nel processo

di strutturazione dell’Io e delle relazioni oggettuali 582.4 Applicazioni 61

Capitolo terzo: Perdono e processi interpersonali: gli aspetti relazionali del perdono 63

3.1 Il processo interpersonale del perdono: reazioni della vittima, dell’offensore e riconciliazione 64

3.2 Il perdono nella coppia 703.3 Il perdono nella famiglia 75

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Capitolo quarto: Emozioni e perdono: aspetti affettivi 854.1 Il rancore 904.2 Le emozioni positive contrapposte al rancore 1024.3 Le emozioni che facilitano l’esperienza del perdono 1074.4 La teoria della sostituzione emotiva 110

Capitolo quinto: Perdono e salute: aspetti fisiologici e psicopatologici 113

5.1 Perdonoecorpo:aspettifisiologici 1145.2 Perdono e salute mentale 123

Capitolo sesto: Perdono e personalità 1296.1 I Big Five: una cornice comune sulla personalità 1306.2 Panorama della letteratura teorica ed empirica

su perdono e personalità 1316.3 Attaccamento e perdono 1366.4 Altre variabili di personalità 1506.5 Caratteristiche di personalità e tendenza

a chiedere perdono 1606.6 Prospettive future e rilevanza clinica 163

Capitolo settimo: Perdono e psicopatologia 1677.1 Perdono e depressione 1677.2 Perdono e abuso di sostanze 1717.3 Perdono e disturbi d’ansia 1727.4 Perdono e disturbo post-traumatico da stress 1737.5 Perdono e disturbo paranoide di personalità 1787.6 Perdono e disturbo narcisistico di personalità 1827.7 Perdono e disturbo borderline di personalità 1877.8 Perdono e disturbo istrionico di personalità 197

Capitolo ottavo: Applicazioni cliniche: interventi per promuovere il perdono 199

8.1 Facilitare il perdono in psicoterapia individuale: il perdono intrapersonale 204

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8.1.1 Il modello processuale di Enright 2048.1.2 La terapia focalizzata sulle emozioni (EFT) 2058.1.3 Il modello REACH FORGIVENESS 210

8.2 Interventi per promuovere il perdono di sé in psicoterapia individuale 2188.2.1 Il perdono di sé nella psicosintesi 2268.2.2 Interventi focalizzati sulla compassione

per problemi di vergogna e autocondanna 2338.3 Il perdono interpersonale 242

8.3.1 Il perdono nella terapia di coppia e familiare 2428.3.2 Interventi per promuovere la riconciliazione 260

8.4 Il percorso per chiedere perdono senza umiliarsi 264

Appendice: Scala del perdono verso una specifica persona 271

Bibliografia 274

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Introduzione

Parlare di perdono in un momento storico come quello attuale può sembrare fuori luogo. La nostra cultura, impregnata di individuali-smo, guarda con sospetto al perdono: valori preponderanti come la ricerca di affermazione e potere, l’apparire a tutti i costi, il narcisismo dilagante possono essere considerati incompatibili o almeno difficil-mente conciliabili con il perdono e i valori di altruismo, compassione e amore, che esso implica.

I mass media inneggiano alla competizione, al successo, favoren-do sentimenti come l’invidia e il risentimento che ci fanno vedere il nostro prossimo come un ostacolo, qualcuno da cui stare in guardia, piuttosto che una risorsa. Perdonare può essere accomunato a “non farsi rispettare”, “subire”, o “darla vinta”, rimanendo indietro nella corsa verso il successo.

Per questo motivo un libro sul perdono può suscitare in alcune per-sone sentimenti di diffidenza e rifiuto, oppure si può correre il rischio di venire bollati di “buonismo” e venire messi da parte, relegati alla letteratura di stampo religioso.

Eppure il perdono è più che un precetto morale: negli ultimi anni numerose ricerche forniscono evidenze empiriche sul fatto che per-donare può costituire un’importante fonte di benessere psicofisico nell’individuo e una risposta efficace allo stress relazionale a cui spesso deve far fronte.

Perdonare è un modo per proteggersi dalla rabbia e dalle emozioni negative connesse alla percezione di aver subito un torto, è un modo per salvaguardare le relazioni significative importanti per il nostro benessere; soprattutto, il perdono di sé è uno strumento efficace per combattere l’autocritica implacabile che tortura moltissime persone, favorendo la depressione, atti di autolesionismo e dipendenze.

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Questo libro affronta il tema del perdono da una prospettiva nuo-va, psicologica, che lo libera dalle implicazioni religiose e morali per introdurlo nel campo della salute fisica e mentale. Il rancore infat-ti, considerato da molti il suo opposto, secondo alcune ricerche può essere considerato una “malattia”, che ha conseguenze negative sul corpo, sulle relazioni e sulla salute mentale in generale. Il perdono è qui inteso come un potente strumento psicoterapeutico in grado di restituire benessere alle persone liberandole dalle catene del rancore.

Un consistente numero di pazienti intraprendono una psicoterapia per sintomi direttamente connessi a ferite, traumi o violenze da parte di persone significative, spesso i genitori, familiari o il partner. An-che quando tali situazioni non sono presenti nella domanda iniziale, appaiono frequentemente nel corso della terapia, con il riemergere di ricordi traumatici non elaborati, gestalt incompiute che si ripetono e continuano a condizionare il presente. Tali situazioni traumatiche possono essere alla base della costruzione di schemi relazionali di-sfunzionali, modelli operativi interni insicuri che minano il sistema dell’attaccamento, rappresentazioni negative di sé e degli altri del tipo “io non sono Ok, tu non sei Ok” che possono costituire la base su cui si innesta la psicopatologia.

Il perdono in questi casi può aiutare ad elaborare i traumi del passa-to, chiudere le gestalt aperte, correggere gli schemi relazionali disfun-zionali fungendo da luogo di ridefinizione dell’identità individuale. Il perdono avviene nel presente, nel “qui ed ora”, ma ha un’azione ristrutturante anche sul passato, nel “lì e allora”, in quanto permette di costruire una nuova narrazione della propria vita, più funzionale allo sviluppo di un’identità positiva e di un concetto positivo degli altri; inoltre il perdono agisce sul futuro, permettendo esperienze nuove.

Il presente lavoro si rivolge in primo luogo ai professionisti delle relazioni di aiuto – psicologi, counselors e psicoterapeuti – per sen-sibilizzarli sul potere del perdono come strumento di benessere da integrare nella loro pratica; in secondo luogo alle persone che non riescono a perdonare o perdonarsi, per stimolarle ad intraprendere un percorso in tal senso.

Nel primo capitolo forniremo una descrizione delle varie defini-zioni di perdono e dei modelli presenti nella letteratura psicologi-ca; saranno prese in considerazione le diverse variabili (biologiche, psicologiche, relazionali, sociali) che intervengono nel processo del

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perdono e le loro relazioni reciproche. Il capitolo 2 prende in consi-derazione il perdono da un punto di vista evolutivo, approfondendo le esperienze alla base dell’origine del rancore nell’infanzia e i processi attraverso i quali si struttura la capacità di perdonare nel bambino.

Il capitolo 3 si focalizza sulla natura interpersonale del perdono, evidenziando le dinamiche tra vittima e offensore che intervengono nel processo, facilitandolo od ostacolandolo; inoltre si analizzeranno gli effetti del perdono in due specifici contesti relazionali: la famiglia e la coppia.

Il capitolo 4 mette in rilievo la dimensione emotiva del perdono; verrà approfondita l’esperienza emotiva del rancore e delle emozioni che lo compongono, inoltre verranno descritte le emozioni positive che intervengono nel perdono e la teoria della sostituzione emotiva.

Il capitolo 5 passa in rassegna le principali ricerche sul rapporto tra perdono e salute fisica e mentale, evidenziando gli effetti positivi del perdono sul benessere.

Nel capitolo 6 descriveremo i fattori di personalità che, insieme ai fattori situazionali e relazionali, intervengono nel processo del per-dono, con particolare attenzione ai cinque fattori individuati dal Big Five e allo stile di attaccamento.

Il capitolo 7 evidenzia il ruolo del rancore nella psicopatologia e la funzione terapeutica del perdono sui principali disturbi dell’asse I e sui disturbi di personalità. Infine, nel capitolo 8 evidenzieremo le applicazioni cliniche del perdono nella psicoterapia individuale, di gruppo e familiare, descrivendo i principali interventi finalizzati al perdono.

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Capitolo 1La natura multidimensionale del perdono

1.1 Il perdono diventa scienza: il perdono in psicologia

Il termine perdono deriva dal verbo latino medievale perdonare che ha origine dal latino classico condonare (dare in dono, rimettere, graziare, abbandonare) con cambio di prefisso e come forma raffor-zativa (Zingarelli, 1970). In italiano “perdonare” assume il significato di «assolvere qualcuno dalla colpa commessa, condonare a qualcuno l’errore o il fallo compiuto, trattare con indulgenza e comprensione, scusare, concedere il perdono» (Zingarelli, 1971) o, in una definizione più recente «non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, ri-nunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi possibile rivalsa, e annullando in sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno» (www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/consultazione.htm); il “perdono” è definito come «la remissione di una colpa e del relativo castigo» o «remissione dei peccati, indulgenza concessa dalla chiesa» (Zingarelli, 1971) e più recentemente come «atto di umanità e generosità che induce all’annullamento di qualsiasi desiderio di ven-detta, di rivalsa, di punizione» (Devoto & Oli, 1987).

Come si intuisce da queste definizioni, l’interesse per il perdono per secoli è stato relegato all’ambito religioso (Rye et al., 2000): la maggior parte delle grandi religioni monoteiste comprende insegna-menti sulla natura del perdono e sul suo valore; in particolare, la re-ligione cristiana fa del perdono uno dei suoi precetti fondamentali, rivestendolo di una dimensione trascendentale. Il cristianesimo è defi-nito la religione del perdono, le esortazioni al perdono sono ricorrenti nei Vangeli; nel Nuovo Testamento il concetto di perdono è espresso da due parole greche con significati diversi: la prima, aphiemi, ha il

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significato di perdono in senso assoluto, di perdono dei peccati, delle colpe, delle trasgressioni; nella maggioranza dei casi conserva anche il suo significato originario di lasciare, lasciare andare, mettere in li-bertà, mandare via, abbandonare, lasciare dietro a sé. Indica inoltre il rimettere i debiti, i peccati, lasciare cadere, abbandonare lo sdegno, dimenticare; la sua espressione più significativa è nel Padre Nostro. Nel Nuovo Testamento aphiemi è usato 142 volte e nel Vangelo di Matteo ben 47 volte. La seconda parola greca è hilaskomai che ha valore di espiare, conciliare se stessi, placare il Dio irato, rendere be-nevolo, e misericordioso (Berry, 1976). Il perdono viene esercitato da Gesù nelle varie fasi della sua vita, fino alle parole pronunciate sulla croce («Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» Luca 23, 34).

