La simbologia dei fiori nel Romanticismo PDF
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I.S.I.S Carlo Porta di Monza Liceo Linguistico
Anno scolastico 2011-2012
TESINA
a cura di Laura Militello
LA SIMBOLOGIA DEI FIORI
NEL ROMANTICISMO
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La simbologia dei fiori nel Romanticismo
Collegamenti interdisciplinari
Storia dell’arte: Un pensiero malinconico - Francesco Hayez (1842)
Letteratura tedesca: Heinrich von Ofterdingen (die blaue Blume) – Novalis (1802)
Letteratura inglese: The sick rose – William Blake (1794)
Letteratura italiana: La ginestra o il fiore del deserto – Giacomo Leopardi (1836)
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Introduzione
Ho deciso di incentrare la mia ricerca sul periodo romantico e in particolare sui diversi significati
attribuiti ai fiori dagli artisti romantici, per poter comprendere i motivi che li hanno spinti a
produrre un così grande numero di opere che presentano come tema ricorrente o come soggetto i
fiori.
Con l'affermarsi della nuova sensibilità romantica, la natura assume un ruolo centrale: l'ambiente
naturale è il luogo del libero manifestarsi delle passioni e della comunione con l'universo che solo
consentono la realizzazione della felicità umana, in opposizione con la società e le costrizioni da
essa imposte. In questo periodo la natura ora si carica di significati mistici, ora viene travolta
dallo stesso ciclo di nascita e morte a cui è sottomesso anche l'uomo.
Il punto di partenza della mia ricerca è un quadro di Hayez, Un pensiero malinconico, che mi ha
colpito per la totale identificazione della figura femminile con i fiori, non solo dal punto di vista
fisico (entrambi sono caratterizzati da una caduta verso il basso), bensì anche da quello
emozionale: proprio come la donna evoca tristezza e malinconia all’osservatore, allo stesso modo i
fiori appassiti nel vaso accanto a lei rispecchiano il suo stato d’animo.
Anche nella letteratura tedesca e inglese il fiore acquisisce una connotazione simbolica.
Un motivo ricorrente nel romanticismo tedesco è il “fiore blu”, simbolo di tutto ciò che è
inafferrabile e irraggiungibile per l’uomo, come l’amore o la felicità. L’impossibilità di
raggiungere questo fiore, porta l’uomo ad avvertire una sorta di nostalgia e brama insaziabile.
Questo concetto è espresso da Novalis nel primo capitolo dell’opera Heinrich von Ofterdingen del
1802, in cui il protagonista, ancora bambino, una notte in sogno giunge ad un prato fiorito e
cerca di avvicinarsi all’unico fiore blu, che però si allontana sempre di più senza farsi
raggiungere. Il sogno si conclude con il risveglio del protagonista, il quale inizia a provare una
sorta di nostalgia e di desiderio di raggiungere quel fantastico fiore blu.
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Nella letteratura inglese, invece, è William Blake, poeta e pittore, che ha incluso nella sua raccolta
maggiore, Songs of Innocence and of Experience, numerosi poemi che presentano come soggetti
dei fiori, come in “The blossom” e “Ah, sunflower”. Ho deciso di analizzare il poema intitolato “The
sick rose”, il quale mette maggiormente in luce rispetto a tutti gli altri la simbologia che si
nasconde dietro alla rosa. Essa infatti viene ferita da un verme “invisibile” che si è introdotto
furtivamente nel suo “letto” e che sta distruggendo la sua vita con un amore “oscuro” e “segreto”.
Discordando con i critici che hanno suggerito un’interpretazione del poema dalla connotazione
sessuale, ho identificato il fiore malato con l’umanità sofferente e il verme con l’origine del nostro
dolore, che è invisibile perché non siamo pienamente consapevoli di cosa lo scateni.
