La teoria dell' archetipo tristaniano - uniroma1.it teoria... · Alberto Varvaro. La teoria dell'...

47
Romania La teoria dell' archetipo tristaniano Alberto Varvaro Citer ce document / Cite this document : Varvaro Alberto. La teoria dell' archetipo tristaniano. In: Romania, tome 88 n°349, 1967. pp. 13-58; doi : 10.3406/roma.1967.2595 http://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1967_num_88_349_2595 Document généré le 19/03/2017

Transcript of La teoria dell' archetipo tristaniano - uniroma1.it teoria... · Alberto Varvaro. La teoria dell'...

  • Romania

    La teoria dell' archetipo tristanianoAlberto Varvaro

    Citer ce document / Cite this document :

    Varvaro Alberto. La teoria dell' archetipo tristaniano. In: Romania, tome 88 n°349, 1967. pp. 13-58;

    doi : 10.3406/roma.1967.2595

    http://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1967_num_88_349_2595

    Document généré le 19/03/2017

    http://www.persee.frhttp://www.persee.fr/collection/romahttp://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1967_num_88_349_2595http://www.persee.fr/author/auteur_roma_294http://dx.doi.org/10.3406/roma.1967.2595http://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1967_num_88_349_2595

  • LA TEORÍA DELL'ARCHETIPO TRISTANIANO

    Il problema délie forme più antiche délia materia tristaniana in area francese non soltanto è uno dei più complessi e dibat- tuti délia filología médiévale, ma implica e coinvolge le nostre concezioni sui processo di formazione di una tradizione romanzesca, sui suoi materiali, sulla loro utilizzazione e sui loro inserimento in strutture nuove, condizionate da nuove motivazioni. Esso mérita perciô un accurato riesame, che non puö non partiré da un rápido inventario dei testi di cui possiamo servirci per il nostro lavoro.

    i. I testi tristaniani antichi. I testi tristaniani antichi, i soli che possano soccorrerci, sono corne è ben noto soltanto quattordici :

    i) i 3 144 ottonari che sono i resti frammentari del romanzo anglonormanno di Thomas d'Angleterre, scritto dopo il 1155 e forse fra il 11 70 ed il 1 175 ' e che doveva contare circa 20 000 versi ;

    2) il frammento del romanzo di Beroul (4 485 versi), probabilmente normanno, della fine del sec. xii 3 ;

    1. È questa la datazione di J. Frappier, Structure et sens du Tristan : ver-r sion commune, version courtoise, in « Cahiers de civilisation médiévale », VI, 1963, p. 256-280 e 441-5 54, a p. 259 ; B. Wind, la più recente éditrice dei frammenti (Les fragments du Tristan de Thomas, Leiden, 1950 e Genève-Paris, i960) oscilla da una datazione 1180-1190 della 1» ediz. a quella u 50-1 160 della seconda. È sempre indispensable Thomas, Le Roman de Tristan, p. p. J. Bédier, voll. 2, Paris, 1902-1905 (SATF).

    2. Cfr. Beroul, Le roman de Tristan, éd. E. Muret et L. M. Defourques [=*= M. Roques e L. Foulet], Paris, 1947 (CFMA), o Beroul, The Romance of Tristram, ed. by A. Ewert, I, Oxford, 1939 (e ristampe).

  • 14 A. VARVARO 3) il Lai du Chevrefeuil di Marie de France (118 versi, seconda meta del

    sec. xii) ! ; 4) la Folie Tristan detta di Berna, breve racconto normanno di 572 versi 2 ; 5) la Folie Tristan di Oxford, anglonormanna, più ampia della precedente

    (998 versi), ma pressappoco contemporánea (fine del sec. xn) ' ; 6) la vasta compilazione del Tristan en prose, a quanto pare cominciata da

    un Luce del Gat e portata a termine da un Hélie de Boron; scritto fra il 121 5 ed il 1235, è il più fortunato fra i testi tristaniani, conservato da almeno 77 manoscritti e stampato otto volte fra il 1489 ed il 1533 * ;

    7) i 158 versi del Tristan rossignol, inseriti nel Donnei des amanz e come questo anglonormanni, verosímilmente della fine del sec. xn s;

    8) il Tristan ménestrel, di 1 524 versi, anch'esso inserito in un'opera più vasta, la continuazione del Perceval di Chrétien de Troyes attribuita a Gerbert de Montreuil (1226- 12 30 circa) 6 ;

    9) il romanzo tedesco di Eilhart von Oberg, scritto probabilmente verso il 11 70, di cui ci rimangono soltanto un migliaio di versi conservatici dai frammenti di tre diversi manoscritti, nonché un testo modernizzato del sec. xv (9 524 versi), un adattamento in prosa ed una versione in ceco ? ;

    10) il romanzo di Gottfried von Strassburg (1200-1220 circa), troncato al v. 19552 dalla morte delFautore e continuato più tardi da Ulrich von Türheim e da Heinrich von Freiberg 8 ;

    it) il Tristan als Mönch, racconto episódico di 2 705 versi, del sec. xin 9 ;

    1. Si puö vedere nelle numeróse edizioni di Marie de France : in quella di K. Warnke, 3» ediz., Halle, 192s (Bibliotheca Normannica, III), o in quella del Battaglia, Napoli, 1948, o in quella del Neri, Torino, 1946.

    2. Cfr. la 2a ediz. a cura di E. Hoepffner, Paris, 1949. 3. Cfr. la 2a ediz. a cura di E. Hoepffner, Paris, 1943. 4. Manca ancora un'edizione moderna completa : R. L. Curtis, Le Roman

    de Tristan en prose, München, 1963, ha stampato i primi 444 paragrafi, meno di un décimo del totale ; nelle p. 34-35 di questo volume si trovera l'elenco di tutte le pubblicazioni parziali fino al 1959.

    5. Le donnei des amanz è stato edito da G. Paris in « Romania », XXV, 1896, p. 497-541-

    6. Cfr. Gerbert de Montreuil, Continuation de Perceval, p. p. M. Williams, I, Paris, 1922, w. 3309-4832.

    7. I frammenti del testo originale sono in Eilhart von Oberg, Tristrant, hgg. von K. Wagner. Bonn-Leipzig, 1924; il testo del '400 nell'ediz. di F. Lichtenstein, Strassburg, 1877 : ivi anche le notizie sugli altri testi.

    8. La migliore edizione è quella di F. Ranke, Berlin, 1930(6 ristampe). Se ne ha una completa traduzione italiana, Torino, 1955.

    9. Cfr. l'ediz. di H. Paul in « Sitzungsberichte der Münchner Akad. der Wiss. », 189s, p. 317 ss. II poemetto si trova in due mss. di Gottfried.

  • LA TEORÍA DELl'aRCHETÍPO TRIS ANIANO 1 5 12) la Tristan Saga in prosa norrese, completata dal moñaco Roberto

    nel 1226 e dedicata al re di Danimarca Haakon V ' ; 13) il Sir Tristrem in medio inglese (1294-13 30 circa), ehe conta 3 343

    versi ma è privo della fine * ; 14) i capitoli LXIII-LXVII della trecentesca Tavola Ritonda, vasta compi-

    lazione cavalleresca in prosa italiana 3.

    Ai quattordici testi che abbiamo elencato fanno seguito molti altri, più tardi e meno rilevanti per il nostro assunto 4. Ma non si deve dimenticare che alcuni testi sonó andati completamente perduti e non ne conosciamo altro che la semplice menzione. Chrétien de Troyes include nel catalogo delle sue opere inseríto aH'inizio del suo Cligés un racconto « del roi Marc et Iseut la blonde » (v. 5) di cui è impossibile precisare restensione ed il contenuto. Mulla sappiamo di un altro romanzo certamente assai fortunato, dato che il suo autore è incluso in un elenco dei maggiori poeti della seconda meta del sec. xii : « Et Li Kievres qui rimer valt/L'amour de Tristran et disait» *, passo che trova conferma in una tarda branca del Roman de Rtnart, il cui anónimo autore ritiene a tutti nota « la pai ne/de Tristant, dont LaChievre fist/qui assez bêlement en dist » 6. Ad essi andrà forse aggiunto l'enigmatico Breri, su cui torneremo più avanti.

    1. Cù. Saga a f Tristram ok Isönd, ed. G. Brynjúlfsson, Copenhagen, 1878, e E. Koelbing, Die nordische und die englische Version der Tristan-Sage, I, Heilbronn, 1878 ; la Saga è parzialmente tradotta in The Romance of Tristram and Ysott by Thomas of Britain, by R. S. Loomis, New York, 195 1.

    2. Cfr. Koelbing, op. cit., II, Heilbronn, 1882, e l'ediz. di G. P. MdNeill, Edinburgh, 1885-1886.

    3. Cfr. l'ediz. di F.-L. Polidori, 3 voll., Bologna, 1864-1865. 4. Cfr. perô i capitoli tristaniani del volume Arthurian Literature in the

    Middle Ages, ed. by R. S. Loomis, Oxford, 1959. 5 . Il passo è trat to da un miracolo mariano di autore anónimo ; fu segna-

    lato da G. Gröber nel Grundriss der romanischen Philologie, I, Strassburg, 1888, p. 530, e poi sum pato per intero da W. Foerster in Christian von Troyes, Erec und Enide, Halle, 1890, p. XIII. L'ultima delle posteriori ri- stampe è quella di G. Favati in « Studi mediolatini e volgari », VIII, i960, p. 91.

    6. Cfr. Le roman de Renart, p. p. M. Roques, II, Paris, 1951 (CPMA), vv. 3736-3738.

  • I 6 A. VARVARO

    A questa vastissima tradizione diretta va aggiunta quella indiretta, ancor più imponente : alcune centinaia di menzioni in poeti e prosatori lungo tutto l'arco del Medio Evo ' e numeróse raffigurazioni inarazzi, coperte da letto, avori, mattonelle ecc. 2.

    2. La tesi del Bèdier. — Come sistemare una tradizione cosí varia e ricca in una convincente prospettiva storica, ordinandola secondo precisi rapporti ? L'impresa è considerata in genere di soluzione relativamente facile, poiché da più di sessanta anni è convinzione diffusa che la materia tristaniana, quale che sia la sua origine remota, abbia trovato una prima sistemazione a livello d'arte in un grande romanzo francese scritto verso la meta del sec. xn ed oggi perduto ; da esso, dunque da un'opera letteraria compiuta, cui gli studiosi sono soliti far crédito di una qualità ancor superiore a quella, invero assai ragguardevole, dei testi pervenutici, da esso — diciamo — proverrebbero più o meno direttamente tutte le versioni délia storia a noi note.

    La fortuna di questo archetipo tristaniano, già prima ipotiz- zato qua e là timidamente 3, è fondata su uno studio magistrale di Joseph Bédier, nel secondo volume délia sua edizione di Thomas. La tesi del grande medievalista ha raccolto consensi vastissimi, anche da parte di studiosi in genere alieni dal riconoscere una filiazione strettamente letteraria alie opere del secólo xii ; su di essa, come su base fermissima, hanno costruito quanti si sono affannati a dare un nome ed una fisionomia alFignoto autore. Non sono mancati gli oppositori, ed anche agguerriti ed autorevoli 4, ma la teoria dell'archetipo trista-

    1. Cfr. H. R. Williams, Allusions à la légende de Tristan, in « Bull. bibl. Soc. Int. Arthurienne », n° 12, i960, p. 91-96, non completo e non privo di errori.

    2. Cfr. R. S. e L. H. Lootnis, Arthurian Legends in Medieval Arts, New York, 1938, p. 42-69.

    3. Ad esempio da W. Röttiger, Der heutige Stand der Tristanforschung, Hamburg, 1897.

    4. Bastí rinviare ad A. Pauphilet, Le legs du moyen âge, Melun, 1950 p. 107-125 ; A. Fourrier, Le courant réaliste dans le roman courtois en France au Moyen Age, I, Paris, i960, p. 32 ss. ; J. Frappier, Structure et sens cit., p. 258.

