La Stele di Raimondi - Un Oopart nell'antico Perù precolombiano
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LA STELE DI RAIMONDI
Un Oopart nell’antico Perù precolombiano
Articolo scritto da -il Pensatore-, Primo Maggio 2014
Introduzione
Ovverosia
I trucchi e la violenza del potere
Considero l’archeologia accademica, così come viene insegnata nelle università e poi
divulgata al pubblico, una grande truffa allorché essa verte su periodi storici anteriori al
cosiddetto periodo classico che si fonda su Grecia e Roma antiche. Ciò si fa ancora più
eclatante quando l’argomento si basa su civiltà nate e sviluppatesi al di fuori del contesto
europeo. Le evidenze archeologiche –cioè i reperti e le fonti documentali- possono essere
datate con maggiore verosimiglianza quando riguardano periodi abbastanza vicini a noi,
poiché siamo in grado di osservare un’evoluzione culturale e tecnologica che da quei
suddetti periodi arriva -grazie ai documenti scritti, alle rappresentazioni grafiche ed alle
innovazioni tecniche- sino a noi senza evidenti (però solo all’apparenza) salti qualitativi o
lacune. Ma attenzione, questo è solo il residuo che rimane depositato dopo che ogni cosa
viene prima filtrata al setaccio dagli scherani del potere costituito; ciò che non passa
attraverso la griglia è ritenuto scomodo e pertanto viene nascosto, oppure camuffato o, se
necessario, viene distrutto. Al pubblico deve essere somministrata una sorta di cibo
edulcorato. E’ mia convinzione che, nel mondo occidentale, tale strategia è palese in modo
eclatante allorché la crisi dell’impero romano viene infiltrata dall’espansione del
cristianesimo; successivamente, col passare dei secoli altre maschere vengono usate: il
potere costituito si evolve ed amplifica le sue abilità di mimesi e travestimento;
apparentemente, riesce persino a sembrare altro da ciò che era un tempo. Per spiegare
questo concetto necessito intraprendere il seguente itinerario. Durante le invasioni
barbariche il mondo occidentale ha perso un enorme quantitativo di libri preziosissimi;
secondo la versione ufficiale non c'è nessun mistero su questa perdita: il motivo principale è

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stato la distruzione indiscriminata delle biblioteche perpetrate dagli invasori ... in realtà ciò
è vero solo in parte. La storiografia ufficiale si rifiuta sempre di dare la giusta importanza a
una serie di eventi cruciali; dopo il 314 DC, Costantino il Grande è l'unico ed in contrastato
padrone dell'impero romano. Egli ferma le persecuzioni contro le molte e diverse sette
cristiane e, soprattutto dopo il Concilio di Nicea -questo è un grande e decisivo incontro di
vescovi e studiosi che dura dal 20 maggio al 25 luglio del 325- inizia a conferire posizioni
importanti, all'interno del potere amministrativo, a funzionari di fede cristiana. Tale pratica
cresce con i suoi figli e successori, Costanzo II e Costante, che cominciano anche a
discriminare i sudditi pagani, però senza l'uso della violenza contro i templi della tradizione
romana e gli altri retaggi culturali. Ma i vescovi che formano l’emergente fazione cattolica,
potente e terribile, non ammettono l'esistenza di altre concorrenti sette cristiane e nemmeno
la persistenza degli antichi culti; arriviamo quindi all’imperatore Teodosio -molto devoto ai
dettami di Nicea, che hanno sancito il predominio teocratico della fazione cattolica- che
dichiara, il 27 febbraio 380 DC, il cattolicesimo romano religione di stato, a quel tempo
anche detto per l’appunto <cattolicesimo niceno>. Il vero vincitore è Aurelio Ambrogio
vescovo di Milano; egli è il più importante consigliere imperiale ed anche un uomo pieno
rancore verso le diverse opinioni altrui. Ambrogio convince il debole Teodosio ad imporre,
anche con l'uso della violenza, il cattolicesimo come l'unica religione ammessa in tutto
l'Impero, tramite l'emanazione dei cosiddetti "decreti di Teodosio". Così, nel 391, inizia la
persecuzione dei seguaci degli antichi culti –i quali comunque sono ancora la maggioranza
della popolazione entro i confini dell'Impero- e contro tutti gli ancestrali simulacri; anche le
altre sette cristiane non cattoliche sono combattute senza pietà. Certo, anche i libri erano un
bersaglio legittimo: bisogna notare che, a quel tempo, la letteratura cristiana era in uno stato
embrionale rispetto all’incommensurabile letteratura greco-romana. Molte biblioteche
pubbliche erano dedicate ai culti pre-cristiani, altre erano installate direttamente all'interno
dei santuari. All'inizio del terzo secolo l'imperatore Caracalla chiude il Musaeum, il grande
edificio che è stato la principale e prima sede della famosa Biblioteca di Alessandria. Molti
anni dopo, nel 264 DC, gran parte di quei libri sono stati trasferiti nel Serapeum di
Alessandria, santuario dedicato a Giove Serapide. Poche settimane dopo l’emanazione dei
"decreti di Teodosio", il santuario viene completamente distrutto da una folla di fanatici
cattolici aizzati dal vescovo Teofilo; i libri ardono insieme a molti altri capolavori assoluti

3
dell’arte: sculture, mosaici, affreschi e dipinti. Questo è un modo utile e sempre amato dal
potere -soprattutto quando ne sta scalzando uno più antico- di sopprimere concetti, idee,
ricordi e sovvertire la storia: i nazisti non furono i primi a bruciare i libri, nel mondo
occidentale questo infame record appartiene ai cattolici. Proseguiamo su questo tracciato: si
è sempre detto che i monaci medievali sono stati i salvatori della civiltà occidentale,
durante e dopo le invasioni dei barbari; anche ciò è vero solo in parte. Nel Medioevo, i
monaci amanuensi hanno avuto la possibilità di scegliere -attraverso la ripetizione delle
copie dei manoscritti originali- cosa trasmettere ai posteri e cosa obnubilare. Questo è stato
il primo tipo di censura sistematica applicata nel mondo occidentale, dopo la caduta del
dell'ecumenismo romano. Bisognava permettere la diffusione di idee, concetti e memorie in
linea con la supremazia cattolica, oppure di idee, concetti e ricordi che -utilizzando le
opportune manipolazioni- potessero rivelarsi utili e compatibili con quella, essendo
l'ideologia intollerante del potere e non solo una semplice religione. Anche i capolavori del
canone greco-romano vengono aggrediti a causa della nudità più che manifesta e perché
mostrano le antiche divinità; i talebani quando hanno distrutto le statue monumentali di
Buddha, nel sud dell'Afghanistan, non sono stati i primi ad abbattere le reliquie
appartenenti alle precedenti religioni. Mi vien proprio da dire che i cosiddetti barbari sono
stati meno barbarici di, o almeno tanto barbarici quanto, molti cristiani fanatici che hanno
inflitto ad altre persone -ma con estensione geografica e temporale enormemente più
ampia- le stesse persecuzioni di cui proprio i primi cristiani hanno sofferto in passato1. E
da allora sino ad oggi? La lenta ma inarrestabile laicizzazione degli stati europei,
soprattutto dalla fine della Guerra dei Trent’Anni in poi, ha strappato progressivamente le
grinfie al Vaticano onnicomprensivo ed altrettanto intrusivo. Il potere si è evoluto, si è
liberato dalle sacrestie ed ha escogitato nuove forme di dominio; non ci sono più gli eretici
messi al rogo, l’Illuminismo ed il Positivismo hanno creato uno standard epistemologico ad
ampio spettro, buono per tutte le stagioni e per le sfaccettature del mondo contemporaneo:
esso è infatti il minimo comune multiplo della democrazia liberale, del fascismo, del
comunismo. Le bandiere e le ideologie possono cambiare ma esso resta ineffabile. Questo
standard epistemologico fissa parametri tassativi ben oltre la tutela del cosiddetto metodo
scientifico, esso definisce la congruità di modus pensandi, modus vivendi, modus operandi
in riferimento a tutti noi: solo ciò che rientra in tali parametri è reale altrimenti è una fola.

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E’ la differenza tra scienza e fantascienza, la differenza tra mito ed accadimento storico. Lo
standard distingue anche ciò di cui è lecito ed onorevole parlare da ciò che invece è ridicolo
e falso. Per esempio, è commendevole supportare e diffondere la lotta contro il cancro, ma
dire che le scie chimiche ci vomitano addosso sostanze cancerogene significa raccontar
balle dato che, ci viene assicurato, le scie chimiche non esistono. I grandi media
istituzionali hanno la funzione di sancire l’imprimatur su una qualsivoglia notizia, teoria o
ipotesi: una volta impresso il sigillo, qualunque cosa venga veicolata diviene la versione
ufficiale, ovverosia la verità. Ciò che non è diffuso dai famosi imbonitori di regime non
esiste. Il NWO è un argomento appetitoso per una fiction ma a livello divulgativo deve
rimanere una paranoia dei cosiddetti <cospirazionisti>, un neologismo della lingua italiana
coniato semplicemente per ghettizzare e deridere a priori noi studiosi indipendenti. Internet
è frutto della globalizzazione ma, al momento, è l’unica possibilità per una vera
controinformazione, come si diceva quando io ero giovane; Internet è la contraddizione nel
sistema, è il quid che si può ritorcere contro il suo stesso creatore…fintanto che qualcuno
non deciderà di staccare l’interruttore generale al momento opportuno. L’argomento di
questo articolo ci offre il modo di aprire la cortina degli inganni e mostrare un’epitome di
ciò che viene celato.
Una cosa che non dovrebbe esserci ma che invece c’è
Da un punto di vista prettamente tecnico, la sublime valenza artistica dei bronzi di Riace è
assolutamente pertinente al periodo più sfarzoso e lungimirante della Grecia antica, quando
operavano artisti quali Fidia, Policleto e Prassitele nell’ambito di una società che ha visto
nascere la filosofia occidentale; è altrettanto assodata in quell’epoca l’elevata maestria
ellenica nella tecnologia della fusione dei metalli. Poi tale afflato artistico e l’abilità
manuale sono stati trasmessi a Roma imperiale e da questa ulteriormente arricchiti. Venuti
poi a cadere quei patrimoni di conoscenza, abilità e cristallinità di vedute nell’ambito del
successivo Medio Evo (fino a Nicola Pisano: questo genio poliedrico per me è uno
spartiacque nella storia dell’arte), gli artisti europei epigoni di quel passato splendore si
sono trovati incapaci di assurgere ai livelli dei loro antichi ispiratori e lontani mentori.
Anche in ciò essi erano figli del loro tempo crudele, bigotto, asfittico e tutt’altro che
ecumenico. Ciò si può anche vedere nel ritardo con il quale la maestosità di edifici quali il

5
Partenone, il Pantheon e le basiliche imperiali, solo per fare qualche esempio, venne prima
eguagliata e poi in qualche caso superata dalle cattedrali gotiche; ovverosia: dopo la caduta
di Roma gli scultori ed architetti europei pur non partendo da zero in realtà si trovarono,
all’atto pratico, quasi ad improvvisare. Ciò vuol dire che, ai tempi di Carlo Magno la
costruzione del mausoleo di Alicarnasso2
e la produzione del discobolo di Mirone erano in
realtà impossibili, essi sarebbero stati degli OOPART, cioè degli Out of Place Artifacts,
denominazione che possiamo tranquillamente tradurre in italiano come oggetti fuori posto.
Tutto ciò nonostante, ripeto, la civiltà europea avesse, parcheggiate nel dimenticatoio, tutte
le conoscenze e competenze per continuare su quella fulgida strada: semplicemente, la
caduta del mondo romano aveva segnato uno iato epocale, le sue idealità erano andate quasi
distrutte. Ma se questa impossibilità è vera in un periodo di decadenza, che segue un altro
che invece fu di splendore, è ancora più vera ed oppressiva nell’ambito di una civiltà che
nel suo passato (cioè le culture del cosiddetto Formativo Inicial ) non ha avuto e nel suo
presente (per l’appunto il periodo Chavín) non ha né la tecnologia congrua e né la maestria
gestuale; così come nel suo futuro (l’apoteosi del periodo incaico) non avrà alcun segno che
eguagli quella sublimità raggiunta in un particolare e fantomatico intermezzo (il monolito
che vedremo in seguito), secondo gli stessi dettami capziosi dell’archeologia universitaria;
mi sto riferendo al susseguirsi di civiltà dell’antico Perù sino all’arrivo dei conquistadores,
in particolare alla cosiddetta Chavín de Huantar. Questa può sembrare una asserzione
retorica, ma in realtà riflette la situazione di una quantità enorme di conoscenze e reperti
delle civiltà lontane da noi nel tempo e nella distanza, per esempio le piramidi di Giza, le
competenze astronomiche dei Maya, le mura ciclopiche di Sacsayuhaman a Cuzco, il
Trilithon di Baalbek in Libano (solo per citare qualche esempio). Ecco, tutte queste sono
evidenze archeologiche sotto gli occhi di chiunque ma che il fariseismo degli studiosi
ufficiali perverte, deforma e disloca temporalmente a proprio uso e consumo; questa è la
particolare modalità di truccare la storia arcaica architettata dall‘Illuminismo ed esaltata
successivamente dal Positivismo. In questo articolo, per ovvie ragioni di brevità, mancanza
di risorse pecuniarie per recarmi ovunque abbia sentito la necessità, ma soprattutto per
simpatia personale verso l’argomento, mi soffermo su un elemento appartenente al mondo
precolombiano, addirittura al periodo preincaico di quell’enorme territorio che è stato
conosciuto nella sua apoteosi col nome di Tahuantinsuyo, cioè l’-Impero dei Quattro

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Angoli del Mondo-, nome esatto dell’impero amerindio con capitale la città di Cuzco, che
in lingua quechua3
significa –Ombelico del Mondo-. Sto parlando della cosiddetta Stele di
Raimondi, manufatto unico e misconosciuto.
Lo Scopritore
Foto I - Antonio Raimondi e la parte alta della statua a lui ispirata, sita nella piazza limeña che
non poteva che chiamarsi Plaza Italia
Antonio Raimondi 4, chi era costui? Sì, fu un altro dei tanti carneadi della nostra storia: uno
di coloro che hanno fatto per il prossimo e per i posteri assai più di quanto molti tra noi
possano riuscire a fare, ma che mai godranno della fama di Piero Angela. E’ stato prima un
patriota sulle barricate milanesi tra il 18 e il 22 marzo 1848 e poi, a causa della vittoria
finale austriaca, un esule nel Nuovo Mondo, ove arrivò privo di mezzi ma ricco d’ingegno;
il Perù divenne la sua nuova casa. La nazione che allora incontrò stava ancora consolidando
la propria indipendenza e la propria identità dopo essere stata, grazie alla città di Lima
edificata tre secoli prima da Francisco Pizarro, la culla del vicereame ispanico nell’America
del Sud. Egli fu uno dei primi docenti stranieri dell’università di Lima e tra i fondatori della
facoltà di medicina, ma soprattutto fu il primo esploratore moderno di quei luoghi, che