Dalla prospettiva teologica il perdono umano non è una disposi-zione della personalità o un’attitudine psicologica acquisita, ma un riflesso del perdono di Dio e solo in relazione alla divinità può essere spiegato (Rubio, 1986). La capacità di perdonare è considerata nelle religioni monoteiste prerogativa di Dio; nella religione ebraica Dio è “Colui che perdona”; nella religione islamica il potere di perdonare è fondato su Allah, infatti uno dei suoi novantanove attributi è quello di essere Al-Gafoor (Colui che perdona); nella religione cristiana il perdono è al centro degli insegnamenti di Gesù, inoltre le Sacre Scrit-ture collegano costantemente il perdono umano a quello divino: il credente perdona perché Dio lo ha perdonato e affinché possa essere perdonato da Dio (Giulianini, 2005; Regalia & Paleari, 2008).

Una seconda caratteristica del perdono da una prospettiva religiosa è il riferimento al contesto del peccato e della malvagità (Sobrino, 1986): il ruolo del perdono è quello di liberare il peccatore dal male, nella speranza di convertirlo e trasformarlo attraverso il potere dell’amore; la tradizione cristiana in particolare sottolinea il bisogno universale del perdono per tutta l’umanità a causa del peccato originale.

Inoltre il perdono cristiano è strettamente legato alla penitenza, in greco metamelomai (avere rimorso, rimpianto e pentimento, cam-biare opinione e giudizio su qualcuno) e metanoeo (cambiare menta-lità, mutare pensiero, convertirsi), mentre nella tradizione ebraica il perdono è strettamente connesso al pentimento: la vittima è obbliga-ta a perdonare, ma solo quando l’offensore ha compiuto il percorso di “ritorno” (teshuvah) dal male verso il bene, che comporta diversi

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passaggi sia a livello personale che a livello pubblico, che vanno dal riconoscimento e pentimento per il proprio errore a una pubblica con-fessione dei peccati, fino alla correzione dell’atto, ossia alla dimostra-zione di essere cambiati e non ricadere nello stesso errore (Regalia & Paleari, 2008).

In conclusione, le grandi religioni monoteiste danno importanza al perdono come fattore di riparazione e salvaguardia dei legami con Dio: l’uomo ha bisogno di essere perdonato da Dio ed è chiamato a perdonare gli altri, anche se le modalità necessarie per dare ed otte-nere perdono possono variare nei differenti sistemi religiosi e inoltre non viene trattato in modo esplicito il modo in cui le persone riescono ad arrivare al perdono. È questo lo spazio entro cui il discorso psico-logico si situa.

L’attenzione della psicologia al tema del perdono è piuttosto re-cente: la letteratura psicologica per lungo tempo non si è interessata al perdono, forse per il pregiudizio che lo vedeva inestricabilmente con-nesso a tematiche spirituali e morali, e di conseguenza competenza esclusiva della religione o della filosofia. La prospettiva psicologica spoglia il perdono dalle implicazioni morali e dal rapporto con la divi-nità, spostando il focus sulla salute e sul benessere dell’individuo.

Gli studi scientifici sul tema iniziano a metà degli anni ’80, dopo la pubblicazione del libro Forgive and forget: healing the hurts we don’t deserve di Lewis Smedes (1984), in cui l’autore, un teologo, sostiene la tesi che perdonare apporta benefici alla salute mentale e al benesse-re. Le considerazioni di Smedes stimolano l’interesse scientifico, che investe vari ambiti della psicologia: la psicologia evolutiva si interes-sa del processo di sviluppo del perdono nel bambino, la psicologia della personalità dello studio dei tratti che favoriscono il perdono, la psicologia sociale prende in esame il ruolo del perdono nelle intera-zioni sociali, la psicologia della salute osserva gli effetti del perdono sul benessere fisico e mentale.

Il messaggio di Smedes viene accolto in particolare dagli psicote-rapeuti, che iniziano ad elaborare modelli atti a promuovere il perdo-no per risolvere problemi legati alla rabbia cronica, alla depressione e a traumi irrisolti. La terapia di coppia e familiare diventano laboratori naturali per lo studio del perdono.

Negli ultimi quindici anni si è assistito ad un forte incremento del-la letteratura sul perdono da una varietà di prospettive psicologiche.

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Gli studi per la comprensione del perdono all’interno della cor-nice psicologica iniziano con il lavoro di Enright e colleghi, che lo definiscono come segue: «il perdono è il superamento degli affetti e dei giudizi negativi verso l’offensore, non perché la vittima si nega il diritto a tali sentimenti o giudizi, quanto piuttosto perché si sfor-za di considerare l’offensore con benevolenza, compassione e persi-no amore, pur riconoscendo che quest’ultimo non ne ha più diritto» (Enright & The Human Development Study Group, 1991, p 126). I punti principali di questa prima definizione in ambito psicologico, che fornisce coordinate importanti per definizioni successive, sono i seguenti: a) chi perdona ha ricevuto una ferita e provato risentimento per questo; b) la vittima ha diritto di sentirsi risentito, nonostante ciò abbandona il risentimento e i sentimenti negativi; c) la vittima svilup-pa una nuova risposta verso l’altro che include compassione e amore; d) questa nuova risposta scaturisce anche se c’è la consapevolezza che non è obbligatoria. Inoltre Enright mette in evidenza che il per-dono coinvolge il sistema affettivo, conoscitivo e comportamentale: perdonare implica l’assenza di sentimenti, pensieri e comportamenti negativi verso l’offensore e la presenza di sentimenti, pensieri e com-portamenti positivi.

A questa prima definizione se ne sono aggiunte altre, che metto-no in rilievo diversi aspetti del fenomeno, tanto che ancora non esi-ste una definizione condivisa. Gorsuch e Hao (1993) sostengono che una definizione completa del perdono dovrebbe integrare non solo le componenti conoscitive, affettive e del comportamento, ma anche le funzioni motivazionali, spirituali, religiose e decisionali. Pingleton (1989) condivide l’enfasi sulla dimensione spirituale del perdono e sulla volontà. Gartner (1988) definisce il perdono maturo dalla pro-spettiva delle relazioni oggettuali, come una visione realistica inte-grata che contiene sia gli aspetti buoni sia quelli cattivi di sé e degli altri.

Worthington e Wade (1999) definiscono il perdono in relazione al rancore (traduciamo con rancore il termine inglese unforgiveness): secondo gli autori il rancore è «un’emozione fredda che include il risentimento, l’amarezza, l’odio insieme con la motivazione a evitare l’offensore o vendicarsi. Al contrario il perdono è una scelta interna alla vittima (inconscia o deliberata) di rinunciare al rancore e, se è possibile e prudente, cercare una riconciliazione con l’offensore» (p.

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386). Canale (1990) considera il perdono un agente terapeutico e sot-tolinea la dimensione cognitiva del perdono, che permette una ristrut-turazione dei significati a cui segue una ristrutturazione emotiva.

Denton & Martin (1998), in uno studio su un campione di psico-terapeuti esperti, affermano che i clinici definiscono il perdono come «un processo interno, centrale per la psicoterapia, in cui la persona in-giuriata, senza la richiesta dell’altro abbandona i sentimenti negativi e smette di desiderare di restituire il danno; questo processo comporta benefici fisici, fisiologici ed emotivi» (p. 290).

Il perdono è ulteriormente descritto nella letteratura psicologica come: un intervento terapeutico potente e come un’esercitazione in-tellettuale in cui il paziente prende la decisione di perdonare (Fitz-gibbons, 1986); un atto volontario, una decisione e una scelta (Hope, 1987); un lasciare andare i sentimenti negativi legati al torto subito (DiBlasio, 1998); il riacquisire padronanza su una situazione perico-losa, che ha generato una ferita (Flanigan, 1992).

Già da queste prime definizioni si evidenziano sia gli aspetti in-trapsichici (“processo interno”), sia quelli interpersonali (“cercare una riconciliazione con l’offensore”) del perdono; nel prossimo pa-ragrafo forniremo una rassegna più completa delle varie definizioni e dei diversi aspetti che vengono messi in risalto.

Oggi il tema del perdono riveste un ruolo centrale in ambito psico-logico e psicoterapeutico, in quanto il perdono può essere considera-to come «luogo della ridefinizione dell’identità individuale» (Aletti, 2005, p 7). Perdonare permette di ristrutturare la realtà, di ridefinire sé, l’altro e le relazioni; consente il passaggio da significati drammatici, umilianti, a significati nuovi, più costruttivi, funzionali all’equilibrio psichico e al benessere. Il valore innovativo e la funzione liberatoria del perdono aprono ad una relazione rinnovata e svolgono una fun-zione trasformativa per la personalità, che comprende al suo interno l’accettazione della propria e altrui possibilità di sbagliare.

L’essere umano, come lo definiva Aristotele, è un animale sociale, per cui necessariamente si trova a coltivare relazioni e non c’è rela-zione che potenzialmente non contenga la possibilità del tradimento. La fiducia ha in sé il germe del tradimento e il tradimento ha in sé il seme del perdono (Hillman, 1973).

Secondo Hillman il tradimento non è un evento di per sé negativo ma un momento di crescita che permette di uscire dalla “fiducia pri-

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maria”, quello stato di sicurezza che ritroviamo nell’immagine arche-tipica dell’Eden, nel rapporto madre-figlio, o nel concetto di logos, in cui la fiducia è basata sulla parola e non sulla carne. Lo stato di fiducia primaria è quello del Puer Aeternus, una condizione infantile che non permette evoluzione; perché i rapporti evolvano e si possa accedere al mondo della responsabilità è necessaria una crisi, una rottura; in-fatti secondo l’autore «se saltiamo dove ci sono sempre braccia per riceverci il nostro non è un vero salto» (p. 89), in altre parole non è possibile vivere o amare solo quando ci si può fidare ciecamente, quando non c’è la possibilità di venire abbandonati o rifiutati. An-che nel simbolismo cristiano, il messaggio di amore di Gesù riesce a trovare la sua forza solo con il tradimento e la crocifissione; solo in quel momento infatti Gesù diventa pienamente umano, col fianco trapassato da cui sgorgano acqua e sangue, simboli della vita, del sen-timento e dell’emozione. L’uomo nasce quando si spezza la fiducia primaria e il puer muore; in quel momento padre e figlio non sono più una cosa sola. Superare il dolore del tradimento e perdonare può costituire l’iniziazione ad una nuova coscienza del reale ma a volte ciò non avviene e si rimane fissati nel trauma, pieni di risentimento e desiderio di vendetta. Hillman elenca alcuni meccanismi di difesa che ostacolano il perdono che elenchiamo di seguito.

1) La negazione: se in un rapporto veniamo abbandonati o traditi siamo tentati di negare il valore dell’altra persona, sostituendo l’iniziale idealizzazione con una svalutazione e continuando a vivere in una realtà parziale.

