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1 Cristiana Gallinoni Università la Sapienza di Roma Loa Acrobax Project [email protected] +39 3394611835 L’ACQUIFERO La storia dell’Acquifero Guaranì, come paradigma dei rischi che corre l’acqua sul nostro pianeta. “Ai bambini latinoamericani che continuano ostinatamente a nascere” E.Galeano 1) Acqua, fonte di vita e di salute. L’esistenza umana dipende dall’acqua. L’atmosfera, la biosfera e la geosfera hanno tutte delle relazioni di interazione con l’acqua. L’acqua interagisce con l’energia solare per determinare il clima; trasforma e trasporta le sostanze fisiche e chimiche necessarie a tutta la vita sulla terra. La sua importanza è tale che tutta la vita presente sul pianeta è iniziata all’interno di essa e, man mano che le differenti specie si sviluppavano, è divenuta sempre più complessa. Conseguentemente gran parte delle specie zoologiche hanno abbandonato l’acqua per vivere sulla terra, incorporandola però come una parte fondamentale del loro stesso organismo; per esempio nell’uomo, essa rappresenta l’80% dell'intero fisico. Questo rende l'acqua non solo il sostegno più importante per la vita, ma anche l’elemento basico fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo.

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Cristiana Gallinoni

Università la Sapienza di Roma

Loa Acrobax Project

[email protected]

+39 3394611835

L’ACQUIFERO

La storia dell’Acquifero Guaranì, come paradigma dei rischi che corre l’acqua sul nostro pianeta.

“Ai bambini latinoamericani

che continuano ostinatamente a nascere”

E.Galeano

1) Acqua, fonte di vita e di salute.

L’esistenza umana dipende dall’acqua.

L’atmosfera, la biosfera e la geosfera hanno tutte delle relazioni di interazione con

l’acqua.

L’acqua interagisce con l’energia solare per determinare il clima; trasforma e

trasporta le sostanze fisiche e chimiche necessarie a tutta la vita sulla terra.

La sua importanza è tale che tutta la vita presente sul pianeta è iniziata all’interno di

essa e, man mano che le differenti specie si sviluppavano, è divenuta sempre più

complessa. Conseguentemente gran parte delle specie zoologiche hanno abbandonato

l’acqua per vivere sulla terra, incorporandola però come una parte fondamentale del

loro stesso organismo; per esempio nell’uomo, essa rappresenta l’80% dell'intero

fisico.

Questo rende l'acqua non solo il sostegno più importante per la vita, ma anche

l’elemento basico fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo.

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Nel corso della storia, e in ogni angolo del pianeta, la sacralità e il rispetto per l’acqua

sono stati elementi fondamentali nelle culture degli esseri umani.

I corsi di acqua sono stati il punto di riferimento per lo sviluppo delle società in ogni

epoca. In tutte le culture, sempre, incontriamo nelle origini il tema e il culto

dell’acqua.

L’esistenza ricorrente di miti, leggende e racconti tradizionali sull’acqua si deve al

fatto che ad essa è legata l’origine dell’universo.

Il culto dell’acqua, inoltre, non solo la considera come creatrice della vita, ma anche

colei che consente di aiutarla e mantenerla. Gli dei che proteggono l’acqua sono

venerati anche come protettori della fertilità, della salute e della giovinezza.

L’aspetto comune, nei diversi modi di venerare questa divinità creatrice e

benefattrice, è che l’acqua viene considerata sacra; rispetto alla relazione uomo-

natura questo si esprime in un atteggiamento di rispetto e cura verso la fonte di acqua,

rispetto sacro legato al timore di essere punito.

L’acqua è vita, vita per tutti, la vita è sacra e se si attenta contro di lei, si attenta

contro tutti. Per questo, chi lo facesse, meriterebbe di essere punito. Norma concreta

di gestione di questa preziosa risorsa che i popoli aborigeni avevano e che, ancora

oggi, si discute nella nostra società.

Il mito, quindi, rafforza la chiara coscienza rispetto alle conseguenze che ha

degradare e non proteggere le fonti. La punizione è reale, sia dal punto di vista del

mito e degli idei sia dal punto di vista scientifico, la perdita di qualità dell’acqua sarà

una punizione.

2) I motivi della mia ricerca sull’Acquifero Guaranì.

La luce solare e l’acqua sono gli elementi indispensabili per la sopravvivenza

dell’uomo. Non soltanto i tessuti cellulari, bensì molte reazioni chimiche che si

sviluppano nell’organismo per mantenere la propria sopravvivenza si basano sulla

partecipazione della molecola dell’acqua, composta da due atomi di idrogeno che si

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equilibrano perfettamente con un atomo di ossigeno (H2O). Gli scienziati hanno già

scoperto alternative energetiche alla luce solare ma non ancora all’acqua dolce.

L’acqua costituisce un elemento basilare della vita stessa, per questo siamo tutti

uguali in relazione ad essa.

L’acqua potabile, a differenza del petrolio, non ha sostituti: se una fonte di acqua si

esaurisce si perde, se si contamina, e non si può purificare, anche questa si perde.

L’acqua è vita, senza di essa il pianeta e gli esseri che lo abitano non esisterebbero.

Pertanto, chi controlla l’acqua potabile, controlla la vita e l’economia del mondo.

L'acqua è quindi un bene prezioso che però è sempre più scarso.

Rispetto al totale di acqua presente sul nostro pianeta solo il 3% è acqua dolce, cioè

quella che consente la nostra esistenza e quella di molti degli ecosistemi.

Questa piccolissima percentuale di acqua si trova nei ghiacci continentali, nelle acque

sotterranee e, in minor quantità, nei fiumi, nei laghi e nelle lagune.

Oggi, nel mondo, un miliardo e 300 milioni di persone non hanno accesso all'acqua

potabile e la scarsità relativa della risorsa si associa al continuo deterioramento della

sua qualità, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

E' dunque fondamentale conoscerne le dinamiche di sfruttamento: per salvaguardare

il diritto di accesso a questa risorsa per le generazioni presenti e future, evitare

gravissimi danni ambientali e sostenere lo sviluppo di molte aree.

Proprio da questo presupposto parte il progetto di ricerca che ho svolto in questi mesi

sull'Acquifero Guaranì, dalla volontà di applicare i miei studi alla vita reale di tutti i

giorni, di metterli a disposizione delle popolazioni che vivono quei luoghi, ma anche

di far conoscere la storia di questa immensa risorsa, prima che sia troppo tardi.

Grazie alla forza della natura, il continente americano è la regione più ricca di acqua

al mondo. È la prima riserva biotica terrestre del pianeta e la seconda marina;

raccoglie circa il 25% dell'acqua dolce del mondo, oltre a possedere ingenti depositi

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di petrolio in Venezuela (circa il 70% delle riserve di questo emisfero), di gas in Perù

e Bolivia o di vari minerali in tutta la regione.

E poi ci sono 4 paesi (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) che condividono

l’Acquifero Guaranì, una delle maggiori riserve di acqua dolce del pianeta.

Il Bacino Acquifero Guaranì, attualmente conosciuto come la terza maggiore riserva

sotterranea di acqua dolce al mondo, ha una superficie di circa un milione e

duecentomila chilometri quadrati.

Il suo fulcro si trova nella zona delle Cascate di Iguazù dove si incontrano il grande

Rio Paranà con il Rio Iguazù, dando vita ad un incredibile spettacolo della natura.

Ad oggi, però, non si conosce ancora la sua grandezza totale tanto che si ignora quali

siano i suoi limiti nella parte occidentale, che corrisponde al Paraguay; inoltre alcuni

studiosi ritengono che la sua estensione meridionale arrivi fino ai grandi laghi della

Cordigliera Andina Argentina. E’ chiamato così perché la superficie ad ora

conosciuta era quella dove, per secoli e secoli, le popolazioni guaranì svilupparono la

loro civiltà.

L'Acquifero Guaranì, enorme riserva d’acqua sotterranea, tanto grande da non

saperne definire le dimensioni, sarebbe in grado di fornire l'intero pianeta di acqua

potabile per i prossimi 200 anni, se la gestione fosse adeguatamente pianificata.