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percorse in ogni senso gli fu possibile. Talentuoso disegnatore, ha lasciato migliaia di
rappresentazioni di piante, paesaggi e manufatti precolombiani. E’ stato un Indiana Jones
che è esistito per davvero, ma con le mani monde del sangue del suo prossimo. Quando il
giovane ufficiale dell’esercito peruviano Leoncio Prado5, figlio dell’allora presidente
costituzionale del Perù Mariano Ignacio Prado, si perse durante una missione di
esplorazione geografica, condotta da un plotone di soldati nella giungla amazzonica,
Raimondi, assistito da alcune guide native, fu in grado di ritrovarlo e di riportarlo alla
civiltà sano e salvo. Non risulta che amasse le armi da fuoco, ma diventò abilissimo
nell’uso del machete per aprirsi il varco nell’intrico della foresta pluviale. Quando la città di
Lima, alla fine della guerra del Pacifico Sud, venne occupata nel gennaio del 1881 dai
soldati cileni, egli espose al balcone di casa sua il tricolore sabaudo e durante il lungo
periodo dell’occupazione decine persone, di ogni sesso ed età, passarono di lì sottraendosi
agli abusi della soldataglia nemica. Tale era il suo prestigio che de facto quella grande e
vecchia dimora divenne un territorio tutelato dall’immunità diplomatica. Oggigiorno due
tra i migliori istituti scolastici di quel Paese portano il suo nome.
La scoperta
Nel 1860, Raimondi si trovava nel vasto sito archeologico attualmente noto col nome di
Chavín de Huantar 6
e fu avvicinato da un contadino nativo, tale Timoteo Espinoza, che lo
interloquì in quechua, lingua che il nostro ormai parlava fluentemente; all’incirca il
campesino gli disse: ”Straniero, so che cerchi cose antiche, sicché vuoi vedere qualcosa di
veramente unico?”. Così avviene in un modo quasi parodistico una delle scoperte più
importanti della storia dell’archeologia americana: sotto gli occhi stupiti dell’italiano, la
grande lastra di pietra, usata come mensa da pranzo in casa di Espinoza, si rivela in realtà
una stele magnifica finemente ed intricatamene lavorata. Queste sono le sue dimensioni,
altezza cm 198, larghezza cm 74, spessore cm 17. Essa raffigura il cosiddetto Dios de Los
Dos Baculos, cioè il <Dio con i due bastoni>. Nonostante la sua manifesta importanza, tale
reperto rimase nel dimenticatoio per tredici anni, poi, finalmente, il presidente José Balta ne
ordinò la traslazione nella capitale. Ma le vicissitudini non erano finite: durante il
saccheggio perpetrato dalla soldataglia cilena durante i primi mesi del 18817
ai danni di

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tutto il patrimonio culturale peruviano, la stele, ancora drappeggiata in una pesante coperta,
venne urtata da coloro che saccheggiavano il Museo de Historia e cadde rovinosamente
lungo una scala rompendosi in due pezzi; quando la teppa guardò ciò che giaceva ai propri
piedi ne vide solo il retro completamente liscio e non diede ulteriore importanza, così la
stele di Raimondi è rimasta fortunosamente nel suo Perù. Nel 1940, essa subisce un altro
colpo ma con minime conseguenze: il grande terremoto di quell’anno procura la rottura di
alcune parti della cornice.

9
La stele
Foto II: l’originale

10
Foto III: trasposizione grafica con una migliore risoluzione

11
Foto IV: grazie a questa comparazione, si può vedere che le figure centrali, capovolgendo la
stele, hanno un’altra espressione

12
Nell’agosto del 2001 ho potuto vedere direttamente questo capolavoro nel Museo Nacional
de Arqueología Antropología e Historia del Perú, che i Limeños chiamano orgogliosamente
e semplicemente El Museo de la Nación . Grazie al fatto che in quei giorni partecipavo agli
scavi nella Huaca Puclliana8, sita ormai nell’attuale contesto urbano di Lima, mi venne
permesso di avvicinarmi ed effettuare alcune misurazioni purtroppo sommarie e che non mi
soddisfecero del tutto: non mi fu permesso di appoggiare sulla superficie della stele né il
calibro centesimale né il flessometro. Inoltre, dato che all’epoca la direzione del museo
stava preparando una nuova edizione patinata del catalogo, mi si negò il permesso di
scattare foto ad un qualsivoglia reperto del museo e soprattutto alla stele; almeno, mi fu
permesso di toccarla a mani nude e questo, per l’epoca, fu una vera concessione.
Evidentemente, in questi ultimi anni, visto che vi sono diverse sue foto disponibili in Rete,
qualcosa è cambiato nella direzione del museo. Il protagonista dell’opera è letteralmente un
nano di circa 90 cm, con la testa coperta da un elmo integrale che raffigura un grande
felino, probabilmente un giaguaro o un puma. Tale casco/maschera è sormontato da una
serie di complicate elaborazioni di elementi felidi e serpentiformi che si alternano gli uni
agli altri, soprattutto teste di serpente. Capovolgendo la foto l’espressione dei vari
personaggi cambia, la sensazione è il passaggio dalla minaccia all’allegria. Questa tecnica,
che nella stele di Raimondi è complessa sino al parossismo, viene definita dal prof. N. J.
Wade9
come Binocular Rivalry (oppure, Contour Rivalry), che in italiano possiamo tradurre
come –rivalità binoculare-. In breve, tale fenomeno designa l’effetto della percezione visiva
di differenti immagini contigue ed alternate, mostrate allo stesso tempo ad ambedue gli
occhi; il primo studioso a prendere coscienza di questo fenomeno assai intrigante fu,
sempre secondo Wade, il matematico e fisico napoletano Giambattista della Porta (ma
soprattutto alchimista!), quest’ultimo tratta l’argomento per la prima volta nella storia nel
suo libro De Refactione Optces, 1589. Adesso vi esorto a guardare attentamente le foto
della stele: tecnicamente parlando, essa presenta aree maggiormente scavate all’esterno
della figura (cioè lungo i suoi contorni), questo espediente permette alla figura quasi di
emergere dalla cornice, di avere un effetto tridimensionale, queste parti esterne hanno una
profondità coerente di circa 3 cm (non superiore comunque a 5 cm). I bordi, che
circoscrivono sia le zone laterali di asportazione dal pieno che le scanalature-lineamenti,
formano un angolo di 90° che è rispettato lungo tutto il rispettivo perimetro. I lineamenti

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del nano e delle molteplici figure di draghi e serpenti, cioè i segni nella parte centrale, sono
meno profondi. Queste linee -possiamo chiamarle senz’altro incisioni continue, scanalature,
piuttosto che graffiti superficiali- che formano i lineamenti hanno una profondità coerente
di circa 3 mm (forse 5 mm) per una pari larghezza. Le narici e gli occhi delle figure centrali
-tranne gli occhi del nano- hanno una profondità apparente pari alle zone scavate dei
contorni esterni, anche qui viene rispettato l’angolo di 90°. Al tatto la superficie della figura
interna risulta levigata quasi a specchio, essa è interrotta solo dai lineamenti e dalla
spaccatura diagonale (il triste ricordo del 1881) immediatamente sopra l’elmo/maschera.
Anche il fondo delle asportazioni di contorno è altamente levigato: i polpastrelli non
riescono a percepire eventuali grossolanità; stesso discorso per i lati e la faccia posteriore,
che sono completamente privi di incisioni. Il personaggio è racchiuso da una cornice
laterale spessa circa 3 cm; tale spessore viene quasi mantenuto per tutto il perimetro della
stele; la cornice inizia ad assottigliarsi gradualmente dalla metà in giù. Tutte le differenti
misure: profondità, larghezza, rettilineità, curve, angoli, sono quasi sempre consistenti (cioè
non vi sono deviazioni marcate, gli errori sono appena percettibili: qui uso il termine -
consistente- proprio nella sua accezione britannica); la ripetizione dei disegni è precisa. Ove
ciò non accade ho ritenuto di riscontrarvi, in primo luogo, l’effetto delle intemperie e delle
vicissitudini dei millenni, più che lo sbaglio dell’autore. L’esecuzione sembra essere stata
effettuata appoggiando sulla superficie della lastra un foglio di carta millimetrata, sulla
quale è stata disegnata prima una metà e poi specularmente anche la successiva. Antonio
Raimondi scrisse, tra l’altro, a tal riguardo nella relazione inviata al governo di Lima:
“Detta pietra è degna di gran stima per il complicato e raffinato disegno, per la
sorprendente e precisa simmetria, che si nota in un lavoro tanto difficile che il migliore
artista non lo avrebbe potuto superare in perfezione”.10
Oltre un secolo dopo, nel
capolavoro della sua maturità, Historical Atlas od World Mythology, il prof. Joseph
Campbell11
arriva a parlare di lavoro di cesello in contrapposizione al quesito sulle
modalità della sua lavorazione; inoltre, dato che Campbell fu anche uno studioso
approfondito (e probabile praticante) di esoterismo, egli, nella suddetta pubblicazione,
ritiene di scoprirvi in filigrana addirittura il quarto chakra dell’induismo, quello del cuore,

14
denominato Anahata, che in questo caso simbolizza l’unione del mondo dell’immanenza e
quello della trascendenza.
La datazione
A questo punto viene obbligatorio chiedersi a quale periodo della storia dell’umanità
appartenga questo straordinario manufatto: ebbene, la storiografia ufficiale lo attribuisce
alla cultura Chavín, esistita in Perù tra il 1200 ed il 200 AC. Il suo centro nevralgico è
proprio da identificarsi nel sito Chavín de Huántar, Valle Conchucos (3.180 m sul livello
del mare); attuale provincia di Huari, dipartimento di Ancasch, circa 462 km al Nord-Ovest
di Lima. L’etimolgia della denominazione Chavín de Huántar è oscura12
e la lingua di
origine è il quechua; comunque, tale denominazione è probabilmente più recente del
periodo in questione, dunque non è affatto certo che fosse davvero il nome con il quale i
nativi di quel tempo definissero la propria nazione. Generalmente, essa viene riconosciuta
come la più importante fase pre-incaica, seppur ancora costellata più da lacune ed
interrogativi che da certezze. La datazione della messa in opera della stele che riscuote
maggior consenso è avanzata dallo stesso Campbell, cioè intorno al 900 AC. Però,
dichiarando questo la storiografia ufficiale nello stesso tempo si trova avviluppata in una
contraddizione enorme: perché? Semplice. Gli spagnoli, quando affrontano e distruggono le
grandi civiltà precolombiane, hanno la fortuna di imbattersi in nemici che non possono
difendersi con le proverbiali armi pari. Aztechi, Maya, ed Inca hanno una metallurgia
primordiale, infima: non conoscono né il ferro e né l’acciaio; in America del Sud, i primi
tentativi di fusione per ottenere il bronzo (lega prodotta unendo rame e stagno) si suppone
che siano avvenuti solo dopo il IX secolo dopo Cristo (tanto per intenderci, in Europa a
quel tempo c’era Carlo Magno). Comunque, sempre secondo la storiografia ufficiale, la
metallurgia ha sempre rappresentato una voce minore dell’economia di quel tempo

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Il materiale
Almeno, tutto ciò è vero secondo il verbo dell’ufficialità universitaria. Oro, argento, e rame
sono metalli malleabili e per tale motivo, nell’ambito del progresso dell’umanità, hanno
ceduto il passo a quelli più duri e resistenti, allo scopo di creare utensili più robusti per
lavori di ogni tipo. Per quanto più resistente del solo rame, il bronzo rimane fragile e per
sopperire a ciò è necessario che venga usato in gran quantità per ciascun manufatto; per
esempio, si vedano le statue, le campane ed i cannoni antichi. I cosiddetti Chavín non
conoscevano nemmeno il bronzo ma hanno avuto l’abilità di creare questo gioiello,
lavorando un enorme blocco di granito ed usando perfino strumenti ridicoli: ciò non può
essere accaduto! Vediamo perché. Il granito è una roccia d’origine magmatica che,
tecnicamente parlando, viene definita durissima; nella scala di Friedrich Mohs13
alcune
tipologie di granito hanno un livello di durezza di 6 mentre altre hanno il 7. Tanto per
intenderci, il marmo ha un livello tra il 3 ed il 4 mentre il diamante è al top con il livello 10.
L’utilità empirica della scala Mohs è data dal seguente criterio: ogni elemento è in grado di
scalfire quello che lo precede (cioè quelli con il numero più basso) ma non viceversa.
Scala di Mohs
Teneri (si scalfiscono con l'unghia)
o 1. Talco
o 2. Gesso
Semi duri (si rigano con una punta d'acciaio)
o 3. Calcite
o 4. Fluorite
o 5. Apatite
Duri (non si rigano con la punta di acciaio)
o 6. Ortoclasio
o 7. Quarzo
o 8. Topazio
o 9. Corindone
o 10. Diamante

16
Ma qui bisogna sottolineare una novità: quasi fino ad oggi, in riferimento a questa stele si è
sempre parlato di granito in senso lato: invece, nel 2009, il prof. Gorge Rapp14
, geologo
dell’università del Minnesota, identifica precisamente nella diorite il materiale che la
compone. Senza cadere nella disquisizione se la diorite sia una roccia di tipo granitico
oppure un genere a parte, ciò significa che la sua durezza tende più verso il livello 8 che al
7 propriamente detto.
Vickers Scale
Material Vickers
hardness
Material Vickers
hardness
Material Vickers
hardness
Sn 5 Limestone 250 Polypropylene 7
Al 25 MgO 500 Polycarbonate 14
Au 35 Window
glas 550 PVC 16
Cu 40 granite 850 Epoxy 45
Fe 80 quartz 1200
Mild
steel 140 Al2O3 2500
Hardened
steel 900 WC 2500
La tabella che segue la Mohs permette di confrontare le rocce granitiche con altri elementi,
questa scala è più recente ed è chiamata scala di Vickers. Possiamo vedere che il granito è
quasi duro come il moderno acciaio temprato industriale, anche se quest'ultimo solitamente
contiene contemporaneamente, oltre al carbonio, almeno altri componenti come il cromo, il
molibdeno ed il vanadio. Il quarzo è ancora più duro che l’acciaio temprato. La tabella
seguente è la più moderna in assoluto ed è stata sviluppata da BTI, un’azienda canadese
leader del settore della tecnologia mineraria, che mostra, tra le altre cose, l’alta durezza
della diorite.