2) Il cinismo: la delusione può portare non solo alla negazione del valore della persona o della relazione in causa ma può essere estesa all’amore in generale; in questo caso i frantumi dell’ide-alismo vengono utilizzati per costruire una corazza di cinismo, che costituisce un tradimento ai propri sentimenti ed ideali.

3) Il tradimento di sé: quando vengono tradite parti estremamente intime e profonde di sé si può correre il rischio di svalutarne il valore, riducendole a meccanismi impersonali

4) La distorsione paranoide: la possibilità del tradimento in questo caso viene respinta, esclusa, ricercando continuamente dichia-razioni di fedeltà eterna, giuramenti e prove di devozione e co-struendo rapporti falsati, appartenenti più alla sfera del potere che dell’amore e della fiducia.

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Il perdono permette al tradimento di diventare elemento di cresci-ta, trasformando il “sale dell’amarezza” nel “sale della saggezza” e permettendo la riconciliazione con la vita.

Secondo Hillman il perdono non viene dall’Io, che è reso vitale dall’amor proprio, dall’orgoglio e dall’onore, ma dal Sé; il passag-gio attraverso i vari stadi, dalla fiducia incondizionata (inconscia e pre-anima) al tradimento (morte del puer) e al perdono, porta ad uno sviluppo del conscio e all’integrazione della propria natura; anche secondo Gartner (1988) il perdono maturo prevede un’integrazione realistica degli aspetti positivi e negativi di sé e degli altri.

Da una prospettiva psicologica il perdono è considerato un atto complesso, che coinvolge la dimensione cognitiva, emotivo-affettiva, comportamentale, sociale e interpersonale; lo studio del perdono deve pertanto considerare questi aspetti e le loro relazioni reciproche.

Il termine “per-dono” (in inglese “for-give”, in francese “par-don”, in spagnolo “per-dòn”) in molte lingue è connesso alla parola “do-nare”: ciò evidenzia la potenzialità creativa del perdono, che regala all’offensore e all’offeso un senso nuovo, una verità più profonda, un sovrappiù di amore gratuito, non aspettato né dovuto. L’importanza dell’aspetto connesso al donare è confermata da una ricerca di Wor-thington (2001), che mette a confronto due tipi di procedimenti, uno basato sulla prospettiva di ottenere dal perdono un beneficio persona-le, il secondo focalizzato sull’altruismo, sull’empatia con il colpevole e con il suo bisogno di essere perdonato. Il gruppo che partecipa al programma per raggiungere un beneficio personale ottiene risultati positivi immediati (da un trattamento di 1 ora), ma il livello di perdo-no raggiunto è modesto e non cresce aumentando le ore di trattamento; il gruppo che intende perdonare per il beneficio dell’offensore ricava invece scarsi risultati da trattamenti della durata di 1 ora, mentre il li-vello di perdono aumenta quasi cinque volte di più in 8 ore, arrivando a livelli superiori di circa tre volte rispetto al primo gruppo; inoltre, 6 settimane dopo, la capacità di perdonare del primo gruppo si dimezza mentre nel secondo gruppo rimane costante. L’autore conclude che perdonare porta dei benefici, ma se si perdona al solo scopo di otte-nere un benessere interiore si riesce a guadagnare solo una piccola parte di questi benefici, mentre se il perdono viene concepito come un dono ad un altro, paradossalmente i benefici aumentano. Secondo Worthington (2001) il perdono è come l’aria: se cerchiamo di affer-

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rarla nel pugno ci sfugge ma se ispiriamo ed espiriamo profondamen-te ci riforniamo di ossigeno e scaldiamo chi ci è vicino; allo stesso modo, se cerchiamo di afferrare i benefici del perdono per vantaggio personale contaminaremo la pienezza di tali benefici e ne ricaveremo una loro versione svilita, mentre se cerchiamo di fare con il nostro perdono bene ad altri verremo anche noi investiti da questo bene.

Nel linguaggio comune il concetto di perdono viene spesso frainte-so, banalizzato, considerato sinonimo di vocaboli come “clemenza”, “condono”, “scuse”, “riconciliazione”, oppure confuso con il “perdo-nismo”, vale a dire l’atteggiamento di chi è contrario a correggere e a punire, ed è invece favorevole a lasciar correre, sia sul piano morale e sociale che giudiziario (Giulianini, 2005).

Per definire il concetto di perdono ci sembra importante approfon-dire le sue relazioni con tre concetti collegati: la memoria dell’offesa, la riconciliazione e la giustizia.

Per quanto riguarda il primo concetto, il perdono si differenzia dall’oblio: perdonare non vuol dire dimenticare l’offesa, anzi soltanto ricordando si può perdonare; il perdono aiuta a guarire la ferita lega-ta all’offesa, il suo ricordo diviene meno presente e ossessivo e non provoca più dolore. Kancyper (2007) distingue la “memoria del do-lore” dalla “memoria del rancore”: la prima ammette il passato come esperienza e non come zavorra, non esige la rinuncia al dolore e opera come un segnale di allarme che previene il ripetersi di esperienze negative, aprendo ad un cambiamento e ad una trasformazione; la seconda comporta la «compulsione ripetitiva ed insaziabile del po-tere vendicativo», intrappola il soggetto «nell’immobilizzazione del risentimento di un passato che non può accettare,… che annulla le dimensioni temporali del presente e del futuro» (Kancyper, 2007, p. 226). Secondo l’autore solo il lento ed intricato lavoro di elaborazio-ne del risentimento rende possibile l’elaborazione del lutto, per poter effettuare il passaggio dalla memoria del rancore alla memoria del dolore, in modo che il soggetto possa abbandonare la sua posizione di vittima innocente che esige e castiga, condizionata da un passato che non può dimenticare, e riuscire a costruire la sua storia come soggetto attivo e responsabile (Kancyper, 2007).

Il perdono inoltre non va confuso con la riconciliazione, in quanto il primo connota lo stato interno dell’individuo offeso, mentre per riconciliazione si intende l’esito di una serie di scambi interattivi tra

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vittima e responsabile dell’offesa grazie ai quali i due arrivano, attra-verso uno sforzo comune, a ricomporre la relazione (Scabini, 2000). Non sempre l’atto del perdonare conduce a ristabilire rapporti con l’offensore. A volte l’offensore è deceduto, è sconosciuto o non inte-ressato alla riconciliazione; in tali casi il perdono rimane un processo interno alla vittima. In altri casi, come per esempio quando l’offesa riguarda violenze o abusi che si potrebbero ripetere, non è auspicabile che la vittima ricostruisca una relazione con l’offensore per la propria salvaguardia. Altre volte la riconciliazione avviene anche se la vittima non ha perdonato veramente l’offensore, come succede nei rapporti di dipendenza, in cui si perdona per evitare il conflitto e la separazione, o nei rapporti utilitaristici, quando è necessario collaborare per un fine comune ed evitare lo scontro. In ogni caso, la riconconciliazione può essere una conseguenza non necessaria al perdono e consiste in una rinegoziazione del rapporto su nuove basi.

Un altro fraintendimento comune è quello che contrappone il per-dono alla giustizia, attraverso la considerazione erronea che perdo-nare equivalga a rinunciare ai propri diritti. In realtà il perdono si contrappone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia. La giusti-zia ha il compito di ristabilire su basi oggettive i diritti della persona lesa, il perdono è un atto di benevolenza gratuita, che non implica la rinuncia all’applicazione della giustizia, piuttosto spoglia quest’ulti-ma dalle distorsioni derivanti dall’odio, dal rancore e dal desiderio di vendetta.

Altri pregiudizi comuni sul perdono riguardano la paura di mostra-re una debolezza perdonando e la necessità di tenere sempre in mente l’offesa per stare in guardia ed evitare che si possano ripresentare situazioni simili nel futuro; in realtà tale atteggiamento difensivo è poco efficace e può produrre problemi interpersonali.

Per comprendere meglio il concetto di perdono è opportuno para-gonarlo al rancore, parola che etimologicamente evoca richiesta la-mentosa (da rancor) e rancidità, odore acre e disgustoso (da rancidus) e che si usa per indicare un risentimento reiterato, covato tenacemente in seguito ad un torto o ad un’offesa. La vittima di un torto tende a rimuginare, ad elaborare piani e strategie di vendetta o rivalsa, a reiterare pensieri ed emozioni negative che vengono sperimentate di nuovo in maniera vivida, come se il danno fosse attuale, che lasciano in bocca un sapore velenoso, acidulo, rancido. Il rancore è un’espe-

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rienza complessa, che non si riduce a semplice rabbia, ma diventa un sentimento persistente, serbatoio continuo per la rappresentazione del soggetto e del suo mondo e fonte motivazionale per le azioni future; la realtà del soggetto sembra immobilizzarsi e coagularsi intorno a fantasie di vendetta e pensieri ricorrenti a sfondo negativo. Il rancore presuppone al suo interno uno sviluppo temporale, una sequenza che parte da una ferita che non si può elaborare, per arrivare, attraverso la rimuginazione, ad un vissuto cronico, che si ripercuote sulla dimen-sione fisiologica, intrapsichica e interpersonale del soggetto (vedi par 4.1). Il perdono può essere inteso come la fine della rimuginazione, la liberazione dalle catene del rancore, inoltre esso comporta la so-stituzione delle emozioni negative nei confronti dell’offensore con emozioni più positive, di empatia, benevolenza, compassione.

Le riflessioni presentate in questo paragrafo forniscono delle co-ordinate generali, all’interno delle quali inscrivere il concetto di per-dono. Nei paragrafi successivi proporremo una rilettura sintetica delle definizioni di perdono presenti nella letteratura psicologica e ci sof-fermeremo su alcuni dei modelli più completi.

1.2 Definizioni di perdono e principali modelli nella letteratura psicologica

Il perdono è un costrutto multidimensionale, che interessa l’uomo nella sua totalità abbracciandone gli aspetti biologici (Worthington, 2006), cognitivi (Flanigan, 1992), decisionali (DiBlasio, 1998), mo-tivazionali ((McCullought, Worthington & Rachal, 1997), affettivo-emotivi (Malcom & Greenberg, 2000), comportamentali (Gordon, Baucom & Snyder, 2000) e interpersonali (Baumeister, Exline & Sommer, 1998). Nella sua complessità, tale concetto si pone come punto di intersezione tra variabili individuali, ambientali e sociali; un modello completo del perdono deve quindi considerare sia i fattori interni all’individuo (intrapsichici, legati alle caratteristiche di perso-nalità) sia quelli esterni (interpersonali, situazionali, sociali, culturali, religiosi), cogliendoli nella loro circolarità.

A seconda delle dimensioni su cui i vari studiosi pongono l’ac-cento, troviamo diverse definizioni di perdono in psicologia e diversi modelli teorici.

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Tra i modelli che privilegiano gli aspetti interni, intrapersonali del perdono si colloca il modello processuale cognitivo-affettivo-com-portamentale di Enright, uno tra i primi contributi alla nuova scienza del perdono.