La sua gestione sostenibile dunque, che dovrebbe essere esercitata in maniera

coordinata da parte di Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile, è una questione

imprescindibile per assicurarne uno sfruttamento adeguato nel presente e garantirne

la disponibilità in futuro.

Il problema che ci si pone davanti però è che, da ormai 6 anni, la Banca Mondiale,

attraverso il GEF (Global Environment Found), in accordo con i governi dei 4 paesi

coinvolti, sta finanziando decine di multinazionali e università pubbliche e private per

un enorme progetto di ricerca sull’Acquifero, con il rischio evidente di perdita di

sovranità sulla gestione della risorsa e sulle conoscenze legate ad essa.

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3) La relazione tra le popolazioni indigene e l’acqua.

La sostenibilità del modello aborigeno.

iguazu`

grandi acque

i guarani¡ lo sapevano bene

ben prima del primo europeo

giunto sempre in ritardo

nel 1542

--

per ironia di un flusso lavico

che migliaia d'anni fa decise di fermarsi improvvisamente qui

formando un altipiano basaltico sospeso

proprio dove il rio iguazu`e il parana`

si incontrano

maschi giganteschi in lotta d'affluenza

e tutto il nero

si tramuta in ocra

e bianco impetuoso

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che sembra fermarsi un attimo

prima di cadere ferocemente

e tornare nero

--

una leggenda guarani`

vuole che queste sconfinate cascate

che si estendono per piu`di due chilometri

siano nate per gelosia divina

di un amore umano

tra il guerriero indio Caroba e la bella Naipur

amata senza ritorno dal dio

--

la gelosia divina

e' un poco insidiosa

fa crollare i letti dei fiumi

improvvisamente

ne fa nascere potenti cascate

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trasformando poi l'innamorata in roccia

l'innamorato in pianta

destinati a guardarsi

senza piu' toccarsi

Il nome Iguazù viene dalle parole Guaranì Y (acque) e guasu (grandi). Una leggenda

Guaranì dice che un dio pretendeva di sposare una bellissima ragazza chiamata

Naipú, che però scappò con il suo amante mortale in canoa. Arrabbiato, il dio

modificò il fiume creando le cascate e condannando così gli amanti ad una caduta

eterna.

Lo spettacolo naturale e grandioso delle cascate corrisponde anche a una delle zone di

carico e scarico dell’Acquifero Guaranì.

Secondo alcuni storici, all'incirca verso il 3000 a.c., nella zona dell'America del Sud

c'erano 3 grandi gruppi etnici: gli Andini all'ovest, gli Arauakos al nord e un terzo

gruppo, il più numeroso, chiamato Tupi-Guaraní, con una grande estensione

territoriale. Sembra infatti che quest'ultima popolazione sia lentamente emigrata

dall'America centrale fino ad arrivare nell'America del Sud.

Si stima che, contemporaneamente all'era cristiana, si sia generato un movimento

migratorio espansionista, che produsse una scissione di quest'ultimo gruppo: i Tupi

andarono verso est, (Costa Atlantica), e verso il nord, seguendo il corso

dell'Amazonas e dei suoi affluenti, e sviluppando la lingua tupì.

Dall'altra parte il gruppo dei Guaraní si mosse verso sudovest, seguendo il bacino del

Rio de la Plata (composto tra gli altri dal Rio Paranà, Paraguay e Uruguay).

Per varie ragioni, tra le quali la forte persecuzione con la quale furono attaccati dalla

dominazione portoghese, la lingua tupì decadde rapidamente, fino quasi a sparire,

mentre, la lingua guaraní acquisì una notevole influenza nel sud boliviano, nord est

argentino, sudest brasiliano e in Paraguay.

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I viaggi attraverso territori tanto estesi permisero ai Guaranì di conoscere in

profondità la flora del territorio che attraversavano e di cui studiavano le proprietà

curative. Queste conoscenze vennero trasmesse in seguito ai botanici europei, ed una

testimonianza di questo è costituita dal fatto che il guaraní occupa oggi il terzo posto

come fonte etimologica dei nomi scientifici delle piante, dopo il greco ed il latino.

L'economia di questo popolo si basa ancora attualmente su caccia, pesca, raccolta ed

agricoltura (soprattutto mais). Il principio fondamentale è quello dell'autosussistenza

e del mantenimento delle relazioni di reciprocità (mborererekua), che riguarda tutti i

livelli dell'economia guaraní. Si produce infatti non per immagazzinare, ma per

condividere in grandi feste dove si riunisce tutto il villaggio.

Si tratta di una tradizione fondamentalmente agricola, e non di una societá nomade,

come viene a volte erroneamente considerata, con regole di distribuzione e

redistribuzione dei mezzi di produzione e dei prodotti, e di collaborazione costruite a

partire dai legami familiari. Le tecniche agricole consistono in coltivazioni di medi e

piccoli appezzamenti, raramente superiori ai tre ettari, dedicati alla produzione per il

consumo personale e che prendono il nome di kokue .

I terreni vengono puliti, anche con l'uso del fuoco se necessario, e preparati per

ricevere le sementi per vari anni, dopo di che viene lasciato 'riposare' fino a quando

non verrà ritenuto pronto di nuovo per l'uso.

I Guaranì, inoltre, possiedono una tassonomia botanica raffinata che gli permette di

ottenere ottimi risultati in campo agricolo nella relazione costo-beneficio e nella

gestione di suoli e policolture (differenti specie alternate nello stesso terreno).

Purtroppo tutto questo sistema è messo seriamente in pericolo dalle forme di

coltivazione intensiva e dall’utilizzo di agrochimici che, da anni, le multinazionali

utilizzano in quelle terre. Questo crea enormi disagi ai piccoli contadini e una

emergenza alimentare enorme pur in zone fertili, dove, oltretutto, le popolazioni

hanno un’ancestrale legame con la terra e i suoi prodotti.

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E' proprio quella di vedere riconosciuto il proprio diritto sulle terre ancestrali una

delle richieste su cui si concentrano con più insistenza i popoli indigeni; infatti le loro

tribù tradizionalmente praticano attività di sussistenza che rendono imprescindibile

l'accesso e il controllo sui territori naturali.

I Guaraní sono un popolo profondamente spirituale e credono di essere i primi uomini

creati dal “grande padre”, Ñande Ru. Ogni comunità ha una sorta di casa di preghiera.

Il cacique, il leader religioso, riveste un ruolo importantissimo nella comunità.

Ognuno dei gruppi in cui si suddividono i Guaraní ha proprie forme di

organizzazione sociale. In comune mantengono però una religione che attribuisce

un’importanza suprema alla terra. La terra è l’origine e la fonte della vita ed è

considerata come un dono del “grande padre”, Ñande Ru. Quando la loro terra viene

occupata, colonizzata o distrutta da estranei, i Guaraní vivono le invasioni non solo

come un furto ma anche come un’offesa nei confronti della loro religione.

Il popolo Guaraní (Ava-Guaraní, Tupí-Guaraní e Guaraní) vive in alcuni degli attuali

territori di Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay, i territori sovrastanti

l’Acquifero, da almeno 2500 anni. Hanno resistito a secoli di schiavitù, alla

dispersione, alle uccisioni e allo sterminio. Durante la Guerra di Indipendenza, furono

evacuati dalle loro comunità e impiegati, la maggior parte, come mano d'opera rurale

in condizioni di schiavitù. Il 28 gennaio 1892 si verificò il massacro di Kuruyuki,

quando lo Stato e l' oligarchia boliviana sostennero l'assassinio di 5 mila guaraní. La

parte della popolazione che riuscì a sopravvivere fu obbligata a lavorare per gli stessi

possidenti che li avevano espropriati dalle loro terre; alcuni si rifugiarono nella selva

e altri fuggirono verso l' Argentina. Durante la guerra della Triplice Alleanza dove i

giganti Argentina e Brasile si scagliarono contro il Paraguay ricco di risorse e

sganciato dal colonialismo Inglese, troppo indipendente per essere tollerato,

praticamente tutta la popolazione maschile venne sterminata, il sistema scolastico e

quello ferroviario( i più emancipati di tutto il conosur) vennero distrutti. Eppure il

Paraguay oggi è l’unico paese in cui gli invasori parlano la lingua del popolo che

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hanno invaso. Un paese che per la ricchezza di acque è come un’isola circondata di

terra, con una popolazione di 6 milioni di persone, di cui il 40% sono campesinos e

possiedono solo il 2% della terra.