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TYPICAL ROCK HARDNESS – BTI SCALE
Rock: Toughness: Rock: Toughness:
Fresh Diabase (Trap)
Pyroxene Quartzite
Sandstone
Altered Diabase
Fresh Basalt
Hornblende Schist
Diorite
Hornblende Granite
Rhyolite
Quartzite
Biotite Gneiss
Augite Diorite
Altered Basalt
Feldspathic Sandstone
Gabbro
3.0
2.7
2.6
2.4
2.3
2.1
2.1
2.1
2.0
1.9
1.9
1.9
1.7
1.7
1.6
Chert
Calcareous Sandstone
Granite
Slate
Peridotite
Granite Gneiss
Andesite
Limestone
Mica Schist
Amphibolite
Dolomite
Biotite Granite
Augite Syenite
Hornblende Gneiss
1.5
1.5
1.5
1.2
1.2
1.2
1.1
1.0
1.0
1.0
1.0
1.0
1.0
1.0
Le prime opere scultoree che rappresentano alla perfezione il corpo umano, come ho già
detto, appartengono alla Grecia classica, allorché artisti incommensurabili avevano a
disposizione utensili congrui in ferro, forse anche acciaio (scalpelli, martelli, cunei, lime
etc.), per lavorare un materiale non duro e non resistente quale il marmo, però mai si sono
azzardati ad affrontare cimenti simili col granito. E’ vero che tale pietra è stata usata anche
nell’antichità remota, per esempio in Egitto ed in Mesopotamia, ma non per produrre
oggetti raffinati in cui la precisione della lavorazione era indispensabile per riprodurre
lineamenti e tridimensionalità; il granito era di norma utilizzato per la pavimentazione, la
costruzione di colonnati e pareti divisorie, i tentativi di realizzare statue hanno dato risultati
grossolani e sommari pur se di elevatissimo valore artistico. E se fosse stato possibile
altrimenti i grandi artisti del canone greco lo avrebbero utilizzato senz’altro…ops! eppure i
musei sono costellati di reperti impossibili che risalgono a molte centinaia di anni prima
della Venere di Milo! Su ciò tornerò brevemente in seguito.

18
La lavorazione
Le rocce granitiche (e simili, compresa quindi la diorite) sono altamente resistenti ad ogni
tipo di attrito, alle alte temperature ed agli acidi. Per riuscire a tagliare pezzi di granito che
fossero delle lastre con un perimetro formato davvero da angoli retti, cioè dei
parallelepipedi perfetti, si è dovuto aspettare l’invenzione del cavo elicoidale a fili
intrecciati d’acciaio con schegge di diamante su puleggia battente, risalente alla fine del
1800. Per affinare ulteriormente il processo lavorativo, il carrarese Luigi Madrigali15
ha
inventato trent’anni fa il filo d’acciaio con cilindri d’acciaio alternati a globuli di diamanti
sintetici su supporto rotante. Soprattutto, oggigiorno per ottenere incisioni ed asportazioni
precise pari ai lineamenti della figura nella stele di Raimondi si usano trapani battenti,
montati su colonna mobile, provvisti di punte diamantate al tungsteno aventi spessore di
pochi millimetri (oppure strumenti al laser di tipo militare); nessuno si sogna di usare
martello e scalpello perché siffatta precisione è inarrivabile con simili mezzi. Per fare un
esempio ironico, un’ascia da boscaiolo non è adatta per tagliare una bella, sottile e rotonda
fetta di mortadella. Per ogni fine che implichi precisione e raffinatezza bisogna mettere in
atto delle modalità congrue altrimenti si fallisce. Vi farò altri esempi: i bisturi del chirurgo e
i coltelli del macellaio sono tutti strumenti affilatissimi, ma un qualsivoglia chirurgo mai
userà i secondi per operare sul pancreas. La potenza dell’energia cinetica erogata dagli
ordigni esplosivi viene resa usando il chilotone, un chilotone è pari all’esplosione di una
massa compatta di mille tonnellate di tritolo. La bomba Little Boy, sganciata su Hiroshima
il 6 agosto del 1945 (8:15 ora locale) era pari a circa 16 chilotoni; prima ancora, tra il 13 ed
il 14 febbraio del 1945, nell’arco di meno di ventiquattro ore, la città tedesca di Dresda si
vide seppellita da 3.900 tonnellate di bombe convenzionali sganciate dai liberatori;
insomma, si può far esplodere tutto il tritolo che si vuole: ma per ottenere l’irraggiamento
radioattivo la condicio sine qua non è la fissione nucleare di uranio 235 o di plutonio 239
altamente concentrati. L’umanità per autodistruggersi ha usato gli esplosivi fin dal
medioevo, ma per arrivare al salto di qualità del fungo atomico si è dovuto aspettare che,
nel -Progetto Manhattan-, il genio di Oppenheimer avesse a disposizione la tecnologia
congrua e più elevata. Procedendo con questo discorso, l’ammontare della pressione in kg
per cm2, esercitata allo scopo di ottenere la complessa figura della stele, con gli inadatti

19
utensili propri di tutte le civiltà precolombiane poteva portare o alla distruzione degli stessi
oppure alla spaccatura irregolare del blocco, forsanche ad ambedue gli effetti. Su questo
argomento è senz’altro illuminante l’esperimento tentato da un talentuoso ma poco noto
scultore olandese: Hendricus Johannes (Henk) Etienne, all’incirca settanta anni fa, ha
cercato di riprodurre le tecniche scultoree in voga nell’antica Grecia; in primo luogo, egli
ha approcciato l’impresa facendosi costruire scalpelli in bronzo simili a quelli usati prima
dell’avvento degli utensili in ferro, per la lavorazione del marmo. Bisogna sottolineare che,
senza voler divagare in un trattato di tecniche scultoree, un qualsivoglia scultore ha a
disposizione il colpo diritto -cioè inferto dal martello sullo scalpello perpendicolare alla
superficie da lavorare- ed un ammontare pressoché illimitato di colpi obliqui, nell’ambito
dei 360° dell’angolo giro. Quando Etienne ha tentato di usare i colpi obliqui sul marmo il
risultato è stato frustrante: gli scalpelli in bronzo scivolavano, si piegavano e si spuntavano;
egli era costretto a perdere un sacco di tempo per rimetterli a posto per poi ottenere solo un
risultato grossolano e lontano dalle aspettative iniziali. Questa specie di fiasco indusse lo
scultore olandese ad usare unicamente il colpo diritto, la quale cosa gli consentiva sì di
preservare un po’ più a lungo l’integrità degli scalpelli però ottenendo comunque un esito
approssimativo e di ripiego, dovuto alla effettiva impossibilità di usare il virtuosismo dei
colpi obliqui. Inoltre, il fatto che fosse costretto ad una limitata possibilità operativa lo
costringeva a muoversi come una specie di handicappato, con una fatica fisica enorme ed
una lentezza esasperante. In questo modo Etienne ha dimostrato che solo l’avvento del ferro
–probabilmente introdotto in Grecia dai Dori invasori, sempre secondo la storiografia
ufficiale- ha permesso che, in epoca classica, i già citati eccelsi artisti avessero gli strumenti
idonei per convertire il marmo nei capolavori immortali tramite l’uso indispensabile dei
colpi obliqui. Attenzione, la nostra stele è di diorite, sicché provate ad immaginare quante
centinaia di migliaia, probabilmente milioni, di colpi diritti con scalpelli di rame -molto più
fragili di quelli in bronzo- sarebbero stati necessari per ottenere solo un obbrobrioso
pasticcio, fatto di graffi disordinati, assai superficiali ed appena intellegibili su tale
materiale, dotato di una durezza che si approssima a quella del diamante. Pur se essa non è
un’ opera a tutto tondo, le curve, la ridondanza di particolari –spessissimo ripetuti sino al
parossismo-, le scanalature e le asportazioni presenti su quella superficie levigata quasi a

20
specchio hanno necessitato una lavorazione sopraffina al massimo e tutt’altro che
menomata.
Foto V: Kore, cioè <ragazza>. Questa è la famosa statua marmorea di Nikander, trovata
nell’isola di Delo e risalente all’inizio del VII secolo AC; pur se è evidente l’azione corrosiva delle
intemperie e dei secoli, la sua palese legnosità e piattezza di forme, nonostante l’accennata
grazia di alcune curve muliebri, rende legittimo attribuire la sua lavorazione all’uso di scalpelli -ed
altri eventuali utensili acuminati- fatti di bronzo.
Foto VI: Kouros, cioè <giovane>. Questa statua, pure in marmo, proveniente dall’isola di Nasso
è più recente rispetto alla prima di almeno mezzo secolo; la maggiore flessuosità e rotondità di
forme, l’esaltazione dei particolari muscolari ed ossei, i lineamenti del viso ed i capelli quasi
cesellati, l’asimmetria degli arti inferiori in movimento, dimostrano che l’autore ha utilizzato
scalpelli e lime in ferro, godendo finalmente della libertà di movimento dei colpi obliqui.

21
Lo studioso anglo-germanico prof. Rudolf Wittkower, per ciò che concerne la Grecia
antica, inserisce il passaggio dagli utensili in bronzo a quelli in ferreo verso la fine del VII
secolo AC.16
E che diavolo?! Ripeto, qualche amerindio del lontano passato sarebbe stato
capace di ciò che fu impossibile ai maestri greci… eh sì, poiché voglio sottolineare che
nella trattatistisca accademica non vi è alcuna opera scultorea propriamente detta, fatta di
marmo o di un materiale più duro, che venga attribuita esplicitamente all’uso di utensili in
rame. Sto parlando di sculture a tutto tondo, di bassorilievi e di altorilievi che sono le tre
principali categorie nell’arte scultorea; le arcaicissime incisioni rupestri grossolane ma
evocative e coinvolgenti al tempo spesso, presenti un po’ ovunque nel mondo da Grosio in
Valtellina a Tassili nel Sahara, sono state realizzate grazie all’uso di amigdale, selci e punte
in rame su superfici calcaree e sedimentarie. Data l’impossibilità odierna di trovare in
commercio un sega in rame (pertinente all’epoca presunta della fabbricazione della stele) di
almeno 150 cm di lunghezza (attenzione, seghe di tal fatta mai sono state trovate in alcun
sito archeologico, né in assoluto di qualsivoglia dimensione nel Nuovo Mondo), caro
lettore, ti esorto a comprare una moderna sega manuale in un qualsiasi negozio di
ferramenta: prova a tagliare una semplice pietra di diorite (si trova nei negozi di geologia e
mineralogia), dopo averla messa in una morsa, vedrai i denti dell’utensile grattare
inutilmente prima, per poi surriscaldarsi e piegarsi perdendo il filo. Magari prova in
compagnia di un amico, voglio dire: tu ad un capo e l’altra persona all’altro della sega, così
svilupperete maggiore velocità e attrito sulla diorite… e potrete rovinare prima la sega e
risparmiare tempo anziché fare esperimenti inutili. L’intento potrà solo ottenere un taglio
assai slabbrato al suo inizio e grossolanamente ondulato lungo la sua lunghezza; data la
durezza di quella particolare pietra è assolutamente impossibile ottenere un taglio pulito e
perfettamente perpendicolare con un normale utensile manuale moderno, pur se in acciaio
al carbonio altamente temprato come sono le seghe che troviamo presso il nostro centro
commerciale di fiducia; l’attrito fa aumentare esponenzialmente il calore vulnerando la
stessa compattezza molecolare della lama, anche gli eventuali raffreddamenti con acqua
sottoporrebbero comunque l’attrezzo ad una successione di shock termici, mentre la
struttura della diorite rimane ineffabile. Oppure, compra una lastra già levigata di granito o
di diorite in un normale negozio di edilizia e prova a tracciare su di essa incisioni sottili,
lunghe, precise e profonde come quelle della nostra stele, usando martello e scalpello e ti

22
sentirai subito frustrato a morte; sicché, magari, vorrai usare un trapano con punta d’acciaio
comprato presso un Bricocenter e ti arrabbierai ancora di più; il passo successivo sarà
spendere un cifra dai 500 euro in su per comprare un più veloce e potente trapano con
colonna, insieme a diverse e costose punte diamantate al carburo di tungsteno, tra le più
sottili in commercio, e solo allora potrai ottenere un qualche successo! Stesso discorso per
ottenere quell’elevata levigatura (quasi a specchio): prova ad utilizzare su quella superficie
una pelle di squalo smeriglio, se sei così fortunato da trovarla in commercio da qualche
parte, oppure tenta con un mucchietto di normale sabbia tenuto nel palmo della mano;
proprio questi erano gli elementari mezzi su cui potevano contare popoli non ancora in
grado di forgiare le lime per la levigatura, lime comunque inadatte a levigare a specchio un
materiale assai più duro del marmo. La sabbia è un elemento molto duro ed esiste fin dalla
notte dei tempi, essa è stata utilizzata per millenni come strumento, semplicemente
mettendola nel palmo della mano, per tentare di lisciare qualsiasi superficie; poi, all’inizio
del XIII secolo DC in Cina, qualcuno ha avuto la geniale intuizione di utilizzare della
gomma naturale per incollare sabbia, conchiglie e semi schiacciati sulla superficie di una
pergamena e così, infine, è nata la carta vetrata. Qualora vogliate produrvi in un gioco
sull’orlo della pazzia, affrontate direttamente un enorme macigno informe di diorite con
tutti gli strumenti che riuscite a comprare presso il solito centro commerciale, ma senza
assolutamente rivolgervi ad un’industria specializzata, e vedremo per quanti minuti
riuscirete ad evitare di mandare tutto al diavolo…e non si dimentichi che, per la farisaica
scienza ufficiale, la metallurgia di quell’epoca non andava oltre il rame! Assolutamente un
altro discorso è la lavorazione delle pietre calcare che, essendo di natura sedimentaria, sono
molto più friabili: ciò ha permesso la loro utilizzazione anche da parte di popolazioni
completamente prive di metallurgia, mediante le cosiddette amigdale (in inglese choppers),
cioè concrezioni minerarie spontanee e facilmente reperibili in superficie, solitamente di
forma ovale e sufficientemente dure per scolpire e squadrare grossolanamente anche
blocchi di tufo. A questo punto trovo utile focalizzarci sull’articolo A Short History of
Metals scritto dal il prof. Alan W. Cramb17
, uno dei massimi esperti di ingegneria dei
metalli negli USA: in riferimento alla storia del ferro scrive tra l’altro:
“ La pratica della fusione del ferro inizia all’incirca nel 1500 a. C. […] C’è qualche indizio
che l’uomo abbia cominciato a lavorare il ferro già intorno al 2500 a. C.; comunque, la