L’apporto di Enright coglie la complessità del concetto, prenden-do in considerazione il sistema affettivo, cognitivo e comportamen-tale (Enright & Fitzgibbons, 2000): egli intende il perdono come un processo che comporta la sostituzione di pensieri, emozioni, compor-tamenti negativi verso l’offensore, con pensieri, emozioni, compor-tamenti positivi, non perché la vittima nega a se stessa il diritto di formulare tali giudizi o di provare tali sentimenti, quanto perché si sforza di considerare l’offensore con benevolenza e amore (Enright, Gassin & Wu, 1992).

Il perdono per Enright non può essere ricondotto ad un singolo atto, ma è l’esito di un faticoso processo che comporta uno sforzo volontario e che si colloca in un periodo di tempo più o meno lungo; l’autore elabora un modello processuale in cui descrive le strategie interne di ordine emotivo, cognitivo, comportamentale per attenuare la sofferenza relativa all’offesa e intraprendere il percorso che condu-ce al perdono (vedi cap 8). Secondo Enright un atto offensivo susci-ta nella vittima una serie di reazioni emotive negative, come rabbia, insicurezza, vergogna e dei pensieri ossessivi ricorrenti riguardanti l’offesa, che provocano sofferenza psichica. Quando il soggetto di-venta consapevole di tale sofferenza avverte il bisogno di attenuarla o perseguendo la via della giustizia (appellandosi alla legge o facendosi giustizia da sé) o quella della clemenza (che va dalla rinuncia a punire l’offensore al perdono). Secondo l’autore la motivazione al perdono è condizionata da sette categorie di variabili: lo stadio cognitivo del soggetto, il suo background culturale, l’influenza dei gruppi sociali a cui appartiene (famiglia, amici), che possono incoraggiarlo o meno a perdonare, la sua educazione etica e religiosa, il tempo trascorso da quando ha ricevuto l’offesa, il grado di sofferenza procurato e infine la conversione, intesa come un cambiamento intuitivo che conduce al perdono. Una volta presa la decisione di perdonare, momento diverso dal perdono vero e proprio, l’individuo metterà in atto strategie affet-tive e cognitive (es. provare empatia per l’offensore, reinterpretare cognitivamente l’accaduto) che lo condurranno al perdono (Enright & The Human Development Study Group, 1991)

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Enright analizza il perdono anche da un’ottica evolutivo-cognitiva e, facendo riferimento al modello di sviluppo morale di Kohlberg (Kohlberg, 1984), descrive l’evoluzione della capacità di perdonare in relazione all’evoluzione del pensiero e della complessità del ragio-namento (vedi cap. 2). Uno dei limiti di questo modello è il non aver conciliato la teoria clinica con la ricerca di base.

McCullought e collaboratori pongono l’accento sulla componen-te motivazionale descrivendo il perdono come «un reindirizzamento delle motivazioni negative accompagnato da un incremento delle mo-tivazioni positive verso il trasgressore» (McCullought, Worthington & Rachal, 1997). Più in dettaglio gli autori definiscono il perdono come «un insieme di cambiamenti motivazionali», per cui il soggetto a) diminuisce la motivazione a ricambiare l’offesa subita b) diminui-sce la motivazione a mantenere un distacco dall’offensore c) accresce la motivazione alla riconciliazione e la benevolenza verso l’offenso-re, nonostante i suoi comportamenti gli abbiano causato sofferenza (McCullought, Worthington & Rachal, 1997). Gli autori ipotizzano che tali cambiamenti motivazionali siano promossi dalle capacità em-patiche dell’individuo.

McCullough, Fincham & Tsang (2003) elaborano un modello processuale del perdono che prende in considerazione la dimensione temporale. Secondo gli autori, non tutte le persone rispondono con lo stesso livello di motivazioni negative in seguito ad uno stesso evento fonte di offesa; la differenza nelle reazioni di partenza viene denomi-nata “tolleranza” (forbearance). Inoltre, anche le persone che hanno lo stesso livello di tolleranza possono avere una diversa velocità di decremento delle motivazioni negative; ciò può dipendere dall’in-fluenza di eventi positivi o negativi, o semplicemente da cambiamenti nella valutazione dell’offesa o delle circostanze relative.

Altri autori sottolineano gli aspetti cognitivi del perdono (Thom-pson et al., 2005). Gordon, Baucom e Snyder (2000; 2004; 2005) ritengono il perdono necessario quando una struttura cognitiva, che coinvolge pensieri, credenze, valori e percezioni, viene danneggia-ta. In seguito all’offesa, la vittima può sviluppare una serie di cre-denze irrazionali o disfunzionali e generalizzarle ad altre situazioni; in questo caso può essere efficace una terapia cognitiva per aiutare la persona a modificare le proprie assunzioni ed aspettative. Thom-pson e colleghi (Thompson et al., 2005) descrivono il perdono come

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il processo per cui la percezione di un’offesa, o dell’offensore, viene trasformata da negativa a neutra o positiva. La fonte dell’offesa può essere il soggetto stesso, altre persone o una situazione fuori da ogni controllo (per es. una calamità naturale o una malattia).

DiBlasio (1998) sottolinea l’importanza dell’aspetto decisionale (decision-based forgiveness) definendo il perdono come un cambia-mento cognitivo volontario che comporta la rinuncia al risentimento e al desiderio di vendetta verso l’offensore. L’autore considera il per-dono alla stregua di un “lasciar perdere”, che non sempre segna la fine del dolore e del sentimento di essere stati feriti. Il perdono decisionale è basato sulla logica razionale e sulla volontà. È una decisione che richiede forza di volontà e autocontrollo, senza che avvenga necessa-riamente un cambiamento a livello emotivo.

Malcom e Greenberg (2000) pongono invece l’enfasi sulle trasfor-mazioni emotive che intervengono nell’esperienza del perdono, fa-cendo riferimento alla terapia focalizzata sulle emozioni e alla teoria dell’attaccamento (Emotion-centred model). Gli autori individuano cinque componenti necessarie all’esperienza del perdono: 1) accet-tare la consapevolezza della rabbia e della tristezza; 2) riconoscere bisogni relazionali non ammessi in precedenza; 3) un cambiamento nel modo di vedere l’offensore; 4) lo sviluppo di empatia verso l’of-fensore; 5) la costruzione di una nuova narrazione di sé e dell’altro.

Tale modello considera i fattori emotivi come il motore per suc-cessivi cambiamenti cognitivi; secondo gli autori, la trasformazione è possibile solo grazie ad un insight emotivo, che comporta, successi-vamente, anche un mutamento degli stili cognitivi e un nuovo modo di vedere l’altra persona.

McCullough, Sandage e Worthington (1997) sviluppano un mo-dello del perdono centrato sull’empatia verso l’offensore. Gli au-tori ritengono l’empatia un fattore necessario ma non sufficiente al perdono. Nella loro analisi ipotizzano che il perdono e l’altruismo siano strettamente connessi, in quanto entrambi legati all’empatia e ritengono quest’ultima un elemento essenziale sia nel comportamen-to prosociale, in quanto favorisce la preoccupazione e il prendersi cura degli altri attraverso comportamenti altruistici, sia nel processo del perdono, in quanto permette alla vittima di comprendere ed in-teressarsi ai sentimenti dell’offensore e comprendere il suo punto di vista.

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Worthington e Wade (1999) condividono l’enfasi sull’aspetto emotivo-motivazionale (emotional juxtaposition hypothesis). Wor-thington (2003) distingue due tipi di perdono: un perdono decisiona-le, che comporta un cambiamento nelle intenzioni comportamentali della persona e nelle sue motivazioni, e un perdono emozionale che consiste in una sostituzione delle emozioni negative con emozioni po-sitive orientate verso l’altro. Secondo l’autore, inizialmente le emo-zioni positive si affiancano alle emozioni negative e le neutralizzano; in seguito, quando le emozioni negative sono eliminate, possono es-sere costruite nuove emozioni positive, in un processo circolare. Inol-tre, Worthington individua diverse tipologie di personalità a seconda degli atteggiamenti verso il perdono.

Parte della letteratura psicologica di stampo cattolico individua nella rinuncia alla vendetta uno dei tratti distintivi del perdono. A que-sto proposito, Pingleton (1989) afferma che il perdono si contrappone alla legge del taglione, ossia alla propensione naturale degli esseri umani di vendicare e punire il dolore sofferto ad opera di un altro. Pertanto, il perdono può essere concepito come l’antitesi della reazio-ne naturale e prevedibile dell’individuo alla violenza e alla sopraffa-zione: mentre la vendetta può aiutare a diminuire la tensione interna ma non cancella la memoria affettiva della ferita, il perdono è un atto attraverso il quale l’individuo si rende più autonomo liberandosi dal nemico interno.

In questo senso, il perdono viene concepito come una liberazione, in quanto l’odio, a volte più dell’amore, può creare legami di dipen-denza difficili da recidere (Stickler, 1995); il perdono invece libera dalle esigenze nei confronti dell’altro favorendo l’autonomia. Questa definizione coglie l’aspetto dinamico, originale e creativo del perdo-no, che trasforma gli individui liberandoli dalle catene del passato, rappresentando un’innovazione nei confronti della logica ripetitiva della giustizia vendicatrice; il perdono, in quest’ottica, è un atto che non si limita a re-agire ma che agisce in maniera nuova e inaspettata, liberando sia colui che perdona, sia colui che è perdonato, agendo dunque, dal punto di vista interpersonale, come doppia liberazione: da una parte l’offeso liberato dal suo rancore, dall’altra l’offensore non più identificato con la sua azione.

Altri teorici (Augsburger, 1996), clinici (Hargrave & Sells, 1997) e ricercatori (Baumeister, Exline & Sommer, 1998; Exline & Baumei-

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ster, 2000; Finkel, Rusbult, Kumashiro & Hannon, 2002) enfatizzano gli aspetti interpersonali del perdono ponendo l’accento sulle dinami-che intersoggettive che fanno da sfondo al processo e sulle complesse trasformazioni emotive che fungono da regolatori delle emozioni sia per l’offensore, sia per la vittima (Berry & Worthington, 2001; Wit-vliet et al., 2001).

Tra questi, Baumeister, Exline & Sommer (1998) distinguono una componente intrapersonale del perdono, la quale riflette la presenza o meno di un perdono interno, e una componente interpersonale, che coinvolge l’espressione del perdono all’offensore. Dalle interazioni tra le differenti componenti si possono ottenere quattro possibilità: il non perdono, quando è assente sia la componente intrapersonale che quella interpersonale; il perdono silenzioso, quando è presente l’aspetto interno ma il perdono non viene comunicato apertamente; il falso perdono, quando il perdono viene comunicato all’esterno ma non corrisponde al sentire interno; il pieno perdono, quando il perdo-no viene sentito ed espresso, in modo che ne beneficino sia la vittima che l’offensore.