Da ultimo ho analizzato la poesia “La ginestra” di Leopardi poiché, secondo me, rappresenta
l’apice della simbologia dei fiori del periodo romantico. Il lungo poema viene scritto nel 1836,
quando l’autore si trova a risiedere presso un amico a Napoli. Osservando il Vesuvio egli nota
questa pianta che, temerariamente, rimane aggrappata al pendio, senza avere timore della potenza
di un’eruzione che la annienterebbe. Essa non è solo il simbolo dell’umanità che vive un’esistenza
precaria che potrebbe essere distrutta da un momento all’altro, bensì deve rappresentare anche un
modello di comportamento per l’uomo, basato sull’umiltà e sul coraggio, rinunciando per sempre
alla superbia e alla convinzione di una presunta superiorità.
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Storia dell’arte
Francesco Hayez – Un pensiero malinconico
(1842, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera)
Francesco Hayez nasce a Venezia nel 1791 in una famiglia modesta da padre francese e madre
veneziana. All'inizio della sua carriera studia nella città natale, poi si sposta a Roma diventando
allievo di Canova. Per un litigio sentimentale si trasferisce a Napoli e in fine a Brera dove insegna
all'Accademia di Belle Arti fino al 1879. Muore a Milano nel 1882.
Hayez è probabilmente il maggiore rappresentate del Romanticismo italiano e l’esempio di come
la pittura partecipasse attivamente al clima politico-culturale di quegli anni, soprattutto nel
periodo dell’unità d’Italia.
Lo stesso Giuseppe Mazzini in un saggio apparso su una rivista inglese nel 1840, scriveva: “E’ il
capo della scuola di Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclamava in Italia […]”. Le sue
opere, infatti, riproducono fatti storici affini con il diffuso sentimento patriottico italiano.
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Tra il 1840 e il 1842 Hayez ritorna spesso sul soggetto della figura femminile, la quale incarna la
condizione psicologica del pittore: la sconfitta degli ideali risorgimentali.
Gli avvenimenti storici influenzino molto le opere di Hayez, fino a rendere ogni rappresentazione
un'allegoria.
Il fine di questo quadro è quello di illustrare non lo stato d’animo della fanciulla, bensì quello
dell’artista che entra in crisi con i propri ideali politici. L’oggetto è la malinconia (sottolineata
dall’espressione della donna, dalla sua postura scomposta e dal vaso di fiori appassiti); il
sentimento che Hayez vuole rappresentare è il pessimismo ideologico: la malinconia della
fanciulla è in realtà quella dell’artista che entra in crisi a causa della situazione politica in atto.
La giovane donna è in piedi e guarda verso di noi, i capelli scuri, sciolti, cadono in parte sulla
spalla sinistra scoperta. L’aspetto quasi scomposto sta a sottolineare, nell’imperfetto stato esteriore,
una caduta dell’equilibrio emotivo, verso la tristezza e la velata depressione. L'ombra sulla parete
rimanda ai pensieri "in ombra", cioè malinconici. Lo sguardo è assorto, come se la fanciulla stesse
seguendo il filo malinconico dei pensieri. La sensazione di austerità è data dal muro alle sue spalle,
spoglio di oggetti che possano richiamare attenzione, per dare intenzionalmente risalto alla
figura centrale della donna.
A rafforzare questa sensazione di perdita, questa sorta di autunno dei sentimenti, Hayez ha
collocato sulla sinistra un vaso di fiori. Accostati alla donna essi riflettono il suo stesso sentimento
di malinconia e di tristezza. Infatti il vaso, nonostante i colori accesi dei fiori, non è simbolo di
gioia, bensì di perdita di felicità e di totale abbandono al dolore. I fiori risultano essere lo specchio
della donna: come l’abito della donna sembra caderle dalle spalle a causa di una sorta di
negligenza e simbolicamente di ricaduta verso il basso, allo stesso modo i fiori appassiti vengono
attratti verso il basso. L’espressione del viso della donna ci spinge a pensare che abbia pianto a
causa della suo immenso dolore. I petali caduti, che ora sono appoggiati sul marmo bianco
possono infatti essere il simbolo delle lacrime che la donna ha versato, oppure potrebbero anche
rappresentare i resti degli ideali dell’autore che sono andati in frantumi.