Nella cultura dei guaranì è fondamentale il mandato lasciatogli dai loro predecessori:

costruire una terra senza male. Un mondo basato sull'uguaglianza e il rispetto verso la

natura. Nella lingua guaranì si usa il monosillabo Y per indicare l’acqua e tutte le

parole legate alla natura sono formate da questa semplice desinenza

yvi(terra),ybuera(alberi), perché l’acqua è parte di tutto, tutto è fatto di acqua, è

l’elemento fondamentale. Paraguay per esempio significa acqua che viene dal mare,

perché prima della formazione delle Ande il Rio delle Amazzoni arrivava fino al

Pacifico, quindi 3000 anni fa, quando si hanno le prime traccie della popolazione

Tupì-Guaranì, gli uomini pensavano che fosse un mare, e quindi si definivano come

gente che viene dal mare, poiché venivano dalla zona del Rio delle Amazzoni e

sviluppavano la loro migrazione verso sud attraverso i fiumi. Quella Guaranì è

dunque una cultura fortemente idrica.

Questa popolazione ora da il nome al grande Acquifero Guaranì che scorre nella

profondità di quelle che, una volta, erano le sue terre. E non si può iniziare a parlare

di questo acquifero senza conoscere la loro storia e la loro cultura.

L’Acquifero Guaranì corre oggi seri rischi di contaminazione e di privatizzazione se

non si persegue l’obbiettivo di renderla una risorsa accessibile a tutti e da proteggere

come bene fondamentale per l’esistenza umana. Ed è ora il momento di farlo, prima

che sia troppo tardi.

Quello che sta accadendo, infatti, è che si sta perdendo un’enorme opportunità

continuando a sottovalutare l’apporto culturale, fatto di conoscenze, di sistemi di

credenze, di valori e di modi di vivere, dei popoli più antichi.

Bisognerebbe riconoscere che in questa fase non esiste un modello predefinito, un

paradigma, una metodologia per affrontare la grande crisi idrica, alimentare ed

economica che attanaglia l’esistenza di milioni di persone e per questo dovremmo

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provare a costruirla insieme ad altri, prendendo come riferimento culture antiche, che

hanno sempre avuto un legame fortissimo con l’ambiente che le circondava.

Bisognerebbe per esempio apprendere dalle popolazioni del deserto perché, per

quanto sembri un controsenso, proprio in queste popolazioni dove era un bene scarso

esisteva una cultura molto raffinata dell’acqua.

Perché, per esempio, in queste popolazioni vige da sempre una “legge della sete”,

come nel mondo arabo, dove nessuno può essere lasciato morire di sete, nemmeno il

peggiore dei nemici. Dove è stabilito che prima bisogna calmare questa necessità e

solo dopo si può decidere di cosa fare della sua vita. Moralmente è più grave non dare

l’acqua ad un uomo che togliergli la vita. E’ nelle popolazioni che svilupparono una

cultura nel deserto che possiamo incontrare una cultura dell’acqua più radicata e il

diritto di accedervi in maniera egualitaria è fortemente disciplinato.

Ed è fondamentale, per noi tutti, comprendere che l’acqua è un bisogno che incide

direttamente e indirettamente sulla vita, molto più di quello che si pensa.

Nella cosmogonia, nel mito, nel rituale, nella iconografia, qualsiasi sia la struttura dei

diversi contesti culturali, l’acqua precede qualsiasi forma di vita e ne sostiene la

creazione.

Per le comunità precolombiane, i ritmi della vita e del cosmo ordinavano i ritmi

sociali. Soprattutto per quello che riguardava l’acqua, niente succedeva senza

consapevolezza, come invece succede ora agli abitanti delle città: noi ci

sorprendiamo quando l’acqua invade le nostre case, o non arriva ai nostri rubinetti,

mentre per i popoli originari la relazione con l’ambiente si esprimeva attraverso una

continuità fisica e in una dipendenza tangibile. Il vivere di queste popolazioni fluiva

al ritmo dei cicli locali dell’acqua, non pretendeva di condizionarli.

La concezione dell’uomo in relazione con la natura era che l’uomo convive con essa

e non è il padrone, e per questo tutti gli elementi che la compongono devono essere

conservati e curati con attenzione e rispetto, come garanzia per la sopravvivenza di

tutti.

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L’acqua in questa visione è dunque considerata come elemento vitale, spazio e

oggetto sacro, origine della vita ed essere vivente a sua volta, fonte di salute e di cibo,

via di comunicazione, e fonte di benedizione o castigo divino.

In questa prospettiva quindi l’acqua non è propriamente una risorsa, è qualcosa di

endogeno, non è considerata come esterna, è quel qualcosa che sta all’origine e che

da origine alla vita.

Inoltre l’insegnamento che ci possono dare le conoscenze dei popoli originari sul

clima non hanno prezzo, perché posseggono la forza di migliaia di anni di esperienza

accumulata, trasformata in cultura. Una cultura che non sarà scientifica, ma che

proviene da una continua osservazione, dal saper leggere e comprendere i segnali

della natura, che ha permesso di costruire un conoscimento e una calendarizzazione

dei ritmi della natura. A partire da quei segnali che ci da il nostro stesso corpo ma

anche dai segnali che arrivano dagli astri del cielo.

Tutto questo ha permesso la costruzione collettiva di un linguaggio e di un modo di

comportarsi che è stato il requisito fondamentale per la sopravvivenza e la protezione

del gruppo. Saperi costruiti e conosciuti da tutti i componenti della comunità. Segnali

che riguardano le cose più vicine all’uomo, come il canto di certi uccelli, o il volo di

alcuni insetti, il fiorire di alcune piante, che annunciano l’arrivo della pioggia, le

prime gelate, il movimento della terra e del cielo. Segnali sui possibili eventi che a

breve, medio e lungo termine possono favorire o ostacolare la vita del gruppo.

Invece i nostri ritmi e la nostra attenzione ora sono concentrati sul flusso del denaro e

del consumo e, invece di proteggere l’acqua, si studiano nuovi prodotti per depurarla

e farla tornare ad essere potabile. E l’acqua così smette di essere un elemento della

natura e si trasforma in un prodotto industriale e commerciale. I guadagni privati

diventano costi pubblici che privano gli altri dei propri diritti verso di essa. In questo

modo l’acqua smette di essere acqua di tutti e diventa di qualcuno che esercita il

proprio dominio sulla società, per imporre agli altri il suo privilegio di poter bere

acqua pura e rimandarla indietro contaminata.

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E’ così che una relativa abbondanza e qualità delle acque, si trasforma rapidamente in

nuova povertà, che porta alla carenza, all’inquinamento, alle esondazioni, alla

desertificazione. La ricchezza di pochi, diventa il fattore di pericolo, di malattia, di

scarsità e di degrado per tutti gli altri e per l’ambiente stesso.

4) L’Acquifero Guaranì.

Un acquifero è una riserva di acqua sotterranea. E’ uno strato di roccia porosa in

grado di immagazzinare, filtrare e cedere acqua. Questo perchè dalla superficie della

terra fino ad una profondità di circa 1000 m vi è uno strato di roccia basaltica

impermeabile.

A seconda delle caratteristiche della formazione geologica dell’area in cui si sviluppa

si possono studiare le sue proprietà di accumulazione dell’acqua e le possibilità di

flusso della stessa.

Quando parliamo di queste proprietà si possono distinguere diversi tipi di acquifero,

denominati : libero, confinato e semiconfinato.

