La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall'Italia e … · 2014-05-05 · Unione...
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La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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La sicurezza energetica nel
XXI secolo: prospettive
dall'Italia e dal Mondo
Coordinamento scientifico: Costantino Moretti Pier Vittorio Romano
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Indice
Prefazione Amm. Luigi Binelli Mantelli……………………………………………….5 La sicurezza energetica: lo stato dell’arte Pier Vittorio Romano..……………………………………………….……10 Evoluzione storica del concetto di sicurezza energetica Gianluca Carmine Ansalone…………………………………………….17
Sezione I La visione nazionale
Per un’energia sicura, sostenibile e conveniente: il ruolo della diplomazia italiana nei fori multilaterali Luigi Efisio Marras…………………………………………………………..24 La sicurezza delle rotte marittime italiane nell'estero vicino Paolo Quercia………………………………………………………………….34
Sezione II La visione europea
Verso un ruolo più attivo della PESC / PSDC nella sicurezza energetica Mihnea Constantinescu…………………………………………………..41 Gli aspetti della sicurezza energetica nell’Unione Europea: prospettive dalla Grecia Themistoklis Demiris……………………………………………………...49 Sfide, azioni e progetti relativi alla politica energetica nel contesto della sicurezza energetica in Polonia Wojciech Ponikiewski………………………………………………………56 La sicurezza energetica oggi: il punto di vista estone Urmas Paet……………………………………………………………………..61
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La Sicurezza energetica nella Repubblica Ceca Petr Burianek………………………………………………………………….70 Fonti rinnovabili di energia (FER) per la produzione di elettricità: quadro della situazione in Slovenia Iztok Mirosic e Boris Antolic…………………………………………..79 La sicurezza energetica della Serbia Ana Hrustanovic e Rade Berbakov……………………………....85 Nuovi Scenari Energetici: un’occasione per l’Europa Carlos Pascual………………………………………………………………..94 Unione Europea e “shale gas revolution”: implicazioni sulla condizione di sicurezza energetica Fabio Indeo………………………………………………………………....101 Sicurezza alimentare vs sicurezza energetica: conflittualità e criticità in ambito UE Silvia Bolognini……………………………………………………………..108
Sezione III La visione internazionale
L’energia canadese: sicura, affidabile, responsabile Joe Oliver……………………………………………………………….…….119 Energia, Sicurezza, Sviluppo - I B.R.I.C.S. nel Mediterraneo Marco Ricceri………………………………………………………………..125 Le dimensioni strategiche della rivoluzione dello Shale Gas : le visioni condivise dalla NATO e dai Paesi del Golfo Giuseppe Morabito……………………………………………….……….141 Instabilità in Medio Oriente e Sicurezza Energetica Nicola Pedde………………………………………………….………….….147 Sicurezza energetica eurasiatica e cooperazione regionale Alessandra Russo………………………………………………………….156
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Sicurezza ed indipendenza energetica: energia idroelettrica, fattore di sviluppo locale e di tensione regionale. Il caso dell’Asia Centrale Lorena Di Placido………………………………………………………….165 Risorse energetiche ed equilibri geostrategici in Afghanistan Cristiana Era………………………………………………………………….172 Aspetti della sicurezza energetica in India Costantino Moretti………………………………………………………..181 Il concetto di sicurezza energetica in Cina e Taiwan Rodolfo Bastianelli………………………………………………………..191 Australia e sicurezza energetica: commercio e investimenti David Ritchie…………………………………………………………………199 Africa Nord-Occidentale, idrocarburi tradizionali, non convenzionali e altri asset strategici Eleno Triva e Pier Vittorio Romano………………………………207 La sicurezza energetica in Africa Marco Cochi………………………………………………………………….215 L’interazione fra sicurezza energetica e cambiamenti climatici in Africa Marco Massoni………………………………………………………………222 Sicurezza e sviluppi energetici: il futuro è dell’Artico Lucio Martino……………………………………………………..…….….234 Sicurezza energetica e biocarburanti: dinamiche e rischi globali Alessandro Politi…………………………………………………….…….242 Efficienza energetica per le Forze Armate Claudio Catalano…………………………………………………….……254 Pentagono: Sicurezza e risparmio energetico Lucio Martino…………………………………………………………..……266
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Prefazione Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli – Capo di Stato Maggiore della Difesa
Il tema della sicurezza energetica e, più in generale, quello
della geopolitica dell’energia, hanno dominato le prime pagine
dei giornali per oltre un secolo. Dal tempo delle prime
concessioni in Arabia Saudita e in Persia, e soprattutto dalla
filiera industriale e tecnologica di quello che fu l’avvento degli
idrocarburi, sono passati poco più di cent’anni, che hanno
tuttavia profondamente rivoluzionato non solo le tecnologie di
propulsione e di produzione dell’energia, ma anche e
soprattutto hanno mutato il corso dell’economia e delle
relazioni politiche tra gli Stati. Dal carbone si è passati al
petrolio e poi al nucleare. Il Medio Oriente ha quindi assunto un
ruolo centrale nello sviluppo del mercato energetico,
diventando in pochi anni un prezioso contenitore di “oro nero”,
avviando una nuova fase storica e favorendo lo sviluppo
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dell’odierno processo di globalizzazione. Riguardo l’energia, il
petrolio in particolare, tanto è stato scritto ma spesso le
informazioni divulgate dalla stampa sono state condizionate
dall’emotività e da una vera e propria serie di “leggende
metropolitane” che hanno in tal modo orientato l’immaginario
collettivo sul tema della sicurezza energetica ed hanno portato
talvolta ad allarmismi ingiustificati.
Grossolane semplificazioni fanno nascere l’idea di un prossimo
esaurimento delle risorse e di una pressoché esclusiva loro
localizzazione nelle sole aree del Medio Oriente, alimentando in
tal modo speculazioni politiche e soprattutto economiche. Il
moderno sistema della finanza ha velocemente trasformato il
petrolio in una commodity, attribuendogli un valore
progressivamente sempre più disancorato dall’effettiva
disponibilità reale del bene ed al contrario connesso alla
percezione della difficoltà del suo reperimento. Si sono ribaltati
in tal modo i fondamentali dell’economia ed aperta la strada
alle selvagge fasi di speculazione dello scorso decennio. Una
più attuale e serena lettura delle dinamiche del settore
energetico, al contrario, spinge oggi a riflettere in modo
decisamente più sereno e meno allarmistico sulla gestione della
sicurezza dell’energia e degli approvvigionamenti. La
diversificazione delle sorgenti di approvvigionamento è stata
radicalmente rivista nella concezione della pianificazione e nella
gestione del rischio sino a diventare una sorta di vantaggio per
il consumatore che, attraverso una pluralità di controparti
diverse tra loro, non solo opera sulla leva dei prezzi in un sano
rapporto di libero mercato, ma riesce in tal modo anche a
mitigare il rischio derivante dall’interruzione totale o parziale
della produzione da parte di un singolo fornitore. Questa
strategia, peraltro, ha costituito il fulcro della politica di
gestione degli approvvigionamenti energetici nazionali italiani,
pionieri sin dagli anni Sessanta della diversificazione non solo
sul piano geografico delle forniture, ma anche su quello
qualitativo, alimentando tra i primi il mercato del gas naturale.
Sono quindi ben lieto di introdurre questo interessante ed
importante volume sull’energia e la sua moderna concezione
politica ed economica. L’Italia ha svolto in passato e svolge
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oggi un ruolo di assoluto primato nel settore dello sviluppo
delle fonti di energia. Realtà industriali di primo livello, come
l’ENI e l’EDISON costituiscono eccellenze tecnologiche nazionali.
Prospettive più preoccupanti si hanno invece analizzando il
quadro geostrategico dei prossimi anni e gli sviluppi del
cosiddetto “risveglio” o “primavera Araba” evidenziano una
nuova “Guerra Fredda” in atto che contrappone non più due
diverse civiltà e ideologie, ma diverse matrici e correnti
religiose in seno all’Islam, profondamente divise tra loro.
Fazioni e conflittualità che fanno tuttavia capo a Paesi di
grande rilevanza e potenzialità, che sono a cavallo del Golfo
Arabico, una delle maggiori “autostrade” del nostro
rifornimento energetico via mare. Una guerra solo in teoria
“fredda” ma in realtà molto più destabilizzante e spregiudicata,
in quanto molto meno condizionata e quindi “raffreddata” dal
deterrente militare e dal “terrore” nucleare che caratterizzava
la precedente. I suoi effetti sono evidenti nelle aree di fermento
e di grande instabilità che oggi circondano il sud Europa,
dall’Egitto, alla Siria, al Libano, alla Somalia, alla Libia, al Mali e
Centro-Africa, fino al Golfo di Guinea ecc.. In parallelo, stanno
rapidamente crescendo conflittualità e tensioni più o meno
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latenti, per ora legate a dispute territoriali e marittime, tra
molti Paesi dell’area dell’Oceano Indiano e Pacifico, tra cui
alcuni “BRICS”, ma che verosimilmente si accentueranno in
futuro, soprattutto in relazione alle esigenze energetiche e di
approvvigionamento di materie prime.
Non a caso il Presidente Obama, nel suo recente discorso alla
Nazione, ha toccato a più riprese il tema delle risorse
energetiche, ma nel suo caso in senso positivo perché nel giro
di pochi anni gli Stati Uniti saranno indipendenti e autonomi
sotto questo profilo e anzi inizieranno ad esportare energia in
surplus. Uno scenario complesso ed articolato quindi, nel quale,
a fronte di conflittualità e tensioni regionali si vanno già
delineando, nel medio-lungo termine, crisi di più ampio respiro
che, in un contesto globalizzato, rischiano pericolose escalation.
In tali possibili scenari la tutela degli interessi nazionali e la
libertà di scambi economici costituiscono una priorità per il
sistema Paese Italia. Alla luce dell’importanza strategica che
rivestono per il nostro Paese sia i flussi commerciali o le linee di
rifornimento energetico (gasdotti inclusi), la garanzia del libero
e sicuro utilizzo delle linee di comunicazione marittime, aeree e
terrestri nella regione Mediterranea e nelle aree adiacenti
(Oceano Atlantico Settentrionale, Oceano Indiano Occidentale
ed in prospettiva Oceano Pacifico) costituisce un’esigenza vitale
per l’Italia in termini di sviluppo della dimensione import-export
e fabbisogno energetico nazionale. Da ciò nasce l’esigenza di
essere presenti a vasto raggio soprattutto in aree marittime
lontane e di nostro interesse strategico per poter far fronte non
solo a minacce asimmetriche ma anche a crisi di elevata
conflittualità da fronteggiare con uno strumento militare
flessibile, pronto ed integrabile in dispositivi multinazionali.
Questo studio di settore, pubblicato sulla rivista “Informazioni
della Difesa” con l’apporto determinante del Centro Militare di
Studi Strategici (CeMiSS), nasce proprio dall’esigenza di offrire
un contributo all’informazione dei quadri, così come a tutti i
lettori sul tema della sicurezza energetica. Lo studio, oltre a
trattare l’argomento dal punto di vista nazionale con un
approccio di tipo comparato, ha cercato di rappresentare il
quadro, più completo possibile, della posizione dei Paesi
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produttori e di quelli consumatori. Le prospettive affrontate,
tutte d’attualità ed interesse, offrono una preziosa occasione di
riflessione.
Ritengo, quindi, che questo volume si inserirà proficuamente
nel solco di una lunga e consolidata tradizione sullo studio del
fenomeno anche grazie al contributo determinante fornito da
alcune Ambasciate estere, che ringrazio per la preziosa
collaborazione. Nel sostenere una costante produzione
scientifica, che unisce il mondo militare a quello civile della
ricerca, si consolida un rapporto ormai affermato e ben
sperimentato, i cui frutti tangibili hanno permesso e
permettono ogni giorno di integrare il sistema militare
nazionale con quello dell’intero sistema Paese.
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La sicurezza energetica: lo stato dell’arte Pier Vittorio Romano – Direttore Responsabile di “Informazioni della Difesa”
Specialmente negli ultimi anni è cresciuto il numero delle aree
interessate da profonde crisi geopolitiche che, sebbene
abbiamo fondamento politico, finiscono inevitabilmente per
avere ripercussioni anche a livello economico e, in particolare,
sugli aspetti di natura energetica. Ci attende quindi un futuro
all’insegna dell’incertezza e dell’imprevedibilità, in un contesto
di estrema e crescente complessità con il quale dovremo
confrontarci. Siamo di fronte ad un quadro internazionale
caratterizzato da un crescente grado di instabilità e da rischi
associati a minacce multiformi. A fronte di un ridotto numero di
conflitti tra Stati, si riscontrano numerose crisi interne ai singoli
Paesi, connotate da elevata articolazione tra i contendenti, con
potenziale contagio e destabilizzazione di intere regioni a noi
vicine. L’Italia è proprio al centro di questa grande area di crisi
che coincide con il “Mediterraneo Allargato” e che si distende
da Dakar a Kandahar, comprendendo contesti regionali
fortemente instabili quali il Nord Africa, il Medio Oriente, il
Corno d’Africa, nonché le regioni limitrofe del Sahel, del
Caucaso, del Centro Asia ed i Balcani, dove permane una
latente ostilità capace di riaccendere conflitti e dove necessita
ancora la presenza della comunità internazionale per le
conseguenti azioni di normalizzazione. Questa crescente
incertezza a livello internazionale, che ha caratterizzato tutto il
2013, non solo provoca tensioni ma anche effetti negativi
sull’approvvigionamento energetico sia perché queste crisi si
concentrano prevalentemente sui Paesi produttori, incidendo
quindi sulla stabilità dell’offerta, sia riguardo quelli consumatori,
sul fronte della domanda. Tra i più rilevanti l’Iraq, dalla cui
stabilità nel medio e lungo periodo dipende il mercato
petrolifero mondiale, la situazione in Egitto che, pur non
essendo un grande produttore, controlla il Canale di Suez, dal
quale transita il 7% del traffico petrolifero mondiale ed il 13%
di GNL, senza considerare il flusso commerciale. Vi è stato un
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rallentamento anche nella crescita dei paesi emergenti. La Cina,
specialmente nel primo semestre, ha rallentato la crescita nella
produzione industriale e nelle esportazioni, sebbene la
domanda abbia rappresentato il principale fattore di aumento
dei consumi energetici mondiali. Per i paesi europei risulta
necessario sostenere il funzionamento dei mercati, favorendo la
più ampia partecipazione di tutti i grandi consumatori mondiali.
Un utilizzo più intensivo della cooperazione a livello
multilaterale, a partire dall’Agenzia internazionale per l’energia,
risulterebbe uno strumento efficace per la sostenibilità dei
mercati.
L’Italia, dal canto suo, sostenendo le azioni messe in atto
dall’ONU, dall’Unione Europea, dalla NATO e dagli altri
Organismi internazionali, è chiamata a mantenere
costantemente elevato il suo impegno per la gestione delle crisi
con interventi anche di lunga durata e assai articolati. È chiaro
che il concetto di “sicurezza” comprende accezioni quali quello
della difesa e salvaguardia degli interessi nazionali. Ne
consegue una sempre maggiore assunzione di responsabilità da
parte degli organismi e alleanze cui l’Italia fa parte,
impegnando tutto il comparto della Difesa che dovrà
confrontarsi con realtà sempre più complesse anche nel
prossimo futuro.
Se la difesa dello Stato, nella più ampia accezione di difesa
degli interessi nazionali, è la “missione” di riferimento delle
Forze Armate, i molteplici elementi d’imprevedibilità e
indeterminatezza dell’attuale quadro geostrategico non fanno
escludere che, nel prossimo futuro, si ripresenti la necessità di
una disponibilità immediata di “assetti” idonei anche in scenari
ad elevata conflittualità. Al riguardo basti pensare alla rapidità
con cui si sono manifestate ed evolute le crisi del cosiddetto
“Risveglio arabo” in un’area, quella mediterranea, che pure
ritenevamo sufficientemente stabile: Tunisia, Egitto e Libia.
Questi sono tutti Paesi legati alla sponda nord del Mediterraneo
da intense relazioni economiche e attività di cooperazione civile
e militare. A tal proposito, alcuni indicatori della NATO fanno
ritenere che, entro 15 anni, la dipendenza dell’Europa
dall’importazione di risorse energetiche passerà dall’attuale 60
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all’80%e, al contempo, quella dei Paesi asiatici dal 40 al 65%.
È evidente, dunque, che aumenterà la competizione per
l’approvvigionamento di tali risorse, con i conseguenti rischi
politico-militari ed economici, in particolare in un’area, come
quella dell’Oceano Indiano e del Golfo Persico, fortemente
legate al nostro import-export e già oggi teatro di notevoli
tensioni, non solo e non principalmente legate al fenomeno
della pirateria, che è peraltro in via di riduzione. Segnali
positivi sono giunti per i consumi europei anche dagli investitori,
ad esempio, a livello infrastrutturale, dall’entrata in funzione
del nuovo rigassificatore OLT in Toscana e dai progressi del
rigassificatore polacco di Świnoujście. Anche da parte russa,
nonostante la sovrabbondanza di capacità di esportazione,
sono arrivati nuovi segnali per la realizzazione, entro il
decennio, di nuove infrastrutture, rimarcando così la fiducia
nelle prospettive di medio e lungo periodo dei mercati europei.
Lo sviluppo più significativo, però, riguarda la decisione per la
realizzazione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP),
destinato a trasportare il gas azerbaigiano di Shah Deniz dal
confine turco-greco fino alle coste della Puglia. Il TAP costituirà
il tratto finale del corridoio meridionale del gas, inserito anche
tra i corridoi prioritari indicati dal regolamento comunitario
347/2013 approvato lo scorso aprile. Tale opera permetterà la
diversificazione per l’approvvigionamento di gas, in particolare
per limitare la quota di mercato russa. Sebbene l’infrastruttura
comporti un rilevante aumento della sicurezza
dell’approvvigionamento per l’Italia, in prospettiva europea la
capacità annua del nuovo gasdotto è sostanzialmente
marginale, contando 10 miliardi di metri cubi (Gmc) a fronte di
consumi superiori a 450 Gmc. La sua rilevanza potrebbe anche
aumentare con l’eventuale raddoppio a 20 Gmc annui, previsto
come opzione per il prossimo decennio, ma si tratta di una
prospettiva di lungo periodo e in ogni caso non in grado di
rivoluzionare il mercato europeo, anche se per quest’ultimo la
realizzazione di TAP rappresenta un importante elemento di
dinamismo. Il consorzio che lo realizzerà prevede infatti la
partecipazione di sette operatori di nazionalità diversa
interessati a una prospettiva più ampia rispetto al solo mercato
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italiano. La realizzazione del progetto rappresenterà dunque un
importante banco di prova del processo d’integrazione dei
mercati europei. Nel panorama energetico italiano la scelta di
realizzare il gasdotto TAP, per portare il gas azerbaigiano sui
mercati europei, è stata la principale evoluzione.
Il sistema infrastrutturale italiano con indice di sicurezza infrastrutturale pari a 88 (alto)
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L’infrastruttura è destinata a far crescere sensibilmente la
capacità d’importazione, aumentando inoltre in misura
significativa il livello di diversificazione dell’approvvigionamento
di gas naturale e dunque la sicurezza energetica nazionale.
La diversificazione sarà innanzitutto rispetto al paese fornitore,
consentendo infatti l’arrivo ai consumatori italiani del gas
azerbaigiano, mai giunto finora sui mercati dell’Europa
occidentale. La realizzazione del TAP consentirà inoltre di
diversificare i tracciati di transito del gas, evitando sia il
transito sul territorio russo, sia quello sul territorio di paesi
nordafricani. Infine, il gasdotto diversificherà ulteriormente i
punti d’ingresso sulla rete nazionale, aumentandone la
resilienza e consentendo per la prima volta l’afflusso di
approvvigionamenti internazionali direttamente nell’Italia
meridionale peninsulare. L’importanza del gasdotto per la
sicurezza energetica nazionale è poi evidente se si considera la
sua capacità di trasporto rispetto ai consumi nazionali: 10
miliardi di metri cubi (Gmc) all’anno a fronte di un consumo
medio previsto per la fine del decennio intorno agli 80 Gmc
all’anno. L’aumento di capacità d’importazione è dunque
particolarmente rilevante, paragonabile per dimensioni
all’impatto di un gasdotto da 60 Gmc a livello europeo. Inoltre,
un ulteriore impatto positivo sulla concorrenzialità del mercato
finale arriverà con l’aumento della capacità d’importazione
garantita dal TAP poiché è destinato ad aumentare la pressione
concorrenziale sugli operatori già attivi, generando benefici di
prezzo sui consumatori.
La quantificazione dell’impatto resta tuttavia al momento non
definibile con chiarezza, a causa delle incerte dinamiche di
mercato, attribuibili sia all’andamento dell’economia, sia
soprattutto all’evoluzione del complesso quadro regolamentare
esistente.
La rete infrastrutturale italiana si è anche dotata del nuovo
terminale di OLT Offshore, che è stato traghettato di fronte alle
coste toscane. Il terminale è costituto da una nave metaniera
riconvertita ancorata al fondale, 22 km al largo di Livorno. Il
gas scaricato dalle metaniere è trasferito direttamente alla rete
nazionale a terra attraverso una condotta posata sotto il
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fondale marino. La capacità del rigassificatore è di 3,75 miliardi
di metri cubi all’anno e, sebbene il quantitativo sia limitato
rispetto al consumo nazionale, dà un contributo alla
diversificazione soprattutto perché i flussi di gas naturale
liquefatto (GNL) possono giungere al terminale da una
molteplicità di terminali di liquefazione anziché lungo un solo
tracciato, come il gasdotto. L’impatto positivo del terminale non
si limita solo agli aspetti di sicurezza. Gli attuali prezzi
internazionali del GNL sono inferiori ai prezzi del gas importato
via gasdotto con contratti di lungo periodo. Questo permetterà
in teoria di portare sul mercato forniture a prezzi competitivi,
aumentando la concorrenzialità dell’offerta.
Un aspetto di difficile valutazione, con un impatto
potenzialmente molto grande sulla sicurezza energetica
nazionale ed europea, è quello del rischio di attacchi informatici
alle infrastrutture critiche energetiche. L’esistenza del rischio è
già stata messa in evidenza dagli attacchi subiti da alcuni
grandi operatori internazionali e nel corso del 2013 numerose
infrastrutture statunitensi sono state oggetto di sistematici
tentativi di violazione. Al momento tali attacchi non hanno
creato particolari disagi alla popolazione, ma hanno innalzato
l’attenzione degli organi politici e delle agenzie federali al
riguardo. A livello europeo, in seguito agli attentati di Madrid
del 2004, l’attenzione si è focalizzata sulla prevenzione,
gestione e risposta in caso di attentati terroristici a danno di
strutture il cui danneggiamento potesse comportare un “effetto
domino” in tutta l’Unione Europea. Per questo motivo il
Consiglio Europeo, nel dicembre 2008, ha emanato la Direttiva
2008/114/CE relativa all’individuazione e alla designazione
delle Infrastrutture Critiche europee, nonché alla valutazione
della necessità di migliorarne la protezione, limitandola, per il
momento, ai settori dell’Energia e dei Trasporti per i quali
recentemente, a livello nazionale, sono stati approvati i criteri
intersettoriali. La Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM) –
Segreteria Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione
(NISP) aveva redatto la bozza finale della “Direttiva”,
concernente le procedure interministeriali per l’individuazione
delle Infrastrutture critiche Nazionali, che è stata presentata e
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approvata durante la riunione del NISP in data 31 ottobre 2013.
In sintesi la bozza riguardava l’individuazione e la designazione
delle infrastrutture critiche nazionali (ICN) per esigenze
esclusivamente nazionali e di sicurezza e, pur essendo
normativamente indipendente sia dalla Direttiva Europea
114/2008, sia dal suo recepimento nazionale (D.L. 11/4/2011
nr. 61) ne integra, di fatto, i contenuti. Dopo la successiva
verifica sulla sussistenza di appropriati fondamenti giuridici,
l’ipotesi dell’emanazione di tale "Direttiva" è, al momento,
tramontata ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri sta
operando al fine di trovare una valida soluzione normativa alla
problematica, probabilmente attraverso un D.P.R. che
dovrebbe ricalcare il contenuto della sopra citata "Direttiva".
Comunque, la sicurezza dell’approvvigionamento italiano è
destinata ad aumentare in futuro grazie al maggior livello
d’integrazione delle reti a livello europeo, favorita anche da un
quadro regolamentare uniforme e da misure in grado di
spingere gli operatori ad agire in una prospettiva continentale.
Fonte:
Focus “Sicurezza Energetica” Osservatorio di Politica Internazionale.
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Evoluzione storica del concetto di sicurezza energetica Gianluca Carmine Ansalone – Analista indipendente
Oggi, sia in ambito accademico che politico, si dà quasi per
scontato che esista una stretta correlazione tra energia e
sicurezza.
Senza energia non c’è sviluppo. Rendere meno vulnerabili le
linee di approvvigionamento energetico è alla base delle
strategie di sicurezza di molti governi. L’energia è stata anche
motivo di conflitti epocali nella storia anche recente.
Ma non è sempre stato così. Innanzitutto perché il petrolio è
una scoperta relativamente recente, almeno nelle quantità
necessarie a farne un mezzo efficiente per illuminare le case e
le strade, alimentare le fabbriche, far correre un motore.
In passato, ritroviamo tracce di alcuni derivati degli oli
combustibili addirittura nelle cronache di Plinio il Vecchio, che
ad essi attribuiva portentose proprietà mediche e curative. Ma
è il mondo nuovo della Rivoluzione industriale e della rapida
urbanizzazione Ottocentesca a rendere il petrolio una necessità.
Da quel momento, la disponibilità immediata e “naturale” non
basterà più. Bisognerà andare a cercare il petrolio in giro per il
mondo e a profondità fino ad allora impensabili. Da questa
necessità hanno origine le grandi epopee dei primi esploratori e
dei primi pozzi petroliferi, aperto a Baku, nell’odierno
Azerbaijan, nel 1847.
Già dai primi passi della commercializzazione del petrolio i
margini di ricavo cominciano ad essere notevoli. La prima volta
nella storia in cui un barile di petrolio ha toccato il valore
equivalente di 100 dollari non è stato nel 2008 ma nel 1863.
All’inizio del XX secolo il mondo si divide sostanzialmente in tre
grandi aree sotto il profilo petrolifero: quella ricca di idrocarburi
ma che non ha ancora motivo per ricercarlo ed impiegarlo (il
Medio Oriente); quella ricca di petrolio e che ne sta facendo
abbondante uso per la crescita e la prosperità (gli Stati Uniti);
e quella geologicamente povera di petrolio ma che ha intuito
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che la sua disponibilità sarà sempre più importante in futuro
(l’Europa).
In quel periodo la Russia degli Zar si alimenta sostanzialmente
grazie al petrolio di Baku; l’America vive il suo momento d’oro
e in alcune aree come la Pennsylvania si contano più trivelle e
pozzi che abitanti. L’Europa ha una produzione modesta,
concentrata soprattutto in Polonia e Romania. Nel nostro
Continente si brucia a quel tempo soprattutto carbone, che
aveva fatto ricche le casse del Kaiser tedesco e di Sua Maestà
in Inghilterra.
Questo equilibrio però era destinato a non reggere a lungo. La
storia si avvicinava infatti ad uno dei suoi tornanti più
importanti e drammatici. I grandi Imperi europei arriveranno
infatti ben presto allo scontro militare più feroce e sanguinario
che l’umanità abbia mai conosciuto.
Nei primi anni del Novecento la Germania avvia un massiccio
programma di riarmo, basato soprattutto sul rafforzamento
della flotta navale e sui primi impieghi delle tecnologie
sottomarine. E’ l’industria pesante, alimentata dal carbone, a
sostenere le mire egemoniche della Germania.
L’Inghilterra, che basava la sua forza proprio sul presidio dei
mari e sul controllo delle rotte commerciali verso le Indie,
cominciava a vedere erose quelle che oggi si definirebbero le
proprie quote di mercato. La Germania era un competitor
aggressivo, capace di esprimere un’innovazione militare
poderosa per i tempi.
Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato, decise
che il carbone da solo non bastava a rendere le navi inglesi più
veloci di quelle tedesche. Bisognava affidarsi al petrolio. Nel
1912 la decisione di abbandonare la propulsione a carbone per
quella a nafta divenne irreversibile. Di petrolio però in
Inghilterra non ce n’era, almeno a quel tempo e per le
tecnologie allora disponibili. Bisognava quindi procurarselo in
giro per il mondo ed importarlo in maniera rapida e sicura. Da
quel momento l’energia diventa una questione di sicurezza
nazionale.
Il mercato al tempo era composto da due soli “venditori”: da
un lato l’americana Standard Oil, difficile da ingaggiare visti i
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rapporti tra la ex colonia e la ex madrepatria; e dall’altro una
compagnia frutto dell’unione tra una compagnia olandese, la
Royal Dutch, ed un armatore, fortemente internazionalizzata e
animata da scopi puramente lucrativi e speculativi.
Fu ben presto chiaro quindi che non bastava avere soldi per
comprare petrolio; sarebbe stato più conveniente e sicuro
andarlo ad estrarre direttamente. Churchill approfittò con
astuzia di una situazione contingente: nel 1901 un ricco
imprenditore inglese si era fatto concedere diritti di
esplorazione petrolifera sulla quasi totalità della Persia
dell’allora Scià Mozaffar. In cambio a Teheran sarebbe andato il
16% di qualsiasi futuro profitto. Realizzate le prime scoperte in
quell’area, il petrolio andava in qualche modo trasportato. Ci
vollero anni per costruire il primo oleodotto che trasportava
petrolio fino alla foce dello Shatt-al-Arab, opera della Anglo
Persian Oil Company, l’antenata della BP. I soldi non bastarono
più per completare l’opera e Churchill, nel 1914, portò in
Parlamento una proposta di legge per l’acquisto del 51% della
APOC. La Marina di Sua Maestà avrebbe avuto un diritto di
prelazione per la fornitura ventennale di petrolio per alimentare
le sue navi.
Sei giorni dopo il voto favorevole della Camera dei Comuni,
Germania e Inghilterra si dichiarano ufficialmente guerra.
Da quel momento e per diversi decenni il petrolio e la sicurezza
energetica resteranno sostanzialmente un affare anglo-
americano. Gli USA ne hanno a disposizione una quantità pari a
tutto quello prodotto nel resto del mondo, circostanza che
risulta particolarmente favorevole alla grande rivoluzione
fordista in corso in quegli anni. Dalle catene di montaggio
escono infatti 15 milioni di autovetture l’anno, tutte alimentate
a petrolio. In Europa, nello stesso periodo, se ne contano a
malapena un milione in circolazione.
Churchill, che aveva intuito come sarebbe stato impossibile
vincere le guerre senza petrolio, ordinò alle truppe inglesi, nelle
ultime settimane della Prima Guerra Mondiale, di marciare in
Iraq fino a Mosul, un’area abitata in prevalenza da Curdi e dove
si prospettavano scoperte petrolifere particolarmente
interessanti.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
20
La Russia, in quegli anni, era impegnata nella Rivoluzione
d’Ottobre e nella gestione delle sue conseguenze, mentre in
Medio Oriente il precedente iraniano faceva ben sperare ma
servivano ingenti investimenti in esplorazione e perforazione,
fuori dalla portata della casse dissestate dell’Impero Ottomano.
Con questo spirito e con queste ambizioni si giunse, alla fine
del conflitto, alla firma dei celebri accordi Sykes – Picot. Gli
Inglesi vollero garantirsi l’amministrazione di quei territori che
promettevano meglio in termini di giacimenti petroliferi; a
Londra, sulla base di quegli accordi, andranno i territori
dell’Iraq e alla Francia il Levante mediterraneo, con Siria e
Libano.
Gli Stati Uniti non restarono certo a guardare, ma la
sovrabbondanza di petrolio che producevano non rendevano
impellente una decisione geopolitica netta o un impegno
militare diretto in Medio Oriente.
Fu solo alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale che anche a
Washington si cominciò a temere che gli enormi costi del
conflitto imminente avrebbero superato la disponibilità
autoctona di petrolio americano. Inoltre, proprio in quegli anni,
i primi studi dell’Agenzia geologica USA, cominciavano ad
ipotizzare un rapido deterioramento delle riserve e il
progressivo ma inesorabile esaurimento del petrolio.
L’Amministrazione americana decise di seguire le orme di
Londra e puntò decisamente verso quelle aree mediorientali
che erano rimaste fuori dalla “linea rossa” tracciata dagli
accordi Sykes-Picot. Presto i primi tecnici delle compagnie
petrolifere americane misero piede in Arabia Saudita, Kuwait e
Bahrein.
La stretta di mano sulla nave militare Quincy, al largo del
Canale di Suez, tra il Presidente americano Roosevelt e il re
saudita bin-Saud sancì un accordo che passerà alla storia come
uno dei momenti più significativi della geopolitica del petrolio.
Da allora, il legame tra sicurezza ed energia diventa
imprescindibile nelle relazioni internazionali.
Forti del ruolo di preminenza guadagnato con la Seconda
Guerra Mondiale, gli USA guadagnano anche concessioni
petrolifere in Iraq e Iran. E’ in quel momento che cambia
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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ulteriormente il paradigma della geopolitica contemporanea:
dalle guerre vinte grazie al petrolio si passa alle guerre
combattute per il petrolio.
È il caso di quanto accadrà di lì a poco a Suez. A metà degli
anni ’50 passano dal Canale di Suez i due terzi del traffico di
petrolio che alimenta l’Europa. Il 26 luglio 1956 il Presidente
egiziano Nasser annuncia la nazionalizzazione del Canale.
Poche settimane dopo truppe israeliane, francesi ed inglesi
occupano la Penisola del Sinai. Un’azione che provoca
l’irritazione dell’Arabia Saudita, che sospende le forniture di
greggio a tutto l’Occidente. Con il Canale di Suez bloccato è
impossibile far arrivare petrolio in Europa per affrontare
l’inverno. L’unica rotta alternativa per il Vecchio Continente
sono gli Stati Uniti. Washington detta le sue condizioni politiche:
ritiro immediato dei soldati anglo-francesi e solo dopo il ritiro
dell’ultimo militare dall’area avrebbe iniziato a rifornire il resto
d’Europa.
La geopolitica dell’energia non è più un “ballo a due”. C’è un
solo protagonista al comando, l’America, che intende esercitare
il proprio ruolo in casa e in quello che ormai considera il suo
cortile energetico, il Medio Oriente.
Da questo momento, dal momento in cui cioè gli USA hanno
necessità di importare petrolio in abbondanza per mantenere
inalterato il proprio primato strategico e militare, il mondo
inizia a dividersi nettamente tra produttori e importatori di
petrolio.
Con l’ingresso sulla scena dei nuovi produttori – le monarchie
del Golfo, ma ben presto anche la Russia, la Libia e l’Egitto – il
mondo viene letteralmente inondato di petrolio. Gli stessi Stati
Uniti, con il Presidente Eisenhower, per evitare che l’industria
energetica nazionale venisse penalizzata dalle mutate
condizioni di mercato, imposero leggi ultra-protezionistiche,
con dazi pesanti sulle importazioni di molti prodotti raffinati. La
conseguenza fu la necessità per i Paesi produttori di
riappropriarsi delle risorse, per poter agire sui prezzi che nel
frattempo erano crollati ai minimi storici.
In quegli anni i Paesi produttori avevano un’arma in più da far
valere: il diritto internazionale. La Risoluzione 1803 delle
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Nazioni Unite (1962) riaffermava la sovranità dei popoli e delle
Nazioni sulle proprie risorse naturali, nonché la possibilità di
esproprio per ragioni di sicurezza e utilità pubblica e comunque
di interesse nazionale.
Inizia da qui la grande epoca delle nazionalizzazioni petrolifere
e il paradigma energetico cambia nuovamente. Non è più il
possesso del pozzo o la proprietà della concessione a
determinare la divisione geopolitica e strategica, quanto la
sempre più cruciale sicurezza degli approvvigionamenti, ovvero
dei mezzi e delle rotte attraverso cui il petrolio passa. Non
importa più di chi è il petrolio; l’importante è che affluisca
senza intralci e che non venga usato dai produttori come arma
di ricatto. È invece quest’ultima condizione poche volte verrà
esaudita.
In mezzo secolo di storia il Medio Oriente ha conosciuto cinque
guerre: quella di Suez, di cui si è già scritto; quella dei Sei
Giorni, con l’embargo imposto dai Paesi produttori verso Stati
Uniti e Inghilterra; quella del Kippur, con l’ennesimo embargo,
questa volta verso USA e Olanda e con un prezzo del barile che
supera i 12 dollari; e infine la Prima Guerra del Golfo (1990),
con l’embargo imposto questa volta dalla coalizione
internazionale contro l’export petrolifero iracheno.
Nel mezzo ci sono altri due eventi di enorme portata in
quell’area e i cui effetti sono stati planetari: la Rivoluzione
khomeinista in Iran del 1979 e la Guerra Iran – Iraq (1980-
1988).
In tutti questi casi il barile di petrolio agisce da amplificatore
delle tensioni o da leva per sollecitare reazioni internazionali.
La parentesi delle nazionalizzazioni volgeva così rapidamente al
termine, per lasciare spazio all’era dell’interdipendenza tra
produttori e consumatori. I consumatori hanno bisogno del
petrolio che non hanno per crescere. Sono disponibili a pagarlo,
anche profumatamente, purché sia sempre tenuta sgombera
da intralci – fisici o geopolitici – la linea di approvvigionamento,
sia essa un tratto di mare, un oleodotto o una nave.
I produttori hanno bisogno di vendere e, se possibile, al prezzo
più alto.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Ad incidere su quest’ultimo ci sono molti fattori. Quello
principale, da manuale di economia politica, ovvero il semplice
incrocio tra domanda e offerta, è diventato nel corso del tempo
quasi marginale, surclassato da aspetti quali le tensioni
geopolitiche, la qualità del petrolio – e di conseguenza la
difficoltà per la sua estrazione – , la speculazione finanziaria.
Ad unire produttori e consumatori c’è comunque un unico
interesse: fare in modo che il petrolio arrivi dove è necessario,
quando è necessario. Mettere in guardia dal pericolo che
qualcuno voglia chiudere i rubinetti di petrolio e gas è spesso
un esercizio accademico. I consumatori vogliono energia; ma
anche i produttori vogliono venderla. Anzi, sempre di più
devono venderla per sostenere la propria economia nazionale e
la solidità delle leadership politiche che in alcune aree del
mondo si basa sulle rendite e sulle relazioni. Senza questo
reciproco e implicito scambio non ci sarebbe una buona parte
della realtà così come la conosciamo oggi.
Certo, alcuni consumatori – tra cui l’Italia – hanno dovuto
prendere qualche precauzione in più. Il nostro ruolo di frontiera
strategica nella Guerra Fredda ci rendeva particolarmente
vulnerabili anche agli shock energetici e, sapientemente, la
nostra industria petrolifera di Stato ha dovuto diversificare il
più possibile e blindare gli approvvigionamenti con contratti
magari più onerosi ma con molte più garanzie in termini di
forniture. Sottoscrivere accordi di lungo termine – i cosiddetti
take-or-pay – ha permesso ai consumatori a corto di risorse di
avere la certezza delle forniture, pagando un po’ di più quella
che potremmo definire una polizza contro il rischio geopolitico.
Oggi, il tema dell’interdipendenza vale ancora; ma sta mutando
nuovamente il paradigma strategico di riferimento del mondo
dell’energia, con l’avvento sulla scena delle risorse non
convenzionali e un rapporto tra energia e sicurezza che sarà
presto da riscrivere.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Sezione I La visione nazionale
Per un’energia sicura, sostenibile e conveniente: il ruolo della diplomazia italiana nei fori multilaterali
Luigi Efisio Marras – Direttore Generale per la mondializzazione e le questioni globali – Ministero Affari Esteri
L’Italia ha sempre guardato con attenzione all’aspetto della
sicurezza energetica. Tale atteggiamento è comprensibile alla
luce delle ben note necessità di approvvigionamento di materie
prime energetiche: paese sostanzialmente povero di idrocarburi,
l’Italia e le sue principali imprese di comparto hanno
costantemente cercato di assicurarsi oltre confine flussi stabili e
certi di fonti combustibili (petrolio, gas metano, gas liquefatto),
trovandosi spesso a dover negoziare delicati contratti di
fornitura con le controparti. La diplomazia italiana ha
storicamente assecondato questo essenziale aspetto della
politica industriale ed energetica, favorendo contatti tra le parti,
agendo da tramite con le istituzioni e i governi stranieri,
preparando l’imprescindibile terreno politico, smussando le fasi
talora spigolose di una negoziazione dagli esiti incerti con
interlocutori differenti per storia, cultura, economia e finanche
ideologia. Oggi, in un quadro mondiale per alcuni rispetti
ancora simile al passato, ma che risulta invece profondamente
mutato per altri essenziali tratti, il ruolo della politica estera è,
se possibile, ancora più importante. Esiste infatti oggi un
embrione di governance globale dell’energia, fatto di agenzie e
enti internazionali, che pur non sostituendosi al momento
“bilaterale”, lo affianca ed accompagna, fornendo esperienze
condivise, migliori pratiche, dati statistici e documenti, un
quadro di riferimento comune. Il moltiplicarsi degli organismi
internazionali settoriali impone al paese una presenza attiva e
non episodica, il cui fine ultimo è, e non può che essere,
l’interesse nazionale. Ecco che allora l’aspetto dell’energia
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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viene calato in questa realtà multilaterale e sempre più globale,
in cui matura una fruttuosa riflessione, di cui anche l’Italia è
parte, che nel corso degli anni va declinando il tema
dell’energia secondo tre dimensioni fortemente interconnesse e
seguendo la rigida geometria di un triangolo equilatero ai cui
vertici stanno i concetti di sicurezza, di sostenibilità e di
convenienza. I tre concetti sono di per sé sufficientemente
chiari da non richiedere un’esplicazione aggiuntiva. Merita solo
rilevare come, pur nella loro intima compenetrazione, ognuno
di essi acquisti speciale prominenza con il mutare delle
condizioni storiche, economiche e politiche. Se la sicurezza
energetica, come abbiamo accennato, è sempre stata al centro
delle preoccupazioni dei Governi, il concetto di affordability dei
prezzi dell’energia è tornato in primo piano, dopo le fasi
storiche del 1973 e del 1980 caratterizzate dall’impennata dei
prezzi petroliferi, con la recente crisi economica, mentre il
concetto di sostenibilità (ambientale, ma anche sociale) è più
recente e nasce dal fertile humus del movimento ambientalista
e dai sempre più preoccupanti dati scientifici. Cercherò di
evidenziare il ruolo della diplomazia italiana in alcuni specifici
ambiti multilaterali settoriali: nell’alveo delle Nazioni Unite, in
ambito europeo, nei fori quali il G8 e il G20, in sede AIE ed
IRENA. In chiusura potrà essere utile un riferimento, a titolo di
esempio, ad un recente di negoziato bilaterale, quello del
progetto TAP, in cui l’interesse nazionale si esplica con
particolare evidenza.
Dei tre concetti sopra menzionati, quello di energia sostenibile
è, come si è detto, il più recente; ha ricevuto una nuova,
decisiva spinta in ambito negoziale e diplomatico multilaterale,
nel 2010 allorché il Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Ban Ki-moon, inserendosi nell’alveo del processo che nel 2012
avrebbe portato alla Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile di
Rio de Janeiro (“Rio + 20”), ha lanciato l'iniziativa “Sustainable
Energy for All (SE4All)”, con il precipuo scopo di promuovere la
sostenibilità energetica. L’Assemblea Generale dell'Onu ha
conseguentemente adottato la risoluzione 65/151 che ha
proclamato il 2012 "International Year for Sustainable Energy
for All" e a fine 2012 ha dichiarato il decennio 2014-2024 quale
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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la decade dell’“energia sostenibile per tutti”. In particolare,
l’iniziativa si propone tre obiettivi specifici da raggiungere entro
il 2030:
- assicurare l’accesso universale ai servizi energetici
tecnologicamente moderni;
- raddoppiare il tasso di efficienza energetica;
- raddoppiare la percentuale di energia rinnovabile all’interno
del mix energetico globale.
Le considerazioni che hanno spinto il Segretario Generale e la
stessa Assemblea Generale a promuovere questa iniziativa si
basano sulla constatazione che l'energia è di fondamentale
importanza in ogni società e ad ogni latitudine per assicurare
uno sviluppo economico e sociale che sia equilibrato e
sostenibile. L'accesso all'energia sostenibile per tutti,
specialmente nei paesi in via di sviluppo e nelle zone oggi non
coperte da un sufficiente dispacciamento energetico, è
essenziale per rafforzare le economie, tutelare l’ambiente e in
ultima analisi raggiungere l'equità e la stabilità sociale. In
questo senso, al fine di assicurare che l’utilizzo di fonti
energetiche non impatti in maniera invasiva sull’ambiente,
sono da privilegiare le fonti rinnovabili e a maggior efficienza.
Fonti di energia come l'eolico, il solare, il geotermico e gli
impianti a biomasse sono in grado di fornire energia con minori
conseguenze per l'ambiente, e, grazie anche alla loro alta
versatilità di utilizzo, permettono di raggiungere le aree rurali e
più sperdute, specialmente se abbinate alla messa in opera di
mini-reti di distribuzione elettrica. L’iniziativa portata avanti da
Ban Ki-moon si collega ad un altro rilevante processo, cui
partecipa tutta la membership ONU, volto ad individuare precisi
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che integrino in una maniera
coerente le tre dimensioni dello sviluppo (economica, sociale e
ambientale) in una prospettiva di superamento degli Obiettivi
di Sviluppo del Millennio fissati nel 2000, con un orizzonte di
attuazione al 2015. L’accesso all’energia sostenibile sarà uno di
tali obiettivi.
Rimanendo in ambito multilaterale, l’Italia è membro fondatore
dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE). Agenzia semi-
indipendente dell’OCSE, composta da 28 membri, l’AIE è nata
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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con l’obiettivo di monitorare l’evoluzione del mercato mondiale
del petrolio, del gas, delle rinnovabili e delle altre fonti di
energia, gestire un sistema di informazione e di studio delle
dinamiche degli idrocarburi, promuovere politiche energetiche
sostenibili e sicure nei paesi membri al fine di favorire la
stabilità degli approvvigionamenti energetici. L’AIE ha nel corso
degli anni sempre più preso a considerare anche la dimensione
ambientale, con una specifica attenzione ai temi dello sviluppo
sostenibile, delle energie rinnovabili e della riduzione delle
emissioni di gas serra prodotta dall’utilizzo di idrocarburi. Come
si vede, anche in questo ambito il trinomio sicurezza-
convenienza dei prezzi-sostenibilità riceve da parte dell’Agenzia
la giusta attenzione. Da segnalare in questo senso la recente
pubblicazione dello Special Report del World Energy Outlook
2013 “Redrawing the Energy-Climate Map” 1 , presentato in
Italia lo scorso luglio presso il Ministero degli Affari Esteri alla
presenza della stessa Direttore Esecutivo dell’AIE, Maria van
der Hoeven. Con questo rapporto speciale dedicato al nesso
clima-energia, l’AIE ha inteso contribuire a rilanciare il dibattito
globale sui cambiamenti climatici, fornendo indicazioni
operative sul contributo centrale che le misure in campo
energetico possono dare alla riduzione delle emissioni. Il
rapporto evidenzia come gli sforzi per limitare la crescita della
temperatura media del pianeta non siano sufficientemente
ambiziosi: le emissioni globali di CO2 nel 2012 sono aumentate
dell’1,4% e con l’attuale trend si rischia un aumento
complessivo tra i 3,6 e i 5,3 gradi. L’AIE individua e propone
quattro azioni – a costo netto zero, senza impatto recessivo e
basate su tecnologie ampiamente disponibili – che potrebbero
ridurre le emissioni dell’8% rispetto allo scenario ‘Business as
Usual': maggiore efficienza energetica nell'edilizia,
nell'industria e nel trasporto; limitazione nella costruzione e
nell'utilizzo degli impianti a carbone più obsoleti e meno
1 L’abstract in italiano del rapporto è reperibile al seguente indirizzo:
http://www.iea.org/media/translations/weo/Redrawing_Energy_Climate_Map_Italian_WEB.pdf.
L’intero documento in inglese è reperibile al seguente indirizzo: http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/RedrawingEnergyClimateMap_2506.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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efficienti; dimezzamento del metano rilasciato nell'atmosfera
dai giacimenti di gas e petrolio; parziale eliminazione dei
sussidi al consumo di combustibili fossili. Con un’attenzione
sempre maggiore alla sostenibilità delle fonti energetiche e alle
potenzialità di creazione di nuovi posti di lavoro ‘verdi’ (green
growth) l’Italia ha fortemente voluto essere parte anche di una
agenzia istituita di recente ma con prospettive già molto
promettenti: l’Agenzia Internazionale per le Energie
Rinnovabili (IRENA). La nostra diplomazia ha seguito IRENA sin
dai primi passi e ne abbiamo negoziato lo statuto, ratificandolo
poi nel 2012. In questo caso il focus è esclusivamente sulle
energie rinnovabili, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore
diversificazione energetica attraverso una serie di tecnologie
energetiche sostenibili che forniscano per il futuro energia
pulita, sicura e a prezzi ridotti. A chiudere in un certo senso il
cerchio e a sottolineare che tutte queste iniziative non sono
avulse l’una dall’altra, IRENA è stata individuata dal Segretario
Generale delle Nazioni Unite quale hub tecnologico nell’ambito
dell’iniziativa “SE4ALL”, che ha avviato un programma specifico
chiamato REMAP 2030, una roadmap globale per identificare
politiche e migliori pratiche al fine di raddoppiare la quota di
energie rinnovabili da qui al 2030.
I tre aspetti fondamentali del concetto di energia tornano
anche, inevitabilmente, in ambito europeo. Anche in questo
caso sono eventi esogeni (la crisi economica, le incrementate
preoccupazioni ambientali) ad aver portato gli Stati membri
della UE ad una rinnovata riflessione in ambito energetico.
Tanto per limitarci alla più alta e recente espressione in questo
senso, un passo importante è stato fatto dal Consiglio Europeo
del 22 maggio 20132, che ha evidenziato come l’Europa abbia
bisogno, per sostenere la propria economia, di un
approvvigionamento energetico che sia sicuro, a prezzi
accessibili e sostenibile. In quella occasione sono stati adottati
una serie di orientamenti in quattro settori che, negli auspici
dei Capi di Stato e di Governo, “dovrebbero consentire all'UE di
2 Il testo delle conclusioni è reperibile al seguente indirizzo: http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/137219.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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favorire la sua competitività e rispondere alla sfida dei prezzi e
costi elevati: l'urgente completamento di un mercato interno
dell'energia pienamente funzionante e interconnesso,
l'agevolazione dei necessari investimenti nel settore energetico,
la diversificazione degli approvvigionamenti dell'Europa e una
maggiore efficienza energetica”. Il documento di conclusioni
continua ribadendo il legame non dissolubile con il clima:
“Diventa quindi ancor più importante disporre di un mercato
del carbonio che funzioni correttamente e di un quadro di
politica climatica ed energetica post 2020 prevedibile che sia
propizio alla mobilitazione di capitali privati e alla contrazione
dei costi degli investimenti nel settore energetico. Il Consiglio
europeo accoglie con favore il Libro verde della Commissione
intitolato "Un quadro per le politiche dell'energia e del clima
all'orizzonte 2030" e tornerà su questo tema nel marzo 2014,
dopo che la Commissione avrà presentato proposte più
concrete, per discutere opzioni politiche in materia, tenendo
presenti gli obiettivi stabiliti per la Conferenza delle Parti della
Convenzione sui Cambiamenti Climatici (CoP 21) nel 2015.
L’Italia partecipa con impegno alla predisposizione delle
politiche europee in materia di energia e clima, avendo bene in
mente sia le proprie priorità nazionali sia le pressanti esigenze
regionali e globali. In tal senso, l’impegno italiano nel recepire
(e, in un caso, superare) gli obiettivi posti dal “pacchetto 20-
20-20” è stato a ragione messo nel più giusto risalto anche
dalla Strategia Energetica Nazionale. Guardando ad una
latitudine più ampia, l’orizzonte al 2030, che stiamo
negoziando in questi mesi con i partner europei, dovrà ribadire
la volontà di ridurre le emissioni di gas a effetto serra,
assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e
aiutare in maniera determinante la crescita e la competitività
anche al fine di diminuire il differenziale di prezzo rispetto agli
Stati Uniti.
L’importanza crescente dei temi energetici si riscontra altresì
nei fori di alto livello come il G8 e il G20, cui l’Italia partecipa
con convinzione secondo quelle linee strategiche sopra
ricordate. Soprattutto in ambito G20 il tema energia ha assunto
una particolare quanto benvenuta rilevanza: è stato infatti
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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costituito uno specifico Gruppo di lavoro, a cui l’Italia partecipa
con esperti del Ministero degli Esteri e del Ministero
dell’Economia e Finanze. Nel Comunicato Finale del Vertice di
San Pietroburgo del settembre scorso, i Leader delle 20
economie più sviluppate, che generano oltre l’80 per cento del
PIL mondiale, hanno riconosciuto che l’energia “is a key factor
to achieve better quality of life and to improve global economic
performance” ed hanno concordato sul comune interesse a
sviluppare fonti energetiche più pulite, efficienti ed affidabili,
oltre a mercati finanziari e fisici delle commodities energetiche
più trasparenti3. I G20 si sono inoltre impegnati ad aumentare
la cooperazione, a fornire dati di mercato più accurati e a
sostenere lo sviluppo di tecnologie più efficienti e rispettose
dell’ambiente, secondo una visione di sviluppo più sostenibile
nel tempo. Si tratta di precisi impegni politici, che, per quanto
non giuridicamente vincolanti, sono sottoposti ad un attento
scrutinio da parte della membership che verifica la loro
attuazione con periodici rapporti di verifica. La presenza nel
G20 delle più importanti economie emergenti e dei più grandi
consumatori energetici del pianeta (oltre ad alcuni importanti
produttori, a partire da Russia ed Arabia Saudita) rende tali
impegni particolarmente significativi.
Infine, sul piano più prettamente bilaterale, l’Italia conduce una
coerente politica di interesse nazionale mirante ad assicurarsi
uno stabile approvvigionamento energetico da una pluralità di
fonti, al fine di suddividere il rischio e quindi minimizzarlo nel
caso in cui una delle fonti di fornitura sospenda l’erogazione di
gas naturale o petrolio. Prima di illustrare un recente esempio
di successo della nostra diplomazia e della strategia energetica
italiana, conviene ricordare brevemente i cardini della politica
italiana dell’energia, come sono stati ben evidenziati dalla
Strategia Energetica Nazionale, approvata dal Governo lo
scorso marzo e in cui ritornano pienamente i tre concetti sopra
3 La “G20 Leaders’ Declaration” del vertice di San Pietroburgo del 5-6 settembre 2013 è reperibile all’indirizzo www.g20.org/load/782795034.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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ricordati4. La Strategia si articola su quattro macro obiettivi di
medio-lungo periodo al 2020:
- riduzione dei costi energetici;
- raggiungimento e superamento degli obiettivi del Pacchetto
europeo Clima-Energia 2020;
- sicurezza dell’approvvigionamento di fonti energetiche, in
particolare di gas naturale, e riduzione della dipendenza
dall’estero;
- sviluppo della filiera industriale dell’energia.
In quest’ottica, nel rispetto delle linee-guida UE e anticipando i
fondamentali concetti poi espressi dalla Strategia Energetica
Nazionale, l’Italia ha scelto di guardare con attenzione al
cosiddetto “corridoio sud”, in particolare al progetto di gasdotto
Trans-Adriatic Pipeline (TAP).
Tale progetto, riconosciuto dall’UE “progetto di comune
interesse”, prevede entro il 2019-20 la costruzione di un
gasdotto di circa 870 Km (di cui 117 sottomarini) per
trasportare il gas naturale dall’Azerbaigian al mercato europeo,
attraversando Turchia, Grecia e Albania. Ciò al fine, sopra più
volte ricordato, di differenziare, aumentandole, le fonti di
approvvigionamento di gas naturale. I progetti in competizione
per il trasporto di gas azero erano due: oltre al TAP, vi era il
progetto Nabucco West, che prevedeva di veicolare il gas azero
partendo dal confine turco per giungere in Austria passando
per Romania, Bulgaria e Ungheria. Il 28 giugno 2013 il TAP è
stato selezionato dal Consorzio Shah Deniz quale progetto
vincitore per la realizzazione del corridoio meridionale. La
vittoria del TAP, il cui consorzio era originariamente composto
dalle aziende E.ON (tedesca), Statoil (norvegese) e Axpo
(svizzera) e si è in seguito allargato a comprendere anche le
compagnie BP, Socar, Fluxys e Total, ha rappresentato un
esempio virtuoso di come l’azione di governo e la diplomazia
possano agire per l’interesse nazionale.
4 Il testo integrale della Strategia energetica Nazionale è reperibile
all’indirizzo www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/normativa/20130314_Strategia_Energetica_Nazionale.pdf.
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Ripercorriamo brevemente le tappe salienti dei passi che hanno
portato il Governo ad appoggiare il progetto.