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Letteratura tedesca
Die blaue Blume Novalis – Heinrich von Ofterdingen
1802
"Die blaue Blume ist aber das, was jeder sucht, ohne es selbst zu wissen, nenne man es nun Gott,
Ewigkeit oder Liebe." Ricarda Huch
Die blaue Blume verkörpert, wie kein anderes Motiv, die Suche der Romantiker nach einer
inneren Einheit und nach Unendlichkeit. Die blaue Blume gilt also als das Hauptsymbol der
Romantik. Sie repräsentiert etwas, was schwierig zu erreichen ist; eine Sehnsucht, die man nicht
aussprechen kann. Um seine Sehnsucht jedoch zu stillen, ist es nötig, dieses Unerreichbare zu
erreichen.
Dieses Sinnbild der romantischen Epoche entstammt dem "Heinrich von Ofterdingen", einem
Bildungsroman, der von Novalis geschrieben wurde. Im Jahr 1802 wurde der unvollendete
Roman "Heinrich von Ofterdingen" posthum von Schlegel veröffentlicht.
Novalis hat den ersten Teil (Die Erwartung) und die Anfangskapitel des zweiten Teils (Die
Erfüllung) vollendet. Die erste, posthum erschienene Ausgabe (Juni 1802) enthielt nur den ersten
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Teil des Romans. Wie von der romantischen Romanpoetik gefordert, enthält der Heinrich von
Ofterdingen zahlreiche Einschübe in Form von Märchen, Träumen, Gesprächen oder Liedern.
Das grundsätzliche Thema des Ofterdingen ist die Poesie im weiteren, romantischen Sinne der
Poesie des Lebens. Novalis selbst bezeichnet den Roman als „Apotheose der Poesie“.
Der romantische Grundgedanke, dass Leben und Kunst aufeinander verweisen und sich
wechselseitig befruchten, ist darin erkennbar. Das „Ich“ verwirklicht sich nur, um eine enge
Einheit von Natur und Mensch zu schaffen. Außerdem wird der Leser zur gedanklichen
Selbsttätigkeit aufgefordert, da der Gehalt des Textes eine vertiefende Betrachtung erfordert.
„Die Eltern lagen schon und schliefen, die Wanduhr schlug ihren einförmigen Takt, vor den klappernden
Fenstern sauste der Wind; abwechselnd wurde die Stube hell von dem Schimmer des Mondes. Der Jüngling
lag unruhig auf seinem Lager und gedachte des Fremden und seiner Erzählungen. »Nicht die Schätze sind
es, die ein so unaussprechliches Verlangen in mir geweckt haben«, sagte er zu sich selbst; »fern ab liegt mir
alle Habsucht: aber die blaue Blume sehn' ich mich zu erblicken. Sie liegt mir unaufhörlich im Sinn, und ich
kann nichts anderes dichten und denken. So ist mir noch nie zumute gewesen: es ist, als hätt ich vorhin
geträumt, oder ich wäre in eine andere Welt hinübergeschlummert; denn in der Welt, in der ich sonst lebte,
wer hätte da sich um Blumen bekümmert, und gar von einer so seltsamen Leidenschaft für eine Blume hab'
ich damals nie gehört. Wo eigentlich nur der Fremde herkam? Keiner von uns hat je einen ähnlichen
Menschen gesehn; doch weiß ich nicht, warum nur ich von seinen Reden so ergriffen worden bin; die
andern haben ja das nämliche gehört, und keinem ist so etwas begegnet. [...] Der Jüngling verlor sich
allmählich in süßen Phantasien und entschlummerte. Da träumte ihm erst von unabsehlichen Fernen und
wilden, unbekannten Gegenden. Er wanderte über Meere mit unbegreiflicher Leichtigkeit; wunderliche
Tiere sah er; [...] neue, nie gesehene Bilder entstanden, die auch ineinanderflossen und zu sichtbaren Wesen
um ihn wurden [...]. Berauscht von Entzücken und doch jedes Eindrucks bewusst, schwamm er gemach
dem leuchtenden Strome nach, der aus dem Becken in den Felsen hineinfloss. Eine Art von süßem