  • LA TEORÍA DELL'aRCHETIPO TRIST ANIANO 1 7

    niano resta una nozione vulgata dalle radici ancora assai solide. Ció non è accaduto senza ragione : Bédier produceva a prova

    délia sua tesi addirittura la ricostruzione, mirabile per acume e dominio di una materia cosi intricata, del poema perduto ; ed era ricostruzione tanto convincente e definitiva che pochi sisón chiesti seil procedimento con cui Bédier l'aveva ottenuta fosse veramente corretto e molti, anzi, hanno creduto di poter essere piú bédieriani del Bédier e mentre questi ammetteva l'esistenza di narrazioni tristaniane non provenienti dall'arche- tipo, già il Golther, abbandonata ogni prudenza, aftermava senz'altro che non v'è nulla di materia tristaniana che non scorra dalla fonte magnifica deirarchetipo *. Poiché ancora qualche anno fa il Delbouille poteva giustamente afFermare che « sa démonstration [del Bédier] n'a guère été contestée 2 » non ci pare inutile riesaminare con qualche minuzia il procedimento del maestro francese.

    Bisognaanzituttoriassumereilcap. V del suo volume (p. 168- 187), che ha per titolo : « Qu'il a existé, à la base de toute la tradition poétique de Tristan, un poème unique, archétype commun de tous les romans connus». La tesi che Bédier esamina e si propone di refutare è quella, tipicamente romántica,

    1. W. Golther, Tristan und Isolde in den Dichtungen des Mittelalters und der neueren Zeit, Leipzig, 1907, ad es. p. 13 e 67-68. Che il Golther abbia affermato l'esistenza di un archetipo tristaniano press'a poco contemporáneamente a Bédier è parsa una decisiva conferma della tesi di quest'ultimo. Ma in realtà Golther non produceva nessuna dimostrazione della sua opinione ma si limitava a raccogliere idee del Röttiger che aveva già sfruttato in uno scritto del 1900 (Bemerkungen \ur Sage und Dichtung von Tristan und Isolde, in « Zeits f. franz. Sprache und Literatur », XXII, 1900, p. 1-23). L'unico suo argomento. era questo : « Alle diese Tristangedichte zeigen im Gesamtbild der Handlung von Anfang bis zu Ende, wie auch in den meisten Einzelheiten so enge Verwandtschaft, dass eine gemeinsame Vorlage mit Sicherheit vorauszusetzen ist» (Tristan und Isolde cit., p. 1 e cfr. p. 4 e 37) La sua ricostruzione dell'archetipo è poi assolutamente arbitraria, a differenza di quella del Bédier. La somiglianza delle tesi dei due Studiosi si spiega bene col clima cultúrale dei primi anni del secólo e con la polémica contro il popola- rismo tardo-romantico ed a pro' dell'opera d'arte cosciente.

    2. Cfr. M. Delbouille, Le premier Roman de Tristan, in « Cahiers de civilisation médiévale», V, 1962, p. 273-286 6419-435, a p. 274.

    Romania, LXXXVIII. 2

  • I 8 A. VARVARO

    che Gaston Paris riassumeva nell'affermazione che sonó esistiti dei récits oraux, dei lais, dei courts poèmes che sono stati poi assorbiti « dans les grands poèmes où l'on a essayé de réunir en une histoire suivie toutes les aventures de Tristan, depuis sa naissance jusqu'à sa mort1 ». Bédier spiega magistralmente che quest'idea, perfettamente adeguata aile teorie estetiche romantiche, sembra confermata dalla confusione délia tradi- zione tristaniana, dalla sua frammentarietà, dalla difficoltà di ordinaria in schemi storici. Ma Bédier disponeva di un dato nuovo : egli aveva riconosciuto ed ordinato tutti i derivati del romanzo di Thomas, vale a dire Gottfried von Strassburg, la Saga, il Sir Tristrem, la Folie d'Oxford e la Tavola Ritonda, e comparandoli aveva ricostruito con buona approssimazione il testo di Thomas anche per le parti perdute. Cosi egli aveva, d'un sol colpo, restaurato un testimonio imponantissimo e ne aveva eliminad molti di importanza secondaria.

    Non tenendo conto dei testi puramente episodici non rima- nevano dunque che quattro stesure primarie : Eilhart, Béroul, Thomas ed il romanzo in prosa (p. 172) 2, con la probabilità che i primiduedebbano associarsi come derivati da una stessa fonte 3. Tutti e quattro i nostri testi danno complessivamente circa éo episodi, di cui soltanto venti sonó propri ognuno di un solo testo ; gli altri quaranta invece sono comuni a due o più versioni e si succedono nel medesimo ordine. Tutte le altre testimo-

    1. Cfr. G. Paris, Poèmes et légendes du moyen âge, Paris, s. d., p. 149. 2. Corne si notera, Bédier pare assai incerto nella valutazione délia Folie

    di Berna, che qui non è elencata ma che altrove appare come testo primario. Noi seguiamo il variare délia sua opinione. Del resto l'apporto del testo, pur utilissitno, è assai limitato.

    3 . Come si vede dallo stemma riassuntivo di p. 309, Bédier rjteneva appunto ehe Eilhart e Béroul dipendessero da una fonte comune, y. Questa opinione, che si fonda sull'ipotesi che due motivi comuni ad Eilhart e Béroul, cioè le due visite ad Ogrin e l'efficacia limitata del filtro, siano tratti estranei al- l'archetipo e quindi errori congiuntivi, èstata contraddetta da molti (Golther, Schoepperle, Vinaver, Fourrier : cfr. J. Van Dam, Tristanprobleme, in « Neophilologus », XV, 1930, p. 18-34, 88-105, 183-201, e Delbouille, op. cit., p. 275). Se poi si rinuncia allô schema di una tradizione meccanica, e perianto agli errori congiuntivi, essa appare ancor più improbabile : cfr. A. Var- varo, // «Roman de Tristran» di Béroul, Torino, 1963, p. 21-22.

  • la teoría dell'archetipo tristaniano 19

    nianze ed allusion i note si riferiscono aile scene che conosciamo in esemplare múltiplo (p. 173).

    « II faudra bien qu'à la base commune de leurs œuvres on reconnaisse une pensée intelligente qui a une première fois disposé en cet ordre les données communes que voici » (p. 173- 174). Infatti un breve riassunto délia storia rivela una lógica ed un'armonia costruttiva che non hanno riscontro nelle avventure di Gauvain o di Lancelot; di aggregati veri e propri noi non conosciamo che il Roman de Renart: in esso, dato il tema centrale, se ne derivano invenzioni e sviluppi senza fine ma in nessun modo si giunge ad una struttura solida. Il Tristano è tutt'altra cosa : « L'unité de création s'y manifeste de deux façons : il y a progression logique de l'action d'une péripétie à l'autre ; et ces péripéties sont subordonnées au développement des caractères une fois posés des personnages » (p. 175). Per provare queste affermazioni il Bédier dà un nuovo e più ampio riassunto (p. 175-177) segnalando tutti gli elementi di coesione e di progressione, specie nelle sofferenze degli amanti. L'inserimento di questi tratti comuni in narrazioni ognuna assai nettamente caratterizzata non toglie nulla alla loro unità originaria, del resto cpnservata assai da vicino da Béroul e da Eilhart. Questa unità è Topera di un creatore, il riflesso di un primo poema.

    Alle stesse conclusioni si giunge studiando i caratteri. Gli episodi ricavati da materiale folclorico sono perfettamente adeguati ad essi e non mostrano segni di aggregazione meccanica : « chacun de ces thèmes de folk-lore nous apparaît dans la légende, non pas tel qu'il vit dans les différentes littératures populaires, mais déformé, mais ployé aux fins d'un romancier qui le façonne à bon escient, le soumet à un plan d'ensemble, le soumet aux caractères, une fois définis, de ses personnages » (p. 179-180). Egli cita ad esempio il racconto del capello d'oro misteriosamente trovato da Marco, dell'uccisione del drago e deirimpostore smascherato, délia sostituzione délia moglie con un'anceila durante la notte di nozze. Tutto tradisce «l'activité d'une intelligence consciente » (p. 183).

    Lo studioso passa ora ad esaminare il testo di Béroul, dal tranello del fior di farina fino al perdono di Isotta ; tutto il racconto gli appare basato su di un postulato morale e sociale

  • 2O A. VARVARO

    del tutto particolare : l'identificazione, in qualche modo, del- l'innocenza morale con l'apparenza giuridica di essa. Senza di ció tutto crolla, eciô non puô essere stato concepito « qu'en pleine civilisation féodale, à l'instant précis où, la procédure du duel judiciaire restant très vivace, on commençait pourtant, presque inconsciemment encore, à admettre que la ruse et la force y pouvaient aider parfois l'un des champions » (p. 185). Questa versione non puô essere che primaria, dopo di essa non puô esserci che meschina deformazione, poiché essa non puô essere resa né più arcaica né più moderna : il tentativo di Thomas, e dopo di lui di Gottfried, che non credono più al giudizio di Dio, di modifícame la struttura, è valso soltanto a ridurlo a frammenti (fior di farina, vita nella foresta, guanto di Marco) e « s'effondre chez eux d'une chute risible » (p. 186). Ciô conferma l'esistenza di un poema regolare composto da un uomo di genio. E una teoria meno bella di quella romántica di una leggenda lentamente elaborata dalla collaborazione di popoli e generazioni diverse ? Forse, ma è più vera.

    Bisogna dunque tentare di ricostruire quest'opera. Dai lavori di classificazione risulta che tutti i romanzi di Tristano derivano da tre testi : Thomas, Eilhart, il romanzo in prosa; solo Béroul e forse la Folie di Berna sonó indipendenti dai primi tre. Abbiamo dunque quattro o cinque versioni primarie, e poiché adesso 10 studioso dispone di Thomas e dei necessari estratti del romanzo in prosa ' egli si propone di comparare i cinque testi chiedendosi se sonó veramente indipendenti, se si distribuiscono in gruppi opposti (una « versione giullaresca » ed una « versione corteses) e come vadano interpretati i loro accordi e le loro divergenze. Egli dichiara di averli comparad tratto per tratto chiedendosi quale variante possa ogni volta pretendere la priorità; ma il procedimento lasciava un margine troppo largo alla soggettività. Ora, dopo vari assaggi, egli s'è accorto che quando la comparäzione era fatta su tre testi i tratti che il gusto, 11 sentimento, la lógica stimavano primitivi godevano sempre

    1. Nelle p. 321-395 del vol. II Bédier stampa « le parti antiche del romanzo in prosa francese », utilizzando il ms. 103 del fondo francese délia Bibliothèque Nationale di Parigi, tranne che per l'appuntamento spiato, mancante in questo manoscritto e tratto dal 757 della Bibl. Nat.

  • LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 21

    di attestazione plurima e quelli giudicati secondari rimanevano isolati; anche le apparenti eccezioni scomparivano ad un secondo esame. Unica eccezione era quella del gruppo Béroul- Eilhart, riunito anche in varianti meno soddisfacenti di quelle concorrenti. Il risultato è l'indipendenza dei testimoni fra di loro, come risulta dallo stemma seguente l :

    \ Folk Tristan y Thomas Romanzo in prosa

    (T)

    Eilhart (O)

    Data q uesta situazione non resta che registrare meccanicamente le concordanze da un lato e le varianti dall'altro, evitando ogni scelta in base alie dubbie ragioni della lógica o del gusto : « jamais n'intervient notre choix» (p. 193). Il racconto che ne risulta è continuo, eccellente ; tutte le concordanze appaiono chiaramente primarie e nessun tratto isolato risulta preferibile aile versioni maggioiïtarie.