L’abbrivio dell’intero processo si è avuto con la missione a Baku,
nel luglio 2012, del Sottosegretario per gli Affari Esteri Marta
Dassù e il Sottosegretario per lo Sviluppo Economico Enrico De
Vincenti. Nel corso della missione sono state fornite le prime
assicurazioni sull’impegno del Governo italiano a favore del TAP
e sono stati avviati con Atene e Tirana i negoziati per la
conclusione di un primo accordo intergovernativo a tre.
Successivamente, il 27 settembre 2012, i Ministri degli Esteri di
Italia, Grecia e Albania hanno firmato un Memorandum quale
intesa preliminare al successivo accordo intergovernativo di
dettaglio. L’accordo, firmato il 13 febbraio 2013, specifica i
dettagli dell’intesa, prevedendo disposizioni che riconoscono
anzitutto la rilevanza strategica del gasdotto; definiscono i
principi di collaborazione fra le parti, l’ambito giuridico e il
regime fiscale applicabile nei tre Paesi; stabiliscono la necessità
di rispettare standard uniformi in materia di sicurezza,
ambiente, lavoro, istituiscono una commissione mista con
l’incarico di monitorare il progetto e il rispetto degli standard
sopra ricordati. Il 23 maggio scorso ha quindi avuto luogo a
Tirana la firma di un Memorandum di Intesa tra i Governi di
Albania, Croazia, Montenegro sui progetti di gasdotto TAP e IAP
(Ionian-Adriatic Pipeline), che ha ampliato il supporto politico al
progetto TAP. L’intesa ha formalizzato il sostegno ai due
progetti, ne ha evidenziato la complementarietà nel contribuire
alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici della regione
e ha previsto la loro interconnessione. Il 28 giugno, come detto,
il progetto TAP è stato scelto dal Consorzio Shah Deniz quale
progetto vincitore per la realizzazione del tratto europeo del
corridoio meridionale. Il consorzio Shah Deniz ha usato criteri
oggettivi per arrivare alla scelta: prezzi di mercato e tariffe di
accesso alle reti, capacità nel realizzare le infrastrutture nei
tempi previsti dal cronoprogramma, espandibilità dei volumi
trasportati, disponibilità finanziaria, competenze
ingegneristiche, trasparenza e coinvolgimento delle comunità
locali. L’11 agosto 2013, durante una visita ufficiale del
Presidente del Consiglio Enrico Letta in Azerbaigian - la prima
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
33
in 22 anni di indipendenza - l’energia e il TAP hanno
rappresentato il primo punto in agenda nei colloqui tra il
Presidente Aliyev e il Premier Letta. Italia e Arzerbaigian hanno
con l’occasione adottato una Dichiarazione Congiunta in
materia di cooperazione energetica che prevede la creazione di
un Gruppo di Lavoro con Albania, Grecia e Arzerbaigian per
monitorare i progressi nella realizzazione del TAP ed assicurare
il rispetto della tabella di marcia dei lavori. Infine, il 5 dicembre
2013 il Parlamento ha approvato in via definitiva la ratifica
dell'Accordo TAP.
In conclusione: in un panorama, quale quello energetico, che si
presenta estremamente variegato in senso sia tematico sia
geografico, e (più che mai come adesso) in repentina
trasformazione, l’azione della diplomazia italiana a supporto
della più ampia politica governativa deve anch’essa dotarsi di
strumenti concreti, immediatamente operativi, che sappiano
operare un raccordo funzionale con le altre amministrazioni
dello Stato, che permettano non solo di reagire rispetto alla
realtà che cambia, ma prevenire il cambiamento mediante
elementi conoscitivi e di analisi che siano all’altezza della sfida.
I trend energetici, la volatilità dei prezzi, l’andamento dei flussi
in entrata, l’approvvigionamento e la sua eventuale improvvisa
sospensione, la complessa gestione ambientale e sociale
dell’energia, il supporto alle aziende italiane: per fare tutto ciò
è indispensabile una politica estera adeguata al compito
assegnato e consapevole delle sfide poste dal XXI secolo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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La sicurezza delle rotte marittime italiane nell'estero vicino
Paolo Quercia – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
L’esplosione della pirateria nell’Oceano indiano tra il 2008 ed il
2011 ha riproposto, anche all’attenzione del grande pubblico, il
problema della sicurezza delle rotte marittime italiane. In Italia,
circa il 60% delle importazioni ed il 40% delle esportazioni
avvengono per mezzo di trasporti marittimi che rappresentano
il primo sistema di trasporto internazionale del nostro paese, di
gran lunga superiore a quello degli altri sistemi ferroviario e
stradale. Sono circa 500 milioni le tonnellate che ogni anno
attraversano i confini italiani via mare (su un totale europeo di
3,5 miliardi) ed il nostro paese, assieme a Gran Bretagna e
Paesi Bassi, è il primo movimentatore europeo di merci via
mare. All’interno di questo volume notevole di merci che
viaggiano lungo le rotte marittime da e per l’Italia, vi sono
anche i prodotti che possono essere definiti di utilizzo
strategico, come le materie prime necessarie ai processi
industriali e gli approvvigionamenti energetici, da cui l’Italia
dipende in maniera rilevante. Oltre a gas e petrolio, vanno
inclusi tra le materie prime strategiche anche alcuni minerali,
metalli, prodotti siderurgici oltre che gli altri semilavorati che
rivestono un ruolo cruciale per il nostro sistema industriale di
trasformazione.
L’Italia è dunque un paese dall’alto grado di dipendenza
energetica dall’estero e legato ad un numero ridotto di paesi
fornitori, con la conseguenza che il nostro paese ha uno dei
tassi di rischio per la sicurezza energetica (energy security risk
index) più alto tra tutti i paesi dell’area OCSE. Nessun paese
paragonabile all’Italia per dimensioni e ruolo nell’economia
mondiale si trova ad avere valori di rischio energetico così
elevati. Queste sono le basi di vulnerabilità del nostro sistema
di approvvigionamento energetico che ci portiamo dietro dagli
anni settanta e di cui la dimensione, marittima rappresenta una
quota rilevante.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
35
Allo stesso tempo l’Italia si trova in una posizione di prossimità
strategica alle risorse energetiche del Nord Africa, del Medio
Oriente e dell’Eurasia, ma nonostante questo, le rotte di
approvvigionamento energetico si snodano a cavallo di aree
geopolitiche tutt’altro che stabili e sicure. Non solo gas e
petrolio sono estratti in paesi dall’alto rischio politico, ma
buona parte delle rotte marittime di trasporto verso l’Italia
attraversano aree a rischio di conflitto, interessate da fenomeni
terroristici e di pirateria o da croniche forme di instabilità
politica che possono trasformarsi in rischi di transito. Dopo la
deriva d’instabilità presa da numerosi paesi interessati dalle
cosiddette rivolte della primavera araba, l’area d’insicurezza si
è ulteriormente estesa al Mare Mediterraneo e oramai prosegue,
senza soluzione di continuità, dalle coste meridionali del
Mediterraneo fino all’Oceano Indiano, interessando, pressoché
nella sua interezza, la rotta marittima tra Europa, Golfo Persico
e Asia. La presenza lungo tale direttrice di weak states e di
failed states, nonché di un ampia gamma di minacce
asimmetriche che vanno dalla pirateria, al terrorismo, ai traffici
criminali, alla proliferazione di armi leggere, alla moltiplicazione
dei mini-eserciti privati, rende sempre più insicure le rotte
marittime strategiche italiane. Tale insicurezza è accresciuta
dal fatto che molte di tali minacce sono di natura globale e
transnazionale, e spesso si manifestano al di fuori dei confini
nazionali degli Stati o nelle acque territoriali e lungo le coste di
Stati scarsamente capaci di esercitare la propria sovranità e
collaborare alla cooperazione marittima internazionale.
Di particolare sensibilità e rilevanza per l’Italia è ovviamente
l’area del Golfo di Aden, ove ogni giorno transitano 3,3 milioni
di barili di petrolio e attraverso cui passano anche le 26 milioni
di tonnellate di greggio annue dirette verso il nostro paese
provenienti da Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait; ma anche le
navi metaniere di LNG provenienti dal Qatar, per le quali si
prevede nei prossimi anni una crescita dei volumi di
importazione. L’Italia è dunque un attore importante della
geopolitica marittima internazionale, con la possibilità di
accrescere ulteriormente il suo ruolo di hub energetico europeo,
soprattutto in previsione della creazione di un vero ed integrato
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
36
mercato europeo del gas. Le debolezze e le vulnerabilità degli
spazi marittimi da cui dipendono molte delle nostre rotte
dovrebbero spingere l’Italia a giocare un ruolo sempre più
attivo nella costruzione della sicurezza marittima internazionale,
sia con le necessarie missioni marittime internazionali, sia
attraverso la stabilizzazione, assistenza o ricostruzione di alcuni
paesi che svolgono un ruolo chiave di cerniera lungo le rotte
energetiche nazionali. Libia, Egitto e Somalia sono tre paesi che,
pur con diverse situazioni e modalità, dovrebbero vedere un
impegno rafforzato italiano nella stabilizzazione interna anche
ai fini di contribuire alla costruzione di una maggiore sicurezza
marittima.
E’ difatti chiaro che la protezione delle rotte marittime
energetiche nazionali non è una questione che riguarda la sola
sfera marittima né il solo strumento militare ma deve essere
posta come un più generale obiettivo di politica estera.
Obiettivo che, al tempo stesso, non può essere raggiunto con i
soli sforzi nazionali e, per via della natura sempre più globale
ed estesa delle minacce, necessita di un’azione coordinata
multilaterale assieme agli altri paesi interessati. È chiaro che la
capacità coordinata di gestione delle crisi e di proiezione delle
forze navali a supporto di altre misure militari o civili in questa
vasta area di crisi, rappresenta uno dei migliori strumenti di
risposta alle minacce alla sicurezza marittima che possono
nascere. L’esempio della pirateria somala, esplosa tra il 2008
ed il 2011 e faticosamente messa sotto controllo con un ampio
dispositivo di azioni sia in mare che sulla terra, rappresenta un
esempio importante sia del tipo di minacce che possono
nascere e svilupparsi sia delle modalità di contrasto. Le
tecniche di abbordaggio dei pirati e la vulnerabilità mostrate da
molte delle grandi navi da trasporto hanno mostrato al mondo
che con l’utilizzo di team di pochi uomini malamente armati si
può prendere il controllo di giganti del mare dal valore di
svariate decine di milioni di dollari. E non è detto che il
sequestro a fine di estorsione di un riscatto sia
necessariamente l’esito previsto per questo tipo di azioni
paramilitare, che potrebbero, con minimi accorgimenti,
trasformarsi in operazioni di carattere terroristico, volte a
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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mettere in atto attacchi suicidi o abbordaggi con la presa di
ostaggi. Non si può che confermare quanto già sostenuto in
numerose altre sedi, ossia che oggi il concetto di sicurezza
marittima è sempre più portato ad espandersi ben oltre i limiti
classici della difesa navale tradizionale, dovendo includere il
contrasto e la prevenzione di quelle minacce asimmetriche o
atipiche che possono impedire i liberi commerci e, soprattutto,
mettere in pericolo l’approvvigionamento di risorse energetiche.
Nelle rotte marittime strategiche, specialmente in prossimità
dei choke points e lungo le coste dei failed states, la sicurezza
marittima necessiterebbe anche dello svolgimento di funzioni di
polizia marittima e costiera surrogate, nel caso in cui non vi
siano autorità statuali in grado o intenzionate ad operare che
nel mare proliferino numerose attività illegali. In particolare il
caso somalo dimostra che la criminalizzazione incontrollata e
incontrastata di alcuni spazi marittimi – che divengono zona
franca per traffici di uomini, di armi, di droga, di rifiuti tossici,
di armi di proliferazione di massa eccetera – crea quel
substrato da cui nascono e proliferano le minacce asimmetriche
lungo le rotte strategiche e che mettono a rischio la libertà di
movimento del naviglio e del flusso delle risorse strategiche.
Abbiamo abbandonato la terraferma somala venti anni fa
lasciandola in mano ai warlords e pensando che in mare i
pescatori illegali e i trafficanti di armi e di uomini non potessero
divenire un problema per gli interessi marittimi mondiali. Venti
anni dopo ci siamo dovuti accorgere che pescatori e trafficanti
sono divenuti pirati, sequestrano le navi, incassano riscatti di
milioni di dollari, e pagano il pizzo agli al-Shabaab legati ad al-
Qaeda che nel frattempo avevano preso il controllo della terra.
Abbiamo dovuto inviare le marine militari di mezzo mondo per
evitare che il traffico marittimo tra Asia ed Europa fosse
costretto a circumnavigare l’Africa, marginalizzando così anche
il Mediterraneo Orientale.
Può sembrare superfluo, ma è necessario ricordare che
l’esplosione di queste minacce è l’altra faccia degli effetti che la
cosiddetta globalizzazione ha prodotto su paesi a bassa
legittimità e bassa sovranità. La globalizzazione da un lato
intasa sempre più le rotte di traffico marittime mondiali (che
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
38
nel 2011 hanno raggiunto il valore di 8.700 milioni di tonnellate,
livello storicamente mai raggiunto, più 46% rispetto a dieci
anni fa) ma dall’altro erode pericolosamente le sovranità degli
stati più deboli, inclusi quelli che si affacciano lungo le rotte
chiave della globalizzazione. Nel vacuum creatosi negli spazi
marittimi, il più importante dei global commons della
globalizzazione, a cavallo tra acque territoriali scarsamente
presidiate e acque internazionali divenute la fragile vena
giugulare del sistema economico mondiale integrato, si
annidano i nuovi rischi asimmetrici per la sicurezza marittima.
Rischi che obbligano anche alla militarizzazione delle navi
mercantili, una prassi ormai crescente e per certi versi
preoccupante, e al presidio continuo da parte di team militari di
molte piattaforme petrolifere. Se la pirateria somala ha
dimostrato la fragilità del sistema di trasporto marittimo
mondiale, altri possono raccogliere gli involontari insegnamenti
lasciati dai pirati dell’oceano indiano, esportandone il modus
operandi in altre regioni – Africa Occidentale in primis – o
traducendoli in una grammatica politica del terrore. Se i
meccanismi di mercato (assicurativi, finanziari e legali in primo
luogo) hanno consentito la gestione dei danni collaterali della
pirateria somala, essi sarebbero chiaramente impotenti nel
caso di un’escalation di atti terroristici in mare. Anche per
questo, il valore e gli interessi in gioco sta chiaramente
aprendo un ancora più ampio mercato globale per la sicurezza
marittima oceanica privata, tarata per proteggere contro le
minacce asimmetriche, pirateria e terrorismo in particolare.
Su questo fronte, anche l’Italia con il decreto 266 del 2012 –
fortemente voluto da Confitarma – e divenuto operativo anche
nella sua parte “privatistica” nel marzo 2013 dopo la crisi del
caso Marò, ha dato il via alla cornice normativa che consente
alle agenzie private di fornire personale per la protezione di
quelle navi battenti bandiera italiana, quantomeno
limitatamente all’attraversamento delle acque a “rischio
pirateria”. L’approccio normativo italiano sembra,
probabilmente a ragione, fortemente restrittivo ed orientato ad
una forte prudenza verso la privatizzazione delle scorte armate
a bordo delle navi battenti bandiera italiana, in controtendenza
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
39
rispetto al mercato mondiale, sia anglosassone che dei paesi
emergenti o in via di sviluppo, (tra cui si registra anche un
proliferare di società private di servizi di sicurezza che si
spingono fino al punto di creare piccole flotte “paramilitari”
affittabili dai privati o armerie galleggianti nelle acque
internazionali dell’Oceano indiano dal dubbio status giuridico).
Per quanto riguarda l’Italia – al di là dei ritardi organizzativi
nella predisposizione dei corsi autorizzati di addestramento del
personale di vigilanza privato (che spingono molti armatori a
fare ricorso a scorte armate di società basate in altri paesi) e
l’esistenza di zone grigie nella nostra legislazione circa la
legalità del pagamento di eventuali riscatti – rappresenta
spunto di riflessione il fatto che il legislatore italiano non abbia
preso in considerazione nella legge 266, la tipologia di nave da
proteggere, la rilevanza strategica del carico o anche la rotta
stessa della nave, se diretta o meno verso il territorio nazionale.
Lo spirito della legge e dei decreti attuativi sembra più
orientato – sia nella sua componente forze armate che in quella
vigilanza privata – alla stretta tutela della beni patrimoniali
trasportati e degli equipaggi, indipendentemente da ogni
ulteriore considerazione di tipo politico – strategico.
Se l’Italia è dunque un attore della geopolitica marittima
internazionale, fortemente dipendente dagli
approvvigionamenti strategici via mare, esso è anche un paese
che ha deciso di conservare un’importante flotta mercantile di
bandiera, che rappresenta una industriale nazionale da tutelare
e proteggere. Duplice è dunque la natura dei motivi per cui la
protezione delle rotte marittime internazionali di accesso al
Mediterraneo da Gibuti e da Suez rientri a pieno titolo tra gli
interessi strategici nazionali e una delle dimensioni
fondamentali della nostra sicurezza energetica. L’Italia tuttavia,
non ha ancora sviluppato un modello virtuoso di monitoraggio e
prevenzione delle minacce marittime asimmetriche. Venendo
da un decennio che ha visto, proprio in un area chiave per il
nostro paese come quella del Golfo di Aden, svilupparsi sia gli
attentati terroristici contro obiettivi navali sia civili che militari
(quelli suicidi per mano di al-Qaeda nel Golfo di Aden conto
l’USS Cole del 2000 e quello contro la petroliera francese
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Limburg del 2002) che l’esplosione della pirateria somala (che
dal 2009 al 2012 ha visto oltre 120 navi, tra cui 4 italiane,
cadere in mano ad organizzazione criminali transnazionali) la
questione della tutela degli interessi nazionali marittimi
dovrebbe essere posta con grande attenzione nell’elaborazione
delle strategie di sicurezza italiane. Non vi sono motivi
particolarmente evidenti per escludere che il presente decennio
offrirà nuove evoluzioni delle minacce marittime asimmetriche
alle rotte strategiche italiane, con riguardo anche agli
approvvigionamenti energetici. Se ciò dovesse avvenire,
l’insicurezza ed i costi di protezione verrebbero
necessariamente a far lievitare la già elevatissima fattura
energetica che il nostro paese paga e che, nel 2011, ha
raggiunto il 3,9% del prodotto interno lordo nazionale. Nel
2011 abbiamo speso circa 62 miliardi di euro per importare 147
milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Nel 2000
spendevamo, per 153 tonnellate equivalenti di petrolio, un
valore, attualizzato ai prezzi del 2011, di circa la metà, ossia
36,6 miliardi di euro, pari al 2,4% del PIL. Questi dati sono
importanti per realizzare che non ci sono margini economici per
sottovalutare i rischi di sicurezza delle rotte di
approvvigionamento energetico di petrolio e GLN, visto che già
da alcuni anni siamo in una fase di alti prezzi dei prodotti
energetici che continua a far lievitare la fattura energetica del
paese anche con una riduzione delle nostre importazioni nette
di prodotti petroliferi. L’insicurezza potenziale delle rotte va
letta dunque in parallelo con l’altra grande “minaccia” per la
sicurezza energetica nazionale, quella dei prezzi crescenti,
dovuta in buona parte alla fortissima concorrenza della
domanda asiatica, di cui non si prevede la diminuzione nel
breve – medio termine. Gli investimenti sulla sicurezza delle
rotte strategiche marittime, sia in mare che in terra,
rappresentano una necessaria polizza assicurativa per evitare,
in un contesto di sicurezza sempre più globalizzato, ulteriori
aggravi della già insostenibile spesa nazionale per gli
approvvigionamenti energetici.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Sezione II La visione europea
Verso un ruolo più attivo della PESC/PSDC nella sicurezza energetica
S.E. Mihnea Constantinescu – Ambasciatore incaricato per la Sicurezza Energetica di Romania
Quasi un decennio è passato dall'adozione della Strategia di
Sicurezza Europea (SSE). Questo quadro di base per l'azione
strategica ha bisogno oggi di un aggiornamento; nuovi passi
verso il suo consolidamento sono necessari in modo da
riflettere le nuove sfide sulla scena globale.
La Romania ha preparato e diffuso all'inizio di quest'anno un
documento di posizione, convergente con la comunicazione
adottata nel luglio scorso dalla Commissione Europea, che
tratta le modalità per migliorare l'efficienza del settore della
difesa e sicurezza. Uno dei settori specifici che sosteniamo
fortemente come una nuova dimensione dell'azione PSDC è la
sicurezza energetica.
I problemi connessi con la sicurezza energetica potrebbero
gravemente incidere sul funzionamento della nostra Unione
Europea, delle nostre economie e anche sulla stabilità globale
europea - e come tali sono al di là della capacità di ogni singolo
stato per essere risolte.
Io vengo da una regione in cui il nostro primo istinto è quello di
collegare la sicurezza energetica alle mappe geostrategiche
(“geostrategic mappinings”) delle risorse energetiche - il che
significa che, in qualche modo inevitabilmente, può implicare
un’agenda controversa.
Questo è solo un esempio dei preconcetti che circondano il
dibattito sul ruolo della PSDC nella sicurezza energetica. Fra
breve menzionerò altri tre.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
42
Uno dei principali preconcetti qualifica il ruolo avanti della PSDC
nella sicurezza energetica come troppo prudente di fronte alle
sfide che dobbiamo affrontare oggi.
L'immediato, istintivo riferimento è quello all’aspettativa di
inverni difficili (“nervous winters"). Si è spesso sostenuto che
l'Unione Europea dovrebbe assumere una posizione più
coraggiosa per affrontare le interruzioni della fornitura di
energia, qualunque sia la causa. In realtà, un tale approccio
può solo scoraggiare l'emergere di una visione comune sulle
missioni PESC.
Un secondo preconcetto è che gli Stati Membri dell'UE hanno
un approccio diviso sulle questioni di sicurezza energetica.
Dobbiamo essere chiari su questo: la sicurezza energetica è
indivisibile allo stesso modo in cui la sicurezza dell'UE è
indivisibile.
La risposta naturale dell’UE a questo è quindi più integrazione e
un mercato energetico rafforzato. Investire per raggiungere
l'obiettivo di completare il mercato interno dell'energia dell'UE
entro il 2014 dovrebbe essere visto anche come un contributo
fondamentale a una PSDC sostenibile e dinamica. Dobbiamo
riflettere su questo in preparazione del progress report della
Presidenza lituana per il Consiglio dell’Energia di dicembre.
Il senso di solidarietà in una politica energetica dell'UE deve
quindi essere visto come un riflesso pratico della PSDC. Per
questo motivo penso che i corridoi prioritari trans-europei
proposti e le aree che coprono le reti di elettricità e gas,
infrastrutture petrolifere e le reti intelligenti (“smart grids”)
basate sulla Facility Connecting Europe si riveleranno un
compito gratificante.
La stessa solidarietà dovrebbe riflettersi nel piano Nord-Sud
per interconnessioni nell'Europa Centro-Orientale adottato
all'inizio di quest'anno. E speriamo che una coesione e
solidarietà simili si applichino nel dibattito in corso sulla
creazione di un Gas Market Optionality nel Sud-Est Europa.
Il terzo preconcetto è l'esistenza di un divario concettuale (a
conceptual gap) tra l'UE e la NATO quando si affronta la
sicurezza energetica.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
43
Un forte partenariato transatlantico e una più profonda
cooperazione tra la NATO e l'UE restano i principali pilastri della
sicurezza europea.
Le vulnerabilità sulla mappa globale di energia richiedono un
approccio europeo più risoluto e il coordinamento con la
capacità della NATO di valutare i rischi e la stabilità del
progetto.
L'UE può adottare standard e regolamentazioni giuridiche
uniformi e ambiziose per rafforzare la capacità dei governi
nazionali di promuovere la sicurezza energetica o combattere la
criminalità informatica. Questo sarebbe complementare alla
capacità operativa unica della NATO, soprattutto quando si
tratta di proteggere le comunicazioni, le attrezzature
informatiche e le infrastrutture.
Non dobbiamo dimenticare che, mentre noi continuiamo a
costruire un forte profilo globale, la maggior parte delle
minacce e delle opportunità che dobbiamo affrontare hanno
origine nelle nostre immediate vicinanze. Questo ci porta
direttamente ai legami comuni tra PESC / PSDC e il ruolo della
NATO a livello globale quando valutiamo le sfide della sicurezza
energetica.
I documenti più rilevanti adottati dal Consiglio Europeo e dalla
Commissione nel corso degli ultimi tre anni menzionano
giustamente alcune priorità comuni.
• L'UE deve avere le capacità di monitoraggio necessarie per
fornire l’early warning e per migliorare la propria azione per
rispondere alle sfide della sicurezza energetica. Stiamo anche
cercando di impostare condizioni simili all'interno dell'Alleanza.
• L’UE deve allargare il proprio mercato energetico ai suoi vicini
all'interno di una zona di regolamentazione comune con regole
di commercio, transito e ambientali condivise. Stiamo anche
cercando di coinvolgere i nostri partner di cooperazione con
l'Alleanza.
• L’UE deve sostenere la reciprocità in termini di apertura del
mercato e rispetto delle regole di mercato: i principi della Carta
dell'Energia, la non discriminazione, la concorrenza, la
trasparenza e l'enforcement. E non dobbiamo perdere la fiducia
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
44
che prima o poi queste regole devono diventare presupposti
per partenariati forti con l’Alleanza Nord Atlantica.
Da un punto di vista più pratico, vorrei aggiungere qui la
necessità di promuovere scorte di riserva strategiche di
carburante e di incoraggiare azioni di stoccaggio comuni con i
paesi partner.
E' anche molto opportuno, in questi giorni, elaborare un piano
d'azione PSDC complementare con le valutazioni della NATO,
per individuare i settori più vulnerabili della catena di fornitura
e distribuzione.
Quando parliamo di sfide energetiche a livello dell’UE, nonché
nel quadro della NATO, ciò significa che: abbiamo bisogno di
consultazioni, abbiamo bisogno di elaborare una valutazione
strategica e dei piani di emergenza e abbiamo bisogno di
sviluppare le capacità per la protezione delle infrastrutture
energetiche critiche.
L’UE deve estendere il proprio sostegno alla creazione di solidi
competenze nazionali nella lotta al cyber-terrorismo - tenendo
presente la necessità di garantire la sicurezza dei sistemi di
trasmissione - i sistemi SCADA, le reti intelligenti, la grande
ENTSO - e interconnessioni, e le centrali nucleari attive sul
territorio dell'UE e nelle nostre vicinanze.
Cambiare il nostro modo di utilizzare e produrre energia, e la
lotta contro i cambiamenti climatici, sono questioni
fondamentali della nostra sicurezza. Sia l'Unione Europea che
l'Alleanza devono collaborare più strettamente per consentire il
necessario salto tecnologico che si tradurrà in un uso più pulito
e più efficiente dell'energia. Il modo in cui gestiamo le
ramificazioni dell’energia avrà anche effetti drammatici sulle
nostre capacità militari nel corso del 21° secolo.
Per questo motivo, la Romania sostiene il progetto dimostrativo
GREEN GO sul fotovoltaico per le forze armate europee. Questo
progetto va a dimostrare che la difesa, anche mentre compie la
sua missione, è in grado di fornire una forte attrazione per
l'innovazione e offrire un contributo lungimirante alla nostra
sicurezza energetica collettiva. Questo è il percorso per
garantire maggiore competitività: innovare, adattare, superare
ed emergere con successo dall'altra parte.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
45
In questo contesto, non posso non menzionare la necessità di
partnership intelligenti per ridurre il gap tecnologico nel settore
energetico tra le diverse parti d'Europa. Ci aspettiamo che il
piano UE SET contribuisca con maggiore ambizione al
raggiungimento di questo obiettivo.
L’investimento pubblico-privato a sostegno della ricerca e
dell'innovazione tecnologica sarà la soluzione logica per
alleviare questa lacuna, con risultati tangibili anche per
l'industria della difesa. Dovremmo anche chiedere che il
Consiglio energia UE-USA sia meno diffidente sull'aspetto della
sicurezza, invitando la NATO e l’EDA a fornire il loro contributo
a questa meritoria impresa.
Ma abbiamo bisogno di determinare il giusto equilibrio tra
incentivi e responsabilità corporativa, al fine di evitare un
trasferimento abusivo del peso finanziario delle nuove
tecnologie nei costi energetici operativi. In caso contrario, la
sicurezza energetica diventerà un paradosso per la sicurezza
stessa.
Nonostante la nostra tentazione di fare a volte un po’ di
connessioni artificiali tra la difesa e la sicurezza energetica
quando si affronta la PSDC, dovremmo iniziare ad esaminare
gli ingredienti più naturali per affrontare questi argomenti.
Gli sforzi collettivi all'interno dell'UE non possono essere un
sostituto per la responsabilità individuale di ogni Stato Membro
per il proprio settore energetico nazionale. Non riesco a
immaginare una PSDC sostenibile senza i solidi principi che
definiscono le politiche energetiche dell’UE: accessibilità,
convenienza ed accettabilità.
Aumentare gli investimenti in efficienza energetica, creare delle
nuove interconnessioni, sviluppare capacità di stoccaggio del
gas e l'impostazione di piani di emergenza per le carenze di
energia sono indispensabili per tutelare le famiglie, così come
la capacità di difesa. Ho dei dubbi che il consumo di gas o di
energia elettrica delle famiglie può avere un orientamento
ideologico o strategico. Ma è stato recentemente dimostrato
che questo può determinare sia le scelte politiche che di
orientamento strategico.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Per tutte queste ragioni, la responsabilità nazionale deve
essere la risposta primaria a qualsiasi ambiguità che circonda il
ruolo della PSDC nella sicurezza energetica. Questo significa
buona governance - in realtà un pre-requisito per assumere
l'adesione all'UE. Significa politiche energetiche responsabili e
trasparenti a livello nazionale. E significa una capacità
nazionale affidabile per proteggere le infrastrutture energetiche
critiche (CEI).
Le possibili connessioni tra PESC / PSDC e la sicurezza
energetica sono molto rilevanti per la regione Sud-Orientale e
del Mar Nero allargata. L'impegno dell'UE per “Engaging with
Partners beyond Our Borders" è un ambizioso piano per la
cooperazione estera in materia di sicurezza energetica che
dovremmo continuare ad applicare nella nostra vicinanza.
L’energia nella regione del Mar Nero dovrebbe cessare di
essere vista solo come una fonte di argomenti controversi.
Deve diventare una fonte di collaborazione emergente,
prevedibilità e sicurezza per l'UE. Per noi è chiaro che stiamo
entrando in quello che sarà un nuovo, diverso percorso in
termini di diversità delle forniture di gas per l'Europa.
La sfida centrale nei prossimi mesi è quella di realizzare il
Corridoio meridionale del gas e che funzioni in modo flessibile,
rifletta la disponibilità di gas attuale, impedisca nuove linee di
divisione tra i mercati ed eviti la persistenza di un approccio a
somma zero.
A lungo termine, le nuove scoperte di gas nel Mar Nero
potrebbero offrire la prospettiva di diventare un'altra fonte per
il Corridoio meridionale. La rivoluzione shale gas raggiungerà le
coste del Mar Nero e la regione circostante. Nuove
interconnessioni avranno un impatto sulla sicurezza energetica
e la convenienza. E prima o poi il rovescio globale dei flussi di
GNL raggiungerà anche le infrastrutture del gas in questa
regione.
Non da ultimo, la regione del Mar Nero potrebbe trarre
vantaggio da un modello più evoluto di sicurezza energetica -
tra cui i progressi tecnologici, l'efficienza energetica e la
prevenzione dei pericoli (hazards prevention) - invece di essere
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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tenuti in ostaggio dalla logica delle pipeline e delle sfere di
influenza.
La sicurezza energetica nella regione del Mar Nero allargata
potrebbe così diventare la cartina di tornasole di un obiettivo
più ambizioso e strategico: creare un partenariato UE
intelligente con i nostri vicini della regione, sfruttando il
prezioso strumento della PESC, con tre obiettivi:
- impostazione di una capacità congiunta per i piani di
emergenza;
- impostazione di un sistema per condividere le procedure
complete di gestione delle crisi;
- sviluppo di programmi comuni per la ricerca e l'innovazione.
Una PESC intelligente nel Mar Nero potrebbe generare
un'alternativa alle obsolete hard power e vago soft power. Ad
esempio, i rischi ambientali posti dalle industrie, dal nucleare e
dalle attività di trasporto delle risorse nella regione del Mar
Nero, offrono anche l'occasione per fornire esperienza
scientifica attraverso PSDC ed i programmi di partenariato della
NATO. Non dobbiamo dimenticare che 170 milioni di persone
provenienti da 17 paesi vivono sui fiumi che alimentano il Mar
Nero, il che lo rende uno dei mari più inquinati del mondo.
Le migliori prassi possono essere condivise in tutta la zona al
confine con il Mare del Nord, il Mar Baltico e il Mar Nero,
attraverso il Centro lituano di Sicurezza Energetica. Il Centro
RACVIAC a Zagabria è anche pronto a includere la sicurezza
energetica come una nuova dimensione della sua missione nel
Sud Est Europa.
Quando si parla di partenariato intelligente, non possiamo
evitare di menzionare il caso convincente della situazione
energetica della Repubblica di Moldova. Uno dei modi migliori
per illustrare il significato della sicurezza energetica inclusiva è
quello di trovare i mezzi adeguati per investire nelle
interconnessioni energetiche della Repubblica di Moldova con
l'Europa. La Repubblica di Moldova si è coraggiosamente
impegnata come membro della Comunità dell'Energia. Sarebbe
una grave responsabilità dell'UE se il risultato fosse una nuova
carenza di gas invece di benefici attesi concreti e duraturi.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
48
Il Trattato della Comunità dell'Energia, la Politica Europea di
Vicinato, il Trattato sulla Carta dell'Energia, così come molti
altri forum internazionali, raffigurano l'obiettivo strategico
dell'UE per avviare ed ottenere dei benefici dall'attuazione di
una politica energetica dell'UE.
La Turchia è il nostro importante vicino, con cui condividiamo
una visione comune sulla sicurezza. Dobbiamo incoraggiare la
Turchia a fare pieno uso del suo potenziale per diventare un
importante centro di transito di energia (energy transit hub) e
in particolare di promuovere la sua integrazione rapida nel
Trattato della Comunità dell'Energia.
L’integrazione dell'Ucraina nel Trattato che istituisce la
Comunità dell'Energia è un altro risultato strategico ed è
nell'interesse della sicurezza dell'UE a sostenere gli sforzi
destinati a riabilitare il suo sistema di trasporto del gas,
migliorando nel contempo la trasparenza e il quadro giuridico.
Spostandoci più ad Est, dobbiamo utilizzare tutte le opportunità
per stabilire una cooperazione tripartita con la Russia e
l'Ucraina, per garantire l'approvvigionamento di gas stabile e
senza interruzioni attraverso il Corridoio Orientale.
In conclusione abbiamo una responsabilità europea per dare
un'occhiata più da vicino alle interconnessioni tra la sicurezza
energetica e la sicurezza europea in generale, e di portare un
contributo ardito a un futuro approccio inclusivo della PSDC.
Senza contestare il carattere strategico delle sfide che ci
troviamo di fronte, si potrebbe sostenere che la loro soluzione
risiede principalmente nella nostra azione a livello nazionale ed
europeo, come quello che dovrebbe essere visto come una
Politica di Sicurezza Energetica Comune comprendente.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Gli aspetti della sicurezza energetica nell’Unione Europea: prospettive dalla Grecia
S.E. Themistoklis Demiris – Ambasciatore della Repubblica di Grecia
La questione della sicurezza energetica è di estrema
importanza, non solo per la Grecia e l’Italia, ma anche per tutta
l’Europa. Sebbene l’Unione Europea (UE) per molti anni abbia
legiferato in materia di politica energetica e si sia evoluta
rispetto alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio, l’idea
di introdurre una politica energetica europea globale e
inderogabile è stata approvata solo in occasione della riunione
del Consiglio Europeo informale del 27 ottobre 2005 di
Hampton Court. Nel marzo del 2006 la Commissione europea
pubblicò il Libro Verde “Una strategia europea per un’energia
sostenibile, competitiva e sicura”, che incoraggiava
formalmente l’elaborazione da parte dell’UE di una politica
energetica esterna coerente. Inoltre, il Trattato di Lisbona del
2007 fornisce una base legale solida per la politica dell’UE volta
ad assicurare gli approvvigionamenti energetici. Prima del
Trattato di Lisbona, la normativa energetica dell’UE era basata
sull’autorità dell’Unione Europea in materia di mercato unico e
ambiente. Credo che per afferrarne l’importanza, dovremmo
prima di tutto avere una chiara idea di alcuni concetti e
parametri che compongono il quadro. Alcuni potranno apparire
semplici o ingenui, altri sono meno ovvi, ma credo che possa
essere utile guardare ad essi come ad uno stabile punto di
riferimento per ogni discussione sul tema dell’energia in Europa.
Alcuni fatti principali
L’energia è forse il settore più strategico non solo per
l’economia, ma per la vita dell’uomo: non si può
semplicemente farne a meno. È vitale per quasi tutte le nostre
attività, e gli standard di vita che abbiamo raggiunto richiedono
sempre maggior quantità di energia per un numero sempre
maggiore di persone. Molti conflitti che oppongono nazioni –
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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come nella fantascienza molte guerre tra pianeti – sono
chiaramente legati alla necessità di energia.
L’Europa è il maggior consumatore di energia, e il secondo
maggior importatore mondiale, con i suoi Stati membri che
importano circa il 55% del loro approvvigionamento energetico
(approssimativamente l’84% di petrolio e il 64% di gas
naturale). Allo stato attuale, 15 Paesi membri dell’UE fanno
sempre maggiore affidamento sul gas naturale, soprattutto per
raggiungere obiettivi ambiziosi nelle riduzioni di diossido di
carbonio e nelle emissioni di gas a effetto serra.
Tutti noi sappiamo che il gas naturale è considerato il
combustibile moderno del XXI secolo, l’era della nuova energia.
Le sue preziose riserve sparse per il mondo costituiscono il
punto di partenza delle nuove vie energetiche e dei potenziali
geopolitici. Allo stesso tempo, la crescita del fabbisogno dei
Paesi, la deregolamentazione dei mercati europei e l’autonomia
rispetto alle forme di energia tradizionale, modificano
l’equilibrio delle forze, aprendo la strada a nuove opportunità di
concorrenza internazionale. Gli analisti notano inoltre che le
recenti decisioni politiche – l’annuncio del 2011 da parte della
Germania di diminuire gradualmente, entro il 2020, l’utilizzo
degli impianti di energia nucleare, e la più attenta
considerazione da parte di alcuni membri dell’UE in merito allo
sviluppo del gas non convenzionale – potrebbero implicare una
crescita più rapida nella dipendenza dell’Europa dalle
importazioni di gas naturale. È vero che il gas naturale non è
l’elemento principale nell’attuale mix energetico che viene
utilizzato in Europa, che impiega diverse risorse energetiche
(petrolio, combustibili fossili, fonti rinnovabili). Tuttavia, l’UE si
affida molto al gas naturale, che rappresenta il 24% di tutte le
risorse energetiche. Ci si aspetta che questa percentuale
aumenti almeno fino al 30% entro il 2030: la Commissione
Europea prevede che l’UE importerà più dell’80% del suo
fabbisogno di gas naturale entro il 2030.
Molti Stati principalmente consumano ed importano energia,
altri la producono e la esportano. Questo squilibrio piuttosto
inevitabile conduce all’utilizzo delle risorse energetiche come
arma economica, e dunque politica, per esercitare pressione.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
51
Mi riferisco nell’ordine, solo per citare le più recenti, alle crisi
che hanno interessato l’Europa negli anni 2006, 2009, 2010 e
2011: questi sono tipici esempi dell’utilizzo degli
approvvigionamenti energetici come metodi di pressione.
D’altro canto, anche il consumo e la domanda di energia
possono fungere da arma politica. Si pensi ad esempio al
recente embargo petrolifero nei confronti di uno Stato.
Uno specifico Stato, la Russia, è infatti il principale fornitore di
gas naturale dell’Europa, fornendo all’UE circa un quarto degli
approvvigionamenti di gas naturale. Ciò vuol dire che questa
nazione può spesso essere tentata di trarre dalla sua
condizione qualsiasi tipo di vantaggio, economico o politico.
D’altro canto, tale dipendenza non va in una sola direzione:
l’Europa è il mercato più importante per il gas naturale russo, e
immagino che ciò venga tenuto in considerazione da Mosca.
Un'altra questione è legata al fatto che molte regioni produttrici
di energia sono caratterizzate da un alto livello di instabilità:
regimi precari o in conflitto, popolazione sull’orlo della rivolta
etc. È dunque chiara la difficoltà nel distinguere la sicurezza
energetica dalla sicurezza in generale, e questa è la ragione
per la quale siamo praticamente di fronte ad una messa in
sicurezza del settore energetico.
Dovremmo inoltre tener conto del fatto che, contrariamente a
quanto sta accadendo per il mercato petrolifero, che è un
mercato globale, il mercato del gas naturale è un mercato
regionale, dominato da gasdotti che collegano un numero
limitato di Paesi all’interno di una concreta area geografica.
Di conseguenza, i gasdotti conducono ad un alto grado di
interdipendenza tra i Paesi coinvolti.
Nonostante gli sforzi dell’UE di creare una politica energetica
comune, l’influenza esercitata sulle politiche energetiche degli
Stati membri è stata minima. All’interno troviamo dunque un
mercato energetico piuttosto frammentato.
Lo stesso accade con le politiche energetiche esterne degli Stati
membri. Lo Stato membro preferisce trovare soluzioni ai propri
problemi principalmente attraverso accordi bilaterali.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
52
Una serie di sfide per l’Europa nel settore energetico
Alla luce di tutto ciò, è ovvio che l’UE sta affrontando una serie
di sfide nel settore energetico alle quali è necessario rispondere,
attraverso decisioni politiche adeguate, ma anche mediante
continui sforzi a livello nazionale e comunitario. Credo che i
punti più critici siano i seguenti:
- diminuire la dipendenza da uno o due fornitori importanti;
- costruire strutture che possano garantire una
diversificazione permanente delle risorse;
- non esporre a rischi le relazioni con la Russia;
- affrontare la richiesta globale in rapida ascesa e la
concorrenza in materia di risorse energetiche proveniente
da economie emergenti, come Cina e India;
- promuovere una strategia e una politica energetica comune
per l’Europa;
- trovare il modo, nei rapporti con Paesi terzi, di trarre
vantaggio dalla complessità istituzionale e strutturale
dell’UE, evitando di considerare tale complessità come
qualcosa che spinge gli Stati membri ad optare per accordi
bilaterali;
- combinare tutte le ben note misure e politiche per la
liberalizzazione del mercato con azioni volte a garantire la
sicurezza degli approvvigionamenti;
- alternare successivamente un approccio basato sul mercato
ad un approccio geopolitico;
- combinare l’autosufficienza energetica dell’UE con politiche
che tengano conto dei cambiamenti climatici;
- garantire ovviamente che tutti questi sforzi risultino essere
a beneficio del consumatore finale, del cittadino europeo.
Rispondere alle sfide sull’energia e sicurezza europea
Credo che i recenti sviluppi in merito al gas azero e al TAP
rappresentino mosse positive per fornire importanti risposte
alla maggioranza di queste sfide:
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
53
- il progetto TAP implica maggiori volumi di gas e non
maggiori quantità, comunque significative, specialmente se
si parla di una base a lungo termine nei prossimi 10-20 anni;
- costituisce comunque una fonte aggiuntiva, che contribuisce
per l’Europa alla diversificazione delle fonti energetiche;
- sebbene sia stato progettato sulle basi di un approccio di
mercato con criteri tecnocratici, ha una chiara valenza
geopolitica, mutando esso gli equilibri tra produttori e
consumatori di energie diverse;
- crea collegamenti ulteriori tra l’UE e territori delicati
dell’Asia Centrale;
- mette da parte rapporti supplementari tra Turchia – Albania
– Grecia – Italia, il che vuol dire tra due Stati membri
dell’UE e due Paesi con chiare prospettive europeiste,
avvicinandoli entrambi all’infrastruttura dell’UE;
- incoraggia la politica di sicurezza energetica dell’UE, e
costituisce un importante parametro per il Corridoio Sud;
- contribuisce all’avvento di una nuova era di relazioni
energetiche, non solo moltiplicando i collegamenti con l’Asia
Centrale, ma fungendo da invito ad esplorare le ulteriori
possibilità emergenti nell’immediato dal Nord Africa, e più
avanti da Cipro, Israele, etc.;
- inserisce un elemento del mercato globale in un settore che
è principalmente caratterizzato dalla tipicità regionale;
- grazie a questa tecnologia che rispetta l’ambiente, si rende
più realizzabile l’obiettivo di un ambiente meno inquinato;
- sebbene inizialmente i costi potrebbero non avere una
diminuzione significativa, a lungo termine avrà un effetto
positivo per i consumatori.
Il gas azero, oltre ad agevolare l’UE nella diversificazione
energetica, nella politica esterna e nelle questioni di sicurezza,
porterà benefici anche al mio Paese, in un periodo in cui la
popolazione greca necessita davvero di credere in un futuro
migliore.
Il TAP, con un costo stimato di 1,5 miliardi di euro, è uno dei
maggiori investimenti diretti stranieri di sempre, che si pensa
creerà 2.000 posti di lavoro diretti e 10.000 indiretti.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
54
Costituisce un “voto di fiducia” per la Grecia ad un punto
cruciale della sua economia. Un “voto di fiducia” che riconosce
la stabilizzazione dell’economia greca e contribuisce al
miglioramento del clima economico.
Porterà al Paese il know-how in un settore molto dinamico e
fino ad ora assente, come quello dei gasdotti.
Alla Grecia, sinora fortemente dipendente dai singoli fornitori,
viene data l’opportunità di diversificare le sue fonti e di
potenziare la propria sicurezza energetica, a beneficio della
concorrenza sul mercato e, eventualmente, dei consumatori.
La capacità di flusso invertito del TAP potenzialmente permette
alla Grecia di avere accesso al gas da fonti come il Nord Africa,
aumentando la propria capacità di approvvigionamento in caso
di eventi inaspettati.
Il progetto TAP può inoltre contribuire alla creazione di una
nuova cultura di responsabilità, cooperazione e interdipendenza
con le società locali, mentre dall’altro lato, può incoraggiare
l’opinione pubblica greca ad accettare progetti imponenti,
anche di carattere ambientale.
Partecipando al progetto TAP – e dunque contribuendo alla
strategia europea per la creazione di un corridoio del gas
meridionale che diversificherebbe ancor di più le fonti
energetiche dell’Europa – la Grecia diventerebbe un attore di
rilievo all’interno dell’UE per quanto riguarda il settore
energetico.
Esistono inoltre ulteriori benefici, ben più ampi a livello
geopolitico: il progetto TAP migliora chiaramente l’impronta
della Grecia nella mappa energetica globale, incentivando
gradualmente la trasformazione del Paese in un corridoio di
transito del gas fondamentale, e nel fulcro energetico
dell’Europa sudorientale.
La Grecia trarrebbe inoltre numerosi vantaggi dall’aumento di
cooperazione e stabilità regionale al quale contribuirebbe il
gasdotto. Verrebbero infatti positivamente influenzati i rapporti
con Albania, Turchia e Azerbaijan, come con i Paesi della
regione che saranno collegati o auspicano un futuro
collegamento con questo progetto – attraverso i gasdotti IAP
(Ionian Adriatic Pipeline) e Interconnector Grecia-Bulgaria (IGB)
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
55
– come Croazia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria e
anche Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia.
Infine, dal momento che il progetto TAP riguarda una fonte
energetica che rispetta l’ambiente, è chiaro che esso agevolerà
la Grecia nel raggiungimento dei suoi obiettivi ambientali,
all’interno dell’azione europea contro i cambiamenti climatici.
Per concludere, e per bilanciare le impressioni, vorrei inoltre
aggiungere che, escludendo i già descritti benefici che le
politiche europee e la Grecia trarrebbero trasportando il gas
azero in Europa, questo rappresenterebbe un beneficio anche
per lo stesso Azerbaijan e per l’Asia Centrale. E io credo che ciò
abbia pari importanza: il TAP non è un progetto utile alla sola
Europa, e non deve essere concepito come un progetto a
scapito di qualcuno. Al contrario, è un progetto molto vicino a
ciò che generalmente viene chiamato “progetto win-win”.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Sfide, azioni e progetti relativi alla politica energetica nel contesto della sicurezza energetica in Polonia
S.E. Wojciech Ponikiewski – Ambasciatore della Repubblica di Polonia in Italia
Le azioni e le attività intraprese nel campo dell’energia hanno
un significato elementare per lo sviluppo e la sicurezza del
Paese. Negli ultimi anni, una crescita dinamica di molte regioni
del mondo ha provocato un costante aumento della domanda di
fornitura dell’energia. Per colmare questa incessante “fame di
energia” vengono utilizzate fonti energetiche nazionali e
straniere il cui sfruttamento influisce notevolmente sulla
sicurezza energetica nazionale.
Il concetto della sicurezza energetica è un insieme dei fattori di
carattere politico, sociale ed economico. In Polonia, per la
sicurezza energetica si intende una stabile e costante fornitura
di carburante ed energia - garantita a livello nazionale ai prezzi
accettabili sia dall’economia sia dalla società, in grado di
soddisfare la domanda nazionale partendo dal presupposto di
un ottimale sfruttamento delle risorse energetiche nazionali -
applicando una diversificazione delle fonti e degli indirizzi di
fornitura del petrolio e dei carburanti liquidi e gassosi. Tuttavia,
la Polonia è anche consapevole del fatto che altri Paesi possono
elaborare e adottare un altro concetto della sicurezza
energetica, e così: i paesi senza l’accesso diretto alle fonti di
energia potrebbero semplicemente voler assicurarsi la fornitura
o tutelare le loro infrastrutture contro attacchi terroristici; i
paesi che dipendono dalle forniture estere dell’energia
sarebbero interessati alla diversificazione delle fonti; invece le
società industrializzate che pongono attenzione alle questioni
ecologiche potrebbero puntare sull’importanza della riduzione
di emissione dei gas serra e dell’impatto ambientale. La
sicurezza energetica dipende quindi sia dai fattori relativi
all’importazione dell’energia stessa e delle materie energetiche
sia dalla situazione interna di un singolo Stato.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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La Polonia, attraverso una politica energetica equilibrata che
prima di tutto è una derivata delle risorse nazionali di materie
prime e delle infrastrutture necessarie per produrre l’energia,
tende a costruire le basi di un sistema solido ed efficace
nell’ambito della sicurezza energetica raccogliendo le specifiche
direttive nel documento intitolato Polityka energetyczna Polski
do 2030 roku (La politica energetica della Polonia fino all’anno
2030), adottato verso la fine del 2009.
Tra le principali sfide che la politica energetica polacca deve
affrontare si possono elencare: il livello inadeguato dello
sviluppo di infrastrutture produttive e trasporto dei carburanti e
dell’energia, la forte dipendenza dalle forniture estere del gas
naturale e del petrolio, nonché gli impegni climatici. La risposta
a queste sfide disegna le priorità polacche nel campo
dell’energia tra le quali spiccano in particolare: l’incremento
della sicurezza di forniture dei carburanti e dell’energia, la
diversificazione della struttura di produzione dell’energia
elettrica attraverso l’introduzione di energia nucleare, lo
sviluppo e il maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili, il
miglioramento dell’efficacia energetica e la riduzione
dell’impatto ambientale. I ricchi giacimenti di carbone fossile e
lignite costituiscono la base per produzione di energia elettrica
in Polonia. Nel 2012, oltre l’80% dell’energia ottenuta in
Polonia era prodotta da queste fonti naturali. Inoltre è in
continuo aumento l’utilizzo delle fonti rinnovabili nella
produzione dell’energia elettrica che rispecchiano le percentuali
raggiunte: l’8,0% nel 2011 e il 10,4% nel 2012 e del gas
naturale che dal 3,6% nel 2011 ha raggiunto il 3,9% nel 2012.
A causa degli scarsi giacimenti e delle esigue estrazioni del gas
naturale e del petrolio nel territorio nazionale, la Polonia è
costretta a importare queste materie. Nel 2012 intorno al 70%
(ca. 11 mld m3) del consumo di gas naturale in Polonia e quasi
l’intero consumo del petrolio (intorno al 98%, ossia ca. 25 mln
di tonnellate) si è basato proprio sull’importazione. Tra le
principali azioni volte a realizzare le priorità e a migliorare la
sicurezza energetica in Polonia si possono elencare: la ricerca
di idrocarburi nelle risorse non convenzionali, gli investimenti
infrastrutturali e le procedure preliminari per la costruzione di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
58
una centrale nucleare in Polonia. Nell’ottobre 2013 si contavano
105 aree convenzionate nelle quali si svolgevano le ricerche di
acquisizione del gas di scisto. Finora sono state realizzate 51
trivellazioni. Le prospettive riguardanti le risorse di gas non
convenzionali hanno incoraggiato gli imprenditori polacchi, ma
anche quelli stranieri - tra questi anche le grandi società - ad
investire in tutto il territorio nazionale. Grazie agli investimenti
nello sviluppo della base di risorse proprie, diminuisce in modo
considerevole la disposizione per le eventuali interruzioni di
fornitura estera. Oltre allo sviluppo delle risorse di giacimenti,
altrettanto importanti sono gli investimenti indirizzati alla
diversificazione delle forniture di energia, tra questi: la
costruzione del LNG Terminal, la creazione della rete di
collegamenti transfrontalieri e l’ampliamento dell’infrastruttura
industriale e distributiva nazionale. Il LNG Terminal a
Świnoujście, con la capacità di 5 mld Nm3 nella prima fase
della sua operatività, permetterà alla Polonia, a partire dal
2014 di ricevere il gas liquido da qualsiasi regione del mondo.
Il Terminal polacco sarà l’unico impianto di questo genere
nell’Europa Nord-Centro-Orientale e uno dei più grandi
dell’intero Continente. Gli investimenti nello sviluppo della rete
lungo i confini della Polonia, realizzati nel 2011, uniti alla
possibilità di utilizzare un servizio di inversione virtuale nel
gasdotto di Yamal, hanno creato le possibilità tecniche annue di
importazione in Polonia di oltre 3,3 mld m3 di gas proveniente
dalle nuove fonti (ca. 30% dell’importazione attualmente
realizzata). Entro l’anno 2014 si progetta la costruzione di circa
1000 km dei nuovi gasdotti di trasmissione, mentre nei piani
futuri si pensa alla realizzazione delle interconnessioni al
confine con la Lituania e la Slovacchia. La costruzione del
Terminal LNG a Świnoujście e l’ampliamento delle connessioni
chiave per il corridoio Nord-Sud - che si trovano ai confini della
Polonia - porteranno a un importante cambiamento geopolitico
dell’intera regione. Prima di tutto queste realizzazioni
diventeranno un importante fattore per l’integrazione dell’intera
regione, incrementando anche la possibilità di diversificazione
delle forniture di carburanti e, di conseguenza, diminuendo la
dipendenza dagli attuali partner. Un altro fattore importante
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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per la sicurezza energetica della Polonia sono le azioni e le
attività indirizzate alla espansione delle capacità di stoccaggio.
Nel 2012 l’importo dei progetti che avevano tale obiettivo
superava il valore di 100 mln euro. Uno dei maggiori progetti
che incrementerà considerevolmente le future capacità di
produzione dell’energia e diversificherà il bilancio energetico in
Polonia, è la costruzione della centrale nucleare che dopo il
2015 dovrà fornire al sistema elettro-energetico circa 3000 MW
d’energia. Si tratta di un importante investimento nel contesto
del rinnovamento del sistema energetico produttivo già
esistente in Polonia il quale nella maggior parte (60%) era nato
oltre 30 anni fa. Questo investimento garantirà la continuità e
la stabilità della produzione di energia elettrica in Polonia per i
prossimi decenni. L’integrazione delle capacità ottenute dalla
produzione dell’energia dai carburanti fossili costituiscono gli
investimenti nelle fonti di energie rinnovabili (FER) che
annoverano un costante aumento. La partecipazione del FER
nel consumo lordo dell’energia è aumentato dal 7,1% nel 2005
al 10,9% nel 2011. Tra queste nuove fonti di energia le migliori
prospettive di sviluppo le hanno l’energia eolica e fotovoltaica
(solare). Le fonti rinnovabili favoriscono la diversificazione del
bilancio energetico, ma prima del loro maggiore utilizzo devono
affrontare una sfida di instabilità del sistema dovuto alla
mancanza di fornitura regolare e alla necessità di garantire
grandi capacità di riserva basate soprattutto sulle energia
gassosa. Inoltre lo sviluppo del FER significa un cambiamento
di rotta per la trasmissione di energia elettrica che a sua volta
richiede la necessità di grandi investimenti infrastrutturali. Nel
caso della Polonia, lo sviluppo del FER nel settore elettro-
energetico crea ulteriori sfide dovute alla necessità di garantire
le quantità indispensabili di gas naturale per integrare la
produzione della centrale elettrica. La metamorfosi del sistema
energetico va di pari passo con la profonda preoccupazione
dell’ambiente naturale. La Polonia intraprende molte azioni
volte a ridurre l’inquinamento ambientale e a migliorare
l’efficienza energetica. Simili azioni diminuiscono la domanda di
energia, anche quella importata. Il miglioramento dell’utilizzo di
energia in Polonia comprova la diminuzione dell’intensità
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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energetica del PIL di oltre 25% negli anni 2000-2011 (dal
164,3 al 122,6 kWh/1000 PLN) nonché un intenso processo
dell’efficienza energetica delle costruzioni ottenuto grazie
all’introduzione di modernizzazione dei sistemi termici. Soltanto
nel 2012, seguendo un modello degli anni precedenti, grazie
alle sovvenzioni finanziarie nazionali e dell’UE (ca. 100 mln
euro) sono stati realizzati circa 3000 investimenti di
modernizzazioni dei sistemi termici.