Schlummer befiel ihn, in welchem er unbeschreibliche Begebenheiten träumte und woraus ihn eine andere
Erleuchtung weckte. Er fand sich auf einem weichen Rasen am Rande einer Quelle, die in die Luft
hinausquoll und sich darin zu verzehren schien. Dunkelblaue Felsen mit bunten Adern erhoben sich in
einiger Entfernung; das Tageslicht, das ihn umgab, war heller und milder als das gewöhnliche, der
Himmel war schwarzblau und völlig rein. Was ihn aber mit voller Macht anzog, war eine hohe lichtblaue
Blume, die zunächst an der Quelle stand und ihn mit ihren breiten, glänzenden Blättern berührte. Rund um
sie her standen unzählige Blumen von allen Farben, und der köstliche Geruch erfüllte die Luft. Er sah nichts
als die blaue Blume und betrachtete sie lange mit unnennbarer Zärtlichkeit. Endlich wollte er sich ihr
nähern, als sie auf einmal sich zu bewegen und zu verändern anfing; die Blätter wurden glänzender und
schmiegten sich an den wachsenden Stängel, die Blume neigte sich nach ihm zu, und die Blütenblätter
zeigten einen blauen ausgebreiteten Kragen, in welchem ein zartes Gesicht schwebte. Sein süßes Staunen
wuchs mit der sonderbaren Verwandlung, als ihn plötzlich die Stimme seiner Mutter weckte und er sich in
der elterlichen Stube fand, die schon die Morgensonne vergoldete.“
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Im ersten Kapitel der Erwartung wird der Begriff der „blauen Blume“ dargestellt. Der Junge
Heinrich liegt in seinem Bett, aber kann nicht einschlafen; die Erzählungen des Fremden von
fernen Schätzen und von einer unfassbaren blauen Blumen haben in ihm die Stimmung der
Sehnsucht erweckt. Er denkt nämlich immer an die blaue Blume, eine außergewöhnliche Blume,
die er nur in seinen Träumen sehen kann. Nur wenn er träumt, kann er seine Seele von allen
Fesseln der rationalen Wirklichkeit befreien und damit die wahre Erkenntnis erreichen.
Er träumt von fernen Zeiten und Orten, bis er sich im Laufe eines Traums im Traum auf einem
blühenden Rasen befindet. Hier erlebt er eine zweite symbolische Taufe, nach der Heinrich die
blaue Blume sehen kann. Er möchte sich ihr gern nähern, aber sie beginnt sich zu bewegen und
entfernen, so dass er sie niemals erreichen kann.
Diese blaue Blume ist diejenige, die sein Wesen mit einer unbekannten Sehnsucht erfüllen kann.
Der Junge weiß nicht, was die Blume darstellt, aber er empfindet ein unwiderstehliches Verlangen
nach ihr. Dies symbolisiert das Streben des romantischen Dichters nach dem Unendlichen, nach
der Liebe und nach der Poesie. Wer die Blume findet, findet auch die Liebe. Die Blume steht hier
also für einen noch unbekannten Geliebten, in ihr schwebt ein zartes Gesicht.
Im Traum liegt sie inmitten von anderen Blumen und ist die einzige, die licht blau ist. Die Blume
und das Wasser besitzen dieselbe Farbe. Blau ist die Farbe von grenzenlosen Dingen – auch die
Farbe des Wassers und die Farbe des Himmels. Der Himmel und das Wasser auf der Erde
reflektieren die beiden einander, so dass man das eine in dem anderen sehen kann.
Am Ende des Textes vollzieht sich eine Wende: Der Jüngling wird plötzlich von der Stimme seiner
Mutter geweckt. Nachdem der Autor durch Heinrichs Traum den Leser in eine phantastische Welt
entführt und ihn überzeugt hat, zerstört er sie gleich danach durch das Aufwachen des
Protagonisten. Auf diese Weise wird der Leser plötzlich in die Wirklichkeit zurückgeführt.