    Dopo aver compiuto questo lavoro di ricostruzione dell'arche- tipo, il capitolo di « Résultats et conclusion » riprende e ripete queste affermazioni, si chiede di cosa si sia servito il poeta dell'archetipo e riafFerma che « sauf les variantes imaginées par les épigones... nos tables de concordances et de divergences contiennent tout ce que nous savons de la légende de Tristan » (p. 31 1-3 12). Tutti i tratti scartati sono rimaneggiamenti secondari. « Seuls, les quelques épisodes que voici ne procèdent pas, semble-t-il, du poème premier : la triade galloise de Tristan porcher ; — le conte de Petitcrû ; — une allusion de Béroul (v. 3550) à une aventure d'Iseut où le roi Arthur aurait été mêlé; — une allusion faite à un personnage nommé Gamarien par la Folie Tristan du manuscrit de Berne (v. 380); — le

    1. Questo schema, dato a p. 192, non differisce sostanzialmente da quello finale di p. 309, più complicato perché include tutti i testi antichi.

  • 22 A. VARVARO

    meurtre de Godoïne et de Denoalen chez le continuateur de Béroul; — l'histoire de Tristan contrefaisant la voix du rossignol dans le Donnei des Aman\ ; — l'épisode de Tristan déguisé en jongleur dans l'une des continuations de Perceval ; — peut-être l'épisode des oreilles de cheval de Marc, chez Béroul » (p. 312) l.

    3. La contaminazione fra le diverse versioni. — Passiamo adesso a saggiare la solidità di questa dimo^trazione, condona dal Bédier con tutto il fascino della sua lógica brillante e stringente e con la consueta arte della prosa. Riordineremo gli argomenti nel modo che ci parrà più conveniente e cominceremo dal fundamento filológico che giustifica la rico* struzione dell'archetipo.

    Il Bédier ha impostato la questione esattamente come un editore di testi, anzi come un editore della scuola del Lachmann (ed è assai singolare che appena pochi anni dopo sia stato pro- prio lui a condurre una polémica spietata contro la vecchia scuola germánica, per dimostrare l'inefficienza del método degli errori comuni e della ricostruzione fondata sulla contaminazione di fonti diverse). Egli dunque ha cominciato col cercare gli errori comuni ai testi di cui disponeva. Ma cosa puô essere « errore » nella trama di un racconto ? Bédier aveva l'esperit-nza del suo grande studio sui fabliaux 2 e risolse la questione in modo correttissimo, definendo errori i trattiavventizi. Ma un giudizio di recenziorità non puô fondarsi, per un elemento narrativo, sui dati di cui dispone un editore di testi : la conoscenza del- l'evoluzione lingüistica nel tempo, Yusus scribendi dell'autore, la métrica ecc. Rimane solo il criterio più soggettivo, la con- gruenza maggiore o minore dei diversi tratti concorrenti con

    1. Delbouille, op. cit., p. 420, ve Je in Béroul 3546-3547 (questa è la numerazione délie edizioni più receuti) un accenno all' episodio délie falci, narrato da Eilhart, cheè una variante del motivo III del tipo 950 di A. Aarne e S. Thompson, The Types of the Folk-tale, Helsinki, 1928, vale a dire « Rhamp- sinitus » o « The Master Thief », il diffusissimo racconto attestato già in Erodoto II, 121, e che si ritrova anche in Boccaccio, Decameron II, 2 (cfr. anche S. Thompson, Motif-Index of Folk-Literature, voll. 6, Copenhagen, 195 5-1958, H 58 e K 415). L'allusione a Gamarien puö identificarsi con l'episodio dill'arpa e della rota : cfr. Delbouille, op. cit, p. 276 ss.

    2. J. Bédier, Les fabliaux, 6* ediz., Paris, 1964.

  • LA TEORÍA DELL'ARCHETIPO TRIST ANIANO 2}

    la presunta faciès cultúrale del testo da restaurare : « il gusto, il sentimento, la lógica », come dice Bédier stesso.

    Non si deve dimenticare che Bédier immediatamente prima aveva ricostruito in maniera magistrale il romanzo di Thomas. Questo lavoro aveva notevolmente sfoltito il campo délie stesure da tener presenti per la ricostruzione dell'archetipo ed insieme aveva suggerito un método ed additato una meta. Abbiamo visto che di Thomas restaño solo frammenti, ma da lui derivano la Saga norrese, il romanzo di Gottfried von Strassburg, il Sir Tristrem, la Tavola Ritonda ed infine la Folie di Oxford. Cinque testi, come cinque sono i derivad priman dell'archetipo. Come aveva reintegrato il testo di Thomas in base agli accordi meccanici della maggioranza dei testi disponibili contro divergenti lezioni isolate, cosi egli ritenne di poter procederé in modo assolutamente oggettivo alla ricostruzione dell'archetipo grazie agli accordi di due o tre o quattro dei rami del suo stemma, da noi riprodotto più sopra.

    Ma si verificavano le condizioni necessarie per procederé ad una ricostruzione meccanica ? Se apriamo al § 6 l'aureo manualetto di Paul Maas sui principi della critica testuale ' potremo leggere queste parole :

    « A fondamento di quello che stiamo per dire [sulla ricostruzione degli archetipij, sta il presupposto :

    a) che le copie posteriori alla prima ramificazione della tradizione rendano sempre ciascuna soltanto un esemplare (cioè che nessun copista « contamini », ossia fonda insieme più esemplari) ;

    V) che d'altra parte ciascun copista consapevolmente o inconsapevolmente si allontani dal suo esemplare (cioè commetta errori propri) ».

    E chiaro cosa ció significhi per il nostro problema. Non c'è dubbio che il punto b trovi riscontro in tutti i nostri testi, perché non c'è dubbio che ognunodegli autori ha adattato, più o nieno, la materia che utilizzava alie sue tendenze ed al suo gusto. II punto a si verifica nel caso dei derivati di Thomas, perché è inverosimile che uno di essi abbia contaminato con altre versioni della medesima tradizione. II testo più antico è la Folie, che senza dubbio ricava i suoi rapidi accenni direttamente da

    i. P. Maas, Critica del testo, trad, ital., Firenze, 1952, p. 4.

  • 24 A. VARVARO

    Thomas ', Gottfried non ha certo usato la Folie, da cui non avrebbe potuto trarre praticamente nulla, né puô essere statola fonte della Saga, sia perché il suo testo è incompleto e quello del moñaco Roberto no, sia perché è chiaro che costui si serve di íonti francesi, sia perché è inverosimile che il romanzo tedesco sia giunto cosi rápidamente in una Norvegia duer.entesca aperta ad influenze letterarie francesi o meglio anglonormanne ma non tedesche 2. Lo stesso puô dirsi per il Sir Tristrem nei riguardi di Gottfried, e d'altro canto dove il poemetto coincide con i frammenti di Thomas e con la Saga è chiaro che esso deriva dal primo e non dalla seconda, come era prevedibile. Rimane la Tavola Ritonda, che in ogni sua parte si serve di fonti direttamente o indirettamente transalpine, ma non certo norresi o tedesche o inglesi bensi francesi. Ci pare perciô che la rico- struzione bédieriana di Thomas sia fondata su solide basi e si possa forse confutare nei particolari ma non certo nel complesso.

    Ma il caso dell'archetipo è assai diverso. Dei quattro testi- moni principali (T, B, O, R) tre sonó francesi e almeno tre sonó cosi vicini nel tempo da rendere impossibile un ordina- mento cronológico, tanto piu che di nessuno conosciamo la data esatta. Tutti appaiono in un momento ed in aree in cui la storia tristaniana conosce una fortuna rápida e vastissima ed è nota a tutti ; tutti hanno avuto un qualche successo e possono quindi avere influenzato i testi posteriori K

    1. Non senza qualche incongruenza e non senza utilizzare anche altri testi, soprattutto Fb da cui trae addirittura lo schema narrativo, nía anche Wace e forse Marie de France : cfr. l'ediz. Hoepffner cit., p. 7-12 e 1 5-19.

    2. È ben vero che Gottfried utilizza a volte Eilhart, contaminándolo con Thomas (cfr. G. Ehrismann, Geschichte der deutschen Literatur bis %um Ausgang des Mittelalters, 1 1/2, I, München, 1954, p. 302), ma poiché la conta- minazione è con un testo estraneo alla tradizione di Thomas il suo contri- buto rimane immediatamente isolato in sede di confronto congli altri derivati e non disturba la ricostruzione.

    3. Il succeso di Thomas risulta dal numero e dalla vastissima area di di- spersione dei suoi derivati. Quello di Béroul lascia tracce nella Folie di Berna e in un gruppo di testi del romanzo in prosa fra cui il ms. 103, nonché in parecchie citazioni indirette. La fortuna del romanzo in prosa è testimoniata dal numero dei manoscritti e dalle versioni in varie lingue e dura fino

  • ilMfirn tiiwÉfiin ii ni iri i ifiHi« iUttirii ihaniirliH^KgMiiÍMriSi¡gáBMinfiSí tManaiiiiiS Uitjac JiiBniw i linimrr '~,'"'->-^-^Tiitt^iiiin«,ii"~h-"*-¿* *J~a-

    LA TEORÍA DELL'aRCHETIPO TRIST ANIANO 2$

    Esaminiano il caso del romanzo in prosa. S'è sostenuto con molta tenacia ma senza ombra di prova che esso è basato su una o più fonti assai antiche '. Sia pure; ma la sua stesura è comunque duecentesca ed avviene in un ambiente, quello anglonormanno, ormai saturo della leggenda nelle sue varie versioni, onde un tratto qualsiasi delle pretese fonti arcaiche puö essere stato sostituito dagli estensori, che lavoravano tanto liberamente da trasformare il racconto tristaniano in una summa di avventure cavalleresche di ogni genere e dai più diversi protagonist^ con una variante proveniente da altra fonte, né è detto che la fonte secundaria debba esser stata una sola e neppure che fosse un testo preciso e non piuttosto la cognizione delle versioni più diverse ed il loro confuso ricordo. Orbene, è stato riconosciuto da tempo che il romanzo in prosa utilizza Thomas. Lo stabili il Röttiger nel 1897 2, lo ammise il Kele- mina nel 1910 3 e più tardi il Vinaver ha indicato tutta una serie di tratti che R deriverebbe da T4. Non minore pare l'influsso di Beroul, da cui deriverebbe direttamente per la parte finale proprio il testo del ms. parigino 103 (quello usato da Bédier) ; ma anche per il testo originale si sono avanzad vari accostamenti, in ultimo e più consistentemente che mai ad opera del Delbouille *. Addirittura entrerebbe in gioco anche la Folie di Oxford, la cui utilizzazione nel romanzo in prosa è sostenuta dallo Hoepffner 6.

    all'invenzione della stampa (cfr. Arthurian Literature cit., p. 346). Tutti e tre questi testi hanno lasciato tracée nelle figurazioni di episodi della

    : cfr. l'opéra cit. dei Loomis. 1. Cfr. specialmente J. Kelemina, Geschichte der Tristansage, Wien,

    1923. 2. Nell'opera cit. prima, nella nota 3, p. 16. 3. J. Kelemina, Untersuchungen zar Tristansage, Leipzig, 1910, p. 71-78. 4. E. Vinaver, Etudes sur le Tristan en prose, Paris, 1925, p. 20 nota. Cfr.

    anche Van Dam, op. cit., p. 189. 5. Op. cit., passim especialmente p. 284-285. Che il ms. 103 avesse parti

    interpolate dalla fonte di Eilhart-Béroul (y di Bédier) era già noto ma Bédier non sembra preoccuparsene : è chiaro che i suoi risultati sono pericolosamente compromessi dalla scelta di questo tésto. Indicheremo altrove che anche Thomas è fonte di interpolazioni nel ms. 103.