La realizzazione di tutte queste azioni è motivata dalla volontà
di realizzare un moderno panorama energetico della Polonia, a
misura del XXI secolo in cui troveranno spazio sia la tradizione
energetica del nostro Paese sia le tecnologie innovative
europee e mondiali. Nonostante le sfide di fronte alle quali si è
trovato il settore energetico in Polonia siano importanti,
tuttavia, gli obiettivi della politica energetica sono realizzati in
modo armonioso, contribuendo a un regolare funzionamento
dell’economia e a una costante e stabile fornitura dell’energia
ai soggetti economici e agli utenti finali. Tutte le azioni e le
attività intraprese servono notevolmente per realizzare una
delle principali priorità, ovvero di cautelare la sicurezza
energetica. Tale sicurezza si traduce ai vantaggi economici di
tutti i fruitori del mercato energetico a partire dai produttori
dell’energia, attraverso i distributori e i fornitori, per finire
all’utente finale. Oggi il principale garante del miglioramento
della sicurezza energetica sono gli investimenti destinati alla
modernizzazione del settore di produzione e trasmissione
dell’energia, alle ricerche e allo sviluppo (R&S), e anche al
settore di estrazione e acquisizione di materie energetiche.
Basta ricordare che i soli investimenti indirizzati alla ricerca e
all’estrazione del gas di scisto, realizzati negli USA nel 2010,
secondo la società l’IHS CERA un’organizzazione del settore,
hanno provocato un aumento del PIL dell’economia americana
di circa 80 mld USD, creando ulteriori 600 000 posti di lavoro.
Considerando quindi tutti gli aspetti relativi alla questione della
sicurezza energetica, la Polonia, mantenendo un alto livello di
investimenti nel settore dell’energia, costruisce non soltanto le
solide fondamenta per la sicurezza energetica nazionale ma
anche per un armonioso sviluppo economico.
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La sicurezza energetica oggi: il punto di vista estone S.E. Urmas Paet – Ministro degli Affari Esteri della Repubblica d’Estonia
Cinque anni fa la sicurezza energetica era uno dei temi più
discussi in Europa. Oggi, con nuovi problemi economici e i
rischi cibernetici, questo campo è rimasto maggiormente in
secondo piano. La minore attenzione da parte dell’opinione
pubblica non implica che ci sia stata una svolta per il
miglioramento nell’ambito della sicurezza energetica. Si tratta
di un settore, dove sono coinvolti molti aspetti diversi –
sicurezza, tecnologia energetica, questioni ambientali, aspetti
socio-economici ed interessi politici, tra loro in contraddizione,
di Paesi diversi. La considerazione di tutto ciò significa anche
decidere quale sia il giusto equilibrio tra i vari campi, perché
spesso ottenere risultati in uno comporta grandi problemi in un
altro. Ogni decisione, presa nel settore energetico, comporta
dispendi economici ingenti spesso non compresi dall’opinione
pubblica, sensibile più al costo quotidiano della vita che ad una
politica lungimirante. Spesso i risultati di una decisione, presa o
non presa, si vedono dopo un periodo di tempo di 7 – 8 anni.
Purtroppo l’Europa per lungo tempo ha rinviato tante decisioni
importanti nel settore energetico, creando una situazione in cui
l’età media delle centrali elettriche e di altre infrastrutture
energetiche è chiaramente vetusta.
La prima causa è certamente la complicata situazione
economica nella quale l’avvio di grandi progetti è stato difficile.
La seconda causa, anch’essa rilevante, è l’assenza di chiare e
significative decisioni in campi affini, soprattutto nella politica
ambientale. Senza conoscere le future normative ambientali ed
il meccanismo per stabilire il prezzo per tonnellata di C02 nel
commercio delle emissioni, non è possibile valutare la
convenienza di possibili progetti e la capacità di concorrenza.
Inoltre, alcune questioni energetiche sono diventate temi
politici molto difficili, soprattutto per quanto riguarda lo
sviluppo dell'energia nucleare. In Estonia, per esempio, il
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carbone, la materia prima più importante per l’energia, è tema
di grandi discussioni in quanto, se da una parte fornisce
sicurezza energetica, dall’altra comporta pesanti effetti
ambientali. Sul significato di sicurezza energetica esistono
posizioni abbastanza simili. Generalmente, il sistema
energetico nazionale è sicuro quando è in grado di sostenere
permanentemente ed efficacemente i bisogni energetici. Tre
sono gli aspetti da considerare: l’economico, il tecnico e il
politico. L’aspetto economico riguarda soprattutto la reperibilità
dell'energia, e comprende la capacità di autoproduzione, la
dipendenza da fornitori esterni e i legami con altri paesi.
L’aspetto tecnico comprende la vulnerabilità dei diversi
componenti del sistema energetico, la capacità di rifornirsi con
le varie potenze produttive e i guasti delle infrastrutture.
L’ultimo, quello politico, si lega alla possibilità di influenze
dall'esterno sulla politica energetica nazionale e alle attività più
generali di intervento con le leve energetiche e la vulnerabilità
dello Stato. Inoltre, la sicurezza energetica comprende un
ambito più ampio di quello del singolo Stato. Dal punto di vista
Estone, essenziali sono soprattutto la collaborazione con gli
altri due Paesi baltici, con il Consiglio dei Paesi del Mar Baltico,
con l'Unione Europea e con la NATO. Poiché per alcuni aspetti
nel settore energetico l’Estonia, la Lettonia e la Lituania si
trovano in situazioni simili e legate tra loro. Le competenze
dell'Unione Europea in politica di sicurezza sono abbastanza
limitate, anche se il Consiglio Europeo degli Affari Esteri si è
occupato di aspetti esterni della politica energetica. Ma
naturalmente la parte prevalente dell’attività dell’UE in campo
energetico è quella di rafforzare la sicurezza energetica – per
esempio lo sviluppo dell'efficienza energetica, l'ampliamento
dei collegamenti ed altro. Per la NATO la sicurezza energetica
in senso generale non è nella lista degli incarichi ordinari, ma è
considerata nella valutazione generale dei rischi. Durante il
Vertice di Bucarest la NATO ha considerato la sicurezza
energetica come parte del suo ambito di sicurezza. La garanzia
del rifornimento, la difesa delle infrastrutture con importanza
critica, il supporto delle operazioni, inclusa l'efficienza dell'uso
dei combustibili nel campo militare rientrano nelle valutazioni
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della NATO. Allo stesso tempo, è chiaro che il ruolo e la
potenza della NATO è diverso in queste tematiche concrete.
Poiché le valutazioni individuali dei rischi dei paesi membri di
entrambe le organizzazioni sono abbastanza diverse, anche la
volontà di collaborare a livello internazionale mostra delle
oscillazioni. L’Estonia è nel gruppo di quegli Stati membri che
tengono sotto controllo la sicurezza energetica, soprattutto la
sicurezza dei rifornimenti, e l’energia come “arma” politica, e
allo stesso tempo ritengono che il rafforzamento della sicurezza
energetica degli stati membri e dei partner sia un contributo
importante per elevare la propria sicurezza come membro
dell’UE e della NATO. Parlando degli aspetti economici e sociali,
oggi si può considerare la sicurezza energetica estone nel suo
complesso forse addirittura più garantita rispetto alla media
Europea. Questo è possibile soprattutto grazie all’utilizzo del
carbone nella produzione di energia – dell'energia consumata in
Estonia una gran parte (55-60%) proviene da questa fonte,
inclusa la produzione di elettricità sia per uso domestico sia per
l’esportazione verso gli altri Paesi Baltici e la Finlandia. Secondo
i dati Eurostat, l’Estonia nel 2011 avendo importato solo il 10%
del proprio fabbisogno energetico totale si è posizionata, a
livello UE al secondo posto dopo la Danimarca, che è l'unico
esportatore netto. Ma se guardiamo più nel dettaglio, il che
vuol dire considerare i diversi fornitori di energia, il quadro è
molto più complicato. Tutto il nostro gas consumato viene dalla
Russia. Tutto il combustibile per gli autoveicoli viene importato.
Nello stesso tempo, l’Estonia esporta l’energia elettrica, il
petrolio prodotto dal carbone, la legna da ardere e la torba per
un totale di c.a. il 10% del PIL (2011). La dipendenza dell'UE
dalle importazioni dei fornitori energetici sta crescendo. Nello
stesso tempo sappiamo che in tanti stati Europei esistono
combustibili che potrebbero aiutare a cambiare questo trend
preoccupante. Preferire l’importazione dell’energia all'uso di
combustibili domestici è una comodità, che va ad incidere sul
conto della sicurezza Energetica dell’Europa. In Estonia, come
in tutta l’Unione Europea, i principali metodi seguiti per
diminuire la dipendenza dall'importazione energetica sono stati
l'aumento dell’efficienza dell’uso dell’energia e lo sviluppo della
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produzione di energia rinnovabile ed alternativa. Nella quantità
di produzione di energia rinnovabile siamo arrivati al livello del
25%, con il quale l’Estonia supera gli impegni presi in EU per
l’anno 2020. Le principali direzioni di lavoro in questo settore
sono l'utilizzo della legna e dell’energia eolica. Senza dubbio,
molto importante è anche sviluppare l’infrastruttura che
permette di utilizzare fornitori diversi ed in questo campo nei
Paesi Baltici ci sono dei cambiamenti in atto. I problemi
dell'energia dei Paesi Baltici sono stati dibattuti seriamente sul
tavolo dell’Europa ed alcuni dei temi in discussione sono stati
considerati in vari progetti. Nel 2009 gli otto stati membri
dell’UE che si affacciano sul Mar Baltico e la Commissione
europea hanno firmato il memorandum di intesa BEMIP (Baltic
Energy Market Interconnection Plan). In questo documento e
nell'allegato piano d’azione vengono dichiarati i metodi sia per
organizzare il mercato dell'elettricità e del gas sia per lo
sviluppo delle reti d’interconnessione tra i paesi. Molti obiettivi
del BEMIP sono stati raggiunti. Il secondo elettrodotto tra
l’Estonia e la Finlandia, Estlink-2, è stato costruito e si ritiene
che, una volta ultimati i test, inizi il funzionamento dall'inizio
del 2014. La potenza assorbita in Estonia nell’ora di picco è
oggi pari a 1400-1600 MW, mentre la potenza congiunta
dell’Estlink-1 in funzione dal 2007 e dell’Estlink-2 è di 1000 MW.
L’operatività di entrambi dovrebbe favorire la parità tendenziale
dei prezzi dell’elettricità in Estonia e Finlandia. Si presume che
per la fine del 2015 sarà pronto l'elettrodotto tra Lituania e
Svezia. Lituania e Polonia stanno lavorando al progetto per
creare una propria via di connessione elettrica. Dunque, per
quanto riguarda l’elettricità, i Paesi Baltici sull'orizzonte
temporale del 2016 stanno uscendo dalla situazione che è stata
definita come “isola di energia”. Nello stesso tempo, nei Paesi
Baltici ancora permangono collegamenti con potenza non
sufficiente e soprattutto è necessario un terzo collegamento tra
Estonia e Lettonia; gli esperti considerano che per la sua
realizzazione ci vorranno ancora 5-7 anni. Nel frattempo i nuovi
collegamenti esterni dei Paesi Baltici non forniscono ancora una
utilità pienamente sufficiente. La produzione di elettricità in
Estonia, Lettonia e Lituania era basata su materie prime
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diverse – in Estonia prevaletemene sul carbone, in Lettonia in
gran parte sull'idroenergia e in Lituania, fino alla chiusura della
centrale nucleare di Ignalina nel 2009, sull'energia nucleare.
Purtroppo, al carbone sono legati molti aspetti ambientali, per
le centrali idroenergetiche in Lettonia non si prevedono
ampliamenti e in Lituania dopo la chiusura della centrale
nucleare non esiste nessuna grande produzione di elettricità. In
totale, c’è un deficit di potenza produttiva di elettricità nei
Paesi Baltici. Dopo la chiusura della centrale nucleare di
Ignalina, avvenuta su richiesta dell’UE, è stato considerato per
una decade in Lituania un progetto in comune con i tre Paesi
baltici e probabilmente con la Polonia di costruirne una nuova.
Nel 2006 i primi ministri dei tre Paesi baltici hanno deciso di
avviare lo studio di questo progetto. Purtroppo i negoziati non
sono stati facili. Nel referendum del 2012 il popolo Lituano ha
votato contro la centrale nucleare. In ogni caso, il dibattito in
Lituania continua. Per l’Estonia è di primaria importanza che
questa centrale, qualora si realizzasse, porti profitto. Questo
vuol dire che, cercando l’equilibrio fra la sicurezza energetica e
l'efficienza economica, non ci sarebbe la volontà estone di
continuare a finanziare un progetto in perdita in ragione della
sola sicurezza energetica. Nella situazione energetica attuale
dell'Europa è molto difficile trovare nuovi progetti proficui in
modo chiaro. Il problema principale deriva dalla scarsa
chiarezza delle questioni dell'ambiente (lo sviluppo delle tasse
di emissioni) e dall'approccio critico verso le centrali nucleari
dopo il disastro in Giappone. Ora una notevole parte del
fabbisogno energetico della Lituania e della Lettonia è coperto
dall'elettricità importata dalla Russia, che viene prodotta con
standard ambientali e non solo, più bassi che in UE. Nel campo
energetico un elemento importante è la gestione del mercato.
Dall'estate del 2013 dopo l’entrata della Lettonia tutti e tre i
Paesi Baltici hanno partecipato all'attività della borsa elettrica
dei Paesi nordici Nord Pool Spot. Tuttavia, la borsa non è
ancora diventata completamente formatore di mercato in tutti
Paesi baltici. Per arrivare a questo traguardo, oltre ai metodi
diversi della gestione del mercato è necessario rafforzare i
collegamenti tra i paesi, tra i quali quello tra l'Estonia e la
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Lettonia. Un mercato dell’elettricità ben funzionante aiuta
notevolmente a garantire la sicurezza, poiché aiuta –
differentemente della gestione del mercato basato sulle
relazioni dirette tra produttori e consumatori - in modo efficace
a risolvere i vari problemi causati dalla mancante trasparenza e
flessibilità. Per quanto riguarda il gas, la realizzazione del piano
dei lavori previsti nel BEMIP è stata molto più lenta. In tal
modo l’infrastruttura del gas dei Paesi baltici per lungo tempo
non è stata ampliata, ed ora a causa della insufficienza
infrastrutturale, per la mancanza di punti di fornitura
supplementari e per la diversità della regolazione del mercato,
non esiste il mercato regionale del gas. La Lituania ha
intenzione di aprire per la fine del 2014 un terminal LNG nel
porto di Klaipeda. Contemporaneamente, Lituania e Polonia
lavorano per collegare i gasdotti tra i due paesi. La
Commissione Europea sta decidendo per un LNG terminal
regionale nella zona del baltico e, presumibilmente, sceglierà
un luogo in Estonia o in Finlandia. La costruzione di questo
impianto e il raggiungimento della sicurezza di rifornimento
comporta sicuramente la necessità di costruire tra Estonia e
Finlandia il gasdotto Baltic Connector nel mare. In Lettonia ci
sono piani per ingrandire notevolmente i depositi di gas
sotterranei, per i quali si deve aumentare la portata dei
gasdotti nei Paesi Baltici. Quindi, ci sono in atto vari processi
simultanei e gli esperti devono fare un serio lavoro per
pianificare il futuro rifornimento del mercato Baltico ora c.a 4,5
miliardi di metri cubi. Il mercato del gas Europeo viene
influenzato dagli LNG e anche dall' arrivo di gas da argille sul
mercato dell'energia mondiale. In Estonia per il momento il gas
non viene prodotto. In Lituania sono iniziati i lavori per studiare
le possibilità di produzione di gas da argille, ma attualmente è
ancora presto per parlare dei risultati e dell’impatto sulla
sicurezza energetica. Gli aspetti tecnici della sicurezza
energetica si legano all’affidabilità della potenza di produzione,
alla complessità della rete dei collegamenti e alla possibilità di
usare diverse linee di rifornimento. In generale, grazie alle
centrali a vari blocchi che funzionano con combustibile solido si
può considerare positiva la stabilità della produzione
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dell'energia elettrica in Estonia. Allo stesso tempo, le due
grandi centrali elettriche estoni a carbone sono vicine al confine
di stato e utilizzano una comune sorgente di acqua di
raffreddamento, e questo crea in sé dei rischi. Nelle centrali
funzionano impianti con età diverse, ed un blocco di energia
che è attualmente in costruzione, sicuramente innalza la
sicurezza per il prossimo periodo, e si spera di testarlo
nell’estate del 2014. Allo stesso tempo, la rete elettrica in
Estonia e nei tre Paesi baltici in totale non è cosi grande, in
modo tale che sia tecnicamente facile garantire la frequenza e
questo si può solo raggiungere tramite la collaborazione con la
rete elettrica russa. Nel futuro si considera già, con i
collegamenti Lituania-Polonia, la sincronizzazione con la rete
continentale di UE. Le risorse di gas estoni vengono tenute nei
depositi sotterranei in Lettonia e i combustibili liquidi in vari
posti, compresi i Paesi nordici. Nello stesso tempo, i
collegamenti con la Lettonia sono abbastanza limitati ed è
necessario rafforzarli. Il Baltic Connector e la costruzione del
terminale LNG regionale richiedono questo già di per sé. Il
rifornimento dell’Estonia e di altri Paesi Baltici con combustibili
liquidi non è molto sicuro, perché intorno al Mar Baltico sono
poche le raffinerie di petrolio e queste funzionano già a pieno
ritmo. Il mancato funzionamento di una o più raffinerie, oppure
l'interruzione del loro rifornimento per diverse cause, può
causare problemi di rifornimento energetico. Ciò considerato,
mantenere le riserve nazionali è una via certa per garantire la
sicurezza e l’Estonia ha lavorato seriamente su questa
questione. Purtroppo sia in Estonia sia altrove è abbastanza
difficile convincere il pubblico su alcune azioni importanti dal
punto di vista della sicurezza energetica, per esempio la
creazione di potenze di riserva e di riserve di gas, anche se ciò
comporta l’aumento dei prezzi. L'usura della infrastruttura
energetica in Europa e la diminuzione della costruzione di
nuove potenze causano problemi tecnici in futuro. Allo stesso
tempo, l’aumento dell’efficienza dell'uso dell’energia, il
progresso dell’energia rinnovabile e alcune diminuzioni della
popolazione abbassano in qualche misura il peso degli
investimenti in futuro. Gli aspetti politici della sicurezza
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energetica sono per l’Estonia e gli altri Paesi baltici importanti e
provengono soprattutto dalla nostra posizione geografica. Le
reti energetiche dei Paesi baltici sono state realizzate in grande
parte con schemi del periodo dell’occupazione Sovietica e sono
collegate con la Russia e non tanto tra di loro. A questi
collegamenti si deve attribuire il fatto che la Russia ha fatto
pressioni sull'energia nelle relazioni con i vicini (per esempio
con l’Ucraina). Per questo, per i Paesi baltici l'obiettivo
principale è quello di creare collegamenti supplementari e
variare i fornitori, senza però rinunciare alla vasta
collaborazione energetica con la Russia, che è geograficamente
vicina ed è un fornitore importante per tutta l’Europa. Per
garantire la sicurezza energetica si prevede la gestione
intelligente delle dipendenze esterne per eliminare i rischi
eccessivi. I tre Paesi baltici, pur mettendosi insieme, sono una
forza molto piccola nel mercato internazionale dell’energia e
perciò è ovvio che l’Estonia abbia fortemente sostenuto le varie
proposte, indirizzate a rafforzare il ruolo dell’Unione Europea
come ente unico nelle relazioni esterne in campo energetico.
Tali questioni sono state discusse ripetutamente nell’UE,
tuttavia senza un significativo progresso. Lo scambio
d'informazione sugli accordi con i paesi terzi dovrebbe secondo
noi portare in futuro alla nascita dell’UE come partner unico o
almeno un partner con gli stessi principi. Durante la presidenza
Lituana, l’Estonia ha appoggiato prioritarie le misure esterne
dell'energia e la realizzazione delle decisioni del Vertice del
maggio 2013. Oggi per esempio si può vedere nei prezzi del
gas la cosiddetta “componente politica” e questo è sicuramente
un problema economico e politico. Fondamentale è anche
sistemare il mercato energetico dell'UE. L’Estonia sta
realizzando volta per volta il Terzo Pacchetto Energetico UE,
inclusa la separazione sostanziale tra produttori/fornitori di gas
e gestori della rete. Questo processo è stato molto difficile in
tutta Europa, ed è così anche nei Paesi baltici, dove ogni Stato
sta prendendo strade diverse. Senza dubbio l’UE deve fare
qualcosa per quanto riguarda l’importazione dell’energia
elettrica, la cui mancata regolazione comporta nella nostra area
ovviamente la fuga del carbonio. Purtroppo l’UE finora non è
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stata capace di applicare metodi unici per quello che riguarda
l’importazione dell’energia elettrica da paesi con standard
ambientali, sociali e altro più bassi, e questo è un fattore
importante che crea una situazione nella quale costruire nuovi
impianti produttivi di energia nei Paesi baltici è diventato
economicamente problematico. Proprio qui vediamo in modo
molto chiaro la necessità di cercare l’equilibrio tra i diversi
ambienti della vita - l'importazione del 100% dell’elettricità in
uno dei Paesi baltici dalla vicina Russia potrebbe essere
economicamente la soluzione migliore, ma questa porterebbe
conseguenze di sicurezza politica importanti e avrebbe
ripercussioni sull'ambiente globale. In Estonia dobbiamo
considerare anche l’aspetto sociale – l'estrazione di carbone e il
conseguente utilizzo per la produzione dell’energia elettrica
danno lavoro a decine di migliaia di persone in modo
concentrato in una regione dell’Estonia, e tale produzione ha
inoltre permesso all’Estonia di avere il prezzo dell’elettricità tra
i più bassi in UE.
Il dibattito sulla sicurezza energetica continua, talvolta
intensamente. Coloro che sono attivi nella politica della
sicurezza devono mostrare le proprie preoccupazioni in modo
articolato al pubblico, così che nel processo democratico possa
crescere un approccio pratico e sostenibile per avere continuità
a lungo termine.
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La Sicurezza energetica nella Repubblica Ceca S.E. Petr Burianek – Ambasciatore della Repubblica Ceca in Italia
Per la sua prima Presidenza UE nel primo semestre 2009 la
Repubblica Ceca ha indicato l’energia tra i temi prioritari. In
coincidenza con tale presidenza è scoppiata la crisi del gas tra
Ucraina e Russia che ha interessato molti paesi UE a causa
dell’interruzione delle forniture di gas. Altra coincidenza sembra
il fatto che il primo ministro italiano Letta ha, all’inizio
Settembre, annunciato che l’energia sarà una delle priorità
della prossima presidenza UE italiana del secondo semestre
2014. Il seguente testo ha come riferimento principale
l’aggiornamento della Dottrina nazionale energetica della
Repubblica Ceca approvata e pubblicata nel novembre 2012.
Nella prima parte analizzeremo l’attuale composizione del mix
energetico nella Repubblica ceca. Nella seconda parte
delineeremo i principali obiettivi cechi nel comparto della
sicurezza energetica.
L’attuale situazione energetica e le principali tendenze per i prossimi decenni
L’OCSE ha, recentemente, apprezzato i passi avanti realizzati
dalla Repubblica ceca sulla politica energetica, sulla politica di
protezione clima, sulla sicurezza degli approvvigionamenti di
greggio e gas e sulla liberalizzazione del mercato dell’elettricità.
L’OCSE, tuttavia, ha proposto ulteriori provvedimenti nel
settore dell’efficienza energetica.
La rete di distribuzione elettrica con i paesi vicini è ben
sviluppata e i nuovi collegamenti hanno contribuito ad un
ulteriore sviluppo del mercato dell’energia elettrica della
regione Centro europea. La capacità della rete disponibile per
la trasmissione di elettricità per le esportazioni e le
importazioni equivale rispettivamente al 35% e al 30 % del
caricamento della rete nelle ore di picco.
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Il carbone resta la principale fonte energetica nella Repubblica
Ceca, sia per quanto riguarda la produzione di elettricità, con
una quota pari a circa il 54,7% del totale, sia per quanto
riguarda il riscaldamento degli edifici tanto dalle centrali
termiche quanto dagli impianti indipendenti privati. Per quanto
riguarda la provenienza delle fonti energetiche, la Repubblica
Ceca importa, conteggiando anche le forniture di combustibili
per le centrali nucleari, una quota inferiore al 50% del proprio
fabbisogno interno. La relativamente bassa dipendenza
dall’estero, tenuto conto che la media UE è di circa il 60%, è
uno dei principali punti di forza del settore energetico del Paese.
La Repubblica Ceca riesce a coprire l’intera domanda di
elettricità e del calore per riscaldamento. La struttura delle
fonti energetiche resta stabile. Negli ultimi decenni il
cambiamento più notevole ha riguardato la costruzione della
centrale nucleare Temelin.
Recentemente, il Governo ha avviato dei programmi di
sostegno per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Tuttavia,
l’aumento della quota prodotta dalle rinnovabili non è ancora
sufficiente a fornire un sostanziale contributo alla riduzione del
ricorso ai combustibili fossili.
È previsto che l’incidenza del carbone per la produzione di
elettricità e per il riscaldamento decresca progressivamente
soprattutto a causa dell’esaurirsi dei bacini carboniferi. La
Repubblica Ceca, se dovesse permanere l’attuale modesto
apporto delle fonti rinnovabili, sarà costretta a colmare il
proprio fabbisogno energetico aumentando le importazioni.
L’obiettivo del Paese è quello di non superare, prima del 2030,
la soglia del 65% di energia prodotta da fonti d’importazione, e
la soglia del 70% prima del 2040.
La seconda più importante fonte di energia è il nucleare. Nelle
due centrali attualmente operative si produce il 33% del
fabbisogno elettrico nazionale. Tale percentuale è prevista in
aumento. Infatti, è stato deciso l’ampliamento della centrale
Temelin con la costruzione di due nuovi reattori. Nel caso di
ulteriore sviluppo del nucleare la produzione di elettricità
potrebbe coprire il 50% della domanda. È anche auspicabile
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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che il calore prodotto dalle centrali nucleari venga sempre più
utilizzato per riscaldare gli edifici delle grandi città.
Altra fonte energetica importante è il gas, utilizzato sia per
produrre l’elettricità sia per riscaldamento (centrali termiche o
caldaie individuali). Il 27% circa delle case utilizza il gas per
riscaldamento. Col gas viene generato il 4% circa di elettricità.
Grazie ad una maggiore efficienza energetica delle case, grazie
ai numerosi progetti di ristrutturazione avviati con il sostegno
finanziario pubblico, ad un uso degli impianti domestici moderni,
ad un cambio di tessuto industriale a favore di settori che
consumano meno energia e anche grazie ad aumento di prezzi
del gas per gli usi civili, negli ultimi 10 anni si è assistito ad un
calo dell’utilizzo del gas del 20% circa, nonostante che, nel
medesimo lasso di tempo, siano stati connessi 800.000 nuovi
utenti alla rete di distribuzione del gas. A breve, si prevede
comunque un aumento dei consumi di gas legato ad un
maggior utilizzo nel settore dei trasporti. Attualmente, il 100%
di rifornimenti di gas viene importato. Principalmente dalla
Russia e dalla Norvegia, con una piccola parte che viene
acquistata sui mercati spot dell’UE.
La Repubblica Ceca, nel recente passato, ha posto in essere
delle azioni strategiche per aumentare la sicurezza di tutti gli
aspetti relativi alle forniture del gas: stabilità dei prezzi e
diversificazione dei paesi fornitori. La diversificazione si è
materializzata anche per quanto riguardano le vie di trasporto,
quindi oggi anche il gas proveniente dalla Russia può
raggiungere il mercato ceco tramite gasdotti diversi.
Gran parte delle forniture, infatti, dipendono da contratti a
lungo termine con prezzi prefissati siglati con operatori di
diversi paesi, l’approvvigionamento del gas è garantito da
gasdotti che provengono da Germania, Slovenia e Polonia. Tale
diversificazione è un vantaggio competitivo per la Repubblica
Ceca, come è stato dimostrato nel corso della crisi del gas tra
Russia ed Ucraina allorché non è stato necessario in alcun
modo restringere le forniture di gas ai consumatori del Paese.
Fino al 2012 la maggior parte del gas transitava nella direzione
est-ovest con capacità di entrata 51 mld. m3 all’est e 29 mld.
m3 all’ovest. Dopo la costruzione di gasdotto Gazela (con
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capacità di 30 mld. m3 per anno) la più importante direzione di
transito è quella nord-sud, utilizzata per il trasporto del gas dal
Nord Stream e dall’OPAL in direzione Germania e Francia. Il
Gasdotto Gazela sarà collegato con la rete ceca e, in momenti
di crisi, potrà sopperire alle richieste di gas mancante. Nel
2011 è stato costruito il gasdotto STORK tra la Repubblica Ceca
e Polonia con una capacità attuale di 0,59 mld. m3 per anno, si
prevede un aumento di capacità fino a 3 mld. m3 per anno. I
siti di stoccaggio del gas nella Repubblica Ceca hanno capacita
totale di 3,442 mld. m3 (pari al 35-40% del consumo annuale
nazionale).
Il consumo di petrolio permane stabile ad eccezione di quello
per trazione. Per quanto riguarda la produzione di calore per
riscaldamento il petrolio (oli leggeri di riscaldamento) concorre
solo per il 2% circa.
Il mercato degli idrocarburi è stato completamente liberalizzato.
Oggi come oggi lo stato può intervenire solo per decidere,
tramite lo strumento legislativo il livello obbligatorio di scorte
strategiche di emergenza.
Nel settore operano anche due importanti società pubbliche: la
MERO Spa, proprietaria e gestore degli oleodotti Druzba ed IKL
sul territorio della Repubblica Ceca e dell’oleodotto IKL sul
territorio tedesco. La MERO ha costruito anche grandi serbatoi
per lo stoccaggio delle riserve strategiche di petrolio; la CEPRO
che è proprietaria della rete dei tubi per il trasporto dei
combustibili (benzina, gasolio) e di alcuni siti di stoccaggio.
Per quanto riguarda il petrolio, la Repubblica Ceca è quasi
interamente dipendente dalle importazioni; infatti solo una
quota pari al 3% dei consumi viene coperta con il petrolio
estratto in territorio ceco. Le importazioni per decenni erano
assicurate dalla Russia attraverso l’oleodotto Družba. Dal 1995,
allorquando è entrato in esercizio l’oleodotto IKL (Ingolstadt-
Kralupy-Litvínov) che rifornisce le raffinerie delle due città
ceche Kralupy e Litvínov attingendo il petrolio dall’oleodotto
TAL 5 , che trasporta petrolio da Trieste alla Germania, le
5 L’Oleodotto Transalpino (TAP) è lungo 753 Km e attraversa Italia, Austria e Germania, collegando il Porto di Trieste con i Land tedeschi della Baviera e del Baden.Wuttemberg.
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percentuali del petrolio importato tramite il Družba e l’IKL sono
oggi quasi uguali, perché tramite IKL viene importato in gran
parte anche il petrolio russo (la capacità disponibile dell’import
di petrolio è: 10 mil. t/anno del Družba contro gli 11 mil.
t/anno dell’IKL).
L’attuale capacità di stoccaggio dei serbatoi di emergenza è
pari a 1,55 mil. m3 di petrolio, cioè a circa 100 giorni di
consumo medio. Comunque, la Repubblica Ceca si è già
attivata per aumentare la capacità dei serbatoi in modo tale da
rispettare la direttiva del Consiglio Europeo 2009/119/CE che
stabilisce che il minimo di scorte di emergenza siano uguali a
90 giorni di importi netti.
Nel 2010 la percentuale di elettricità prodotta dalle fonti
rinnovabili ammontava all’8,3% del totale.
Le centrali idroelettriche coprono oggi circa il 3% del
fabbisogno di elettricità totale. Questa fonte, a causa della
situazione morfologica del Paese, ha poco margine di crescita.
Comunque, il suo ruolo è importante per la flessibilità e per la
capacità di stabilizzare la rete e coprire il picco di consumo di
elettricità durante la giornata oppure eccesso di produzione da
altre fonti rinnovabili. La più grande centrale idroelettrica della
Repubblica ceca è la “Dlouhe strane”6. Di tipo a pompaggio7,
http://www.tal-oil.com/it/impianti/oleodotto-transalpino.html. 6 La centrale è fornita di due turbine aventi ognuna una capacità pari a 325 MW. Essa può fornire elettricità pari ad un terzo di quella prodotta dai due reattori della centrale nucleare di Temelin (2x1000 MW). 7Sostanzialmente un impianto idroelettrico a pompaggio è costituito da due bacini idrici, ubicati uno a monte e l’altro a valle della centrale vera e propria, cioè dell’edificio contenente le turbine e gli altri macchinari necessari alla generazione di elettricità. Nelle ore diurne di punta, durante i picchi di domanda elettrica, l’acqua viene fatta fluire dal bacino superiore a quello inferiore azionando le turbine. Nelle ore notturne e nei giorni festivi, quando la domanda sulla rete è minima, la
stessa acqua viene ripompata (da cui il nome) al bacino superiore, in modo da ricostituire l’invaso occorrente al successivo ciclo di funzionamento. In pratica le centrali a pompaggio assorbono dalla rete energia elettrica poco pregiata (prevalentemente la produzione nelle ore notturne e di basso carico proveniente dal parco termoelettrico di base), per restituirne una quantità
minore, ma di pregio molto maggiore, nelle ore di punta. Mediamente il rendimento globale è di circa il 70% o di poco superiore, cioè
per ogni 10 kWh spesi per il pompaggio si ricavano 7 kWh nella fase di generazione. http://energyviews.enel.it/?p=1457.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
75
essa è la terza centrale più grande al mondo di questo tipo. La
Repubblica Ceca si è impegnata nei confronti dell’Unione
Europea a portare la percentuale di rinnovabili al 13% entro il
2020. Sarà difficile raggiungere quest’obiettivo, sicuramente
impossibile senza il sostegno finanziario pubblico il quale è
previsto che nei prossimi anni diminuisca. Attualmente le
centrali eoliche nel nord della Germania utilizzano la rete
elettrica ceca per trasportare l’elettricità verso il sud. La rete
ceca degli elettrodotti non è in grado di sopportare il trasporto
di così grandi volumi di elettricità. Una soluzione potrebbe
essere trovata se l’UE accettasse che la Repubblica ceca
impegni i fondi destinati al raggiungimento dell’obiettivo della
percentuale di energia prodotta dalle fonti rinnovabili per la
realizzazione di opere di potenziamento degli elettrodotti. Tale
potenziamento servirebbe a permettere alla rete della
Repubblica ceca di sopportare il passaggio dei grandi volumi di
elettricità prodotta dalle centrali eoliche nel nord della
Germania e che vengono indirizzate verso sud. Questo sarebbe
un esempio di buona collaborazione internazionale; uno stato
con migliori condizioni naturali per lo sviluppo delle fonti
rinnovabili investe in centrali e l’altro stato con una posizione
geografica strategica per agevolare il trasporto di energia
investe invece nelle infrastrutture per la trasmissione a lunga
distanza. In tal modo la rete elettrica nella regione del centro
Europa potrebbe funzionare bene e rimanere stabile mentre i
costi verrebbero divisi in modo ragionevole. In caso contrario,
le centrali eoliche in Germania, che producono elettricità in
modo poco prevedibile e stabile, diventerebbero un rischio per
la rete elettrica della Repubblica Ceca.
Lo sviluppo di uso della biomassa nella Repubblica Ceca non
dovrebbe causare ripercussioni sulla sicurezza alimentare. La
Repubblica Ceca dovrebbe migliorare l’uso energetico dei rifiuti.
Nel 2009 solo il 9% di rifiuti non riciclabili sono stati usati per
la produzione di energia. L’obiettivo è quello di aumentare la
percentuale sino all’80% entro il 2040.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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76
Uno dei principali obiettivi per assicurare la sicurezza
energetica della Repubblica Ceca è il rafforzamento della rete
elettrica, la quale dovrebbe essere in grado di sostenere il
transfer dell’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili nel nord
d’Europa e consumata nel Sud. Il trasporto di elettricità
prodotta dalle centrali eoliche nel nord della Germania, usando
la Repubblica Ceca come il paese di transito, dovrebbe
diventare una delle priorità della sicurezza energetica europea
sostenuta adeguatamente anche dai fondi europei.
Per assicurare la sicurezza energetica della Repubblica Ceca è
necessario potenziare la rete elettrica interna. In tal modo,
infatti, anche nel caso di blackout della rete europea di
trasmissione, la Repubblica Ceca avrebbe la capacità per
assicurare le forniture a tutte le utenze nazionali anche se solo
per un breve periodo. Per quanto riguarda le forniture di gas
esiste una rete ben sviluppata con serbatoi di emergenza di
notevoli dimensioni. Per quanto riguarda il petrolio è
importante che vengano realizzati serbatoi per assicurare la
copertura per più di 100 giorni di consumo. La rete di
riscaldamento, basata sul carbone, riesce a superare quasi ogni
tipo di crisi.
Obiettivi strategici del settore energetico fino al 2040
La politica energetica per i prossimi anni s’impernia sui tre
seguenti principali obiettivi:
Sicurezza delle forniture energetiche – vuol dire assicurare la
fornitura di energia per tutti i clienti anche a fronte di eventi
esterni drammatici e in situazioni di emergenza.
Competitività (energetica e sostenibilità sociale) – il prezzo
finale dell’energia per tutte le utenze dovrà essere simile
rispetto a quello dei paesi della regione e degli altri paesi
emergenti.
Sostenibilità (sviluppo sostenibile) – la struttura del settore
energetico a lungo termine dovrà essere sostenibile nel rispetto
all’ambiente, ai parametri economici e finanziari, alla
manodopera specializzata, impatto sociale (occupazione) e
fonti primari (disponibilità).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
77
Per quanto riguarda la sicurezza energetica, la priorità è
rafforzarla. La situazione desiderata verrebbe raggiunta tramite
una maggiore diversificazione dei paesi d’importazione delle
materie prime energetiche e un miglioramento
dell’infrastruttura dei trasporti per le importazioni dei
combustibili in modo tale che la Repubblica Ceca mantenga la
posizione strategica di paese di transito. Si dovrà tendere ad
un maggior ricorso alle fonti domestiche e ad un loro più
efficiente utilizzo. Nello stesso tempo bisogna creare condizioni
per la loro ricerca, tutela territoriale e legislativa. Il mix
energetico non dovrà essere dominato dalle fonti
d’importazione o non economiche. È inoltre necessario
mantenere un sufficiente livello di scorte di combustibili
d’importazione. L’infrastruttura energetica dovrà essere
protetta e sviluppata velocemente per le necessità future. La
rete elettrica e gas deve essere irrobustita per affrontare
eventuali shock esterni e per poter funzionare in regime di
isolamento. Il controllo dello stato nelle società strategiche
energetiche non dovrà diminuire. Al contempo, non dovrebbe
aumentare l’influenza di paesi o società che sono già tra i
principali fornitori di materie prime energetiche evitando che
acquisiscano una posizione dominante nella filiera di settore,
dall’importazione alla distribuzione.
I principali obiettivi per garantire la sicurezza energetica in
prossimi anni sono:
- nell’ambito della politica estera sviluppare relazioni
economiche, reciprocamente vantaggiose, con i paesi e le
regioni d’interesse dal punto di vista delle importazioni di
fonti energetiche;
- sostenere progetti di sviluppo delle infrastrutture di
collegamento nord-sud (elettricità, gas, petrolio);
- assicurare il reperimento di fonti energetiche per poter
sostituire carbone nella produzione del calore per
riscaldamento;
- favorire la diffusione di sistemi di riscaldamento che
possano utilizzare vari combustibili e cambiarli velocemente
al minimo di 30%;
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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- mantenere le scorte di petrolio al livello di 90 giorni di
importazioni nette e tentare di aumentarle a 120 giorni;
- sostenere progetti di aumento della capacità di stoccaggio
dei serbatoi di gas interrati;
- effettuare gli investimenti tecnologici per poter variare la
direzione d’invio del gas in modo tale da utilizzare lo stesso
gasdotto dall’est (Slovacchia) verso ovest (Germania) o
viceversa, a seconda, delle esigenze dei paesi al livello di 40
milioni m3;
- mantenere scorte di combustibile per le centrali nucleari per
un periodo d’esercizio pari a tre anni, oppure assicurare le
forniture delle stesse con contratti a lungo termine o
mantenere le scorte di uranio arricchito e produrre il
combustibile in Repubblica Ceca. Quest’obiettivo dovrà
essere raggiunto in parallelo con l’aumento della
percentuale di energia nucleare presente nel mix energetico
che dovrebbe raggiungere una quota del 50-60%;
- sviluppare strategie energetiche regionali per assicurare alle
grandi città forniture di energia anche in situazioni di
emergenza, d’isolamento dovuto a guasti o a calamità
naturali;
- porre in essere, a livello centrale e regionale, strumenti di
coordinamento per affrontare situazioni di emergenza nel
settore dell’elettricità, del gas e del riscaldamento;
- monitorare investimenti esteri nel settore energetico
sopratutto in alcuni soggetti dell’infrastruttura strategica per
evitare situazioni che potrebbero significare una minaccia, la
quale si potrebbe materializzare tramite uno sfruttamento
del controllo di aziende energetiche come braccio di ferro
per propri interessi economici e politici danneggiando la
Repubblica Ceca. Nello stesso tempo non diminuire
l’influenza e controllo di stato nelle società strategiche.
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Fonti rinnovabili di energia (FER) per la produzione di elettricità: quadro della situazione in Slovenia
S.E Iztok Mirosic. – Ambasciatore della Repubblica di Slovenia in Italia
Boris Antolic – Ministro Consigliere dell’Ambasciata della Repubblica di Slovenia in Italia
I paesi dell’UE si sono impegnati affinché la quota di fonti
rinnovabili di energia (FER) aumenti8. Per raggiungere questo
traguardo sono stati instaurati negli ultimi anni vari meccanismi
a sostegno degli investimenti nel settore della produzione
dell´energia elettrica da fonti rinnovabili. Come la maggioranza
dei paesi, inclusa l’Italia, la Slovenia utilizza una versione del
sistema delle tariffe d’acquisto garantite (c.d. sistema feed-in).
Il sistema elettrico sloveno è peraltro uno tra i sistemi più
piccoli in Europa. La potenza di picco del consumo ammonta a
circa 1900 MW. In Slovenia le fonti della produzione elettrica si
suddividono approssimativamente in tre parti: un terzo
appartiene all’energia nucleare, un terzo all’energia che
proviene dalle centrali termoelettriche prevalentemente a
carbone e, infine, l’ultimo terzo rappresenta l’energia idrica e le
altre fonti rinnovabili. Pur essendo un mercato di esigue
dimensioni, il mercato sloveno è comunque importante per la
sua posizione geografica, considerando che fa da collegamento
sia per il mercato continentale tedesco-austriaco, sia per il
mercato italiano con il bacino energetico dell’area balcanica. Le
interconnessioni sono ben performanti in tutte le zone di
confine sloveno, con l’esclusione dell’area di confine con
l’Ungheria, dove le condotte d’interconnessione sono in fase di
costruzione. Sul mercato sloveno sono presenti numerosi
8 Per informazioni in lingua inglese si può consultare il sito: www.borzen.si (i dati statistici, la guida per gli investitori con la descrizione di tutta la
procedura per la messa in opera delle centrali e dell’entrata nello schema di sostegno).
Info e dati statistici forniti da Borzen, per ulteriori informazioni contattare: Karlo Peršolja ([email protected]), Borut Rajer ([email protected]).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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grossisti di energia elettrica. Al 30 giugno 2013 si registrano in
Slovenia 51 gruppi di bilancio (di cui 17 sloveni e 34 delle
aziende estere) e 20 sottogruppi di bilancio (di cui 15 sloveni e
5 esteri). In Slovenia è operativa anche la Borsa dell’energia,
partecipata dall’azienda slovena Borzen e dall’operatore
sistemico ELES (www.bsp-southpool.com).
Immagine: Situazione sul mercato sloveno e scambi transfrontalieri di elettricità
La Slovenia ha dunque deciso di perseguire l’obiettivo dell’UE
riguardo alle fonti rinnovabili, cioè di raggiungere la quota del 25% di FER nel consumo finale lordo di energia, servendosi anche dello schema di sostegno (finanziario) sotto forma di
‘modello FIT’. Anche se la Slovenia sta utilizzando questo schema già dal 2001, quindi prima che i più recenti obiettivi
europei fossero fissati, nel 2009 lo schema è stato completamente riadattato.
Tabella: Obiettivi settoriali FER in Slovenia negli anni (%)
Settore 2005 2010 2020
Calore e freddo 20 22,3 30,8
Elettricità 28,5 32,4 39,3
Trasporto 0,3 2,6 10,5
Quota totale FER 16,2 17,7 25,3
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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L´idea dello schema di supporto – incluso quello sloveno - è
chiara: creare le condizioni migliori di quelle di mercato (c.d.
sovvenzioni), altrimenti gli investimenti non si realizzano. Di
norma, gli investimenti in crescita portano alla riduzione del
costo dell’investimento, fino al punto in cui le singole tecnologie
non hanno più bisogno di contributi di sostegno. Gli schemi di
sostegno (finanziario) rappresentano prevalentemente uno
strumento degli aiuti di Stato che però prevedono certi oneri
amministrativi e presupposti – per esempio il divieto di
accumulare gli aiuti provenienti da diverse fonti.
Negli attuali schemi di sostegno, gestiti dalla società Borzen,
risultano inserite in data 30.6.2013 ben 3190 unità con
potenza nominale complessiva di 461 MW, il che rappresenta
circa il 14% di tutta la potenza installata in Slovenia. All’inizio
del 2009, quando la Borzen prese in gestione lo schema, vi
erano inserite 560 unità con potenza complessiva di 210 MW.
Per tradizione, il ruolo più importante tra le fonti rinnovabili per
la produzione dell’energia elettrica in Slovenia appartiene
all´energia idrica. Oltre alle grandi centrali idroelettriche su tre
anelli fluviali sloveni (i fiumi Soča, Drava e Sava), esistono più
di 450 piccole centrali idroelettriche, la maggioranza delle quali
è stata inserita anche nello schema di sostegno. Le centrali più
datate sono saltate fuori dallo schema di sostegno, ma tuttora
producono elettricità.
Nella tabella sottostante sono illustrate delle dinamiche inerenti
le piccole centrali nello schema di sostegno. Nel 2009, dal
numero complessivo di 570 centrali presenti nello schema, ben
tre quarti di queste erano le piccole centrali idriche, mentre,
secondo il criterio della potenza, la quota delle centrali
idroelettriche rimase inferiore al 50%. Alla fine del 2011 circa
75% di tutte le piccole centrali idriche furono fuori dallo
schema di sostegno. Dopo il 2011, invece, si segnalano solo
100 piccole centrali idriche nello schema (a causa di tecnologie
superate).
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Tabella: Piccole centrali idriche nello schema di sostegno nel periodo 2009-2011
2009 2010 2011 2012
Numero di centrali nello schema
427 432 427 102
Potenza installata delle centrali (MW)
102,7 106,4 105,8 25,5
Rimane da rilevare che l’incremento del numero delle centrali
nello schema è stato molto asimmetrico. Dopo il 2009, il
numero delle nuove centrali idriche rimane basso, più che altro,
a causa delle procedure complicate per l’ottenimento dei
permessi, ciò nonostante emergono però molte centrali
fotovoltaiche. Mentre nel 2009 quest’ultime arrivano a produrre
una modesta potenza di 1,6 MW, nel 2013 raggiungono quasi i
220 MW. Un importante incremento si segnala anche nelle
centrali a biogas (34 MW nel 2013), con prevalenza del biogas
da biomassa, seguito dal gas da deposito rifiuti.
Tabella: Trend dello schema di sostegno (2009-2012)
Anno 2012 2011 2010 2009
Quantità dell´energia elettrica (in kWh)
653.969.311
943.253.650
995.508.812
934.180.729
Sostegni finanziari erogati secondo i contratti (in EUR , IVA esclusa)
89.777.431
69.505.462
48.588.434
22.736.785
Sostegno medio (in EUR/kWh) 0,13728 0,07369 0,04881 0,02434
Dalla tabella sopra si evince che le risorse finanziarie
necessarie per l’erogazione di contributi a sostegno sono in
notevole aumento, infatti, sempre più centrali si inseriscono
nello schema, quindi i beneficiari di cospicui incentivi (in
prevalenza le centrali fotovoltaiche), mentre la quantità di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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produzione registra una stagnazione. Infatti, una centrale
fotovoltaica media produce fino a 4 volte meno energia all’anno
di una piccola centrale idrica.
Osservando attentamente la tabella sotto si nota che sono
proprio le centrali fotovoltaiche cui vengono erogati quasi la
metà dei sostegni.
Tabella: Energia prodotta e sostegni finanziari erogati nel 2012 secondo le tipologie
delle centrali
Tipologia dell´ impianto
Energia prodotta (GWh)
Sostegno (mio EUR)
Quota del sostegno (%)
Quota dell´energia (%)
Centrali idroelettriche 100,6 5,8 6,5% 15,4%
Centrali fotovoltaiche 121,4 38,2 42,5% 18,6%
Centrali eoliche >0 >0 >0 >0
Centrali a biogas 150,6 18,3 20,4% 23,0%
Centrali a biomassa 80,9 8,7 9,7% 12,4%
Cogenerazione a combustibile fossile 199,0 18,4 20,5% 30,4%
Altro 1,5 0,4 0,4% 0,2%
TOTALE 654,0 89,8 100,0% 100,0%
Anche nel 2013 si prevede la continuazione di questo trend e
così di seguito, quando i pagamenti supereranno i cento milioni
di Euro. Quando nuove centrali sono inserite nello schema,
viene loro erogato un contributo di sostegno per 15 (FER)
rispettivamente per 10 anni (coproduzione dell’energia elettrica
e del calore).
La situazione delle centrali cambia in continuazione, poiché le
nuove centrali entrano nel sistema (completata la costruzione e
ottenute la rispettiva dichiarazione e la delibera sulla
concessione del sostegno, quest’ultima rilasciata dall’autorità di
competenza – l´agenzia pubblica per l´energia), mentre delle
altre lo abbandonano. In questo modo chiaramente si crea la
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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cosiddetta “inerzia” del sistema, che significa che i
finanziamenti aumenteranno anche nel futuro. Questo fatto
contraddistingue sia il nostro schema, come anche gli altri
schemi, dove si eseguono i pagamenti in base alla produzione
effettiva durante un lungo periodo. In ogni caso, la Slovenia
non si distingue dagli altri paesi con i sistemi simili. I risultati e
i problemi sono simili, come per esempio il notevole incremento
delle centrali fotovoltaiche oppure la crescita veloce delle
risorse necessarie per l’erogazione dei sostegni. La Slovenia
però ha una specificità – la totale assenza degli impianti eolici.
I motivi sono da cercare nuovamente fuori dallo schema di
sostegno, poiché gli incentivi offerti sono adeguati. Le difficoltà
si creano soprattutto nella collocazione territoriale degli
impianti eolici rispettivamente nell’ottenimento dei permessi.
Come da Rapporto sul progresso, redatto in conformità a
quanto previsto dalla Direttiva sulle Fonti rinnovabili
(2009/28/ES), che alla fine del 2011 la Slovenia trasmise alla
Commissione Europea, nel 2009 la quota delle fonti rinnovabili
raggiunge il 33,8%, mentre nel 2010 è di 32,2%. La quota
complessiva di FER (quota del consumo finale lordo di energia),
invece, risulta essere cresciuta dal 18,99% al 19,9%, non solo
per quanto riguarda l’elettricità. È evidente che si debba fare
ancora molto per raggiungere entro il 2020 il traguardo del
25% delle fonti rinnovabili nel consumo lordo finale di energia.
Lo schema di sostegno rappresenta per una scarsa e dispersiva
produzione dell´elettricità da fonti rinnovabili indubbiamente
uno degli strumenti per il raggiungimento di questo traguardo.
Viste le esperienze slovene e quelle fatte all’estero, tali schemi
necessitano soprattutto di stabilità e prevedibilità. Negli anni
passati in molti paesi europei questo non è stato sempre il caso
e, in parte, neanche in Slovenia. La stabilità è qui intesa in
senso dello sviluppo equilibrato e non in senso secondo cui
niente deve cambiare. Al contrario, si deve cambiare e
cambieranno ancora molte cose, sia l´ammontare dei contributi
di sostegno, come anche gli altri parametri.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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La sicurezza energetica della Serbia
S.E. Ana Hrustanovic – Ambasciatore della Repubblica di Serbia in Italia
Rade Berbakov – Primo Consigliere dell’Ambasciata della Repubblica di Serbia in Italia
La sicurezza energetica di un paese non si può analizzare
separatamente dalla regione in cui esso si trova, né
separatamente da una più larga comunità internazionale a cui
appartiene geograficamente o in altro senso. Quando si parla di
questo argomento, analizzando la sicurezza, sia di rifornimenti
di energia attuali che quelli futuri, della Serbia, occorre
osservare la posizione del nostro Paese in un contesto più
ampio di sicurezza dei rifornimenti della Regione in cui si
trovano i paesi membri dell’UE (Ungheria, Romania, Bulgaria,
Grecia, Croazia) e i paesi che un giorno diventeranno membri
dell’UE (Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Albania,
Montenegro).
In generale, la sicurezza energetica di un paese è legata in
modo inscindibile alle risposte alle seguenti domande:
- si produce sufficiente quantità di energia?
- ci sono delle riserve di energie nei casi di complicanze nei
rifornimenti nel mercato?
- esistono canali alternativi di rifornimenti nel caso che i
canali esistenti siano insufficienti o interrotti?
- esistono dei contratti flessibili sui rifornimenti?
- è possibile effettuare la sostituzione di una fonte di energia
con un’altra?
- quanta energia può essere risparmiata ovvero quale è
l’efficienza energetica?
Come è noto, la sicurezza energetica è diversa per i diversi
“campi energetici”, gas, petrolio, energia elettrica, e via
dicendo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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La sicurezza dei rifornimenti di gas
Quando si parla dei rifornimenti di gas, l’intera Regione di cui fa
parte la Serbia al momento è altamente dipendente dalle
consegne di gas dalla Russia. L’aumento di produzione di gas, il
quale presumibilmente è possibile realizzare nei paesi della
Regione, come soluzione per la diminuzione di questa
dipendenza non è un’opzione realistica. D’altronde, è possibile
in futuro diminuire la dipendenza della Regione dai rifornimenti
di gas dalla Russia a seguito della costruzione del rigasificatore
(terminal LNG), e a seguito della costruzione di nuovi gasdotti,
i quali trasporteranno il gas dall’Azerbaigian. Tuttavia, questo
scenario non è fattibile prima del 2016.
La Serbia che attualmente consuma circa 2,3 miliardi di m3 di
gas, provvede al 20% di questa quantità dai giacimenti
nazionali, mentre sopperisce al residuo 80% con l’importazione
dalla Russia. Da questo dato si deduce che provvedere ai
rifornimenti sicuri di questa fonte di energia è di importanza
strategica per la Serbia. Come esempio di quello che può
succedere ad un paese se non provvede tempestivamente alla
diversificazione dei rifornimenti, può essere indicato il caso del
2010 quando, a seguito del “contenzioso di gas” tra la Russia e
l’Ucraina, una buona parte dell’Europa fu esposta alla grande
carenza di gas. A questa crisi furono particolarmente esposti
paesi che non dispongono di stoccaggio di gas naturale in
sotterraneo, come fu, all’epoca il caso della Serbia. Oggigiorno,
la Serbia dispone dello stoccaggio di gas naturale in
sotterraneo Banatski dvor, di capacità di 450 milioni di m3, il
quale aumenta notevolmente la sicurezza energetica del paese.
Si pianifica la costruzione di un altro stoccaggio di gas naturale
in sotterraneo “Srpski Itebej”.
Una delle priorità della Serbia ai fini di un futuro sviluppo del
mercato di gas – e di conseguenza dei sicuri rifornimenti dello
stato con questa fonte di energia – è la costruzione del
gasdotto South Stream. A questo scopo, l’impresa pubblica
Srbijagas ha stipulato, nel 2010, l’accordo sulla costituzione di
un’impresa congiunta con la Gasprom russa. Con questo
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Accordo la Gasprom è diventata l’azionista maggioritario con il
51% di azioni, mentre la Srbijagas è proprietaria della parte
rimanente del 49%. Il compito della società congiunta è di
progettare, di costruire e di gestire il tratto del gasdotto South
Stream che si troverà sul territorio della Serbia. Ci si aspetta
che la costruzione del tratto del South Stream sul territorio
serbo potrebbe iniziare a fine anno corrente, e che la parte
russa potrebbe finanziare il progetto, valutato a 1,7 miliardi di
euro. Se questo modo di finanziare la costruzione viene
accordato, la Serbia risarcirebbe l’investimento al Gasprom al
momento dell’inizio del trasporto di gas, dalle tasse di trasporto
riscosse (transport duty).