Novalis Roman ist ein vortreffliches Beispiel für ein romantisches Gesamtkunstwerk: Prosa, Poesie,
Lieder und Märchen verschmelzen hier miteinander.
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Letteratura inglese
The sick rose – William Blake 1794
The sick rose
O Rose thou art sick. The invisible worm,
That flies in the night In the howling storm:
Has found out thy bed Of crimson joy:
And his dark secret love Does thy life destroy.
The first publication of “The sick rose” was in 1794, when it was included in Blake’s collection
titled Songs of Experience . Blake composed the page sometime after 1789, and presented it with
illustrations that were typical of his self publications (illuminated painting), since he was
apprenticed to an engraver when he was young . Most aspects of the original production were
undertaken by the author, the composition of the poem and engraving of the work.
In 1794 Songs of Innocence and of Experience were published in a combined volume to show the
contrasts between childhood, purity and innocence and adulthood, corruption and experience.
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In the poem the speaker is addressing directly to a rose to inform it that it has become sick since
an “invisible worm” has found out its “bed” and has stolen into it. The “dark secret love” of the
worm is destroying its life.
Most critics have agreed in a sexual interpretation of this poem: in fact they reckon that the worm,
the flower and the bed are all tracks of sexual allusions, supported by the presence of the word
“love” at the end of the second strophe. Both the worm and the rose seem to be the metaphor of
male and female organs.
I think this could be a possible explanation of the poem, proved by the position of the poem in the
collection “Songs of Experience”.
Another common interpretation of this poem consists in the rose representing beauty and
innocence and the worm representing corruption and decay. This is the theory of the
complementary opposites: it is not possible to avoid the evil or the negative aspect if we want to
have a complete knowledge of something. The whole world can progress only thanks to a
continuous tension between the two contrary states of human soul, not in their resolution of one
gaining supremacy over the other.
“Without contraries there is no progression”
I don’t agree with these interpretation and I believe that the rose is the positive image of the poem
and that in the text it is not only the conventional symbol of love and beauty, on the contrary, it is
the symbol of mankind as well. As the flower is harmed by an “invisible worm”, - which is instead
the negative image and symbolizes death and decay, - mankind is being hurt and cannot react
against its “invisible” source of pain.
Therefore if the rose is sick, due to the entrance of the worm in its “bed”, this implies that at the
same time men are being hurt by something they are not aware of, which is entered their lives
and is destroying them.
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Hence the rose is unaware of its sickness and does not know anything about its own condition,
and so the emphasis falls on the allegorical suggestion that mankind is indifferent or does not
want to recognize its own ailing state. This may represent the seed of evil originated inside of us
that could grow constantly and one day turn into melancholy, leading mankind to forms of
depression, like the ones we are going through nowadays.
Letteratura italiana
La ginestra o Il fiore del deserto – Giacomo Leopardi
1836
Quest’opera viene scritta nel 1936 a Torre del Greco, vicino a Napoli, dove il poeta era ospite
dell’amico Ranieri. La Ginestra è l’ultima composizione di Leopardi, che le attribuisce il valore di
conclusione della sua ricerca: il poeta infatti richiede esplicitamente a Ranieri di collocarla come
ultimo canto dei Canti, e in effetti viene pubblicata postuma nell’edizione definitiva del 1845.
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Il canto rappresenta il commiato dell’autore dalla poesia e dalla vita: esso rappresenta una sorta di
testamento poetico attraverso un’identificazione tra l’Io e la ginestra stessa ed esprime un
messaggio filosofico sul senso dell’esistenza umana: In questo canto la semplice e umile ginestra
simboleggia la vita che sa resistere all’inospitalità dell’ambiente, negazione di ogni vita, e diviene
metafora del poeta stesso. Pur riprendendo la concezione pessimistica dell’esistenza, l’autore
formula un’esortazione agli esseri umani perché trovino nella comune sorte dolorosa una forma
di fraterna solidarietà.