    6. Cfr. la prefazkme di questo studioso alla sua ediz. cit., p. 1 3-1 5 .

  • 26 A. VARVARO

    Pertanto se un particolare del racconto è attestato, ad esempio, da TR con tro O Bédier lo preferirá perché esso ha per sé la maggioranza dei testi moni, ma questa maggioranza puó ben essere illusoria, se R ha in quel punto utilizzato, direttamente o indirettamente, proprio T, né possiamo in alcun modo sapere se il suo testo di base aveva la versione di O oppure un'altra ancora1.

    Se per il romanzo in prosa abbiamo fondatissimi dubbi, quanto a Thomas è il poeta stesso che ci confessa di conoscere numeróse e contrastanti versioni della storia e di contaminarle 2. Si potrebbe opporre che le varie versioni cui si riferisce Thomas sianorappresentanti di una tradizione stravagante. indipendente dall'archetipo 3, nía anche questa ipotesi, in quanto implica il riconoscimento di una ricca tradizione collatérale all'archetipo, impone Tammissione della possibilité che essa abbia influitosui nostri testi in modo massiccio, confondendo irreparabilmente i rapporti fra i veri discendenti ddl'archetipo.

    Per quanto riguarda Béroul ed Eilhart, infine, se si respinge, corne crediamo necessario, l'ipotesi di una fonte intermediary e se si am mette che il parallelismo stretto fra i due testi in una parte del brano bérouliano che ci rimane non sia estensibile indiscriminatamente a tutta la parte perduta, appare verosimile che ci sia stata anche qui una qualche contaminazione di cui non possuimo precisare né l'entità né la direzione.

    A questo punto bisogna pur parlare di Chrétien de Troyes e di Li Kievres. Bédier (p. 308, nota 2) aveva ragione a non includerli nel suo stemma riassuntivo, dato che si tratta di due

    . 1. È a->sai strano che Bédier non abbia discusso le idee di Röttiger, che conosceva bene, non solo per il ms. 103 ma neppure per il romanzo nel testo originario.

    2. Cfr. i vv. 835-846 del frammeiito. Douce (ediz. Wind ', p. 119) che citeremo e commenteremo più avanti. L'éditrice suppone che la conoscenza di versioni diverse sia alla base di due incongruenze nel racconto di Thomas, al v. 16 del frammento di Torino (p. 70 e nota) e soprattutto al v. 727 del frammento Douce (p. 114 e nota).

    3. Poco verosimile è l'ipotesi del Delbouille (op. cit., p. 273 nota) che possa trattarsi semplicemente di « amis de Thomas... ou de témoins

    appelés à l'appui de sa thèse ».

  • LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 2"]

    semplici incognite l, ma non si puô cancellare il sospetto che ambedue o almeno Li Kievres, che sembra aver avuto gran fama proprio per il suo romanzo tristaniano, possano essere stati fattori notevolissimi di contaminazione.

    Insomma, se i derivad dell'archetipo bédieriano hanno attinto, oltre che all'archetipo stesso, anche ad altre fonti, i casi possono essere due : o la contaminazione è avvenuta all'inter- no della tradizione che risale all'archetipo o è avvenuta con testi indipendenti da esso. A differenza che nel caso di Gottfried la seconda possibilité non è più favorevole della prima per la nostra ricostruzione dell'archetipo : infatti uno stesso elemento di provenienza estranea puô aver cancellato in più di una versione rimastaci il corrispondente elemento originario, creando una maggioranza ingannevole e penetrando, con le carte apparentemente in regola, nella ricostruzione di Bédier. Né si potrebbe ricorrere in questo caso al giudizio di relativa recenziorità, già cosi delicato e fragile, perché la tradizione estravagante appunto perché anteriore all'archetipo è arcaica

    -per definizione. È assai strano che Bédier abbia ammesso una qualche tradizione estranea all'archetipo, scarsa ma attiva su quasi tutti i nostri testi (dato che Petitcrû è in Thomas, l'al- lusione a Gamarien nella Folie di Berna, l'allusione ad Artù, l'uccisione dei baroni e le orecchie di Marco in Beroul), e non si sia reso conto di come essa guastasse irreparabilmente il suo stemma iimpido e confortante.

    Ma se lo stemma deve diventare più complesso, se si deve ammettere che la tradizione è più intricata di quanto credesse Bédier, allora cade la possibilità di una ricostruzione meccanica dell'archetipo perché non si verifica il presupposto a di Paul Maas, il quale scrive poco più avanti : « Contro la

    non si è ancora scoperto alcun rimedio » (p. 62). La ricostruzione bédieriana risulta dunque priva di corretto

    filológico.

    i . Tutti i tentativi di riconoscere in Chrétien o in Li Kievres gli autori dell'archetipo o di qualche altra fonte intermedia, quella di Béroul-Eilhart (y di Bédier) o altre, sonó purtroppo gratuiti e non sempre verosimili, specie nel caso di Chrétien, la cui personalità ci è ben nota. L'ultimo di questi tentativi è quello del Delbouille, op. cit., p. 433-434.

  • 28 A. VARVARO

    4. La coerenza della trama e dei caratteri. Potrebbe perô darsi che sia impossibile ricostruire l'archetipo ma che la sua esistenzarisulticomunque sicura o almeno assai verosimile. II Bédier aveva infatti invocato anche la coerenza ed armonia della trama e la stabilità dei caratteri, la « progression logique de l'action d'une péripétie à l'autre » ed il « développement des caractères une fois posés des personnages» (p. 175). Bisogna dunque esaminare anche questi due argomenti.

    Consideriamo la parte centrale del racconto, quella relativa alPesilio nella foresta del Morois '. Pur trascurando le numeróse varianti di minor conto è evidente che ogni versione ha una sua « progression logique de l'action » che non cor- risponde affatto a quella degli altri testi. Intanto tutta la prima parte, dalla condanna degli amanti alla loro fuga nel bosco, dipende dall'attestazione di OB, che almeno qua sono una voce sola, e di R, verosímilmente derivato da loro o dalla loro fonte; la menzione di Fb (vv. 445-463) deriva certamente da B, in quanto presenta quella correzione della tradizione che Beroul ha apertamente operato, corne vedremo meglio più* avanti, affinché Tristano non abbia a macchiarsi del sangue degli spregevoli lebbrosi 2. Sicché l'attestazione múltipla su cui si fonda Bédier qui almeno non esiste.

    L'azione è del resto diversamente atteggiata sia pure nel- l'ambito di una discendenza comune. Si veda come in R sia Tristano a liberarsi di forza délie corde che lo légano, ad impa- dronirsi di una spada ed a fuggire; più tardi gli amanti non si riducono, in questo testo, a vivere poveramente nel bosco ma prendono alloggio, con qualche servo, nel castello meraviglioso della Sage Damoiselle.

    Ma ad essere radicalmente diverso è soprattutto Thomas. Qui gli amanti non fuggono dopo una condanna a morte bensi sono pacificamente esiliati e se ne vanno insieme, tenendosi per mano, liberi di recarsi dove credano.

    1. Bédier, op. cit., II, p. 252-264. 2. II testo di Beroul è citato più avanti. Fb dice :

    Je n'an fis autre enbuschemant, Fors do Gorvenal solemant... Ainz par moi n'en fu un desdit..

  • la teoría dell'archetipo tristaniano 29

    Quando Bédier scrive : «Ils vivent dans la forêt (OBRT), traqués (OBR)» (p. 255), ciô è vero fino ad un certo punto, è una frase che riassume secondo unacoerenza del tutto nuova racconti diversissimi. A dire il vero gli amanti vivono nella foresta soltanto in OB, ché in R sono come s'è detto or ora in un magnifico castello (« Ce chastel estoit trop bel », ediz. Bédier, p. 362; e Isotta dice: «il est bel; ja mais ne m'en quier partir», ivi), in cui hanno il loro déduit, ed in Thomas si rifugiano nella « fossure a la gent amant», descritta cosi :

    « Elle était disposée habilement et par grant art. Elle était toute voûtée ; l'entrée en était creusée profondément sous la terre, et une route secrète y conduisait. Au-dessus de la caverne, il y avait un amoncellement de terre : un bel arbre y avait poussé; l'ombre s'en étendait au loin et protégeait les amants contre l'éclat et la chaleur du soleil... Auprès de la grotte jaillissait une source d'eau salutaire. Tout autour de la source, croissaient les plus belles plantes fleuries. Elle coulait vers l'est, et quand le soleil brillait sur les fleurs, le plus délicieux parfum s'en exhalait, et telle était la douceur de ces plantes que les ondes du ruisseau semblaient mêlées de miel 1 ».

    Gottfried non ha dovuto aggiungere molto per transformare « la fossure a la gent amant » nella sua Minnegrotte, il luogo ideale dell'amore perfetto.

    La rappresentazione della vita nella foresta è dunque in Thomas assai lontana dalla « vie aspre et dure » che con toni altamente drammatici ci descrive Beroul. E se è vero che in questo poeta i due amanti sono traqués, questa parola non è pertinente non solo per Thomas (che infatti non figura nella concordanza di Bédier) ma neppure per R, che narra corne Tristano mandi a chiedere a Marco il suo cavallo Passebreul e il cane Hudein e li ottenga senz'altro ; anzi qui è proprio Marco e non Tristano ad avère paura :

    « Le roy Marc savoit bien que Tristan estoit en la forest de Moroys, mais il ne savoit ou. Et pour ce n'osoit il aler en la forest qu'il n'eûst avec lui du moins vingt chevaliers armés* ».

    Ha dunque certamente torto Bédier a scrivere subito dopo,

    1. Ediz. Bédier, I, p. 236-237. 2. Bédier, op. cit., II, p. 362.

  • 30 A. VARVARO

    continuando nella ricostruzione dell'archetipo : « Les amants y mènent longuement une vie ' aspre et dure ' (OBRF) » (p. 256).

    Ricostruita la versione primitiva della sorpresa nella capanna, Bédier continua : « Ils [les amants] s'effrayent d'abord, craignant que le roi ne soit allé chercher du renfort ; mais bientôt ils comprennent sa clémence, et qu'il sera possible de trouver un accommodement avec lui (OBT}. Négociations (OB T) ... [sic] Marc reprend Iseut, tandis que Tristan reste exilé de la cour (OBR)» (p. 258).

    Anche questa volta la ricostruzione è illusoria e la coerenza del racconto bédieriano va sostituita con le diverse coererize délie diverse versioni. In Thomas gli amanti non sono stati condannati ma soltanto esiliati e dunque essi non hanno che temeré dal re ; infatti nella ricostruzione dello stesso Bédier si legge :

    « Quand Isolt s'éveilla, elle trouva le gant du roi, et ne put comprendre l'aventure. Tristan en fut aussi grandement surpris : ils ne savaient que faire, maintenant que le roi connaissait le lieu de leur retraite. Mais ce leur était une grande consolation et une grande joie de songer qu'il les avait trouvés en telle attitude qu'il ne pût rien leur reprocher 1 ».

    E lo stesso Marco a proporre al consiglio dei baroni che i due giovani siano riammessi a corte, sieche non è necessario alcun negoziato.

    Del tutto diverso dalla ricostruzione bédieriana è anche R, dove manca la scena della sorpresa degli amanti nel sonno, assolutamente centrale per la struttura drammatica del

    e dove Marco cattura senza difHcoltà Isotta, trovata per caso sola con una damigella nel castello in cui gli amanti risiedono. Neppur qui ci sono negoziati : mentre Isotta viene catturata Tristano, che si è addormentato nel bosco, è ferito con una freccia avvelenata da un varlet che vuole vendicare la morte del proprio padre per mano dell'eroe ; la piaga peggiora e poiché Isotta, chiusa da Marco in una torre, non puô porvi rimedio, Brengania consiglia a Tristano di recarsi nella Piccola Bretagna presso Isotta dalle Bianche Mani, che saprà curarlo.