Un acquifero libero o freatico è quello che è limitato nella parte inferiore da una

cappa impermeabile e che però non è stretto da una cappa superiore, ma da una

superficie freatica che rende libera l’acqua di entrare e di uscire.

Un acquifero si definisce invece confinato quando l’acqua si trova sotto pressione e

riempie completamente tutti i pori della formazione geologica, la quale è limitata

nella parte inferiore e nella parte superiore da una cappa impermeabile.

Un acquifero semiconfinato infine è un tipo particolare di acquifero confinato, in cui

una delle due cappe quella inferiore o quella superiore consentono una filtrazione

verticale dell’acqua, la quale molto lentamente, può entrare o uscire dall’acquifero o

passare in un altro acquifero.

Un acquifero non è dunque un mare sotterraneo e può essere ulteriormente

classificato in Acquifero poroso, fessurale o carsico.

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E’ poroso quando è formato da rocce sedimentarie o suolo arenoso dove la

circolazione dell’acqua passa attraverso i pori, e di solito è una caratteristica degli

acquiferi più grandi visto il grande volume di immagazzinamento che questo tipo di

rocce consentono.

E’ fessurale quando è formato da rocce ignee e dure, dove l’acqua circola attraverso

le fessure aperte dal movimento delle placche sotterranee.

E’ carsico quando è formato da rocce calcaree o carboniche, dove la circolazione

dell’acqua passa attraverso le fratture o le discontinuità dovute allo scioglimento di

queste rocce nell’acqua. E questi saranno acquiferi discontinui e con acqua dura.

A differenza di quello che molti pensano, la maggior parte dell’acqua sotterranea è in

continuo movimento all’interno del suolo, attraverso le zone di carico e di scarico

dell’acquifero. Infatti queste formazioni sono una riserva permanente di acqua perché

sono continuamente rifornite dalle infiltrazioni di acqua della pioggia o da altre fonti

sotterranee. Mentre i fiumi, i laghi e i pantani sono le zone in cui le acque

dell’acquifero emergono(ovvero le zone di scarico).

Le zone invece in cui l’acquifero si approvvigiona di acqua sono chiamate zone di

carico e possono essere dirette o indirette.

La zona di carico diretta è quella dove le piogge si infiltrano direttamente

nell’acquifero, attraverso la sua area di affioramento e nelle fessure delle rocce

emerse.

La zona di carico indiretta invece è quella dove il rifornimento dell’acquifero si

genera a partire dal drenaggio e dal flusso sotterraneo indiretto o in alcuni casi con il

contributo dei corsi di acqua superficiali.

Le zone di carico e di scarico sono inoltre quelle parti di un acquifero a cui bisogna

prestare maggiore attenzione per quanto riguarda gli effetti della contaminazione e

dell’eccessivo sfruttamento, sulla qualità dell’acqua.

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Il sistema Acquifero Guaranì costituisce una delle riserve di acqua dolce, più

importanti del pianeta terra, grazie alla sua estensione stimata approssimatamente in

1.200.000 km quadrati e al suo volume stimato in circa 55.000 km cubici.

E’ il terzo acquifero più grande del mondo, preceduto solo dall’Acquifero di Arenisca

di Nubia, condiviso da Egitto, Libia, Sudan e Chad e all’acquifero sottostante il Nord

del Sahara, ma è considerato il prima in quanto a capacità di ricarica stimata

all’incirca tra i 160 e i 250 kilometri cubici ogni anno.

Il Sistema Acquifero Guaranì si trova sotto una regione abitata da circa 24 milioni di

persone ed è condiviso tra 4 paesi: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. E’

considerata quindi una riserva di acqua sotterranea transfrontaliera, perché si estende

nel sottosuolo di paesi differenti che condividono questa risorsa e che sono invece

sovrani dei loro territori.

La sua superficie è dunque così compartita tra i 4 stati:

- Brasile 10% della superficie del paese;

- Argentina 6% della superficie del paese;

- Paraguay 18 % della superficie del paese;

- Uruguay 25% della superficie del paese.

I limiti esatti della sua estensione ancora non si conoscono, ne nel limite Ovest

dell’Argentina e del Paraguay e ne nel limite Sud dove potrebbe raggiungere i laghi

della Precordigliera Andina.

L’Acquifero Guaranì possiede una struttura frammentata, eterogenea e

compartimentata.

E’ un acquifero semiconfinato formato da roccia basaltica, nel quale l’acqua si trova

ad una profondità che varia dai 200 a 1200 metri, e le cui zone di carico e scarico

sono state individuate soprattutto nelle aree di Concordia/Salto( condivisa tra

Uruguay e Argentina), Rivera/Santana do Livramento(condivisa tra Uruguay e

Brasile, Riberao Preto (Brasile), Itapua(Paraguay) e nella zona sottostante alle

Cascate di Iguazù, corrispondente alla Tripla Frontiera tra Argentina, Brasile e

Paraguay.

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L’Acquifero Guaranì inoltre ricopre il 49% della superfice della Conca del Plata,

formata principalmente dai bacini del Rio Paranà, Paraguay, Uruguay, Pilcomayo,

Bermejo, San Lorenzo.

Altre zone di carico diretta si trovano nel Sud Ovest della Provincia di Misiones, nei

pressi di San Ignazio e nel centro della Provincia di Corrientes, presso Curuzù Cuatià

e Mariano Loza. Mentre alcune zone di scarico si trovano ai margini dell’Estero de

Iberà che inizia nella Provincia di Corrientes e che termina in Paraguay.

L’Acquifero è costituito dall’acqua che riempie lo spazio tra le rocce porose, che

formano la cappa arenosa, e che si depositò nella conca geologica del Paranà tra i 245

e i 144 milioni di anni fa. E grazie alla temperatura geotermica e alla profondità in cui

si trova, questa acqua può raggiungere temperature molto alte, tra i 50° e i 65° C.

L’area sovrastante l’acquifero è caratterizzato da differenti ecosistemi il che dimostra

l’enorme ricchezza naturale della zona, che va assolutamente preservata. Uno di

questi, il più esteso è la mata atlantica, composta di ecosistemi forestali formati da

alberi molto differenti, con una grande ricchezza in termini di biodiversità e di

paesaggio e caratterizzata dal vento umido che proviene dall’oceano.

Altro ecosistema molto importante è il cerrado, caratterizzato da un clima tropicale

fatto si inverni secchi e con precipitazioni concentrate soprattutto nei mesi di

primavera ed estate. Gran parte di questo ecosistema è stato trasformato in zona di

pascolo coltivata, eppure conserva una fisionomia molto differente fatta di vasti

campi aperti e di densi boschi di tipo atlantico e delle valli umide dove scorrono i

fiumi. Altro ecosistema è quello della pradera con una superficie pianeggiante molto

fertile, tanto da essere quello in cui il territorio è stato maggiormente modificato dalle

coltivazioni agricole. Poi vi è la pampa, una pianura completamente ricoperta di

pascoli, con un clima temperato e senza periodi secchi, che ha il suolo più fertile di

tutta la Conca del Plata. Sia nella pradera che nella pampa si sviluppò per primo

l’allevamento che solo negli ultimi anni è stato sostituito dalle grandi coltivazioni di

grano, mais, soia e da piantagioni di alberi non naturalmente presenti in quell’area.

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Altro ecosistema molto particolare è quello del Esteros de Iberà, un sistema di paludi

che possiede una grande importanza per i cicli idrologici ed ecologici che esistono al

suo interno e per la biodiversità che lo abita. Ed infine c’è il pantanal, un’immensa

pianura inondata, che costituisce l’habitat di tantissime specie di animali e di piante e

che funziona come regolatore del sistema idrologico della Conca del Plata,

contribuendo in maniera significativa alla ricarica dell’Acquifero Guaranì.

Oltre a questa ricchezza naturale sovrastante, le acque del Guaranì sono ricchissime

di minerali.