Oltre alla costruzione di questa grande infrastruttura di gas,
per la Serbia è di estrema importanza anche l’interconnessione
con i gasdotti esistenti della Regione. In questo senso, il
collegamento a doppio senso con la Romania e con la Bulgaria
rappresenta la priorità e i progetti ai quali la Serbia è molto
interessata. Allo stesso modo, sono previste anche le possibilità
di interconnessione del braccio principale del South Stream con
la Bosnia ed Erzegovina e con la Croazia.
La sicurezza dei rifornimenti di petrolio
Riguardo ai rifornimenti di petrolio, la Regione a cui appartiene
la Serbia – come nel caso dei rifornimenti di gas – manifesta
una grande dipendenza dalle esportazioni. Attualmente la
Regione si rifornisce dall’oleodotto JANAF (dal quale si
riforniscono la Croazia, la Serbia, la Bosnia ed Erzegovina),
dall’oleodotto Salonicco-Skopje (i rifornimenti della Macedonia)
e dall’oleodotto Drzba (i rifornimento dell’Ungheria e una parte
della Croazia). La Romania e la Bulgaria si riforniscono tramite i
porti del Mar Nero. Un eventuale aumento della produzione di
petrolio grezzo dalle fonti nazionali non può avere alcun
impatto significativo sul cambio della posizione strategica dei
paesi della Regione. Il che significa che anche in futuro essi
dipenderanno dall’importazione di petrolio grezzo e che come
tali dovranno pianificare la loro politica energetica.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Considerata questa situazione, le possibili direzioni ai fini della
diversificazione dei rifornimenti di petrolio con l’obiettivo
dell’aumento della sicurezza energetica, nonché
dell’abbassamento del prezzo del trasporto di petrolio grezzo
verso la Repubblica di Serbia sono i seguenti:
- lo sviluppo dei nuovi progetti di infrastruttura (Oleodotto
paneuropeo – PEOP – Costanza-Pancevo-Omisalj-Trieste);
- interconnessione dei bracci dell’oleodotto dalla Romania con
le raffinerie di Pancevo (Pancevo-Ploesti);
- l’ottimizzazione del totale dei costi di trasporto per i
rifornimenti dall’oleodotto Druzba.
Si parla da tanti anni della costruzione dei suddetti oleodotti. In
questo momento non esistono precise scadenze relative
all’inizio della costruzione di questi oleodotti. In ogni caso, non
è realistico aspettarsi che la loro realizzazione inizi nei prossimi
anni. Anzi, si pone, sempre più spesso, la domanda della
fattibilità della costruzione dell’Oleodotto Paneuropeo – PEOP,
ovvero dell’oleodotto che dovrebbe essere costruito sul tratto
lungo la linea Costanza-Pancevo-Omisalj-Trieste. Nel momento
in cui fu proposta la costruzione del PEOP e quando furono fatti
gli studi sulla sua costruzione (la prima metà del decennio
scorso), la situazione sul mercato di petrolio era
completamente diversa. Il consumo di petrolio grezzo in Europa
era molto maggiore, il prezzo di petrolio era più basso, e la
politica energetica dei paesi che dovevano essere la
destinazione finale era notevolmente diversa. Quanto all’altro
progetto, ovvero l’interconnessione delle raffinerie serbe
Pancevo e Novi Sad con l’oleodotto rumeno esistente, le
possibilità per la loro realizzazione sono un po’ migliori. A
conferma anche il fatto che il pacchetto maggioritario della NIS
(Naftna industrija Srbije – Industria Petrolifera della Serbia) è
stato venduto nel 2009 alla Gasneft russa, la quale attraverso
grandi investimenti nelle raffinerie e in tutta l’industria
petrolifera della Serbia dimostra una palese intenzione di
diventare il leader dell’industria petrolifera di questa parte
dell’Europa. Per la realizzazione di questi progetti di business
l’interconnessione dell’oleodotto con la Romania potrebbe
incidere parecchio, dato che in questa maniera si
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
89
provvederebbe ai rifornimenti del mercato serbo di petrolio
grezzo in modo alternativo.
In questo per la Serbia è di estrema importanza anche la
realizzazione del Contratto sulla Comunità Energetica, il quale
prevede che i membri debbano implementare la Direttiva
119/2009/UE al più tardi entro il 1° gennaio 2023. Questa
Direttiva impone ai paesi membri di stabilire delle obbligatorie
riserve di petrolio e/o derivati del petrolio. Riguardo
all’implementazione della Direttiva, la Serbia ha intrapreso
delle misure verso il processo della stabilizzazione di un quadro
di leggi per la costituzione delle riserve obbligatorie, nonché
dello stoccaggio di attuali riserve di petrolio e di derivati del
petrolio, nelle attuali capacità di stoccaggio. Affinché si
adempia alla summenzionata Direttiva nei tempi preposti,
occorre fare dei significativi investimenti nelle capacità di
stoccaggio, nonché per i rifornimenti di petrolio e di derivati del
petrolio.
La sicurezza nel campo elettroenergetico
La Serbia ha adottato la legge sull’energia ad agosto 2011,
completamente adeguato alle Direttive 2003/54/UE,
2005/89/UE, 2005/89/UE.
Nel 2011 la Serbia (senza il Kosovo e Metohija) ha speso 35
000 GWh, ha importato 1792 GWh e ha esportato 2033GWh. In
questo modo è stato realizzato il saldo positivo di 241GWh,
mentre il saldo della Regione, per lo stesso anno, è stato
negativo (-5860 GWh).
La EPS (Elektro privreda Srbije – Impresa di energia elettrica
della Serbia), nelle sue proiezioni (tabella 1), ha fatto le
previsioni del consumo lordo, per il periodo entro il 2017, per il
territorio di consumo della Repubblica di Serbia. Queste
proiezioni prevedono che nei prossimi anni sarà necessaria
l’importazione di energia elettrica in Serbia, visto che l’EPS non
potrà, con le capacità attuali, a sopperire al consumo del paese.
La carenza di energia si riferisce al periodo invernale, mentre
un eventuale surplus nel periodo estivo si potrebbe esportare
conformemente alla situazione sul mercato regionale.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Tabella 1. La proiezione del consumo lordo della Repubblica di Serbia entro il
2017
2014 2015 2016 2017
ТWh
Consumo/Consumo
lordo 34.2 34.7 35.1 35.3
Possibile
importazione/acquisto 1.5 1.5 1.9 1.9
Come già accennato, la situazione sul mercato
elettroenergetico della Serbia è inscindibile dalla situazione
della Regione. La Regione attualmente non dispone di
sufficiente energia elettrica, e il deficit energetico diminuisce
solamente negli anni con l’idrologia favorevole, come avvenne
nel 2009. La situazione è particolarmente critica d’inverno.
Mediamente, nella Regione, negli ultimi 7 anni, sono mancati
da 1,5 a 10 TWx all’anno. Il che significa che la sicurezza
energetica della Regione, e dunque anche della Serbia, può
essere sempre minacciata dalle condizioni meteo (l’esempio del
febbraio del 2012). Negli anni in cui la Regione non gode delle
condizioni meteo positive, ovvero quando ci sono poche piogge,
l’unica difesa del sistema energetico sono le riduzioni
dell’energia elettrica. La situazione totale energetica in questa
parte dell’Europa è tanto più negativa se si includono la Grecia,
l’Italia e la Moldavia, paesi che tradizionalmente tendono verso
il mercato della Regione dove fanno lo scambio di energia.
Dal punto di vista della Serbia, la soluzione del problema del
deficit di energia elettrica può essere analizzato a breve e a
lungo termine. A breve termine (4-5 anni in anticipo) la
soluzione è l’aumento delle capacità di trasmissione affinché la
Regione possa importare maggiori quantità (direzione nord e
direzione ovest). A lungo termine (5-10 anni a partire da oggi),
solamente la costruzione delle nuove capacità di costruzione
nella Regione provvede alla sicurezza energetica della Regione
come entità. In pratica, in questo momento, la Regione
scarseggia di almeno 1000 MW di capacità produttive.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
91
Quanto ai nuovi progetti elettroenergetici, per la Serbia sono di
rilevanza strategica l’aumento delle capacità della centrale di
gas TE-TO Novi Sad di 230MW, nonché la costruzione delle
centrali reversibili Bistrica di 720MW e Derdap 3 di 2400MW.
Tutte queste centrali potrebbero essere attive entro il 2020, nel
caso che si trovino i mezzi per finanziare tali progetti.
Per quanto riguarda le interconnessioni a lungo raggio, la
situazione della Serbia è positiva, il che non è del tutto caso
della Regione. Per la Serbia anche la costruzione
dell’interconnessione Serbia – Montenegro – Italia – che
dovrebbe essere costruita dalla TERNA - è di particolare rilievo.
Lo stato di fatto sugli altri aspetti della sicurezza energetica e le conclusioni
Da quanto esposto sopra si può dedurre che la situazione
attuale riguardo alla sicurezza energetica della Regione e della
Serbia non è al livello invidiabile. Oltre all’analisi della sicurezza
di gas, petrolio ed elettroenergetica, esistono anche altri
aspetti che condizionano la sicurezza energetica della Serbia.
Uno degli aspetti è anche il commercio di energia. Esso si
svolge tramite i venditori, e la borsa di energia elettrica, di gas
e di petrolio non è sviluppata, e pertanto non esistono
nemmeno dei contratti flessibili sui rifornimenti. La Regione
dipende da un unico fornitore di gas il quali offre – è vero – dei
contratti a lungo termine sui rifornimenti di gas, ma i quali non
sono – forse con eccezione nel caso della Serbia –
particolarmente flessibili. Infatti, si basano sulla formula
petrolifera e sul principio “pieno per vuoto”. Considerato questo
fatto, forse i paesi della Regione dovrebbero prendere in
considerazione un approccio congiunto all’atto dell’acquisto di
gas alfine di ottenere l’abbassamento del prezzo.
Dal punto di vista dei rifornimenti di petrolio grezzo e di
derivati del petrolio, alcuni effetti si potrebbero ottenere
acquistando le concessioni petrolifere, e la Serbia potrebbe
aspettarsi un particolare beneficio dalla costruzione
dell’oleodotto da Ploestij fino a Pancevo. Alcuni minori effetti si
potrebbero ottenere anche con l’aumento della produzione
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
92
nazionale. Occorre prestare una particolare attenzione alla
possibilità di concludere dei contratti flessibili a lungo termine
sui rifornimenti di petrolio, il che non avviene al momento.
D’altra parte, la possibilità di rifornimenti dei derivati del
petrolio nel caso della crisi è soddisfacente e attualmente non
rappresenta un pericolo a scapito del sistema energetico dei
paesi, nonostante le scorte delle riserve obbligatorie non sono
sufficienti. Esiste un numero consistente di raffinerie e il
surplus delle capacità nella Regione e nei dintorni, il che
permette una certa flessibilità.
Tuttavia, la chiave della sicurezza energetica della Serbia e
dell’intera Regione sta nelle capacità produttive di energia
elettrica. Esistono potenzialità affinché la Serbia e l’intera
Regione producano una quantità sufficiente di energia che
adempia al proprio fabbisogno. I progetti esistono ma
generalmente mancano i mezzi finanziari per la loro
realizzazione. In questo campo gli effetti maggiori si
potrebbero realizzare con la costruzione delle centrali elettriche
reversibili e un po’ di meno con la costruzione di centrali a gas
per gli interventi in casi di eccessivo carico e delle condizioni
idrologiche negative. Il paese che investirà per primo e che
costruirà le centrali elettriche mancanti della potenza di 1000
MW e che investirà nelle centrali idroelettriche reversibili, potrà
ottenere un vantaggio strategico rispetto agli altri paesi della
Regione. Chi per primo completa la carenza del mercato
sfrutterà i benefici della legge dell’offerta e della richiesta. Al
contempo, l’interconnessione della Regione deve essere
rafforzata tramite le costruzioni aggiuntive delle condotte di
interconnessione.
Un argomento collegato alla sicurezza energetica è l’efficienza
energetica la quale, in Serbia e nella Regione, globalmente
parlando, è di livello più basso in Europa. Proprio questo
segmento rappresenta un grande potenziale, visto che è
sempre più economico risparmiare che produrre energia.
Bisogna sottolineare che gli investimenti nella produzione di
energia di fonti alternative e rinnovabili di energia, in Serbia e
nella Regione, attualmente solamente agli inizi, in futuro
aumenteranno la sicurezza energetica della Regione.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Infine, bisogna sottolineare che la visione della Serbia è che il
suo settore energetico sfrutti una posizione geografica
favorevole del Paese e che in questo modo diventi un vero
traino dello sviluppo del Paese. Il Ministero dell’Energia, dello
Sviluppo e della Tutela dell’Ambiente ha avallato la Bozza della
Strategia di sviluppo energetico della Serbia entro il 2025, con
le proiezioni entro il 2030. Secondo questa strategia, è previsto
che la Serbia, entro il 2020, produca dalle fonti rinnovabili
all’incirca il 27% di energia totale, e che aumenti la sua
efficienza energetica del 9%, e inoltre si pianifica il
proseguimento della liberalizzazione del mercato di elettricità e
di gas. Ormai si stanno intraprendendo le misure per
aumentare la sicurezza energetica ed ecologica. Nei prossimi
anni saranno costruite nuove centrali idroelettriche,
termoelettriche, impianti per le fonti rinnovabili di energia e si
presterà particolare attenzione all’aumento dell’efficienza
energetica.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Nuovi Scenari Energetici: un’occasione per l’Europa Carlos Pascual – Inviato Speciale per Energia USA
Viviamo un'epoca di profondi cambiamenti nel settore
dell'energia. Il concetto di domanda e offerta che molti di noi
avevano in mente - i Paesi dell'area OPEC producono il petrolio
che i Paesi sviluppati consumano - è ormai superata. Le
innovazioni tecnologiche hanno permesso agli Stati Uniti di
diversificare il proprio bacino di fonti di energia, una
combinazione di iniziative green e significativi aumenti nella
produzione di petrolio e gas naturale ha dato un grande
contributo al rafforzamento della nostra sicurezza energetica
nazionale. Tuttavia la nostra sicurezza energetica è legata a
quella globale, e in particolare a quella europea. Sosteniamo
l'impegno dell'Europa per la diversificazione geografica delle
sue fonti energetiche, per l'incremento di produzione sia di
rinnovabili che di idrocarburi, per la modernizzazione dei suoi
programmi nucleari e per la sua accresciuta efficienza
energetica, il tutto mentre ricerca una maggiore integrazione
del mercato europeo dell'energia.
La tecnologia, l'imprenditoria, una buona regolamentazione e i
prezzi per l’acquisizione delle materie prime hanno
radicalmente ridotto la dipendenza degli Stati Uniti
dall'importazione di petrolio, e modificato la geografia
dell'energia. Questo cambio fondamentale accresce la stabilità
geopolitica (o sicurezza nazionale), favorisce la crescita
economica a livello globale e, se gestito correttamente, può
avere un impatto positivo sui cambiamenti climatici. L'Italia ha
riconosciuto questo cambiamento quando ha stabilito come
prioritario diversificare i paesi, le rotte e i flussi di
approvvigionamento, nonché a diversificare la combinazione
stessa delle fonti energetiche (fossile, rinnovabile), con
l'obiettivo di rafforzare il suo ruolo di "energy hub" che metta
in collegamento Africa, Europa centrale ed orientale e Asia.
L'Italia ha accettato la sfida dell'Unione Europea di ridurre le
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990, aumentando del
20% il risparmio energetico ed incrementando fino al 20% il
consumo di energia rinnovabile (l’Italia ha raggiunto il 17%)
entro il 2020. Infine, il governo italiano ha recepito il Terzo
Pacchetto Energetico UE, che ha introdotto modifiche alle leggi
del mercato interno volte ad ottimizzare la funzione e
rafforzare l'integrazione di energia elettrica e gas. Sia l'Italia
che gli Stati Uniti comprendono che il concetto stesso di
sicurezza energetica è cambiato notevolmente.
Partiamo da alcuni dati. La United States Energy Information
Agency (l'Agenzia statunitense per l'energia) ha calcolato che
presto la Cina prenderà il posto degli Stati Uniti diventando il
primo importatore di petrolio al mondo. L'Agenzia
internazionale dell'energia stima che gli USA potrebbero
diventare il più grande produttore di petrolio, superando
l'Arabia Saudita, entro la fine del decennio. La produzione
statunitense di petrolio è aumentata del 35% negli ultimi
cinque anni. Solo nell'ultimo anno è aumentata di oltre un
milione di barili al giorno. Se a questo aggiungiamo le misure
adottate per incrementare l'efficienza energetica e ridurre il
consumo, oggi gli Stati Uniti dipendono dalle importazioni per
un valore inferiore 40% della produzione petrolifera interna.
Questa cifra si attestava al 60% nel 2005. Quanto al gas
naturale, abbiamo aumentato la produzione del 25% negli
ultimi cinque anni. È il risultato della shale revolution, che ha
dimostrato che trasformare radicalmente la produzione di gas e
petrolio è possibile. Grazie a questa trasformazione, gli esperti
anziché soffermarsi sulle importazioni di gas naturale per far
fronte ai bisogni energetici americani, adesso riferiscono che
disponiamo di forniture di gas sufficienti per i prossimi 250 anni.
Già adesso i Paesi non-OCSE consumano più energia di quelli
OCSE. Questa tendenza avrà un’accelerazione man mano che i
Paesi industrializzati aumenteranno la loro efficienza energetica
ed incrementeranno l'uso di energie rinnovabili, mentre i Paesi
in via di sviluppo accresceranno l'uso di energia parallelamente
alla crescita delle loro economie e ai miglioramenti nella qualità
della vita. Il Dipartimento di Stato ha creato un Energy
Resources Bureau nel 2011 per analizzare l'impatto dei flussi
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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energetici sulla geopolitica e per sviluppare delle strategie volte
ad assicurarne l'accesso agli Stati Uniti ed ai nostri alleati in
tutto il mondo. Ma quali sono le conseguenze geopolitiche di
questi cambiamenti recenti, ma storicamente significativi, nel
panorama energetico?
Innanzi tutto, la maggiore autosufficienza energetica non
cambia l'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza globale, per
la pace e la stabilità nel Medio Oriente, e la sicurezza delle
nostre rotte di transito internazionali. C’è chi salta alla
conclusione che autosufficienza energetica significa che gli Stati
Uniti si disinteresseranno delle questioni energetiche globali.
C’è anche chi ha chiesto espressamente "Gli Stati Uniti si
tireranno fuori dalla questione della sicurezza energetica
globale?" La risposta è "No". È nel nostro interesse continuare
a partecipare alle discussioni e agli sforzi per promuovere la
sicurezza energetica globale. Il petrolio è una materia prima
globale. Qualsiasi interruzione delle forniture ne farebbe
aumentare i prezzi a livello globale e il prezzo che paghiamo
per l'energia (nel nostro Paese). Eventuali disfunzioni
danneggerebbero le economie e il benessere di tutti i Paesi,
con un impatto diretto anche sul benessere degli americani. Gli
Stati Uniti hanno dimostrato chiaramente il loro impegno
quando si sono uniti all'Italia e agli altri alleati NATO nel
sostenere una transizione democratica in Libia. Oggi lavoriamo
in stretta collaborazione con l'Italia, e non solo, per portare
stabilità in Libia, migliorare le condizioni di vita e incoraggiare
un rapido ritorno alla piena produzione del settore petrolifero e
del gas. Nel corso dei prossimi 25-30 anni la più grande
domanda di energia in tutto il mondo arriverà dalle economie
emergenti. Brasile, Cina, India, Sud Africa ed altri Paesi
saranno i motori chiave della domanda e sono anche tra i nostri
principali partner commerciali: sono Paesi che dettano il ritmo
dello sviluppo a livello regionale. Non possiamo non interessarci
di come questi Paesi supervisionano i loro settori energetici,
perché farlo in maniera trasparente e con stabilità contribuisce
alla stabilità non solo dei mercati del petrolio ma anche di Paesi
ed intere regioni. Dobbiamo cambiare il nostro di modo di
pensare la sicurezza energetica e il suo rapporto con la politica
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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estera e la sicurezza nazionale, dobbiamo riconoscere che ciò
che accade nei mercati energetici in ogni parte del mondo ha
delle conseguenze dirette su di noi.
Abbiamo visto le conseguenze geopolitiche dei cambiamenti
nell'energia globale con l’imposizione di sanzioni al regime
iraniano. Nel corso dell'ultimo anno queste sanzioni hanno
prodotto una riduzione delle esportazioni iraniane pari a 1
milione di barili, portandole a 1,5 milioni di barili al giorno, con
un impatto di 3-4 miliardi di dollari al mese. Anche l'Italia ha
contribuito nell'attuazione di queste sanzioni, e l'ha fatto ad un
costo relativamente alto per i suoi stessi interessi commerciali.
Allo stesso tempo, abbiamo visto interruzioni di forniture per
altri 900 mila barili al giorno. Una delle principali ragioni è la
disponibilità di forniture alternative. Ma più di tutto, gli Stati
Uniti hanno incrementato la produzione di petrolio di quasi un
milione di barili al giorno. Questo aumento della fornitura è
stato fondamentale per bilanciare domanda e offerta nei
mercati globali.
Abbiamo detto con chiarezza all'Iran che abbiamo la politica del
doppio binario, negoziati e pressione. Il nostro obiettivo è che
l'Iran sia trasparente sul suo programma nucleare. Siamo
impegnati per il dialogo, ma allo stesso tempo per esercitare
pressione se il dialogo non avviene.
Come abbiamo discusso le sanzioni con i Paesi che importavano
petrolio dall'Iran? Abbiamo avviato una discussione sui mercati
globali, non abbiamo detto loro cosa fare. Piuttosto abbiamo
esaminato le possibilità di mercato. Abbiamo parlato dei
benefici derivanti dalla diversificazione dell'approvvigionamento,
e a seguito della discussione ogni Paese ha preso la sua
decisione riguardo i passi successivi da intraprendere.
Diversificare le forniture aiuterebbe anche l'Italia ad abbassare
i suoi costi energetici, che attualmente sono tra i più alti in
Europa. Questo accrescerebbe la competitività economica del
Paese in Europa e nel mondo.
Perseguire un obiettivo fondamentale di sicurezza nazionale -
ovvero prevenire un Iran dotato di armi nucleari - ha richiesto
discussioni dettagliate sugli equilibri energetici globali. Nel
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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mondo in cui viviamo oggi, le questioni di sicurezza e quelle di
politica energetica sono diventate strettamente interconnesse.
Abbiamo inoltre visto profondi cambiamenti nel mercato globali
del gas naturale. Diversi Paesi in tutto il mondo guardano alla
rivoluzione in atto negli USA, per via dello sviluppo dello shale
gas ed altri gas non convenzionali, e stanno valutando se
ripetere l’esperienza nel proprio territorio. I mercati regionali
stanno prendendo forma man mano che il commercio di gas
naturale liquefatto cresce e diventa un'alternativa ai gasdotti
point–to–point. Il prezzo del gas naturale comincia a dipendere
da fattori diversi dal solo prezzo del greggio. Con il
consolidamento di queste tendenze, i cambiamenti nei mercati
globali del gas avranno un impatto fondamentale sulla
geopolitica e sulla sicurezza internazionale.
Alcune delle prime conseguenze geopolitiche dell’espansione
del gas negli Stati Uniti sono già emerse in Europa. Non
importiamo più grandi quantità di GNL da Paesi come il Qatar e
Trinidad e Tobago, come avevamo previsto. Tali quantità sono
state invece reindirizzate verso altri mercati, Europa compresa.
Le importazioni europee di GNL sono triplicate nell'ultimo
decennio. Triplicate. Se sommiamo l'accresciuto commercio di
GNL con le misure anti-monopolio che l'Italia e la UE hanno
implementato per assicurare l'accesso da parte di terzi e per
richiedere che i gasdotti possano muoversi da ovest ad est e da
nord a sud, quello che emerge è un mercato competitivo. Ciò
ha permesso alle utenze dell'Europa occidentale di rinegoziare i
loro contratti di fornitura con Gazprom per ridurre i prezzi e
migliorare le condizioni fiscali. Tale sviluppo ha avuto un
impatto cruciale sull'area: oggi l'Europa ha una sicurezza
energetica maggiore di quanto non lo fosse dieci anni fa.
Il deciso sostegno dell'Italia verso la Trans-Adriatic Pipeline
(TAP) è un esempio concreto del suo passaggio dalla
dipendenza da un singolo fornitore a una gamma di fonti più
diversificata e sicura. Come ha sottolineato recentemente il
Sottosegretario agli Esteri Marta Dassù, il TAP è un progetto
importante per rafforzare la sicurezza energetica dell'Italia, così
come dell'Europa, e che potrebbe contribuire alla
diversificazione delle forniture di energia per l'Europa sud-
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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orientale e per i Balcani. Predisponendo un canale per il
trasporto del gas dal giacimento di Shah Deniz in Azerbaijan al
sud Italia, e poi all'Europa, il TAP fornisce un accesso diretto al
mercato UE per il gas azero e concorrenza diretta ai fornitori
già esistenti.
L'immediato futuro porterà dei cambiamenti ancora più
profondi nei mercati globali del gas. L'aumento dell'offerta non
verrà solo dagli USA: la produzione off-shore di gas di Israele
aumenterà rapidamente, invertendo la storica dipendenza di
Israele da combustibile d'importazione. Nuovi e grandi
giacimenti verranno messi in funzione in Australia nel 2014-
2015. Le più grandi scoperte di gas naturale dell'ultimo anno
sono state in Mozambico (una scoperta dell'italiana ENI e della
compagnia americana Andarko) e in Tanzania. La Norvegia ha
scoperto il suo più grande giacimento di gas naturale dal 1942
e la Russia ha annunciato l’intenzione di produrre mille miliardi
di metri cubi di gas entro il 2030.
Oltre all'aumento della produzione di gas naturale, stiamo
assistendo anche ad un incremento nel commercio di GNL. I
mercati mondiali del gas stanno crescendo del 3% l'anno,
mentre il mercato del GNL cresce tre volte più velocemente,
accrescendo le potenzialità del commercio globale di gas
naturale e riducendo l'importanza dei mercati monopolistici
point-to-point rappresentati dai gasdotti. Il commercio
internazionale del gas sta letteralmente diventando più fluido.
In che modo possiamo mettere insieme la rapida crescita della
domanda da parte delle economie asiatiche emergenti con
l'altrettanto rapida crescita dell'offerta di gas naturale? In base
all'esperienza europea notiamo l'importanza di investire nel
hardware e nel software del commercio internazionale. Servono
investimenti nelle infrastrutture, compresi i terminali di GNL e
gasdotti interconnessi; ma serve anche uno sviluppo di quello
che io chiamo il "software" del commercio, ovvero un clima
economico che incoraggi gli investimenti, forti misure anti-
monopolio e requisiti di accesso per Paesi terzi in grado di
promuovere la concorrenza.
Con le giuste strategie, possiamo cambiare il modo in cui il gas
sarà utilizzato in futuro. Possiamo aumentare la stabilità e
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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l'incidenza dei mercati del gas facendo sì che tali mercati siano
soggetti ad una concorrenza equa e trasparente, cosa che non
abbiamo visto spesso in passato. Quando i mercati funzionano
bene, senza forzature, monopoli e senza sussidi, l'offerta
incontra la domanda e le risorse energetiche mondiali
raggiungono la loro destinazione più funzionale. Inoltre, se le
economie asiatiche in crescita avvieranno la transizione dal
carbone e dal costoso petrolio d'importazione al gas naturale -
con una combustione più "pulita" ed emissioni di gas serra
inferiori - ci saranno enormi benefici economici ed ambientali.
Negli Stati Uniti l'abbondanza di shale gas ha fatto sì che molti
generatori di energia passassero dal carbone al gas,
contribuendo a ridurre le emissioni di diossido di carbonio ai
livelli più bassi degli ultimi quindici anni. Lavorando allo
sviluppo delle nostre risorse di shale gas, negli Stati Uniti
abbiamo compreso l'importanza di discutere apertamente
l’impatto ambientale dello sviluppo, compresa la qualità
dell'aria e dell'acqua, gli impatti sismici e le emissioni di
metano. Questa consapevolezza ha messo gli Stati Uniti in una
posizione che non vale solo per l’oggi ma anche per il futuro.
Stiamo attraversando una congiuntura davvero unica, che
definisco "once in a generation opportunità". Grazie al rapido
sviluppo delle risorse di idrocarburi negli USA, abbiamo
l'opportunità di sostenere lo sviluppo economico, incoraggiare
una maggiore concorrenza nel mercato globale e rafforzare la
stabilità politica sia nei Paesi produttori che nei Paesi
consumatori, affrontando allo stesso tempo le questioni
ambientali e andando verso combustibili più puliti. Se riusciamo
a cogliere questa opportunità, saremo in grado di far crescere
le nostre economie e ad avere un impatto positivo sul pianeta.
Anche l'Europa ha la stessa opportunità, se continua a lavorare
per costruire un mercato unico dell'energia. L'Italia è in una
posizione ottima per diventare un attore fondamentale nello
scenario energetico europeo se continuerà a diversificare le
importazioni e a completare i progetti necessari, come i nuovi
impianti di GNL e i nuovi gasdotti, che farebbero dell'Italia un
gas hub fondamentale per l'Europa.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Unione Europea e “shale gas revolution”: implicazioni sulla condizione di sicurezza energetica
Fabio Indeo – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
La finalità che questo articolo si propone è quella di analizzare
le implicazioni sulla condizione di sicurezza energetica europea
derivanti da un successo della “shale gas revolution”, ovvero di
un massiccio incremento della produzione globale di gas “non
convenzionale” da scisti bituminosi. Infatti, un aumento della
disponibilità di gas naturale sul mercato e una potenziale
produzione europea di gas di scisto permetterebbero alla UE di
ridurre la propria condizione di vulnerabilità in materia di
sicurezza energetica.
Tuttavia, una serie di fattori endogeni appare destinata a
rallentare lo sviluppo di una produzione europea di gas di
scisto, attenuando di fatto gli effetti positivi per la sicurezza
energetica della UE. Inoltre, l'elevata domanda europea di gas
manterrà sostanzialmente inalterata la dipendenza dalle
importazioni, che continuerà a rappresentare una delle
principali distorsioni della politica energetica europea.
La cosiddetta “shale gas revolution” – ovvero il previsto
incremento della produzione di gas naturale nei prossimi
decenni, trainata in larga misura dall'estrazione e dalla
produzione di gas di scisto – viene identificata come una sorta
di "game changer" all'interno dello scenario energetico globale,
in grado di influenzare e rovesciare il tradizionale equilibrio tra
paesi produttori e consumatori: infatti, lo sfruttamento di
queste riserve di gas definito “non convenzionale” potrebbe
permettere ad alcune nazioni di mitigare la propria condizione
di dipendenza energetica – riducendo le importazioni – o
addirittura di raggiungere una condizione di indipendenza
energetica o di diventare esportatori di idrocarburi. Uno
scenario di questo tipo implicherebbe una graduale
marginalizzazione geopolitica-energetica di alcune nazioni
produttrici di gas naturale convenzionale - in primis la Russia -
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
102
che vedrebbero scalfito il loro tradizionale ruolo di supplier
energetici.
L'Unione Europea si caratterizza per un elevata domanda di gas
ed una marcata dipendenza dalle importazioni: ne consegue
che un aumento della disponibilità di gas naturale sul mercato
e una potenziale produzione endogena di gas di scisto le
permetterebbero di ridurre la propria condizione di vulnerabilità
in materia di sicurezza energetica, sulla quale influiscono una
serie di variabili. Partendo dal concetto di sicurezza energetica
– garantirsi un approvvigionamento di energia stabile,
abbondante e relativamente a buon mercato – si evince come
la combinazione tra la forte dipendenza europea dalle
importazioni di gas (67% del fabbisogno), il ristretto novero dei
paesi fornitori – Russia, Norvegia ed Algeria coprono da sole
oltre i 2/3 delle importazioni – il progressivo esaurimento delle
riserve endogene (la UE dispone di soli 2,3 trilioni di metri cubi,
tcm, di riserve di gas) delinei una condizione di pericolosa
vulnerabilità 9 . Infatti, in assenza di un efficace strategia di
diversificazione geografica delle rotte di approvvigionamento e
dei fornitori, una improvvisa interruzione delle forniture è
destinata a pesare negativamente sulla sicurezza energetica
europea, creando uno squilibrio tra domanda ed offerta.
Le cosiddette “guerre del gas” tra Russia ed Ucraina nel 2006 e
2009 e tra Russia e Bielorussia nel 2007 costituiscono un
efficace esempio, considerato che la Russia è il principale
fornitore di gas per la UE (30% delle importazioni
“comunitarie”). Recentemente, la condizione di instabilità ed
insicurezza connessa agli eventi della “primavera araba” ha
evidenziato la minaccia di una potenziale interruzione delle
forniture provenienti dal Nord Africa (soprattutto dall'Algeria,
terzo supplier europeo, e da Egitto e Libia, rilevanti partner
energetici per l'Europa meridionale) o transitanti dallo stretto di
Suez, chokepoint energetico attraversato dalle importazioni di
gas naturale liquido (gnl) provenienti dal Qatar, maggiore
esportatore al mondo di gnl e quarto supplier europeo.
9 European Commission, "EU energy in figures", Statistical Pocketbook 2013, pp- 22-24, http://ec.europa.eu/energy/publications/doc/2013_pocketbook.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
103
Le previsioni sulla crescita della domanda europea di gas
sembrano destinate ad accentuare questa condizione di
vulnerabilità e di dipendenza dalle importazioni. Secondo
l'International Energy Agency nel 2035 la domanda UE di gas
raggiungerà di 644 miliardi di metri cubi (mmc) l'anno: con una
produzione domestica di circa 100 mmc (escludendo una
produzione europea di shale gas) le importazioni si dovrebbero
attestare sui 540 mmc 10 , aggravando la dipendenza dai
fornitori tradizionali, in modo particolare dalla Russia che -
attraverso i gasdotti Nord e South Stream - si accinge
potenzialmente a raddoppiare i volumi di gas importati nel
vecchio continente.
Sulla base di questi dati, è evidente che un incremento della
produzione del gas di scisto assume una rilevanza strategica
per la condizione di sicurezza energetica della UE, in quanto
capace di ampliare l'offerta di gas sul mercato e la rosa dei
potenziali fornitori: sul fronte interno inoltre, lo sviluppo di una
potenziale produzione europea di gas di scisto le consentirebbe
di ridurre la quota delle importazioni e la dipendenza dalle
forniture estere.
A seguito del successo della “shale gas revolution”, gli Stati
Uniti hanno mutato il proprio status energetico diventando i
maggiori produttori mondiali di gas (dopo esser stati i maggiori
importatori di gnl), decuplicando negli ultimi 10 anni la
produzione di gas di scisto11: la prospettiva che entro il 2016
gli Stati Uniti diventino esportatori di gas potrebbe giovare alla
UE, in quanto potenziale mercato delle future esportazioni
statunitensi e dei volumi di gas precedentemente importati
dagli stessi Stati Uniti (Trinidad e Tobago, Qatar), attuando
proficuamente la strategia di diversificazione geografica degli
approvvigionamenti. Per rendere concretamente realizzabile
questa prospettiva, l'Unione Europea deve necessariamente
10 International Energy Agency, "Golden Rules for a Golden Age of Gas", World Energy Outlook 2012, IEA 2012, pp. 78, 81,
http://www.worldenergyoutlook.org/media/weowebsite/2012/goldenrules/weo2012_goldenrulesreport.pdf. 11 U.S. Energy Information Administration, "How much shale gas is produced in the United States?", EIA, 7 Maggio 2013 (last revised), http://www.eia.gov/tools/faqs/faq.cfm?id=907&t=8.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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raddoppiare la capacità delle proprie infrastrutture di
rigassificazione, raggiungendo i 300 mmc entro il 202012.
Si verrebbe così a delineare un interessante scenario di
cooperazione energetica in ambito NATO, che rafforzerebbe i
legami tra le due sponde dell'Atlantico con l'impegno diretto
degli Stati Uniti nel perseguimento della sicurezza energetica
europea, divenuto da tempo un obiettivo strategico della
politica estera europea e dei singoli stati membri. Questa
auspicabile integrazione energetica all'interno dell'Alleanza
Atlantica – che consentirebbe la riduzione delle importazioni
provenienti da paesi non NATO – verrebbe altresì consolidata
attraverso la condivisione delle tecnologie avanzate e
dell'esperienza maturata dalle compagnie energetiche
statunitensi, in modo da sfruttare razionalmente le riserve
europee di shale gas, avviandone la produzione e la
commercializzazione.
La UE possiede il 10% delle riserve mondiali di gas di scisto
“tecnicamente recuperabili”, pari a 25 tcm13,che contribuiscono
a supportare le ambizioni europee volte a rafforzare la propria
condizione di sicurezza energetica attraverso una produzione
endogena di shale gas. Nonostante la UE sia destinata a
mantenere nei prossimi decenni il suo status di importatore di
gas – a causa di una domanda crescente – la produzione
europea di shale gas risulterà utile per compensare la drastica
riduzione della produzione di gas convenzionale, cercando
altresì di ridurre la dipendenza dalle importazioni russe,
nordafricane e mediorientali14. Secondo l'International Energy
Agency, nel 2035 la produzione europea di gas si attesterà sui
12 J. Teusch, “Shale Gas and the E.U. Internal Gas Market: beyond the hype and hysteria”, CEPS Working Document, No. 369, Settembre 2012, p.6,
http://www.ceps.eu/book/shale-gas-and-eu-internal-gas-market-beyond-hype-and-hysteria. 13 Energy Information Administration, "Technically Recoverable Shale Oil and Shale Gas Resources: An Assessment of 137 Shale Formations in 41 Countries Outside the United States". EIA. Giugno 2013, p. 27,
http://www.eia.gov/analysis/studies/worldshalegas/pdf/fullreport.pdf?zscb=87853472. 14 M. Kuhn, F. Umbach, "Strategic Perspectives Of Unconventional Gas: A Game Changer With Implications For The EU's Energy Security", EUCERS STRATEGY PAPER, Vol.1, No.1, Maggio 2011, p.8.
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Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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165 mmc (rispetto ai 201 mmc del 2010), e sarà composta al
47% da gas non convenzionale: in questo modo, le
importazioni annue sarebbero attorno ai 479 mmc, inferiori
rispetto ai 540 mmc dello scenario che non prevede una
produzione endogena di gas di scisto15.
La UE inoltre considera il gas non convenzionale come una
fonte energetica pulita e sicura, che può supportare la
transizione verso un economia e un mix energetico (per la
produzione di elettricità) fondati su un ridotto impiego del
carbone e sull'abbattimento delle emissioni inquinanti. Secondo
la Commissione Europea deve essere tenuto in considerazione
l'impatto economico e strategico relativo allo sviluppo di una
produzione endogena di gas non convenzionale - o comunque
geograficamente accessibile ai mercati del vecchio continente -,
considerata la forte dipendenza da un ristretto novero di
nazioni importatrici, i costi elevati e i rischi (geopolitici e di
sicurezza) connessi al trasporto marittimo e terrestre dei
volumi di gas16.
Tuttavia, esistono diversi ostacoli che si frappongono al pieno
sviluppo dello shale gas europeo e che mettono in dubbio la
possibilità di replicare il modello statunitense: la densità di
popolazione (le attività di esplorazione e di produzione del gas
di scisto necessitano di vasti territori possibilmente non
abitati), la scarsità di investimenti e tecnologie non all'altezza,
le difformità legislative rispetto agli Stati Uniti e soprattutto
problematiche ambientali connesse all’inquinamento delle falde
idriche (legate alle attività di fracking o fratturazione idraulica,
principale tecnica estrattiva dello shale gas) e il rischio
terremoti, che alimentano l’opposizione popolare e di
movimenti ambientalisti contro questa opzione energetica17.
15 International Energy Agency, 2012, op.cit., pp.78,81. 16 European Commission, "Unconventional Gas: Potential Energy Market Impacts in the European Union", Report By The Energy Security Unit Of The European Commission’s Joint Research Centre, 2012, pp.5-6,
http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_report_2012_09_unconventional_gas.pdf. 17 R. Komduur, "Europe not ready for unconventional gas, yet", European Energy Review, 21 Giugno 2010, http://www.europeanenergyreview.eu/site/pagina.php?id=2095.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Inoltre, si rileva come sulla questione dello sviluppo di una
produzione di shale gas sia emersa all'interno della UE una
frattura ideologica che contrappone la “vecchia Europa”
(Francia, Germania) alla “nuova Europa” (nazioni dell'Europa
centrale e sud orientale), fondata su percezioni differenti
rispetto alla finalità di preservare la propria condizione di
sicurezza energetica. Infatti nazioni come Bulgaria, Polonia e
Romania premono per promuovere lo sviluppo dello shale gas
in Europa, in quanto fortemente dipendenti dalle importazioni
di gas russo18. Al contrario, la Francia - pur avendo le seconde
maggiori riserve di gas di scisto in Europa - è stata la prima
nazione del vecchio continente a proibire nel giugno 2011 le
attività di fracking, fortemente osteggiate dall'opinione pubblica
nazionale. Per quanto concerne la Germania, negli ultimi due
anni il governo tedesco ha modificato la propria posizione sul
gas di scisto passando da un divieto delle attività di fracking ad
una sostanziale apertura, soggetta però a stringenti clausole
ambientali. Nel caso tedesco, lo sfruttamento delle riserve di
gas di scisto influirebbe notevolmente sulla condizione di
sicurezza energetica, determinando una riduzione della forte
dipendenza dalle importazioni russe, che rappresentano il 40%
del totale19.
La Polonia è la nazione europea che maggiormente sostiene e
promuove lo sviluppo dello shale gas: infatti, lo sfruttamento
delle proprie riserve - le più grandi in Europa – intaccherebbe
notevolmente l'influenza economica e geopolitica di Mosca, da
cui dipendono il 70% delle importazioni polacche di gas 20 .
Questa considerazione strategica è alla base della decisione del
governo bulgaro e romeno di revocare la moratoria sulle
attività di esplorazione e sfruttamento delle riserve nazionali di
18 B. Fox, “Cold War politics hang over E.U. shale gas revolution”, euobserver, 17 Maggio 2013, http://euobserver.com/energy/120148. 19 International Energy Agency, 2012, op.cit., pp.125-126; "Germany moves to allow controversial shale gas drilling", Euractiv, 28 Febbraio 2013, http://www.euractiv.com/energy/germany-tables-draft-law-allow-f-news-
518131. 20 D. Kenarov, "Poland's Shale Gas Dream", Foreign Policy, 26 Dicembre
2012, http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/12/26/polands_shale_gas_dream.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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shale gas, considerando che la dipendenza di entrambe dalle
importazioni di gas russo oltrepassa il 90%.
Pur non facendo parte della UE, l’Ucraina sembra aver puntato
decisamente sullo sviluppo del suo enorme potenziale di shale
gas - terze maggiori riserve in Europa – attirando l’interesse
delle maggiori compagnie energetiche internazionali con le
quali sono stati conclusi degli accordi.
Nonostante l'apporto teoricamente offerto dallo shale gas per
rafforzare la sicurezza energetica europea, in realtà gli effetti e
i benefici di questa opzione risulteranno considerevolmente
circoscritti. Le prospettive di una produzione europea di gas di
scisto si scontrano con ostacoli difficilmente superabili, in
primis le problematiche ambientali e i costi elevati:
considerando i progressi compiuti, solo l'Ucraina appare in
grado di avviare una produzione nei prossimi anni, mentre la
Polonia sembra dover ridimensionare le proprie ambizioni a
causa delle conformazione geologica del terreno che rende
complicate le attività di esplorazione e sfruttamento.
Se l'auspicata cooperazione energetica in ambito NATO
rappresenta una considerevole evoluzione strategica,
funzionale all'esigenza di diversificazione delle rotte di
approvvigionamento, in realtà in termini quantitativi l'apporto
statunitense alla sicurezza energetica europea appare limitato:
infatti, nel 2035 gli Stati Uniti potranno destinare
all'esportazione solo 34 mmc di gas all'anno, volumi
insufficienti destinati ad incidere parzialmente sul totale delle
importazioni, che oscilleranno tra 479 e 540 mmc.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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108
Sicurezza alimentare vs sicurezza energetica: conflittualità e criticità in ambito UE
Silvia Bolognini – Ricercatore di Diritto Agrario – Università degli Studi di Udine
Funzione energetica e altre funzioni demandate all’agricoltura: un rapporto difficile
Negli ultimi anni la funzione energetica dell’agricoltura è stata
riscoperta e arricchita di ulteriori contenuti. Ciò ha determinato
un vero e proprio scompenso fra le richieste funzionali rivolte al
settore primario e la capacità di quest’ultimo di rispondere a
esse in modo adeguato o, quanto meno, soddisfacente.
Le conflittualità e le criticità connesse alla funzione energetica
dell’agricoltura possono essere comprese a pieno solo laddove
vengano messe in relazione con il concetto di multifunzionalità
dell’agricoltura, una multifunzionalità destinata a essere
ulteriormente valorizzata, come emerge tra l’altro dai numerosi
appelli rivolti alla PAC (tuttora) in fase di elaborazione, affinché
in essa venga dato sufficiente spazio (anche) agli strumenti
volti a incentivare la produzione di beni pubblici, in particolare,
di quelli di carattere ambientale (il paesaggio, la stabilità
climatica, la conservazione della biodiversità, la qualità e la
disponibilità delle risorse idriche, la funzionalità del suolo e la
qualità dell’aria).
In tale ottica, la sintesi delle conflittualità e delle criticità
emerse in seno al sistema agroalimentare europeo in seguito
all’intensificarsi dell’attenzione rivolta alle energie nuove e
rinnovabili, nel novero delle quali possono essere incluse
senz’altro anche le agro-energie, è facilitata dall’impiego del
termine «sostenibilità». Espressioni come quelle di
«sostenibilità alimentare», «sostenibilità ambientale»,
«sostenibilità paesaggistica», «sostenibilità idrica»,
«sostenibilità economica», «sostenibilità sociale», sono in
grado di focalizzare i diversi profili e i molteplici ambiti in
relazione ai quali il modo in cui il settore primario ha risposto, e
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
109
sta tuttora rispondendo, alla nuova missione energetica
affidatagli, si è rivelato non all’altezza delle aspettative. Spesso
le azioni volte al soddisfacimento delle esigenze connesse
all’approvvigionamento energetico mediante il ricorso alle
energie nuove e rinnovabili e, in particolare, alle agro-energie,
sono state realizzate senza tenere sufficientemente in conto gli
altri interessi pubblici ai quali l’attività agricola è chiamata a
contribuire, in molti casi in misura decisiva, se non addirittura
determinante, il che in talune circostanze ha finito con il
mettere persino a rischio il perseguimento e la tutela di tali
interessi.
L’inadeguatezza della risposta offerta dal settore primario
nell’assolvere alla funzione energetica è stata oggetto di
parecchie riflessioni critiche: alcune di esse si sono incentrate
solo (o per lo più) su alcuni dei profili interessati dalla
valorizzazione della funzione energetica dell’agricoltura, com’è
accaduto, ad esempio, in relazione al contemperamento delle
esigenze connesse alla sicurezza energetica con quelle
riconducibili alla sicurezza alimentare; altre, invece, hanno
assunto i toni di una vera e propria valutazione complessiva
dell’impatto che tale valorizzazione ha avuto (e sta avendo) sul
ruolo svolto dall’agricoltura nel perseguimento e nella tutela di
una pluralità di interessi pubblici. In verità, il più delle volte, i
profili e gli ambiti sui quali la valorizzazione della funzione
energetica dell’agricoltura ha inciso, si sovrappongono e si
mescolano, offrendo un’ulteriore conferma, da un lato, del
carattere multifunzionale dell’agricoltura, dall’altro, dell’assunto
− da sempre evidenziato dalle fonti primarie europee − in forza
del quale l’agricoltura costituisce un settore intimamente
connesso all’insieme dell’economia. E questo vale anche e
soprattutto per la «sostenibilità alimentare» del possibile
contributo del settore primario al soddisfacimento delle
esigenze connesse all’approvvigionamento energetico.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
110
La necessità di indagare la natura delle conflittualità e delle
criticità in cui si estrinseca l’insostenibilità alimentare della funzione energetica demandata all’agricoltura
Il modo in cui le conflittualità insite nel rapporto tra la funzione
energetica e le altre funzioni demandate all’agricoltura e le
criticità da esse derivanti sono tra loro concatenate, costringe a
chiedersi quale sia la natura a esse ascrivibile: se siano
congenite, ovvero radicate nelle attività in cui può estrinsecarsi
il contributo del settore primario all’approvvigionamento
energetico; congiunturali, vale a dire riconducibili al complesso
degli elementi e dei fattori che in questo periodo caratterizzano
la situazione economica dell’UE (e del nostro Paese, così come
degli altri Stati membri) oppure, infine, sistemiche, ovverosia
in qualche modo frutto delle teorie e dei principi sui quali
poggia la disciplina riservata, in ambito europeo e nazionale,
agli istituti e alle attività riconducibili al settore primario. Tale
quesito, lungi dall’essere un mero esercizio teorico, è un
passaggio obbligato per l’individuazione degli strumenti
necessari ad assicurare una pacifica convivenza tra le molteplici
funzioni assegnate all’agricoltura: le criticità possono essere
superate solo laddove siano chiarite le cause che le hanno
determinate e laddove, sulla base di tale chiarimento, vengano
poi elaborate le soluzioni più consone. Il giurista è destinato,
peraltro, ad assumere posizioni concettuali differenti a seconda
della risposta data a tale quesito.
Se gli elementi di conflittualità che hanno determinato la crisi in
atto si dovessero palesare come congeniti e, quindi, in buona
sostanza inevitabili, il nodo da sciogliere sarebbe, innanzi tutto,
quello relativo al ruolo giocato dal settore primario – e, in
particolare, dalle agro-energie nel più ampio contesto delle
energie nuove e rinnovabili − ai fini del raggiungimento degli
ambiziosi obiettivi che l’UE si è prefissata in campo energetico
(anche in ragione degli obblighi assunti a livello internazionale):
occorrerà chiarire se tale ruolo sia fondamentale, o no, e se il
contributo del settore primario sia indispensabile, o no.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
111
E se la risposta dovesse essere positiva − come pare, in
ragione dell’emergenza energetica con la quale l’UE è chiamata
a fare i conti −, occorrerà interrogarsi sul rapporto paritetico o
gerarchico intercorrente tra le diverse funzioni demandate
all’agricoltura; il che, a ben vedere, equivarrà a interrogarsi sul
rapporto paritetico o gerarchico intercorrente tra i diversi
interessi pubblici sottesi a tali funzioni.
In tale prospettiva, il rapporto fra agricoltura, sicurezza
alimentare e sicurezza energetica, le conflittualità insite nel
quale sono efficacemente rappresentate dalla locuzione
«sostenibilità alimentare», si rivela emblematico.
Il concetto di «sostenibilità alimentare» e il contributo del settore primario alle esigenze di approvvigionamento
energetico
Con l’espressione «sostenibilità alimentare» delle agro-energie
si è soliti indicare tanto la necessità che la preferenza
accordata da un numero sempre crescente di operatori del
settore primario alla produzione energetica, anziché a quella
agroalimentare, non comprometta la disponibilità delle derrate
alimentari e non metta conseguentemente a rischio la sicurezza
degli approvvigionamenti alimentari (food availability), quanto
l’esigenza di scongiurare il pericolo che un’eventuale riduzione
della disponibilità delle derrate alimentari si traduca in un
aumento dei prezzi dei prodotti alimentari (food accessibility).
A dire il vero, come si cercherà di chiarire meglio in seguito, al
concetto di «sostenibilità alimentare» parrebbero potersi
ricondurre anche profili attinenti alla food safety, ma non v’è
dubbio che con tale espressione si voglia fare riferimento in
primis alla capacità di dare spazio alle energie nuove e
rinnovabili e alle agro-energie senza compromettere la
sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Per verificare se
effettivamente le conflittualità connesse al rapporto fra
sicurezza alimentare e funzione energetica dell’agricoltura sono
congenite, occorre, innanzi tutto, indagare le diverse tipologie
di attività in cui potrebbe estrinsecarsi il contributo del settore
primario alla produzione energetica.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
112
Com’è noto, il contributo che può venire dal settore primario in
termini di sviluppo delle energie nuove e rinnovabili può
assumere ben tre differenti declinazioni: l’agricoltura può
finalizzare la propria produzione vegetale a scopi energetici,
come accade, ad esempio, nel caso delle colture energetiche;
può impiegare nella produzione di energia le proprie sostanze
organiche di “scarto”, quali, in particolare, i sottoprodotti e i
rifiuti di origine sia vegetale, sia animale; può, infine, destinare
il suolo agricolo all’installazione di impianti energetici, quali, in
particolare, quelli fotovoltaici ed/o eolici. Ebbene, di
conflittualità congenita si può parlare solo con riferimento a
quelle attività che comportano una sottrazione del terreno
agricolo alla produzione alimentare: ci si riferisce
evidentemente a quelle attività che si estrinsecano nella
realizzazione di colture energetiche (la colza, il girasole, la soia,
il mais, ecc.), i cui frutti possono essere impiegati, appunto,
per la produzione di biocombustibili, nonché a quelle attività
che comportano la destinazione di terreni agricoli
all’installazione di impianti energetici (pannelli fotovoltaici ed/o
eolici). Laddove, al contrario, l’agricoltura contribuisca alla
produzione di energia destinando a essa principalmente i
residui agricoli di origine sia vegetale, sia animale, non essendo
in tal caso necessaria la sottrazione di terreni alle coltivazioni
alimentari, non solo non si può ragionare di natura congenita
delle conflittualità, ovverosia di insostenibilità alimentare delle
agro-energie, ma non si pone nemmeno un problema di
pacifica convivenza della funzione energetica dell’agricoltura
con quella alimentare (nondimeno, in tale ipotesi, si potrebbe
rilevare la sussistenza di conflittualità connesse alle
sostenibilità ambientale, paesaggistica e idrica, delle agro-
energie). L’insostenibilità alimentare sarebbe configurabile,
dunque, solo con riferimento alle colture energetiche e alla
destinazione di terreni agricoli all’installazione di impianti
energetici. Solo le prime, tuttavia, possono essere ricondotte a
pieno titolo nel novero delle agro-energie; l’attività che si
estrinseca nell’installazione di impianti energetici su terreni
agricoli esula dal campo dell’attività di produzione agraria, in
quanto prescinde dall’attività di coltivazione del fondo e del
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
113
bosco e da quella di allevamento di animali. Vero è che, nel
nostro ordinamento, il legislatore, seppure a fini fiscali, in
presenza di taluni presupposti e mediante il ricorso formale al
vincolo della connessione, ha ricondotto anche tale tipologia di
attività al campo dell’agrarietà – un’agrarietà che a noi pare
debba essere definita quanto meno “virtuale”–; tale
riconduzione, però, non solo non è corretta, ma, proprio perché
effettuata ex lege, induce a propendere per la natura anche
sistemica (e non solo congenita) delle conflittualità e delle
criticità a essa connesse.
La natura tendenzialmente congenita delle conflittualità e delle criticità connesse alla funzione energetica dell’agricoltura e il
rapporto gerarchico o paritetico degli interessi pubblici sottesi alle diverse funzioni demandate all’agricoltura
Appurata la natura congenita dell’insostenibilità alimentare
ascrivibile a talune delle attività in cui si estrinseca il contributo
del settore primario all’approvvigionamento energetico, occorre
cimentarsi con l’interrogativo relativo alla loro indispensabilità e
alla necessità di continuare a fare affidamento su di esse per il
perseguimento degli obiettivi di energy security postisi dall’UE;
interrogativo al quale fa da corollario la riflessione circa il
rapporto paritetico o gerarchico intercorrente fra l’interesse
pubblico all’approvvigionamento energetico e l’interesse
pubblico all’approvvigionamento alimentare. A tal proposito, va
sottolineato che l’ottica dalla quale muovono le istituzioni
europee e nazionali è tutto fuorché chiara e uniforme: le loro
prese di posizione sembrerebbero ispirarsi a una sorta di logica
di compromesso e andare più nella direzione di un
contemperamento degli interessi connessi alla sicurezza
energetica e alimentare a “fasi alterne” (che in alcuni casi
premi, cioè, la prima a discapito della seconda e in altri
riconosca, al contrario, alla sicurezza alimentare una posizione
gerarchicamente sovra ordinata). In tale contesto il giurista
non può rimanere fermo a guardare, ma deve assumere un
ruolo propositivo, contribuendo egli stesso a chiarire se taluni
interessi pubblici debbano o non essere reputati prioritari,
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
114
nonché richiamando l’attenzione sulla pericolosità di politiche
che, soprattutto con riferimento al ruolo assegnato
all’agricoltura, procedono per emergenze e paiono dimenticare
o sottovalutare il fatto che mentre molte delle altre funzioni
demandate all’agricoltura possono essere in certa misura
assolte anche dagli altri settori produttivi, quella alimentare è
di sua esclusiva spettanza e necessita per tale ragione di un
trattamento di riguardo.