23
lavorazione di questo metallo non è diventata una faccenda di tutti i giorni sino al 1200 a.
C. L’ematite, un ossido del ferro, fu largamente usata per produrre monili ed ornamenti; è
facilmente ottenibile usando anche il carbone. Inoltre, il materiale ferroso prodotto a
temperature comprese tra i 700 ed 800 ° C non è utilizzabile per la forgia, sicché deve
essere prodotto a temperature superiori ai 1100 °C. Il ferro battuto è stata la prima forma
utilizzata dall’uomo. Il prodotto della reazione era una massa porosa mista a scorie;
quindi essa doveva essere battuta, surriscaldata ancora, ribattuta per espellere le scorie e
quindi forgiata nella forma desiderata. Nei primi giorni della metallurgia, il ferro era
cinque volte più costoso dell’oro e i primi usi furono ornamentali. Le armi in ferro
rivoluzionarono l’arte della guerra ed il ferro comportò lo stesso sconvolgimento
nell’agricoltura. Ferro ed acciaio furono le fondamenta su cui si è costruita la civiltà. [ …]
Questi sette metalli: oro, argento, rame, piombo, stagno, mercurio, ferro e le leghe bronzo
ed elettro (lega naturale d’oro ed argento, a volte anche con scorie N.d.A.) furono il punto
di partenza della metallurgia e, perfino in questa breve storia, noi ci confrontiamo con
alcuni dei fondamentali problemi del processo metallurgico. I problemi sono i seguenti:
-il minerale deve essere scoperto, separato e modellato prima che lo si possa usare;
-il minerale deve essere fatto reagire sotto una temperatura controllata e sotto una
pressione atmosferica controllata;
-il metallo liquefatto deve essere prima mantenuto e poi gettato in un preciso stampo;
-il metallo deve essere lavorato per raggiungere le desiderate e finali proprietà e forma.”
Ed io aggiungo anche la difficoltà di trovare e riconoscere il materiale refrattario al calore
adatto per costruire vere e proprie fornaci: quindi arriviamo a comprendere come i nativi
peruviani18
di quell’epoca fossero impossibilitati letteralmente ad avere gli strumenti
congrui per realizzare questo stupefacente monolito. Dirò di più: quello che ho affermato
per esso si deve estendere a moltissimi altri manufatti, tra i quali (solo per nominarne
qualcuno, la lista è lunghissima) il cosiddetto sarcofago di Cheope, la Piedra del Sol azteca
e la stele di Hammurabi. A fronte di simili incongruenze ed illogicità palesi dei dogmi
ufficiali accademici, pur se nell’ambito dell’antico Egitto, Joseph Davidovits19
ha
affermato che gli Egizi possedevano una tecnologia così avanzata da permettere di
polverizzare gli enormi blocchi calcarei, del peso da 2 tonnellate sino a 15 tonnellate, per

24
poi ricompattarli in loco sui bastioni stessi della piramide in costruzione. Anche se
appartengono ad un contesto diverso, ritengo utilissimi alcuni brani tratti dal fondamentale
libro The Piramydes and Temples of Gyzeh, scritto da sir William Matthew Flinders
Petrie20
, uno dei più grandi egittologi di tutti i tempi:
"Noi sappiamo già che le seghe ed i trapani con gioielli erano gli strumenti utilizzati dai
costruttori delle piramidi; mentre i martelli di pietra grezza sono esattamente i tipi
appartenenti a rozzi modi del periodo tolemaico.
[...]
La quantità di pressione, indicata dalla velocità con cui i trapani e le seghe hanno
perforato ed hanno attraversato le pietre dure, è molto sorprendente; probabilmente un
carico di almeno una o due tonnellate è stato imposto sui trapani di quattro pollici che
hanno bucato il granito.
[...]
Questi solchi non possono essere stati prodotti da graffi semplicemente rimuovendo il
trapano, come è stato suggerito. [...] Perciò queste scanalature a forma di spirali rapide
possono essere attribuite solo alla progressiva discesa, sotto un’enorme pressione, del
trapano nel granito; salvo, però, assumere l’utilizzo di un altro strumento abrasivo, la
raspa, che sarebbe stato impiegato alternativamente con il trapano per estendere
scanalatura, ma per quest’ultima ipotesi non vi è alcuna evidenza di prove.”
Ed io dico che sicuramente questi antichi costruttori hanno utilizzato seghe e trapani con
gioielli –e questi ultimi potevano essere solo i diamanti- ma anche molti altri strumenti
sofisticati e macchinari con energia diversa da quella umana. Qualunque sia il punto di
arrivo di un dato procedimento meccanico, tale traguardo è semplicemente l’ultimo anello
di una precisa e congrua catena: ovverosia, significa che il risultato rappresentato da
blocchi di granito forati e tagliati, così come ci viene descritto da sir Petrie, presuppone una
tecnologia avanzatissima frutto della coesistenza di molti fattori. Per applicare con successo
una pressione di alcune, probabilmente molte, tonnellate su un trapano del diametro di
quattro pollici (per di più con punta diamantata!) è necessario una complessa, potente e
sofisticata apparecchiatura, ben di più che la semplice forza bruta creata da una brigata di
uomini. La semplice aggiunta di scaglie di diamante sulla cima di una punta di acciaio
temprato è un’operazione molto difficile e costosa perfino oggi. Ancora una volta voglio

25
proporre alcuni esempi. Possiamo immaginare un numeroso equipaggio di una nave
incagliata su un'isola deserta: i naufraghi hanno una motosega senza benzina, beh, essi non
saranno mai in grado di tagliare un albero solo cercando di sfregare la catena contro un
qualsivoglia tronco, per semplice attrito; invece essi saranno costretti a costruire asce di
pietra e ad agire come uomini di Neanderthal. Dal tempo della supremazia fenicia nel
Mediterraneo fino alla caduta di Roma, l'uomo è stato in grado di costruire la potente
trireme, così letale da distruggere le navi nemiche grazie alla prua corazzata dotata del
rostrum, ma per rompere il ghiaccio polare è stato necessario aspettare l’invenzione del
moderno piroscafo a vapore. Bisogna sottolineare che sir Petrie dimostra esplicitamente che
i più recenti architetti di Tolomeo erano molto meno avanzati rispetto ai costruttori delle
antiche piramidi; inoltre, che peccato…nessuno degli antichi macchinari è stato mai
trovato. Soprattutto, è veramente spiacevole che Petrie non abbia cercato di spiegare meglio
la sua personale <sorpresa> nei confronti degli intriganti blocchi di granito. Sì, perché
voglio sottolineare che, secondo le più moderne attrezzature scientifiche:
"Il granito pesa circa il 12% più di un uguale volume di calcestruzzo. Il granito può
resistere a pressioni da 15.000 a 25.000 libbre per centimetro quadrato (da 103.000 a
172.000 kPa) rispetto alla pressione di 4000 libbre (27.600 kPa) che è in grado di
sopportare il più forte calcestruzzo"(Vedere la fine della nota 13).
Questo contesto coerente viene raggiunto soltanto dalla tecnologia contemporanea. In ogni
caso, nessuno del mondo accademico ha mai osato speculare su utensili di rame, o di
bronzo, con scaglie di diamante nell’ambito di tutta l'era precolombiana in America Latina.
Una manfrina che sento ripetere fin dalla mia infanzia è la seguente: -E’ scientifico solo ciò
che si può riprodurre in laboratorio-; Ok, va bene, non ho problemi, poiché nel presente
caso io ritorco questa asserzione contro i suoi propugnatori: io aspetto che riproducano per
filo e per segno la stele di Raimondi, in diorite, usando utensili manuali fatti in rame, selce
ed ossidiana e con le stesse asserite tecniche primitive in voga nel Perù del X secolo avanti
Cristo.

26
Lo “schema delle età” e la balla parziale del ferro meteorico
Il materiale di cui è formato un manufatto è strettamente collegato agli strumenti necessari
per la sua lavorazione: adesso accompagnatemi nella vivisezione di uno dei dogmi che ci
accompagna fin dai bei tempi innocenti delle scuole elementari. E’ un percorso obbligato
per demolire un’impalcatura stantia che continua ad esistere solo perché fa comodo, quindi
è un pretesto per uno scopo più ampio. Agli albori dell’illuminismo, in data 12.11.1734,
innanzi ai suoi colleghi parrucconi21
dell’ Académie des inscriptions et belles-lettres, il
gesuita ed archeologo francese Nicolas Mahudel22
espone, tramite un lunga e dettagliata
dissertazione verbale, la sua teoria dell’evoluzione della civiltà umana: è il famoso schema
delle tre età, cioè quella della pietra, del bronzo e del ferro. Questa schematizzazione fu per
ben sei anni rifiutata dall’illustre consesso fino a che venne accettata nel 1740: semplice,
pur senza attaccare esplicitamente il racconto biblico nel Genesi, essa offriva una griglia
interpretativa alternativa ai dogmi del cattolicesimo. E’ elemento da sottolineare: con un
secolo d’anticipo su Charles Darwin, questo importante però misconosciuto studioso
individua un flusso evolutivo quasi costante nel succedersi delle generazioni umane, che da
una condizione pressoché miserabile passa, grazie ad una graduale e vieppiù sofisticata
manipolazione tecnologica, ai livelli eccelsi dell’antichità greco-romana. Tale
periodizzazione è stata accettata sostanzialmente da tutti gli studiosi posteriori, soprattutto
alla luce del successivo grande consenso riscosso dalla teoria darwiniana dell’evoluzione
della specie. I problemi incominciarono quando, a fine del 1800 si aprì l’epoca delle grandi
spedizioni archeologiche, condotte dai più famosi orientalisti tedeschi e britannici nel
vicino Oriente. Già qualche ingrippamento lo aveva causato Heinrich Schliemann tra il
1873 ed il 1890, soprattutto con la scoperta di Troia, ma anche con gli scavi a Tirinto e
Micene; però egli non era un cattedratico bensì un dilettante, geniale ma pur sempre un
outsider. Grazie all’avanzamento della tecnologia e della chimica già nella prima metà del
secolo scorso, le indagini stratigrafiche permisero di capire che i ritrovamenti di
Schliemann mostravano un’evoluta società in tempi assai anteriori al periodo del ciclo
troiano (XII-XI sec. a. C.): gli studi condotti dal prof. Carl W. Blegen della Yale
University, tra il 1932 ed il 1938, dimostrarono che i resti del nucleo primigenio (cosiddetta
-Troia I- 23
) risalivano addirittura al 3000-2600 AC. Queste datazioni indicano una civiltà

27
che per antichità può quasi rivaleggiare con il primo periodo dinastico egizio; eppure in
quella zona costiera dell’Anatolia, ove si trova la collina di Hissarlik-Troia, in base agli
studi precedenti era ritenuto assai improbabile che a quell’epoca un siffatto livello potesse
esistere. Lo schema delle età inizia ad apparire come la camicia di un bambino che si
stringe sempre più su un corpo che, in piena fase di sviluppo, continua a crescere, fino a che
la persona, ormai diventata adulta, continua a portare quell’indumento striminzito,
miserrimo, scucito e pencolante, nonostante la palese ridicolaggine. Ma non c’è scandalo:
fintanto che, nella comunità degli studiosi, il classico bambino di turno non urla: -Ma il re è
nudo!-, l’inciucio prosegue e continua ad essere insegnato. Invece, le cose si complicano
per davvero quando in Egitto ed in Mesopotamia arrivano le cime dell’intellighenzia
accreditata; sicché, in breve, che cosa succede? Succede che molti reperti di pregevole
fattura sembrano essere più antichi rispetto al periodo entro il quale si dovrebbero
incasellare in base alla semplice suddivisione del reverendo Mahudel e successivi. In altre
parole, l’antichità di quei reperti spinge a retrodatare l’uso del ferro, in quanto prodotto di
evidenti fasi evolute, in epoche più remote rispetto a quella famosa periodizzazione. Nessun
problema: si tira la coperta da una parte e poi dall’altra. Quindi, verso la fine degli anni ‘20,
era possibile datare un manufatto non solo per le caratteristiche apparenti ma anche grazie
al contesto geologico nell’ambito del quale esso era ritrovato: le analisi chimiche già
permettevano di individuare con buona approssimazione l’epoca degli strati della crosta
terrestre, sicché, quando un oggetto in ferro, oppure un prodotto la cui manifattura indicava
l’uso di utensili in ferro, veniva trovato in uno strato più antico di quanto si aspettasse, per
esempio risalente al periodo del bronzo, bisognava retrodatare la scoperta del ferro. Il
seppur utile sistema delle età entra concettualmente in crisi quando, all’inizio degli anni ’50
del secolo scorso, si perfeziona la tecnica della datazione tramite il carbonio 14, detto anche
radiocarbonio24
. In breve, grazie al decadimento di questo isotopo radioattivo, presente nel
materiale organico, si può calcolare l’età del reperto sino a circa 60.000 anni prima del
tempo corrente (in inglese before present, prendendo come terminus ante quem il 1950),
inoltre, più il periodo del reperto in questione è vicino (anche il periodo sumerico, secondo
tali parametri è da ritenersi tale) maggiore è la precisione della datazione; dunque, per
esempio, se negli strati più interni di una lama in ferro si trovano residui organici risalenti
al 2500 a. C. conseguentemente bisogna dire che quel coltello fu costruito molto prima del