L’Organizzazione Internazionale dell’Energia Atomica, infatti, su richiesta del Banco

Mondiale ha realizzato studi isotopici dell’acqua dell’acquifero. Tali studi hanno

dimostrato che l’acquifero è ricco di vari elementi chimici, come il deuterio,

utilizzato soprattutto nell’ingenieria astronautica e militare, il tritio, componente

usato negli esperimenti termonucleari e che attraverso le pioggie penetra nella terra e

successivamente nell’acquifero, e sono state ritrovate tracce di uranio, torio e silicio.

Inoltre per alcune caratteristiche, dovute soprattutto alle alte temperature che può

raggiungere e la alta concentrazione di oligoelementi e metalli, queste acque sono

state classificate come minero-medicinali, perchè permetterebbero di alleviare

molteplici infermità e dolori.

Il suo utilizzo fino ad ora è così strutturato nei vari stati, e rispetto alle potenzialità di

questa risorsa si può affermare che fin ad ora il livello di sfruttamento della risorsa è

quasi insignificante:

- In Argentina l’uso è per il momento molto ristretto, si limita a 13 perforazioni

che arrivano a 1300 metri di profondità, situate soprattutto nella Provincia di

Entre Rios, dove questi pozzi vengono utilizzati soprattutto per le acque

termali. Nella Provincia di Misiones invece, dove l’acquifero si trova ad una

profondità minore esistono pozzi utilizzati per l’uso domestico e l’irrigazione.

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- In Brasile sono stati costruiti almeno 500 pozzi per utilizzo domestico in circa

300 città, e si utilizza l’acqua dell’Acquifero anche per l’industria,

l’irrigazione.

- In Uruguay ci sono circa 140 pozzi e l’acqua viene impiegata soprattutto per il

turismo termale, ma anche per l’uso umano e l’irrigazione.

- In Paraguay vi sono attualmente 200 pozzi che vengono impiegati soprattutto

per l’uso umano.

Le acque sotterranee dell’acquifero si ricaricano principalmente grazie all’acqua delle

precipitazioni che si infiltra direttamente o indirettamente nel suolo.

Molte delle attività umane possono rappresentare una minaccia per la qualità

dell’acqua sotterranea. Infatti la contaminazione di una risorsa idrica sotterranea può

causare una alterazione fisica, chimica o biologica della sua qualità naturale.

Uno dei rischi principali è legato alla deforestazione. Le zone di ricarica sono di

solito zone in pendenza e boschive. Il bosco svolge la funzione di raccogliere e

trattenere l’acqua dandole il tempo di essere assorbita dalla superficie ricaricando

l’acquifero. Purtroppo l’avanzare della frontiera agricola ha provocato la

deforestazione di molte aree sovrastanti l’acquifero e l’effetto della sostituzione di

vegetazione naturale, con monocultivazioni di un determinato tipo, implica un

aumento del consumo di acqua, che riduce la quantità di acqua disponibile e

inaridisce il terreno. Di conseguenza l’acqua piovana che cade sul terreno privo di

alberi scorre fino ai torrenti invece di penetrare nell’acquifero perché senza boschi

l’acqua non ha tempo sufficiente per infiltrarsi.

Inoltre l’avanzamento della frontiera agricola delle coltivazione di soia, tabacco e

eucalipto, che viene effettuata con immense quantità di pesticidi, rischia seriamente

di contaminare le zona di ricarica dell’acquifero soprattutto nella zona del Paraguay e

della Provincia argentina di Misiones..

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Tutti sappiamo che il petrolio necessita di centinaia di anni per formarsi. Bene, in un

acquifero l’acqua richiede, da quando entra in un certo punto fino a quando fuoriesce

da un punto più lontano, circa 300 anni.

Questo tempo può non avere alcun significato a livello geografico, ma a livello

umano, in termini pratici, rappresenta una situazione irreversibile.

Per proteggere le acque dell’acquifero contro la contaminazione è fondamentale

quindi monitorare gli utilizzi presenti e futuri del territorio sovrastante. E’ necessario

implementare strategie di gestione del territorio e della risorsa in grado di preservarla.

Quando la domanda regionale di acqua cresce e si intensifica e aumenta il numero

delle perforazioni e degli utenti, senza un’adeguata gestione rischiano di verificarsi

conflittualità che possono danneggiare la risorsa. La complessità di monitorare un

flusso sotterraneo, per quantificarne la riserva e il livello di rinnovamento, richiede

che le strategie di gestione siano studiate su base regionale. L’acqua sotterranea fa

parte del ciclo idrologico attraverso la ricarica per infiltrazione di precipitazioni che

possono arrivare da aree lontane o vicine. Scorre in flussi sotterranei che possono

essere molto o poco profondi, in sistemi con una complessità e una estensione tale

che è molto difficile studiare. E questi flussi di acqua sotterranea possono percorrere

grandi distanze se le condizioni geologiche e idrauliche glielo consentono, perché

l’acqua non conosce frontiere politiche e può penetrare all’interno dell’Acquifero in

una zona di ricarica posta in un determinato paese ed essere estratta in un altro paese.

La gestione di un acquifero che appartiene ad una conca idrologica condivisa tra più

paesi come è il caso dell’Acquifero Guaranì, possiede dunque una complessità

maggiore perché è necessario raggiungere strategie di gestione condivisa, che partano

da criteri ambientali e di sostenibilità centrati su una visione regionale degli effetti

diretti ed indiretti che lo sfruttamento può avere sulla qualità della risorsa. E per fare

questo vi deve essere la volontà dei governi coinvolti di costruire un’integrazione

legislativa ed istituzionale rispetto alla gestione della risorsa, con il fine di evitare

conflittualità nella gestione o pericolosi vuoti legali, e che anzi renda più efficaci e

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credibili le scelte di politica idrica, portando a garantire l’ accesso all’acqua per tutti i

cittadini attuali e futuri.

Rispetto a questa questione emergono tutti i limiti e i pericoli che corre l’acquifero.

Emergono i limiti del Mercosur che potrebbe essere l’organismo regionale capace di

coordinare questa situazione, ma che non ha la determinazione e il sostegno per

farsene carico. Emerge la disattenzione di stati come l’Argentina, rispetto

all’importanza di questa risorsa. Emergono le difficoltà burocratiche, per cui nei 4

stati le risorse idriche fanno riferimento ad istituzioni differenti, sono regolamentate

da leggi provinciali e statali in Argentina e in Brasile, che sono stati federali, e da

leggi nazionali in Uruguay e Paraguay. Ci sono paesi come l’Uruguay che hanno

riformato la propria Costituzione pur di ribadire che l’accesso all’acqua è un diritto

umano fondamentale e che deve essere gestito pubblicamente. Però ci sono anche

paesi come l’Argentina, dove a partire dagli anni 90 la gestione delle risorse idriche è

passata dalle competenze del Ministero dell’Ambiente a quelle della Segreteria delle

risorse minerarie del Ministero della pianificazione, perché come ammettono gli

stessi funzionari del governo, le questioni legate all’acqua sono questioni legate alle

grandi opere e agli interessi economici.

In questa situazione di vuoti legali e scarso coordinamento tra gli Stati, a partire dal

2000 la Banca Mondiale colse la occasione per inserire i propri interessi

sull’Acquifero e per finanziare il Progetto per la Protezione Ambientale e lo Sviluppo

Sostenibile del Sistema Acquifero Guaranì.

Ma andiamo per ordine.

Il 22 aprile del 1997 fu sottoscritto dai 4 paesi l’Atto di Paysandù che stabiliva che

dovevano essere creati meccanismi di coordinamento per l’investigazione,

l’utilizzazione e la preservazione dell’Acquifero Guaranì, con l’obbiettivo di proporre

una gestione sostenibile della risorsa.

Le quattro Università pubbliche dei quattro Stati coinvolti avevano stimato il costo

dell’investigazione in 6 milioni di dollari divisi tra i 4 stati. Invece i governi decisero

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di coinvolgere nel progetto la Banca Mondiale, che attraverso il GEF, il Fondo

Mondiale per l’Ambiente, approvò nel 2001 un progetto con lo scopo di preservare

l’Acquifero dalla contaminazione, affermando che la cosa più giusta, in un mondo in

cui l’acqua è una risorsa che inizia a scarseggiare, fosse che a coordinare la ricerca

sull’Acquifero ci fosse un ente come la Banca Mondiale, e che l’agenzia esecutrice

regionale fosse l’OEA, l’Organizzazione degli Stati Americani.