Il componimento è molto ampio, è formato da sette strofe (317 versi) , a cui la ginestra dà una
sorta di circolarità, essendo l’elemento presente nella prima e nell’ultima strofa; mentre all’Io è
dedicata la strofa centrale, la quarta.
Qui su l’arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null’altro allegra arbor né fiore,
5Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
Che cingon la cittade
10La qual fu donna de’ mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
15Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d’afflitte fortune ognor compagna. […]
La prima strofa si apre sullo scenario desertificato e arido del vulcano Vesuvio, indicato come
luogo di contrasti attraverso l’opposizione tra la mancanza di vita e la presenza straordinaria della
ginestra, segno della tenacia della vita che resiste malgrado tutto. La vista stessa della ginestra lo
porta al ricordo delle rovine di Roma, testimonianza della potenza distruttrice del tempo.
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[…] Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
35I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d’esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
40È il gener nostro in cura
All’amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell’uman seme,
Cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
45Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto. […]
La strofa, che contiene già tutti i nuclei tematici del componimento, si chiude con il duro sarcasmo
contro chi voglia illudersi che l’uomo sia destinato ad un luminoso progresso, negando così
l’evidenza dell’indifferenza della natura nei confronti non solo dell’umanità, ma anche dell’umile
ginestra, e, come aggiungerà nella quinta strofa, persino delle formiche.
Ciò che segna però una novità nel pensiero leopardiano è rintracciabile nella terza strofa,
dominata nella seconda parte dalla dimensione collettiva: secondo l’autore la nobiltà risiede
nell’affrontare la propria condizione infelice e nell’evitare gli scontri con i propri simili,
riconoscendo che la matrice del male non è l’umanità, bensì la natura indifferente agli esseri
viventi. Dalla presa di coscienza della propria vulnerabilità e debolezza deriva la necessità per gli
uomini di allearsi tutti assieme contro la natura , riscoprendo la solidarietà al posto delle insensate
lotte fratricide che segnano la storia
Simmetricamente alla prima parte della stessa strofa, viene ripresa l’opposizione tra i due possibili
atteggiamenti solidali: quello solidale (la solidarietà fraterna) e quello ostile e aggressivo, che porta
alla distruzione di ogni legame sociale.
[…]E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
300Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
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Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
305Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
310Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Né sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
315Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.
Con movimento circolare il canto si chiude con l’immagine della ginestra con cui si era aperto: il
fiore del deserto, che adorna con la sua presenza i luoghi più desolati, dovrà prima o poi cedere
alla potenza del vulcano, con coraggiosa umiltà. La ginestra infatti non ha mai piegato vilmente il
capo di fronte alla natura, né ha mai cercato superbamente di imporre il proprio dominio.
Così si chiarisce l’identificazione fra l’umiltà del fiore e la scelta che il poeta vuole fare per la
propria vita: quella di una docile accettazione della realtà, che però non coincide con una perdita
di dignità. La consapevolezza della propria fragilità e mortalità chiede coraggio, la ginestra,
attraverso la sua accettazione, risulta quasi più “saggia” dell’umanità.
La fragile pianta, pronta a soccombere alla violenza del vulcano ma non per questo vilmente
rinunciataria (continua infatti a fiorire), né follemente orgogliosa da pensare di potersi opporre
alla furia della natura , deve rappresentare un modello di comportamento per l’uomo, che a quella
modestia e a quel coraggio dovrebbe ispirarsi, rinunciando per sempre alla propria superbia.
16
Bibliografia
L’Europa degli scrittori 2b : Storia, centri, testi della letteratura italiana ed europea R. Antonelli – M.S. Sapegno
Focus Kompakt neu : Eine Anthologie der deutschen Litratur M.P. Mari
Itinerario nell’arte 3 : Dall’età dei numi ai giorni nostri G. Cricco – F.P. Di Teodoro Concise cakes and ale : From the Middle Ages to the present day A. Cattaneo – D. De Flaviis
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