La funzione energetica dell’agricoltura e la sostenibilità alimentare nel contesto della food security: la natura anche
sistemica delle conflittualità e delle criticità
Il quadro confuso che si intravede in ordine al rapporto
paritetico o gerarchico sussistente tra le molteplici funzioni
demandate all’agricoltura, rafforza l’impressione che le
conflittualità insite nel rapporto fra agricoltura, esigenze
energetiche ed esigenze alimentari, abbiano anche una natura
sistemica e, con riferimento a taluni profili, congiunturale.
Per quanto concerne la natura sistemica di dette conflittualità,
è sufficiente chiedersi se la responsabilità del ritorno della food
insecurity possa e debba essere addossata per intero alla
produzione agro-energetica per rendersi conto che, in verità, il
quadro è assai più complesso. I problemi che negli ultimi anni
l’UE ha dovuto affrontare in relazione all’insufficiente
approvvigionamento e all’aumento dei prezzi delle derrate
alimentari sono imputabili a una pluralità di cause, alcune di
natura congiunturale, altre di natura strutturale. In questa
sede ci preme osservare che le ragioni che inducono a rinvenire
delle conflittualità e delle criticità nel rapporto fra sicurezza
alimentare e sicurezza energetica in agricoltura risiedono nella
destinazione dei terreni agricoli ad attività diverse dalla
produzione alimentare. Ma, allora, non può essere passato
sotto silenzio che questa non è la prima volta che il sistema
agroalimentare europeo mette l’operatore del settore primario
nella posizione di preferire la sottrazione del proprio terreno
agricolo all’attività di produzione alimentare.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
115
Il legislatore europeo, a partire dagli anni Ottanta, per far
fronte al problema delle eccedenze produttive, prima, e per
assolvere agli obblighi assunti in sede di WTO, poi, è
intervenuto più volte sulla PAC, al fine di indirizzarla
maggiormente verso traguardi e scopi differenti dalla food
security, quali, in particolare, quello dello sviluppo rurale e
quello della tutela dell’ambiente.
Finché sono stati mantenuti gli aiuti accoppiati alla produzione,
il sistema si è mostrato tendenzialmente in grado di conservare
una sorta di equilibrio. Al contrario, allorquando, a partire dalla
riforma di medio termine, è stato introdotto il regime di
pagamento unico e si è assistito, da un lato, alla riconduzione
al concetto di attività agricola anche del mero mantenimento
del terreno in buone condizioni agronomiche – “mantenimento”,
che di fatto, esattamente come nel caso delle colture
energetiche o dell’installazione di impianti energetici, comporta
la sottrazione di terra alla produzione alimentare (seppure con
le dovute differenze in ambito ambientale) – e, dall’altro,
all’introduzione di aiuti alle colture energetiche, il sistema ha
iniziato a manifestare delle forti criticità. Certo le colture
energetiche e l’installazione di impianti energetici sui terreni
agricoli di fatto hanno ridotto la produzione alimentare, ma se
l’operatore del settore primario ha ritenuto di orientarsi in tale
direzione è anche perché tali attività gli sono apparse come più
accattivanti e remunerative sotto il profilo economico. E ciò è
successo non solo perché − per lo meno inizialmente − l’UE e
gli Stati membri hanno riconosciuto degli incentivi economici a
favore di chi optasse per tali tipologie di attività, ma anche
perché a partire dalla riforma di medio termine l’agricoltura
europea si è privata di qualsivoglia strumento di
programmazione della produzione e ha lasciato completamente
soli gli operatori del settore primario. Che l’agricoltura europea
non fosse (e probabilmente non lo è ancora) matura per una
trasformazione della PAC così radicale è confermato proprio
dall’attrattività che gli incentivi inizialmente previsti (a livello
sia europeo, sia nazionale) per le colture energetiche hanno
assunto agli occhi degli agricoltori.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
116
Attualmente, a livello sia europeo, sia nazionale, gli incentivi
sono stati ridotti e rivisti; ma ciò non toglie che la destinazione
dei terreni agricoli alla produzione energetica possa risultare
comunque più allettante perché meno aleatoria o rischiosa. È il
sistema, dunque, a dover essere ripensato e rivisto, nell’ottica
di dotare gli operatori del settore primario di strumenti in grado
di consentire loro di prevedere l’andamento del mercato, sì da
orientarli nuovamente verso le produzioni alimentari.
La funzione energetica dell’agricoltura e la sostenibilità alimentare nel contesto della food safety: la natura anche
congiunturale delle conflittualità e delle criticità
Alle conflittualità insite nel rapporto fra agricoltura, sicurezza
alimentare e sicurezza energetica può essere ascritta, infine,
anche una natura congiunturale. Per quanto concerne nello
specifico la sostenibilità alimentare, ciò trova conferma
nell’incidenza che le colture energetiche e la destinazione di
terreni agricoli all’installazione di impianti energetici sono
destinate ad avere anche sulla food safety. La riduzione delle
disponibilità alimentari è da più parti indicata come la prima
responsabile della volatilità e dell’innalzamento dei prezzi delle
derrate e dei prodotti alimentari.
Nella particolare congiuntura economica che stiamo vivendo,
l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli è destinato a incidere
sulle abitudini alimentari dei consumatori: diversi studi hanno
messo in evidenza come le scelte dei consumatori si stiano
orientando con sempre maggiore frequenza verso alimenti
meno costosi, ma qualitativamente inferiori.
Viene allora da osservare che la riduzione delle derrate
alimentari causata anche dalla funzione energetica
dell’agricoltura, incidendo sull’aumento dei prezzi dei prodotti
alimentari, può contribuire a spingere ulteriormente i
consumatori verso l’acquisto e il consumo di prodotti alimentari
che costano meno, ma che sotto il profilo nutrizionale sono
meno sicuri.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
117
Brevi considerazioni conclusive
Il quadro delle conflittualità e delle criticità connesse al
contemperamento delle esigenze energetiche con quelle
alimentari, di certo non rassicurante, offre l’occasione per
rimettere in discussione alcune delle scelte fatte finora a livello
politico, economico e normativo. La funzione energetica
dell’agricoltura deve continuare a essere valorizzata perché
offre un ulteriore elemento di competitività del settore primario,
ma occorre che tale valorizzazione sia accompagnata da un
ripensamento delle logiche di sistema, che consentano, nei
limiti del possibile, di attenuare le conflittualità congenite, di far
venire meno quelle sistemiche e di ridurre considerevolmente
quelle congiunturali. È necessario intervenire con una certa
urgenza soprattutto sulle conflittualità di natura sistemica, che
sono determinate per lo più dalle scelte effettuate dal
legislatore europeo in seno alla PAC. Si ha, invero, la
sensazione che, anziché essere state le conflittualità congenite
a determinare le criticità in seno al sistema, siano state le
criticità già presenti in seno al sistema ad accentuare le
conflittualità congenite. Ammesso che, com’è stato osservato, il
disaccoppiamento sia un percorso a senso unico che non
permette marcia indietro, diviene indispensabile individuare
degli strumenti idonei a dotare l’agricoltura europea della
capacità di conciliare le esigenze connesse alla food security
con quelle dell’energy security. Certo dalle novità portate dalla
tecnologia potrebbe venire un aiuto, in termini di aumento
della produzione o di sostituzione di certi prodotti con altri, per
ottenere non solo cibo, ma anche energia. Tuttavia, il ricorso
agli OGM, al di là del fatto che pare essere più un “percorso ad
ostacoli” che una “strada in discesa”, non pare essere l’unico
espediente possibile, né tanto meno la soluzione definitiva.
Parrebbe preferibile cercare di compensare il più possibile la
perdita di qualsivoglia strumento di programmazione in
agricoltura: un contributo in tal senso potrebbe venire dalle
associazioni dei produttori agricoli e dalle organizzazioni
interprofessionali, che, allo stato attuale, potrebbero acquisire
un ruolo di fondamentale importanza nell’adeguamento delle
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
118
produzioni agricole alle richieste del mercato, anche nell’ottica
di un contemperamento delle esigenze connesse alla food
security con quelle collegate alla energy security. Incentivare la
costituzione e assicurare l’effettiva operatività delle associazioni
dei produttori agricoli e delle organizzazioni interprofessionali
potrebbe rivelarsi quanto mai utile anche al fine di ovviare a
quella carenza di informazioni di natura commerciale e tecnica
che risulta penalizzante nel contesto di un mercato che è
chiamato nuovamente a far fronte alla sfida della food security,
oltre che a quella della qualità del prodotto, della tutela della
salute del consumatore e della tutela dell’ambiente21
.
21 Ormai decisamente numerosi sono i contributi dottrinali in cui viene affrontata la questione della funzione energetica dell’agricoltura e delle conseguenze dalla stessa determinate: si vedano, ex multis, M. D’ADDEZIO, Agricoltura e contemperamento delle esigenze energetiche ed alimentari, in
Agricoltura e contemperamento delle esigenze energetiche ed alimentari, Atti
dell’Incontro di studi di Udine, 12 maggio 2011, rielaborati e aggiornati, a cura di M. D’Addezio, Milano, 2012, p. 83 ss.; EAD., Quanto e come è rilevante l'agricoltura nel Trattato di Lisbona?, in Riv. dir. agr., 2010, I, p. 248 ss.; EAD., La responsabilità civile dell’impresa agroalimentare, in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 41 ss.; EAD., Sicurezza degli alimenti: obiettivi del mercato dell’Unione europea ed esigenze nazionali, in Per uno studio interdisciplinare
su agricoltura ed alimentazione, Atti del Convegno di inaugurazione dell’Osservatorio sulle regole dell’agricoltura e dell’alimentazione (ORAAL) svoltosi a Pisa, 22−23 gennaio 2010, a cura di M. Goldoni ed E. Sirsi, Milano, 2011, p. 252 ss.; EAD., Dinamiche competitive tra usi della terra destinati alla produzione di alimenti ed usi destinati alla produzione di energie rinnovabili, in Agricoltura e in−sicurezza alimentare tra crisi della PAC e mercato globale,
Atti del Convegno IDAIC di Siena, 21−22 ottobre 2010, a cura di E. Rook Basile e A. Germanò, Milano, 2011, p. 266 ss.; EAD., Sicurezza e coordinamento delle esigenze alimentari con quelle energetiche: nuove problematiche per il diritto agrario, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2011, fasc. 3, p. 11 ss.; L. COSTATO, Considerazioni conclusive, in Agricoltura e contemperamento delle esigenze energetiche ed alimentari, cit., p. 167 ss.; ID., La situazione mondiale in materia di energia, materie prime, ambiente e
alimentazione, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2007, fasc. 3, p. 13 ss.; ID., Dalla food security alla food insecurity, in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 3 ss.; A. JANNARELLI, La nuova food insecurity: una prima lettura sistemica, in Riv. dir. agr., 2010, I, p. 565 ss.; M. GOLDONI, Utilizzazione di terreni agricoli per la realizzazione di impianti energetici: aspetti giuridici, in Agricoltura e
contemperamento delle esigenze energetiche ed alimentari, cit., p. 31 s.; F. ADORNATO, Farina o benzina? Il contributo dell’agricoltura a un nuovo modello
di sviluppo, in Agricoltura Istituzioni Mercati, 2008, fasc. 1, p. 1 ss.; M. GIUFFRIDA, La produzione di energia da fonti rinnovabili nel quadro della PAC dopo il Trattato di Lisbona, in Riv. dir.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Sezione III La visione internazionale
L’energia canadese: sicura, affidabile, responsabile S.E.Joe Oliver – Ministro delle Risorse Naturali del Canada
Il mondo sta vivendo un radicale riallineamento della crescita
economica globale e delle nuove fonti di energia, e di
conseguenza un mutamento fondamentale nei mercati
dell’energia. Sia la Banca Mondiale, sia l’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico prevedono che la rapida
crescita dei mercati emergenti risulterà in una considerevole
espansione della classe media globale, che passerà da meno di
due miliardi di persone nel 2009 a quasi cinque miliardi entro i
prossimi vent’anni.
Ciò comporterà un notevole aumento del consumo energetico.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) prevede, nel suo
ultimo rapporto World Energy Outlook, che la domanda globale
di energia salirà di più di un terzo entro il 2035. Il 93%
dell’aumento previsto della domanda energetica proverrà dai
paesi non OCSE (con Cina, India e Medio Oriente responsabili
essi soli del 60% di questo incremento). Tenendo presente che
già la metà del petrolio viene consumata dal settore dei
trasporti, l’AIE prevede che entro il 2035 il numero di
automobili usate nel mondo raddoppierà, fino a raggiungere il
numero di 1,7 miliardi di unità.
Già al giorno d’oggi l’Italia dipende dalle importazioni per far
fronte a oltre l’80% del suo fabbisogno energetico, nonostante
possegga la quinta riserva di greggio e la sesta di gas naturale
più grandi d’Europa. Assicurare la sicurezza energetica su base
globale è una sfida sempre più difficile. Nel 2010 l’Italia ha
importato circa due milioni di barili al giorno di greggio e di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
120
prodotti petroliferi raffinati da diversi paesi fra cui Libia, Arabia
Saudita e Russia.
La sicurezza energetica è fondamentale per il mantenimento
della crescita economica e della stabilità. In un mondo in cui
molte delle fonti di petrolio e gas continuano a essere soggette
a incertezza politica, tutti i paesi si preoccupano di sviluppare
fonti di energia affidabili e durature.
Questo è quindi un momento cruciale per l’industria energetica
canadese, date le sue abbondanti risorse e la domanda globale
per acquisirle. Il contesto energetico, in pieno mutamento,
offre un’opportunità imperdibile per il Canada e per coloro che
investano in Canada. Pochi paesi sono così ben posizionati per
diventare uno dei più importanti fornitori di sicurezza
energetica sul lungo periodo, sia per le potenze economiche
emergenti che per quelle consolidate.
Con 172 miliardi di barili, di cui 168 nelle sabbie bituminose, il
Canada possiede le terze riserve petrolifere mondiali. Con
l’avvento di nuove tecnologie di estrazione, si stima che
l’ammontare del petrolio recuperabile potrebbe superare di
molto i 315 miliardi di barili. Queste riserve di petrolio
potrebbero essere, di gran lunga, le più vaste del pianeta.
Stime attuali delle nostre risorse di gas naturale commerciabili
le indicano in 37 trilioni di metri cubi; ciò basterebbe per
mantenere la nostra produzione attuale di gas per più di 200
anni, con vaste aree del Canada non ancora esplorate.
Il Canada gode già di un eccellente rapporto commerciale con
l’Italia e con l’Unione Europea. Nel 2012, il commercio
bilaterale fra il Canada e l’Italia ha raggiunto 6,9 miliardi di
dollari canadesi, posizionando l’Italia al decimo posto fra i
partner commerciali del Canada. Il mese scorso abbiamo
annunciato che il Canada e l’Unione Europea hanno concordato
in principio un Accordo per la promozione commerciale e degli
investimenti. Si tratta del più grande e ambizioso accordo
commerciale mai raggiunto dal Canada. Esso copre infatti i più
importanti aspetti del rapporto economico bilaterale fra Canada
e UE, ivi compresi il commercio di beni e servizi, gli
investimenti egli appalti pubblici. E siamo intenzionati a
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
121
continuare a sviluppare il commercio con i nostri partner
dell’UE.
Storicamente, la maggior parte del carburante fornito dal
Canada al mercato europeo consisteva in diesel, raffinato sulla
Costa del Golfo degli Stati Uniti. Tuttavia sono in progetto altri
due oleodotti per collegare il paese da ovest a est, in modo da
rifornire di petrolio canadese la Costa Orientale del Canada, da
dove poi il petrolio potrebbe essere trasportato in Europa.
Il volume delle risorse canadesi è importante tanto quanto la
disponibilità, l’affidabilità e il senso di responsabilità che il
Canada offre. Dal 2010 abbiamo assistito all’aumento
dell’attività di alcune delle principali imprese di progettazione
italiane sul suolo canadese. La Saipem Canada, italiana, è
l’azienda del settore oil & gas più attiva in Canada, che
nell’ambito del progetto denominato Canadian Natural
Resources’ Horizon Oil Sands Project ha sviluppato l’Husky’s
Sunrise Energy Project e la realizzazione di un impianto di pre-
raffinazione (upgrader). Fra le altre importanti imprese italiane
in Canada vi è la Technip che, in consorzio con Samsung and
Huanqiu, ha vinto l’appalto per la progettazione e i servizi del
progetto Pacific Northwest LNG sulla costa occidentale
canadese.
Il governo del Canada è impegnato ad attrarre questo tipo di
investimenti mantenendo un mercato libero e aperto che
accolga gli investimenti diretti esteri, garantendo una giusta,
trasparente e stabile normativa specifica per i progetti
principali ed un sistema fiscale altamente competitivo. Il
Canada è una democrazia stabile ed è un grande sostenitore,
oltre che un fautore, dei principi del libero mercato. Solo il 20%
delle riserve mondiali di petrolio non è controllato da imprese
statali ed il 60% del petrolio in mano alla libera impresa si
trova in Canada. Ci sarà pure un motivo se Forbes Magazine ha
descritto il Canada come uno dei migliori posti nel mondo per
fare affari! Ciò è molto importante, poiché abbiamo bisogno
d’investimenti per sviluppare le nostre risorse e realizzare le
infrastrutture necessarie per fornirle ai mercati, la cui domanda
di energia non cessa di crescere.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
122
Il Canada è anche un paese in cui gli investitori possono
responsabilmente contribuire allo sviluppo energetico. Nel
nostro paese, rispettiamo precisi principi ambientali per
sviluppare le nostre risorse energetiche. Per esempio, il
Governo ha recentemente introdotto severe sanzioni per le
imprese che non aderiscono alla normativa ambientale.
Abbiamo avanzato nuove misure per rafforzare le normative
canadesi, già di assoluta eccellenza, in tema di sicurezza
marittima e degli oleodotti, basate su principi scientifici
appurati, imposte tramite normative trasparenti e sostenute da
tecnologie all’avanguardia.
Il Canada ha compiuto passi fondamentali per ridurre le
emissioni di gas serra, con l’introduzione di normative severe
per i veicoli leggeri e pesanti ed è stato il primo grande
utilizzatore di carbone a proibire la costruzione di nuovi
impianti elettrici alimentati a carbone che si avvalgono di
tecnologie tradizionali. Ora abbiamo predisposto la chiusura di
tutte le centrali a carbone, secondo una tempistica che riflette
il loro ciclo economico. Siamo il primo paese al mondo ad
averlo fatto.
Le emissioni del settore oil & gas sono già oggetto di normative
provinciali e di altre, federali, attualmente in fase di
ultimazione. Le sabbie bituminose del Canada sono soggette ad
un monitoraggio scientifico di prim’ordine che riguarda aria,
terra e acqua. Inoltre, tutto il territorio interessato dall’impatto
ambientale derivante dalla estrazione di petrolio deve essere
riportato al suo stato naturale per legge, mentre il 90%
dell’acqua utilizzata per la produzione delle sabbie bituminose è
oramai riciclata.
Le emissioni di gas a effetto serra (GHG) per barile di
produzione nelle sabbie bituminose sono state ridotte del 26%
fra il 1990 ed il 2011, mitigando non solo l’impatto ambientale
della produzione ma anche i costi e rendendo le risorse del
Canada più competitive sul mercato mondiale.
La normativa ambientale del Canada è una delle più rigorose e
più efficaci del mondo. Il Canada ha difatti diminuito le sue
emissioni di gas serra del 4,8% mentre l’economia è cresciuta
dell’8,4% dal 2005 al 2011.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
123
Quale esempio del fatto che il sistema normativo del Canada
sia un catalizzatore per l’innovazione, 14 imprese che operano
nel settore delle sabbie bituminose hanno formato
un’associazione canadese per le sabbie bituminose (Canadian
Oil Sands Innovation Alliance) e lavorano insieme per
accelerare lo sviluppo di tecnologie sostenibili, divenendo così
un esempio senza precedente di collaborazione fra imprese
concorrenti. Quest’associazione comprende compagnie come la
francese Total, la norvegese Statoil e la britannica Royal Dutch
Shell. Dalla formazione dell’associazione avvenuta diciotto mesi
fa, le imprese hanno condiviso 446 tecnologie e innovazioni
distinte, con un costo congiunto di più di 700 milioni di dollari
canadesi. I governi canadesi, da parte loro, stanno
contribuendo e già solo nel 2012 hanno investito più di un
miliardo di dollari in ricerca e sviluppo nel settore dell’energia.
Nel contempo, quando si parla di sicurezza dell’energia, è
necessario che i paesi riconoscano l’importanza di evitare
politiche che impediscono il libero flusso di fornitura globale del
petrolio, scoraggiano gli investimenti nello sviluppo energetico
e finiscono per agire da ostacolo per la sicurezza energetica in
generale. Ecco perché abbiamo serie riserve sulla Direttiva
sulla Qualità del Carburante così come viene attualmente
proposta dalla Commissione Europea: essa risulta non
scientificamente fondata, discriminante per le sabbie
bituminose, dannosa per l’industria della raffinazione europea–
inclusa l’Italia – e di ostacolo per il raggiungimento dei suoi
stessi obiettivi ambientali.
Il Canada sostiene iniziative che si basano su principi scientifici
fondati che portano alla riduzione tangibile e globale dei gas
serra ed è fermamente convinto che tutte le nazioni che
producono petrolio debbano essere trattate in modo equo,
nonché in relazione alla intensità delle loro emissioni GHG.
Qualsiasi misura che ignori l’attuale emissione dei gas serra del
greggio non avrà l’impatto desiderato né sulle emissioni
all’interno dell’UE, né globalmente. In un momento in cui, in
tutto il mondo, si vanno esaurendo i tipi di greggio più
accessibili e più leggeri, i paesi non hanno altra scelta se non
incrementare la dipendenza da risorse petrolifere più pesanti e
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
124
meno accessibili. Onde mantenere i nostri obiettivi di sicurezza,
dobbiamo assicurarci che tutti si conformino alle stesse regole.
Oggi l’Unione Europea importa il greggio da alcuni paesi
instabili, che hanno normative ambientali molto meno severe di
quelle canadesi. La Direttiva sulla Qualità del Carburante
finirebbe con lo scoraggiare le importazioni di petrolio dal
Canada, limitando così l’accesso ad una fonte energetica stabile,
affidabile e responsabile.
L’Italia è al secondo posto nell’Unione Europea per la sua
capacità di raffinazione interna. Il greggio canadese delle
sabbie bituminose e il suo “greggio sintetico” (un petrolio
leggero derivato dalle sabbie bituminose) potrebbero diventare
una valida fonte di fornitura alternativa, in grado di aumentare
la sicurezza energetica italiana.
L’Italia ed il Canada intrattengono eccellenti relazioni bilaterali
fondate su stretti legami commerciali, politici e culturali.
Questo rapporto è in continuo sviluppo grazie a un impegno
condiviso basato su valori democratici e stretti legami
transatlantici. Il Canada e l’Italia condividono lo stesso
approccio alle questioni globali e regionali e sono partner in
diverse istituzioni multilaterali, quali le Nazioni Unite, il G8, il
G20, l’OCSE e la NATO. In qualità di forte alleato e amico di
lunga data il Canada è disponibile a sostenere l’obiettivo
italiano di aumentare la propria sicurezza energetica e ad
alimentare la prosperità globale.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
125
Energia, Sicurezza, Sviluppo – I B.R.I.C.S. nel Mediterraneo
Marco Ricceri – Segretario generale Eurispes
Il destino dell’economia di mercato, con il suo mirabile
meccanismo dell’offerta e della domanda, si decide al di là
dell’offerta e della domanda W. Roepke
Due considerazioni iniziali. La prima riguarda il tipo di approccio
al problema. Mai come per la questione della sicurezza
energetica è necessario il ricorso al metodo scientifico
dell’analisi dei sistemi, vale a dire ad un metodo di analisi che
tenga in considerazione l’eterogeneità dei fattori che incidono
su di essa, la loro molteplicità e interrelazioni. Infatti, per
quanto sia una questione specifica e ben individuata, sulla
sicurezza energetica influiscono una pluralità di esigenze e di
forze che continuamente si confrontano ed interagiscono tra
loro, in una ricerca di punti di equilibrio mai stabili, mai
raggiunti una volta per sempre, ma sempre mutevoli; punti di
equilibrio soggetti a continui cambiamenti, aggiustamenti,
rotture e ricomposizioni. Sulla sicurezza energetica, fenomeno
complesso per sua natura, incidono, ad esempio, i fattori dello
sviluppo economico, dell’evoluzione politica ed istituzionale,
delle dinamiche sociali ed anche culturali e religiose, della
ricerca scientifica e tecnologica. La seconda considerazione
riguarda l’approccio alla valutazione dei più vasti processi di
globalizzazione del mondo contemporaneo, nei quali la
questione della sicurezza energetica è inserita, ma solo per
richiamare l’attenzione su una esigenza specifica: aver chiaro
che tipo di strumenti interpretativi sono utilizzati. La
globalizzazione, come processo di integrazione e
trasformazione continua degli assetti geo-politici e geo-
economici, disegna un mondo che è sempre diverso dal
momento in cui avviamo la nostra osservazione. Il mondo
globalizzato di dieci-quindici anni fa, con il suo sistema stellare
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
126
incentrato sul ruolo prevalente degli USA e del Giappone, è ben
diverso dal mondo globalizzato di oggi, segnato come da un
arcipelago di aree geo-politiche e geo-economiche in via di
progressiva ricomposizione. In questo quadro d’insieme si
inseriscono le valutazioni che riguardano l’evoluzione nel breve,
medio e lungo termine del fenomeno specifico della sicurezza
energetica: tendenze, prospettive, scenari. Ma, appunto, qui
sta il nodo da sciogliere in via preliminare; perché spesso,
anche nei tanti documenti degli enti ed agenzie specializzate, si
fa notevole confusione tra i diversi strumenti orientativi delle
scelte: la individuazione di una tendenza, per la sua
caratteristica intrinseca, è fatta sulla base della estrapolazione
dei dati che riguardano una determinata situazione iniziale
esistente, mentre la elaborazione di una prospettiva
l’arricchisce degli elementi della visione che la volontà degli
uomini intende imprimere ad un determinato processo. Uno
scenario, infine, non può non essere costruito – come valido
strumento scientifico di orientamento – che sull’insieme dei
fattori che direttamente o indirettamente influiscono sulla
evoluzione del fenomeno oggetto di interesse.
Il Rapporto sull’energia mondiale 2013 dell’AIE
Nel Rapporto sull’Energia Mondiale 2013 (WEO 2013), l’Agenzia
Internazionale dell’Energia – AIE fa riferimento ad uno scenario
disegnato fino al 2035 e pone l’accento sul fatto che la
domanda mondiale di energia è destinata a crescere di un terzo
rispetto alla situazione attuale, che i maggiori consumatori
saranno la Cina, l’India e i Paesi del sud est asiatico. Un ruolo
particolare nella dinamica dei consumi sarà svolto dal Medio
Oriente, dove una domanda crescente di energia porterà
quest’area ad essere il secondo più grande consumatore di gas
al mondo nel 2020 e il terzo più grande consumatore di petrolio
al 2030. Il Brasile, per il quale è previsto che il consumo di
energia crescerà dell’80% al 2035, è destinato a diventare uno
dei più importanti produttori di petrolio. Riguardo ai Paesi
OECD, la crescita dei loro consumi al 2035 sarà modesta, meno
della metà rispetto ai consumi dei Paesi non OECD. “Siamo di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
127
fronte a profonde trasformazioni di mercato – ha dichiarato nel
presentare il Rapporto il direttore esecutivo dell’ IEA, Maria van
der Hoeven – e questi cambiamenti del settore energetico sono
legati alle risposte che gli Stati saranno in grado di dare alle
sfide della crescita economica, della riduzione delle emissioni
inquinanti, dei miglioramenti tecnologici”. Sulla dinamica dei
prezzi dell’energia, sottolinea il Rapporto, avrà molta influenza
la capacità/volontà o meno degli Stati di impegnarsi per il
miglioramento dell’efficienza energetica, la quale richiede in
ogni caso una capacità di eliminare a livello internazionale sia
le molte barriere che ancora ostacolano il libero mercato, sia il
sistema dei sussidi ai combustibili fossili, stimati in 600 trilioni
di dollari. Come sostengono l’OECD, già dal 2005, l’ UNEP-ONU
nel 2011, e la stessa AIE nell’ultimo rapporto speciale
Redrawing the Energy Climate Map, in particolare questi sussidi
sono un elemento di grandissimo freno alla competizione
internazionale verso nuove soluzioni tecnologiche. “Finché c’è
un sistema di sussidi di questo tipo, - sostiene l’ex Ministro
italiano dell’Ambiente, Corrado Clini (2013) - il cui ammontare
è cinque volte superiore rispetto a quello per le rinnovabili, è
molto complicato riuscire a mettere in moto un cambiamento”.
Un problema specifico su cui il Rapporto 2013 dell’AIE richiama
l’attenzione riguarda il settore delle raffinerie. “Lo spostamento
della bilancia dei consumi di petrolio verso l’Asia e il Medio
Oriente è accompagnato da un continuo incremento della
capacità di raffineria in queste regioni. Di conseguenza, in molti
Paesi dell’OECD, la minore domanda di energia è destinata ad
intensificare la pressione sull’industria della raffinazione; nella
prospettiva al 2035 molti impianti di raffinazione saranno a
rischio di sotto-utilizzazione o di chiusura, con l’Europa in una
situazione di particolare vulnerabilità”. Per inciso: è quello che
sta accadendo attualmente in ambito UE, dove il sistema della
raffinazione è entrato in crisi, ed in particolare in Italia dove
nell’ultimo anno sono state chiuse numerose raffinerie con
pesanti conseguenze sia sul piano occupazionale, sia sul piano
della stessa sicurezza nazionale (la questione aperta delle
scorte strategiche di uno Stato).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
128
B.R.I.C.S.: i nuovi competitor nell’area Mediterranea La sottolineatura dell’AIE del ruolo sempre più importante che il
Medio Oriente è destinato ad assumere nella domanda globale
di energia nella prospettiva del 2035 stimola a focalizzare
l’attenzione ai complessi cambiamenti che stanno avvenendo
nell’area mediterranea e al nuovo, crescente ruolo svolto dai
grandi player internazionali, i B.R.I.C.S., i grandi protagonisti
del mercato dell’energia e dei processi di sviluppo mondiale.
L’area mediterranea, che anni addietro sembrava come posta
ai margini dei processi di globalizzazione, attualmente ne
risulta sempre più profondamente coinvolta. Una valutazione
attenta della sfida dei nuovi competitor internazionali che si
stanno affermando nel Mediterraneo costituisce per tutti –
Italia e UE in primo luogo - un grande banco di prova anche
riguardo alla questione aperta della sicurezza energetica.
In generale, l’azione dei B.R.I.C.S. nell’area mediterranea
segue il principio politico della non interferenza negli affari
interni dei singoli Stati e un approccio pragmatico nella ricerca
e costruzione delle condizioni favorevoli alla loro penetrazione
economica e commerciale. La preferenza è data agli accordi
bilaterali tra gli Stati, accompagnati e sostenuti però dalla
organizzazione di importanti piattaforme strategiche utili a
promuovere confronti, verifiche, iniziative di carattere generale.
Un interessante elemento di novità introdotto da questi nuovi
competitor è la valorizzazione delle risorse umane, in
particolare quelle relative alle comunità di cittadini che hanno
collegamenti tra i B.R.I.C.S. ed i paesi dell’area mediterranea,
per nascita, discendenza, emigrazione.
In base a questa impostazione di penetrazione economica, gli
stessi moti della primavera araba, pur avendo causato un
blocco e/o un ridimensionamento temporaneo delle iniziative
economiche e commerciali, sono stati interpretati dai B.R.I.C.S.,
in modo realistico, come una opportunità per riprendere, e
rafforzare ulteriormente il loro processo di inserimento stabile
nell’area. Di seguito, un quadro sintetico delle loro principali
linee strategiche.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
129
RUSSIA
La Russia ha una lunga tradizione di presenza attiva nel
Mediterraneo che è stata interrotta a seguito della dissoluzione
dell’URSS ma che negli ultimi tempi ha ripreso con rinnovato
vigore. Significative, a questo riguardo, le visite compiute nel
2005 e 2006 dal presidente Putin nei principali Stati dell’area:
Egitto, Israele, Palestina, Algeria, Marocco. In passato l’URSS,
in particolare, aveva sostenuto i Paesi dell’area mediterranea
nei loro processi di decolonizzazione e promosso importanti
investimenti soprattutto in grandi opere infrastrutturali. Ad es.
l’URSS ha partecipato alla costruzione della diga di Assuan in
Egitto, alla costruzione della diga Tilezdit e di impianti
metallurgici in Algeria, alla costruzione di grandi opere in
Marocco, Libia, Tunisia. Attualmente i maggiori partner
commerciali della Russia nell’area mediterranea sono,
nell’ordine: Israele, Egitto, Marocco, Tunisia (fonte UNCTAD).
Gli avvenimenti della primavera araba - che il governo russo ha
definito una “sorpresa attesa” - hanno in parte bloccato
temporaneamente l’avvio di grandi investimenti (ad es. la
costruzione dell’autostrada costiera in Libia) ma non alterato la
politica di penetrazione economica e commerciale nell’area.
Gli strumenti della cooperazione
In generale la Russia privilegia gli accordi bilaterali che in
diversi casi hanno portato alla organizzazione di “zone
economiche speciali”, ad esempio con Siria, Giordania, Libano,
Egitto, Tunisia, Marocco.
La Russia ha lo status di Osservatore nella Organizzazione della
Cooperazione Islamica – OIC , posizione finalizzata a rafforzare
la collaborazione con il mondo arabo; inoltre, ha promosso uno
speciale Consiglio Russo-Arabo per gli Affari Economici, che ha
lo scopo di favorire la diffusione delle informazioni commerciali
e gli incontri tra le imprese.
La Russia ha promosso accordi di collaborazione tra le Camere
di Commercio russe e degli Stati arabi.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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130
I principi ispiratori: politica ed economia
Il Mediterraneo è considerato dalla Russia come una “priorità
strategica” per molteplici motivi tra cui: a) la vicinanza dei
confini con la CIS – Comunità degli Stati Indipendenti; b) la
influenza dei movimenti terroristici e fondamentalisti religiosi
nelle regioni del Caucaso e in altri Stati confinanti, ad es. il
Tajikistan e il Kyrgyzstan; c) il valore dei mercati e delle risorse
economiche dell’area. Queste ragioni hanno indotto la Russia a
svolgere un ruolo di protagonista attivo nel consolidamento del
processo di pace in M.O. e di stabilizzazione dell’area
mediterranea. Le linea della politica estera russa sono state
definite nel Decreto presidenziale del 7 maggio 2012 “…creare
le condizioni esterne favorevoli per promuovere lo sviluppo a
lungo termine e la modernizzazione della Federazione russa e
rafforzare la sua posizione di partner egualitario nei mercati
globali”. Al fine di consolidare la propria presenza, oltre ai
normali strumenti diplomatici, la Russia sta usando anche due
elementi particolari: a) i debiti che alcuni Paesi dell’area hanno
contratto con la Russia ai tempi dell’URSS e che devono essere
ancora in parte saldati. In questo caso la Russia tende ad
utilizzare la sua posizione creditoria per costruire delle
situazioni di vantaggio utili alla sua maggiore penetrazione
nell’area; b) la diffusa presenza di cittadini russi o di origine
russa in alcuni paesi dell’area e, in certi casi, le loro comunità
di religione ortodossa. In questo caso la Russia si propone
anche l’obiettivo di dare un contributo all’ arresto del processo
di de-cristianizzazione in atto nel mondo arabo.
Aree e settori di maggiore interesse
Sul piano politico, i principali interessi russi sono collegati alle
questioni della sicurezza (processo di pace in Medio Oriente) ed
al possibile diffondersi del fondamentalismo religioso e del
terrorismo di matrice islamica in Russia e negli stati confinanti.
Quanto allo sviluppo economico e commerciale, in generale va
detto che il Mediterraneo rappresenta ancora una parte molto
modesta dell’export russo (10,8 mld di dollari nel 2010); ma la
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
131
valutazione russa è che esistono comunque delle ampie
potenzialità di espansione. I settori di maggiore interesse russo
riguardano, nell’ordine: l’energia, le opere di irrigazione, le
infrastrutture, gli armamenti, l’alta tecnologia, l’istruzione e il
turismo. In particolare, riguardo al petrolio, la Russia, che è un
esportatore netto di questa risorsa, ha un interesse specifico
nella ricerca e prospezione di nuove fonti e nel relativo
trasporto (ad es., importanti investimenti in tal senso sono
stati fatti in Egitto, Libia, Algeria).
Le risorse umane: i cittadini russi nel Mediterraneo
Nell’area mediterranea esiste una notevole presenza di
comunità russe, costituite da cittadini russi o di origine russa; è
una realtà sociale alla quale le autorità russe guardano con
particolare attenzione per il contributo che tali comunità
possono dare nel sostegno alle politiche di espansione. Alcuni
esempi: oltre 100.000 russi vivono in Siria, circa 1 milione di
cittadini russi o di origine russa vivono in Israele. Di notevole,
crescente entità sono i flussi turistici dei cittadini russi ai luoghi
santi ortodossi di Israele. Diecine di migliaia di donne russe
hanno sposato cittadini dell’area mediterranea; migliaia di
emigrati musulmani provenienti dal Caucaso lavorano nell’area.
Rapporti con gli Stati
La Siria è stata da sempre un alleato della Russia ed ha
favorito le sue politiche in Medio Oriente. Il porto di Tartus
svolge una funzione importante per la presenza militare russa
nel Mediterraneo. In Siria, come si è detto, vivono circa
100.000 cittadini russi o di origine russa. In Algeria la società
Gasprom ha fatto accordi nel 2006 con la società algerina
Sonatrac per ricerche di petrolio nel Sahara. Nel 2010 il
provider russo di telefonia mobile Vimplecom ha acquistato la
principale società algerina del settore, Orascom. Da rilevare
che la Russia organizza da tempo in Algeria delle grandi
esposizioni dei propri prodotti (2010, 2011, 2013). In Libia la
società russa Lukoil ha effettuato nel 2011 il più grande
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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investimento mai fatto in Africa (impianti petroliferi). La società
russa Tatneft ha acquisito 3 dei 14 contratti di appalto per
ricerche petrolifere nella Sirte e a Ghadames. La Società delle
autostrade russe – RZD ha cominciato la costruzione di 500 km
di autostrada tra Sirte e Bengasi, con collegamenti in Tunisia e
in Egitto (il 70% delle strutture di servizio sarà acquistato in
Russia). In Egitto le società russe Lukoil (dal 2004) e Novatek
(dal 2008) hanno accordi di prospezione petrolifera. L’Egitto
importa da tempo la quasi totalità del suo grano dalla Russia.
Molto intensi sono anche i rapporti con Israele: dal 2010 esiste
un accordo per la fornitura all’aeronautica russa di veicoli aerei
(UAVs) e di partenariato per la loro costruzione in loco. La
Russia è per Israele il principale sbocco per l’esportazione della
propria produzione di armamenti. Una importante
collaborazione è stata avviata negli ultimi tempi tra la società
russa Rosnano e il Fondo russo Skolkovo (che fa capo al
famoso distretto industriale e tecnologico) per scambi ed
attività comuni nell’alta tecnologia, informatica, robotica,
biomedicina, efficienza energetica, tecnologie nucleari.
CINA
La Cina è comunemente individuata dagli osservatori come una
potenza emergente nell’area mediterranea. Molto interessante
è l’approccio culturale e politico con cui i cinesi guardano e
definiscono quest’area. Infatti, per i cinesi la parte sud ed est
del mediterraneo viene chiamata con il termine Asia dell’Ovest
e Nord Africa – WANA, quasi un prolungamento del continente
asiatico, che esclude gli Stati del Golfo; mentre con il termine
Medio Oriente i cinesi individuano i 22 Stati che appartengono
alla Lega Araba, la Palestina, e i tre Stati non arabi: Israele,
Turchia, Iran.
Gli strumenti della cooperazione
Le relazioni con gli Stati arabi del Golfo sono di antica data, ma
nell’ultimo decennio hanno avuto un nuovo grande impulso. Nel
2004, la Cina ha promosso con la Lega Araba la organizzazione
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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di un organismo permanente: il Forum di Cooperazione Cina e
Stati Arabi – CASCF con l’obbiettivo di promuovere la
collaborazione nei più diversi ambiti di attività: politica,
economica, di sicurezza, etc.. I risultati finora raggiunti sono
stati notevoli nei più diversi settori. In particolare, gli scambi
commerciali sono aumentati da 36,7 md di dollari nel 2004 a
200 md di dollari nel 2010. Analoga crescita si è registrata
nelle attività di investimento.
La Cina ha promosso dal 2010, proprio nella provincia
autonoma di Ningxia Hui, caratterizzata da una larga presenza
di popolazione musulmana, l’organizzazione di una piattaforma
permanente - il Forum Economico e Commerciale Arabo-Cinese
– CAEFT – alla quale fa riferimento una grande Fiera cinese per
gli investimenti e il commercio. Nella provincia dello Xinjang,
altra realtà con forte presenza musulmana, è stata avviata dal
2011 l’Esposizione Euro – Asia.
A queste iniziative si aggiungono gli accordi bilaterali di
cooperazione con i singoli Stati che la Cina ha siglato in tutto il
mediterraneo, a cominciare dall’Egitto, considerato come
“partner strategico”.
I principi ispiratori: politica ed economia
I principi che ispirano la politica cinese nell’area sono
sostanzialmente due: contribuire alla stabilità e rispettare la
non interferenza negli affari interni. Questi principi sono intesi
come la pre-condizione per promuovere al meglio le proprie
molteplici iniziative politiche, culturali e scientifiche,
economiche e commerciali. Il rispetto di questi principi è stato
rigidamente mantenuto anche in occasione dei recenti
avvenimenti della primavera araba, un fatto che ha generato
un generale consenso ed apprezzamento da parte dei
protagonisti di quegli eventi. Una conferma viene dalla
continuazione degli scambi di visite tra ministri e primi ministri
delle varie realtà avvenute nel 2011 e 2012. Non è un caso, ad
esempio, che la 5^ conferenza del Forum di cooperazione
arabo-cinese - CASCF si sia svolta nel 2012 a Tunisi.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Aree e settori di principale di interesse
Petrolio: dal 1993, la Cina è diventata un grande importatore di
petrolio; quello proveniente dal Medio Oriente costituisce ormai
oltre la metà del totale di petrolio importato dall’estero.
Terrorismo e sicurezza: la Cina ha gravi problemi interni di
terrorismo nella sua parte occidentale, in particolare nella
regione dello Xinjiang, dove operano cellule e strutture
terroristiche che fanno capo all’ organizzazione East Turkistan,
collegata ad Al Qaeda, e presente anche nei combattimenti in
Siria. Per comprendere la natura di questo problema, segnato
da gravi atti terroristici e azioni destabilizzanti, bisogna
considerare due elementi: a) la notevole diffusione del mondo
mussulmano nella parte occidentale della Cina, ad es. nella
regione autonoma di Ningxia Hui, che ha antiche radici storiche;
b) il fatto che nei decenni passati la Cina, in particolare dopo le
grandi riforme e le aperture avviate nel 1978, ha guardato
soprattutto ad est, promuovendo lo sviluppo in quella direzione,
con il risultato che la parte occidentale della Cina è rimasta
relativamente povera ed arretrata. Soltanto nell’ultimo
decennio la Cina ha promosso una politica di riequilibrio con la
Strategia dello Sviluppo Occidentale (Westward Development
Strategy). È in queste regioni occidentali che si è manifestato il
terrorismo di matrice musulmana. Da qui un’ulteriore esigenza
– in questo caso politica - della Cina di promuovere buoni
rapporti con gli Stati del Golfo per trovare un sostegno utile a
contenere ed eliminare questo fenomeno. Scambi commerciali:
il Medio Oriente costituisce il 7° partner commerciale della Cina.
Nel 2011, gli scambi commerciali hanno raggiunto 268,9 mld di
dollari, con incrementi annui molto elevati (nel 2011 pari a
+36%). Tali scambi sono sostenuti da altrettanto elevati
iniziative reciproche di investimento.
Le risorse umane
Notevoli sono gli scambi delle persone. Ogni giorno circa 2.000
persone viaggiano dalla Cina agli Stati arabi e viceversa. In
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
135
Cina studiano circa 5.000 studenti arabi. 500 medici sono stati
inviati dal governo cinese a svolgere il proprio servizio negli
Stati arabi. Elevata e diffusa la presenza di comunità cinesi
nell’area mediterranea. Ad esempio, durante il conflitto in Libia,
la Cina ha organizzato il rimpatrio di oltre 35.000 cittadini
cinesi presenti in quel Paese.
Rapporti con i singoli Stati
Con la Libia la Cina ha avviato rapporti fin dal 1978, l’anno
delle grandi riforme cinesi. Prima della guerra le compagnie
cinesi avevano appalti per 18 md di dollari nel settore delle
infrastrutture, ponti e strade, ferrovie, telecomunicazioni,
edilizia (appalti bloccati nel 2011; nel 2012 sono riprese le
relazioni con il nuovo governo per sbloccare la situazione e
consentire alla Cina di partecipare alla ricostruzione). Da tener
presente che nel corso del conflitto la Cina ha mantenuto
relazioni costanti con entrambe le parti. Con Israele la Cina ha
rapporti diplomatici dal 1992 ed una positiva collaborazione che
ha favorito una grande crescita degli scambi, aumentati del
200 per cento in venti anni, fino ad un volume di 10 md di
dollari nel 2011. Tutto ciò nonostante il fatto che la Cina abbia
sempre appoggiato il movimento palestinese ed abbia
riconosciuto il nuovo Stato fin dal 1988. Un particolare rapporto
preferenziale lega la Cina all’Egitto perché i cinesi non
dimenticano che l’Egitto è stato il primo Stato arabo e il primo
africano a riconoscere la nuova Cina nel 1956, favorendo
l’apertura delle relazioni tra la Cina e gli Stati arabi ed africani.
Per questa ragione l’Egitto è considerato dai cinesi un “partner
strategico”. In conseguenza di ciò la Cina ha stabilito con
l’Egitto un accordo di cooperazione strategica già dal 1999,
preso successivamente come modello per altri accordi di
cooperazione nell’area mediterranea. Con l’Egitto gli scambi
commerciali ammontano a 8,8 mld di dollari (2011) ed hanno
registrato un incremento pari a +26% rispetto al 2010. La Cina
è stato il primo Paese visitato ufficialmente dall’ex presidente
Morsi (In quella occasione la Cina ha stanziato un prestito di
200 mld di dollari).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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136
BRASILE
Il Brasile può essere definito come un nuovo venuto nell’area
mediterranea, anche se le sue iniziative politiche ed
economiche risalgono ormai a diversi anni fa, in pratica dai
primi anni del 2000. La promozione di un ruolo attivo nell’area
è stata perseguita con particolare intensità dai due presidenti
precedenti, Cardoso (1995-2002) e Lula da Silva (2003-2010).
Gli strumenti della cooperazione
In particolare il presidente Lula ha puntato ad organizzare una
vera e propria piattaforma diplomatica stabile, come strumento
di lavoro per promuovere collaborazioni e scambi nei più diversi
ambiti di attività. È nato così il South American and Arab
Countries Summit - ASPA che si svolge ormai regolarmente dal
2005 (il secondo summit si è svolto a Doha nel 2009, il terzo a
Lima nel 2012). Da sottolineare che con questa piattaforma il
Brasile si è fatto promotore del collegamento dei Paesi dell’area
mediterranea con tutto il Mercosur, cioè con tutta l’area
dell’America Latina. Nell’ambito di questa iniziativa generale, il
Brasile ha promosso la firma di Accordi specifici del Mercosur–
Accordi di libero commercio-FTAS - con alcuni Paesi: Israele
(2007, primo Stato firmatario di questo tipo di accordi) Egitto,
Giordania, Siria (2010), Palestina (2011). Sono in via di
perfezionamento accordi con il Marocco (politiche di co-sviluppo)
e con gli Stati del Golfo (Gulf Cooperation Council – GCC).
Accordi particolari sono stati siglati dal Brasile con Turchia ed
Iran.
Un particolare strumento di collaborazione è la Camera di
Commercio Arabo-Brasiliana- CCAB, attiva da circa 60 anni e
riconosciuta ufficialmente dalla Lega Araba.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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137
I principi ispiratori: politica ed economia
I principi che hanno guidato l’avvio di queste iniziative, in
sintesi, sono stati i seguenti: “inserimento per mezzo della
partecipazione” (presidenza Cardoso) e “inserimento per mezzo
della diversificazione” dei partner (presidenza Lula). In base a
tali principi le attività degli anni precedenti che erano
sostanzialmente concentrate sugli scambi commerciali bilaterali
si sono arricchite di numerose altre iniziative, in particolare
politiche, finalizzate: a) a promuovere quella che il presidente
Lula ha definito come la cooperazione Sud-Sud, b) ad ottenere
il sostegno degli Stati del Medio Oriente e del Nord Africa al
rafforzamento della posizione del Brasile nell’ambito delle
Nazioni Unite. Le iniziative economico-commerciali sono state
dunque collegate a precisi obbiettivi politici, e ciò è stato
considerato coerente con il ruolo attivo che il Brasile stava
assumendo in quegli anni nell’ambito del più ampio processo
della globalizzazione. In questa ottica politica, ad esempio, il
Brasile ha puntato a costruire buone relazioni sia con gli Stati
arabi, sia con Israele; a svolgere un ruolo di mediatore tra
Israele e la Palestina, tra Israele ed Iran. Gli avvenimenti della
“primavera araba” non hanno mutato questo approccio della
politica di penetrazione brasiliana nell’area mediterranea; anzi,
al contrario, lo hanno rafforzato a proporre agli stati dell’area
come modello la propria esperienza di transizione democratica
avvenuta negli anni ’80.
Accordi commerciali e scientifici
Israele, come abbiamo già detto, primo firmatario di accordi
con il Mercosur (2007), è l’unico paese dell’area che ha con il
Brasile dei rapporti di scambio in materia di difesa ed
armamenti. Nel 2003 l’Aereonautica militare brasiliana ha
aperto un ufficio permanente a Tel Aviv e avviato l’acquisto di
velivoli a controllo remoto per il controllo dei confini. Più di 700
industrie e centri di business israeliani vendono prodotti al
Brasile. Un altro Paese dell’area mediterranea con cui il Brasile
sta intensificando i rapporti maturati nell’ambito del Summit
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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ASPA è il Marocco, con il quale è stata avviata una
collaborazione in materia di sicurezza alimentare, agricoltura
familiare, agricoltura nei terreni aridi, desertificazione, pesca
(2011).
Risorse umane: Il ruolo degli arabo-brasiliani
Il Brasile sostiene la propria politica nell’area anche
valorizzando il ruolo attivo e il contributo dei propri cittadini di
origine araba. Si tratta di una popolazione numerosa, calcolata
tra i 10 e i 12 milioni di persone, risultato di una emigrazione
iniziata a fine ‘800 e proseguita nel secolo successivo, in
particolare da Libano, Siria, Egitto, Palestina, Iraq. Questa
importante risorsa umana consente al Brasile: a) da un lato, di
dimostrare a livello internazionale di essere una società
multietnica e tollerante, in grado di garantire il rispetto e la
convivenza di etnie diverse; b) dall’altro, di facilitare l’apertura
e/o l’intensificarsi degli scambi commerciali e delle
collaborazioni (ad es., tra le professioni) con il mondo arabo.
Le dimensioni degli scambi commerciali
Grazie alla nuova strategia complessiva, gli scambi commerciali
tra il Brasile e il mondo arabo sono raddoppiati nel periodo
2005 – 2010 ed hanno raggiunto nel 2011 il volume di 25 mld
di dollari. Il Brasile vende principalmente zucchero, carne,
grano; nel Maghreb esporta macchinari agricoli, in Egitto,
Palestina, Giordania, Libano e Siria esporta servizi e materiali
da costruzioni. Dal mondo arabo il Brasile importa soprattutto
petrolio e derivati, prodotti chimici, fertilizzanti. Negli ultimi
tempi il Brasile ha promosso investimenti diretti nel settore
petrolio-gas in Libia. È opinione degli esperti che il volume degli
scambi sia ancora molto basso e destinato a crescere
ulteriormente nel prossimo futuro.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
139
INDIA
L’India non ha ancora definito una strategia complessiva
precisa nei confronti dell’area mediterranea. In assenza di ciò,
attualmente privilegia gli accordi bilaterali con i singoli Stati,
utilizzando a questo fine anche i legami storici che ha sempre
avuto in particolare con gli Stati del Medio Oriente e dell’area
del Golfo.
Gli strumenti della cooperazione
Preferenza per accordi bilaterali tra Stati.
I principi ispiratori: politica ed economia
Il principio politico di riferimento è quello del non allineamento;
l’approccio ai problemi è di tipo pragmatico. In genere è la
ricerca del vantaggio economico che guida la costruzione dei
rapporti politici.
Rapporti con i singoli Stati
Particolarmente intensi sono i rapporti con Israele, Egitto, Siria.
Israele: pur avendo sempre sostenuto la causa palestinese,
l’India ha stretto importanti accordi con Israele fin dagli
anni ’90 (la normalizzazione dei rapporti è avvenuta nel 1992).
Il settore principale di collaborazione è la sicurezza ed Israele è
uno dei principali fornitori di armamenti all’India. L’india
condivide con Israele attività di ricerca scientifica e tecnologica,
produzioni riguardanti le tecnologie satellitari. Modesti
investimenti indiani sono stati effettuati in Egitto e Siria nel
settore petrolifero. Con gli Stati del Golfo gli interessi indiani
riguardano soprattutto l’importazione di petrolio e la tutela
delle condizioni sociali dei numerosi lavoratori indiani che
operano in quegli Stati.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
140
Risorse umane: i lavoratori indiani
La presenza di lavoratori indiani nell’area è molto numerosa. Si
calcola che negli Stati del Golfo siano presenti circa 5 milioni di
lavoratori indiani. In occasione dei moti della primavera araba,
la principale preoccupazione dell’India è stata l’organizzazione
del rimpatri di 3.000 lavoratori dall’Egitto e di 17.000 lavoratori
dalla Libia.
Bibliografia:
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Camera Deputati, Roma, 20.1.2011.
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nuova iniziativa di cooperazione regionale”, (COM 2007-160 def.)
Bruxelles, 11 aprile 2007.
Commissione Europea: Comunicazione “Un partenariato per la
democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale”
(COM(2011) 200 def., Bruxelles, 8 marzo 2011.
Deaglio Mario: La bussola del cambiamento, Centro Documentazione
e Ricerca “Luigi Einaudi”, Torino – Lazard&Co, Milano 2007.
Istituto Nazionale per il Commercio estero–ICE: Rapporti economici e
commerciali tra l’Italia ed i Paesi del Nord Africa, Roma, 2010.
Istituto Affari Internazionali–IAI: The Mediterranean Region in a
Multipolar World, Mediterranean Paper Series 2013, Roma 2013.
Parlamento Europeo, Commissione per il Commercio Internazionale:
Parere su una nuova iniziativa di cooperazione regionale nel Mar Nero,
Bruxelles 12 ott,2007 (PE 392.060v03-00).
Parlamento Europeo, Roberta Anastase: Relazione sulla
Comunicazione della Commissione Europea: “Sinergia del Mar Nero –
Una nuova iniziativa di cooperazione regionale”, Bruxelles gennaio
2008.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
141
Le dimensioni strategiche della rivoluzione dello Shale Gas: le visioni condivise dalla NATO e dai Paesi del Golfo Giuseppe Morabito – Chief of NATO Defense College Regional Cooperation Course
Il 19 settembre 2013, la Middle East Faculty (MEF) del NATO
Defense College (NDC) ha organizzato un workshop
riguardante la “rivoluzione” dello shale gas e la sua
utilizzazione nei paesi della NATO e le conseguenze per i suoi
partner del Golfo Arabico. L’iniziativa è nata dalle
preoccupazioni condivise da entrambe le parti della partnership
NATO e i Paesi del Golfo, che sono state messe in risalto
durante varie conferenze ed incontri negli ultimi dodici mesi sia
nelle capitali europee sia del Golfo Arabico. In particolare tale
problematica è stata evidenziata sia durante la conferenza
denominata “Manama Dialogue 2012” organizzata dall’I.I.S.S.
del Bahrain nel dicembre 2012 sia nel corso del NATO – Gulf
Workshop organizzato dalla MEF-NDC nello scorso marzo.