Rusbult e collaboratori (Rusbult, Hannon, Stocker & Finkel, 2005) distinguono le risposte della vittima verso l’offensore in positive at-tive (atteggiamenti empatici, espressione di emozioni positive o del perdono), positive passive (mutamenti dei sentimenti in senso posi-tivo non manifestati direttamente), negative attive (vendetta o risen-timento espresso) e negative passive (risentimento o altre emozioni negative non espresse).

Hargrave & Sells, (1997) elaborano una teoria interpersonale del perdono basata sulla terapia familiare di Boszormeny-Naghy (1987). Gli autori identificano quattro stadi del perdono, che si susseguono in un processo non sequenziale. I primi due stadi comprendono l’in-sight, che prevede il riconoscimento delle dinamiche dell’offensore, e la comprensione, che consiste nel cogliere il motivo per cui l’offesa è stata perpetrata. Queste due fasi comportano la discolpa dell’offen-sore; secondo la teoria familiare, infatti, è il sistema che è colpevole e l’individuo viene esonerato. Le fasi successive prevedono l’inden-nizzo, che coinvolge la considerazione delle risposte dell’offensore, e il perdono esplicito, che comporta l’espressione del perdono della vittima nei confronti dell’offensore e la risposta di quest’ultimo.

Scobie & Scobie (1998) prendono in considerazione la dimensio-

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ne interpersonale descrivendo l’evolversi della dinamica del perdono in funzione delle reazioni manifestate sia dalla vittima che dall’offen-sore e della natura e gravità del danno arrecato. Le offese più difficili da perdonare risultano essere quelle percepite come gravi ed inten-zionali, per le quali non è stato mostrato rammarico o pentimento da parte dell’offensore. Gli autori prendono in considerazione le diverse strategie che la vittima può adottare in seguito all’offesa, distinguen-do tra queste la negazione dell’offesa, la sua reinterpretazione per sminuirla di importanza, l’assumersi la responsabilità, la vendetta, lo pseudo-perdono o il perdono autentico. Quest’ultimo è più frequente quando l’artefice del torto ammette la propria responsabilità e offre le scuse mostrando pentimento.

Gordon & Baucom (1998) analizzano il perdono all’interno della relazione di coppia individuando tre stadi distinti: smarrimento, diso-rientamento nella prima fase, ricerca del significato dell’offesa e sua ridefinizione nella seconda fase, superamento e acquisizione di una nuova comprensione di sé dell’altro e della relazione nella terza fase (vedi cap. 3).

Un interesse che appare in forte crescita nel panorama dell’ultimo decennio è quello relativo alle determinanti psico-sociali del perdono. Tra gli approcci che sottolineano tale aspetto è importante menzio-nare il modello psico-sociale di McCullough, Worthington & Rachal (1997) che fornisce un utile schema dei fattori che, su un piano psico-sociale, favoriscono il perdono all’interno di relazioni intime. Il mo-dello si fonda non solo su alcune evidenze fornite dalla ricerca psico-sociale degli anni Ottanta e Novanta sul tema del perdono, ma anche su un vasto corpo di studi teorici ed empirici dell’ultimo ventennio. Gli autori affermano che il perdono è condizionato da quattro classi di fattori psicosociali: le determinanti sociocognitive, le determinanti associate all’atto offensivo, le determinanti relazionali e le determi-nanti connesse a tratti personali.

Le determinanti socio-cognitive si riferiscono a ciò che la vittima pensa e prova in relazione all’offesa subita e a chi l’ha provocata. Tra questi fattori gli autori individuano l’empatia (capacità di porsi nei panni dell’artefice dell’offesa), i processi attributivi (la capacità con cui si spiega l’evento attributivo) e la ruminazione (cioè il rimurgi-nare e il ripensare l’offesa). Quanto più un individuo è empatico nei confronti dell’offensore, evita di attribuirgli molteplici responsabilità

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e colpe e evita di riportare alla luce continuamente il torto, tanto meno avrà difficoltà a perdonarlo.

Le determinanti associate all’atto offensivo concernono sia le ca-ratteristiche proprie dell’offesa, per esempio la gravità e le conseguen-ze avute nel tempo, sia le reazioni che l’autore dell’offesa manifesta dopo averla perpetuata e le eventuali scuse offerte. Un torto percepito dalla vittima come poco grave e, rispetto al quale, il responsabile ha espresso rincrescimento e offerto scuse sincere, facilita la concessio-ne del perdono in quanto promuove nella vittima pensieri e sentimenti di comprensione verso l’offensore.

Le determinanti relazionali fanno, invece, riferimento al contesto in cui l’atto riprovevole ha avuto luogo. Poiché il perdono implica la volontà di salvaguardare il rapporto con chi si è reso colpevole di un’offesa, quanto più, antecedentemente al verificarsi di tale offesa, la vittima e l’offensore erano legati da un rapporto caratterizzato da ele-vata soddisfazione, intimità (closeness) e impegno (committement), tanto più la concessione del perdono sarà probabile.

Infine le determinanti connesse a tratti personali comprendono l’atteggiamento dell’individuo nei confronti della vendetta, l’arrende-volezza, le modaltà attraverso cui gestisce la rabbia, i principi etici e le convinzioni religiose, che contraddistinguono il soggetto, in modo relativamente stabile. Queste caratteristiche condizionano la conces-sione del perdono in modo sostanzialmente indiretto, influenzando sia i pensieri, le emozioni della vittima, le reazioni e il grado di penti-mento manifestato dall’offensore, sia la qualità del rapporto entro cui ha avuto luogo l’evento dell’offesa.

Gli autori, in base alle ricerche empiriche svolte affermano che le determinanti socio-cognitive e, in misura minore, quelle legate all’at-to offensivo, esercitano sul perdono un’influenza diretta e immediata, mentre quelle relazionali e quelle connesse a disposizioni stabili agi-scono in modo prevalentemente indiretto.

L’empatia può essere considerata una delle più importanti com-ponenti prossimali della capacità di perdonare gli altri; inoltre essa è strettamente correlata alla vicinanza tra la due persone prima dell’evento offensivo e alle scuse che l’offensore fornisce alla per-sona offesa. Due meccanismi sono, a detta degli autori, parzialmente responsabili del motivo per cui le persone sono più propense a perdo-nare in relazioni che prima dell’evento erano molto strette, impegnate

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e soddisfacenti: primo l’offensore è più disponibile a chiedere scusa per la sua azione, secondo la vittima è più disposta a essere empatica con il suo offensore.

Oltre a definire i fattori che condizionano il perdono e il tipo di im-patto, diretto o indiretto, che esercitano su di esso, il modello psico-sociale di McCullough, Worthington & Rachal (1997) si preoccupa anche di specificare quali effetti la concessione o la negazione del perdono abbia sul rapporto vittima e offensore. Il perdono viene con-siderato indice della volontà della vittima di salvaguardare il proprio rapporto con chi l’ha offesa e suppone che, nella misura in cui venga concesso, esso contribuisca a restaurare una maggiore vicinanza emo-tiva e scambi interattivi di valenza più positiva tra i due.

Uno dei modelli più recenti e completi del perdono sembra es-sere la teoria biopsicosociale di Worthington (2006), che prende in considerazione gli aspetti biologici, cognitivo-decisionali, emotivi, le trasformazioni motivazionali, i fattori di personalità e la dimen-sione sociale, integrandoli in una sintesi teorica. L’autore descrive il processo che porta dall’offesa al perdono facendo riferimento al modello di gestione dello stress elaborato da Lazarus (Lazarus, 1999), considerando le offese alla stregua di agenti stressanti, che le persone possono affrontare in diversi modi. Le offese mettono di fronte la vittima alla percezione di aver subito un’ingiustizia che genera uno squilibrio tra vittima e offensore misurabile in unità (injustice gap). Per superare lo squilibrio generato dall’ingiustizia la vittima imma-gina un risultato ideale e un risultato realistico, che tiene conto dei vincoli della realtà.

A seconda dell’entità dell’offesa percepita e della valutazione del-la propria capacità di farvi fronte, la persona danneggiata considererà l’offesa come una minaccia o una sfida. Tale valutazione è influenzata sia da caratteristiche insite nella situazione (entità dell’offesa, atteg-giamento dell’offensore, relazione con l’offensore, presenza di inten-zionalità), sia da caratteristiche biologiche, di personalità e culturali dell’offensore. Se l’offesa viene percepita come una minaccia, la vit-tima tenderà a utilizzare la ruminazione, sarà dominata dalle emozioni negative caratteristiche del rancore, sarà motivata a cercare giustizia, ottenere una vendetta o ad evitare l’offensore. Se la persona che ha subito un danno affronta lo stress interpersonale derivante dall’offesa considerandola una sfida, utilizzerà per farvi fronte strategie come il

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problem-solving, la regolazione delle emozioni e l’attribuzione di un nuovo significato all’evento. Ciò può portare allo sviluppo di motiva-zioni alla conciliazione o motivazioni altruistiche.

La sfida o la minaccia possono investire diverse aree: la fiducia in se stessi, le relazioni interpersonali, la propria autonomia e autodeter-minazione. Le strategie di coping si possono focalizzare sul proble-ma, sull’impatto emotivo dell’offesa o sul significato dell’evento.

Non esiste una strategia in assoluto più funzionale delle altre nel ridurre la percezione del gap di ingiustizia e gestire le emozioni ne-gative; quando è possibile un’azione diretta per rimuovere la fonte dello stress sembrano più efficaci le strategie focalizzate sul problema (Lazarus, 1999), mentre quando ciò non è possibile è preferibile uti-lizzare strategie focalizzate sulla gestione delle emozioni e sull’attri-buzione di significati diversi all’evento. A seconda dell’elaborazione la vittima giungerà al perdono attraverso vari passi che coinvolgono le decisioni, le emozioni e i comportamenti o sceglierà alternative al perdono, ritornando alle tappe gli precedenti (fig. 1.1).

Le persone rispondono all’offesa a livello emozionale, cognitivo e comportamentale. Sulla base delle risposte più abituali la persona rinforzerà particolari caratteristiche di personalità e determinate mo-dalità di relazione sociale, con conseguenze mentali, fisiche, relazio-nali e spirituali.

Lo stato di mancato perdono o rancore (unforgiveness), secondo Worthington, è un complesso di emozioni, che si può considerare una reazione di stress all’offesa, in quanto, in modo analogo agli stati di stress, influisce sul corpo, sulla mente, sull’umore e sul benessere ge-nerale. L’autore elabora un modello piramidale a cinque passi (RE-ACH), che permette la sostituzione delle emozioni negative connesse al rancore con emozioni positive (empatia, compassione, amore) ver-so la persona che ha perpetrato l’offesa (vedi cap 8).