    1. Ediz. Bédier, I, p. 242-243.

  • JÉJÉttfJMllWtl^^

    la teoría dell archetipo tristaniano 31

    Non restaño dunque che O e B, ma qui si rivela un altro grave difetto del procedimento di Bédier. Per ottenere l'atte- stazione plurima dei singoli tratti della sua ricostruzione egli ha dovuto svisare sia T che R, ma non per questo ha potuto conservare integralmente OB. Non soltanto ha escluso gli episodi, attestati nel solo Béroul, delle orecchie equine di Marco, dell'invenzione dell'arco che non erra e dell'uccisione di un fellone per mano di Governale, ma è gravissimo, e muta

    proprio quella coerenza del racconto che si dovrebbe dimostrare, che scompaiano due tratti come la fine dell'azione del filtro e l'incontro (o gli incontri, a seconda che si preferisca 0 oppure B) degli amanti con l'eremita Ogrin. II testo rico- struito da Bédier segue in sostanza OB, ma privandoli dei due tratti essenziali e creando perciô una nuova coerenza estranea a tutti i testi a noi noti. Infatti mentre in Thomas èil perdono spontaneo di Marco a porre fine alia vita nella foresta e nel romanzo in prosa gli amanti sonó separati con la forza, in OB è la fine dell'efFetto del filtro che suscita in loro il desiderio di tornare nella società ed è l'intervento di Ogrin che, dopo aver saldato il loro debito morale, permette il negoziato con Marco : un negoziato senza Ogrin, quale risulta dalla ricostruzione di Bédier, non esiste in nessun testo, né ha senso che il ritorno dalla foresta, reso possibile dal negoziato, segua senz'altro alla sorpresa degli amanti addormentati, corne Bédier vorrebbe. Conviene sottolineare che come manca una vera aderenza ai testi esistenti cosi viene meno il fundamento filológico, perché nessun tratto della ricostruzione è veramente basato su attesta- zioni plurime, se consideriamo (come qui è necessario) che O e B contano per una voce sola.

    Ma Bédier invocava anche il coerente sviluppo dei È questo un punto su cui si sonó fatte T e possono

    mantenersi moite e gravi riserve. I personaggi di Thomas sono coerenti con se stessi, ma non certo coi corrispon-

    1. « Toutes les fois que M. Bédier s'efforce de donner un portrait de tel ou tel héros du roman, il ne trouve que des clichés communs à tous les héros de tous les romans de l'époque. U ne suffit pas de dire que Tristan est « preux fidèle » [sic] pour le distinguer d'un Gauvain ou d'un Lancelot. Tout ce que M. Bédier ajoute à ces deux épithètes a trait aux événements de la vie de Tristan, non à sa personnalité », E. Vinaver, op. cit., p. 7 nota.

  • 32 A. VARVARO

    denti personaggi di Béroul, che a loro volta presentano una singulare varietà di atteggiamenti e quasi un disinteresse per la coerenza, pur nell'ambito del non lungo frammento a noi noto. Non meno diversi sonó poi i personaggi del romanzo in prosa '.

    Quale sarà il Tristano originale ? Il melanconico, loico e retorico amante córtese di Thomas ? No, questa è una riela- borazione. E allora il pensieroso eroe di Béroul, travagliato dalle privazioni e dal ripudio della società ? o, ancora in Béroul, il crudele e astuto uccisore di Denoalen o il grossolano ed equivoco lebbroso del Mal Pas ? o l'eroe e l'amante cavalleresco del romanzo in prosa? Bédier ci dice che la figura originale è un Tristano «preux et fidèle,... déloyal malgré lui, gardant jusqu'à la mort sa tendresse primitive pour Marc qu'il trahit » (p. 1 78- 1 79) ; ma questa è una caratterizzazione moho genérica, né è poi cosi certo che i sentimenti dell'eroe per Marco siano sempre quelli che il critico gli attribuisce. Non è un caso che il Pauphilet 2 trovi « tendre et respectueux » il Tristano della notissima versione moderna fatta dallo stesso Bédier : è che il grande studioso ha proiettato sui poema primitivo la sua propria intuizione del personaggio.

    Diversissimo nei vari testi è anche Marco, che in Thomas è veramente distaccato e lontano in una sua disinteressata affet- tuosità, geloso ma pronto a ritenere che ciô che egli stesso ha visto sia «fausseté et songerie3 », senza scatti passionali; ma in Béroul egli, che non ha mai prove dirette, oscilla dall'ira impetuosa alla nostalgia, allacommozione, alla ribellionecontro i mestatori, e nel romanzo in prosa è invece animato da un odio freddo e calcolato e perseguita Tristano fino alla morte anche con le arti di un volgare traditore.

    Abbiamo visto che Bédier ritiene la leggenda tristaniana assai più strettamente organizzata délie avventure di Galvano e Lan- cillotto ed osserva che Túnico testo a noi noto che si sia

    per aggregazione, il Roman de Renart, e privo di solidità strutturale. Queste osservazioni sono esattissime, ma vanno

    1. Cfr. Vinaver, op. cit., p. 14-15. 2. Op. cit., p. 139. 3. Ediz. Bédier, I, p. 247.

  • LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 33

    inquadrate nella polémica del Bédier contro chi riteneva che i testi tristaniani fossero il risultato di una pressocché casuale fusione di motivi leggendari e folcloristici. In se stesso, perô, il confronto della storia di Tristano con le avventure di Galvano non è corretto, perché la storia di Tristano è un racconto biográfico, include cioè per intero la vita del personaggio orga- nizzandola unitariamente attornoad un nodo centrale. Tristano non ha l'indefinita disponibilité all'avventura del ñipóte di Artù o degli altri cavalieri della Tavola Rotonda, è legato ad un destino che determina con nettezza la sua biografía letteraria : non potrà liberarsene mai, ché esso è connaturato alia sua esistenza di personaggio. E più calzante il paragone con Lancil- lotto il quale, una volta legato all'amore di Ginevra e poi alia trágica fine del mondo arturiano, sarà pure lui condizionato senza scampo pur nell'esuberante fioritura di avventure dei vari romanzi in prosa. In modo non diverso il romanzo trista- niano in prosa immerge anche il nostro eroe nel mondo dissi- pato delle aventures senza fine ma non puô evitare quei passi obbligati senza i quali Tristano non sarebbe più Tristano. Del resto anche nelle versioni più controllate c'è un momento che ammette variazioni sempre nuove, ed è quando l'eroe è escluso dalla reggia di Marco e deve ingegnarsi in mille modi per vedere ancora Isotta : infatti è qui che si inseriscono tutti i racconti episodici ed è qui che gli stessi romanzi tendono più volentieri a divergere.

    Questa situazione è stata descritta assai bene dal :

    « Mais ce schéma [della vita degli amanti], dans son impérieuse simplicité, offrait des ressources nombreuses. On pouvait, avec de l'imagination, varier presque à l'infini les épisodes où Tristan et Iseut étaient épiés, surpris, où ils échappaient au châtiment. On pouvait leur trouver plusieurs refuges, et diverses raisons de n'y point rester. Une fois séparés, on pouvait leur prêter diverses manières de se revoir, imaginer ruses et déguisements. Aussi les versions diffèrent-elles assez considérablement les unes des autres dans cette partie du roman. L'idée que chacun des conteurs se fait de ses

    est ici prédominante. Selon que l'on conçoit Tristan plus chevaleresque ou plus cynique, plus brutal ou plus raffiné, on lui combine ses aventures. Et les inventions les moins anciennes ne sont pas nécessairement les moins belles. La liberté laissée aux imaginations, ainsi que la diversité des talents et la souplesse, en somme, de la légende, se montrent bien dans les varia-

    Romania, LXXXVIH. 3

  • 34 A. VARVARO tions des conteurs sur le thème des retours déguisés de Tristan. C'était la chose du monde la plus tentante que d'imaginer comment Tristan banni pouvait réussir à revoir Iseut » *.

    Non è dunque vero che le peripezie siano subordinate ai caratteri dei personaggi : entro certi limiti variano le peripezie e variano i caratteri. Ma come si spiegano questi limiti, se si rifiuta l'ipotesi di una stesura primitiva da cui derivino tutti i testi che conosciamo?

    5. La tradizione indiretta. Abbiamo ricordato più sopra l'affermazione di Bédier secondo cui « tous ces

    figurés, toutes ces allusions littéraires se réfèrent à des scènes de nous connues, et ce sont ces mêmes scènes que nos quatre romans nous ont conservées en double, triple ou

    exemplaire » (p. 173). La maggior parte délie allusion! letterarie sono, a dire il vero, fugacissimi accenni che non ci sono di alcuna utilità : Tristano o Isotta o il loro amore servo- no corne paragoni esemplari di valore o di bellezza o di fedeltà nell'amore e cosi via. C'è perô qualche attestazione più ampia e significativa. Nell' Escoufle, romanzo scritto fra il 1200 ed il 1202 da Jean Renart, non soltanto si fa spesso riferimento alla storia tristaniana, e talvolta in forma abbastanza particola- reggiata, ma l'autore si sofferma a dcscriverci minuziosamente una coppa d'oro su cui sono rafHgurate come ciclo compiuto le scene principali del romanzo di Tristano. Ecco il passo che ci riguarda :

    (a) Dedens estoit portrais rois Mars, 580 Et s'i estoit conment l'aronde Li aporta d'Yseut la blonde Le chevel sor par la fenestre,

    (b) Et conment Tristans en dut estre Ocis, en Irlande, en sa terre ; 585 Et la nés en qui l'ala querré Estoit portraite en cel vaissel.

    (c) Defors, entor, sor le noiel, Estoit entailliés a esmaus Tristans et maistre Govrenaus 590

    1. Pauphilet, op. cit., p. 115.

  • LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 35 Et Yseus et ses chiens Hudains, Conment il lor prendoit les dains Et les cers sans noise et sans cris.

    (d) Sor le covercle estoit li lis Conment il jurent en la roche, 595 Et conment li brans o tout l'oche Fu trovés entr'aus .ij. tos nus, Et conment Mars les ot veûs, Et conment il en ot pitié, Et conment il n'a esveillié 600 Ne lui ne li, tant fort les aime, Et conment vint, parmi la raime, .1. rai del soleil sor la face

    N'est riens el mont qui tant li place , Conment il li mist lés l'oreille 605 Son gant si bel que ne l'esveille, Que li solaus mal ne li face : Or n'a mais talent qu'il le hace;

    (e) Conment il les vit sos les rains. (/) Sor le pumel estoit li nains, 610

    Conment il jut sor les planciés, Et conment il fu engigniés, Et conment Yseus l'aperçut, Et conment Tristans l'a déçut, Qui trop sot et d'engien et d'art, 615 Conment il l'ocist maugré Mart '.

    Non pare dubbio che qui il poeta non si afHdi a ricordi con- fusi bensi segua con una certa precisione una qualche versione della storia tristaniana nella sua interezza. Vediamo dunque se essa è identificabile. L'episodio del capello d'oro portato a Marco da una rondine (a) è nel romanzo di Eilhart e nella Folie di Berna ; Thomas vi accenna ma soltanto per confutarlo reci- samente. Il pericoloso viaggio in Irlanda (b) è in Thomas ed è in Eilhart. La caccia silenziosa di Hudain (c), presente Govre- naus, è in tutti i testi, ma soltanto in Thomas gli amanti vivono e sono sorpresi en la roche (ß), mentre in Eilhart ed in Béroul, che pur conosce il soçterrin perrin (vv. 3351-3352), essi sono in una loggia di rami, e soltanto in Thomas Marco

    1. L'Escoufle, p. p. H. Michelant et P. Meyer, Paris, 1894 (SATF).

  • 36 A. VARVARO

    pone il guanto sulla guancia di Isotta x. Se il verso 609 contiene una diversa allusione 2 (¿) essa non puô spiegarsi che con la scena, ancora del solo Thomas, in cui Marco ed il nano sor- prendono i due amanti nel verziere e Tristano fugge. La scena finale dell'uccisione del nano (/) non ha esatta rispondenza altrove : Bédier (p. 250) vi vede una variante dell'astuzia del fior di farina, ipotesi che il Sudre } aveva escluso perché nei romanzi l'astuzia del fior di farina è anteriore alla vita nella foresta mentre qui si tratta di un episodio posteriore ad essa ; il Sudre, seguito poi dal Kelemina 4, proponeva di vedere dietro questi versi una scena análoga a quella di Béroul (e solo sua) dell'uccisione di Godoïne, ma collegata a differenza di Béroul con la sorpresa nel verziere (Marco è presente : cf. v. 616). Ma che il nano giaccia sor les planciés e un partico- lare estraneo ad ambedue le scene invócate a confronto, nelle quali il nano o Godoïne spiano da una finestra s.