28
periodo ritenuto normale. Per evitare che il sistema tripartito entri definitivamente in
collasso, il periodo metallurgico è stato coerentemente adattato ed esteso alla preistoria,
anche aggiustandolo relativamente alle varie realtà geografiche. Insomma, l’impianto
siderurgico aggiornato e corretto ancora viene insegnato nelle scuole di ogni ordine e grado;
però ad un occhio attento ed indipendente non sfuggono le contraddizioni temporali, che
potremmo definire delle vere e proprie enclave, ove si riscontrano degli oggetti (in realtà
molti) che stridono fortemente col contesto complessivo. La comunità scientifica ufficiale
usa astutamente, un colpo al cerchio ed uno alla botte, la scoperta del ferro meteorico per
tentare di risolvere definitivamente il problema. Il ritrovamento di oggetti fatti di questo
particolarissimo minerale, letteralmente proveniente dal cielo, è un’ottima scusante per
spiegare l’esistenza ingombrante di manufatti ferrosi in epoche remotissime e prive degli
strumenti più basilari per lo sfruttamento minerario (attenzione, sempre secondo la
storiografia ufficiale). Questo è un vero e proprio inciucio che permette di spiegare come il
debutto dell’età del ferro25
, in forma di oggetti ornamentali, sia stato addirittura retrodatato
in Africa, in particolare Egitto predinastico, sino al III millennio AC. Semplice, pur non
potendo sfruttare i giacimenti che avevano sotto i propri piedi perché non ne avevano i
mezzi, gli africani lavoravano il ferro caduto dal cielo perché era lì sotto gli occhi di tutti
pronto per essere sfruttato. Però, non mi risulta che sia stato rinvenuto alcun utensile in
ferro meteorico, davvero atto ad un qualsivoglia duro lavoro, che possa essere attribuito a
quella remota epoca. Infatti, c’è un altro problema, tale minerale è composto da una lega
complessa durissima e resistentissima, impossibile da lavorare proficuamente senza gli
strumenti metallurgici adatti (soprattutto altiforni e crogiuoli refrattari alle elevatissime
temperature necessarie per la fusione); insomma, popoli senza la dovuta tecnologia non
possono raggiungere risultati che necessitano imprescindibilmente di determinati fattori. A
tal fine è interessante notare quanto il ferro meteorico sia da sempre apprezzato per la forgia
di lame di elevatissima qualità26
(per dirla all’inglese: combat ready) e di assai ardua
realizzazione, dato che in realtà esso è un vero e proprio acciaio in attesa di essere
lavorato27
. Non solo, fino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso si è ritenuto che
l’acciaio (cioè lega di ferro più carbonio ed altri elementi, dato che stavolta parlo del
metallo terrestre) sia stato un progresso risalente, cronologicamente parlando, ai tempi della

29
crisi di Roma imperiale ed all’inizio delle pressioni dei mongoli dall’Est; eppure recenti
ritrovamenti retrodatano il suo uso al 2000 AC. Mi riferisco ai manufatti di Kaman-
Kalhoyuk nel cuore dell’attuale Turchia, ritrovati e studiati dal ricercatore giapponese
Hideo Akanuma28
, tra il 2006 ed il 2008: essi sono stati prodotti in acciaio ad alto
contenuto di carbonio in un contesto che scombina lo scacchiere ipotetico precedente; ma
reperti similmente composti sono stati trovati successivamente anche in Mesopotamia,
India, Cina ed Africa orientale, oltre che, ovviamente, in Egitto. Però lo schema tripartito,
poi diventato quadripartito a causa dell’inserimento del rame, è ancora lì sbilenco a tener
banco, anziché essere stato buttato nell’immondizia coram pupulo. Ma voi ed io vediamo
che queste contraddizioni abnormi di tempo e di luogo, questi particolari Out Of Place
Artifacts, anziché enclave appaiono come veri e propri eczemi che si diffondono sul tessuto
malato che è la manfrina confezionata dalla –cosca del sapere-. Studiosi contemporanei
assai validi quali, Kristian Kristiansen29
, Graham Connah30
, Peter Bogucki31
, David
Browman32
, evidenziano il semplicismo, le lacune e le incongruenze dell’intero impianto
ma si guardano bene dal portare alla ribalta gli indizi che pure escono dalle loro stringenti
deduzioni. Quindi, più per le mancanze degli altri che per merito personale, mi trovo ad
essere l’unico che individua nella stele di Antonio Raimondi un Oopart.
Contraddizioni logiche e temporali
E’ interessante (ed oserei dire simpatico) sottolineare un elemento quasi distonico:
l’archeologia tradizionale ed ufficiale, soprattutto qui in Italia, è una disciplina umanistica,
cioè basata sulla filologia antica, la linguistica romanza e germanica, la storia dell’arte
classica prima e poi del vicino Oriente. Recentemente stanno subentrando, qui più
lentamente che altrove, anche altre discipline quali la geologia (in particolare la
stratigrafia), l’antropologia fisica e l’antropologia culturale. Il progressivo apporto di
chimica e fisica rendono l’archeologia contemporanea un complesso strutturale altamente
interdisciplinare e tecnologizzato; ma ciò comporta un grande problema: storici, filologi ed
archeologi fanno parte di una casta che comunque tende a perpetuare lo status quo
universitario; ovverosia, è lecito scoprire cose nuove ma il sistema totalizzante dogmatico
deve essere mantenuto, non può essere rivoluzionato. I problemi sono creati dai suddetti

30
scienziati (coloro che si occupano delle cosiddette scienze naturali, fisiche e matematiche);
questi ultimi se non sono zittiti o ammansiti a priori da qualche centro di potere (per
esempio: le case farmaceutiche o i militari) se ne fottono altamente delle sicurezze
sbandierate dagli accademici umanisti, sicché, quando debbono pubblicare dei lavori che
contraddicono le balle dei farisei in toga lo fanno senza problemi di sorta; vedansi, per
esempio, i lavori del genetista Luigi Luca Cavalli Sforza33
che anticipano di più 30.000
anni la presenza dell’umanità in America, rispetto alla favola della migrazione attraverso lo
stretto di Bering durante l’ultima glaciazione. Sembra di vedere un po’ il diavolo che fa le
pentole ma non i coperchi: gli studiosi di stampo umanistico imbastiscono delle storielle
affascinanti ed apparentemente solide che si reggono fino a quando studiosi di stampo
scientifico (o scientista, se preferite) tirano dei siluri che dovrebbero affondare anche delle
corazzate…ma niente paura! Il sistema dogmatico della verità ufficiale ingloba e digerisce
tutto, proprio come lo stomaco di uno struzzo: basta semplicemente che gli elementi
apparentemente virali non vengano divulgati e correttamente spiegati al pubblico; bisogna
lasciare che gli imbonitori di regime continuino a ripetere le menzogne che rassicurano i
cuori e rincoglioniscono i cervelli. Invece, se volete immergervi in un lavoro monumentale
e rigoroso vi consiglio senz’altro Archeologia proibita di Richard Cremo34
, scritta in
collaborazione con Richard L. Thompson; è un peccato che in Italia questo lavoro
fondamentale non abbia avuto il meritato riscontro presso il vasto pubblico solitamente
interessato a tali argomenti.
Antropologia culturale eretica
Dulcis in fundo, cosa rappresenta il personaggio grottesco della stele di Raimondi? Ho già
detto che è definito dagli studiosi come El Dios de los dos Báculos, ma esso offre la
possibilità di un approccio analitico sia ortodosso che eterodosso; andiamo con ordine. La
parola Totem appartiene al gruppo linguistico algonchino-athabaska (America del Nord) ed
ha una pletora di significati, ma tutti portano alla trascendenza. I Totem più famosi sono
proprio quelli della nostra infanzia, che abbiamo visto nei film e nei fumetti western;
ebbene, essi in linea di massima erano delle riproduzioni fedeli degli originali; abbiamo
imparato conoscerli come pali di legno, sui quali erano intagliate delle figure di animali

31
diversi tra loro ma quasi avviluppati gli uni agli altri, più raramente anche figure
antropomorfe, che si sviluppavano in altezza. Purtroppo, spesso ci sono stati mostrati come
strumenti di tortura, cosa che non corrisponde al vero. In realtà essi erano il tentativo di
unire il mondo contingente col mondo soprannaturale; in questo elemento di mediazione
inframondano venivano unite in simbiosi le rappresentazioni delle varie divinità e le parti
strutturali del gruppo sociale, partendo dall’entità basilare della banda finendo alla nazione.
Senz’altro lo slancio era verso il cielo ma la base del simulacro era comunque saldamente
infissa nella terra, non solo per motivi meramente utilitaristici; molte stele precolombiane
sono veri e propri Totem litici . Troviamo quindi che lo stesso approccio di tipo
antropologico culturale ci porta ad una lettura a più livelli:
- il Totem come elemento catalizzatore tra la trascendenza e l’immanenza;
- il Totem come raffigurazione esplicita degli esseri divini e della loro associazione con gli
umani;
- il Totem come rappresentazione dell’identità esistenziale e storica del popolo nativo.
L’afflato è il raggiungimento ed il mantenimento dell’armonia, lo sciamano ne è l’interprete
già predestinato alla nascita e poi riconosciuto dal gruppo. Anche la stele di Raimondi è un
Totem litico: in esso, l’artista sconosciuto ha -o più propriamente: gli artisti sconosciuti
hanno- voluto immortalare gli esseri sovrumani con i quali la cosiddetta civiltà Chavín era
in contatto, esseri che sono stati trasfigurati in modalità più consone alla prospettiva mistica
e tribale. Non solo Picasso, Salvador Dalí e Giorgio De Chirico, solo per fare qualche
nome, hanno distorto e riplasmato la realtà contemporanea e tecnologica che abbiamo sotto
i nostri occhi, per aggiungere altri significati, reconditi o addirittura estranei. Ciò fu fatto
legittimamente già al momento della realizzazione del nostro convitato di pietra35
. Sì: sto
parlando di Alieni. Autori imprescindibili nel campo dell’Alterità36
quali Erich von
Däniken, Peter Kolosimo, John Mack , Zecharia Sitchin e Corrado Malanga37
, colui che
ritengo il più eminente tra tutti, hanno, tramite approcci seppur diversi, ripetutamente
individuato nell’ambito del lungo campionario alieno delle figure preminenti: i Rettiliani, i
Nordici con pupilla verticale/romboidale ed i Grigi. E’ assolutamente inutile che io mi
dilunghi nel descrivere tali tipologie; i suddetti Autori lo hanno già fatto ampiamente. Posso
solo sottolineare che io, tramite l’analisi comparata delle religioni antiche, ho proposto la

32
mia griglia interpretativa su allegorie artistiche e narrative, sia in forma di miti orali che
scritti, nonché di rappresentazioni pittografiche o scultoree, che si basano su tali specie
aliene. Dato che ne ho parlato diffusamente in vari articoli che si trovano nel sito di
www.Sentistoria.Org38
ora voglio solo sintetizzare questa mia chiave di lettura in cui i
Rettiliani sono i draghi; i Nordici dalla folta chioma rutilante e la pupilla verticale sono
assimilati al dio giaguaro; mentre il Grigio, grottesco nano, compare quasi come un
giullare, recante in testa un pesantissimo copricapo che raffigura i suoi padroni. Su
quest’ultimo abbiamo la possibilità di soffermarci e di inquadrarlo come colui che fa la
maggior parte del lavoro sporco durante le abduction. Il cosiddetto the Grey, piccoletto,
paffutello e caricaturale, nell’ampia casistica dei rapimenti appare come il classico cacio sui
maccheroni, silenzioso e zelante Arlecchino servo di molti padroni39
, in questa
manifestazione epifanica lo si vede associato a due tra gli aguzzini più palesi agli occhi
degli addotti. Ritorniamo ancora alla stele; la trasposizione visiva è minuziosa, certosina, la
ridondanza dei particolari è a livelli barocchi e nulla è affidato al caso. L’artista, singolo o
collettivo che sia, ha voluto rendere precisamente un determinato progetto rappresentativo:
l’evidenza è che non un <dio giaguaro> si è voluto ritrarre bensì il Grigio con tre dita nelle
mani -richiudibili e con pollice opponibile e due dita nei piedi. Questa figura è ampiamente
citata40
nei Branton files ed in vari avvistamenti in America Latina, in special modo durante
gli avvenimenti di Varginha, Brasile, nel gennaio del 1992; essa è anche un identikit del
famoso viandante notturno universalmente noto come Chupacabras. Se si fosse voluto
raffigurare il giaguaro, ci sarebbe stato tutto lo spazio per scolpire le cinque dita per
cadauna zampa anteriore e le quattro dita di ciascuna zampa posteriore. Per ragioni diverse,
sia artistiche che psicologiche, sono rilevanti i due scettri (Los dos Baculos in spagnolo):
sono i quasi onnipresenti simboli della dualità, dell’opposizione: immanenza e
trascendenza, Yin e Yang, mortale ed immortale, terrestre ed extraterrestre; ma l’elenco è
infinitamente lungo. Se poi qualche competente vi sa scorgere delle raffigurazioni di
circuiti adducendo congrue dimostrazioni io, ebbene, non ho opposizioni di sorta. Mentre
l’ominide Guardalaluna41
contemplava un blocco anonimo (ma solo all’apparenza), un
monolito di granito nero, levigato a specchio e di dimensioni simili, noi abbiamo la
possibilità di ammirare un’opera d’arte sopraffina, stridente e scomoda: la rappresentazione

33
di un portale (questa è la spiegazione della cornice che percorre tutto il perimetro esterno)
sul quale si affaccia questo personaggio sincretistico, nell’atto di varcare la soglia tra due
mondi. Ma se quest’opera è così scomoda perché mai non è stata dichiarata un falso
moderno? Semplice: essa è sotto gli occhi di tutti, soprattutto degli studiosi,
ininterrottamente dal 1860: un’epoca in cui la strumentazione contemporanea per crearla
non esisteva ancora. Lo stesso discorso vale per tanti altri manufatti; basta tacere il fatto
che, tecnicamente parlando, è palesemente impossibile realizzarli proprio secondo le
contraddittorie teorie che la cultura ufficiale mette in giro, senza stare molto attenta alla
congruità delle affermazioni, contando che la cosiddetta ”massa” tanto poi non si accorgerà
di niente. Quando, circa trentacinque anni fa, esternai al mio professore di storia perplessità
simili, riguardo al sarcofago di Cheope, ricevetti questa risposta:”…se ce lo abbiamo lì
davanti agli occhi un diavolo di modo lo avranno trovato per costruirselo!.. e non stare più
a rompere!!” ed è quello che dico anche io (insieme a tanti altri studiosi eretici), ma non
concordo affatto con la linearità darwiniana rappresentata dallo schema delle età, che ci
vogliono inculcare dalla nascita dell’Illuminismo sino ad oggi; che è in realtà una linearità
maculata da pacchiane contraddizioni, logiche, temporali e di luogo. Se l’evoluzione
dell’homo sapiens può apparire più valida della storia di Adamo ed Eva (la quale comunque
allegoricamente vuol dire molto di più, ma “questa è un’altra storia”) io contesto la
lapidarietà dogmatica del processo storico che va dall’età della pietra sino all’età dell’ Ipad
o, se preferite, dal tozzo ominide Guardalaluna alla splendida Naomi Campbell. Non ho la
pretesa di conoscere per filo e per segno ogni tappa, ogni criticità, ma esistono evidenze che
prima della cosiddetta preistoria vi è stato un periodo fastoso, colto ed altamente
tecnologico che, onorando Platone42
, non ho difficoltà a definire come età atlantidea,
durante la quale erano a disposizione tutti gli strumenti tecnici per scolpire la stele di
Raimondi e costruire ben altro. I più antichi popoli preincaici sono stati testimoni di quel
mondo maestoso e drammatico nel contempo; il periodo imperiale degli Incas è stato sì il
climax della storia e della cultura di quei popoli precolombiani, ma solo in questa parte di
tempo più vicina a noi. I nativi del Tahuantinsuyo sono stati gli eredi quasi del tutto
inconsapevoli di un patrimonio residuo e mutilato, i resti di un qualcosa di
incommensurabile sia nel bene che nel male. Evidenze archeologiche suffragate dalle
analisi stratigrafiche, dalle corrispondenze astronomiche (scoperte che datano dalla seconda