Infatti, la rivoluzione geopolitico-economica conseguente dal
futuro sfruttamento dello shale gas è evidente per tutti gli
attori in gioco, ma le preoccupazioni a riguardo sono, come
logico sia, inquadrate in modo variegato e differente. Da parte
dell’Alleanza la domanda principale può essere riassunta come:
“Qual è l’impatto della rivoluzione dello shale gas sul
tradizionale rapporto che ci lega ai Paesi del Golfo?”. Per i Paesi
del Golfo la domanda centrale riguarda non tanto l’aspetto
economico ma la sicurezza, in altre parole: “Gli Stati Uniti e i
nostri alleati europei si allontaneranno dal Golfo?”. Le
differenze nel modo in cui la rivoluzione dello shale gas è
percepita e le preoccupazioni che pongono in essere non
dovrebbero essere sottostimate: esse si concretano nelle
differenti percezioni e preoccupazioni dei vari attori che
conducono il processo decisionale. Questo è il contesto nel
quale è stato organizzato il workshop: l’obiettivo era quello di
esaminare dettagliatamente tutte queste decisioni, portando
scienziati, imprenditori, economisti, “decision makers” politici e
militari della NATO a discutere insieme scambiandosi
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
142
prospettive in un contesto interdisciplinare. Alcuni trend oggi
sembrano scontati. Entro il 2035 gli Stati Uniti produrranno 342
miliardi di metri cubi di shale gas: ciò corrisponderà al 47%
della produzione totale mondiale di gas, evidenziando una
marcata differenza dalle capacità USA che erano del 16% del
2009. Secondo le stime del Dipartimento di Energia degli USA,
lo shale gas fornirà gas agli USA per circa i prossimi novanta
anni. Quest’abbondanza (“gas bonanza”) di gas, come oggi è
chiamata dagli economisti, genererà una nuova grande
redistribuzione globale dei poteri tra importatori e esportatori
di energia. Complessivamente, Exxon Mobil prevede che
l’America settentrionale diventerà un esportatore netto di
energia entro il 2025: e l’Agenzia Internazionale per l’Energia
prevede che gli Stati Uniti supereranno come capacita di
produzione sia la Russia, maggiore attuale produttore di gas,
sia l’Arabia Saudita, maggiore produttore di petrolio. Tuttavia,
si deve tenere in conto che tanto più l’industria americana di
shale gas cresce, più cresce la domanda di “regolamentazione
legislativa” interna agli USA. Fino ad oggi non esiste una
“regolamentazione” di tipo nazionale e le condizioni per il
fracking variano a seconda della legislazione interna di ciascuno
Stato. Nel frattempo, i paesi europei e del Golfo sono e sono
stati molto meno attivi in questo campo. In Europa, questioni
di tipo legislativo, incertezze di tipo ambientale e controversie
politiche riguardanti la tecnica del fracking hanno lasciato il
continente nella confusione. Alcuni paesi, che erano
inizialmente entusiasti (ad esempio la Polonia) hanno
ridimensionato le proprie attese dopo il risultato negativo
dell’analisi costi / benefici; in altri paesi (ad esempio la Francia),
la questione è diventata di tipo politico ed è strettamente
connessa con , il già presente, ampio sfruttamento del nucleare
da parte del nostro vicino d’oltralpe. Nel Golfo, nonostante si
dica che l’Oman e il Kuwait stanno preparando progetti
ambiziosi e che ci sono segni di un dibattito in corso in Arabia
Saudita, le monarchie arabe non stanno tuttavia affrontando in
maniera propositiva la “rivoluzione” dello shale gas.
Discutibilmente, la prospettiva di una domanda asiatica per il
petrolio e il gas convenzionale che andrebbe a mitigare il
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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rischio di una rilevante e immediata riduzione delle esportazioni
del Golfo nel vicino/prossimo futuro. Quanto precede, spiega,
solo parzialmente, la mancanza di entusiasmo nella regione
riguardo alla prospettiva dello sfruttamento dello shale gas.
Complessivamente, queste tendenze sembrano avvalorare una
tesi che si è diffusa negli ultimi anni tra i principali attori del
mercato dell’energia. La tesi in questione è la seguente: gli
Stati Uniti stanno attraversando un mutamento sostanziale
della loro posizione globale geopolitica, in particolare, ci sono
indicatori che evidenziano un allontanamento dal Grande Medio
Oriente (MENA Region) a favore dell’Asia. La rivoluzione dello
shale gas sta favorendo tale passaggio. Di conseguenza, il
ruolo della NATO nel Golfo è probabilmente destinato a
diminuire e le potenze asiatiche quali Cina e India sostituiranno
le potenze occidentali in quell’area. Tuttavia, una tale visione
del sistema internazionale come un’equazione a risultato zero è
troppo semplicistica per essere presa seriamente in
considerazione, date le implicazioni strategiche dell’innovazione
apportata dallo shale gas. In primo luogo, l`assunto secondo il
quale gli Stati Uniti lasceranno il Golfo Arabico, data la
ricchezza di questi giacimenti di energia, è fuorviante. Un
esempio può essere quello per cui, a differenza della
convinzione diffusa, gli Stati Uniti non hanno lasciato il Medio
Oriente seguendo il ritiro delle truppe dall’Iraq nel Dicembre
2011. In realtà, il livello dell’impegno americano nella regione,
invece che diminuire, sta aumentando in maniera rilevante.
Dando credito alla minaccia dell’Ayatollah Khamenei di chiudere
lo Stretto di Hormuz nel gennaio del 2012, la Marina
statunitense ha raddoppiato nell’area il numero delle navi in
operazioni di pattugliamento strategico. Durante lo stesso
periodo, la I Brigata della I Divisione Cavalleggeri dell’esercito
USA è stata trasferita dall’Iraq al Kuwait. Questa unità di circa
4.500 unità più carri armati e artiglieria, svolgerà un ruolo di
“forza a risposta mobile” USA nella regione del Golfo.
Complessivamente, gli Stati Uniti mantengono ancora quasi
50.000 soldati nell’area. Nel campo della vendita di armi,
Washington non è mai stata così attiva: l’acquisto degli aerei F-
16 fighter dagli Emirati Arabi Uniti nel 2013 (per un valore di 5
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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miliardi di dollari americani) segue quello dell’Arabia Saudita
del 2011 di 84 aerei F-15 (un affare record di 29,4 miliardi di
dollari). Washington gioca altresì un ruolo cruciale nella
formazione dell`architettura difensiva del Consiglio di
Cooperazione del Golfo (GCC). Le monarchie del GCC fanno
sempre più affidamento sui sistemi di armi americani
(attraverso acquisti pianificati e confermati di batterie Patriot) e
sulle strutture di comando del Comando Centrale degli Stati
Uniti. Infine, l’avvio, lo scorso anno, di un primo dialogo
strategico US-GCC va nella direzione di unire tutti questi sforzi.
D’altro canto, l’idea che la Cina o l’India “rimpiazzino” le
potenze occidentali nel Golfo, come conseguenza della
rivoluzione dello shale gas, appare molto discutibile. Sebbene
le relazioni golfo-asiatiche si siano intensificate in numerosi
settori economici, la visione di un emergente nesso strategico
golfo-asiatico minimizza molte contraddizioni sostanziali.
Innanzitutto, per esempio, l’India e la Cina hanno consolidato
le loro relazioni economiche e politiche con l’Arabia Saudita,
hanno rafforzato i legami militari con Israele e, allo stesso
tempo, hanno mantenuto la cooperazione con l’Iran. Inoltre, i
legami dell’Arabia Saudita con l’India, il Pakistan e la Cina sono
stati rinforzati, nonostante il livello di competizione esistente
all’interno di tale triangolo. In realtà, questi rapporti
contraddittori dimostrano la riluttanza da parte dei Paesi del
Golfo e asiatici a pensare in maniera strategica il
riavvicinamento golfo-asiatico. In secondo luogo, la tesi di un
riavvicinamento Golfo-Asia non affronta il problema del costo.
La forza militare degli Stati Uniti rimane il garante principale
della sicurezza per i mercati globali. Com’è stato evidenziato
durante il workshop, è la supremazia strategica USA che
assicura la “pace globale”. Tale ”missione di supremazia” conta
non solo perché salvaguarda le importazioni americane ma, più
in generale, perché garantisce la stabilità del flusso globale
delle merci. Il modo di funzionare dei mercati è tale che se gli
Stati Uniti lasciassero una regione senza fornire la sicurezza
della medesima, si alzerebbero i prezzi non solo di quei prodotti
provenienti dalla suddetta area, ma su scala globale. È
possibile fare un’interessante comparazione tra l’instabilità nel
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
145
Golfo di Aden e l’aumento della pirateria nel 2008. Un numero
crescente di pirati somali (le stime parlano di più di 1.000),
traendo vantaggio dall’assenza del principio della legge in
Somalia, ha attuato attacchi sempre più frequenti e sfrontati
contro navi commerciali che trasportavano importanti carichi
come petrolio, cibo e armi nell’Oceano Indiano e nel Golfo di
Aden. In appena un anno (2008), i costi di assicurazione per il
trasporto merci attraverso il Golfo di Aden si sono innalzati dai
900 US$ fino a 9.000 US$. Di conseguenza, la NATO e altri
attori hanno dispiegato navi per contenere tale fenomeno che
al momento appare del tutto ridimensionato. In altre parole, la
rivoluzione dello shale gas potrebbe garantire agli Stati Uniti
una leva d’influenza sui suoi fornitori di energia ma Washington
non ha alcun interesse a creare un vuoto di sicurezza nel Golfo
Persico. Tale considerazione ci conduce a un terzo punto e cioè
che l’opinione diffusa riguardo alla rivoluzione dello shale gas e
le sue implicazioni geopolitiche sovrastimano il ruolo
dell’economia nella definizione degli orientamenti politici.
L’impegno strategico statunitense ed europeo nel Golfo è
guidato non solo dalla domanda di energia, ma altresì da
interessi di sicurezza nazionale. Tra questi, la prevenzione
rispetto a un Iran in possesso dell’arma nucleare, e più
generalmente la prevenzione di una proliferazione di armi di
distruzione di massa, prevale sulle considerazioni economiche
tanto che, più che lo shale gas, sarà questo l’elemento che
guiderà la politica transatlantica nel prossimo futuro. Se si
concorda che lo shale gas non costituisce una “rivoluzione
strategica” per la NATO e i suoi partner del Golfo, la sua
importanza non dovrebbe comunque essere sottovalutata.
Come non è da sottovalutare l’evidenza che una maggiore
disponibilità’ di shale gas da parte dell’Europa potrà anche
causare la necessità di ridefinire alcuni equilibri commerciali nel
Mediterraneo tutti a scapito dei produttori della costa nord
africana. Come si può evincere dall’attenzione rivolta al futuro
economico durante il workshop, tale argomento probabilmente
assumerà maggiore risonanza nei prossimi anni e molte
sfaccettature che lo riguardano dovranno essere ulteriormente
approfondite. L’idea è che i futuri incontri siano svolti al fine di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
146
aggiornare e raffinare le proprie considerazioni sull’interazione
tra le tendenze del settore energetico qual è la rivoluzione dello
shale gas e i problemi inerenti, la sicurezza e la stabilità del
Golfo Arabico. Quando la pressione sale, coloro i quali
detengono il potere decisionale hanno necessità di conoscere
che tipo d’impatto avrà tale combinazione sulla pianificazione
militare e sull’impegno diplomatico della NATO nel Golfo. Da
settembre a novembre nel corso di visite all’estero e in
conseguenza di un’attenta partecipazione alle conferenze in
Italia ho notato che sempre più di frequente, ma oserei dire
sempre, i relatori che elaborano teorie sul futuro della “MENA
Region” non dimenticano mai di parlare di fracking. In
particolare, la NATO - MEF si propone di inserire la
“rivoluzione” quali uno dei principali temi da trattare nel 2014
con il titolo: Shale gas e il ”cambio della rotazione” degli
interessi geo-politico-economici mondiali“ con riferimento sia ai
rapporti NATO – Golfo sia a quelli Europa - Africa settentrionale.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
147
Instabilità in Medio Oriente e Sicurezza Energetica Nicola Pedde – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
Breve introduzione storica alla rilevanza energetica del Medio Oriente
Sin dalla seconda metà del secolo XIX, il legame tra le regioni
del Medio Oriente e gli idrocarburi è stato particolarmente
intenso. Tanto da indurre nel tempo alla diffusa convinzione
che la regione fosse in realtà l’unica sorgente del prezioso
minerale.
Al contrario, invece, la rilevanza energetica del Medio Oriente è
sorta solo quale conseguenza del fatto che in tali luoghi
l’industria petrolifera ha dato avvio a quelle economie di scala
inizialmente necessarie a rendere fruttuoso lo sfruttamento del
petrolio. Determinando in tal modo una rilevanza geografica
solo economicamente giustificata, e non già
geomorfologicamente.
La disponibilità di petrolio, in sintesi, è stata per lungo tempo
attribuita solo alle aride regioni del Medio Oriente, senza
considerare quanto al contrario gli idrocarburi siano ben più
largamente presenti in molte aree del pianeta, come le
successive fasi di esplorazione hanno praticamente dimostrato.
Lo sfruttamento del petrolio ad opera degli inglesi e degli
americani, inoltre, venne concentrato inizialmente in Iran e in
Arabia Saudita, determinando l’attribuzione di un connotato di
fondamentale importanza comune ai due paesi. Anche in
questo caso, tuttavia, la rilevanza era giustificata solo dalla
protezione delle economie di scala che garantivano la
redditività delle attività svolte in loco, spesso intenzionalmente
impedendo l’espansione delle attività di esplorazione e
produzione anche in aree adiacenti, a garanzia degli
investimenti e dei lucrosi guadagni.
È con la seconda guerra mondiale, tuttavia, che la dimensione
energetica della rilevanza regionale assume proporzioni
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
148
considerevoli, consolidandosi poi in modo ancora più marcato
nel successivo periodo della Guerra Fredda.
Anche il Medio Oriente entrò quindi nell’orbita delle alleanze
strategiche tra il Patto di Varsavia e l’Alleanza Atlantica,
andando ad assumere nel tempo geometrie variabili – non
pochi paesi transiteranno dall’uno all’altro fronte – e dimensioni
di rilevanza eterogenee – soprattutto in conseguenza
dell’ampliamento delle attività di ricerca e produzione.
I poli di rilevanza della produzione regionale, tuttavia,
restarono per lungo tempo l’Arabia Saudita e l’Iran, che al
tempo stesso costituivano anche il baluardo delle alleanze con
l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare – oltre ad Israele,
chiaramente.
Ciò che mutò radicalmente per la prima volta il quadro del
mercato energetico globale, e quindi ancor più quello regionale,
fu il cosiddetto shock petrolifero del 1973.
La crisi sorse, ufficialmente, in conseguenza dell’appoggio
occidentale ad Israele durante la guerra dello Yom Kippur
dell’ottobre 1973, quando lo stato ebraico si trovò a dover
fronteggiare contemporaneamente l’attacco egiziano e siriano,
rispettivamente nel Sinai e sul Golan. Il sostegno economico e
militare ad Israele da parte dei paesi europei e degli Stati Uniti
– che consentì in pochi giorni ad Israele di avere la meglio sul
campo di battaglia – spinse i paesi arabi aderenti all’Opec
(Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio) a decretare un
embargo dei prodotti petroliferi verso quei paesi che avevano
dichiaratamente aiutato Israele nel corso della guerra.
La decisione, tuttavia, aveva anche una motivazione
squisitamente economica. L’Opec, infatti, riteneva che i bassi
prezzi del petrolio che sino ad allora avevano caratterizzato il
mercato, dovessero essere rivisti al rialzo. Ritenevano,
pertanto, che i tempi fossero maturi per un’azione di forza
contro il sistema economico occidentale, giudicato
erroneamente debole ed in profonda crisi.
L’occasione della guerra con Israele, quindi, fornì il pretesto per
una dichiarazione di guerra sui mercati delle materie prime,
determinando in breve tempo una gravissima crisi economica
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
149
conseguente all’indisponibilità dei flussi tradizionali di petrolio
sui mercati europei e nord americani.
Ciò che l’Opec aveva tuttavia sottovalutato, era la capacità dei
paesi consumatori di individuare nuove fonti di
approvvigionamento in tempi relativamente rapidi.
Venne avviata una poderosa azione di esplorazione in Europa,
Africa, Nord e Centro America ed Asia, incrementando in
brevissimo tempo i volumi della produzione e la capacità di
trasporto verso i tradizionali mercati di consumo, ribaltando in
meno di un decennio il disequilibrio di forze generato dalla crisi
petrolifera del 1973.
Venne dato forte impulso anche alla ricerca, avviando lo
sviluppo del mercato del gas naturale, sino ad allora
considerato di fatto materiale di scarto della produzione
petrolifera. Ed è proprio in questo ambito che iniziò
l’irreversibile – ed oggi sempre più evidente – fase di declino
del mercato petrolifero tradizionale, a graduale vantaggio di
ulteriori componenti del mercato degli idrocarburi.
L’austerity petrolifera costituì anche il volano di sviluppo delle
energie alternative e delle rinnovabili, fornendo in tal modo
impulso ad una vera e propria rivoluzione tecnologica nel
settore dell’energia, che contribuì ulteriormente alla
complessiva ridefinizione del paniere energetico globale.
In meno di dieci anni, gli effetti della “guerra petrolifera” si
erano drammaticamente rivolti contro chi la guerra aveva
voluto. I paesi occidentali misero in produzione abbondanti e
qualitativamente ottimi giacimenti di petrolio, in aree diverse
dal Medio Oriente, riducendo drasticamente la rilevanza dei
mercati tradizionali nel paniere energetico globale.
Le politiche di efficienza dei consumi dettero risultati insperati,
riducendo il fabbisogno ed incrementando la quota di energia
prodotta da fonti diverse dal petrolio. Lo sviluppo del mercato
del gas naturale aprì invece una nuova frontiera energetica,
caratterizzata da attori importanti non solo diversi da quelli
mediorientali, ma spesso ubicati nelle stesse aree di consumo.
Rivoluzionando in tal modo considerevolmente l’intera filiera
del settore.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
150
L’Opec dovette alla fine arrendersi all’evidenza della nuova
realtà del mercato nel 1981, a meno di dieci anni da quella
guerra che tanto improvvidamente aveva scatenato. Con i
prezzi del petrolio crollati a poco più di dieci dollari al barile, e
con un sistema dell’approvvigionamento non più esclusivo
monopolio del Medio Oriente e del petrolio, dovette ritagliare
per sé l’ingrato ruolo di “calmieratore del mercato”, stabilendo
da quel momento in poi non più quanto produrre, ma quanto
tagliare nella produzione regolando le quote dei singoli e
sempre più riottosi aderenti al cartello.
Il mercato energetico post-shock e i nuovi attori di sistema
Nonostante la straordinariamente ampia portata dei mutamenti
nel sistema energetico globale, buona parte della stampa ha
continuato nel corso degli ultimi quarant’anni ad attribuire una
valenza strategica al Medio Oriente spesso eccessiva.
Dopo i fatti dello shock petrolifero del 1973, e poi della
rivoluzione iraniana del 1978-79, la gran parte dei paesi
occidentali – come si è detto – mutò atteggiamento nella
propria strategia di accesso alle risorse, e nella gestione delle
stesse sotto il profilo del consumo.
Il mercato petrolifero è stato caratterizzato da un ampio
incremento sia sotto il profilo dell’offerta che dell’ubicazione
geografica di produzione, riducendo sensibilmente la rilevanza
del Medio Oriente, ed aprendo nuovi fruttuosi mercati in Asia,
Africa e nelle Americhe.
L’ingresso della Russia post sovietica nel mercato globale della
produzione di petrolio e gas naturale, ha ulteriormente mutato
il quadro del sistema, definendo nuovi poli e nuovi equilibri nel
mercato energetico.
E i mutamenti hanno riguardato anche la stessa area del Medio
Oriente, dove alle tradizionali aree di produzione consolidatesi
tra il XIX e XX secolo, si sono aggiunti nuovi attori sino a quel
momento rimasti nell’ombra di un diktat produttivo di fatto
imposto dagli attori storici della produzione. In trent’anni
abbiamo quindi assistito all’emergere di nuove realtà come
quelle degli Emirati Arabi Uniti, del Qatar, dell’Algeria e del
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
151
Sudan, andando ad ingrossare le fila di un sistema produttivo
sempre più globalizzato e competitivo.
Tutto questo, chiaramente, a danno degli attori che
storicamente hanno dominato il sistema della produzione, e
che lo hanno tenuto in pugno soprattutto grazie alla propria
capacità di rappresentare elementi insostituibili del complesso
ingranaggio petrolifero.
L’Arabia Saudita, ad esempio, ha consolidato la sua importanza
a cavallo tra gli anni Settanta e la fine del XX secolo grazie a
due fattori. Il primo era chiaramente quello dei volumi
produttivi, che con oltre 9 milioni di barili al giorno di media
rappresentava un pilastro non amovibile del sistema petrolifero.
L’altro fattore era invece rappresentato dalla cosiddetta spare
capacity, ovvero la capacità aggiuntiva di produzione in
aggiunta alla quota ordinaria. Sebbene il dato sulla spare
capacity saudita sia segretato, se ne è potuta apprezzare la
dimensione nel 2003, in occasione dell’avvio del conflitto in
Iraq, quando la sola Arabia Saudita riuscì a compensare nello
stesso momento il venir meno della produzione irachena (2,5
milioni di barili regolati dal programma ONU oil for food), parte
dell’output nigeriano, interessato da attentati lungo il delta del
Niger (si stima tra i 500.000 e i 700.000 barili al giorno di
ammanco sul totale) e parte del greggio venezuelano, non
immesso sul mercato a causa di una serie di ricorrenti scioperi
nel settore petrolifero (anche in questo caso per volumi stimati
tra i 400.000 e i 600.000 barili al giorno). Per un totale di circa
3.4/4.0 milioni complessivi di barili al giorno. In pratica, la
capacità produttiva di un paese come l’Iran.
Questa straordinaria combinazione di fattori, che attribuiva
all’Arabia Saudita una straordinaria forza commerciale ed un
ancor maggiore valore strategico nel complesso del sistema
della produzione petrolifera, è andato gradualmente
diminuendo nel corso degli ultimi vent’anni. Non solo l’ingresso
della Russia nel mercato ha diminuito la valenza assoluta della
produzione saudita, ma la graduale crescita di attori come
Canada e Stati Uniti (quest’ultimo ormai prossimo a rimontare
dopo trent’anni alla testa delle nazioni produttrici), hanno
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
152
ulteriormente vanificato il potenziale della sua spare capacity,
determinando un’irreversibile fase di lento declino.
A questi fattori, si sono poi aggiunti gli effetti della
diversificazione per fonte di energia, tramite la crescita di
rilevanza del gas naturale e delle energie rinnovabili, che
hanno ulteriormente intaccato il valore ed il ruolo dei produttori
tradizionali, determinando l’ascesa di nuovi e più competitivi
attori sul mercato.
Miti e leggende delle guerre del petrolio nel Medio Oriente contemporaneo
Alla luce del mutato scenario complessivo nel sistema globale
della produzione petrolifera, parlare oggi di “guerre del
petrolio” risulta alquanto improbabile, e spesso funzionale più
ad interessi terzi rispetto a quelli energetici.
Il mercato di settore gode nel suo complesso di un certo
consolidato equilibrio, garantito soprattutto dal fatto che le
compagnie petrolifere, siano esse quelle nazionali che quelle
private, possono conseguire i profitti attesi solo in costanza di
condizioni generali di equilibrio e stabilità. Non c’è variabile
peggiore di un conflitto per chi investe denaro e tecnologie in
un settore di sviluppo, soprattutto in uno come quello
petrolifero, dove i ritorni sugli investimenti sono prodotti nel
medio e lungo periodo, e quindi necessariamente risultanti da
una prolungata stabilità dei mercati e delle aree di produzione.
Il mercato è poi oggi non più dominato da cartelli, come negli
anni Sessanta e primi Settanta con l’Opec, ma al contrario da
un oligopolio diffuso della produzione, e da una eterogenea
matrice di consumo in seno ai paesi industrializzati.
In quest’ultimo ambito, infatti, la composizione del sistema di
consumo si è divisa tra paesi altamente industrializzati (in
alcuni casi definiti post-industriali) ed emergenti, con matrici di
consumo spesso diverse tra loro. La crescita della produzione
industriale cinese ha assorbito la gran parte della produzione
tradizionale di petrolio delle aree del sud est asiatico e del
Golfo Persico, espandendo il suo raggio sino all’Africa e al Sud
America. Al tempo stesso gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
153
hanno diversificato le proprie matrici di consumo,
incrementando fortemente quello del gas naturale e delle
rinnovabili. In questo modo sono anche mutati largamente gli
attori tradizionali del rapporto bilaterale tra fornitore e
consumatore, con l’emergere di nuovi poli di sviluppo.
L’Algeria e la Libia si sono affermate come produttrici di
petrolio prima, e come poli di sviluppo del gas naturale poi,
diventando un nuovo perno del sistema di approvvigionamento
del sistema europeo. La Russia, già storicamente legata
all’Italia da accordi commerciali sin dai tempi più cupi della
Guerra fredda, ha assunto il ruolo di player di riferimento nel
settore del petrolio e del gas nell’est europeo e nei Balcani,
soprattutto grazie allo sviluppo di una estesa rete di gasdotti in
collaborazione con la Turchia.
Quest’ultima si è invece affermata come snodo strategico delle
direttrici di trasporto del gas e del petrolio in direzione
dell’Europa e del Mediterraneo, approfittando della propria
collocazione geografica per fungere da raccordo pressoché
obbligato di conciliazione dei divergenti interessi russi ed
americani nella regione. In tal modo, rispondendo all’esigenza
di impedire il transito attraverso l’Iran lungo la più logica e
conveniente rotta nord-sud, ma anche favorendo il bypass della
Russia attraverso il corridoio est-ovest della Baku-Tblisi-
Ceyhan, che per prima aveva scardinato il monopolio delle
direttrici russo centriche sviluppate da Mosca ai tempi
dell’Unione Sovietica e poi perpetuate nell’epoca della
Federazione di Stati Indipendenti.
Sul fronte dei conflitti, infine, una parte residuale delle crisi
attualmente in atto nella regione del Medio Oriente ha una
effettiva valenza energetica.
Quella caratterizzata dagli elementi più marcatamente di
interesse energetici è senza dubbio la crisi libica, le cui
dinamiche iniziali restano ancor oggi avvolte da una spessa
coltre di mistero, e soprattutto ipocrisia, tra alcuni paesi
europei. In modo particolare, forte è il sospetto che, ad una
moderata forma di protesta locale – sorta per motivi
prettamente economici e sociali nelle aree della Cirenaica – si
sia inserita prepotentemente l’azione della Francia e del Qatar,
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
154
al fine di favorire l’allargamento del fronte di crisi determinando
la fine del regime di Muhammar Gheddafi. La rivolta,
aumentata per dimensione e, soprattutto, per capacità di
reazione da parte governativa, ha determinato la necessità
dell’innalzamento dello scontro e del coinvolgimento di alcune
nazioni occidentali. Senza il cui apporto non sarebbe in alcun
modo stato possibile avere la meglio sulla ben oliata macchina
della sicurezza del regime libico.
Le finalità di una crisi di portata così ampia, sono state da molti
individuate nel tentativo francese di scardinare il ruolo italiano
in Libia, prevalentemente nel settore energetico, ma anche
nell’imminenza dell’erogazione del considerevole importo che
l’Italia si era impegnata a versare alla Libia quale
compensazione per i danni di guerra.
Non ha invece una motivazione energetica la crisi in atto in
Siria, che rientra al contrario nel tentativo di scardinare il
sistema delle alleanze regionali dell’Iran, nell’ambito di una più
ampia ed articolata inimicizia tra Tehran e Riyadh. Lo stesso
dicasi nel caso dell’Egitto, che, nonostante sia un produttore di
petrolio e gas, è transitato nel corso degli ultimi vent’anni da
esportatore ad importatore netto di energia, in conseguenza
dell’esplosione demografica del paese e della contestuale
incapacità di diversificazione della filiera industriale nazionale.
Anche l’instabilità dell’Iraq è frutto di una lotta settaria senza
quartiere all’interno del contesto nazionale, soprattutto tra le
comunità sciite e sunnite, e l’unico elemento di connessione tra
crisi ed energia è riscontrabile nelle regioni settentrionali, dove
le minoranze curde cercano di rendersi autonome dal governo
centrale, gestendo in parziale autonomia la produzione locale.
In conclusione, quindi, è possibile ribadire come la struttura
global del sistema energetico sia stata oggetto di variazioni
importanti nel corso degli ultimi quarant’anni, mutando
profondamente la fisionomia della rilevanza che un tempo
poteva essere attribuita alle regioni del Medio Oriente. La gran
parte delle crisi che interessano la regione, al contrario, sorge
proprio dall’incapacità dei paesi produttori nell’aver saputo
diversificare le proprie economie rispetto al sistema dei rentier-
state, andando progressivamente ad indebolire la propria
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
155
capacità di sostenere le politiche economiche e sociali che da
anni regolavano gli equilibri delle società della regione.
La gran parte delle recenti e meno recenti crisi del Medio
Oriente, quindi, poco ha a che vedere in modo diretto con
l’elemento energetico, affondando al contrario le ragioni
storiche delle stesse nel malcontento maturato a livello sociale
dopo anni di mala gestione delle finanze pubbliche e dei
programmi di politica industriale.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
156
Sicurezza energetica eurasiatica e cooperazione regionale
Alessandra Russo – Analista indipendente
La transizione geopolitica che ha fatto seguito alla
disintegrazione dello spazio sovietico e alla (re)integrazione di
Cina e India nell’economia globale ha portato al centro delle
considerazioni strategiche delle grandi potenze una regione,
quella centroasiatica, che in precedenza era stata a lungo
considerato un hinterland amorfo del nucleo imperiale russo. La
rilevanza attribuita alla regione caucasica è dovuta, da una
parte, alla presenza di ingenti quantità di risorse naturali e
materie prime (non solo idrocarburi, ma anche risorse idriche,
metallifere e minerarie); e dall’altra, al posizionamento pivotale
degli “stan” 22 rispetto sia ai maggiori esportatori di prodotti
energetici che ai mercati maggiormente in espansione. La
centralità geopolitica di questo spazio regionale va rintracciata
in riflessioni che predatano il recente riemergere della logica
“Great Game”, come quella di Mackinder, che caratterizza
l‘Eurasia come una massa continentale inaccessibile dal mare e
quindi non esposta agli attacchi delle potenze marittime.
Mackinder identifica questi territori come il “cuore” dell‘Isola-
Mondo, il nucleo dell‘heartland e quindi il pivot attorno a cui
ruota lo sviluppo globale (Mackinder 1904). In effetti, l‘Asia
centrale si è sempre configurata, nel corso dei secoli, come
crocevia di civiltà, punto di incontro e di scambio economico,
religioso, culturale: è sufficiente pensare al revival subito dalla
retorica sulla “Via della Seta” e agli accostamenti con
l’immagine del “ponte” (quando non di “buffer”, secondo le
interpretazioni e i risvolti politici) tra il Medio Oriente, la Cina, il
sub-continente indiano e il fianco meridionale russo. Spykman
rivede parzialmente la teoria di Mackinder, stabilendo la
centralità del rimland, ossia la costa eurasiatica; se secondo
Mackinder, l‘attore in grado di controllare l‘heartland, è
22 Kazakistan, Kirghizstan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
157
destinato a dominare non solo l‘Eurasia ma il mondo intero, per
Spykman, la posizione di predominio globale è invece
condizionata dal controllo del rimland (Spykman 1944). Nel
corso degli anni Novanta, non pochi autori hanno rivisto queste
teorie per applicarle al caso eurasiatico, arrivando ad affermare
che “who controls the Silk Pipelines controls the world”
(Robbins 1993).
Secondo i dati forniti per il 2011 dall’Energy Information
Administration, principale agenzia statunitense responsabile
della raccolta, analisi e disseminazione di informazioni relative
proprio al mercato energetico globale, Kazakistan, Uzbekistan e
Turkmenistan contribuiscono in modo preponderante alla
produzione di petrolio e gas. In particolare, il Kazakistan è
secondo solo alla Russia, nella regione eurasiatica, per quanto
riguarda sia la presenza di riserve petrolifere (concentrate
principalmente a Tengiz e Karachaganak) che la produzione di
petrolio; mentre Turkmenistan e Uzbekistan sono
rispettivamente il secondo e terzo maggiore produttore di gas
su scala regionale, ancora dopo la Russia.
Kazakistan Turkmenistan Uzbekistan Mondo
Produzione tot.
petrolio (migliaia
di barili al giorno)
1,605.88
*18*
244.07
*39*
102.58
*49* 87,483
Riserve accertate
petrolio (miliardi
di barili)
30.00
*12*
0.60
*43*
0.59
*44* 1,526
Produzione tot.
gas (migliaia di
metri cubi)
11.83
*42*
66.2
*20*
63
*14* 3,168
Riserve accertate
gas (migliaia di
miliardi di metri
cubi)
2.41
*14*
7.50
*6*
1.83
*18* 193.71
Petrolio e Gas in Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, secondo i dati forniti da U.S.
Energy Information Administration per il 2011. I numeri segnalati con asterisco
indicano la posizione del paese a livello globale, per l’anno precedente (fonte:
www.eia.gov)
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Pur non potendo contare su ingenti quantità di idrocarburi sul
proprio territorio, il ruolo di Kirghizistan e Tajikistan nella filiera
produttiva energetica regionale non è da trascurarsi, in virtù
della concentrazione di risorse idriche, sempre più funzionali
quando non essenziali alla produzione di energia (generazione
elettrica; estrazione, trasporto e lavorazione di petrolio, gas e
carbone, per esempio il mantenimento della pressione nei
giacimenti; irrigazione delle culture destinate alla produzione di
biocarburanti e sabbie bituminose, IEA World Energy Outlook
2012).
Un approccio regionale?
In questo contesto, quindi, sia attori regionali che extra-
regionali (non ultimi, Stati Uniti ed Unione Europea)
identificano la funzione ultima del pivot centroasiatico come
integrazione continentale, del transito e dell‘offerta di contatti
via terra sia in direzione est-ovest che nord-sud.
Mappa dei corridoi energetici della regione eurasiatica (fonte: JBC Energy GmbH)
Proprio per questo, un approccio “connettore” all’Asia centrale
(Matveeva 2007), concentrato sullo sviluppo infrastrutturale e
di corridoi per il trasporto di idrocarburi, ha ispirato alcune
iniziative di cooperazione su base regionale, tra cui
l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione: interessante,
quest’ultima, se si considera che i suoi membri controllano
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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circa un quarto delle risorse petroliere mondiali e più della
metà di quelle gasiere, e che vi partecipano come osservatori o
partner di dialogo paesi dal peso strategico nell’export (Iran) e
nell’import (India). La struttura cooperativa alla base dell’OSC
ha origini negli anni Novanta con l’avvio di negoziati sulla
delimitazione e smilitarizzazione delle frontiere sino-russe e
sino-kazakhe, sino-kirghise e sino-tagike. La definizione dei
confini ha rappresentato l‘input per la formazione del gruppo
Shanghai-5, che gradualmente ha esteso la propria agenda al
coordinamento in materia di “sicurezza non convenzionale” e si
è istituzionalizzata prima nel Forum di Shanghai, e poi
nell’Organizzazione vera e propria, che resta imperniata sulla
diarchia sino-russa e influenzata dalle criticità di questo
condominio egemonico. L’equilibrismo di potere tra Mosca e
Pechino ha investito anche l’interpretazione dell’OSC come
emergente blocco geoeconomico. Per Pechino una delle
funzioni primarie della propria politica centroasiatica è proprio
quella di fornire garanzie al paese sull’approvvigionamento
energetico; tuttavia, le reazioni cinesi rispetto a meccanismi
multilaterali in materia di sicurezza energetica si sono rivelate
alquanto tiepide, soprattutto in riferimento al fatto che, tra il
2006 ed il 2007, a Mosca sia stata preconizzata l’istituzione di
un club energetico collegato alla struttura dell’OSC – non
un’OPEC del gas che potrebbe indurre i paesi importatori alla
diversificazione delle rotte, ma piuttosto un comune dispositivo
regolatore delle esportazioni di idrocarburi. Nonostante le
reciproche reticenze tra Cina e Russia, l’OSC qualche timida
mossa in quella direzione l’ha compiuta, almeno a livello
declaratorio: già nel 2004 aveva infatti esteso la propria
agenda ad includere il settore energetico, con la firma di un
piano di azione che gettava le basi per una cooperazione tra la
triade dei membri produttori (Russia, Kazakistan, Uzbekistan) e
quella dei consumatori (Cina, Kirghizistan, Tajikistan).
Successivamente, durante il Vertice OSC di Mosca, nell’ottobre
del 2005, il Segretario Generale Zhang Deguang ha annunciato
l’intenzione degli stati membri di promuovere progetti
energetici congiunti, e la stessa tematica della sicurezza
energetica si è rivelata centrale anche durante il Vertice di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
160
Bishkek nell’agosto del 2007, quando i membri hanno stabilito
un comune denominatore di interesse per un mercato
energetico unificato. Proprio in quella occasione è tornato alla
ribalta il wishful thinking del Kazakistan, che negli ultimi venti
anni ha ripetutamente giocato nel ruolo del visionario
eurasiatista e che in una ipotesi di strategia energetica comune
“asiatica” (da notare: non solo “centroasiatica”) avrebbe
incluso allora un’agenzia OSC per l’energia e una borsa OSC
per le transazioni sul mercato energetico (RiaNovosti
16/08/2007). Eppure, al netto delle dichiarazioni e della firma
di accordi raramente resi operativi, le politiche energetiche dei
paesi membri dell’OSC sembrano viaggiare su binari diversi da
quelli della cooperazione regionale; su quest’ultima prevale
infatti la preferenza sia russa che cinese per logiche bilaterali e
l’avanzamento di due tipi di strategie perseguite in particolare
dai paesi centroasiatici, l’una tesa a bypassare il territorio russo,
eludendo le rotte tradizionali di reminiscenza sovietica, e l’altra
tesa a capitalizzare il proprio potenziale di transito a vantaggio
del proprio sviluppo economico, commerciale e infrastrutturale,
tramite investimenti cinesi. L’avvicendarsi di negoziati “a
geometria variabile” e le intricate politiche multi-vettoriali
perseguite soprattutto da Astana e Ashgabat mostrano quanto i
tre aspetti sopraindicati siano interconnessi, e tangibili, per
esempio, in due progetti infrastrutturali promossi dalla Cina,
quali l’oleodotto Kazakistan - Xinjiang ed il gasdotto
Turkmenistan – Xinjiang. Le prime importazioni dirette cinesi
dai giacimenti centroasiatici sono transitate infatti
dall’oleodotto Atyrau-Alashankou, e dal gasdotto che si snoda
da Sama-Depe ad Horgos. Nel primo caso, l’oleodotto è volto
non solo a saziare la sete energetica cinese (secondo dati
riportati dall’EIA, nel 2011 il petrolio kazako ha rappresentato
poco più del 4% delle importazioni cinesi totali di petrolio,
mentre quello russo poco meno dell’8%), ma anche a
soddisfare le velleità kazake di potenziamento della propria
capacità di export, diversificando le rotte, cercando di aggirare
gli ostacoli legati allo status del mar Caspio e assicurandosi
sbocchi sui terminali del Mar Nero. Per questo motivo Astana è
impegnata su più fronti, tuttavia non escludendo mai dai propri
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
161
calcoli strategici Mosca. Ciò è vero anche per quanto riguarda
l’oleodotto Atyrau-Alashankou, attraverso cui passa non solo il
petrolio kazako ma anche quello russo (dalla Siberia
Occidentale). Nel secondo caso, l’arteria (che transita
attraverso l’Uzbekistan e che dovrebbe in futuro raggiungere
anche Tajikistan e Kirghizistan) ha come obiettivo principale
quello di emancipare le rotte del gas turkmeno e di trovare
nuovi mercati a est; nel 2011, infatti, la Cina ha importato 30
miliardi di metri cubi tra gas naturale liquefatto e gasdotti, e la
metà di questi sono passati attraverso il corridoio
centroasiatico (EIA). Nonostante non si possa certamente
azzardare un’ipotesi di relativa marginalizzazione di Mosca nella
formulazione delle strategie energetiche centroasiatiche, sia
l’oleodotto Kazakistan - Xinjiang che il gasdotto Turkmenistan
– Xinjiang possono essere considerati il risultato di una politica
energetica russa che è figlia di una sfiducia di fondo nei
confronti di Pechino, della consapevolezza del proprio peso
specifico in materia di approvvigionamento energetico ma
anche di un relativo indebolimento di Mosca nei confronti del
“giardino dell’impero”. D’altro canto, i ritardi nella costruzione
sia di un oleodotto russo che transitasse verso la Cina (quello
che oggi è conosciuto come corridoio Siberia Orientale –
Oceano Pacifico ed è finanziato da prestiti cinesi) che del
gasdotto dell’Altai (dalla Siberia occidentale al nord-ovest della
Cina), hanno in parte accelerato la presa di Pechino sugli “stan”.
Oleodotto
Kazakistan
Xinjiang
ESPO Gasdotto
Turkmenistan
Xinjiang
Gasdotto
dell’Altai Fase I Fase II
Lunghezza
(km) 2228 2757 1963 1833 2800
Capacità
max.
147 milioni
di barili
all’anno
587
milioni
di
barili
all’ann
o
Da 220 a
366
milioni
di barili
all’anno
40 miliardi di
metri cubi
all’anno
30
miliardi di
metri cubi
all’anno
Corridoi Russia-Cina e Asia centrale-Cina a confronto
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
162
L’Unione Europea in disparte?
L’Unione Europea si è presentata come “attore tardivo” nello
scenario centroasiatico, con l’adozione nel 2007 da parte del
Consiglio di una strategia dedicata alla regione, dettata anche
dalla necessità di diversificare le forniture energetiche,
riducendo la dipendenza da approvvigionamenti e corridoi a
gestione russa. In riferimento al settore energetico, da una
parte l’UE ha lanciato, nel 2004, l’Iniziativa di Baku, che mirava
ad una progressiva integrazione dei mercati energetici dell’UE,
del Mar Caspio e del Mar Nero, e nel 2010, l’Investment Facility
for Central Asia per promuovere investimenti infrastrutturali a
livello regionale; eppure, dall’altra parte, Bruxelles è mossa sul
piano bilaterale, attraverso i Memorandum di Intesa con
Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Questi vettori di
cooperazione non hanno tuttavia arginato la relativa
marginalità europea, che si è manifestata con crudezza in un
contesto in cui Mosca si sta gradualmente voltando ad est
(emblematico lo sviluppo dei giacimenti siberiani e di Sakhalin
e di ESPO, ma anche la proposta di un gasdotto trans-coreano
proprio per il transito di gas russo). Mentre quello europeo è un
mercato in contrazione, l’altro grande mercato occidentale,
quello statunitense, sta puntando sulla produzione di shale gas
per rendersi indipendente dalle importazioni di LNG dalla
Russia; allo stesso tempo, il Giappone post-Fukushima ha
aumentato la sua domanda di petrolio, gas e carbone potendo
sempre meno contare sulla produzione di energia nucleare. Ad
indebolire ulteriormente ogni tentativo di strategia energetica
comune europea vi sono, paradossalmente, gli stessi stati
membri e le compagnie energetiche europee, che perseguono i
propri obiettivi talvolta non allineandosi all’interesse di creare
rotte alternative rispetto alle infrastrutture a partecipazione
russa – e persino contribuendo alla realizzazione di pipeline in
competizione strategica rispetto ai progetti promossi dall’UE.
Fra questi ultimi, il corridoio sottomarino transcaspico (da
Turkmenbashi a Baku) dovrebbe trasportare verso i mercati
europei gli idrocarburi turkmeni e kazaki, convogliandoli verso
il corridoio del Caucaso meridionale (per ora alimentato da
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
163
risorse azere). Nonostante le trattative trilaterali tra Bruxelles,
Baku e Ashgabat abbiano recentemente (settembre 2012)
confermato la comune volontà di sviluppare il corridoio
transcaspisco, i sogni energetici turkmeni, proprio come quelli
russi, guardano sempre meno ad ovest e ai mercati europei, e
sempre più a sud, verso la realizzazione di TAPI, il corridoio
trans-afgano che trasporterebbe il gas turkmeno verso il
Pakistan e l’India (è importante sottolineare che nella scelta
turkmena non vi è solo una “visione” alternativa alla direttrice
occidentale degli export, ma anche la pragmatica
consapevolezza che il progetto transcaspico si sconta con la
realtà delle dispute sullo status legale del Mar Caspio).
Qualche riflessione conclusiva
L’atteggiamento dell’UE nei confronti del complesso
centroasiatico ha spesso esitato tra un approccio regionale e
un’attitudine orientata a valorizzare le specificità dei singoli
paesi, finendo spesso col realizzare, perciò “projects with a
national orientation under a regional strategy rather than, as
desired, regional projects with national implementation”
(International Crisis Group 2006). La strategia del 2007 ha
apparentemente assecondato una tendenza bilateralista che
pure è prevalente, come già affermato, nel quadro della
cooperazione energetica centroasiatica; l’Unione Europea ha
cercato solo limitatamente e recentemente una sponda nelle
organizzazioni regionali esistenti quali l’Organizzazione di
Shanghai per la Cooperazione, senza peraltro specificare i
termini in cui questi contatti potrebbero realizzarsi. In altri
termini, nonostante Bruxelles abbia tentato di elaborare una
strategia interregionale per interfacciarsi con il complesso
centroasiatico, ha dovuto tenere in considerazione il fatto che i
cinque “stan” non si sono coagulati in dispositivi regionali che
prescindano dal ruolo della Russia e della Cina. Questi sono i
due attori a cui continuare a guardare per cercare di risolvere il
groviglio dei corridoi energetici attraverso cui passano le
risorse centroasiatiche; tuttavia, se da una parte la posizione di
transito può esporre gli “stan” a dinamiche di interdipendenza
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
164
asimmetrica (Russo 2012), dall’altro la produzione di
idrocarburi può offrire loro margini di manovra e l’opportunità
di giocare carte preziose su più tavoli: da Mosca a Pechino,
passando per Bruxelles.
Bibliografia:
International Crisis Group, Central Asia: What Role for the European
Union?, Asia Report No. 113, 10/04/2006.
Mackinder H.J., The Geographical Pivot of History, The Geographical
Journal, No. 23, 1904.
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Implications, Oxford University Press (Oxford Institute for Energy
Studies), 2012.
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problema!, Meridiani – Relazioni Internazionali, 21/03/2012.
Spykman N.J., The Geography of the Peace, Harcourt, Brace and
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Verda M., Gli accordi di sicurezza della Federazione Russa, in
Clementi M. (a cura di), Gli accordi di sicurezza nel sistema
internazionale contemporaneo (1989-2010), Rubbettino, 2012.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
165
Sicurezza ed indipendenza energetica: energia idroelettrica, fattore di sviluppo locale e di tensione
regionale. Il caso dell’Asia Centrale Lorena Di Placido – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
La nascita delle repubbliche post-sovietiche dell'Asia Centrale
ha implicato un complessivo ripensamento della distribuzione
delle risorse naturali locali, generando tensioni transfrontaliere
che durano tuttora e creano una reale minaccia alla sicurezza
regionale. La gestione dei corsi d'acqua risulta di cruciale
importanza per gli stati nei quali hanno origine - Kirghizistan e
Tagikistan, poveri e politicamente deboli - che ambiscono
all'indipendenza energetica mediante la costruzione di centrali
idroelettriche. Di contro, i paesi a valle – Uzbekistan e
Kazakhstan - politicamente più rilevanti e ricchi di idrocarburi e
minerali - rivendicano l'utilizzo di quelle acque per coltivazioni
agricole fondamentali per le economie nazionali. Nella
problematica gestione idrica dello spazio centroasiatico entrano
in gioco gli interessi di potenze regionali e di istituzioni
transnazionali che sostengono i diversi progetti per la
costruzione delle centrali. Nel complesso, il livello di tensione
resta piuttosto elevato: alcuni tratti di confine sono tuttora
minati e periodicamente si verificano scontri armati in alcune
località di frontiera.
Gestione delle risorse idriche e crisi transfrontaliere in Asia Centrale
Unica nelle sue funzioni essenziali per la vita, non rinnovabile
ed, anzi, insostituibile, l’acqua rappresenta una fondamentale
risorsa naturale, spesso definita come “oro blu”. Dato il suo
progressivo diminuire in diverse parti del globo, è opinione
comune a molti analisti che entro il 2030 numerose crisi
transfrontaliere saranno determinate proprio
dall’accaparramento delle risorse idriche, con il rischio di
generare conflitti dal Medio Oriente alla Cina, dall’India
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
166
all’Africa e all’America Latina. Lo spazio centroasiatico,
retroterra della missione ISAF, prossima al profondo
ridimensionamento previsto per il 2014, si inserisce in tale
quadro, rappresentando un chiaro esempio di come un fattore
di sviluppo potenziale per le comunità locali possa costituire, in
realtà, una pericolosa fonte di tensione transfrontaliera e
persino una minaccia per la sicurezza regionale. La questione
dello sfruttamento delle risorse idriche in Asia Centrale è
esplosa all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica,
esasperando una complessità che trova le sue ragioni proprio
nella modalità di utilizzo dell’acqua imposta da Mosca. La logica
di interdipendenza quasi assoluta tra le diverse componenti
dell’URSS imponeva un criterio di contrappesi tale per cui
ciascuna repubblica federata veniva specializzata nella fornitura
di una particolare risorsa della quale abbondava (ad esempio
l’acqua), ricevendone in cambio un’altra della quale era priva
(ad esempio gas, elettricità o petrolio per finalità industriali o
per il riscaldamento). Con l’indipendenza, tale meccanismo di
compensazione ha cessato di esistere e ciascuna repubblica ex
sovietica ha acquisito il controllo sulle risorse nazionali. Il dato
saliente è che mentre gas e petrolio sono monetizzabili e
comunemente venduti sul mercato, lo stesso non accade per
l’acqua. Per di più, in Asia Centrale le repubbliche ricche di
acqua - Kirghizistan e Tagikistan - sono anche le più povere
delle altre risorse, le più arretrate economicamente - si pensi
che per entrambi i paesi ben oltre un terzo del PIL è dato dalle
rimesse dei migranti - e deboli politicamente, mentre quelle
che mancano di acqua - Kazakhstan, Turkmenistan e
Uzbekistan - sono quelle che ne hanno una grande necessità
per fini agricoli, che abbondano di gas e petrolio e che godono
dei migliori risultati in campo economico, nonché della
maggiore influenza in ambito politico. Quindi, dal 1991 ad oggi
è avvenuto che, in modo implicito e spontaneo, si siano
delineati schieramenti contrapposti animati da interessi
fortemente contrastanti, i cui paesi, oltre a contendersi
l’accaparramento della risorsa naturale di cui scarseggiano,
sono anche portatori di istanze politiche profondamente diverse
capaci di creare uno stato di tensione transfrontaliera profonda
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
167
e costante, talvolta al limite dello scoppio di un conflitto armato.
Non può essere dimenticato, tuttavia, che già le politiche
sovietiche di sfruttamento estremo e irrazionale dei fiumi ne
avevano diminuito in misura drammatica la portata di acqua,
impoverendoli al punto che alcuni di essi si sono via via esauriti
nel loro fluire, lasciando a secco le popolazioni che un tempo ne
erano fruitrici finali e generando disastri ambientali di
straordinaria portata, come quello del Mare d’Aral. Negli
anni ’60 del secolo scorso, la decisione delle autorità sovietiche
di privilegiarne l’utilizzo per la produzione di cotone, piuttosto
che per la pesca, ha indotto a una massiccia deviazione dei
fiumi tributari – Amu Darya e Syr Daria, originari
rispettivamente dai monti del Pamir (Tagikistan) e del Tien
Shan (Kirghizistan) – che ne ha provocato, tra il 1963 e il 1987,
il depauperamento per circa il 60% del suo volume. Tempeste
di sabbia e di sale hanno devastato i territori adiacenti,
compresi tra Kazakhstan e Uzbekistan, distruggendo le
produzioni agricole e compromettendo la salute delle
popolazioni residenti. Nonostante avessero generato uno tra i
maggiori disastri ambientali nella storia dell’umanità, i
pianificatori sovietici hanno comunque proseguito nello studio
di fattibilità per la deviazione dei fiumi siberiani, sempre per
sostenere la coltivazione del cotone in Asia Centrale. Su tutto il
problema della gestione delle risorse idriche regionali gravano,
inoltre, le tensioni dovute alla definizione strumentale dei
confini avvenuta nei primi anni dell’era staliniana, allorquando i
sovietici riconquistarono i territori centroasiatici dell’ex impero
zarista, scegliendo di suddividerli nelle attuali cinque entità,
che prendono il nome dal gruppo etnico dominante, accanto al
quale ne vivono numerosi altri. Questo ha determinato una
situazione particolarmente tesa nella Valle del Ferghana,
un’area complessa, divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e
Tagikistan, che risultano protagonisti delle più aspre tensioni
regionali dovute allo sfruttamento dell’acqua, a causa dei
progetti di costruzione di nuove centrali idroelettriche: Rogun
in Tagikistan e Kambarata 1 e 2 in Kirghizistan.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
168
Rogun
Il progetto di Rogun prevede la costruzione sul fiume Vakhsh
(nel sud del Tagikistan) di quella che potrebbe diventare la diga
più alta del mondo (334,98 metri di altezza), per un costo
complessivo che viene stimato in 2-5 miliardi di dollari; una
volta entrata in funzione, la centrale idroelettrica ad essa
collegata dovrebbe produrre 3600 MW. Inizialmente proposta
nel 1959, la costruzione di Rogun è iniziata nel 1976, per poi
venire congelata al momento della dissoluzione dell’Unione
Sovietica. Nel 1994 la Russia ha firmato con il Tagikistan un
accordo per la conclusione dei lavori, in seguito denunciato
dalle autorità di Dushanbe per inadempienza. Nell’ottobre del
2004, ulteriori negoziati bilaterali hanno portato agli accordi
con la RUSAL per ultimare Rogun, insieme ad altri progetti
finalizzati alla produzione di alluminio. Con vicende altalenanti,
una parte dei lavori è stata ultimata tra il 2010 e il 2011. Il
2015 resta la data presumibile per il completamento della
centrale, nuovamente sospeso ad agosto 2012 in attesa di uno
studio di fattibilità del progetto da parte della Banca Mondiale,
richiesto dal governo tagiko. L’Uzbekistan ha vivacemente
contestato la realizzazione del progetto, nella convinzione che,
a lavori ultimati, ci sarebbe stato un depauperamento
massiccio dei corsi d’acqua vitali per le proprie coltivazioni di
cotone, del quale è il sesto produttore mondiale. Inoltre,
secondo alcuni esperti, l’area di interesse per la costruzione
della diga sarebbe a grave rischio sismico. Le rassicurazioni
delle autorità di Dushanbe riguardo alla garanzia di sufficienti
risorse idriche comunque a disposizione per tutti i fruitori di
quelle acque, grazie a tunnel che le trasporterebbero a valle
aggirando la diga in costruzione, non hanno convinto gli uzbeki,
che, nei periodi di maggiore tensione bilaterale, hanno
utilizzato vari mezzi di dissuasione o ritorsione nei riguardi del
Tagikistan, che vanno dal congelamento delle relazioni
diplomatiche al blocco stradale e ferroviario (con ripercussioni a
cascata per l’intera regione e sui rifornimenti alla coalizione
multinazionale in Afghanistan), al fermo delle forniture di gas.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
169
La costruzione di Rogun, sostenuta anche da istituzioni
internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, oltre alla
Banca Mondiale e agenzie statali come USAID, detiene una
rilevanza di carattere transnazionale. Dal 2007, nell’ambito del
programma di cooperazione CAREC (Central Asian Regional
Economic Cooperation), l’Asian Development Bank ha
inaugurato il progetto CASA 1000 (Central Asia South Asia
Electricity Trade and Transmission Project, cofinanziato da
Banca Mondiale, Banca Islamica di Sviluppo ed alcuni
investitori privati) nel quale il Tagikistan è coinvolto insieme al
Kirghizistan per fornire un migliore approvvigionamento
energetico ad Afghanistan e Pakistan attraverso la connessione
a una nuova rete regionale. Nelle more del completamento
delle infrastrutture, il 16 settembre 2013, in un incontro
svoltosi a Islamabad, i paesi coinvolti in CASA 1000 hanno
convenuto che Afghanistan e Pakistan riceveranno da
Kirghizistan e Tagikistan rispettivamente 300 MW e 1000 MW
di elettricità all’anno. La Russia si è progressivamente posta ai
margini della costruzione di Rogun, promettendo un sostegno
economico mediante la partecipazione a CASA 1000, poi ritirato
per non compromettere i delicati equilibri che regolano i
rapporti tra Mosca e le diverse capitali della regione.
Kambar-Ata 1-2
La costruzione della centrale idroelettrica di Kambar-Ata
rappresenta un importante progetto di investimento per il
Kirghizistan, che la ritiene vitale per ottenere energia
sufficiente per il fabbisogno interno e margini di guadagno
interessanti dalla vendita di quella in esubero. Il progetto si
articola in due parti, per la realizzazione di due centrali
denominate Kambar-Ata 1 e 2 (rispettivamente capaci di
produrre, in prospettiva, 1200 e 360 MW), da realizzarsi in
parallelo con un costo complessivo di 3 miliardi di dollari. Oltre
a Toktogul (1200 MW), Kurpsai (800 MW), Tash-Kumyr (450
MW), Shamaldy-Sai (o Shamaldy-Say, 240-MW) e UCH-Kurgan
(180 MW) esse rappresentano due tra gli investimenti da
realizzarsi sfruttando le acque del fiume Naryn.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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170
La costruzione di Kambar-Ata 1 è iniziata nel 1986 e subito
interrotta dal collasso dell’Unione Sovietica. Nel 2008, con
l’inserimento di investitori francesi e americani (Electricite de
France e Pricewaterhouse Coopers) sono ripresi gli studi di
fattibilità per il completamento anche del progetto
complementare di Kambar-Ata 2. I lavori per la realizzazione di
Kambar-Ata 1, tuttora in corso, hanno subito un’importante
accelerazione alla fine di agosto 2013.