La Banca Mondiale calcolò che il costo del progetto fosse di 26 milioni di

dollari(contro i 6 proposti dalle Università) e stabilì che i governi della regione

avrebbero pagato in natura la propria parte, cioè dando le concessioni per studiare la

risorsa.

Nacque così il Progetto per la Protezione Ambientale e lo Sviluppo Sostenibile del

Sistema Acquifero Guaranì, con lo scopo di proporre ai 4 stati una conoscenza più

approfondita della risorsa e un quadro legale e istituzionale per la gestione coordinata

dell’Acquifero.

Il Progetto che termina il 31 di gennaio di questo anno è cofinanziato da:

- l’Organizzazione Internazionale per l’Energia Atomica (OIEA);

- il Servizio Geologico Tedesco,

- il Programma per l’Acqua della Banca dei Paesi Bassi

- il Programma di Partnership sull ‘Acqua della Banca di Norvegia

Il Progetto sul Sistema Acquifero Guaranì è parte del Progetto Quadro chiamato

“Progetto di Preservazione Ambientale e Svilippo Sostenibile della Cuenca del Plata”

ed è anche legato al Progetto DeltAmerica che coordina gli studi sulle caratteristiche

e le potenzialità dell’utilizzo degli acquiferi condivisi tra differenti paesi del

Continente Americano.

Il lavoro di ricerca ebbe inizio nel 2005 e fu suddiviso in 4 progetti pilota che

corrispondono alle zone principali di carico e scarico dell’acquifero, dove le attività

antropiche sono maggiori: ovvero Concordia/Salto( condivisa tra Uruguay e

Argentina), Rivera/Santana do Livramento(condivisa tra Uruguay e Brasile), Riberao

Preto (Brasile), Itapua(Paraguay). Questi progetti furono affidati a:

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- la SNC Lavalin Internacional;

- alla Geodatos srl

- alla PROINSA (Proyecto de Ingenieria S.A.)

- alla P&T Consultora srl

- alla LCV srl

- alla DH Perforazioni di pozzi Ltda

- alla Charlesworth and Associated Consulting Hydrogeologists, Canada

con il fine di svolgere un servizio di inventario geologico, geofisico, idrochimico,

isotopico e idrogeologico delle 2 aree operative Nord e Sud in cui è stato diviso per

comodità di studio il Sistema Acquifero Guaranì.

Questo servizio di inventario si è concretizzato in elaborazioni di analisi e mappe dei

volumi dell’Acquifero, delle sorgenti e della potenza geotermale, dei fiumi, dei laghi

e delle lagune dell’area, del suolo, delle cascate e dei salti artificiali, delle vie di

comunicazione, dei ponti, dei porti e degli aereoporti, delle industrie e delle

coltivazioni presenti.

Ma perché tanti stranieri a studiare questa risorsa? Perché gli stati non finanziarono

direttamente le proprie Università per lo studio dell’Acquifero? Così non si rischia di

perdere la sovranità sopra i propri territori, le proprie risorse e sulla proprietà

intellettuale delle informazioni?

La segreteria del PSAG e il GEF determinarono i lineamenti che il progetto avrebbe

dovuto seguire e la Banca Mondiale ne ha seguito con un monitoraggio periodico lo

svolgimento.

Le 7 componenti del Progetto erano:

- l’espansione e il consolidamento della base di conoscenze scientifiche e tecniche,

- lo sviluppo di un quadro di gestione del Sistema Acquifero Guaranì,

- lo stimolo alla partecipazione pubblica e alla educazione ambientale,

- la valutazione e il proseguimento del progetto,

- lo sviluppo per la gestione delle acque sotterranee in aree critiche,

- la considerazione delle potenzialità dell’energia geotermica

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- la coordinazione e la gestione del Progetto.

Fu creato il Fondo per la Cittadinanza per 240 milioni di dollari, divisi tra 24 ONG e

associazioni che hanno svolto sotto il coordinamento della Segreteria del PSAG un

lavoro di educazione ambientale in alcune zone interessate dall’acquifero. Nei

materiali prodotti per questo lavoro, oltre alle informazioni generali sull’Acquifero e

su come risparmiare l’acqua si trova spesso ribadita la necessità di una gestione che sì

protegga la risorsa, ma senza limitare gli investimenti privati.

Fu creato, infine il Fondo delle Università per 370 milioni di dollari con lo scopo di

finanziare 9 progetti di ricerca sull’Acquifero svolti da 16 Università tra pubbliche e

private dei 4 paesi interessati. I contratti tra i ricercatori di queste Università e la

Segreteria del PSAG affermano che essi rispondono direttamente alla Banca

Mondiale e che devono seguire le direttive del Progetto. E in ogni documento finale

viene inserita la formula in cui chi ha svolto le ricerche precisa che i risultati sono

“una opinione personale di chi scrive e che gli organismi finanziatori non hanno

responsabilità su di esse”. Una formula particolare, nonostante si stia parlando di dati

scientifici, che non dovrebbero essere opinioni, ma certezze. Perché questa

precisazione?

Il Progetto di studio sull’Acquifero Guaranì termina ora, il 31 gennaio, e i

responsabili della Banca Mondiale confermano che in questi giorni sarà disponibile in

rete il Programma Strategico di Azione( ma per ora sono visibili solo i documenti

relativi alle mappature, i manuali di perforazione dei pozzi e alcuni rilevamenti

idrogeologi, ma nessuna valutazione sugli impatti delle attività antropiche o proposte

per una gestione sostenibile coordinata dai 4 stati), mentre le 13 mila pagine in cui si

trovano i risultati degli studi svolti saranno pubblicate con tempi più lunghi. Eppure

questo, come appare scritto in numerosi comunicati, all’origine voleva essere solo un

progetto di studio preventivo!

Le organizzazioni sociali, che affermano di non essere state consultate nello sviluppo

del progetto, fino ad ora hanno evitato che nella zona fossero avviati contratti di

privatizzazione della risorsa, eppure i rischi restano perché se pur non si sta

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privatizzando l’acqua, aumentano nella zona le proprietà terriere delle multinazionali

straniere, e la sovranità e il controllo dell’acqua è a rischio se non si ha sovranità sulla

terra sovrastante.

La Banca Mondiale inoltre ha comunicato, durante questi 4 anni di svolgimento del

Progetto che i 4 paesi oltre alla risorsa avrebbero dovuto contribuire al finanziamento

ponendo quasi 12 milioni di dollari per la pianificazione e l’integrazione dei dati

raccolti, nonostante il supervisore di tutto questo rimanesse un organismo

internazionale come la Segreteria del PSAG.

Il dubbio che sorge è che nel 1997, se i 4 stati avessero investito 1 milione e mezzo di

dollari a testa, avrebbero potuto studiare l’acquifero e detenere tutte le informazioni

strategiche in merito ad esso, ora invece queste informazioni sono condivise anche

con imprese private straniere.

Bisogna poi tenere in considerazione la particolare attenzione dell’Esercito

Nordamericano sulla zona della Tripla Frontiera, tra Argentina, Brasile e Paraguay,

dove secondo le fonti dei servizi segreti ci sarebbero cellule attive di Alqaida e

l’acquisto da parte del “filantropo” nordamericano Douglas Tompkins, guru

dell’ecologia profonda, di quasi un milione di ettari di terre appartenenti

all’ecosistema dell’Estero de Iberà, zona fortemente legata alla salute dell’acquifero e

ricchissima di biodiversità.

Tanta l’attenzione data allo studio e al controllo dell’area dell’ Acquifero Guaranì!

Un’area che rientra nel Sistema Interamericano di Defesa, creato dagli Stati Uniti,

dove il pilastro economico viene applicato attraverso l’ALCA(che opera in questo

momento attraverso gli accordi Nafta e il Cafta) e che stabilisce che:

1) Gli Stati non possono impedire il libero accesso delle imprese private nelle

aree economiche dei servizi(salute ed educazione), della tecnologia, del

commercio e delle materie prime.