Il pregio del modello di Worthington sta nel fatto che, come il modello di Gilbert (2005) descritto nel paragrafo successivo, pren-de in considerazione una molteplicità di dimensioni intervenienti nel processo del perdono, a differenza della maggior parte degli studiosi, i quali si sono soffermati su particolari aspetti, isolandoli per studiarli singolarmente.

Come risulta da questa breve sintesi, il perdono è un costrutto an-cora in cerca di una definizione condivisa; tuttavia i diversi modelli

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sembrano integrarsi e completarsi a vicenda piuttosto che contrap-porsi. In questo paragrafo abbiamo elencato differenti definizioni del perdono; alcune sottolineano l’aspetto comportamentale, altre enfa-tizzano le trasformazioni emotive e motivazionali, altre si sofferma-no sulle cognizioni coinvolte nel processo; inoltre alcune definizioni seguono un ottica intrapersonale, altre un’ottica interpersonale. Da una prospettiva integrata, considerando la pluralità dei modelli pre-senti in letteratura, possiamo affermare che il perdono è un concetto che coinvolge l’uomo nella sua totalità, nei suoi aspetti cognitivi, af-fettivo-emotivi, comportamentali, che avviene nell’individuo ma può esistere ed essere compreso solo all’interno di una relazione.

Il punto chiave che accomuna le diverse definizioni sembra essere l’aspetto trasformativo: perdonare è più che gestire lo stress provoca-to da un’offesa, in quanto comporta un cambiamento della rappresen-tazione interna di sé e dell’altro sia nella vittima che nell’offensore e produce importanti trasformazioni nella loro relazione.

1.3 I fattori del perdono

Secondo Regalia & Paleari (2008) il perdono può innanzitutto es-sere definito come una risposta ad un’offesa subita; per definire in maniera più completa il concetto di perdono è quindi necessario spe-cificare cosa si intende per offesa.

Le azioni che ci possono ferire sono innumerevoli e possono diffe-rire sotto molteplici aspetti, tra cui la perseguibilità penale, la natura, l’entità e la persistenza dei danni provocati, il grado di sofferenza soggettivo causato.

Regalia & Paleari (2008) distinguono tre elementi comuni a tutte le offese, che elenchiamo di seguito.

L’essere percepite come ingiuste e immorali, in quanto atti che 1) violano le norme socialmente condivise o i principi soggetti-vamente ritenuti validi. Ogni individuo possiede dei criteri va-lutativi, in parte comuni ai membri del proprio gruppo sociale e in parte personali, in virtù dei quali stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato; il sentimento di essere stati offesi emerge quando confrontando i fatti con i propri valori si arriva alla conclusione che chi ha agito avrebbe dovuto comportarsi diver-

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2

3

Fig

1.1

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1.1.

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6)

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samente. Viceversa, quando manca la consapevolezza di uno scarto tra ciò che è accaduto e ciò che sarebbe dovuto accadere, la trasgressione non viene avvertita.L’essere percepite come azioni intenzionali, volontarie, sogget-2) te al controllo dell’individuo e al libero arbitrio. I processi di attribuzione sono centrali nel determinare cosa è un’offesa e cosa non lo è. Attribuire la responsabilità di un’azione ad un individuo significa ritenere che non solo egli l’abbia compiuta materialmente ma anche che l’abbia eseguita intenzionalmen-te; comportamenti accidentali o involontari, non dipendenti dal controllo del soggetto di solito non vengono ritenuti offese e non necessitano il perdono.Il provocare in chi le subisce una sofferenza che ne altera lo 3) stato di benessere psicofisico. Un’offesa, per essere definita tale deve comportare in chi la riceve un danno, che può essere psi-cologico, emotivo o materiale, fisico.

Nell’identificazione di ciò che costituisce un’offesa, quindi, l’in-terpretazione soggettiva e il vissuto personale sono determinanti; ciò spiega come a volte sia possibile che uno stesso episodio venga valu-tato in modo diverso da differenti individui; inoltre, come dimostra la ricerca, la discrepanza di punti di vista e vissuti può essere particolar-mente accentuata a seconda del ruolo di vittima o offensore, in quanto gli eventi vengono interpretati in maniera funzionale alla difesa di sé (vedi par. 3.1).

Il perdono può essere possibile solo se la vittima riconosce di aver subito un’offesa; le forme di perdono che smentiscono la natura of-fensiva dell’evento, come per esempio le scuse o le giustificazioni, non possono essere considerate perdono autentico ma tentativi di pseudo-perdono.

Un’offesa, per essere considerata tale, produce nella vittima una serie di reazioni. Il vissuto iniziale più ricorrente è un senso di incre-dulità, un forte disorientamento cognitivo dovuto alla discrepanza tra le proprie credenze e aspettative e l’evento in questione. Quando suc-cede qualcosa che delude le proprie convinzioni su di sé e sugli altri è facile cadere preda di uno stato di smarrimento e impotenza, derivanti dall’incapacità di controllare gli accadimenti; ciò può mettere a dura prova l’autostima e la fiducia in se stessi e fare scaturire nella vittima

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sentimenti di auto squalifica e auto biasimo, insieme a giudizi negati-vi nei confronti dell’offensore.

Sul piano emotivo emergono sentimenti spiacevoli e contrastan-ti, come rabbia, paura, amarezza o anche vergogna e senso di colpa per non aver saputo prevedere ed evitare l’accaduto; tali sentimenti possono essere reiterati attraverso la ruminazione e trasformarsi in rancore che provoca una profonda sofferenza psicologica, a cui si può reagire con la vendetta o l’evitamento.

Il desiderio di vendetta è dominante quando la rabbia prevale sul timore di essere feriti nuovamente; se riesce a trovare sfogo in tempo breve, senza un eccessivo investimento di energie mentali, la vendetta può assumere una valenza positiva in quanto aiuta la vittima a ri-guadagnare un senso di controllo sull’ambiente e a riconquistare una stima di sé; nell’intento di chi la compie essa dissuade l’offensore dal ripetre la sua azione offensiva, riafferma il potere ed il prestigio com-promessi, “pareggia i conti” ossia ristabilisce una certa equità nel rap-porto. Difficilmente comunque questi obbiettivi vengono raggiunti, anzi la ricerca indica che la reciprocità negativa, anziché scoraggiare nuove offese, alimenta reazioni ancora più aggressive e violente. Se la vendetta non è attuata nell’immediato ma è sostenuta dalla rumina-zione in cui l’offesa viene rivissuta mentalmente in modo ossessivo e ricorrente, diventa fonte di ulteriore malessere; inoltre talvolta la vendetta può generare, insieme a sentimenti positivi anche stati d’ani-mo negativi come tristezza, rimorso, senso di colpa che aumentano la sofferenza del soggetto.

Diversamente dalla vendetta, la fuga viene perseguita quando la paura domina sulla rabbia ed ha la funzione di proteggere la vittima dal riesporsi al rischio di ulteriori sofferenze, inoltre può fungere an-che da rivalsa; l’evitamento può comportare distanza fisica o emotiva dall’offensore, oppure può essere attuato in relazione ai vissuti sgra-devoli (pensieri, sentimenti, ricordi) collegati all’offesa, attraverso strategie come l’impegnarsi oltremodo nell’attività lavorativa o nello sport o attraverso l’abuso di sostanze psicoattive (droghe, alcol, farma-ci). Nonostante tali strategie abbiano la finalità di sottrarre l’individuo alla sofferenza derivante dal contatto con i propri vissuti penosi, alla lunga producono effetti negativi in quanto non permettono la rielabo-razione del trauma e possono sfociare in sintomi psicopatologici.

Una terza reazione, meno istintiva, all’offesa può essere il perdo-

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no; i cambiamenti emotivi, cognitivi e comportamentali che il perdo-no richiede spesso non sono reazioni naturali, immediate ma esigono una grande capacità di controllo e discernimento dei propri vissu-ti mentali, un’elevata maturità di pensiero e la fiducia in possibili sviluppi positivi insiti nelle situazioni di dolore (Regalia & Paleari, 2008).

La maggior parte dei modelli che descrivono i passaggi attraverso i quali l’individuo può attuare i cambiamenti necessari per perdonare sono definiti “processuali”, in quanto mettono in rilievo la gradualità del percorso; sebbene differiscano per il numero, la sequenza e la tipologia degli stadi identificati è possibile ravvisare degli elementi costanti:

riconoscimento ed espressione delle emozioni da parte della 1) vittima;rilettura dell’accaduto e variazioni nell’attribuzione di respon-2) sabilità e biasimo;sviluppo di empatia;3) sviluppo di umiltà.4)

Il perdono è un processo complesso e faticoso; la ricerca psico-logica ha prodotto negli ultimi anni una notevole mole di dati che individuano la molteplicità dei fattori che concorrono nel determinare il perdono; elenchiamo i principali di seguito:

entità dell’offesa;1) personalità della vittima;2) contesto sociale e culturale;3) caratteristiche della relazione tra vittima e offensore;4) spiegazioni, scuse e risarcimenti forniti dall’offensore.5)

Considereremo l’impatto dei vari fattori più avanti, descrivendo più in dettaglio il loro ruolo nel processo del perdono.

1.4 La natura multidimensionale del perdono: variabili biologiche, psicologiche e sociali

Il perdono rappresenta l’interfaccia tra diversi sistemi: biologico, psicologico e sociale; un modello completo del perdono deve quindi

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considerare queste tre dimensioni e le loro interrelazioni reciproche e con l’ambiente (fig. 1.2).

Fig. 1.2. La natura multidimensionale del perdono: interazioni biopsicosociali e ambientali (Gilbert, 2005)

Gilbert (2005) elabora un modello biopsicosociale della compas-sione che può essere utilizzato anche per la comprensione del perdo-no. Comportamenti come la compassione e il perdono sono il risultato dell’interazione complessa tra le caratteristiche genetiche dell’indivi-duo, che guidano la costruzione delle strutture fisiologiche, e l’espe-rienza nei contesti sociali, che modella l’identità e l’espressione del corredo genetico. I geni e gli apprendimenti, secondo l’autore, costrui-scono i sistemi fisiologici e le strutture interne da cui i tratti (fenotipi) emergono. Secondo l’autore la compassione costituisce una proprie-tà fenotipica della mente che può assumere varie forme in relazione all’interazione con l’ambiente. L’esperienza può modellare la mente e favorire o meno lo sviluppo delle infrastrutture bio-psicologiche che rendono possibile provare compassione, empatia e perdonare (Gilbert & Irons, 2005). 27

Fig. 1.2. La natura multidimensionale del perdono: interazioni biopsicosociali e ambientali

Gilbert (2005) elabora un modello biopsicosociale della compassione che può essere utilizzato

anche per la comprensione del perdono. Comportamenti come la compassione e il perdono sono il

risultato dell’interazione complessa tra le caratteristiche genetiche dell’individuo, che guidano la

costruzione delle strutture fisiologiche, e l’esperienza nei contesti sociali, che modella l’identità e

l’espressione del corredo genetico. I geni e gli apprendimenti, secondo l’autore, co-costruiscono i

Dimensione

psicologica:

motivazioni,

emozioni,

pensieri,

valori

Dimensione

sociale:

ruoli,

relazioni

Dimensione

biologica:

geni,

neurochimica,

ormoni

Ambiente fisico: scarsità di risorse versus abbondanza di risorse

Ostile versus benevolente

Ambiente sociale: cooperativo versus competitivo

Accudente versus ostile

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Dal punto di vista evoluzionistico, il perdono, come la compassio-ne, è un comportamento funzionale alla sopravvivenza della specie, in quanto salvaguarda la durata e la qualità delle relazioni con gli altri, favorendone la riparazione e incrementando la probabilità di ricevere cooperazione ed aiuto dall’esterno; è quindi ragionevole pensare che la selezione naturale abbia favorito le caratteristiche genetiche che facilitano la capacità di perdonare.