    Dal Sudre alla Lejeune, gli studiosi hanno ritenuto meno significative le altre allusioni dell' Escoufle, a Tristano che fu « faus lone tans/ Et mesiaus et faus pèlerins » (vv. 313 2- 3133), che trova riscontro in Eilhart e, per il secondo termine (c leb- broso »), anche in Béroul ; a Kahedin amante di Brangania (vv. 3 134-3 135), cne è tratto di Thomas non confermato da Eilhart; all' anello donato da Isotta a Tristano (vv. 4617-4619), tratto comune a tutti i testi; al filtro, che viene dato a Tristano da Brangania e sembra avere durata illimitata, d'accordo con Béroul e la Folie di Berna per la prima parte, con Thomas per la seconda ; alla gioia di Isotta « quant Tristans l'en mena » (v. 8875), che par alludere alla scena, di Thomas, in cui i due amanti lasciano la corte di Marco, che li ha esiliati insieme.

    Ánchese si rinunziaa considerare questi ultimiaccenni riman- gono possibili, per il passo più ampio e circostanziato, varie

    1. Perô in Thomas il raggio di sole non giunge, corne qui, parmi la raime, tratto che richiama piuttosto Eilhart e Béroul.

    2. Corne pensa R. Lejeune, L'uvre de fean Renaît, Paris, 1935, p. 236, nota 2.

    3. Cfr. L. Sudre, Les allusions à la légende de Tristan dans la littérature du Moyen Age, in «Romania», XV, 1886, p. 534-557, a p. 541.

    4. Cfr. Kelemina, Geschichte cit., p. 98 e 163-164. 5. Cfr. già Lejeune, op. cit., p. 236, n. 2.

  • 38 A. VARVARO

    esempio il primo ricamo di Wienhausen, un monastero cister- cense nei pressi di Hannover. In esso, che risale al primo quarto del sec. xiv, si segue fundamentalmente la versione di Eilhart, ma la scena in cui a confusione del siniscalco d'Irlanda viene prodotta la testa del drago priva di lingua par derivare piuttosto da Gottfried e la guarigione di Tristano per opera insieme di Isotta e di Brengania non è in Eilhart, dove l'eroe è guarito a distanza, e neppure in Gottfried, anche se qui Isotta cura Tristano direttamente ; del resto in nessuna versione Tristano suona la viola, che è lo strumento che il ricamo gli attri- buisce invece della consueta arpa, ed in nessuna l'esecuzione musicale dello straniero ferito viene ascoltata dall'alto di una torre della capitale irlandese da Isotta e Brengania, come qui accade. Si aggiunga che la forma Tristram che appare nel ricamo è estranea ai due romanzi tedeschi '.

    E importante che la stessa miscela di tratti apparentemente di origine diversa si ritrovi in un altro lavoro tedesco dello stesso secólo, la tovaglia conservata ad Erfurt ma proveniente da un monastero benedettino di Würzburg, tovaglia che i Loomis ritengono del 1370 circa. Anche qui la maggior parte della storia sembra ricavata da Eilhart ed anche qui appare la testa del drago ; ma si aggiunge che colui che altrove è il siniscalco viene qui chiamato der rote ritter, proprio come nel terzo ricamo di Wienhausen (1340 circa), dove si legge de rode ridder. Questa coincidenza a parère dei Loomis « makes it

    that once existed a romance in which the false seneschal bore that name » (p. 54), ma l'ipotesi non è assolutamente necessaria perché la scena 17 della stessa tovaglia ci mostra come « the Red Knight's head is struck off in the presence of the King and of another knight » (ivi) e questo particolare, estraneo a tutti i romanzi in versi, ci fa ricordare che nel romanzo in prosa il siniscalco, che si chiama Aguynguerren le Roux, viene « hué et pris et destruit » (ediz. Bédier, p. 335) : si puô dunque pensare che la contaminazione sia ancora più vasta ed includa anche il romanzo in prosa. Ma nella successiva scena dell'appuntamento spiato puô vedersi come sull'albero insieme a Marco si trovi anche il nano, particolare che non

    1. Cfr. Loomis, op. cit., p. 51-52.

  • J*>*¡t««««W*Í^*í*l*«¡!M^

    LA TEORÍA DELL'ARCHETIPO TRISTANIANO 39

    sorprende perché è caratteristico di Eilhart, e subito dopo come, partiti gli amanti, il re, ormai convinto della loro innocenza, « seizes the dwarf by the legs, as if to plunge him into the stream » (Loomis, p. 54), che è punizione, nella sua immedia- tezza e nella sua forma, del tutto estranea ai romanzi, perché in Eilhart Marco vorrebbe si trafiggere il nano, ma questi scappa via in tempo ed in Béroul Frocin, che del resto non è sull' albero, intuisce grazie alle sue doti di astrólogo le intenzioni del re e non esita a darsi alia fuga.

    Non mi pare che gli elementi offertici da queste figurazioni siano tali da farci supporre con adeguata verosimiglianza un preciso testo perduto. A voler essere prudenti converrà dire, pur senza escludere questa possibilità, che essi confermano in ogni caso una forte vitalità tradizionale della nostra leggenda, ed intendiamo tradizionale nei senso imposto dal Menéndez Pidal. L'afBorare e l'incrociarsi in costellazioni sempre nuove di singoli elementi narrativi conferma ancora una volta l'illuso- rietà della limpida filiazione letteraria, esclusivamente letteraria, presupposta dal Bédier.

    6. L' ATTESTA ZIONE DELLE VERSIONI CONSÉRVATE. La dimostrazione dello studioso francese lascia l'impressione che soltanto le nostre deduzioni possano farci apprendere qualcosa sulla natura della tradizione tristaniana nel secólo xii. Ma è un'impressione inesatta, onde conviene tornare ai testi e raccog- liere con cura le notizie che essi stessi ci danno. Cominciamo con Marie de France, il cui Chievrefeuil si apre con questi versi :

    Asez me plest e bien le vueil del lai qu'um nume Chievrefueil que la vérité vus en cunt cornent fu fez, de quei e dunt. Plusur le m'unt cunte e dit S e jeo l'ai trové en escrit de Tristram e de la reine, de lur amur ki tant fu fine, dunt il ourent meinte dolur ; puis en munirent en un jur «. 10

    1 . Ediz. Warnke, cit. L'unica variante di rilievo è al v. 4, che nel ms. H, il più autorevole, legge « pur quei il fu fet e dunt », con ipometria che J. Lods

  • 40 A. V ARVARO

    Nei primi 4 versi Marie dice che si propone di raccontare la verità del lai che si chiama Caprifoglio, di dime l'autore e la materia '. Negli altri 6 versi ella dice che ha spesso sentito raccontare e letto la storia di Tristano, non ció che ella stessa narrera ma tutta la storia, fino alla morte degli amanti. Per la leggenda nel suo complesso Marie conosce dunque due tipi di fonti : i plusur che la raccontano oralmente ed una (o più ?) stesura scritta. Poiché la rima dit : escrit (o di% : escrix) è moho fréquente, il Foulet s'è sentito autorizzato a concludere che Marie conosceva solo una fonte scritta, anzi addirittura l'arche- tipo 2, e menzionava le fonti orali solo per nécessita di rima, argomentazione assolutamente gratuita e che, con lo stesso método ipercritico, si potrebbe benissimo rovesciare, dato che semmai è la parola in rima dit che ha richiamato l'altra escrit e non viceversa. I plusur saranno narratori professionali, cui di sólito si riferisce l'iterazione sinonímica cuntí e dit ; dell' escrit non possiamo dire assolutamente nulla.

    Qualcosa di più possiamo invece precisare del lai che dà lo spunto al cunte di Marie. Nei versi finali (vv. 107-118) ella ci dice che il lai fu fatto da Tristano, « ki bien saveit harper », per la gioia dell' incontro con Isotta e per ricordare le parole che egli aveva scritto, verosímilmente sull'asta di simbólico nocciôlo. Per quanto l'attribuzione a Tristano, ripetuta da altre fonti 3, vada naturalmente considerata di pura fantasia, non si

    nella sua ediz., Paris, 1959, p. 141, sana aggiungendo all'inizio E. Si noti ancora che al v. 3 il ms. S dice : « l'aventure vos acont ».

    1. Il dunt del v. 4 non è del tutto chiaro. Il Battaglia traduce «quando», il Neri rende de quei e dunt con « in quale occasione » ; Warnke (nel glos- sario) lo intende come indicazione del punto di partenza e lo mette insieme a Guigemar, v. 20, ed Aüstic, v. 2 (meno bene Eliduc, v. 26), che hanno il tipo « li contes... dunt unt fait les lais ». Preferisco questa inter- pretazione.

    2. Cfr. L. Foulet, Thomas and Marie in their relations to the Conteurs, in «Modem Language Notes», XIII, 1908, p. 205-208.

    3. Quattro mss. ci conservano il lai lirico duecentesco « Par courtoisie despueil», chiamandolo « Lai du Chievrefeuil »; il ms. C lo assegna esplici- tamente a « Tristan » ed è chiaro che nome ed attribuzione sono derivati dal più antico lai musicale. Cfr. G. Raynaud-H. Spanke, Bibliographie des Altfran- Zösischen Liedes, Leiden, 1955, n° 995 ; J. Maillard, Évolution et esthétique du

  • 仫S«sii(»>*tfc^i^Ä3w^

    LA TEORÍA DELL ARCH ETIPO TRISTANIANO 4 1

    puô dubitare dell'esistenza di questo lai musicale, che Marie ci dice intitolato Gotelef dagli Inglesi e Chievrefueil dai Francesi ; del resto esso è ricordato anche altrove1. La natura musicale della composizione è indiscutibile, ma se il lai doveva « les paroles remembrer », come dice Marie, esso doveva o avère un testo destinato al canto o essere preceduto da una esplicazione narrativa, simile alle ra%os provenzali ; o forse c'era Tuno e l'altro, ma la música rimaneva il fattore essenziale 2. In ogni caso pare verosimile, anche se non è detto esplicitamente, che Marie abbia tratto la sua vérité da questo accompagnamento verbale ; non abbiamo alcuna ragione per pensare che si sia rifatta ai plusur o ail' escrit, che ella menziona non per il cunte che si appresta a narrare ma per l'insieme della leggenda. Né

    lai lyrique. Des origines à la fin du XVIe siècle, Paris, 1963, p. 79, n° 60 (a p. 117 afferma, senza sicuro fondamento, che il testo è dell'ultimo decennio del sec. xn), e dello stesso, Le lai et la note du Chèvrefeuille, in « Música Disciplina», XIII, 1959, p. 3-13- Cfr. anche la nota seguente.

    1. Renart, travestito da guillare, elenca fra gli altri lais bretons anche quello del chevrefoil (ediz. Martin, I, v. 2392 ; ediz. Roques, v. 2437 e varianti) ; il romanzo provenzale Flamenca menziona al v. 591 il « lais del Cabrefoil » ; nel Tristan ménestrel l'eroe stesso suona «le lai del Chievrefueil » (v. 761) ; nel poema épico Yon ou la Venjance Fromondin (ediz. S. R. Mitchneck, New York, 1935, vv. 642-645) i giullari « De Chievrefueil vont le sonet disant,/ Que Tristans fist, que Ysent ama tant ».