34
metà del secolo scorso, soprattutto in riferimento a siti particolarmente nevralgici e famosi
quali Giza e Tihauanaco) ci parlano di eventi epocali avvenuti all’incirca 13.000 anni or
sono. Tale cifra è, a spanne, la metà di un ciclo precessionale e si colloca in un lasso di
tempo nei paraggi dell’ultima glaciazione. Quella è l’epoca remotissima in cui secondo i
testi sacri dell’umanità (Bibbia, Veda, codici Maya ed Aztechi etc.) e le tradizioni orali
millenarie dei popoli nativi (Zuni, Dogon, Tibetani etc.) gli esseri soprannaturali
provenienti dal cielo vivevano su questo pianeta. Da quelle fonti si evince sempre un grado
di netta subordinazione dell’umanità nei confronti dei “discesi dal cielo”; a volte un
gregariato dotato di una certa autonomia però mai un’emancipazione con parità di
lignaggio. Una serie di concause, primariamente belliche e cataclismatiche43
, hanno portato
alla fine di quell’epoca ma non alla fine della morsa aliena sull’umanità. La sensazione è
che i dominatori si siano ritirati nell’ombra, nascosti dietro un sipario, ma che in più di
un’occasione abbiano agito a fianco degli uomini e sulla pelle degli uomini; il tutto per
farci credere d’essere individui realmente dotati di libero arbitrio. Una particolare razza di
alieni, che seguendo Sitchin possiamo chiamare senz’altro Annunaki, ha manipolato alcuni
primati per creare l’umanità e farne la propria forza lavoro. Successivamente, la fine di
Atlantide ha creato quella che viene definita impropriamente preistoria, durante la quale
sacche del passato fulgore hanno convissuto con decadute società umane tribali, le quali,
sempre con la spada di Damocle del controllo alieno mistificato, hanno iniziato il percorso
per arrivare all’attuale storia di oggigiorno. Se la stele di Raimondi è stata realizzata nel
900 a.C. nell’ambito della civiltà Chavín, vuol dire che i suoi realizzatori hanno goduto di
un lascito tecnologico, una vera reliquia, di Atlantide; ma io suppongo che la stele, così
come altre realizzazioni eclatanti e distoniche, debba essere retrodatata direttamente in quel
periodo lontanissimo. I sicofanti del regime accademico allorché incocciano in un
qualsivoglia quid stridente con i dogmi mummificati, in prima battuta tentano di screditarlo
tacciandolo di frode, invece, innanzi ad un reperto di autenticità cristallina (come per
esempio il monolito in argomento), lo avviluppano in un bozzolo di edulcorate
dichiarazioni a mezza bocca, tralasciando le evidenti contraddizioni per poi parcheggiarlo
nell’oblio; quindi, in tempi successivi, evitano accuratamente di approfondire ricerche che
le innovazioni tecnologiche rendono appetibili e semplicissime. Molto di ciò che non era
possibile 150 anni fa oggi lo è: l'esame al microscopio petrografico delle sezioni sottili,

35
l'analisi diffrattometrica, l'analisi degli elementi in tracce, l'analisi isotopica, la spettrografia
all’infrarosso, per citare solo alcuni dei principali esempi. Ecco perché il massimo reperto
artistico di tutto il Perù precolombiano è alla vista in un luogo qualsiasi del Museo de la
Nación, senza che gli venga dedicata un’area tematica e mezzo nascosto dal chiosco delle
bibite, almeno tale era la situazione tredici anni or sono: la stele di Raimondi è un
manufatto unico ed impossibile nel contesto storico e tecnologico propugnato dalla
storiografia ufficiale. C’è una ratio dietro il comportamento omertoso ed ingannevole della
– cosca del sapere-? Sì: tale cricca è semplicemente un tentacolo della piovra totalizzante
che gestisce il living theatre della farsesca democrazia occidentale: un enorme gioco di
ruolo ove anche i burattinai (tra cui solo in pochi sono coscienti di chi è letteralmente sopra
le loro teste) sono semplici esecutori di ordini altrui; ma è un argomento assai più ampio e
già ben analizzato da studiosi quali David Icke, Maurizio Blondet e Corrado Malanga.
Foto VII: Dio giaguaro preincaico, l’eterno nemico (ma non il solo) del dio serpente. Terracotta
risalente al V sec. A C.. Si possono vedere le nette somiglianze con le stilizzazioni feline sulla
stele. Ho effettuato questa foto durante gli scavi nell’ambito della Huaca Pucllana (nota anche
come Juliana). Il termine quechua <huaca> sta per luogo sacro, interdetto, ma anche sicuro,
fortificato; la cosa più probabile che in questo caso si tratti di una fortezza-santuario. L’etimo
Pucllana potrebbe significare <gioco rituale>.

36
Appendix Reptiliana
Foto VI,VII : Dupondio Antoninus Augustus Pius; ringrazio l’amico Metal Andrea per aver usato
la sua fotocamera per questi scatti

37
Nei miei lavori precedenti mi sono soffermato sul culto del serpente, in particolar modo in
Hydra Tripudians, confrontandomi con un’apparente lacuna nell’ambito del mondo
romano. Concordo sul fatto che quest’ultimo abbia introiettato miti e leggende di quello
greco in un’epoca così precoce del proprio sviluppo che non abbia sentito la necessità di
crearne indipendentemente, salvo davvero poche eccezioni44
; quindi, gli aspetti regali e
divini con i quali appare il serpente in molte circostanze, però senza mai assurgere alla
dignità di dio in piena regola, nell’ambito della mitologia greca sarebbero stati traslocati a
Roma già in epoca monarchica. Su questa base nell’ambiente archeologico si è sempre
glissato sull’argomento, adducendo che non vi sono evidenze archeologiche per affermare
l’esistenza di un culto del -dio serpente- in Roma arcaica. Eppure sento di poter smentire
ciò in primo luogo grazie alla numismatica, dato che essa è una disciplina che rientra a
pieno titolo negli strumenti della ricerca archeologia. Mi riferisco ad una particolare moneta
molto in voga in età imperiale: il dupondio; il nome significa <due libbre>, dal latino duo
asses pondo semplificato in dupondius, con esso era possibile comprare due libbre di pane;
il metallo è composto da una lega di rame e zinco, detta oricalco, la quale, fintanto che
rimane pulita, all’apparenza è vagamente simile all’oro, potremmo definirla l’oro dei
poveri. Il lato principale di questa moneta, che risale all’incirca al 150 d. C., reca l’effige
dell’imperatore Antonino il Pio, figlio adottivo di Adriano ed a sua volta zio e suocero del
suo successore Marco Aurelio. Ma è il lato opposto ad interessarci, dato che è una
testimonianza esplicita: in esso la dea Salus (salute) offre cibo ad un serpente che si erge su
un altare45
. Salus, seppur mai assurta al rango di una dea quale Giunone moglie di Giove o
Minerva figlia di quest’ultimo, è una divinità di origine antichissima che rappresenta sia la
salute dell’essere umano che della Res Publica. In senso più ampio essa è anche una
trasfigurazione dell’eterna giovinezza degli dèi. Nonostante la mancanza di una congrua
letteratura che parli di lei, le sue caratteristiche ricordano alcune divinità di altri popoli
dell’antichità:
- la greca Igea, che letteralmente significa <cura>, <rimedio>, è figlia di Asclepio e le sue
rappresentazioni sono identiche a quelle di Salus;

38
- la dea Ebe è la coppiera degli dèi greci, ai quali assicura l’eterna giovinezza tramite
l’elargizione di nettare ed ambrosia; ella diviene la sposa di Eracle allorché questi è
ammesso nell’Olimpo dopo la sua resurrezione dalla morte;
- la dea celtica Sirona, è la signora delle fonti guaritrici e molte rappresentazioni scultoree
la raffigurano con un serpente che avvolge il suo lussurioso corpo;
- Iðunn (Idun), è colei che custodisce le magiche mele che mantengono giovani gli dèi del
Nord che vivono in Asgard, è sposa di Bragi figlio di Odino.
Da tutto ciò si può senz’altro evincere un substrato comune e primordiale, dal quale i vari
popoli hanno sviluppato una tradizione indipendente nei secoli successivi: una dea che ha il
gravoso compito di assicurare agli dèi l’eternità. Pertanto, la raffigurazione del lato b
mostra una scena esplicita e trascurata dai vari studiosi interessatisi all’argomento: la dea
che rappresenta la <Salute>, la <Giovinezza> e la <Longevità> apparentemente ciba il
serpente ma in realtà cura la longevità, se non addirittura l’eternità, del <dio serpente> che
si erge sul proprio altare, retaggio del culto remoto del quale anche a Roma era rimasto
sentore. La presenza dell’altare non deve lasciare dubbi: su di esso venivano venerati solo
gli dèi. E’ importante sottolineare che vi sono, purtroppo solo scarne, tracce di questa
tradizione nella letteratura di Roma antica arrivata fino a noi. Riti della fertilità si
intrecciano alla basilare divinità ctonia. Ho deciso di riportare integralmente la mia
traduzione dei distici dal I al XIV dell’ottava elegia, dal IV libro delle Elegiae di Sesto
Aulo Properzio46
, poiché, oltre che assai belli ed evocativi, il lettore abbia la possibilità di
una fedele lettura.
Apprendi ciò che questa notte rimestò le acque dell'Esquilino,
quando fitta la folla accorse nei nuovi giardini.
L'antica Lanuvio è custode di un annoso drago,
colà, dove non è uno spreco l'ora per una così rara sosta,
dove il sacro cammino discende in un antro cieco,
dove entra la vergine (attenzione lungo tutto questo percorso!)
premio del giovane serpente,
quando chiede il pasto annuale
e dalla profonda terra si contorce sibilando.
Impallidiscono le fanciulle inviate a siffatti sacri riti,

39
allorché con timore la mano è concessa alla bocca del serpente.
Quello afferra i cibi offertigli dalla vergine:
gli stessi canestri tremano nelle mani della vergine.
Se sono state caste, ritornano all’abbraccio dei genitori
ed i contadini proclamano "l'anno sarà fertile".
Nell’originale latino, che troverete in nota, compare il termine draconis, genitivo da draco-
nis imparisillabo della III declinazione; quando gli autori latini utilizzavano questo nome
non era a caso, bensì per indicare un essere serpentiforme immane e degno di tutto il
rispetto. E’ interessante notare che il mostro prima viene identificato come <annoso> drago
e poi <giovane > serpente: al momento di ricevere l’offerta vi è una rigenerazione. Claudio
Eliano fu un retore di Preneste che ha scritto solo opere in greco attico, nel Περὶ ζῴων
ἰδιότητος (Sulla natura degli animali)47
ci lascia una versione alquanto simile del mito
precedente (differisce soprattutto il luogo: non Lanuvium bensì Lavinium), ma che non
raggiunge affatto il livello artistico di Properzio; ciò che vale la pena di riportare è la frase
di apertura:
“Peculiare è il potere divinatorio del drago”
Ciò che poi è ribadito dall’ultima:
“Il drago dunque era in grado di verificare propriamente che fossero nelle condizioni
richieste dal vaticinio *” *cioè vergini
Reliquie della supremazia dell’alieno Sauroide, trasfigurato in epoche successive che si
allontanano dal primigenio nucleo di testimonianze dirette.

40
Note
Premessa
Ho cercato di inserire quanti più link allo scopo di consentire un diretto ed immediato
(nonché gratuito) accesso alle fonti ed ai documenti che ho utilizzato. Pur se, in tutta
sincerità, ritengo l’inserimento delle note (a piè di pagina o fuori testo, la cosa mi è
indifferente) un lavoro lungo e tedioso, questa volta ho deciso di esporre al massimo le basi
delle mie asserzioni, in quanto ho voluto attaccare senza mezzi termini alcuni fatiscenti
dogmi dell’ufficialità accademica, sicché spero che anche quanto segue possa essere di
gradimento. Le opere in lingua straniera sono riportate col titolo in originale solo nel caso
esse non siano state tradotte in italiano.
1 Il Vaticano ha avuto con la letteratura non cattolica una pessima relazione dal Concilio di
Nicea fino al 1966. Ecco alcuni esempi, la lista è troppo lunga per citarli tutti. Nel 380,
molte copie delle poesie scritte dalla greca Saffo -Lesbo 610-570 AC- sono state bruciate
per ordine di Gregorio il Teologo, Arcivescovo di Costantinopoli; costui è stato dichiarato
santo ed uno dei padri della Chiesa cattolica. Ma il calvario per quei libri non era finito: nel
1073, papa Gregorio VII ordina di bruciare le poche copie sopravvissute ed ora abbiamo
solo una manciata di versi saffici. Qual è stato il peccato di Saffo? Oh, lei ha cantato
l’amore omosessuale tra donne. La maggior parte degli studiosi ha sempre dato la colpa
della distruzione della Grande Biblioteca di Alessandria al conquistatore musulmano Amr
ibn al'Alas, 640 DC; questo non è vero. Già Eusèbe Renaudot nella sua traduzione e
commento di Storia Patriarcharum Alexandrinorum (Parigi, 1713) mostra che le fonti
arabe -scritte ben 500 anni dopo la caduta di Alessandria e che attribuiscono la colpa ai
conquistatori musulmani - erano sommarie e tradotte male. Il grande Edward Gibbon nella
sua History of the Decline and Fall of the Roman Empire -Strahan e Cadell, Londra, 1776-
1789- ha accusato il vescovo Teofilo ed i suoi scagnozzi della tragedia. John Julius
Norwich ha la stessa certezza nella sua Byzantium:The Early Centuries, Viking, New York,
1989. Bernard Lewis in The Vanished Library, The New York Review of Books, 37 (14),
27 settembre 1990, analizza le fonti arabe più profondamente che lo stesso Renandout e
smentisce la responsabilità islamica. Fu invece la folla fanatica, scatenata dal vescovo