Come nel caso del progetto tagiko di Rogun, l’Uzbekistan si
oppone alla realizzazione della centrale, che lo priverebbe
dell’acqua essenziale per le coltivazioni di cotone a valle e, in
modo del tutto analogo, il contrasto bilaterale ha subito negli
anni fasi alterne con frequenti momenti di crisi nei quali sono
state attuate da parte uzbeka diverse forme di ritorsione.
La Russia ha mantenuto una posizione di sostanziale
equidistanza nel contrasto tra le due repubbliche ex sovietiche,
per evitare che uno sbilanciamento a favore dell’una o dell’altra
compromettesse la propria influenza nella regione. La
situazione è rimasta tale fino al 2009, quando - per consolidare
la propria presenza militare in Kirghizistan a discapito della
coalizione multinazionale attiva in Afghanistan, che aveva in
locazione la base aerea di Manas nei pressi di Bishkek - la
Russia ha promesso consistenti aiuti a fronte di una rafforzata
cooperazione in ambito economico e militare, reiterati con
decine di accordi siglati anche negli anni successivi per
finanziamenti a progetti di investimento ad hoc, tra i quali
quello per la costruzione di Kambar-Ata. L’8 maggio 2013, la
Russia ha, inoltre, ratificato un accordo specifico che la
impegna nella costruzione della diga e della relativa centrale.
Lo schieramento di Mosca non è risultato affatto gradito
all’Uzbekistan che ha cercato nel Kazakhstan un sostenitore più
affidabile. I due paesi, seppure con modalità diverse,
condividono il medesimo interesse rispetto allo sfruttamento
delle risorse idriche regionali, anche se nel caso kazako il
contrasto bilaterale riguarda più l’utilizzo a scopo agricolo dei
corsi d’acqua che hanno origine nel Xinjiang (Cina occidentale)
piuttosto che nel Kirghizistan. In particolare, nel corso di un
incontro del 16 giugno 2013, i presidenti uzbeko e kazako
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
171
(rispettivamente, Islam Karimov e Nursultan Nazarbaev) hanno
siglato un accordo di Partnership Strategica nel quale l’accesso
all’acqua viene esplicitamente menzionato come potenziale
minaccia alla stabilità regionale (come già si era espresso
Karimov nel settembre 2012, nel corso di una visita proprio in
Kazakhstan). I due presidenti hanno pertanto richiesto
l’intervento delle Nazioni Unite in qualità di mediatore.
Alcune riflessioni conclusive
Allo stato attuale, con i progetti infrastrutturali di maggiore
criticità ancora in corso, grazie al sostegno di agenzie e
istituzioni di carattere transnazionale, non si ravvisa la
possibilità di addivenire a una qualche soluzione di
compromesso per la definizione di un equilibrio nello
sfruttamento delle acque capace di soddisfare le diverse parti
in causa. Fin quando non ci sarà una partecipazione
vantaggiosa ai progetti in corso anche per i paesi a valle che ne
temono la realizzazione, non sarà possibile ipotizzare il
superamento del muro contro muro espresso in scaramucce di
confine, forme di embargo energetico e blocco delle vie di
comunicazione. Più che da un ente sovranazionale di vocazione
mondiale, come le Nazioni Unite invocate da Karimov e
Nazarbaev, un tentativo di mediazione potrebbe giungere da
organismi di portata locale, pienamente calati nella realtà
economica e nelle prospettive di sviluppo regionale, come
l’Asian Development Bank, già impegnata come capofila del
progetto CASA 1000. Allo stesso modo, la questione dell'utilizzo
delle acque per finalità diverse da quella della produzione
energetica va affrontata a livello regionale, per un razionale
utilizzo delle risorse idriche disponibili che provenga da una
gestione condivisa e consapevole, in grado di tenere conto dei
bisogni dei paesi a valle e del necessario ammodernamento
delle infrastrutture di distribuzione e irrigazione. Fin quando
mancheranno efficaci strumenti di cooperazione regionale, la
questione idrica rimarrà sullo sfondo ad alimentare un clima di
diffidenza reciproca e di diffusa rivalità.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
172
Risorse energetiche ed equilibri geostrategici in Afghanistan
Cristiana Era – Analista G-Risk
Un sistema di reti viarie e di passaggi in territori aspri che dal
vecchio continente arrivava in Cina: era la via della seta che
aveva i punti nevralgici in Asia centrale e che nel corso dei
secoli fece fiorire città quali Samarcanda, Bukara e Khiva,
attraversata da avventurieri, esploratori ed eserciti. Il controllo
di questi percorsi garantiva l’approvvigionamento di merci
preziose, quali la seta appunto. Dopo secoli di decadenza la
“Silk Road” ritorna nuovamente al centro degli interessi
economici internazionali nella versione contemporanea del XXI
secolo: alla seta e ad altri prodotti si sono sostituite le materie
prime, soprattutto le risorse energetiche, che stanno facendo
dell’Asia centrale un’area ad alto potenziale di sfruttamento e
di transito per l’oro nero (il petrolio) e l’oro blu (il gas).
Le rotte energetiche sono quelle su cui si muovono le potenze
emergenti dell’Asia, ma anche gli antichi colonizzatori (Russia e
Regno Unito), gli imperi più recenti (Stati Uniti e Cina) e medie
e piccole potenze occidentali sull’orlo di una crisi energetica
(Unione Europea). Secondo le proiezioni dell’International
Energy Outlook 2013, il consumo energetico mondiale
aumenterà del 56% entro il 2040, in gran parte nei Paesi non
appartenenti all’OECD e le cui economie stanno sperimentando
una crescita stabile di lungo periodo. E l’incremento della
domanda riguarderà soprattutto il gas naturale, il cui consumo
dovrebbe attestarsi intorno ai 3,20 trilioni di metri cubi nel
204023 , anche grazie al minor impatto ambientale e a costi
ridotti rispetto ad altre fonti 24 . Al tavolo del Grande Gioco
siedono oggi più giocatori, essendoci nuove entità territoriali
indipendenti che anticamente non esistevano. E queste ultime,
in alcuni casi hanno in mano il futuro energetico di altre nazioni,
23 La stima ufficiale è di 113 trilioni di piedi cubi. 24 Cfr.: www.eia.gov/forecasts/ieo/nat_gas.cfm, US Energy Information Administration, Energy Outlook 2013.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
173
in altri l’opportunità di potersi rendere meno dipendenti dalle
influenze e dagli interessi politici dei vicini. È il caso
dell’Afghanistan, naturale connessione tra l’Asia settentrionale
e quella meridionale.
Rispetto a quelle di Paesi quali il Turkmenistan, il Kazakhstan e
l’Uzbekistan, le risorse energetiche afghane sono minori, anche
se in compenso il territorio è ricco di materie prime quali il
rame, l’oro, il ferro, il piombo, il litio e le terre rare,
quest’ultime fondamentali per l’industria high-tech. Tuttavia,
l’Afghanistan settentrionale contiene l’estremo lembo sud del
bacino di Amu Darya, secondo al mondo per le riserve di gas
ma ricco anche di petrolio; mentre a nord-est condivide con il
Tagikistan il Bacino Afghano-Tagiko. Le maggiori esplorazioni
sul territorio vennero effettuate durante l’occupazione sovietica:
tra gli anni ’60 e gli anni ’80 vennero individuati 15 giacimenti
(7 di petrolio e 8 di gas), ma gli eventi successivi impedirono
ulteriori esplorazioni e anche la limitata produzione di gas e
petrolio di quegli anni si ridusse drasticamente. Di fatto,
nonostante il suo significativo potenziale energetico oggi
l’Afghanistan è un Paese importatore, dipendente da gas e
greggio proveniente da Pakistan, Uzbekistan, Iran e, in misura
minore, Turkmenistan. Il Paese è oggi ancora fortemente
dipendente dall’agricoltura ma il governo Karzai negli ultimi
due anni, con una decisa accelerazione nel 2013, ha puntato
molto sullo sviluppo del settore che sarebbe in grado non solo
di rendere l’Afghanistan autosufficiente, ma – soprattutto –
riuscirebbe a colmare l’imminente riduzione degli aiuti
internazionali e delle entrate derivanti dall’indotto della
presenza militare straniera che attualmente costituiscono la
maggior parte del budget dell’amministrazione. Molte delle
riserve energetiche non sono state fino ad ora esplorate o
sfruttate, sia per mancanza delle condizioni politiche e di
sicurezza adeguate, sia per la mancanza della necessaria
tecnologia. In Afghanistan ci sono cinque bacini sedimentari
maggiori: Amu Darya, Afghano-Tagiko, Tirpul, Katawaz e
Helmand. Il bacino di Tirpul, che copre un’area di 26.000 km²,
è situato ad ovest, nella Provincia di Herat, ma può essere
considerato un prolungamento di quello dell’Amu Darya.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
174
Katawaz e Helmand non sono mai stati esplorati ma secondo
gli esperti presentano un quadro geologico favorevole e
potrebbero rivelare la presenza di grandi giacimenti di petrolio
o di gas. Le risorse sono concentrate in due aree principali, il
bacino dell’Amu Darya e quello afghano-tagiko.
I 6 bacini energetici afghani come identificati dall’USGS
Amu Darya
Il bacino dell’Amu Darya si estende per una superficie di oltre
400.000 km² che attraversa Turkmenistan, Uzbekistan,
Afghanistan e Iran anche se la quasi totalità della provincia
(360.000 km²) è situata all’interno dei confini turkmeni e
uzbeki25. Le esplorazioni nella parte afghana dell’Amu Darya,
che comprende le Province di Jowzjan, Balk, Faryab e Sar-e-Pul,
sono iniziate nel 1956 ma nonostante abbiano portato alla
scoperta dei giacimenti di gas di Angot, Yatimtaq, Khwaja
Gogerdaq e Khwaja Bulan negli anni sessanta, il bacino è
ancora relativamente poco esplorato , rispetto alla porzione
situata in Turkmenistan e Uzbekistan 26 . Nel 2009 la United
States Geological Survey (USGS) e il Ministero per le Miniere e
l’Industria afghano hanno condotto uno studio congiunto
25 Cfr.: Gregory F. Ulmishek, Petroleum Geology and Resources of the Amu-
Darya Basin, Turkmenistan, Uzbekistan, Afghanistan, and Iran, U.S. Geological Survey Bulletin 2201–H, 2004. 26 Cfr.: http://www.psg.deloitte.com/NewsLicensingRounds_AF_110412.asp.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
175
finanziato dall’Agenzia americana per il Commercio e la
Cooperazione sulle potenziali risorse petrolifere e di gas non
ancora scoperte nella parte settentrionale del Paese. Le stime
rivelano un potenziale di circa 1.596 miliardi di barili di greggio,
di 1.032,5 trilioni di metri cubi di gas naturale 27 . Nell’Amu
Darya sarebbero concentrate le riserve di gas, mentre la
maggior parte di quelle petrolifere sono state localizzate nel
bacino afghano-tagiko. Lo studio, poi reso pubblico alla fine del
2011, rappresenta un aggiornamento di un lavoro della USGS
fatto nel 2006 e corregge al rialzo tutte le stime precedenti: i
bacini conterrebbero 18 volte la quantità di petrolio
precedentemente accertata e 3 volte quella di gas28.
Bacino Afghano-Tagiko
E’ il bacino al confine con il Tagikistan ed è quello dove in
passato sono stati trivellati la maggior parte dei pozzi,
diventando, quindi, quello più esplorato. La produzione di
petrolio, tuttavia, non ha mai avuto grossi investimenti ed
incentivi. Dopo il 1989 la produzione è stata interrotta del tutto
a causa delle turbolente vicende interne. Solo recentemente il
Ministro per le Miniere e l’Industria, Wahidullah Shahrani, ha
cercato di attrarre investimenti stranieri per lo sviluppo dei
giacimenti di Mazar-i-Sharif e del resto del bacino, che si stima
contenere 1,9 miliardi di barili di greggio e gas.
Secondo le dichiarazioni ufficiali, il governo di Kabul spera di
ottenere 16 miliardi di dollari dallo sfruttamento delle risorse
petrolifere e di gas. Sfortunatamente, nonostante l’impegno di
questi ultimi dieci anni della comunità internazionale, le
condizioni sul terreno rimangono critiche e le grandi
multinazionali straniere preferiscono adottare una strategia di
attesa per vedere cosa succederà dopo le elezioni presidenziali
di primavera e il successivo ritiro delle truppe ISAF29. I risultati
dell’intensa opera di addestramento delle forze afghane
27 La stima ufficiale è di 36.462 trilioni di piedi cubi. 28 Cfr.: http://www.stratfor.com/the-hub/afghanistan-future-energy-corridor. 29 Cfr.: http://www.pajhwok.com/en/2013/09/23/cabinet-oks-agreement-fuel-exploration.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
176
dell’ANSF (Afghan National Security Force) da parte dei militari
della Coalizione non convincono la maggior parte degli
investitori sull’effettiva stabilizzazione del Paese che, tra l’altro,
continua ad essere afflitto da una dilagante corruzione,
elemento che certamente non favorisce la presenza
dell’imprenditoria straniera.
La conseguenza di questo stato di incertezza sul futuro del
Paese è la decisione da parte delle principali multinazionali di
investire nei Paesi confinanti che offrono migliori garanzie di
sicurezza e stabilità. Le gare di appalto per le concessioni dei
diritti di sfruttamento non sono comunque andate deserte, ma
hanno visto l’afflusso di investitori “minori”, disposti a correre
rischi. A settembre il Consiglio dei Ministri afghano ha
approvato l’accordo con tre compagnie, due straniere (la turca
TAPO e la Dragon Oil di Dubai) e una locale (Gruppo
Ghanzanfar), per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti
di Mazar-i-Sharif e di altre aree nel bacino afghano-tagiko.
Anche la Cina, che sta iniettando capitale in tutta l’Asia allo
scopo di accaparrarsi quante più risorse energetiche possibili
per poter sostenere la sua sorprendente crescita e
modernizzazione del sistema economico, ha mostrato interesse
per i giacimenti afghani. Ma i rapporti con Kabul nel corso degli
ultimi anni sono stati controversi, in parte per il mancato
sfruttamento dei giacimenti di Sar-e-Pul e Faryab per i quali
Beijing aveva ottenuto le concessioni30 ma anche a causa dei
contrasti che sono sorti con il governo afghano a proposito
dello sfruttamento della miniera di Ainak31, che contiene grandi
depositi di rame e che doveva rappresentare il più grande
30 Nel 2011 la China National Petroleum Corporation si aggiudicò l’appalto per le trivellazioni in quelle due Province, ma le attività di esplorazione sono state ostacolate dalle intimidazioni che i gruppi di miliziani legati alla figura del
Generale Abdul Rashid Dostum hanno condotto nei confronti degli ingegneri cinesi. 31 La miniera di Ainak si trova nella provincia di Logar dove si ritiene che vi sia uno dei più grandi giacimenti di rame del mondo. I diritti di estrazione furono acquisiti dalla China Metallurgical Group Corporation nel 2007, ma il
progetto non è mai stato portato a termine per una disputa su alcuni templi buddisti antichi che la compagnia cinese avrebbe dovuto far preservare dagli
archeologi, oltre all’impegno di far costruire una ferrovia e una centrale elettrica e mai portato a termine. Per un resoconto della vicenda, cfr.: http://www.dw.de/afghan-mining-deal-with-china-facing-failure/a-16989797.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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investimento straniero della storia dell’Afghanistan. Al
momento il progetto sembra essersi arenato e le trattative per
riavviarlo fra la compagnia China Metallurgical Group
Corporation (MCC) e il Ministero per le Miniere e l’Industria
sono ancora in corso, anche se si fanno più insistenti le voci di
un possibile ritiro dei cinesi32.
Un corridoio energetico tra Asia settentrionale e Asia meridionale
Gli investimenti stranieri saranno determinanti per l’economia
afghana. Lo sfruttamento delle risorse trova i suoi limiti, come
già indicato, nelle precarie condizioni della sicurezza e nella
corruzione ma anche nella mancanza di infrastrutture, il cui
costo di realizzazione ricadrà necessariamente sulle compagnie
straniere. Significativo è il fatto che nell’area dell’Amu Darya la
produzione petrolifera è stata interrotta perché non vi è la
possibilità di raffinare il greggio. E da qui si arriva
inevitabilmente ad un altro nodo cruciale, quello di oleodotti e
gasdotti che consentono il trasporto di petrolio e gas. Se il suo
potenziale potrebbe rendere l’Afghanistan energeticamente
indipendente, la sua collocazione geografica ne fa, sempre
potenzialmente, un corridoio strategicamente rilevante per il
trasporto dal nord verso sud e verso est (cioè verso India e
Cina). Uno dei progetti più importanti da questo punto di vista
è il TAPI33 che porterebbe il gas dal Turkmenistan a Pakistan e
India attraverso il territorio afghano, passando per le province
di Herat, Helmand e Kandahar.
Il TAPI è un progetto di vecchia data che è stato interrotto e
ripreso più volte e che ha avuto un momento di rinnovato
impulso negli ultimi anni grazie alle pressioni degli Stati Uniti
che in esso vedono un contrappeso all’influenza iraniana nel
Paese. L’idea di un gasdotto che potesse trasportare il gas dal
giacimento turkmeno di Dauletabad fino al porto indiano di
32 Cfr.: http://www.scmp.com/news/asia/article/1313161/afghanistans-plan-
jumpstart-economy-chinese-mining-investment-under-threat. 33 TAPI è l’acronimo di Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India, i Paesi interessati dal progetto.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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178
Fazilka risale agli anni ’90, prima della presa di Kabul da parte
dei talebani. La prima pianificazione, basata su uno studio di
fattibilità effettuato dallo sponsor principale, la Asian
Development Bank, prevedeva un costo di 7,6 miliardi di dollari
per un percorso di circa 1.800 km, con una capacità di
trasporto di 33 miliardi di metri cubi l’anno. Lo studio venne poi
aggiornato nel 2008 e nello stesso anno a Islamabad i quattro
Paesi partecipanti firmarono il Gas Pipeline Framework
Agreement che prevedeva l’inizio dei lavori nel 2010 e l’avvio
del trasporto del gas nel 2015. Ad oggi, però, il TAPI è ancora
sulla carta a causa delle numerose problematiche regionali che
hanno ostacolato l’avvio dei lavori, adesso previsti per il 2014.
Tra queste, la rivalità fra Pakistan e India, la questione
sicurezza nelle aree sotto il controllo dei Pashtun, e la
concorrenza di altri progetti che meglio rispondono agli
interessi di due potenze come Cina e Iran.
Fig.2 – Percorso del TAPI (fonte: Canadian Centre for Policy Alternatives)
Come ponte territoriale di connessione fra Asia settentrionale e
Asia meridionale, la partecipazione dell’Afghanistan al TAPI è
fondamentale per l’esistenza stessa del progetto. E questo
mette Kabul nella posizione di poterne trarre il più ampio
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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179
profitto, sia in termini di influenza politica che di flussi di
investimenti e di entrate relative ai diritti di transito (stimate in
diverse centinaio di milioni di dollari). In altre parole, il TAPI
potrebbe rappresentare uno stimolo per l’economia afghana
con effetti positivi per l’occupazione e una valida alternativa
all’indotto della presenza internazionale e degli aiuti che
subiranno drastiche riduzioni dopo il 2014.
Ma, come già detto, sul tavolo vi sono altri due progetti. Il
primo, denominato IPI, dovrebbe portare il gas iraniano a
Pakistan e India; di fatto la sua realizzazione boicotterebbe il
TAPI e il significato stesso di un corridoio che da nord a sud
trasporta il gas ai due destinatari principali. Anche nel caso
dell’IPI, comunque, la posizione di Nuova Delhi e di Islamabad
ha oscillato nel corso del tempo. L’India ha poi confermato il
supporto al TAPI; lo stesso ha fatto il Pakistan che tuttavia,
opportunisticamente, porta avanti anche il progetto con l’Iran.
In un incontro bilaterale a margine dell’apertura della 68°
sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il premier
pakistano Mohammad Nawaz Sharif e il Presidente iraniano
Hassan Rouhani hanno concordato sulla necessità di accelerare
la costruzione del gasdotto. Il progetto, che ha un costo
stimato attorno a 1,5 miliardi di dollari e con un’estensione di
900 chilometri in territorio iraniano (già completati) e di 700
chilometri in quello pakistano, ha subito un arresto a causa
dell’improvviso ritiro della ditta appaltatrice creando un vuoto
finanziario di 500 milioni di dollari che però Teheran si è detta
pronta a coprire. Il secondo progetto è in realtà ancora alla
fase iniziale di proposta, ma presenta molte caratteristiche che
potrebbero costituire un duro colpo per il TAPI senza però
minacciare il progetto iraniano-pakistano: un gasdotto che dal
Turkmenistan farebbe arrivare il gas in Cina passando per
l’Afghanistan settentrionale e il Tagikistan. Una delle
caratteristiche rilevanti di questo progetto è al tempo stesso
anche uno dei più grossi ostacoli al TAPI: la sicurezza. Mentre il
percorso del TAPI prevede l’attraversamento di regioni
fortemente instabili quali quelle di Kandahar e Quetta, un
gasdotto che evita le zone dominate dai pashtun in Afghanistan
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
180
e Pakistan è più sicuro e automaticamente lo rende più
attraente per gli investimenti34.
Al di là dei possibili sviluppi di uno o di un altro progetto, è
facile concludere che le nuove strategie delle potenze in Asia
passano per le reti di trasporto energetico. Iran e Cina hanno
forti interessi – il primo a vendere, il secondo ad acquistare –
sia sui giacimenti che sui gasdotti che determineranno gli
equilibri nella regione nel futuro prossimo. Gli Stati Uniti, forse
troppo impegnati nella exit strategy afghana o distratti da altre
questioni internazionali, sembrano sottovalutare l’aggressività
della politica energetica della Cina, i tentativi dell’Iran di
mantenere l’influenza in Asia centrale e i desideri della Russia
di riconquistare l’impero ad est. Secondo il World Energy
Outlook dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia
pubblicato nel novembre 2012, gli Stati Uniti saranno
energeticamente indipendenti entro il 2020, ma quello che è in
atto in Asia centrale è l’ennesima partita del Grande Gioco e
non si tratta solo di energia: passare la mano in questo
momento pensando di poter fare a meno di giocare potrebbe
voler dire essere tagliati fuori da uno scacchiere regionale in cui
si trovano molti dei più grossi giacimenti di materie prime del
mondo.
34 Cfr.: http://idsa.in/idsacomments/NowChinamayplayspoilertoTAPI_ShebontiRDadw al 31.07.12.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
181
Aspetti della sicurezza energetica in India Costantino Moretti – Analista indipendente
L’India è un paese che vive una brillante stagione
caratterizzata da una notevole crescita economica. Secondo
l’Ufficio di Statistica Indiano35, il PIL del Paese nel 2012 è stato
pari a 1.877 miliardi di dollari USA36 ed è stimato che nel 2013
raggiunga la ragguardevole cifra di 2.150 miliardi di dollari USA,
con un tasso positivo medio del 7,5% circa negli ultimi dieci
anni e del 8,7% circa solo negli ultimi cinque anni.
L’attuale situazione energetica Indiana
L’impetuoso sviluppo economico indiano ha richiesto,
naturalmente, una sempre maggiore quantità di risorse
energetiche ed il Paese, a partire dall’inizio di questo secolo,
pur avendo nel sottosuolo notevoli quantità di materie prime
energetiche, ha dovuto integrare la propria produzione
ricorrendo ai mercati esteri.
Il carbone è la principale risorsa energetica del paese con
quota di circa il 53%, seguito dal petrolio per circa il 30% e dal
gas naturale per circa il 10%. Quote percentuali irrisorie si
hanno dalle altre fonti, nucleare compreso.
In India le riserve stimate di carbone sono pari a 293 miliardi di
tonnellate. Nel periodo 2011-2012 ne sono state estratte circa
540 milioni di tonnellate; tuttavia, tale ingente quantitativo non
è stato sufficiente a far fronte alle richieste interne, tanto che
nel medesimo periodo il Paese ne ha dovuto importare ulteriori
103 milioni di tonnellate. Per dare un parametro di riferimento
35 Central Statistics Office – Energy Statistics 2013 – New Delhi, marzo 2013 36 Secondo le rilevazioni della Banca Mondiale, l’India nel 2012 ha avuto un PIL pari a 1.842 miliardi di dollari USA, che ha permesso al Paese di
raggiungere il 10° posto tra i Paesi più industrializzati, subito dietro all’Italia la quale, nel medesimo periodo, ha fatto registrare un PIL pari a 2.013
miliardi di dollari USA. vds http://databank.worldbank.org/data/download/GDP.pdf (visitato il 30.09.2013).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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182
dell’aumento esponenziale delle importazioni di carbone, basti
pensare che nel periodo 2000-2001 l’import indiano si era
attestato su circa 21 milioni di tonnellate.
Nell’arco di tempo preso in considerazione dal vigente piano
quinquennale di sviluppo37, il carbone, pur essendo una fonte
altamente inquinante, non solo continuerà a mantenere il
primo posto tra le risorse energetiche, ma dovrebbe addirittura
aumentare ulteriormente l’incidenza, tenuto conto che, secondo
le previsioni, al termine del quinquennio il 67% dell’aumento
della produzione di energia elettrica sarà assicurata dal carbone.
Per quanto riguarda il petrolio, nel 2011-2012 l’India è risultata
essere al quarto posto tra i Paesi maggiormente consumatori
con una quota pari al 4% del totale mondiale, dietro a USA
(20,5%), Cina (11,4%) e Russia (5%) 38 . Il petrolio grezzo
viene lavorato in 22 impianti39 per una capacità totale annua di
raffinazione pari a 215.066 milioni di tonnellate metriche
annue40. Pur avendo riserve stimate pari a circa il 4% del totale
mondiale, il 73% circa del totale del petrolio lavorato in India è
d’importazione.
L’India detiene circa lo 0,8% delle riserve stimate di gas
naturale mentre ne consuma una quantità pari al 1,9% del
totale mondiale, con una quota importata dall’estero di circa il
20%. Sino al 2004 l’India era riuscita tuttavia a far fronte con
la produzione interna alle richieste di gas naturale provenienti
dal proprio settore produttivo; ma a partire da tale anno è
diventata importatrice netta di gas naturale, acquistandolo
principalmente dal Qatar.
Non essendo dotata di collegamenti tramite oleodotti o gasdotti
con i paesi produttori, in India la quasi totalità dell’import di
petrolio e di gas arriva via mare.
37 aprile 2012 marzo 2017. 38 Energy statistics 2013. 39 17 raffinerie sono di proprietà pubblica, 2 sono gestite da joint-venture pubblico/privato e 3 sono private.
vds.: http://petroleum.nic.in/refinery.pdf (visitato il 30.09.2013). 40 1 tonnellata metrica è pari a 7,33 barili (http://petroleum.nic.in/petstat.pdf).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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183
Problematiche sociali legate all’energia
Nel campo dell’energia in India continuano a persistere delle
gravi criticità infrastrutturali con ricadute sociali molto forti. Di
recente il Ministero dell’Ambiente e delle Foreste indiano41 ha
reso noto che il consumo pro capite di energia elettrica, pari a
566 KWh42, è il più basso tra quelli dei Paesi maggiormente
sviluppati; circa l’85% dei nuclei familiari che vivono in zone
rurali e il 12% circa dei nuclei familiari che vivono in zone
urbane, ovvero 84 milioni di nuclei familiari, non sono stati
ancora allacciati alla rete di distribuzione dell’energia elettrica;
una rete di distribuzione rilevatasi quindi non sufficiente a
sopportare i picchi di richieste d’energia tanto che, senza
accennare ai due consecutivi blackout che il 30 e il 31 luglio
2012 hanno lasciato per svariate ore al buio 20 dei 28 stati
dell’India43, tutte le imprese e le abitazioni civili di prestigio
hanno dei generatori di corrente per sopperire alle frequenti
interruzioni dell’erogazione elettrica.
Le strategie di politica energetica
Secondo la Commissione di pianificazione quinquennale, il
consumo di energia nel periodo 2016-2017 dovrebbe attestarsi
sui 738,07 MTOE44. Per raggiungere tale obiettivo il Paese sarà
41 P. Garg, Ministry of Environment and Forests: ‘Energy Scenario and Vision 2020 in India’, in Journal of Sustainable Energy & Environment n. 3 2012, pagg. 7-17. 42 L’Ufficio Centrale di Statistica indiano ritiene che a marzo 2012 il consumo pro capite di energia abbia raggiunto gli 879 KWh. Energy Statistics 2013. 43 Tra gli altri vedasi: H. Pidd ‘India blackouts leave 700 million without power’ in The Guardian 31.07.2012.
http://www.theguardian.com/world/2012/jul/31/india-blackout-electricity-power-cuts e S. Denyer – R. Lakshmi ‘India blackout, on second day, leaves 600 million without power’ in The Washington Post 01.08.2012. http://articles.washingtonpost.com/2012-08-01/world/35490374_1_india-blackout-worst-blackout-power-failure. 44 MTOE è l’acronimo in inglese di un milione di tonnellate equivalenti di petrolio. La tonnellata equivalente di petrolio è l’unità di misura per calcolare
l’energia rilasciata dalla combustione. Il valore convenzionale di una tonnellata di petrolio grezzo è di 42GJ. vds: http://www.aps.org/policy/reports/popa-reports/energy/units.cfm.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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costretto ad importare circa il 38% in più di risorse energetiche,
rispetto al periodo 2011-2012.
Per l’India l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza energetica
non è legato al problema della scelta tra le differenti risorse
energetiche interne disponibili, ma piuttosto a quello di
sviluppare il più possibile tutte le differenti risorse energetiche
interne sino a che esse siano competitive per disponibilità e
prezzo rispetto alle risorse energetiche d’importazione.
L’attuale situazione del settore energetico indiano, che è
caratterizzata, come sopra esposto, da un massiccio ricorso alle
importazioni via mare, da una non equa distribuzione interna e
da un forte ricorso all’utilizzo del carbone era stata già prevista
dalle autorità indiane fin dagli anni novanta del secolo scorso.
Infatti, il Ministero indiano per il petrolio e il gas naturale
pubblicava nel febbraio del 2000 uno studio intitolato
‘Hydrocarbon Vision 2005’, la prima seria raccolta ed analisi di
dati sulla situazione energetica indiana, concentrato sui settori
del petrolio e del gas naturale. Tale limite è stata superato
nell’agosto del 2006 col documento Integrated Energy Policy,
redatto da un gruppo di esperti sotto gli auspici della
Commissione di Pianificazione. Tale studio, oltre ad esaminare
il contributo che ogni singola fonte energetica può offrire allo
sviluppo del Paese, analizza gli aspetti generali che ruotano
intorno al settore energetico offrendo previsioni di sviluppo sino
al 2031-2032, ovvero sino alla scadenza del 15° piano
economico quinquennale.
È in tale documento che per la prima volta viene articolato
esaustivamente il concetto di sicurezza secondo l’ottica Indiana.
La definizione che ne scaturisce, valida ancora oggi, è la
seguente: “We are energy secure when we can supply lifeline
energy to all citizens irrespective of their ability to pay for it as
well as meet their effective demand for safe and convenient
energy to satisfy their various needs at competitive prices, at
all times and with a prescribed confidence level considering
shocks and disruptions that can be reasonably expected”.
Da tale definizione di sicurezza energetica deriva l’invito al
governo centrale indiano di prendere in considerazione le
seguenti esigenze fondamentali:
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
185
- soddisfare le richieste energetiche di un paese che, secondo
le previsioni di crescita riportate nello stesso studio,
dovrebbe vedere aumentare il PIL del 8,5% all’anno sino al
periodo 2031-2032;
- garantire i bisogni di energia a tutta la popolazione per
favorire lo sviluppo sociale, la salute e la sicurezza in
maniera quanto più armonica possibile, senza distinzione di
censo o di altri fattori. L’intervento governativo dovrà
mirare ad elevare i livelli di vita della popolazione cercando,
al contempo, di arrivare ad un uso più efficiente e con
minori ricadute ambientali dell’utilizzo di energia sia per
quanto riguarda gli usi domestici sia per quanto riguarda gli
usi industriali;
- assicurare la regolarità e la competitività dei prezzi delle
forniture delle materie prime energetiche in modo da
favorire le esportazioni dei prodotti indiani. Per raggiungere
tale obiettivo, l’India, vista la sua dipendenza dall’estero,
dovrà prima di tutto trovare adeguate e stabili risorse di
energia diversificando i paesi fornitori, le tipologie di risorse
energetiche e le modalità di trasporto.
Due raccomandazioni vengono avanzate dagli esperti per il
raggiungimento della sicurezza energetica:
- costituire una riserva di risorse energetiche pari alla
quantità di petrolio importato per 90 giorni, in modo da
poter fronteggiare eventuali fluttuazioni di prezzo delle
materie prime nel breve periodo. Secondo gli esperti, tali
riserve potrebbero essere localizzate anche in Paesi vicini45;
- intessere relazioni bilaterali privilegiate, attraverso una
strutturata azione di diplomazia energetica, con quegli Stati
che hanno nel proprio sottosuolo considerevoli riserve di
idrocarburi, spesso estratte in ‘esclusiva’ da compagnie
petrolifere nazionali o sotto controllo dello Stato stesso.
45 Nello studio viene citato Singapore quale località consona allo scopo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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La diplomazia energetica indiana tra Iran e USA
Una forte azione di diplomazia energetica indiana si era rivolta,
a metà degli anni novanta del secolo scorso, verso quei Paesi
esportatori di petrolio e gas naturale i quali, all’epoca, non
trovavano piena fiducia nella gran parte della comunità
internazionale, quali, ad esempio, il Sudan, il Venezuela e,
soprattutto, l’Iran46.
Con l’Iran i rapporti commerciali si sono rilevati eccellenti e
forieri di reciproca soddisfazione, tanto che nel 1999 i due
Paesi stavano per finalizzare gli studi dettagliati per la
costruzione di un oleodotto che li avrebbe collegati passando
attraverso il Pakistan: l’IPI (Iran-Pakistan-India), opera
vagheggiata sin dal lontano 1966 e attualmente, a seconda dei
punti di vista, sospesa o abbandonata principalmente a causa
delle sanzioni internazionali a cui è sottoposto l’Iran47.
- La realizzazione dell’oleodotto avrebbe inoltre prodotto:
un miglioramento dei rapporti tra India e Pakistan, una
sorta di pacificazione ‘energetica’;
- uno sbocco sicuro della produzione di greggio iraniano con il
sostanziale superamento delle criticità legate alla
navigazione dello Stretto di Hormuz.
L’avvicinamento ‘energetico’ dell’India all’Iran è stato il motivo
principale che ha spinto gli USA a prospettare all’India la fine
dell’embargo nucleare. Tale politica, preannunciata nel corso
della storica visita dell’allora Segretario di stato americano Rice
a New Delhi nel marzo del 2005, ha trovato attuazione il 20
luglio 2007 con la firma del cosiddetto ‘Accordo 123’, destinato
a regolare i rapporti nel settore del nucleare civile tra i due
46 Le imprese pubbliche indiane operanti nel settore degli idrocarburi sono attualmente presenti in 22 paesi: Vietnam, Russia, Sudan, Myanmar, Iraq, Iran, Egitto, Siria, Cuba, Libia, Mozambico, Brasile, Kazakhstan, Gabon, Colombia, Trinidad e Tobago, Nigeria, Venezuela, Oman, Australia e Timor Est. Fonte: http://petroleum.nic.in/aric.pdf; 47 Sul sito internet del Ministero del Petrolio indiano il progetto dell’IPI appare essere ancora in una fase negoziale ‘Several critical issues, viz., the delivery
point of Iranian gas, the project structure, guarantees related to safety of the pipeline and security of supply, besides pricing of gas are yet to be resolved.’ http://petroleum.nic.in/aric.pdf visitato il 30.09.2013.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
187
paesi. Dalla firma dell’Accordo 123, le relazioni tra India e Usa
si sono avviate su corsie preferenziali tanto che l’attuale
amministrazione americana nel nuovo documento di strategia
per la difesa, denominato “Sustaining U.S. global leadership:
priorities for 21st century defence”, collega l’economia e la
sicurezza degli USA agli sviluppi nel quadrante che va
dall’Oceano Indiano alle coste occidentali americane, elevando
l’India alla posizione di partner strategico di lungo termine,
anche dal punto di vista di una possibile collaborazione per
assicurare la sicurezza dell’intero Oceano Indiano. Per quanto
riguarda l’energia nucleare, secondo alcuni studi tecnici,
pubblicati in coincidenza con la firma di tale Accordo, entro il
2050 l’India, grazie all’accesso alle tecnologie civili americane,
riuscirebbe a coprire circa il 40% del proprio fabbisogno
energetico interno. Il nucleare garantirebbe elevate quantità di
energia, favorirebbe la riduzione delle emissioni di Co2 e
soprattutto allevierebbe il problema della dipendenza dalle
importazioni. Oggi, dopo 6 anni dalla firma dell’Accordo 123, il
nucleare apporta soltanto una minima percentuale (il 2%) al
fabbisogno energetico indiano e le previsioni più aggiornate
non indicano sostanziali miglioramenti, anche se permane
l’impegno governativo di produrre dal nucleare 60 GW nel 2030
dalle attuali 4,8GW. Il Segretario di stato americano in carica,
John Kerry, nel corso della sua visita a New Delhi dello scorso
giugno 48 , ha annunciato che la società Westinghouse nel
settembre 2013 avrebbe concluso un accordo per la vendita di
reattori nucleari alla Nuclear Power Corporation indiana; tale
contratto dovrebbe essere un primo effetto di natura
commerciale dell’Accordo 123. Va rilevato tuttavia che il
recente incidente occorso al reattore nucleare di Fukushima, in
Giappone, ha dato buona linfa ad un crescente e sempre più
forte movimento anti-nucleare interno49.
48 Kerry era accompagnato in India anche da Ernest Moniz, professore di
fisica nucleare al MIT e poco prima nominato Segretario di stato per l’energia. 49 International Energy Agency ‘Understanding Energy Challenges in India.
Policies, Players and Issues’, settembre 2012, pag. 84 https://www.iea.org/publications/freepublications/publication/India_study_FINAL_WEB.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
188
L’India, anche a causa delle difficoltà incontrate nel far fronte
alle esigenze energetiche con la produzione nucleare interna,
pare aver riaperto il capitolo Iran con buona pace dell’attuale
amministrazione americana. Una recente visita del ministro
degli esteri indiano Salman Khurshid in Iran, avvenuta il 4
maggio 2013, è stata l’occasione per affrontare con l’omologo
iraniano Ali Akbar Salehi anche la questione energetica.
L’India, pur avendo contratto le importazioni di greggio
iraniano del 42% nel primo semestre 2013 rispetto al
medesimo periodo dell’anno precedente e del 45% nel mese di
giugno di quest’anno rispetto al mese precedente (del 26,5%
nel periodo 1 aprile 2012 – 31 marzo 2013 rispetto all’anno
precedente e nel successivo mese di giugno di ben il 60% su
base annuale), rimane comunque tra i primi quattro mercati di
sbocco delle esportazioni iraniane50. Tale contrazione è riferibile
in primis alle difficoltà riscontrate dagli armatori e dalla
proprietà delle raffinerie a trovare coperture assicurative nel
caso di trasporto o raffinazione di petrolio iraniano. Il governo
indiano pare abbia trovato una soluzione attraverso la
costituzione di un apposito fondo assicurativo di 314 milioni di
dollari USA 51 . L’attuale accordo di pagamento del greggio
iraniano prevede che il 45% dell’importo venga pagato in rupie
su un conto corrente acceso presso uno sportello della UKO
Bank a Kolkata52 e il restante attraverso una compensazione di
prodotto indiani. Gli importi depositati a Kolkata, non potendo a
causa delle sanzioni essere inviati in Iran utilizzando i canali
bancari ufficiali, giacciono in India con grande apprensione per
le autorità iraniane, visti gli attuali negativi corsi della moneta
50 N. Verma ‘India’s Iranian oil imports more than halve in June – trade’,
Reuters 23.07.2013 http://www.reuters.com/article/2013/07/23/india-iran-oil-idUSL4N0FO33E20130723. 51 A. Aneja, ‘Deepening of India-Iran energy ties, a win-win outcome’ in The Hindu 21.08.2013 http://www.thehindu.com/news/international/world/deepening-of-indiairan-
energy-ties-a-winwin-outcome/article5045244.ece. 52 A. Aneja, ‘Deepening of India-Iran energy ties, a win-win outcome’ in The
Hindu 21.08.2013 http://www.thehindu.com/news/international/world/deepening-of-indiairan-energy-ties-a-winwin-outcome/article5045244.ece.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
189
indiana53. L’intenzione manifestata da Salehi in tale occasione è
stata quella di poter utilizzare tali fondi per finanziare attività
produttive in India, oltre che per pagare solo le forniture di
beni indiani come avviene ora. Da parte indiana è stato
auspicato, tra l’altro, un aumento delle importazioni di prodotti
indiani quali, ad esempio, quelli farmaceutici e tessili54.
Conclusioni
I recenti piani economici quinquennali hanno tutti miseramente
fallito riguardo la realizzazione dei progetti di politica
energetica mirati a garantire la diversificazione delle fonti
energetiche e dei mercati esteri di approvvigionamento.
Riguardo invece all’azione di diplomazia energetica l’India pare,
al momento, essere stata più fortunata. Aver concluso con gli
USA l’Accordo 123, che ha aperto la strada alla cooperazione
nucleare nel settore civile è, sicuramente, un motivo di grande
soddisfazione dal punto di vista diplomatico anche se
permangono forti dubbi sull’effettivo contributo che il nucleare
civile può offrire alla differenziazione del mix energetico del
Paese.
Il vento che spira da Teheran pare sia cambiato. Il nuovo
presidente Hasan Rohani ha dimostrato, fin dal primo giorno
successivo alla propria elezione, di voler utilizzare toni
concilianti e di possedere una volontà di aperture nei confronti
della comunità internazionale in merito alla questione del
nucleare, che dovrebbero permettere di compiere dei passi
epocali verso la definizione di un accordo internazionale
sull’argomento.
53 tra gli altri vedasi: R. Kumar in: ‘Why the rupee might reach 70 against dollar’ http://profit.ndtv.com/news/forex/article-why-the-rupee-might-reach-70-against-dollar-326228. 54 L’interscambio tra i due paesi si è attestato nel 2012 a circa 15 miliardi di
USD e l’export indiano è stato di soli 2,5 miliardi di USD in M. Singh Roy, R. Agarwal, P.Kumar Pradham e M. Alam Rizvi ‘Iran under Hassan Rohani:
Imperatives for the region and India’ in ISDA Issue Brief 19.07.2013. http://www.idsa.in/issuebrief/IranunderHassanRohani_RoyAgarwalKumarRizvi_190713.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
190
L’India, che non è riuscita a sedersi al tavolo negoziale nel
cosiddetto Gruppo 5 + 1 55 , potrebbe giocare il ruolo
fondamentale di pontiere tra le esigenze iraniane e le
preoccupazioni della comunità internazionale.
Se l’India s’impegnasse su tale dossier e riuscisse a favorire un
raggiungimento di un accordo tra le parti, essa probabilmente
guadagnerebbe:
- un maggior credito presso le cancellerie internazionali;
- un canale preferenziale per le forniture di gas e petrolio
dall’Iran;
- una maggiore attenzione da parte del proprio competitor
d’area, la Cina, il quale attualmente vede con sufficienza gli
sforzi che l’India compie per assurgere a potenza d’area56.
Nel campo energetico tuttavia il problema più impellente da
risolvere è quello relativo alla questione ‘socio-ambientale’. È
necessario che l’India affronti con determinazione la questione
del superamento del carbone quale principale componente del
proprio mix energetico aumentando il ricorso a fonti d’energia
rinnovabile e favorisca le opere infrastrutturali per portare
l’energia elettrica e il gas in ogni angolo del Paese.
55 Il Gruppo 5 + 1 è costituito dai 5 paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) più la
Germania. 56 A tal proposito, vds A. Armellini in ‘La politica estera e le ambizioni di
superpotenza’ in India – Atlante geopolitico 2013 – Treccani.it http://www.treccani.it/enciclopedia/india-la-politica-estera-e-le-ambizioni-di-superpotenza_(Atlante-Geopolitico)/.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
191
Il concetto di sicurezza energetica in Cina e Taiwan Rodolfo Bastianelli – Analista indipendente
Il problema della sicurezza energetica, in un’area di rilevante
significato strategico qual è l’Asia orientale, costituisce una tra
le questioni più sensibili per i Paesi della regione. Ma per due di
questi, la Cina Popolare e Taiwan, il tema riveste un’importanza
fondamentale soprattutto alla luce delle forti tensioni che
hanno spesso caratterizzato i rapporti tra Pechino e Taipei
nell’ultimo decennio. Ed anche se con l’elezione nel 2008 del
nazionalista Ma Ying – jeou le relazioni sembrano essersi
stabilizzate all’insegna del mantenimento dello status quo, la
formula diplomatica con la quale da un lato l’isola si impegna a
non proclamare la sua sovranità accettando di agire sulla scena
internazionale solo come uno Stato de facto indipendente, la
ricerca della stabilità economica e politica resta comunque al
centro dei programmi su entrambe le rive dello Stretto.
La politica energetica della Cina Popolare tra rischi ed autosufficienza
Il rapido sviluppo dell’economia cinese ha portato il Paese a
diventare il principale consumatore di energia davanti agli Stati
Uniti. Stando alle statistiche, Pechino è oggi il più importante
produttore ed utilizzatore mondiale di carbone il quale
rappresenta tuttora il 70% delle fonti energetiche cinesi ed il
secondo di petrolio che copre invece il 19% delle forniture,
mentre nonostante il governo abbia in questi ultimi anni
cercato di promuovere un programma di diversificazione
energetica, l’uso di fonti alternative conta per appena l’11% del
fabbisogno ripartito tra il 6% proveniente dall’idroelettrica, il
4% dal gas naturale, l’1% dal nucleare e lo 0,3% dalle
rinnovabili. Istituzionalmente, il compito di organizzare la
politica energetica spetta alla “National Development and
Reform Commission” (NDRC) unitamente ad altri quattro
ministeri ed alla “National Energy Administration” (NEA),
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
192
l’organismo istituito nel 2008 allo scopo di regolare l’intero
mercato energetico cinese. Sul piano economico, dopo la
riorganizzazione effettuata dall’esecutivo tra il 1994 ed il 1998,
il settore è controllato da due aziende statali integrate quali la
“China National Petroleum Corporation” (CNPC) e la “China
Petroleum and Chemical Corporation” (SINOPEC), quest’ultima
attiva principalmente nella raffinazione e nella distribuzione
degli idrocarburi. Riguardo alla provenienza degli
approvvigionamenti petroliferi, si può notare come l’85% di
questi provenga da giacimenti “onshore” situati nella regione
nord – orientale del Sinkiang/Uighur ed in quella centrale del
bacino dell’Ordos mentre il 15% derivi invece da giacimenti
“offshore” dislocati nella regione della Bohay Bay, nel Mar
Cinese Orientale ed in quello meridionale, due aree queste
dove i contenziosi territoriali nei quali è implicata Pechino con i
Paesi limitrofi hanno fortemente limitato le capacità estrattive
dei giacimenti esistenti57. Il forte incremento della domanda
energetica ha portato tuttavia ad un consistente aumento delle
importazioni petrolifere il cui valore è più che raddoppiato
nell’ultimo decennio. In base agli ultimi dati, la Cina Popolare
nella prima metà del 2012 ha importato la cifra record di 5,6
milioni di barili di greggio al giorno, provenienti principalmente
dal medio – oriente, anche se negli ultimi anni una crescente
importanza hanno assunto le forniture provenienti dall’Africa ed
in particolare dall’Angola e dal Sudan58. Sul piano geopolitico
57 Il contenzioso nel Mar Cinese orientale coinvolge Cina Popolare, Giappone e Corea del Sud nella delimitazione delle rispettive “Zone Economiche Esclusive”, disputa resa ancora più sensibile dopo la scoperta avvenuta nel 1995 di un importante giacimento di gas naturale che per Pechino rientrava all’interno della ZEE cinese. Indicato con il nome di “Chunxiao Gas Field” il deposito, a detta del governo giapponese, si trovava invece situato in un’area
dove le ZEE dei due Paesi venivano a sovrapporsi, cosa che portò all’apertura di un contenzioso risoltosi solo cinque anni fa con un accordo in base al quale le risorse del giacimento sarebbero state sfruttate congiuntamente da Tokyo e Pechino. La disputa esistente nel Mar Cinese meridionale al contrario riguarda la sovranità sulle isole Spratly e Paracel nonché sulla delimitazione di altre aree marittime e coinvolge diversi Paesi della regione in una
complessa disputa giuridica e diplomatica.
58 Per un’analisi della situazione energetica cinese vedi il rapporto China preparato dall’“U.S. Energy Informations Administration”, Department of Energy, Washington D.C. Aprile 2013.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
193
comunque la dipendenza da importazioni provenienti da aree
considerate potenzialmente instabili sta aprendo tra gli analisti
tutta una serie di interrogativi sui potenziali rischi che questa
potrebbe porre alla crescita economica cinese, mentre dal lato
commerciale e finanziario proprio il forte incremento della
domanda da parte di un Paese di oltre un miliardo di abitanti
come la Cina avrebbe l’effetto di alterare profondamente i
valori del mercato petrolifero internazionale. Non va infine
dimenticato come il rapido aumento dei consumi abbia creato
anche gravissimi problemi ambientali accentuati poi dalla
scarsa efficienza dell’apparato energetico cinese. Attualmente
la Cina Popolare rappresenta il secondo Paese al mondo per
emissione di biossido di zolfo (SO2), le cui emissioni causano le
piogge acide che frequentemente colpiscono il Paese, mentre
quelle di biossido di nitrato (NO2) dal 1980 sono aumentate sei
volte di più di quelle degli Stati Uniti.
TAIWAN: PAESI FORNITORI DI PETROLIO / DATI 2013
Fonte: Bureau of Energy, Taiwan Ministry of Economic Affairs
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
194
CINA: PAESI FORNITORI DI PETROLIO / DATI 2011
Fonte: China’s Energy Import Dependency: Status and Strategies, pag. 29
E la conferma di quanto ormai sia grave il problema
dell’inquinamento è venuta da quanto accaduto in Ottobre in
alcune aree della Cina nord – orientale, dove per due giorni
ogni attività è stata di fatto paralizzata da una pesante coltre di
smog provocata proprio dal massiccio uso del carbone come
fonte energetica nonché dall’usanza, tipica in questa parte del
Paese, di bruciare i campi una volta terminato il raccolto59. Ma
il problema più importante che l’incremento della domanda
energetica sta ponendo per i dirigenti cinesi riguarda non solo
l’inquinamento ma la sicurezza delle forniture, un discorso
questo che vale soprattutto per gli approvvigionamenti di
greggio. Conclusa nel 1993 l’autosufficienza petrolifera,
attualmente la Cina importa almeno metà del suo fabbisogno, il
50% del quale proviene dal Medio Oriente60. Come sottolineano
59 Vedi su questo l’articolo “Airpocalypse”: Severe pollution cripples northeastern China, apparso sul “Los Angeles Times” il 22 Ottobre 2013. 60 In Medio Oriente il principale fornitore petrolifero della Cina rimane l’Arabia Saudita, che contribuisce per almeno un quinto delle importazioni ed ha
sempre rassicurato Pechino sul fatto che potrà sempre contare sugli approvvigionamenti sauditi per la sua crescita economica. Nel resto della
regione mentre Pechino ha ridotto le importazioni provenienti dall’Iran soprattutto per effetto delle sanzioni imposte a Teheran, al contrario sta pianificando importanti investimenti petroliferi in Iraq dove la “China National
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
195
gli analisti questo scenario rende particolarmente vulnerabili le
importazioni cinesi non solo per l’instabilità dell’area di
provenienza ma soprattutto perché la totalità del traffico
petrolifero passa attraverso rotte navali controllate dagli Stati
Uniti i quali, nel caso le tensioni con Pechino dovessero portare
ad un conflitto armato, potrebbero decidere di interdire la
navigazione alle petroliere cinesi in transito nell’Oceano Indiano
e nello Stretto di Malacca. Ma se gli osservatori ritengono
altamente improbabile il verificarsi di un simile scenario, al
contrario i dirigenti cinesi considerano realistica questa
eventualità, sottolineando come proprio il blocco marittimo
deciso dagli Stati Uniti nei confronti del Giappone alla vigilia
della seconda guerra mondiale fu una delle cause che
portarono i due Paesi in conflitto. La sicurezza energetica per
Pechino assume quindi un valore essenziale per la stabilità
interna. In un Paese dove alla crescita economica è attribuita
un’importanza fondamentale, i dirigenti politici cinesi
riconoscono che per assicurare gli attuali tassi d’espansione è
necessario disporre di adeguate forniture energetiche senza le
quali si produrrebbe una fase di rallentamento in grado di
generare forti tensioni sociali, in quanto gli eventuali problemi
nell’approvvigionamento petrolifero potrebbero causare una
spinta inflazionistica e, di conseguenza, un’ondata di
malcontento tra la popolazione. Come ebbe a sottolineare
l’allora Premier Wen Jiabao in un discorso davanti al Congresso
Nazionale del Popolo tenuto nel marzo di due anni fa, la Cina
deve mantenere il suo tasso di crescita all’8% annuo e
contenere l’inflazione, dato che solo conservando questi livelli
di espansione sarà possibile continuare a creare un adeguato
numero di nuovi posti di lavoro e tenere così sotto controllo il
tasso di disoccupazione 61 . Queste linee guida della politica
Petroleum Corporation” (CNPC) rappresenta una delle più importanti compagnie operanti nel Paese. Va infine ricordato come anche la politica energetica cinese riflette i principi della “non ingerenza” e del rispetto della
sovranità interna seguiti normalmente dalla diplomazia cinese. In questo modo Pechino ha potuto siglare importanti contratti di fornitura petrolifera
con Paesi come l’Iran, il Sudan ed il Venezuela negli ultimi anni isolati dalla comunità internazionale. 61 Vedi su questo l’analisi di JOHN LEE, China’s Geostrategic Search for Oil,
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
196
cinese, riassunte sotto la formula del “New Security Concept” in
base al quale l’indipendenza energetica, l’igiene alimentare, la
salute pubblica ed il contrasto al crimine ed al terrorismo sono
ritenuti elementi fondamentali per la sicurezza nazionale, tanto
che nel report “China Security” preparato nel 2006 si affermava
in toni quanto mai preoccupati come la situazione energetica
del Paese stava cambiando da un quadro di “relativa
dipendenza” ad uno di “assoluta dipendenza”, aggiungendo
inoltre come la Cina fosse al momento incapace di difendere le
rotte navali nelle quali transitava il greggio. Gli stessi concetti
erano stati in precedenza chiariti prima da Hu Jintao, che nel
2004 affermò come si dovesse dare uguale importanza alla
ricerca di fonti alternative al petrolio, e l’anno seguente dallo
stesso Wen Jiabao, per il quale la Cina doveva ridurre la sua
dipendenza energetica dall’estero al meno del 5% entro il 2020.
Questo scenario ha prodotto due importanti conseguenze nella
politica energetica cinese. Sul piano internazionale Pechino,
proprio per ridurre la sua dipendenza dalle rotte marittime, ha
avviato dei programmi di cooperazione con Russia, Uzbekistan
e Kazakhstan per il trasporto di petrolio e gas naturale
attraverso una rete di pipeline passanti attraverso l’Asia,
mentre dal lato interno sta progettando la formazione di una
“riserva strategica” di petrolio sul modello di quanto esistente
negli Stati Uniti al fine di assicurare la continuità delle forniture
in caso di eventuali problemi nei rifornimenti internazionali62.
La sicurezza energetica di Taiwan all’ombra di Pechino
Pur rappresentando una delle più vibranti economie mondiali,
Taiwan, dal lato della sicurezza energetica, si presenta invece
come un Paese estremamente vulnerabile.