    2. Cfr. Warnke, op.cit., p. xxvin. Lo stesso studioso (p. xxxn), sulla base del testo di Flamenca, pensa che nell'esecuzione dei lais collaborasse«) narratore e suonatore. Marie stessa usa la parola raisun, che corrisponde al provenzale razo (« le cunte e tute la raisun », Eliduc, v. 2). In Chaitivel, v. 2 ella dice : « un lai dunt jo oï parler », che è frase che potrebbe riferirsi ad un testo ; ed accennano chiaramente ad un testo sia Thomas che Gottfried (cfr. Warnke, p. xxix e liv). Non abbiamo il minimo indizio che questo testo narrativo giungesse a Marie in forma scritta (cfr. Warnke, p. xlii), e anzi le ripetute affermazioni della poetessa sulla vérité del suo racconto (Guigemar, v. 19 ; Bisclavret, v. 316 ; Dous Amanz, v. 7 ; Eliduc, v. 4, oltre lo stesso Chievrefueil) sembrano accennare ad una variabilità dell' aventure, confermata esplicitamente dalla chiusa del lai Gurun, di cui ci rimane soltanto la traduzionenorrese (cit. da Warnke, p. xliii) : « Molti narrano questa

    con altre parole, ma io la lessi proprio cosi come adesso ve l'ho raccon- tata ». Cfr. ànche il recente volume di H. Baader, Die Lais, Frankfurt, 1966.

  • 42 A. VARVARO

    sarebbe lacile sistemare l'episodio nel complesso della storia quale ci è tramandata dai romanzi : la situazione di fondo fa

    alla definitiva separazione degli amanti, ma Isotta parla di una prossima rappacificazione con Marco e del ritorno di

    a corte. Tutto conferma l'opinione di Gaston Paris : « II faut admettre que les auteurs des lais ne s'attachaient pas

    à telle ou telle version, mais intercalaient leurs petites compositions dans le cadre général fourni par la légende1 ».

    Anche Béroul ci dà qualche indicazione sulla diífusione della leggenda. La più importante la troviamo nell'episodio della liberazione di Isotta dai lebbrosi, capeggiati da Yvain, per opera di Tristano e Governale :

    Li contor dïent que Yvain 1265 Firent a nier, qui sont vilain ; N'en sevent mie bien l'estoire, Berox l'a mex en sen memoire : Trop ert Tristran preuz et cortois A ocirre gent de tes lois 3. 1270

    Non c'è dubbio che qui il poeta prevarichi coscientemente la tradizione, tenendo fuori Tristano dalla mischia con gli spre- gevoli lebbrosi proprio per non contaminare l'idéale dell'eroe preux et cortois ; ed è appunto per coprire l'innovazione che egli si affretta ad affermarla più autentica della versione comune ed a garantirla con i'autorità del suo nome 4. Ma quel che a noi qui importa è il riferimento chiaro ed esplicito ai contor, ai « contastorie » che divulgano la leggenda e che evidentemente lo fanno oralmente, dato che « l'ont en lor memoire » peggio di Béroul. Si noti che il poeta non ritiene necessario smentire un testo scritto, certo perché non lo considera altrettanto diffuso ed autorevole, almeno presso il suo pubblico. Non perché lo ritenga inesistente : all' inizio dell'episodio della sorpresa nella capanna egli dirá:

    Ne, si conme l'estoire dit, La ou Berox le vit escrit, l19®

    1. In « Romania », XXV, 1896, p. 537. Cfr. anche Warnke, op. cit., p. lix e CLXV nota.

    2. Tristano e Governale. 3. Ediz. Ewert, p. 38. 4. Cfr. Varvaro, op. cit., p. 92-93.

  • »é*í¡ímí«i«^^

    LA TEORÍA DELL ARCHETIPO TRISTANIANO 43 Nule gent tant ne s'entramerent Ne si griment nu conpererent ».

    E questo il passo su cui ci si è fondati per chiamare estoire la fonte comune a Béroul ed Eilhart. L'accostamento dei due brani ci sembra indicare chiaramente che il testo scritto cui si accenna 2 non è un romanzo diffuso in una vasta cerchia di lettori ma soltanto uno dei testi di cui si servivano i contor, un libro di repertorio3 : altrimenti lo avrebbe smentito o invocato nel passo precedente, che riguardava una discrepanza di fatto, non

    come qui una semplice iperbole. Non è forse superfluo ricordare che il termine lovendrins,

    lovendrant che Béroul usa (vv. 213862159) per il filtro d'amore, il vin herbe^ (v. 2138), e che è trasparentemente Tínglese love- drink 4, ci riporta alla stessa atmosfera plurilingüe del Chievre- fueil/Gotelef di Marie, che è l'atmosfera dei giullari bretoni che, mezzo romanizzaii in Armorica, frequentavano le corti di Inghilterra ed avevano un pubblico plurilingüe, normanno, céltico e inglese, si da usare essi stessi una sorta di gergo misto, saporosamente preso in giro nel Roman de Renart >'.

    1. Ediz. Ewert, p. 54. 2. Di cui ammettiamo senz'altro l'esistenza, pur osservando che, come

    avviene per tante altre menzioni di fonti scritte nella letteratura médiévale, esso è qui rievocato solo per rendere verosimile un'iperbole, senza che si possa escludere il carattere tópico del riferimento.

    3. Che a volte il giullare leggeva o almeno teneva dinanzi a sé durante la recitazione : I'autore della Genealogie Nostre Dame (ediz. V. F. Koenig, in « Romance Philology », XIV, 1961, p. 212) dice infatti : « La vérité vos en dirai/porquoy est en ce que lirai » (vv. 131- 132 e nota). Ció non significa che Béroul fosse un giullare : egli scriveva -in vista di una lettura o

    e teneva conto della situazione di diffusione. Ma i poeti che scrivevano per i giullari o davano fissazione artistica alla materia giullaresca avranno anch'essi fruito dei manoscritti di repertorio.

    4. L'Oxford English Dictionary, s. v., registra perö love-drink solo nel sec. xi v, a partire dal Sir Tristrem, v. 17 10.

    5. Ê quanto dimostra il Bédier (p. 126-129). Egli afferma addirittura, ma non osiamo seguirlo, che Lovendrinc è per Béroul non una parola isolata ma un titolo, come Gotelef, e titolo di un racconto simile ad un lai di Marie. Per L. Foulet, English Words in the Lais of Marie de France, in « Modern Language Notes», XX, 1905, p. 108 ss., si tratta invece di una leziosità

  • 44 A. VARVARO

    Anche Thomas ci parla della tradizione tristaniana, in un passo esteso e complesso :

    Seignurs, cest cunte est mult divers, Douce 835 E pur ço l'uni par mes vers E di en tant cum est mester E le surplus voil relesser. Ne vol pas trop en uni dire : Ici diverse la matyre. 840 Entre ceus- qui soient cunter E del cunte Tristan parler, Il en cuntent diversement : Oï en ai de plusur gent ».

    Il Guerrieri Crocetti 2 intende che Thomas si è proposto « di alleggerire il racconto e di infondere un tono nuovo di vita a ció che altri avevano narrato » e salva cosi la dipendenza da una fonte scritta, sia pur nella conoscenza di una tradizione variabile. Ma Thomas non parla di « tono di vita » bensi con- trappone nettamente divers ad uni ed afferma che « diverse la matyre ». Ciô non puô significare se non che ci sono notevoli differenze fra l'una e l'altra versione del racconto e che egli ha cercato di ottenere una stesura omogenea. Il Frappier traduce cosi i vv. 835-836 : « J'ai fait un tout harmonieux d'un conte aux nombreuses variations » 3, e cita per en uni dire la spiega- zione di Bédier (p. 451, s. v. uni), che in realtà risale a Gaston Paris, il quale aveva scritto : « il essaie de donner, au milieu de variantes incohérentes et contradictoires, un récit logique (c'est ce qu'il appelle en uni dire, si je comprends bien) » 4. E il

    invoca giustamente a confronto la con jointure di Chrétien de Troyes (Erec, v. 14). Ma per quanto anche i difetti di con-

    suggerita da Wace (Brut, ediz. Arnold, vv. 7299-7300 e 8 175-8178) ed accolta per ricerca di esotismo ; ma i passi di Wace riguardano nomi di luogo e non hanno nulla in comune coi nostri.

    1. Ediz. Wind2, p. 119. 2. La leggenda di Tristano nei più antichi poemi francesi, Genova-Milano,

    1950, p. 108. 3. In Linguistic and Literary Studies in honour of H. HalzMd, Washington,

    1964, p. 169. 4. G. Paris, Breri, in «Romania», VIII, 1879, P- 425~428, a p. 426,

    citato per intero in Bédier, II, p. 97-98.

  • la teoría dell'archetipo tristaniano 45 gruenza interna non convengano certoall' immagine dell' arche- tipo quale è stata messa in circolazione dal Bédier, quel che ci preme è rilevare che Thomas non parla soltanto di incoerenze e contraddizioni ma proprio di versioni distinte e diverse : il v. 840 non lascia dubbi. Conosco due altri esempi di uso asso- luto di diverser ; il primo è nello stesso Thomas, al verso 6 del frammento Sneyd * : « Molt diverse vostre vie», che significa certo « la vostra vita è moho diversa dalla mia, le nostre vite divergono » *; quando Marie de France scrive al v. 161 3 del- YEspurgatoire Saint Patrice (ediz. Warnke) : « Si diversout lur vestëure/Cum les esteiles par figure /Se diversem en lur lüur », non vuol certo dire che i vestiti erano variopinti 2 ma che erano fra loro diversi. Dunque l'interpretazione di « diverse la matyre » puö considerarsi sicura.

    Infatti subito dopo Thomas dice che « fra coloro che sono soliti raccontare e parlare del racconto di Tristano, se ne raccon- tano versioni diverse : ne ho udito da moite persone » (vv. 841- 844), e Ven del v. 844 deve riferirsi, corne Y ici del v. 840, non d\ cunte Tristan ma al passo specifico di cui si discute dopo, nei vv. 852-861, cioè all'intrigo di Kaherdin con la moglie del nano Bedenis, il quale inseguendo Kaherdin e Tristano, che l'ha aiutato, ferisce a morte il nostro eroe, ed al conseguente invio di Governale in Inghilterra per chiedere l'intervento di Isotta. Intanto Thomas dice :

    Asez sai que chescun en dit 845 E ço que il unt mis en escrii, Mes sulun ço que j'ai oï, Nel dient pas sulun Breri Ky soit les gestes e les cuntes De tuz les reis, de tuz les cuntes 850 Ki orent esté en Bretaingne.

    Il Foulet 3 ha creduto di rilevare una rassomiglianza fra questi

    1. Ediz. Wind », p. 34 (e cfr. glossario, p. 176). Nell' ediz. Bédier il verso, che ha il numero $8, è cosi corretto : « Mult est diverse nostre vie». Al v. 284 Wind dello stesso frammento diverser è transitivo.

    2. Come potrebbe pensarsi ricordando Perceval, ediz. H ilka, vv. 7688- 7691 : « Li pavemanz del pales fu/Verz el vermauz, indes et pers,/De totes colors fu divers, /Mou t bien ovrez et bien poliz ».

    3. Thomas and Marie cit. nella nota 2, p. 40.

  • 46 A. VARVARO

    versi e quelli iniziali dello Chievrefueil (citati più sopra) e ne ha arguito la dipendenza di Thomas da Marie ; ma non si vede dove sia un parallelismo cosi scoperto : giustamente il Levi • osservava che non c'è altro che la vicinanza fra « e jeo l'ai trové en escrit » (Marie, v. 6) e « e ço que il unt mis en escrit » (Thomas, v. 846), concordanza assolutamente insignificante 2.