Per spiegare come avviene l’interazione tra sistemi fisiologici orientati dai geni e i sistemi cognitivi, emotivi, motivazionali che gui-dano le azioni momento per momento, in relazione con l’ambiente, Gilbert ipotizza l’esistenza di sistemi sensibili ai segnali esterni che riconoscono stimoli chiave (cibo, amici) e forniscono una risposta (es. uno stimolo pauroso attiverà risposte di attacco/fuga). Tali siste-mi, per perseguire le loro finalità costruirebbero strategie implicite che orientano le persone, a cui corrispondono, a livello psicologico, le motivazioni e le emozioni.

Differenti complessi di motivazioni, emozioni, modi abituali di processare le informazioni e comportamenti danno luogo a diversi pattern di attività neurofisiologica che Gilbert chiama “mentalità so-ciali”, le quali sono alla base della co-creazione dei ruoli sociali (sti-molare cura, dare cura, formazione di alleanze, creazione di ranghi sociali, relazioni sessuali). Per perseguire gli scopi biosociali connessi alle varie mentalità sociali gli individui utilizzano differenti strategie tese a creare particolari ambienti sociali, influenzando la mente degli altri: ad esempio, la dominanza aggressiva tende ad indurre sottomis-sione timorosa negli altri; segnali di stress attivano comportamenti di accudimento, cure attente e calde da parte dei genitori attivano com-portamenti di attaccamento.

Questi diversi modi di stare al mondo hanno livelli differenti di successo, in termini di sopravvivenza e riproduzione; in particolari ambienti determinate strategie sono più funzionali di altre.

A seconda che il contesto ambientale esterno sia minaccioso o si-curo, gli individui utilizzano diversi sistemi di risposte che coinvol-gono emozioni, pensieri, comportamenti (fig.1.3).

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39

Sistemi di risposte attivati

Strategie non sociali Strategie sociali (funzio-nano solo se ci sono altri con cui co-creare i ruoli)

Sistema minaccia-di-fesa (si attiva quando l’ambiente è percepito minaccioso)

Attive: aggressione, persecuzione, fuga, evi-tamento attivo, ricerca di sicurezza

Attive: ricerca di protezio-ne e rassicurazione, rituali di gruppo

Passive: congelamento, immobilizzazione, dis-sociazione, evitamento passivo

Passive: sottomissione

Sistema della sicurez-za (si attiva quando l’ambiente è percepito come sicuro)

Attive: interesse, esplo-razione, creatività, apertura

Attive: esplorazione socia-le, affiliazione, gioco

Passive: calma, rilassa-mento

Passive: tolleranza

Fig. 1.3. Le risposte degli individui a seconda dell’ambiente minaccioso ver-sus sicuro (adattato da Gilbert, 2005)

In un ambiente minaccioso prevarranno la ricerca di protezione e rassicurazione, la sottomissione, le aggressioni ritualizzate; in un ambiente sicuro saranno favoriti l’esplorazione sociale, l’affiliazione, il gioco, la tolleranza.

Quando viene attivato il sistema relativo alla minaccia, si attiva il sistema limbico insieme ad una serie di emozioni negative adattive, come la rabbia, che facilita l’attacco per affrontare lo stimolo minac-cioso, la paura, che consente la fuga dallo stimolo minaccioso, il di-sgusto, che permette di evitare o respingere lo stimolo minaccioso, la tristezza, che consente di gestire la perdita. A volte le stesse emozioni difensive possono essere colte dalle persone come una minaccia. La minaccia attiva una serie di comportamenti tra cui: indagare, proteg-gere, evitare, soggiogare, perseguitare. Le persone possono adottare questi orientamenti difensivi anche nei confronti di se stessi, svilup-pando odio verso di sé (Gilbert et al., 2004; Gilbert & Irons, 2005); questo contesto non favorisce la compassione e il perdono.

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40

Quando le persone percepiscono l’ambiente come sicuro attivano il sistema esplorativo e il sistema affiliativo, inoltre sviluppano capa-cità cognitive flessibili e integrate, focalizzate sull’altro oltre che su se stessi. Questo contesto favorisce la maturazione delle competenze e dell’assetto motivazionale alla base della compassione e del perdo-no.

L’attivazione dei differenti sistemi è mediata da diversi neurotra-smettitori ed è associata a determinati affetti che fungono da motiva-tori. Il sistema relativo all’esplorazione, che si attiva in condizioni di sicurezza, è mediato dalla dopamina ed è associato ad affetti positivi. Se l’esplorazione è bloccata hanno origine affetti negativi, come la frustrazione, la tristezza o la paura. Il sistema minaccia–difesa è me-diato dalla serotonina, mentre il sistema affiliativo è mediato dagli oppiacei. L’ossitocina e la vasopressina sono importanti nel calore interpersonale (fig. 1.4).

Fig.1.4.Interazionetrasistemaesplorativo,sistemaaffiliativo,sistemafoca-lizzato sulla minaccia e sistema di regolazione degli affetti.

Secondo Gilbert, la compassione e la capacità di perdonare sono qualità emergenti della mente legate da una parte al temperamento in-dividuale, dall’altra all’esperienza di un ambiente relazionale sicuro, affettuoso, caldo, attento (vedi cap. 6 sull’attaccamento).

30

Fig. 1.4. Interazione tra sistema esplorativo, sistema affiliativo, sistema focalizzato sulla minaccia e

sistema di regolazione degli affetti.

Secondo Gilbert, la compassione e la capacità di perdonare sono qualità emergenti della mente

legate da una parte al temperamento individuale, dall’altra all’esperienza di un ambiente relazionale

sicuro, affettuoso, caldo, attento (vedi cap. 6 sull’attaccamento).

Sistema

esplorativo

dopamina

Sistema

affiliativo

oppiacei

Sistema

relativo alla

minaccia

serotonina

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41

Fig. 1.5. Storia dell’attaccamento e maturazione di abilità relative alla com-passione e al perdono (Gilbert, 2005)

L’esperienza di un ambiente sicuro da cui ricevere protezione e calore permette inoltre lo sviluppo di capacità cognitive complesse e flessibili che possono essere utilizzate in diversi contesti sociali fa-vorendo l’empatia, la compassione e il perdono, tra queste rivestono un’importanza particolare le seguenti:

1) elaborazione di una teoria della mente. La possibilità di perdo-nare è strettamente legata alla capacità di comprendere il punto di vista dell’offensore e di identificarsi nella sua sofferenza;

31

Fig. 1.5. Storia dell’attaccamento e maturazione di abilità relative alla compassione e al perdono

L’esperienza di un ambiente sicuro da cui ricevere protezione e calore permette inoltre lo sviluppo

di capacità cognitive complesse e flessibili che possono essere utilizzate in diversi contesti sociali

favorendo l’empatia, la compassione e il perdono, tra queste rivestono un’importanza particolare le

seguenti:

1) elaborazione di una teoria della mente. La possibilità di perdonare è strettamente legata alla

capacità di comprendere il punto di vista dell’offensore e di identificarsi nella sua sofferenza; in

altre parole all’abilità di comprendere come può funzionare la mente degli altri, cosa motiva il loro

Storia

dell’attaccamento

Ambiente

relazionale

minaccioso

Mentalità sociale: cura

per sé e per gli altri,

sicurezza negli ambienti

sociali e con se stesso

Sistema relativo alla

minaccia/difesa: attacco-

fuga, sottomissione,

tendenza ad aggrapparsi

Mentalità sociale:

competizione per il rango

sociale e per le risorse

Affiliazione sociale:

preoccupazione per la

qualità delle relazioni, per

il benessere degli altri,

capace di esprimere

calore, investire nelle

relazioni, mutualità

Ambiente

relazionale

sicuro e attento

Sistema relativo alla

sicurezza: interesse

sociale e

coinvolgimento sociale

positivo

Ricerca di un rango alto:

focalizzato su di sé, evitante,

sfruttatore, aggressivo

Ricerca di un rango basso:

focalizzato su di sé, sottomesso,

ansioso, tende ad aggrapparsi agli

altri

Capacità di empatia e

compassione per gli altri

e per sé. Capacita di

essere autoprotettivo,

capacità di perdonare gli

altri e se stesso.

Difficoltà nell’esperire

compassione, si ritira, non tollera il

dolore proprio e altrui, difficoltà ad

autorassicurarsi, difficoltà a

perdonare

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in altre parole all’abilità di comprendere come può funzionare la mente degli altri, cosa motiva il loro comportamento, quali sono i loro valori, le loro conoscenze e fare inferenze del tipo “io penso che tu pensi che lei pensa…”. Il punto di partenza della teoria della mente, sulla quale basiamo la conoscenza de-gli altri, è l’assunto che gli altri siano più o meno simili a noi, e più o meno pensano e sentono come noi. Un passo successivo cruciale per la teoria della mente è la capacità di ipotizzare che gli altri potrebbero avere sentimenti e pensieri differenti dai no-stri;

2) rappresentazione simbolica di sé e dell’altro. La rappresenta-zione simbolica di sé e dell’altro consiste nella capacità di im-maginare sé (o l’altro) come un oggetto e darvi valore;

3) Capacità di metacognizione. La metacognizione consiste nell’abilità di riflettere sul proprio pensiero e sui propri sen-timenti. La metacognizione ci permette di riconoscere discre-panze nei nostri pensieri, intuizioni o conoscenze implicite e modificarle. Attraverso le metacognizioni possiamo riflettere sul probabile risultato delle nostre azioni e considerare le im-plicazioni future dei nostri comportamenti o fare simulazioni; ciò è importante per lo sviluppo dell’empatia.

Le abilità cognitive descritte sopra permettono di creare modelli interni della realtà e del legame tra gli eventi, in modo da poter for-mulare attribuzioni, credenze, spiegazioni ed aspettative; inoltre ci permettono di riflettere su tali modelli ed eventualmente modificarli. Tali competenze rivestono un ruolo fondamentale nell’agevolare od ostacolare il processo del perdono, in quanto influenzano le emozioni e le risposte comportamentali relative agli eventi. Per esempio, è più facile perdonare se si è in grado di riflettere sulla propria responsa-bilità o se si attribuisce l’offesa ad un errore piuttosto che ad una in-tenzionalità malevola. Lo stile attribuzionale e il sistema di credenze sono influenzati anche dai valori individuali, dallo stile di personalità (cap. 6) e dal background culturale.