41
Teofilo, il vero colpevole della tabula rasa succeduta ad uno dei più grandi santuari della
cultura mondiale, nel 391 DC. Anche se la biblioteca di Alessandria aveva già subito alcuni
colpi pesanti nei secoli precedenti, ai tempi dell'imperatore Teodosio era ancora un enorme
scrigno pieno di tesori; provate ad immaginare qualcosa di molto simile, rispetto al numero
di libri prodotti nel mondo, alla odierna Library of Congress a Washington. Quasi venti
anni dopo questo terribile evento, la stessa banda uccide e smembra la sublime scienziata,
attrice, poetessa e filosofa platonica Ipazia; questa volta il mandante è il vescovo Cirillo,
successore di Teofilo. Dopo il bagno di sangue, i maniaci distruggono tutti i suoi libri e
disegni, insieme con gli scritti di suo padre, il matematico Teone di Alessandria. Il sadico
Cirillo è stato congruamente proclamato santo e dottore della Chiesa. Nel 394 DC,
Teodosio -molto più intollerante che veramente "Grande"- vieta anche gli antichi Giochi a
Olimpia. Questa tradizione, iniziata nel 776 AC, è stata cancellata poiché gli atleti
gareggiavano completamente nudi e per la stretta connessione con gli antichi culti pagani.
Durante l'indipendenza della Grecia classica, le guerre tra le città-stato erano interrotte per
permettere gli uomini di partecipare a questo imprescindibile evento sportivo e sacro;
purtroppo, l’avvento del nuovo dio non permette più la libertà di pensiero, di religione e di
espressione. In ogni caso, e felicemente, anche nella sua apparente facciata di granito, il
cattolicesimo è sempre stato minato dalle divisioni interne; per esempio, molti abati e
semplici monaci scribi avevano la serenità di prendere decisioni non ortodosse, dunque,
non tutto quello che era destinato falò cadde in cenere. Vedasi, per esempio, la trasmissione
dei miti celtici autoctoni delle isole britanniche durante un periodo in cui il paganesimo era
ovunque ferocemente combattuto dai vescovi. Le collezioni di antiche famiglie nobili e le
prime università europee sono state in grado anche di salvare altri tesori. Per focalizzare
meglio la persistente intolleranza cattolica, è anche utile ricordare questo: nel mese di
novembre del 1229, il Consiglio di Tolosa vieta ai laici di possedere, in tutto o in parte, la
Bibbia (ma l'aristocrazia non era perseguitata). La traduzione della Vetus Latina e della
Vulgata –le uniche due versioni canoniche in latino- è altresì vietata; la punizione per chi
compie questi peccati è la morte. Questi divieti sono caduti nella metà del XVI secolo,
quando il Vaticano -di fronte alla valanga di Bibbie protestanti tradotti in inglese, tedesco e
francese- ha deciso di utilizzare gli stessi mezzi del nemico, la Riforma, per fare
proselitismo. In ogni caso, questa concessione è stata affiancata da una severissima norma:

42
nel 1559, un ramo speciale dell'Inquisizione romana, durante il regno di papa Paolo IV, ha
redatto il famigerato Index Librorum Prohibitorum (Elenco dei libri proibiti); i governanti
degli stati cattolici erano obbligati a far rispettare agli ordini dell'Inquisizione. L'ultima e
aggiornata edizione è stata pubblicata nel 1948; questa aberrazione viene abolita da papa
Paolo VI nel 1966: nell'Europa occidentale, già ormai da molto tempo, non c'è più spazio
per i sadici travestiti da santi apostoli.
http://www.sappho.com/poetry/sappho.html
http://www.britannica.com/EBchecked/topic/14417/Library-of-Alexandria
http://www.nybooks.com/articles/archives/1990/sep/27/the-vanished-library-2/
http://www.suppressedhistories.net/secrethistory/hypatia.html
http://www.fordham.edu/halsall/mod/indexlibrorum.asp
http://www.aloha.net/~mikesch/banned.htm
Del Col, Andrea, L'Inquisizione in Italia, Milano, Mondadori, 2007
Per quanto riguarda il sentimento della caduta di Roma nel moderno mondo di lingua
inglese, in ogni caso il diretto erede di chi distrusse l'impero occidentale- mi piace citare
questi versi sublimi:
"Fintanto che esiste il Colosseo, Roma esisterà
Quando cade il Colosseo, Roma cadrà;
E quando Roma cade - il Mondo".
Lord Byron, estratto da Childe Harold's Pilgrimage, 1812-1818
2http://www.academia.edu/486349/Le_tecniche_del_bello._I_canoni_della_scultura_nella_
Grecia_classica_2008_
http://www.loescher.it/librionline/risorse_forzaimmagine/download/w3264_figura_arte.pdf
http://www.treccani.it/enciclopedia/mausoleo_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
http://www.anima-morte-
eternita.com/index.php?option=com_content&view=article&id=107:mausoleo-di-
alicarnasso&catid=39:mausolei&Itemid=86

43
3 Il quechua è la lingua parlata da una gran parte di nativi del Perù, Bolivia ed Ecuador; nei
tempi più antichi essa era l’idioma degli abitanti della Valle Sagrada, la zona andina che
circonda Cuzco. Proprio basata sull’antica e vasta tradizione orale quechua, l’opera più
famosa del principe meticcio Inca Garcilaso de la Vega è fondamentale non solo per il Perù
ma per tutto il periodo coloniale ispanico: Comentarios reales de los incas o Primera parte
de los comentarios reales, la cui redazione inizia nel 1586 mentre la pubblicazione avviene
a Lisbona nel 1609; essa è seguita dall’altrettanto monumentale Segunda parte los
Comentarios Reales o Historia General del Perú, pubblicata a Córdoba nel 1617. Questo
autore rappresenta il primo esempio, sulla ribalta internazionale letteraria, dell’unione del
mondo nativo e di quello europeo: suo padre fu il conquistador Sebastiàn Garcilaso de la
Vega; mentre la madre, principessa Isabel Chimpu Ocllo, discendeva direttamente
dall’imperatore Túpaq Inka Yupanki, decimo sovrano della dinastia incaica. Nella prima
parte dei Comentarios si trova la spiegazione dell’origine del nome della città imperiale:
-Pusieron por punto o centro (del Tahuantinsuyu) la ciudad del Cozco, que en la lengua
particular de los lncas quiere dezir ombligo de la tierra; llamáronla con buena semejança
ombligo, porque todo el Perú es largo y angosto como un cuerpo humano, y aquella ciudad
está casi en medio-.
Mia traduzione:
-Scelsero come punto centrale del Tahauntinsuyo la città del Cuzco, che nella particolare
lingua degli Incas significa <Ombelico della Terra>; sicché la chiamarono <Ombelico>
dato che tutto il Perù è lungo ed angusto come il corpo umano e quella città ne è quasi il
suo centro-
Voglio sfruttare l’occasione per citare colui il quale io considero il primo antropologo
culturale del mondo amerindio: mi riferisco ad Álvar Núñez Cabeza de Vaca. Durante le
traversie ed i successi della sua vita, egli fu testimone diretto dei patimenti inflitti dai
conquistadores al popolo nativo nel nome dell’oro e della croce, dalle foreste della Florida
sino alle cateratte dell’Iguazú. L’opera autobiografica Naufragios, prima edizione Zamora
(1542), che narra dei lunghi otto anni di fuga dopo il completo fallimento della spedizione
comandata da Pánfilo de Narváez, è disponibile in originale al seguente link:
http://www.gutenberg.org/cache/epub/11071/pg11071.html

44
Con le opportune ricerche, è possibile trovare in Rete il notevole film Cabeza de Vaca,
diretto nel 1991 dal regista messicano Nicolás Echevarría e fedelmente ispirato alla
suddetta opera.
4Antonio Raimondi, Milano, 19 settembre 1826 – San Pedro de Lloc, 27 ottobre 1890
http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Raimondi
5 Leoncio Prado Gutiérrez El Pradito, Huánuco, 24 agosto 1853 - Huamachuco, 15 luglio
1883 - Ferito gravemente durante la battaglia di Huamachuco, fu fatto prigioniero e poi,
mentre era infermo su un giaciglio di fortuna, fu fucilato dagli invasori cileni. L’attuale
scuola militare di Lima reca il suo nome.
http://es.wikipedia.org/wiki/Leoncio_Prado_Guti%C3%A9rrez
6 http://www.arqueologiadelperu.com.ar/chavin2.htm
7 Nel gennaio del 1881, il preponderante esercito cileno attacca i male armati soldati
peruviani, per lo più civili improvvisatisi guerrieri all’ultima ora, che ancora difendono
Lima; i difensori invano cercano, disperatamente, di ricacciare i nemici dagli ultimi bastioni

45
durante le battaglie di San Juan y Chorrillos, 13 di gennaio, e di Miraflores, 15 di gennaio.
Il 16 di gennaio inizierà la nefasta occupazione cilena della capitale peruviana.
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Pacifico_%281879-1884%29
http://es.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Pac%C3%ADfico
http://en.wikipedia.org/wiki/War_of_the_Pacific
http://www.academiahistoria.cu/index.php/Bitacora/Publicaciones/La-dramatica-historia-
de-la-Guerra-del-Pacifico-1879-1883-y-de-sus-consecuencias-para-Bolivia
http://paginasheroicas.foroperu.org/t46-historia-de-la-guerra-de-america-entre-chile-peru-y-
bolivia-tomas-caivano1883
López Urrutuia, Carlos, Guerra del Pacifico, El Ciprés, Madrid, 2008
Garate Calle, Antonio, Por Diez Centavos de Salitre, Instituto de Estudios Histórico-
Marítimos del Perú, Lima, 2011
Caivano, Tommaso, Historia de la Guerra de America entre Chile, Perú y Bolivia,
Tipografia dell’Arte della Stampa, Firenze, 1883
8 http://huacapucllanamiraflores.pe/historia/
9 Wade, N., Wenderoth, P. (1978), The influence of colour and contour rivalry on the
magnitude of the tilt aftereffect, Vision Res 18: 827-36
Wade, N.J. (1996), Descriptions of visual phenomena from Aristotle to Wheatstone,
Perception 25 (10): 1137–75.
Wade, N.J. (1998), Early studies of eye dominances. Laterality 3 (2) : 97–108.
http://www.stereoscopy.com/faq/history-errors.html
http://www.dundee.ac.uk/psychology/staff/profile/nick-wade+
10 “Del mismo Castillo se ha desenterrado una piedra de granito de forma rectangular, de
1,88 m de largo, 0,70 de ancho y 0,15 de grosor, * con dibujos todavía más complicados
que los de la columna [...] Dicha piedra es de gran estimación, por lo complicado y la
hermosura de su diseño, por la finura y sorprendente simetría que se nota en un dibujo tan
difícil, que el mejor artista no habría podido hacerlo más perfecto. Ella es de por sí un

46
precioso monumento que debería conservarse con el mayor cuidado en el Museo Nacional,
porque da una exacta idea del gran desarrollo que había alcanzado el simbolismo, el
dibujo y el arte de trabajar la piedra entre los antiguos indios.”
* in realtà è un po’ più grande, le dimensioni corrette sono quelle che ho riportato
precedentemente.
11 http://en.wikipedia.org/wiki/Joseph_Campbell
http://www.jcf.org/new/index.php?categoryid=83&p9999_action=details&p9999_wid=701
http://www.miotas.org/blog_body.cfm?id=E609A933-B531-10AD-D827DCA504C2F830
http://www.miotas.org/blog_body.cfm?id=A263A16E-F04B-16B7-79F79448E476FB97
12 In effetti, Alfonso Klauer ci ricorda che il grande archeologo nativo Julio C. Tello
indicava l’origine caraibica del nome Chavín, trovando in <giaguaro> la sua traduzione:
Klauer, Alfonso, El mundo pre Inka : Los Abismos del Cóndor, Lima, 2000; disponibile in
rete ai seguenti link:
http://www.eumed.net/libros-gratis/2005/ak1/index.htm
http://www.eumed.net/libros-gratis/2005/ak1/01%20Abismos%20I.pdf
http://www.eumed.net/libros-gratis/2005/ak1/02%20Abismos%20II.pdf
Dato che in quechua la parola più usata per indicare una roccia di notevoli dimensioni è
wanka, mi azzardo a supporre che wantar possa esserne un derivato corrotto, arrivando
quindi alla definizione legittima ma assolutamente ipotetica di Giaguaro di Pietra.
Comunque, studiosi del calibro di Klauer, Miloslav Stingl e soprattutto l’impareggiabile
prof. Julio C. Tello concordano nell’avanzare l’ipotesi di una forte influenza
mesoamericana nello sviluppo primigenio delle popolazioni precolombiane del Perù.
13 http://www.geologists.org.uk/famous-geologists/friedrich-mohs-1773-1839/ 34
http://www.tf.uni-kiel.de/matwis/amat/mw1_ge/kap_8/advanced/t8_4_2.html
http://www.rockbreaker.com/equipment/rockbreakersystemsmain/26-products/booms/702-
rockhardness.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Hardness_comparison

47
http://eurasiamarble.com/interesting-marble-facts/Granite Material and Industry Problems
http://graniteimports.net/blog/where-granite-for-countertops-fall-on-the-mohs-scale-of-
mineral-hardness/
http://science.howstuffworks.com/dictionary/petrology-terms/granite-info.htm
14 http://www.d.umn.edu/geology/people/fsbios/rapp.html
http://f3.tiera.ru/2/P_Physics/PGp_Geophysics/Rapp%20G.%20Archaeomineralogy%20%
28Springer,%202009%29%28ISBN%203540785930%29%28359s%29_PGp_.pdf
15 http://bs.taglio-cemento-armato.it/1/storia-taglio-cemento-a-filo-diamantato.html
http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2006/02/17/LC3PO_LC305.html
16 L’esperimento di Etienne è citato in Sculpture. Processes and Principles, Penguin Books
Limited, Londra (1977), di Margot Wittkower: l’autrice raccolse in un opera postuma le
lezioni di Belle Arti tenute dal prof. Rudolf Wittkower, suo padre, durante l’anno
accademico 1970-1971 presso il Christ’s College-University of Cambridge.
17 http://neon.materials.cmu.edu/cramb/
http://www.iit.edu/engineering/mmae/faculty/cramb_alan.shtml
http://neon.mems.cmu.edu/cramb/Processing/history.html
18 http://todosobrelahistoriadelperu.blogspot.it/2011/06/metalurgia-cultura-chavin.html
19 Davidovits,Joseph, Il Calcestruzzo dei Faraoni, Profondo Rosso Edizioni, Roma, 2004
20 http://www.gizapyramids.org/pdf_library/petrie_gizeh.pdf
-We now know, however, that jeweled saws and drills were the tools used by Pyramid
builders; and the rough stone hammers are of exactly the types belonging to the rude
remains of Ptolemaic times.-
[…]