    Va invece notato che l'impianto del passo di Thomas è análogo a Béroul, vv. 1265 -1270. Anche qui si invoca una fonte per garantiré l'autenticità di una propria versione, divergente da quella più nota, e anche questa volta la versione difesa, non confermata danessun altro testo, appare manifestamentedovuta al poeta stesso, mosso dal desiderio di rendere più lógico il racconto 3, cioè per evitare che sia inviato in Gran Bretagna come messaggero segreto il ben conosciuto Governale : una volta eliminato Governale non c'era di meglio che mandare da Isotta Kaherdin, l'altro confidente — e cognato — di Tristano, ma allora non lo si poteva lasciare uccidere dal nano Bedenis e bisognava mutare l'episodio del suo amore adultero, rispar- miando a Tristano la parte di amico compiacente e trasforman- dolo anzi in vendicatore di un marito tradito *.

    Non è qui il caso di fermarci sulle intricate questioni susci- tate da Breri s : ci basti precisare che Breri pare un'autorità non per il solo punto in discussione ma per Tintera storiatristaniana (cfr. vv. 852 ss.), anzi meglio per una storia genérale bretone in cui si inquadri la vicenda del nostro eroe : una sorta di Goffredo di Monmouth 6. Ma il solt del v. 849 pare indicare

    1. / lais bretíoni e la leggenda di Tristano, in « Studj romanzi », XIII, 191 7, p. 113-246, a p. 225-226.

    2. E del resto svalutata proprio dall'osservazione di Foulet citata più sopra, nella nota 2, p. 40, e nel testo relativo.

    3. « E voglio mostrare a fil di lógica che cosí non puö andaré » (vv. 863- 864). E cfr. l'episodio del capello d'oro in Gottfried, vv. 8605 ss., e nel- l'ediz. Bédier di Thomas, I, p. 110-111.

    4. Cfr. Bédier, II, p. 301-302. 5. Cfr. in ultimo Delbouille, op. cit., p. 433 nota. 6. Già G. Paris, art. cit., p. 426, dice che dai versi di Thomas risulta sol-

    tanto che « Breri était un homme qui passait pour avoir su mieux que personne l'histoire traditionnelle de Bretagne, et que Thomas prétendait lui devoir son récit, le seul authentique, sur Tristan ». Nulla più.

  • la teoría dell archetipo tristaniano 47

    piuttosto una cognizione resa pubblica oralmente (e cfr. v. 847 fai oí) che non un' opera scritta. Sieche stavolta non è l'invo- cata auctoritas ad essere scritta ma proprio alcune délie versioni biasimate. In ogni caso Thomas, corne Marie e corne Béroul, conosce versioni orali (v. 845) e versioni scritte (v. 846), ma sembra considerare prevalenti le prime, tanto vero che oppone a Breri ció che àimt, riferendosi tutt'al più sia aile versioni completamente orali sia alla lettura di quelle scritte. Insomma, tutto ritorna a « ceus qui soient cunter » (v. 841), cioè ai contastorie professionisti, ai giullari ', e puô anche intendersi ehe essi stessi abbiano messo per iscritto la leggenda : si noti che metre en escrit è altro da « comporre » o « inventare » o anche « imitare » e suppone appunto un passaggio dallo stato orale a quello scritto e non una situazione compositiva di tipo moderno 2.

    Quasi nulla ci dicono le due Folies, prive come sonó di qual- siasi commentoal racconto. Ma il testo di Oxford dice di sapere dai paisan^ che il castello di Marco scompariva mágicamente due volte l'anno : « so dient la gent del vingné » 3, cioè « cosi .dicono quelli che stanno li intorno ». Non par verosimile che il poeta si sia documentato mediante un'indagine sul terreno con lo scrupolo di un folclorista moderno : si tratterà di una semplice formula tópica, ma anche cosi il verso rivela la coscienza del tono folcloristico del motivo narrato 4 e riconosce un livello Ínfimo di diffusione della leggenda tristaniana.

    Eilhart va utilizzato con tnolta prudenza perché non possiamo mai essere sicuri che egli traducá senza modifiche la sua fonte francese piuttosto che riferirsi di propria iniziativa alla fonte stessa. Quando egli scrive 5 :

    1. II senso non varia moho se cunter e parler dei vv. 841 e 842 si consi- derano in iterazione sinonímica con oggetto comune del cunte Tristan, perché in ogni caso il soggetto dei due verbi non potrebbero essere che i professionisti.

    2. Cfr. Tobler-Lommatzsch, III, 1006. 3. Ediz. Hoepffher2, v. 140, e cfr. p. 20. 4. Cfr. Thompson, Motif-Index cit., F 771. 6 (Phantom house : disappears

    at dawn). I confronti celtici addotti da Schoepperle, Tristan and Isold, New York, i960 Crha 1913), p. 325-326, sono troppo generici.

    5. Cito sempre il rifacimento quattrocentesco secondo l'ediz. Lichtenstein cit. nellanota8, p. 14. Questipassimancanoneiframmenti del testo più antico.

  • 48 A. VARVARO daz hat mich wundir gar genüg. 4575 îdoch sô sagit uns daz bûch und ouch die lute vor war, daz sie mêr denne zwei jâr in dem wilden walde lâgin und nî dorf noch stad gesâgîn. 4580

    (« Ciö mi ha molto meravigliato. Pure, cosi ci dice il libro e lo cantano come vero, che essi più di due anni rimasero nella selvaggia foresta e non videro né villaggio né città »)

    oppure, sempre durante l'episodio della vita nella foresta : daz wârin dô, also sprechin die 473° die ez an dem bûche hân gelesin (daz mag wol ungelogin wesin), vîr jâr daz sie in trunkin.

    (

  • la teoría dell archetipo tristaniano 49

    il primo passo, che è forse più interessante per la chiara coscienza del carattere biográfico del poema :

    ich sage ûch, wolt ir swîgen stille 31 (wen ez ist mîn wille daz ich ûch an alle valscheit hie künde die rechten wârheit), als ich daz an dem bûche vant, 35 wie der here Tristrant zu disir werlde erst bequam, und sín ende wedir nam, und swaz he wundirs î beging.

    (« io vi raeconto, se voleté rimanere in silenzio (ed è mia volontà di narrarvi la precisa verità senz'ombra d'inganno), come io lo trovo nel libro, in qüal modo don Tristano sia venuto in questö mondo e sia giunto a morte e quali meraviglie gli accaddero »).

    Qui potrebbe pero trattarsi non di un accenno alla fonte ma di una semplice formula inserita in vista della recitazione, immaginando il giullare che accenna al libro che tiene in mano. Testimonianza più convincente è invece l'ultima :

    von Hôbergin her Eilhart 9446 liât uns diz bûchelîn getichtet und uns der mere berichtet, wie [der kûne] Tristrant irstarp und wie he geborn wart # 945O und wie ez umme sîn lîp quan, nû saget lichte ein ander man, ez si andirs hîr umme komen : daz habe wir alle wol vornomen, daz man daz ungelîche saget : 945 5 Eilhart des guten zûg habet, daz ez recht alsus erging.

    (« Eilhart von Oberg ha rimato per noi questo libretto e ci ha narrato la leggenda come il prode Tristano mori e come fu mes so al mondo e come giunse alla fine. Ora qualcun' altro dice fácilmente che le cose sono ándate diversamente : tutti noi sappiamo bene che se ne danno versioni diverse : Eilhart conosce quella buona, che ando proprio cosi »).

    Sia di Eilhart o risalga alla fonte, questo passo conferma assai bene la natura mutevole della leggenda quale ci risulta da tutte le altre versioni, senza dirci nulla di preciso sulla tradi- zione di cui si serve la fonte francese del poeta tedesco.

    Romania, LXXXVIH. 4

  • 50 A. VARVARO

    L'esame di questi passi di origine assai diversa ci permette di affermare che non c'è in essi nulla che confermi la teoria di un unico archetipo letterario e délia derivazione da esso di tutta la tradizione tristaniana ; anzi ne risultano le differenze profon- dissime fra la situazione letteraria del sec. xn e quella dei tempi moderni, che Bédier tendeva in vece a considerare identiche. Tutti i nostri poeti riconoscono che la diffusione délia Icggenda è principalmente orale, dovuta alPopera di narratori professio- nisti, i contor; essi conoscono anche testi scritti, siano poi deri- vati dail'attività giullaresca o composti in funzione di quella o da essa del tutto indipendenti. Affiora anche la coscienza délia vitalità o almeno del tono nettamente folcloristico di qualche tratto délia leggenda. È evidente perció che la tradizione tristaniana doveva essere estremamente articolata, tanto più che probabilmente nessuno dei nostri poeti è esso stesso un recita- tore di professione, o comunque nelPatto della composizione dei testi che conosciamo si pone senz'altro ad un livello più riflesso e meditato, e perció i nostri testi vengono a costituire un piano della vita tradizionale della leggenda diverso da quelli di cui essi stessi fanno cenno. Questa complessità concorda perfettamente con quanto sappiamo della vita letteraria del sec. xii, che non conosceva veré soluzioni di continuità dal livello folcloristico a quello della produzione più calcolata ed in cui occupa un posto centrale l'attività giullaresca, che è quasi la cerniera fra i vari livelli ed insieme fra essi ed il pubblico '.

    7. Complessità della tradizione tristaniana. — II nostro esame ci ha dunque portato a costatare una grande complessità di rapporti fra i vari testi a noi noti ed una molteplicità di livelli tradizionali identificabili con maggiore o minore sicurezza. Rimane pero da vedere come ció si possa conciliare con la relativa coerenza della trama senza far ricorso al determinante lavoro di organizzazione, e per ció stesso di creazione, di un poeta coito, a meno di non ricadere nell'idea romántica di una misteriosa coagulazione di disarticulate leggende episodiche in ampi romanzi.

    1. Cfr. S. Battaglia, La coscien^a letteraria del Medioevo, Napoli, 1965, p. 63-89.

  • la teoría dell'archetipo tristaniano 51

    Ad impostare correttamente il nostro problema giova senza dubbio che si dia rilievo al contributo dei narratori professionisti, che è stato ben chiarito ed adeguatamente apprezzato per la poesia epica ma appare meno profi lato per il romanzo, nei riguardi del quale essi per lo piú si riducono a semplici diffusori, seppur con quella marginale liberta di intervento che le consuetudini del tempo riconoscevano perfino a semplici trascrittori ed a maggior ragionea chi doveva tener conto dei gusti e délie incli- nazioni del publico. Pur ammettendo che il caso della tradi- zione tristaniana vada tenuto distinto da quello di altri romanzi di genitura più integralmente letteraria, non si puö perô vedere in esso semplicemente la riproduzione della più fréquente situa- zione deU'epica. In questa infatti il giullare pare in qualche modo avère anche l'importantissima funzione di mediatore, nel tempo e nello spazio, fra un qualche lontano accadimento sto- rico ed i poemi a noi noti ; nei caso nostro ció certamente non avviene, perché le remote identificazioni di Tristano con un eroe pitto e di Marco con un signorotto cornovalese l non solo non hanno eco nella coscienza francese, e neppure anglonor- manna, del sec. xn, ma neppure sono tali da giustificare anche solo in parte la trama del racconto, la cui costanza non puó certo attribuirsi alia resistenza di un núcleo originario di realtàatutte le prevaricazioni di una tradizione multiforme e deve essere spie- gata in altro modo.

    Pare dunque che non sia facile concillare il quadro risultante dagli indizi forniti dai testi con un'adeguata spiegazione della prima organizzazione e della continua, anche se relativa» costanza del racconto nelle diverse versioni. A noi sembra perô che una via d'uscita ci sia, solo che si abbandonino le suggestion i di impostazioni valide per l'epica ma non generalizzabili e si rinunci a porre i testi tristaniani sullo stesso piano di tutti gli altri romanzi contempora