In conclusione, facendo riferimento al modello biopsicosociale di Gilbert (2005), possiamo considerare il perdono come frutto di una proprietà emergente della mente che dipende dall’interazione di siste-mi genetici, psicologici, esperienze della prima infanzia e dinamiche sociali. Questa definizione integra diverse dimensioni e le loro in-

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terrelazioni reciproche, cogliendo il perdono nella sua complessità e multifattorialità.

1.5 Perdono e ricerca: metodi e strumenti di studio

Nonostante le differenze nelle varie definizioni di perdono pre-senti in letteratura, un punto di consenso sembra essere l’avere indi-viduato la caratteristica principale del perdono in un cambiamento in senso prosociale delle risposte verso l’offensore da parte dell’offeso (McCullough, Pargament & Thoresen, 2000). Questo cambiamento, che costituisce l’essenza del perdono, è l’oggetto principale su cui si è focalizzata la ricerca scientifica.

Nella letteratura teorica ed empirica sono presenti vari modelli per lo studio del perdono inteso come cambiamento.

L’approccio 1) cross-sectional allo studio del cambiamento de-rivante dal perdono utilizza questionari self-report. I soggetti vengono invitati a pensare ad una persona che li ha feriti nel passato e a rispondere a domande riguardanti i loro pensieri e sentimenti attuali verso l’offensore. I ricercatori aggregano le risposte e interpretano i punteggi ottenuti come misure di quan-to gli individui hanno perdonato i loro rispettivi trasgressori. Le differenze individuali possono poi essere correlate con caratte-ristiche che possono influenzare il perdono. Questo approccio presenta alcuni limiti, in quanto non tiene conto della gravità dell’offesa.L’approccio della tabella a due entrate (2) Two-Wave Pannel Mo-del) permette di misurare i pensieri, le emozioni, i comporta-menti dei soggetti verso un offensore in due diverse situazioni. Confrontando il punteggio al tempo 1 e al tempo 2 si può avere una misura del cambiamento. McCullough e colleghi (2001) hanno usato questo modello per misurare il rapporto tra perdo-no, ruminazione e vendetta. Confrontando i punteggi relativi a due occasioni i ricercatori hanno trovato che i soggetti con alti punteggi nei comportamenti e nei pensieri relativi alla vendetta avevano una riduzione minore nella motivazione alla vendetta nei mesi successivi all’offesa rispetto agli individui con bassi punteggi. Questo modello ha diversi limiti: prende in conside-

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razione solo il tempo intercorso tra le due misurazioni e non, per esempio, il tempo trascorso dall’offesa; inoltre la differenza tra la misurazione pre e post non tiene conto della diversa velo-cità di cambiamento dei soggetti. I modelli multilivello di crescita lineare (3) Multilivel Linear Growth Models), chiamati anche gerarchici o misti, permettono di tener conto di più misurazioni, e possono registrare quanto tempo è trascorso tra ogni misurazione e il momento dell’offe-sa. Essi utilizzano un’equazione lineare che permette di: distin-guere la variazione nella motivazione alla vendetta del soggetto rispetto al livello iniziale; tener conto del tempo trascorso tra ogni misurazione e l’offesa; separare il vero cambiamento dal-la misura dell’errore. Modelli lineari più elaborati misurano le differenze interindividuali nel cambiamento della motivazione alla vendetta, collegandole ad alcuni tratti di personalità, come ad esempio il nevroticismo.I modelli di crescita misti (4) Growth Misture Models) permetto-no di tener conto delle differenze qualitative nel cambiamento nella motivazione al perdono oltre a quelle quantitative, mentre i modelli multilivello non lineari (Multilevel Nonlinear Grow-th Models) permettono di analizzare il cambiamento nelle sue variazioni, diversamente dai modelli lineari che descrivevano il cambiamento con una retta.

Uno dei limiti principali di una buona parte della ricerca sul per-dono è il fatto che ha spesso utilizzato misurazioni singole, probabil-mente per il maggiore peso, per partecipanti e ricercatori, che avreb-be comportato l’aggiunta di ulteriori metodi di misurazione. Ciò ha portato diversi problemi; uno di questi è che la maggior parte delle misurazioni sul perdono sono state ottenute attraverso questionari autosomministrati, che possono essere influenzati da variabili come l’acquiescenza e la desiderabilità sociale. Cattel sosteneva che le fonti dei dati dovrebbero essere diversificate e utilizzava l’acronimo LOTS per ricordare quattro classi di misure: eventi di vita (Life events data), dati provenienti dall’osservazione (Observational data), dati relati-vi a test (Test data) e dati ottenuti mediante questionari self report (Self-report data). Inoltre, lo studio del perdono riguarda più livelli: la possibilità di perdonare è infatti legata a numerose variabili riguar-

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danti la situazione, come la gravità dell’offesa, la sua intenzionalità, la volontà del trasgressore di scusarsi.

Le misurazioni multimodali permettono di ovviare a questi proble-mi. Esse includono due o più misure del perdono attraverso metodi di misura abbastanza differenti da fornire una prospettiva completa. Inoltre le misurazioni multimodali permettono di cogliere il perdono nella sua essenza interpersonale, considerandolo un processo transi-zionale tra due individui, e come tale caratterizzato da più determi-nanti, come caratteristiche dell’offeso, dell’offensore, della loro rela-zione, del tipo di offesa e della sua gravità.

I test più usati per misurare il perdono situazionale, ossia relativo ad una specifica offesa, sono: l’Enright Forgiveness Inventory (EFI, Freedman & Enright, 1996), la Forgiveness subscale of the Interperso-nal Relationship Resolution Scale (IRRSFS, Hargrave & Sells, 1997), la Forgiveness—Absence of Negative and Forgiveness—Presence of Positive Thoughts, Feelings and Behavior Scales (FS—AN and FS—PP, Rye et al., 2001), e la Transgression-Related Interpersonal Moti-vations Inventory (TRIM, McCullough & Hoyt, 2002); quest’ultimo è formato da 12 item divisi in due sottoscale di cui una misura la motivazione all’evitamento dell’offensore, la seconda la motivazione alla vendetta; inoltre comprende una scala a 6 items per valutare la motivazione alla benevolenza e alla riconciliazione.

I test per misurare il perdono disposizionale, ossia come tratto re-lativamente stabile, sono la Disposition to Forgive Scale (DTFS, Mc-Cullough, Emmons & Tsang, 2002), la Forgiveness of Others Scale (FOOS, Mauger, Saxon, Hamill & Pannel, 1996), la Forgivingness Scale (Mullet et al., 2003), la Forgiveness Likelihood Scale (FLS, Rye et al., 2001), la Forgiveness–Non-Retaliation scale (FNRS, 16 F, Ashton, Paunonen, Helmes & Jackson, 1998), la Self-Described Experience of Forgiveness Scale (Walker & Doverspike, 2001), la Trait-Unforgiveness–Forgiveness scale (TUFS, Berry & Worthing-ton, 2001), e la Transgression Narrative Test of Forgivingness (TNTF, Berry, Worthington, Parrott, O’Connor & Wade, 2001), la Trait For-giving Scale (TSF), composta da 10 items (Berry et al., 2005); inol-tre la Heartland Forgiveness Scale (HFS; Thompson et al., 2005), composta da tre sottoscale di cui una misura il perdono disposizio-nale degli altri, la seconda il perdono di sé e la terza il perdono delle situazioni.

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Il progresso scientifico è spesso caratterizzato da una transizio-ne da una visione statica ad una visione dinamica dei fenomeni; il maggior contributo della ricerca allo studio del perdono sta proprio nell’aver evidenziato l’aspetto processuale e dinamico del perdono piuttosto che intenderlo come una caratteristica statica dell’individuo. Ciò comporta importanti implicazioni sulla pratica clinica, in quanto focalizza l’attenzione sulle possibilità di cambiamento, a prescindere dal livello iniziale; le persone che cercano un aiuto professionale per perdonare spesso sono a bassi livelli di perdono e ogni piccolo cam-biamento va considerato un progresso.

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NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psi-coterapia, 20001, pp. 272

Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

Giusti E. - Ciotta A.,Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005,pp. 256

Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professiona-le, 2005, pp. 256

Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’iden-tità verso la relazione, 2006, pp. 208

Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trat-tamento terapeutico, 2006, pp. 240

Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologi-ci integrati, 2007, pp. 224

Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp.464

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NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psi-coterapia, 20001, pp. 272

Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

Giusti E. - Ciotta A.,Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005,pp. 256

Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professiona-le, 2005, pp. 256

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Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trat-tamento terapeutico, 2006, pp. 240

Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologi-ci integrati, 2007, pp. 224

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Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling,2003, pp. 160

Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violented’ira, collera e furia, 2003, pp. 224

Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160Giusti E. - Lazzari A.,Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione delSé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160

Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutivedei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396

Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia,2005, pp. 368

Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per pro-fughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192

Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficaciaed efficienza, 2005, pp. 320

Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie col-lettive integrate, 2004, pp. 304

Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione,1999, pp. 144

Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionaledel libero professionista, 1993, pp. 128

Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicolo-gico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192

Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004,pp. 240

Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione dellerisorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208

Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari epsicosociali, 1999, pp. 184

Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinicointegrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176

Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicotera-peutica, 2005, pp. 176

Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei tratta-menti psicologici, 2005, pp. 160

Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico comple-mentare per le demenze, 2004, pp. 144

Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

Nella stessa collana

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Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001,pp. 144

Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007,pp. 272

Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268Goldfried M.R.,Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psi-coterapie, 2000, pp. 288

Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp.576

Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata,2000, pp. 368

Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-com-portamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288

Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I:“Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400

Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II:“Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384

Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

Videodidattica per le psicoterapie scientifichedell’American Psychological Association

• Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapiabreve integrata di J. Preston € 120,00

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• Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centratasulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

Nella stessa collana

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• Video EMDR per Traumi: Movimento oculare Desensibilizzante eRielaborazione F. Shapiro + Libro Trattamenti Psicologici in Emergenza di E.Giusti, C. Montanari € 118,00

• Video La Terapia Eclettica Prescrittiva J.C. Norcross + Libro PsicoterapiaPrescrittiva Elettiva, fondata sull’evidenza di Beutler/Harwood € 120,00

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Nella stessa collana

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EDIZIONE SOVERA STRUMENTI

Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapiafocalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per ilcambiamento, in corso di stampa, pp. 368

Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione tran-sitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia plura-listica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580

Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, dia-gnosi e cura, 2006, pp. 240

Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base:dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256

Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicotera-pie innovative, 2007, pp. 400

Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza.Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa

Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’e-videnza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464

Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativodi strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480

Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007,pp. 304

Nella stessa collana

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