2) I Governi nazionali possono prendere precauzioni per la preservazione delle

risorse non rinnovabili la protezione della salute e della vita vegetale e umana,

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ma queste precauzioni non devono costituire una restrizione agli investimenti e

ai commerci.

3) Se emerge una controversia, tra il governo nazionale e l’impresa

multinazionale questa ultima può chiamare in causa il Ciadi, alle cui decisioni

le parti non possono opporsi.

E’ possibile a questo punto affermare che questo quadro è molto lontano dagli

obbiettivi di sviluppo sostenibile e partecipativo che dovevano essere alla base del

progetto.

L’acqua dell’Acquifero Guaranì, così come le altre risorse naturali, viene considerata

da Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, dalla Banca Mondiale e dall’OEA,

insomma da tutte le istituzione che coordinano il PSAG, non come un diritto umano

da garantire, ma come una merce, da preservare sì, ma par finalità economiche visto

che in altre zone del mondo inizia a scarseggiare.

Se le cose non cambiano le acque, naturalmente pure, dell’Acquifero Guaranì sono

seriamente in pericolo.

5)La proposta alternativa per una gestione sostenibile, razionale e dal basso dell’

acqua come diritto umano e non come merce.

L’accesso alle risorse disponibili di acqua dolce è un diritto umano fondamentale.

Essa non una merce che può essere acquistata, venduta e commercializzata a fini di

lucro, eppure questo continua ad accadere e milioni e milioni di persone continuano a

morire di sete.

Come dice l'Osservazione Generale N° 15 sul Diritto all’acqua del Comitato per i

Diritti Economici, Sociali e Culturali: “Il diritto umano all’acqua è indispensabile per

vivere una vita dignitosa. E’ un prerequisito per la soddisfazione degli altri diritti

umani, e essa deve essere considerata come un bene sociale, culturale e non solo

come un bene economico”, e in quanto bene pubblico non dovrebbe essere materia

dei trattati di libero commercio internazionale come quelli dell’OMC e dell’ALCA.

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Eppure, ogni nuova diagnosi della realtà rende visibile che i problemi in questo

ambito stanno aumentando molto più velocemente delle soluzioni che si stanno

attuando. Per il momento si continuano ad applicare le stesse ricette che ci hanno

portato fino a qui. Si continua a parlare di governabilità dell’acqua che significa

rendere compatibile la politica idrica al modello neo liberale.

Bisognerebbe invece ripensare lo sviluppo come "sviluppo su scala umana" secondo

il modello per cui le necessità umane fondamentali sono finite, poche e classificabili,

e che queste necessità sono le stesse in tutte le culture e in tutti i periodi storici.

Quello che cambia, attraverso il tempo e le culture sono i modi e i mezzi per la

soddisfazione di queste necessità.

Per qualcuno evidentemente è difficile rendersi conto che le necessità umane

fondamentali siano le stesse in tutte il mondo e in tutti i tempi; se questa convinzione

fosse maggiormente radicata in tutti noi e nei politici che dovrebbero governarci

sarebbe molto più difficile lasciarci condizionare da un consumismo sfrenato e da un

utilizzo errato e pericoloso delle risorse naturali. E sarebbe molto più difficile per

alcuni di loro renderci governabili, compatibili.

La Conferenza sull’Acqua realizzata a Dublino nel 1992, come riunione preparatoria

della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro,

sempre nel 1992, parlò per la prima volta di Gestione Integrata delle Risorse Idriche

(GIRH), che ha come presupposto base il concetto di “governabilità dell’acqua”.

E rendere governabile l’acqua significa per il Fmi e la Banca Mondiale generalizzare

la privatizzazione di questa risorsa.

Ma ci sono paesi e movimenti sociali che ci hanno insegnato che si può dire no a tutto

questo, come la Bolivia di Evo Morales e la guerra per l’acqua vinta dal popolo

boliviano in Cochabamba.

Rispetto a questa questione è importante dunque citare le sue parole:

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“I crediti che il Fmi e la Banca Mondiale rilasciano per il settore acqua, lo sono solo a

condizione che si promuova la privatizzazione di questo settore.

La Visione Mondiale dell’Acqua dell’Aya dice che se non accettiamo la

privatizzazione non ci saranno gli investimenti necessari per risolvere i problemi

dell’acqua. Questo è falso. Negli Stati, nel settore pubblico, ci sono sufficienti risorse

per affrontare tutte le questioni legate all’acqua nel mondo di oggi e di domani, la

unica cosa che dobbiamo fare è toglierli dalle questioni militari e destinarle alla

gestione e alla distribuzione delle risorse idriche. Smetterla con la guerra e la morte e

iniziare a investire nell’acqua e nella vita.”

Il potere, la società occidentale, propone da tempo modelli di inclusione, più che di

esclusione delle comunità indigene, di quelle campesine, in generale delle classi

oppresse, cerca una normalizzazione eguagliatrice, disciplinante. Il fine ovviamente è

il controllo.

Allora quello che viene da chiedersi è uguale a cosa, a chi, a quale modello?

Se parliamo di acqua, il “progresso” ovviamente si intende come uguale al modello

occidentale: ovvero un modello di gestione tecnocratico e di mercato, che parla di

efficienza, sicurezza sociale, gestione privata e funzionalità economica. Così le genti

indigene si vedono obbligate a rendersi uguali a questo tipo di norme e di pratiche,

che mettono a rischio l’integrità delle comunità locali.

Invece le comunità indigene e campesine chiedono si un diritto all’uguaglianza

nell’accesso alla risorsa acqua, ma anche un diritto ad essere differenti, ad avere un

altro approccio, un’ altra cultura.

Le conoscenze aborigene, i loro sistemi tecnologici e sociali di gestione dell’acqua

partono dal principio della convivenza reciproca con la madre terra e si sostengono

attraverso la proprietà collettiva dell’acqua, basata su un sistema sociale consolidato

da centinaia di anni di storia.

Le popolazioni indigene riuscirono a garantire la sostenibilità degli ecosistemi già da

tempi antichissimi e, per questo, le loro conoscenze e le loro capacità devono essere

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riconosciute, rispettate e preservate. I sistemi di utilizzo dell’acqua consolidati in

centinaia di anni, e ora considerati marginali, dovrebbero essere invece presi in

considerazione come una reale alternativa per uno sviluppo sostenibile delle risorse

idriche.

I sistemi di gestione dell’acqua, quindi, dovrebbero partire da una concezione

territoriale di conca, di uso compatibile con i cicli naturali e di sostenibilità. Il tutto

dovrebbe essere svolto attraverso meccanismi partecipativi che possano consentire un

accesso equo alla risorsa. I progetti di gestione sostenibile dovrebbero fornire

informazioni pubbliche sulla disponibilità dell’acqua superficiale e sotterranea. E

dovrebbero basarsi sull’autorevolezza delle conoscenze idriche locali già esistenti,

ovvero quelle delle comunità indigene, campesine, e delle associazioni dei

consumatori. Tutta la politica di investimenti pubblici, infine, dovrebbe mettere al

primo posto la conservazione della risorsa, la gestione sostenibile, e uno sviluppo

locale e regionale che tenga in considerazione anche gli usi e i costumi delle

comunità indigene e campesine.

Altra questione importante è quella legata all’agricoltura, che è uno dei principali

settori della produzione che richiede acqua (circa il 70% del consumo mondiale) per

l’irrigazione; questa infatti è una delle attività che genera maggiormente

preoccupazioni rispetto alla disponibilità e all’impatto sulla domanda di acqua

potabile.

Produrre alimenti significa consumare acqua e, il commercio agricolo, può essere

anche pensato come un gigantesco trasferimento di acqua, da regioni dove la si

incontra in abbondanza e a basso costo, verso altre dove invece è scarsa e costosa. Lo

dicono le percentuali di enormi quantità di importazioni di prodotti che richiedono un

utilizzo molto grande di acqua per essere coltivati, provenienti dai paesi dell’America

Latina e dirette verso paesi europei e Cina.