48
-The amount of pressure, shown by the rapidity with which the drills and saws pierced
through the hard stones, is very surprising; probably a load of at least a ton or two was
placed on the 4-inch drills cutting in granite.-
[…]
-Yet these grooves cannot be due to the mere scratching produced in withdrawing the drill,
as has been suggested, since there would be about 1/10 inch thick of dust between the drill
and the core at that part; thus there could be scarcely any pressure applied sideways, and
the point of contact of the drill and granite could not travel around the granite however the
drill might be turned about. Hence these rapid spiral grooves cannot be ascribed to
anything but the descent of the drill into the granite under enormous pressure; unless,
indeed, we suppose a separate rymering tool to have been employed alternately with the
drill for enlarging the groove, for which there is no adequate evidence.-
In questa nota voglio riferire di aver trovato nel Web molti riferimenti, in lingua spagnola,
ad un cosiddetto Informe Baker: dunque, sir Benjamin Baker fu un importantissimo
ingegnere civile durante l’ultima parte dell’epoca vittoriana; questi riferimenti asseriscono
che sir Petrie assunse l’ing. Baker come consulente tecnico-scientifico per la stesura del suo
The Piramydes and Temples of Gyzeh, Londra, 1883. A Baker viene attribuita la seguente
frase:”…se un ingegnere moderno fosse capace di riprodurre l’antico marchingegno non
solo diverrebbe milionario ma rivoluzionerebbe l’industria moderna”; testo originale: "si
un ingeniero moderno fuera capaz de reproducir la herramienta antigua no solamente se
haría millonario, sino que revolucionaría la industria moderna". Nonostante le mie molte
ricerche, non sono stato capace di trovare un presunto Informe Baker oppure Report Baker,
o Dossier Baker etc. Comunque, Petrie non cita Baker nell’ambito del libro ma usa un
linguaggio tecnico molto rigoroso. La fonte di tutte le numerose illazioni riguardo El
Informe Baker sembra essere il seguente articolo in lingua spagnola:
https://www.yumpu.com/es/document/view/14257940/historia-misteriosa-de-egipto-
sentimientos-compartidos

49
21 Già Tito Lucrezio Caro (Pompei o forse Ercolano, 94 a.C. – Roma, 15 ottobre 50 a.C.),
nel suo De Natura Rerum (Intorno alle cose della natura) aveva tracciato le grandi linee di
questo pensiero, prendendo a sua volta ispirazione dal greco Democrito.
22 La dissertazione viene poi raccolta nella pubblicazione Les Monumens les plus anciens
de l'industrie des hommes, des Arts et reconnus dans les pierres de Foudres, edita nel 1740
dalla stessa Academié. Attualmente, fra attriti, dispute e tentativi di “quadratura del
cerchio”, le ultime ed aggiornate modificazioni dello schema fatte da studiosi
contemporanei sono grosso modo:
-Età della Pietra : finirebbe in Africa (Egitto), in Asia mediorientale ed in Estremo Oriente
intorno al 5.500 a C.; in Asia centrale ed in Europa continuerebbe sino al 4000 a. C.; in
America si concluderebbe verso 1.500 a.C.
-Età del Bronzo (che in realtà è preceduta dall’età del rame, vedere in seguito in questa
nota): inizierebbe in Egitto verso il 3.500 a.C., Mesopotamia verso il 3.300 a. C; in Cina
verso il 3.000. In Europa il passaggio è posteriore.
-L’Età del Ferro: debutterebbe nel territorio ora vagamente corrispondente all’Etiopia nel
2.600 a. C.; nell’ordine: Hyksos, Ittiti, Assiri, Cananei, Achei ed Etruschi inizierebbero ad
usarlo dal 1.200 in poi. I Celti ed i Germani inizierebbero a forgiarlo a partire dal IX secolo
a.C. 35. C’è da sottolineare che, nel 1881, il geologo ed archeologo britannico Sir John
Evans nel The Ancient Bronze Implements, Weapons and Ornaments of Great Britain and
Ireland dimostra che l’uso del solo rame ha preceduto quello del bronzo, ciò riesce ad
aggiustare un pochino il gap tra il periodo del bronzo e quello della pietra; sicché il sistema
diventa quadripartito. Ovviamente, non si deve pensare ad uno sviluppo massivo e a
tappeto bensì assai localizzato e a “macchie di leopardo”.
23 Molto interessante, riguardo ai dubbi sull’identificazione degli strati urbani di Hissarlik
con la Troia omerica, è il seguente articolo: http://www.varchive.org/nldag/idtroy.htm
In particolare: “Whichever level scholars may agree to identify as Homer’s Troy, the wider
problem of relating the Homeric geography to the site of Hissarlik remains. Some years
ago Rhys Carpenter put the matter very succinctly: “There are obvious indications,” he

50
wrote, “that Hissarlik does not agree with the situation demanded by the Iliad, which
speaks of a great walled city with streets, houses and palaces, rising to a temple-crowned
acropolis, at an approachable distance from the Hellespont [Straits of Dardanelles] and
apparently invisible from it, situated across the Scamander, with abundant springs of deep-
soil water gushing close at hand. Actually, Hissarlik is in plain sight of the Hellespont, on
the same side of the river, without any running springs, and enclosed within its walls an
area of less than five acres.” Desborough,V.R., The Last Mycenaeans and Their Successors
pp. 164-65, Oxford University Press, 1964
Mia traduzione:
-Se qualsivoglia studioso può essere d’accordo sull’identificazione della città di Troia di
Omero, pure il più ampio problema di sovrapporre la sua descrizione testuale alla
geografia del sito di Hissarlik permane. Alcuni anni fa, Rhys Carpenter affrontò la
questione molto succintamente: <Ci sono palesi indicazione- egli scrisse - Che Hissarlik
non combaci con la situazione richiesta dall’Iliade, che parla di una città circondata da
grandi mura, con strade, case e palazzi che si ergono da una acropoli con templi, posta ad
una distanza accessibile dall’Ellesponto (Stretto dei Dardanelli) ma apparentemente
invisibile da esso; situata oltre lo Scamandro, con abbondanti ruscelli che sgorgano dal
suolo nelle vicinanze. In realtà, Hissarlik è in piena vista dall’Ellesponto, sul stesso lato
del fiume Scamandro, senza alcuna sorgente attiva e le sue mura abbracciano un’area più
ristretta di cinque acri.>
24 http://www.c14dating.com/int.html
25 http://mineralsciences.si.edu/collections/meteorites.htm#3
http://www.minsocam.org/ammin/AM65/AM65_624.pdf
http://www.ucl.ac.uk/iams/newsletter/accordion/journals/iams_19/iams_19_1995_el_gayer
26 http://warehamforgeblog.blogspot.it/2010/06/working-meteor-iron.html
27 http://www.asia.si.edu/collections/singleObject.cfm?ObjectNumber=F1955.27a-b

51
http://www.hindu.com/thehindu/holnus/001200903261611.htm 36
28
http://www.une.edu.au/__data/assets/pdf_file/0006/22992/GRAVE_and_KEALHOFER202
006.pdf
http://www.jiaa-kaman.org/pdfs/aas_17/AAS_17_Akanuma_H_pp_313_320.pdf
http://www.jiaa-kaman.org/pdfs/aas_17/AAS_17_Masubuchi_M_pp_281_294.pdf
http://www.harrassowitz-verlag.de/dzo/artikel/201/004/4180_201.pdf?t=1336045002
29 Kristiansen, Kristian; Rowlands, Michael, Social Transformations in Archaeology:
global and local persepectives, Routledge, Londra, 1998
30 Connah, Graham, Writing About Archaeology, Cambridge University Press, 2010
31Bogucki, Peter, Northern and Western Europe : Bronze Age, in Encyclopedia of
Archaeology, pp. 1216–1226, Academic Press, New York, 2008
32 Browman, David L., Williams, Steven, New Perspectives on the Origins of Americanist
Archaeology, University of Alabama Press, Tuscaloosa, 2002
33 http://www.homosapiens.net/la-mostra/curatori/lang/it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Luca_Cavalli-Sforza
34http://www.ibs.it/code/9788854128033/cremo-michael-a-/archeologia-proibita-
storia.html
35 Questa evocativa definizione non è mia bensì deriva da El burlador de Sevilla y
convidado de piedra, opera del frate spagnolo Tirso de Mendoza, 1612.

52
36 Il termine <ufologia> qui è fuori luogo: mica parlo di dischi volanti; ad <alienologia>
(che mi fa ridere) preferisco <alterità>, che è un concetto che già fa parte della filosofia
classica, pur se con altre finalità.
37 Beh, riguardo a questi nomi così fondamentali non credo che ci sia bisogno di suggerire
una bibliografia.
38 http://www.sentistoria.it/index.php/it/articoli/cat_view/34-articoli/52-il-pensatore
39 Sempre per onor del vero, per questa definizione mi sono ispirato ad Arlecchino servitore
di due padroni dell’insuperabile Carlo Goldoni.
40http://www.beyondweird.com/ufos/Branton_The_Dulce_Files_Chapter23_Inside_Intellig
ence_On_the_Dulce_Base.html
http://www.greatdreams.com/reptilian-humanoids.htm
http://www.thewhyfiles.net/varginha.htm
http://ufologie.patrickgross.org/htm/vargtim.htm
41 Guardalaluna è l’ominide che incontriamo all’inizio sia del film 2001 Odissea nello
Spazio, diretto da Stanley Kubrick su soggetto di Arthur Clarke, che nell’omonimo (e
successivo) libro scritto dal solo Clarke; ambedue i capolavori sono del 1968.
42 Platone (Atene 428/27 - 348/47 a.C.) ce ne parla in due dei suoi famosi dialoghi, il Timeo
e il Crizia. E’ in assoluto il primo autore a parlare dettagliatamente di un continente
potente, chiaramente tecnologizzato e poi sommerso per una serie di concause.
43 Vi sono moltissimi libri importanti al riguardo, io prediligo:
Hancock, Graham, Impronte degli Dei, Fabbri Editori, Milano, 2005
Wilson, Ian, I Pilastri di Atlantide, Fabbri Editori, Milano, 2005
Cotterell, Maurice M., Le Profezie di Tutankhamon, Fabbri Editori, Milano, 2005

53
Bauval, Robert; Gilbert, Adrian G., Il Mistero di Orione, TEA, Milano, 2005
44 Mi riferisco soprattutto al ciclo della fondazione di Roma, dalla nascita di Romolo e
Remo (generati dal dio Marte e dalla sacerdotessa vestale Rea Silvia) sino all’assunzione in
cielo di Romolo, sotto le nuove spoglie di <dio Quirino>.
45 Da non confondere con la –S- maiuscola sulla destra che sta per –Salus- .
46 Sesto Aurelio Properzio -Assisi, circa 47 a.C. – Roma, 14 a.C.- è stato un poeta romano.
Qui di seguito il testo originale,
Disce quid Esquilias hac nocte fugarit aquosas,
cum vicina novis turba cucurrit agris.
Lanvvium annosi vetus est tutela draconis,
hic ubi tam rarae non perit hora morae,
qua sacer abripitur caeco descensus hiatu,
qua penetrat virgo (tale iter omne cave!)
ieiuni serpentis honos, cum pabula poscit
annua et ex ima sibila torquet humo.
Talia demissae pallent ad sacra puellae,
cum temere anguino creditur ore manus.
Ille sibi admotas a virgine corripit escas:
virginis in palmis ipsa canistra tremunt.
Si fuerint castae, redeunt in colla parentum,
clamantque agricolae: "Fertilis annus erit."
47 Claudio Eliano (in greco antico Κλαύδιος Αἰλιανός, in latino: Claudius Aelianus;
Preneste, ca 165/170 – 235). Non ho trovato il testo in originale greco bensì la traduzione
latina di Friedrich Jacobs, Frommann edition, Jena, 1832:
Est et peculiaris draconum divinatio. Nam et in Lavinio, oppido Latinorum (quod a Lavinia
Latini filia nomen accepit, quo tempore Latinus, Aeneae adversus Rutulos auxiliatus, eos

54
devicit, et Aeneas Trojanus Anchisae filius civitate praedicta potius est; quae quidem
Romae veluti avia nominari posset, ex hanc enim profectus Ascanius Aeneae et Creusae
Trojanae filius Albam condidit, cujus colonia est Roma) ceterum in Lavinio sacer est lucus
magnus et opacus, juxtaque ipsum aedes Junonis Argolidis. In luco autem latibulum est
amplum ac profundum, draconis cubile. In hunc lucum sanctae virgines statis diebus
ingrediuntur, quae mazam gestant manibus, oculos fasciis devinctae; eas recta ad
latibulum divinus quidam spiritus deducit, sensimque ac pedetentim progrediuntur sine
offensione, ac si detectis oculis viderent. Quod si virgines fuerint, cibos tanquam puros et
deo gratae animanti convenientes admittit draco; sin minus non attingit, corruptas esse
intelligens et divinans. Formicae vero hanc mazam a vitiata relictam minutatim
confractam, quo facilius ferant, e luco exportant, expurgandi gratia loci. Hoc cum fit, ab
indigenis animadvertitur, et quae ingressae fuerant indicantur, examinanturque; et cujus
pudicitiam esse violatam constiterit, poena legibus constituta plectitur. Draconis igitur non
expertes esse vaticinationis hoc modo demonstrarim.

55
Indice della provenienza delle foto
Le foto qui utilizzate sono liberamente messe a disposizione da siti che chiedono di essere
citati quali provenienza delle stesse; inoltre chiedono che la diffusione avvenga senza scopo
di lucro: tutto ciò viene rispettato nel presente articolo.
Foto I:
http://www.generaccion.com/magazine/710/evocando-antonio-raimondi
Foto II: http://www.latinamericanstudies.org/chavin/raimondi.gif
Foto III:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7e/Raimondi_Stela_%28Chavin_de_Hu
antar%29.png
Foto IV:
http://www.miotas.org/blog_body.cfm?id=A263A16E-F04B-16B7-79F79448E476FB97
Foto V: http://cciv214fa2012.site.wesleyan.edu/archaic-period/exhibit-1/
Foto VI:
http://www.oneonta.edu/faculty/farberas/arth/Images/109images/greek_archaic_classical/sc
ulpture/kouros_met.jpg
Foto VII, VIII, IX: queste foto sono di mia proprietà, ma chiunque può utilizzarle e
riprodurle a fine di studio, senza fine di lucro e purché si citi debitamente la presente fonte.