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La sfida dei prossimi anni, per esempio, sarà proprio quella di evitare che la grande

produttività della soia che però danneggia le altre specie, mantenga un predominio

che può pregiudicare sul lungo periodo la salute di altre risorse.

Per quanto riguarda il caso dell’Acquifero Guaranì, l’estrazione di acqua sotterranea

nei 4 paesi, viene destinata per il 69% all’agricoltura, per il 21% per l’industria

termale, e il 10 % per il consumo domestico. E' necessario porre l’accento sulla la

crescente domanda di acqua da parte dell’agricoltura e la possibilità di

contaminazione dovuta alla sua intensificazione.

E il settore agricolo sarà costretto a rendersi conto che in futuro potrebbe trovarsi di

fronte ad una riduzione delle aree di produzione a causa della salinità delle acqua,

della degradazione del suolo e della diminuzione della disponibilità e dell’accesso

all’acqua. Questa situazione renderà, ovviamente, più vulnerabili quelle comunità che

vivono di agricoltura per la loro propria sussistenza e che stanno avendo già enormi

conseguenze a causa di queste grandi monoculture per l’esportazione.

Il compito primario è quello di comprendere i limiti del sistema naturale e delle sue

potenzialità a seconda del clima e delle attività economiche, rafforzare le capabilities

locali e la partecipazione dei cittadini.

Per fare questo l’approccio agro ecologico potrebbe essere positivo perché parte

dall’utilizzo ecologico delle risorse naturali, attraverso forme di azione collettiva, e

perchè presenta alternative valide all’attuale crisi del sistema, attraverso proposte di

sviluppo partecipativo, a partire dall’ambito della produzione e della circolazione

alternativa dei suoi prodotti. Si propongono così forme di produzione e consumo che

contribuiscono ad affrontare la crisi ecologica e sociale.

Questa strategia prende in considerazione la natura a partire dalle forme di

organizzazione e produzione comunitarie, all’interno delle quali sono articolate le

conoscenze locali, campesine ed indigene, portatrici di tutta la potenzialità ecologica

e socioculturale.

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L'intensificazione dell’attuale modello agricolo genera impatti incompatibili con lo

sviluppo sostenibile; l'agro-ecologia propone come metodologia invece una

rivalutazione delle conoscenze locali e il raggiungimento della sovranità alimentare

attraverso la gestione locale delle risorse, integrando i saperi popolari, con quelli

accademici e scientifici, mettendo questi ultimi a disposizione della società.

Il popolo sudamericano non deve dimenticare la storia del profondo sfruttamento di

questi territori, iniziato con l’invasione europea più di cinque secoli fa che,

proseguito fino ad oggi con caratteristiche differenti, vorrebbe continuare a

mantenere l’America Latina ancora dipendente dai cosiddetti paesi sviluppati.

Se si rilegge oggi “Le vene aperte dell’America Latina” di Eduardo Galeano, pare

che la situazione vissuta da questo continente attualmente, sia solo un modo diverso

di colonizzazione delle risorse, con un altro tipo di violenza, ma che resta sempre e

comunque un saccheggio. E’ necessario quindi mantenere sempre uno spirito critico

rispetto alla politica economica internazionale.

L’acqua non è una merce, è bene ribadirlo; è, invece, un diritto umano fondamentale

legato alla salute e alla vita, è un bene sociale inalienabile che deve essere oggetto di

politiche pubbliche, patrimonio delle popolazioni e dei paesi dove questa risorsa si

trova.

Si stima che il volume dell’Acquifero sia di circa 55.000 km cubici (un km cubico

equivale ad 1 con 12 zeri litri di acqua) e che la ricarica sia compresa all’incirca tra i

160 e i 250 kilometri cubici ogni anno. Una risorsa immensa dunque.

Sfruttando annualmente 80 km cubici, sfruttamento che può essere considerato

razionale, si potrebbero rifornire di acqua circa 720.000.000 di persone con 300 litri

di acqua al giorno.

La popolazione sudamericana è di circa 551.000.000 di abitanti che, quindi, con un

utilizzo razionale dell’acquifero potrebbe essere rifornita di acqua potabile, limpida,

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di eccellente qualità e mineralizzata; il resto potrebbe servire per aiutare le

popolazioni che soffrono la sete nel sud del mondo.

E’ stato dimostrato che le acque dell’Acquifero sono di eccellente qualità per il

consumo umano, industriale, termale e per l’irrigazione. Con la costruzione di

acquedotti come quelli che costruirono le grandi civiltà del passato, si potrebbero

rifornire di acqua pura grandi e piccole città.

La popolazione dei paesi sudamericani così potrebbe avere accesso ad acqua potabile,

ad un costo relativamente basso e in grandissime quantità, laddove invece per una

grande parte della popolazione in questo momento l’acqua è un bene scarso.

Sarebbe giusto che i Governi dei 4 paesi che condividono il Guaranì preservassero

risorse naturali come questa, innanzitutto per i loro popoli, e che non consentissero

nessun tipo di ingerenza da parte di capitali o di eserciti stranieri.

Questi governi dovrebbero proporre piani di sfruttamento razionale e mantenimento

delle risorse strategiche per il lungo periodo ma anche per l’immediato, e dovrebbero

coordinare attraverso istituzioni regionali la gestione e lo studio di queste risorse.

Le concessioni, lo dice la parola stessa, si possono revocare.

E’ stato un errore quello di affidare l’investigazione di questa ricchezza a

multinazionali straniere dalle quali, ora, i paesi avranno solo informazioni di seconda

mano.

I Movimenti sociali in questi anni hanno fatto molto: hanno lavorato sui territori con

le comunità locali, hanno denunciato a gran voce i soprusi e gli effetti delle

contaminazioni, i rischi che corre questa bellissima terra e chi la vive, hanno impedito

la privatizzazione di questa preziosa risorsa. Si sono dotati degli strumenti tecnici e

scientifici per rispondere alla retorica dei politici e delle multinazionali che

continuano ad affermare il falso, ovvero che in questo momento non ci sono

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contaminazioni, che non ci sono interessi privati in campo, che l’acqua esiste in

questi paesi in abbondanza tale da non essere un problema in agenda.

A loro devo tutto ciò che ora conosco sull’acqua e sull’Acquifero Guaranì, a queste

persone devo la crescita umana e politica che ho vissuto in questi mesi di ricerche.

Alla loro capacità di portare avanti le proprie lotte sui territori, ma anche di essere

una sola voce contro i potenti del mondo.

“Non c’è niente di romantico nel voler cambiare il mondo.

E’ possibile.

E’ il mestiere al quale l’umanità si dedica da sempre.

Non concepisco una vita migliore di quella vissuta con entusiasmo,

dedicata alle utopie, al rifiuto ostinato dell’inevitabilità del caos e dello sconforto.

Il nostro mondo, è e sarà il risultato dello sforzo che noi,

i suoi abitanti, gli consacreremo.

Come la vita, che sorse da processi di adattamento e di modificazione,

il sistema sociale che ci porterà a realizzare il nostro potenziale come specie,

sorgerà dai flussi e riflussi delle lotte e dagli sforzi collettivi

nelle diverse regioni del pianeta.

Il futuro è una costruzione che di realizza nel presente,

e per questo concepisco la responsabilità verso il presente,

come l’unica responsabilità seria verso il futuro.

L’importante, me ne rendo conto solo ora, non è

vedere tutti i propri sogni realizzati, ma continuare ostinatamente a sognarli.”

Gioconda Belli

Ringraziamenti particolari

Alla Professoressa Elsa Bruzzone del Cemida, Al Professor Marcel Achkar, della Università di

Montevideo, A Javier Tasks della Casa Bertold Brecht, A Vasco Baigorri del Equipo Misiones de

Pastoral Aborigen, A Ramon Vargas, A Walter Pengue del Gepame, A Antonio Graziano,

All’Istituto Socioambiental del Sur Sobrevivencia.