Rimasta in grado fino al 1978 di produrre il 20% delle proprie
disponibilità l’isola, dopo l’esaurimento delle sue modeste
pubblicato su “The Washington Quarterly’s”, Volume 35, No. 3, Estate 2012,
pagg. 75 – 92. 62 Sulla politica energetica cinese vedi il rapporto China’s Energy Security and
Its Grand Strategy, The Stanley Foundation, Policy Analysys Brief, Settembre 2006 e China’s “Energy Rise”. The U.S. and the New Geopolitical Strategy, Pacific Council on International Policy, Aprile 2010.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
197
riserve di greggio, gas naturale e carbone, è praticamente
priva di risorse naturali ed oggi importa quasi interamente il
suo fabbisogno energetico che, per almeno il 90%, è
rappresentato da carbone e petrolio, le cui forniture
provengono da un’area potenzialmente a rischio come quella
mediorientale, mentre per il restante 8% è costituito invece da
energia nucleare 63 . Questo quadro di estrema dipendenza è
quindi potenzialmente pericoloso per la sicurezza del Paese, il
quale tra l’altro si trova a subire un ulteriore fattore di rischio
dalla sua complicata posizione internazionale e dai suoi difficili
rapporti con la Cina Popolare che impediscono a Taipei di
partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali nonché
di siglare accordi globali sulla sicurezza e la cooperazione
energetica. La forte dipendenza dalle importazioni costituisce
poi per Taiwan anche un notevole danno economico. L’aumento
dei costi per l’approvvigionamento ha difatti causato un
notevole aumento dei debiti delle compagnie energetiche
statali, tanto che a settembre il governo è stato costretto ad
allentare il controllo esercitato sui prezzi, una mossa che, a
detta degli analisti, si tradurrà in maggiori costi di produzione
per le imprese e, di conseguenza, in un possibile rallentamento
della crescita economica 64 . Ma la dipendenza energetica di
Taiwan costituisce un problema non solo per l’economia ma
soprattutto per la sicurezza dell’isola. Allo stesso modo di
quelle cinesi, anche le importazioni petrolifere taiwanesi
passano attraverso le rotte marittime dell’Oceano Indiano e
dello Stretto di Malacca, ma a differenza di quanto avviene per
la Cina Popolare, la loro vulnerabilità non dipende dai rischi di
un’eventuale confronto militare con gli Stati Uniti ma
dall’evolversi dei rapporti con Pechino. Nel caso di una crisi
diplomatica con Taipei, difatti la Cina potrebbe decidere di
bloccare il transito delle forniture dirette a Taiwan, cosa che
63 Seconde stime ufficiali, nel 2012 il 47,96% del fabbisogno energetico taiwanese era rappresentato dal petrolio, il 29,69% dal carbone, il 12,14%
dal gas naturale, l’8,32% dal nucleare mentre il restante 1,91% proviene da fonti idroelettriche ed energie rinnovabili. 64 Sulla situazione energetica taiwanese vedi il rapporto Taiwan’s Severe Energy Security Challenges, Taiwan-U.S. Quarterly Analysis, No. 12, Brookings Institution, settembre 2013.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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porterebbe entro un mese al blocco di tutte le attività
economiche dell’isola. E non va inoltre dimenticato come
nell’ultimo decennio anche le importazioni di carbone dalla Cina
Popolare siano sensibilmente aumentate, tanto che oggi queste
contano per un quarto delle intere forniture taiwanesi. Tuttavia,
dopo l’arrivo alla presidenza nel 2008 dell’esponente
nazionalista Ma Ying – jeou al posto del democratico –
progressista Chen Shui – bian le compagnie energetiche dei
due Paesi hanno avviato programmi di cooperazione e di
sfruttamento congiunto di alcuni campi petroliferi nello stretto
di Taiwan. La Cina Popolare continua comunque a
rappresentare un potenziale pericolo per la sicurezza taiwanese,
alla luce dei programmi di ammodernamento della flotta
militare e del recente dispiegamento di missili anti – navali
lungo la costa cinese meridionale recentemente decisi da
Pechino65. Ed alla luce di questo scenario, il governo taiwanese
ha tracciato un ambizioso programma tendente a diversificare
le importazioni ed ampliare l’area dei Paesi di provenienza al
fine di assicurare una maggiore sicurezza energetica,
incrementare lo sviluppo di tecnologie a bassa intensità di
carbone così da migliorare la produzione, ridurre la dipendenza
dall’energia nucleare rinnovando tutti i criteri di sicurezza
esistenti negli impianti ad iniziare dalla nuova quarta centrale
di Longmen la cui entrata in funzione è prevista per il 2015 e,
soprattutto, portare entro il 2025 al 16% del totale la quota
proveniente da fonti rinnovabili66. Si tratta però di un obiettivo
considerato di improbabile realizzazione da parte degli analisti,
non solo perché la posizione geografica e la configurazione del
territorio taiwanese rendono difficile la costruzione di impianti
eolici, ma anche per il fatto che i costi di realizzazione di
strutture ad energia solare sono almeno tre volte maggiori di
quelle funzionanti a petrolio, carbone e gas naturale.
65 Sulla politica energetica seguita da Taiwan negli ultimi anni vedi l’articolo
Taiwan’s Energy Security Battle, apparso su “The Diplomat” il 18 Aprile 2011. 66 New Energy Policy of Taiwan, Bureau of Energy, Ministry of Economic Affairs, Taipei 2012.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Australia e Sicurezza Energetica: commercio e investimenti
S.E. David Ritchie – Ambasciatore d’Australia in Italia
L’Australia viene spesso descritta come un paese “fortunato” e
quando si parla di risorse energetiche questa descrizione
certamente corrisponde al vero. L’Australia è dotata di
abbondanti risorse, di alta qualità, diversificate, rinnovabili e
non-rinnovabili, tra cui il carbone, il gas, l’uranio e l’energia
eolica e solare. L’Australia è il nono produttore al mondo di
energia, con oltre il 2,5% della produzione energetica mondiale
ed il 5% dell’esportazione di energia al mondo ed è anche uno
dei tre esportatori netti di energia dell’OCSE.
Investimenti nella sicurezza energetica
Tutto ciò si traduce in un contributo molto significativo per
l’economia australiana. Le stime ufficiali parlano di proventi
derivanti dalle esportazioni energetiche pari a circa 177 miliardi
di dollari australiani nel 2012-2013. Il carbone rappresenta per
l’Australia il prodotto energetico d’esportazione da cui trae
maggiori profitti, seguito dal petrolio grezzo e dal gas naturale
liquefatto (GNL). Il settore energetico produce significative e
diversificate opportunità di impiego. Le abbondanti risorse
energetiche australiane determinano un vantaggio in termini di
concorrenza, cosicché le famiglie e le imprese sostengono costi
al dettaglio relativamente contenuti per l’energia se paragonati
a molte altre economie dell’OCSE.
Tuttavia, la disponibilità di un enorme quantitativo di risorse
energetiche pronte all’uso rappresenta solo una parte degli
elementi per la riuscita dell’equazione energetica in termini di
sicurezza. In Australia per sicurezza energetica si intende una
fornitura adeguata, affidabile e concorrenziale di energia. Per
garantire tale fornitura il paese necessita di solide
infrastrutture energetiche, che comprendano impianti, catene
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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di rifornimento energetico, reti di informazione tecnologica e di
comunicazione. Malfunzionamenti a queste importanti
infrastrutture per un periodo prolungato avrebbero un impatto
sulla sicurezza e sulla fornitura energetica, non solo in termini
di fabbisogno energetico interno dell’Australia, ma anche per le
cospicue esportazioni energetiche, soprattutto verso l’Asia, che
sono utilizzate da diversi paesi per una parte del loro
approvvigionamento energetico.
Soltanto significativi livelli di investimento pubblico e privato
nelle infrastrutture energetiche, sostenute da politiche di
mercato, possono garantire che l’Australia mantenga il suo
predominio tra le economie sviluppate come principale
produttore energetico. In passato le infrastrutture hanno posto
dei limiti alle esportazioni di carbone dall’Australia, ma
l’ampliamento dei porti ha diminuito tali limiti. L’incremento
delle esportazioni di carbone termico, ad esempio, è stato
ottenuto grazie al potenziamento delle infrastrutture nei
terminal di Newcastle e di Kooragang Island. L’upgrade delle
infrastrutture ferroviarie di Goonyella, nel Queensland, ha
inoltre aumentato la capacità di esportazione del carbone
metallurgico. Un altro fattore importante per l’aumento delle
capacità di esportazione è stato quello di migliorare l’efficienza
nell’utilizzo delle risorse esistenti, soprattutto a Newcastle.
Il famoso Outback australiano ha sempre rappresentato una
sfida in termini logistici e garantire la consegna sicura ed
affidabile delle risorse minerarie che vi si trovano verso la costa
per l’esportazione, oppure verso i centri urbani per l’uso
domestico, rappresenta un aspetto fondamentale della
sicurezza energetica. Il Governo federale e le amministrazioni
statali, nonché le aziende del settore privato dell’industria
mineraria, hanno investito importanti somme nel
miglioramento di tali infrastrutture e l’impatto economico,
evidente nella domanda di minerali australiani dall’Asia e
soprattutto dalla Cina, è stato significativo ed è stato uno dei
fattori che ha contribuito a far sì che l’economia australiana
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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mantenesse sostenuti livelli di crescita per oltre due decenni,
mentre molti altri paesi attraversavano periodi di recessione.
Il costante sostegno del Governo australiano ad iniziative che
favoriscono l’efficienza energetica contribuirà a far sì che il
settore privato e le famiglie possano ridurre i costi e a
migliorare la produttività energetica. A questo proposito
esistono molti progetti, tra cui l’Energy Efficiency Exchange,
l’Energy Efficiency Council ed il Nationwide House Energy
Rating Scheme.
Tra le altre misure volte a ridurre il consumo energetico in
Australia vi è la “Strategic Framework for Alternative Transport
Fuels”, una strategia per l’utilizzo di combustibili alternativi per
i trasporti, pubblicata nel 2011. La Strategic Framework è
essenziale perché il settore dei trasporti rappresenta la
porzione maggiore di consumo finale di energia in Australia,
con oltre il 38% di consumo finale di energia impiegato nello
spostamento di persone e beni nel paese. Inoltre si deve
considerare che il settore dei trasporti è di gran lunga il
maggiore consumatore di carburanti liquidi (compreso GPL e
prodotti raffinati) e rappresenta circa il 73% del consumo finale.
Il documento espone una strategia a lungo termine a sostegno
dello sviluppo determinato dal mercato di carburanti alternativi
per il trasporto, al fine di garantire la sicurezza nella
disponibilità di carburante liquido.
L’Australia si impegna, entro il 2020, a ridurre le emissioni di
gas serra nell’ordine del 5% rispetto al livello del 2000. Il
Governo metterà in atto politiche di azione diretta per favorire
la riduzione delle emissioni, come ad esempio l’Emissions
Reduction Fund, un fondo per investire in attività volte a
ridurre le emissioni da qui al 2020.
Il ruolo dell’industria
Le infrastrutture energetiche australiane assumono varie forme:
dalle centrali per la produzione energetica, alle miniere e ai
sistemi di trasporto (stradali, ferroviari e marittimi), alla rete
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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202
delle telecomunicazioni, fondamentale per gestire progetti di
così vasta portata. L’Australia dispone di aziende eccellenti che
operano in questi settori e che portano il loro know-how anche
all’estero. Si va da alcune delle maggiori aziende del settore,
come Woodside per il gas naturale, o Leighton Group, il più
grande appaltatore del settore minerario, a società minori in
settori di nicchia, come Po Valley Energy, impegnata
nell’esplorazione di petrolio e gas in Italia e altrove.
È tuttavia evidente che per sviluppare le infrastrutture
necessarie per sfruttare le proprie risorse energetiche naturali
l’Australia non può provvedere da sola, infatti il settore
energetico australiano attira investimenti esteri consistenti, che
sono ben accolti e incentivati dal Governo australiano. Per
maggiore chiarezza è il caso di menzionare alcune cifre: nel
biennio 2011-12 un totale di 523,52 miliardi di dollari
australiani sono stati stanziati per costruzioni ingegneristiche
ancora da completare. Nello stesso periodo, soltanto nel
settore del petrolio, gas, carbone e altri minerali, si sono
realizzate costruzioni ingegneristiche del valore di 51.16
miliardi di dollari australiani, con un incremento dell’81,8%
rispetto all’anno precedente. Tali statistiche mostrano come vi
siano ancora molte attività in corso nel settore delle costruzioni
di infrastrutture e ingegneristiche, che si prevede verranno
portate a termine nei prossimi anni. Vi sono quindi interessanti
opportunità di investimento per aziende straniere specializzate
e la loro partecipazione allo stesso tempo permette di
sviluppare reti infrastrutturali di alta qualità, che soddisferanno
il fabbisogno energetico australiano nei decenni a venire.
Solo per fare qualche esempio, nel 2013 l’azienda tedesca
Siemens ha annunciato un investimento ad Adelaide in un
distretto tecnologico sostenibile; la Electricity Generating Public
Company Ltd di Tailandia ha acquisito il suo primo impianto
eolico in Australia; First Solar (Australia), la filiale australiana
del produttore di energia solare statunitense, si è aggiudicata
contratti per la fornitura di servizi di ingegneria,
approvvigionamento e costruzione di due importanti progetti
per la produzione di energia solare nel New South Wales, uno
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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dei quali sarà il più grande stabilimento per la produzione di
energia solare dell’emisfero australe.
Queste aziende offrono un livello di conoscenza o un’economia
di scala che sono essenziali per i grandi progetti
tecnologicamente avanzati e rappresentano la spina dorsale
degli investimenti nelle infrastrutture energetiche australiane.
L’Australia vanta un’economia aperta e attraente per gli
investitori esteri ed il settore energetico si sta dimostrando
particolarmente fruttuoso.
Australia e Italia: partner naturali nel settore energetico
Il settore energetico australiano offre molte opportunità anche
alle imprese italiane. Alcuni esempi possono spiegare cosa si
intenda in Australia per sicurezza energetica e quali siano le
opportunità per una collaborazione internazionale.
ENI è una delle imprese italiane più conosciute in tutto il
mondo. Opera in Australia dal 2001 nel settore offshore, sia in
acque convenzionali sia in acque profonde, nel Western
Australia e nel Northern Territory, spesso in collaborazione con
altre aziende australiane o estere del settore. Uno dei maggiori
progetti per migliorare la sicurezza energetica australiana è lo
sviluppo del giacimento di gas di Blacktip, sulla punta
settentrionale dell’Australia, un progetto che, in questo caso, è
di proprietà e gestito al 100% da ENI. Il gas prodotto nel
giacimento viene fornito all’ente del Northern Territory, Power
Water Corporation, sulla base di un accordo venticinquennale e
viene utilizzato per generare energia elettrica per la comunità
locale. Lo sviluppo del giacimento ha contribuito all’incremento
della sicurezza energetica degli utenti per uso domestico in
questa regione remota. Ha inoltre contribuito ad assicurare
forniture di gas per uno sviluppo industriale ed economico a
lungo termine, necessario in quest’area.
In questo modo l’ENI fornisce assistenza per soddisfare una
forte necessità in un angolo remoto dell’Australia. Questo è un
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ottimo esempio di cosa si intenda per sicurezza energetica in
Australia. Vale la pena notare, inoltre, che oltre agli aspetti
puramente commerciali, ENI è stato un promotore attivo di
iniziative per la popolazione indigena locale, attraverso l’offerta
di corsi di formazione e occupazione per la popolazione locale,
la creazione di un forum per minimizzare l’impatto delle proprie
attività industriali e la promozione dell’arte e della cultura
indigena.
A fianco di ENI in Australia ha lavorato la sua controllata
Saipem, un appaltatore nel settore petrolifero e del gas, con
particolare esperienza in acque profonde, approvvigionamento
e servizi di gestione di progetti. Saipem si è aggiudicata il
contratto di ingegneria, approvvigionamento, installazione e
costruzione della piattaforma Blacktip e della conduttura per
l’esportazione. Recentemente Saipem ha vinto un contratto per
la posa di condutture per l’esportazione in acque profonde per
Ichthys LNG Project, nel Western Australia. Si tratta di un
progetto su vasta scala con investimenti di società taiwanesi e
giapponesi. Sia ENI, sia Saipem hanno buone possibilità di
poter beneficiare delle opportunità commerciali offerte
dall’atteso e significativo sviluppo delle risorse energetiche che
avrà luogo nella parte settentrionale dell’Australia.
In molti altri modi le imprese italiane hanno contribuito a
garantire la sicurezza energetica australiana. Società come
Italgru, GE Italia e Magaldi Power sono attive nella fornitura di
importanti componenti per l’industria energetica e sono in
grado di produrre componenti che soltanto poche società al
mondo sono in grado di costruire. GE Italia, ad esempio, e
specificamente la sua controllata Nuovo Pignone, ha fabbricato
le enormi turbine che saranno utilizzate per il Gorgon LNG
Project nel Western Australia. Si è deciso di costruire turbine
del peso di 2.300 tonnellate in Italia e spedirle in Australia, con
tutte le sfide logistiche che ciò comporta, piuttosto che
costruirle sul luogo, nel delicato habitat in cui si sviluppa il
Gorgon Project. È così che l’expertise ingegneristica italiana
aiuta l’Australia nello sviluppo economico e a proteggere
l’ambiente.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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205
Le infrastrutture dei trasporti costituiscono un altro elemento
fondamentale per garantire la sicurezza energetica,
considerando che le abbondanti risorse energetiche australiane
si trovano spesso in luoghi remoti e logisticamente impervi da
raggiungere. Ne è un esempio l’accordo firmato nel 2009 tra
Ansaldo STS Australia, del gruppo Finmeccanica, e l’Australian
Rail Track Corporation (ARTC), per la fornitura di sistemi di
segnalamento che aumentino capacità, affidabilità ed efficienza
dei corridoi per il trasporto del carbone che ARTC possiede o
gestisce nel New South Wales e Victoria. Ansaldo STS ha
costantemente fornito tecnologie di punta per le proprie
operazioni in Australia, vincendo nel 2012 un contratto per la
fornitura di un sistema di segnalamento satellitare per una
nuova linea ferroviaria per il trasporto merci nell’ambito del
progetto Roy Hill Iron Ore nella regione di Pilbara, nel Western
Australia.
Si deve inoltre considerare come la rete di comunicazioni
funzioni da “collante” per tenere insieme le infrastrutture.
Ancora una volta un’azienda italiana, Prysmian Group (ex Pirelli
Cables), offre un importante contributo in tal senso ed è
presente in Australia dal 1975. Nel 2011 Prysmian si è
aggiudicata un contratto dal Governo australiano per la
fornitura di cavi di fibre ottiche per lo sviluppo della nuova rete
nazionale per la banda larga, con cui Prysmian è divenuto uno
dei maggiori fornitori di cavi di fibre per la rete nazionale a
banda larga, con un’ampia gamma di cavi di comunicazione a
nastro e multi fibra, compresi i cavi termite-resistente, a prova
di roditori e ad elevata resistenza. Prysmian è inoltre uno tra i
primi fornitori di cavi per l’energia elettrica in Australia e
disegna, produce, distribuisce e installa cavi e sistemi di
trasmissione e di distribuzione di energia a bassa, media, alta
ed altissima tensione.
Le aziende italiane contribuiscono inoltre in maniera
significativa allo sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti in
Australia, con vantaggi per la circolazione in termini di rapidità
e efficienza e con una conseguente diminuzione nel consumo di
carburante e un minor impatto ambientale. Le conoscenze
italiane nel campo delle infrastrutture e dei trasporti sono state
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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premiate con contratti a imprese come Ghella, che fa parte di
un consorzio internazionale, per il progetto Legacy Way a
Brisbane; e come Rizzani De Eccher, per il progetto South Road
Superway ad Adelaide, sempre nell’ambito di un consorzio
internazionale. Il contributo delle aziende italiane va dalle
infrastrutture ai mezzi di trasporto, come i camion e gli
autobus, con IVECO, la controllata del gruppo Fiat, che produce
veicoli per il mercato australiano nello stabilimento a
Dandenong, nel Victoria, impiegando oltre 600 persone e
creando numerosi altri posti di lavoro in settori correlati, dai
concessionari fino ai fornitori.
Conclusioni
Il fatto che le esigenze del settore della sicurezza energetica
australiana creino opportunità commerciali per le aziende
estere costituisce un vantaggio per l’economia australiana. Gli
investimenti esteri nelle infrastrutture energetiche creano
occupazione e garantiscono che il paese si avvalga delle
tecnologie di punta che queste aziende internazionali sono in
grado di offrire. L’Australia è fortunata a disporre di molte
risorse energetiche naturali, però tali risorse valgono poco
senza le infrastrutture necessarie per un loro uso sostenibile e
proficuo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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207
Africa Nord-Occidentale, idrocarburi tradizionali, non convenzionali e altri asset strategici
Eleno Triva – Analista indipendente
Pier Vittorio Romano – Direttore Responsabile di “Informazioni della Difesa”
L’Africa Nord-occidentale, e soprattutto i suoi stati di maggiore
importanza, Algeria e Marocco, pur con differenze sostanziali
dovute alle peculiari caratteristiche e vicende storiche diverse,
è interessata da un attivismo nel settore della esplorazione e
sfruttamento delle potenzialità degli idrocarburi nei loro territori.
Algeria: quale strategia per gli idrocarburi di scisti?
L’Algeria, che è un grande produttore di idrocarburi estratti con
le tecnologie ordinarie, ha scoperto, da più di venti anni, il più
grande giacimento di petrolio nel paese. Il 26 ottobre 2013 il
ministro algerino dell'Energia Youcef Youcefi dichiarava che la
Sonatrach aveva "scoperto un nuovo giacimento di petrolio di
circa 1,3 miliardi di barili nel bacino di Amguid Messaoud nel
centro-nord dell'Algeria" Questo sito, che dista un centinaio di
chilometri dalla regione di Hassi Messaoud, è il più grande
giacimento di petrolio in Algeria, e sarà sviluppato nei prossimi
tre o quattro anni. Algeri, da tempo, si sta interessando alle
potenzialità di petrolio e gas che possono essere estratti
secondo le nuove tecnologie (in realtà si tratta di una
tecnologia non nuovissima, ma la cui messa in opera era
considerata troppo complicata e costosa). A differenza degli
idrocarburi convenzionali, contenuti in sacche la cui estrazione
avviene per pompaggio, gli idrocarburi non convenzionali -
petrolio e gas di scisti - sono intrappolati in rocce caratterizzate
da microporosità che rende il loro recupero impossibile senza
stimolazione. Si tratta di una operazione chimica o
idrodinamica, denominata fracking (o fratturazione) che
permette la liberazione degli idrocarburi contenuti nelle rocce.
Questa operazione ha un impatto sul costo di esercizio che è 4-
5 volte superiore a quello convenzionale, ma porterebbe sul
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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mercato enormi quantità di idrocarburi. La controversia che
circonda lo sfruttamento di petrolio e gas di scisti è relativo non
solo al suo costo, ma anche al suo impatto sull'ambiente e alle
attività umane. Infatti, al fine di compensare la bassa
produttività si devono moltiplicare le perforazioni,
accompagnate da una rete di canalizzazioni e strutture di
superficie molto importanti. Al di là del suo costo, l'attuazione
di questo dispositivo richiede spazi ampi ed esclude ogni altra
attività umana, rurale o urbana. Inoltre richiede grandi volumi
di acqua, un sistema per il trattamento e lo stoccaggio dei
rifiuti e l'uso di sostanze chimiche.
Il miracolo americano … e altrove
Gas e petrolio originati dagli scisti hanno causato un vero e
proprio miracolo energetico negli Stati Uniti, le cui riserve di
gas sono aumentate di più di 42.475 miliardi di m3. La
produzione corrente ha raggiunto il 62% della produzione
totale di gas naturale negli Stati Uniti. L’economia americana
continua a risalire la china della recessione grazie al boom
energetico. Nel secondo trimestre del 2013, l’economia è
cresciuta del 2,5% grazie alle esportazioni di prodotti e non di
servizi. In prima fila c’è il petrolio e tutti i suoi derivati, prodotti
grazie al crescente impiego del fracking. Nel 2011, dopo
sessanta anni, gli Stati Uniti sono tornati ad essere un
esportatore netto di prodotti petroliferi. La produzione interna
ha anche dato una grossa spinta alla raffinazione che prima
dipendeva dall’importazione di greggio e tra i compratori
figurano molte economie emergenti: India, Brasile, Cina e
Turchia. Il boom energetico americano non solo sta riportando
la bilancia commerciale in equilibrio, un fenomeno che non si
verificava dai tempi della Guerra Fredda, è anche fonte di
tensione con la Russia e, quindi, in un certo senso contribuisce
a ricreare l’atmosfera di tensione politica tra le ex due
superpotenze e pone un dato nuovo con i tradizionali alleati di
Washington nel Golfo, Arabia Saudita in primis.
E questo richiama alla memoria il discorso del Presidente
George W. Bush all’indomani dell’invasione dell’Iraq quando
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
209
venne annunciato che gli Stati Uniti puntavano a una
risistemazione del Medio Oriente.
Riduzione dei prezzi?
Il boom degli idrocarburi da scisti originati dagli USA, secondo
quanto emerso da un rapporto dei servizi di intelligence
tedeschi (BND) e reso pubblico dalla agenzia di stampa Reuters
alla fine di Ottobre 2013, rischia di avere un impatto
depressivo sul regime internazionale dei prezzi e in particolare
del petrolio e ridurli alla soglia degli 80 dollari al barile.
La tempistica di questa riduzione non sarebbe immediata e il
risultato si vedrà nel medio termine (10-20 anni) con
contraccolpi su alcuni paesi, quali Russia, Libia, Iran, Venezuela,
Yemen e la regione del Medio Oriente.
La stessa Reuters, considerando l’impatto del petrolio di scisti,
prevede un prezzo di 95 dollari a barile nel 2020, con un calo di
20 dollari rispetto alla previsione formulata nel 2012.
Ipotizzando un tasso di inflazione del 2,5% l'anno, che
significherebbe che il Brent sarebbe costato solo 80 dollari nel
2020, in termini reali, ovvero a valore attuali, inferiore ai 109
dollari. Questo ha portato al crollo dei prezzi del gas sul
mercato interno degli Stati Uniti e ha iniziato a incidere sulle
dinamiche globali dei mercati, dove per la coincidenza della
crisi finanziaria mondiale e l'abbondanza di idrocarburi, ha
causato una fortissima concorrenza tra i produttori e gli
esportatori di mercato. Questo tipo di idrocarburo esiste in
altre parti del mondo, tra cui tre paesi con riserve simili o
addirittura superiori a quelli degli Stati Uniti quali Algeria, Cina
e Argentina. Tutti e tre hanno dimostrato la loro intenzione di
seguire l'esempio americano e hanno iniziato la ricerca e la
valutazione, a volte preceduta da un cambiamento del contesto
giuridico e contrattuale, al fine di migliorare il quadro operativo.
Tuttavia rimangono ancora molte sfide, quali gli investimenti
per i costi di estrazione, la gestione ambientale, il know-how
tecnologico, ma anche l'obiettivo, ovvero la resa e la sicurezza
energetica e il contesto generale delle politiche energetiche,
quali “sub componenti” della politica economica e di sicurezza.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Transizione
Nel 2013 l’Algeria, che ha dato il via libera allo sfruttamento del
gas di scisti dopo la modifica della legge sugli idrocarburi
dispone, secondo stime attendibili, di circa 600.000 miliardi di
m3 di riserve di tale gas.
In confronto le riserve di gas convenzionali sono stimati 4.500
miliardi m3, con una produzione media annua di 85 miliardi di
m3, di cui 55 miliardi destinati per l'esportazione.
Per gli idrocarburi liquidi non convenzionali - petrolio di scisti -
le disponibilità sono stimate in 215 miliardi di barili, ma non vi
sono dettagli su quelle recuperabili.
E’ in corso un dibattito tra analisti ed esperti che ritengono che
il potenziale convenzionale rimanga ancora da scoprire in aree
con poca o nessuna esplorazione, mentre altri mettono in
dubbio riserve e potenziale.
Per Algeri appare fondamentale definire una strategia a lungo
termine che tenga conto di tutte le ipotesi e modelli evolutivi
del consumo di energia in funzione di tutte le risorse disponibili,
fossili (convenzionali o meno) o rinnovabili.
Da qui la necessità di gestire i proventi della rendita petrolifera,
tema cruciale dopo il 2030, a causa del previsto rapido
aumento del consumo interno che ora è di circa 30 miliardi di
m3 di gas/anno, ma è destinato a raddoppiare entro il 2030 per
raggiungere i 60 miliardi di m3/anno. Quale sarà il livello di
consumo interno nel 2040, 2050 e oltre?
In primo luogo, si devono prendere in considerazione le risorse,
sfide e vincoli e preparare la pianificazione di un possibile
sfruttamento di idrocarburi non convenzionali che non
emergerà in modo significativo prima del 2030. Per quel
momento, diversi temi, quali il futuro del progresso tecnologico,
i costi, i problemi legati all’ambiente e alla stabilità del
territorio dovrebbero essere in via di soluzione.
L’altro aspetto che l’Algeria dovrà affrontare sarà la politica
energetica in termini di fabbisogno e sviluppo, abbandonando
le politiche di rendita e accumulazione di plusvalenze per
orientarsi decisamente verso lo sviluppo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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211
Gas di scisti, i rischi del mestiere
Come accennato, l’estrazione di petrolio e gas di scisti, richiede
enormi quantità di acqua ma l’area sahariana (87 %
dell'Algeria) contiene sufficienti risorse idriche in grado di
soddisfare tutte le esigenze, ma a patto di un riuso oculato
dell’acqua. Il sistema idrico del Sahara conterrebbe 40.000
miliardi di m3 di acqua, di cui il 60% in Algeria. Oggi, per l’uso
agricolo e industriale si utilizzano circa 1,5 miliardi di m3
all’anno, con circa 6.500 pozzi ed altre forme di drenaggio
sotterraneo.
Questa risorsa è rinnovata ad un tasso di 1 miliardo di m3
l’anno ma non è disponibile dappertutto e vi sono regioni, come
il sud-ovest algerino, poverissime di acque.
Lo sfruttamento di idrocarburi non convenzionali dovrebbe
richiedere, secondo le stime, per la perforazione di 35.000
pozzi, al massimo 150 milioni di m3 di acqua l’anno, purché
l’obiettivo del trattamento dei rifiuti sia il recupero di almeno il
50% del volume utilizzato per ogni operazione di fratturazione.
Gestione dei rifiuti
Analogamente importante e obbligatoria sarà la gestione ed il
trattamento delle rimanenze dei processi estrattivi. La
fratturazione idraulica è utilizzata in Algeria da decenni senza
problemi e, in altri casi, quando il gas contiene biossido di
carbonio (CO2), quest’ultimo viene immesso nuovamente in
uno strato geologico profondo senza influire sull’ambiente.
Infine, riguardo i vincoli in termini di superficie e di impatto con
l’ambiente e la popolazione con le sue attività, l’Algeria sarebbe
in una posizione vantaggiosa disponendo delle vaste distese del
Sahara, utilizzabili più efficacemente di aree urbanizzate e semi
urbanizzate come la regione parigina, le pianure agricole
polacche o americane, dove risultano esserci bacini di
sfruttamento per idrocarburi di scisti.
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Il Marocco, un futuro di idrocarburi?
Mentre l’Algeria è una realtà consolidata nel panorama
mondiale degli idrocarburi, il Marocco solo da alcuni anni si è
lanciato decisamente nella esplorazione in questo settore.
Sinora in Marocco non erano emerse potenzialità o bacini di
sfruttamento. Ma, come accennato, i governi di Rabat,
soprattutto negli ultimi anni, hanno moltiplicato la concessione
di licenze esplorative a compagnie per ricerche sia inshore che
offshore. Per cominciare è bene ricordare il caso Talsint,
località nella provincia di Figuig nella regione dell’Atlante (o
Orientale) ove, nel 2000, venne annunciata ufficialmente la
scoperta di importanti giacimenti di petrolio e gas, rivelatasi,
invece, di scarsa consistenza. In realtà la cautela dovrebbe
oggi farla da padrona. Anche l'Ufficio Nazionale degli
Idrocarburi e Miniere (ONHYM), l’ente statale che dipende dal
Ministero dell’Industria, cerca di calmare le acque; parla solo di
stime di potenziale geologico differenziando queste
informazioni dalla nozione di redditività economica o operativa.
Infatti la scoperta di un giacimento non è sinonimo di un suo
consequenziale sfruttamento sul piano economico. È proprio
per questo che si dovranno attendere almeno 10 anni per avere
una stima realistica delle potenziali riserve, sempre che tali
potenzialità corrispondano alle aspettative. Un’altra
congiuntura positiva del rinnovato interesse internazionale per
gli idrocarburi in Marocco sono gli “echi” creati dalla crisi libica
e da alcune incertezze in Algeria relativamente alla sicurezza,
quale l’attacco di terroristi islamici al sito di In Amenas, e
dell’assetto istituzionale, con riferimento allo stato di salute del
Presidente Boutelika. Tuttavia il Marocco importa il 95% di
idrocarburi e questo lo rende gravemente esposto alle
fluttuazioni del mercato. L’attuale politica energetica basata
sulla promozione delle energie rinnovabili possiede un gap più
ampio di quello previsto in considerazione delle difficoltà del
consorzio per le centrali eoliche che potrebbe essere colmato
da quanto trovato offshore.
Riguardo la continental shelf a ridosso del Marocco, alcuni
analisti riportano un rinvigorito interesse di alcune major
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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213
companies quali BP e Chevron. 10 pozzi esplorativi verranno
resi operativi nel prossimo anno a fronte dei 9 complessivi
presenti dal 1990. L’ottimismo geologico e’ supportato dai
recenti findings in Brasile, in considerazione delle simili
caratteristiche geologiche.
Altre compagnie, in genere quelle minori quali San Leon Energy,
Kosmos Energy, Repsol Exploraciones, Longreach oil, Chariot
Oil, Pura Vida, Nautical Petroleum, Cairn Energy e Gulfsands
Petroleum, sono attratte anche dai vantaggi fiscali che
l’amministrazione locale garantisce.
Agli inizi di novembre 2013, Cairn Energy e Gulfsands
Petroleum hanno iniziato le loro indagini, rispettivamente nella
regione di Gharb e a 120 km al largo della costa di Boujdour,
con perforazioni previste nel 2014.
Tuttavia una parte delle aree di esplorazione insiste nel Sahara
Occidentale, che annesso unilateralmente dal Marocco nel 1975,
è considerato dalle Nazioni Unite territorio sotto disputa e
quindi rappresenta un limite alle attività senza considerare le
incerte linee di demarcazione della Zona Economica Esclusiva
tra Spagna, che conduce analoghe esplorazioni nelle acque
delle Canarie, assai contestate dalle amministrazioni locali, e
Marocco/Sahara Occidentale.
I fosfati, il vero petrolio marocchino
In termini di capacità estrattive è comunque utile sottolineare
che il Marocco è il quarto produttore mondiale di fosfati (dopo
USA, Russia e Cina), con una capacità produttiva stimata in
quasi 19 milioni di tonnellate l'anno, estratti dai campi di
Benguerir, Khouribga, e dalle miniere di Youssoufia, nel
Marocco centrale, per un totale di 85 miliardi di m3 di riserve, e
da quella di Boucraa, nel Sahara Occidentale, con circa 1
miliardo di m3.
Poiché i produttori di fosfati sono pochi e la popolazione
mondiale è in continua crescita, i fertilizzanti per l’agricoltura
saranno uno degli aspetti critici del futuro unitamente all’acqua.
Il fosforo non scomparirà ma diverrà molto costoso. Quindi solo
i paesi più "ricchi" avranno fertilizzante per far produrre il loro
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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cibo con la conseguenza di innescare un circolo vizioso che
renderà economicamente poco valide le operazioni di vendita e
produzione agricola. Secondo questa logica, i paesi produttori
di fosfati si arricchiranno grazie ai ricavi dei concimi estratti dai
fosfati.
Con la popolazione mondiale che raggiungerà i 9 miliardi entro
il 2050, il Marocco si potrebbe trovare al centro di tutte le
strategie globali orientate ad assicurare cibo per tutti e a
combattere la fame, in quanto i fosfati sono fondamentali nel
processo di preparazione dei concimi e fertilizzanti per
l’agroindustria e l'Office Cherifien des Phosphates (OCP), è il
più grande esportatore mondiale di fosfato grezzo, acido
fosforico e fertilizzanti fosfatici.
Recentemente altre nazioni stanno entrando in questo mercato
quali Kazakhstan, Arabia Saudita, Algeria, India, Giordania,
Israele, Egitto, Australia e Sudafrica.
Conclusioni
Da queste brevi note emerge che le prospettive energetiche, in
senso ampio, della parte Occidentale del Nord Africa, sono
indubbiamente interessanti se verranno confermate.
La tempistica non è immediata e questo rappresenta un punto
interrogativo aggiuntivo sulle dinamiche regionali, stante le
difficoltà libiche. Se le proiezioni relative agli idrocarburi
prodotti da scisti verranno confermate, i dati del mercato
potrebbero cambiare, mentre le coste atlantiche del Marocco e
del Sahara Occidentale, con una vasta porzione dell’Algeria
sudoccidentale, sembrano averne in abbondanza.
Tuttavia non si può ignorare l’incognita che l’incremento
estrattivo di questi idrocarburi e l’avvio di esportazioni da parte
di un paese leader nel settore, quale gli Stati Uniti, potranno
avere sia sulle dinamiche globali sia su quelle trans-regionali,
regionali e sub-regionali (Medio Oriente, Nord Africa ed Europa,
Mediterraneo).
In prospettiva questa nuova situazione potrà mutare realtà
consolidate e aprire nuovi scenari, con opportunità e rischi.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
215
La sicurezza energetica in Africa Marco Cochi – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
Dall’inizio del nuovo secolo, il tema della sicurezza energetica è
ricomparso ai primi posti nelle agende politiche dei governi di
tutto il mondo, che hanno ripreso a focalizzare la loro
attenzione su una questione primaria per il buon
funzionamento della macchina statale. Il rinnovato interesse
sul livello di soddisfacimento della domanda energetica interna
e, in particolare, sulla prevedibilità degli andamenti della
quantità di energia disponibile a lungo termine, si è ampliato di
pari passo con l’aumento della dipendenza da gas e petrolio per
usi industriali, riscaldamento e trasporti in generale. Uno dei
punti che incidono maggiormente nella questione è la
distribuzione diseguale degli idrocarburi a livello globale. Tale
aspetto ha influenzato in maniera sostanziale le politiche di
sicurezza energetica dei singoli Paesi impegnati
nell’accaparramento di fonti di energia. Questi ultimi, per
garantirsi la certezza degli approvvigionamenti si sono orientati
a distribuire la dipendenza su una gamma di risorse più estesa
possibile, riducendo in questo modo le preoccupazioni riguardo
l’instabilità nei singoli Stati produttori, i timori di espropriazioni
di aree petrolifere per motivazioni politiche e il rischio di
imprevisti tagli di fornitura. Per questo motivo, molti governi
stanno investendo in energie rinnovabili come quella solare,
eolica, geotermica, idroelettrica e da biomasse, così come nel
nucleare, senza trascurare la continua esplorazione di nuove
regioni che potrebbero ancora fornire grandi quantitativi di
combustibili fossili. Un’esplorazione motivata dalla crescente
domanda globale di prodotti petroliferi, come evidenziato dalle
stime dell’Energy Information Administration americana (EIA),
che dai quasi 88 milioni di barili al giorno (b/g) del 2010,
prevede che la domanda totale giungerà a 92 milioni di b/g nel
2020 per arrivare a quasi 103 milioni di b/g entro il 203067.
67www.eia.gov/cfapps/ipdbproject/IEDIndex3.cfm?tid=5&pid=54&aid=2.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
216
In questo scenario, una delle regioni che ha attirato maggiore
attenzione è il continente africano. Tale interesse, è stato
inizialmente ispirato da una serie di scoperte di nuovi
giacimenti di petrolio, gas naturale e altri idrocarburi nel Golfo
di Guinea, a partire dalla fine degli anni Novanta.
L’area in questione conta la più alta densità di riserve off-shore
a livello mondiale, oggi ampiamente fruibili grazie ai recenti
sviluppi tecnologici nelle attrezzature di prospezione, che
rendono possibile lo sfruttamento di giacimenti sottomarini a
costi sostenibili, anche in acque molto profonde.
Nondimeno, il Golfo di Guinea è una delle poche zone al mondo
dove si considera la presenza di importanti giacimenti
sfruttabili su larga scala di light sweet crude, un petrolio di
ottima qualità povero di zolfo, che permette in altri termini di
ottenere più benzina e gasolio per unità raffinata. Una
prospettiva di investimento senza dubbio invitante per le
compagnie petrolifere ed i governi dei Paesi consumatori.
Tuttavia, l’Africa sub-sahariana offre anche altri vantaggi. In
qualità di produttori di petrolio relativamente nuovi, con esigue
capacità tecniche e capitali limitati, molti Stati della regione
sono disposti ad accettare royalty più basse e cedere un
maggiore controllo sulle loro risorse petrolifere, rispetto ai
Paesi che hanno al loro attivo un’esperienza più consolidata
nella produzione di greggio. Di conseguenza, per le compagnie
i profitti potenziali possono essere molto alti.
Questa serie di fattori ha contribuito a determinare l’acuirsi
dell’interesse dei Paesi consumatori verso i giacimenti africani,
ormai diventati uno scenario privilegiato per quel che riguarda
l’estrazione del greggio.
Tra i Paesi del continente che detengono le maggiori riserve di
petrolio, primo fra tutti è la Nigeria, che fa parte dell’Opec,
seguito da Angola e Sudan, mentre altri Paesi come Gabon,
Repubblica del Congo, Ghana e Guinea Equatoriale si stanno
evidenziando come ottimi partner energetici per l’estrazione.
L’ultimo Stato africano ad entrare nel grande gioco è stato lo
Zambia, diventato in breve tempo uno dei nuovi fornitori dei
Paesi asiatici. Nel 2008, l’economia zambiana, strettamente
dipendente dall’industria del rame, di cui è il maggior
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
217
produttore del continente, era stata fortemente penalizzata a
causa del crollo ai minimi storici delle quotazioni del metallo
rosato. La repentina discesa del prezzo del rame aveva
falcidiato le esportazioni di uno Stato che affidava a questa
risorsa il 70% delle sue entrate di valuta straniera. Invece,
adesso l’ex Rhodesia del Nord può vantare una crescita annua
del Pil pari al 7,3%, ripresa che deve in gran parte al greggio.
Per avere una disamina più circostanziata riguardo l’evoluzione
del fabbisogno energetico mondiale di questi ultimi anni e il
ruolo africano, può essere utile analizzare le politiche
energetiche portate avanti da uno dei principali player mondiali,
la Cina, che per far fronte alla sua esponenziale crescita
economica è diventata uno dei maggiori consumatori mondiali
di oro nero. Nel 1980, il Paese asiatico produceva due milioni di
barili al giorno consumandone uno. Recenti dati68 rilevano che,
nel 2009 e 2010, la Cina ha registrato una crescita della
domanda di oltre il 12%, attestandosi a 9,4 milioni di barili al
giorno. Pechino per far fronte ad un simile incremento ha
progressivamente elaborato una strategia onnicomprensiva nei
confronti del continente africano, si è quindi posta sia sotto il
profilo economico sia sotto quello politico sullo stesso piano
delle potenze occidentali, che intrattengono rapporti consolidati
con i Paesi africani da tempi ben più remoti. Per comprendere
meglio i termini della questione, è necessario considerare
l’elevata crescita economica registrata negli ultimi anni dal
Dragone asiatico. Una crescita costante e sostenuta che ha
consentito alla Repubblica popolare di entrare nel terzo
millennio come il paese a maggior crescita economica a livello
mondiale, grazie ad una molteplicità di fattori, tra cui un
notevole aumento della produzione industriale. Proprio la
straordinaria performance del settore industriale ha fatto sì che,
dal 1993 ad oggi, la Cina sia diventata il primo importatore
netto di petrolio al mondo69, scalzando dalla prima posizione gli
Stati Uniti, con la conseguenza che la percentuale odierna di
68 www.businesspeople.it/Ambiente/Energia/Torna-a-crescere-il-consumo-di-
petrolio-boom-della-Cina-12-_25964. 69 www.agichina24.it/in-primo-piano/energia/notizie/cina-sorpassa-usabr-/come-importatore-di-petroliobr-.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
218
energia richiesta dal gigante asiatico sia superiore al 15% della
domanda aggregata globale. Nell’orientare la politica estera è
quindi diventato fondamentale, per il governo di Pechino,
l’obiettivo del mantenimento della sicurezza energetica. Per
accaparrarsi riserve sicure e stabili di energia, la Cina si è
impegnata in campo politico-diplomatico ed ha incoraggiato
l’utilizzo di capitali statali e privati per investimenti in Paesi
esteri dove poter sviluppare l’industria estrattiva e costruire le
infrastrutture necessarie per portare queste risorse in patria o
sul mercato. Le risorse energetiche africane sono abbondanti,
relativamente poco sfruttate e, in quanto collocate di frequente
in contesti di forte instabilità politica, spesso soggette ad una
debole concorrenza internazionale. Sulla base di questi due
fattori, il continente nero rappresenta un bacino ideale per il
rifornimento certo e duraturo di risorse energetiche, come
dimostrato dal fatto che la Cina riceve dall’Africa più del 30%
del suo intero volume di importazione di greggio. L’approccio
cinese al continente è dunque ispirato più dai bisogni interni
che da una visione politica globale. La sua attenzione verso la
macroregione è interamente riconducibile alla necessità di
assicurare un ambiente favorevole allo sviluppo interno, sia in
termini di risorse che di nuovi sbocchi commerciali. L’elemento
fondante del partenariato sino-africano è da ricercarsi nel
pragmatismo economico: nessuna condizione politica ma solo
contratti da firmare. Attraverso la lente della “non ingerenza”,
dittature o democrazie sono identiche agli occhi di Pechino.
L’unica condizione che il governo cinese impone è il rispetto del
principio della cosiddetta one-China policy 70 , attraverso cui
riconosce particolare attenzione agli Stati che hanno rotto le
relazioni diplomatiche con Taiwan, per supportare la causa
della riunificazione cinese. Una clausola alla quale ha ormai
aderito quasi tutto il continente, visto che Pechino mantiene
rapporti diplomatici ufficiali con cinquanta Stati africani su
cinquantaquattro. L’ex Impero di mezzo ripaga a suon di dollari
la fedeltà africana ottenendo in cambio i diritti nella
prospezione e nell’estrazione in Nigeria, in compagnia della
70en.wikipedia.org/wiki/One-China_policy.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
219
Shell e della nostra Eni, oltre al controllo del 50%
dell’estrazione del petrolio del Sudan e del 25% di quello
dell’Angola. Non a caso, fra i primi dieci fornitori di greggio
della Cina, i tre Paesi africani figurano a fianco degli Stati arabi.
Evitando di soffermarsi sulla redistribuzione della ricchezza
prodotta dal greggio e dei privilegi a essa correlati, ormai
l’Africa sembra avere le carte in regola per diventare
l’alternativa al Medio Oriente dal punto di vista energetico. È
proprio su questo scenario che si sta spostando il confronto
economico fra l’asse atlantico e l’ormai conclamato competitor
cinese, in buona compagnia di altri due nuovi player delle
economie cosiddette emergenti, Brasile e India. Al momento, è
ancora difficile prevedere cosa comporterà a livello geopolitico
ed economico tale spostamento, ma appare ormai evidente che
attraverso il petrolio, l’Africa è riuscita ad ottenere una nuova
statura internazionale, un ritorno d’importanza strategica, dopo
la parentesi seguita all’ondata d’indipendenze degli anni
Sessanta e Settanta. Nella sostanza il continente si afferma
come zona d’interesse per la sicurezza energetica, sempre più
dominata dall’obiettivo di aumentare le dimensioni e la
diversificazione del mercato mondiale.
Ai fini di una corretta analisi, è necessario rilevare anche gli
elementi a sfavore della nuova frontiera africana dell’energia,
che in larga parte presenta ancora delle zone con livelli di
protezione dei diritti civili e amministrativi molto al di sotto
degli standard richiesti per attivare una presenza strutturale di
processi produttivi duraturi. A questo vanno aggiunti altri
fattori, come l’insicurezza, l’instabilità politica, l’elevato livello
di corruzione e la carenza di infrastrutture adeguate.
Quest’ultimo elemento, oltre a concorrere nello specifico al
rallentamento dei ritmi d’estrazione, in generale costituisce uno
dei principali ostacoli per lo sviluppo del business in Africa. Lo
rileva un recente studio71 elaborato dalla società di consulenza
Ernst & Young, sottolineando che se nei prossimi due decenni il
continente intende continuare a progredire, lo sviluppo delle
71 www.ey.com/Publication/vwLUAssets/Africa_Attract_2013_-_Getting_down_to_business/$FILE/Africa_attractiveness_2013_web.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
220
infrastrutture dovrà essere posto in cima ai piani di
investimento.
Secondo Ernst & Young, uno dei settori chiave che richiederà
maggiori risorse per incentivare la crescita economica è proprio
quello energetico. Una considerazione effettuata sulla base dei
non pochi problemi che in questo ambito affliggono i Paesi
africani.
Tra questi, la totale mancanza di reti pubbliche per la
distribuzione di energia elettrica in alcuni Stati, che per porre
fine a questa situazione hanno avviato imponenti progetti per
la produzione, come nel caso dell’Etiopia, che ha in cantiere la
più grande struttura idroelettrica dell’intero continente, la Diga
del grande rinascimento (Grand Renaissance Dam – GRD), che
il governo di Addis Abeba intende costruire lungo il corso del
Nilo Azzurro.
La monumentale opera sorgerà esattamente nella regione di
Benishangul-Gumuz per un costo stimato di 4,7 miliardi di
dollari e la sua realizzazione è stata assegnata da Addis Abeba
all’italiana Salini Costruttori. Secondo diverse stime, a pieno
regime, la GRD avrà una capacità produttiva di energia
elettrica pari a 6mila Mw/anno.
Un altro importante progetto riguarda l’Angola, che lamenta
ancora una marcata inadeguatezza delle infrastrutture esistenti
rispetto al fabbisogno nazionale di prodotti petroliferi lavorati.
Per ovviare a questa carenza, nella città portuale di Lobito, al
confine con la Namibia, sta per essere ultimata dalla coreana
Samsung la costruzione della seconda e tanto attesa raffineria
del Paese. L’impianto avrà una capacità a pieno regime di
200mila b/g, quantitativo più che sufficiente per soddisfare la
domanda interna dell’ex colonia portoghese.
Oltre a quella di Lobito, in Africa è prevista la realizzazione di
un’altra importante raffineria che dovrebbe sorgere in
prossimità del terminale petrolifero di Skhira, in Tunisia. I
negoziati del progetto, che consiste nella realizzazione di una
struttura con una capacità minima di 120mila b/g, vanno
avanti dal 2007. Dopo alterne vicende, nel gennaio 2012, la
Qatar Petroleum ha riavuto la concessione dell’appalto dal
governo tunisino, anche se nel luglio scorso il primo ministro
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
221
libico Ali Zeidan ha manifestato l’intenzione del suo governo di
voler subentrare nella realizzazione dell’impianto.
Nonostante la messa in opera di questi progetti a livello
nazionale, gli Stati africani per garantire la sicurezza energetica
alle loro economie devono cominciare a pensare in maniera
regionale e in qualche misura anche continentale.
Le ragioni di tale approccio per lo sviluppo del settore
energetico sono riconducibili a due fattori. In primo luogo, i
costi per operare investimenti nello sviluppo di infrastrutture
energetiche sono spesso proibitivi perché la loro redditività è
basata su economie di scala. Un impedimento che per essere
superato richiede risorse comuni.
Per fare un esempio, sono pochissimi i Paesi africani che
potrebbero permettersi un investimento di 4,7 miliardi di dollari
su un singolo progetto come la nuova diga in Etiopia.
In secondo luogo, c’è il problema dei mercati. Pur
rappresentando il 12 % della popolazione del pianeta, l’Africa
consuma uno scarso 3% dell’elettricità mondiale, di cui oltre il
75 % ripartito tra Africa settentrionale (33%) e meridionale
(45%). Il residuo è suddiviso tra il resto degli Stati sub-
sahariani. Inoltre, l’accesso all’energia elettrica sul continente
rimane relativamente basso, con tassi medi del 43%, con il
Nord Africa che si attesta al 99%, mentre le altre sub-regioni
oscillano tra il 12 e il 44%72.
Questo significa che i progetti su vasta scala, come quello
etiope della Grande diga, per avere un feedback positivo
devono garantirsi l’accesso ai mercati internazionali.
72 sustainabledevelopment.un.org/content/documents/3214interconnection_powerpools.pdf.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
222
L’interazione fra sicurezza energetica e cambiamenti climatici in Africa
Marco Massoni – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
I cambiamenti climatici sono oggi tra i problemi maggiori per
chi deve gestire a livello nazionale o locale ed internazionale o
globale le politiche ambientali. Sette su dieci disastri sono oggi
legati al clima e circa duecento milioni di persone potrebbero
diventare profughi a seguito di impatti climatici entro il 2050. Il
degrado ambientale derivante dai cambiamenti climatici mina
lo sviluppo sostenibile e rappresenta una seria sfida per il
raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
dell’ONU73. Il problema del cambiamento climatico è dunque
una questione cruciale nell’agenda dello sviluppo globale, che
preoccupa in maniera crescente per quello che riguarda sia la
scarsità delle risorse e la loro più opportuna gestione sia
l’equità e le asimmetrie tra Paesi sviluppati e Paesi in Via di
Sviluppo (PVS); le emissioni di carbonio74 oggi generate nelle
zone ricche e più industrializzate del pianeta determinano
73 Gli 8 OSM sono i seguenti: - sradicare la povertà estrema e la fame; - assicurare l’educazione primaria universale; - promuovere la parità di genere;
- ridurre la mortalità infantile; - migliorare la salute materna; - combattere l’AIDS/HIV, la malaria e le altre malattie; - garantire la sostenibilità ambientale, migliorando la qualità dell’aiuto
anche mediante il trasferimento tecnologico; - sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. 74 Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) il mondo si sta
allontanando dall’obiettivo concordato dai Governi di limitare l’aumento della temperatura media globale nel lungo termine entro i 2 gradi Celsius (°C). Le emissioni mondiali di gas ad effetto serra sono in rapida crescita. Ebbene sarebbe sufficiente applicare quattro politiche energetiche, sì da mantenere fattibile l’obiettivo dei 2°C ovvero: adottare misure specifiche per l’efficienza
energetica, da cui deriverebbe il 49% dei risparmi emissivi; limitare la costruzione e l’uso delle centrali di generazione a carbone meno efficienti
(21%); minimizzare le emissioni di metano (CH4) durante la produzione di petrolio e gas naturale (18%); accelerare la (parziale) eliminazione dei sussidi al consumo di fonti fossili(12%).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
223
conseguenze negative ai danni delle popolazioni e delle
comunità più povere del mondo, le cui emissioni di carbonio
sono invece molto modeste. Ad esempio in Africa le emissioni
pro capite rappresentano un dato trascurabile rispetto a quelle
globali, le cui nefaste conseguenze per l’ecologia africana
rischiano di provocare nel medio periodo effetti pressoché
irrimediabili. Il cambiamento climatico rappresenta una
minaccia significativa per lo sviluppo dell’Africa75, dal momento
che può compromettere i più che incoraggianti risultati
economici recentemente conquistati da parte degli Stati africani
emergenti. I cambiamenti climatici costano oggi all’Africa nel
suo insieme circa quattro punti percentuale del proprio PIL ogni
anno, moltiplicando le minacce nelle zone a rischio di conflitto
persistente. È interessante infatti osservare come l’impatto
diretto del cambiamento climatico sia meno rilevante in sé
rispetto invece al suo ruolo di amplificatore (triggering) degli
effetti di altre tendenze già in atto in Africa, quali soprattutto:
un elevato tasso di crescita della popolazione nei prossimi
decenni, prima che la curva demografica vada stabilizzandosi;
un alto tasso di urbanizzazione; la stagnazione della
produttività agricola, e, infine, il danno antropico ambientale
sottoforma di deforestazione incontrollata, erosione del suolo e
declino della fertilità del suolo specialmente nelle regioni semi-
aride come il Sahel. Pertanto, per far fronte alla sfida del
cambiamento climatico, i governi africani non potranno
esimersi dall’approntare quanto prima tanto meglio piani di
fattibilità per l’elettrificazione regionale di grandi dimensioni.
Inoltre dovranno immancabilmente investire non solo in
tecniche agricole eco-compatibili, sviluppando nuove
generazioni di sementi, in grado di sopportare meglio la siccità
e la salinità, ma anche e soprattutto in programmi di
educazione pubblica che spieghino diffusamente l’impatto del
cambiamento climatico sulla vita e sulle abitudini delle
comunità, raccomandando semplici pratiche, al fine di meglio
preservare il proprio ambiente. Vero è che malgrado numerose
75 Dall’inizio del XX Secolo la temperatura media di tutto il Continente è aumentata notevolmente e si prevede che aumenterà di 3-4 gradi centigradi entro la fine di questo secolo, con ricadute negative su più ambiti.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
224
difficoltà, gli Stati africani sono sempre più attenti a parlare con
una sola voce nei fori internazionali sul clima, poiché
responsabili di quella governance globale, necessaria a
garantire la mitigazione 76 dei cambiamenti climatici ed il
relativo adattamento77. In effetti nel corso dell’ultimo decennio
gli Stati africani sono riusciti a negoziare in modo sempre più
efficace e strategico sia bilateralmente sia a livello multilaterale,
come è ampiamente dimostrato ad esempio dall’istituzione nel
2009 in seno all’Unione Africana (UA)78 della Conferenza dei
Capi di Stato e di Governo sul Cambiamento Climatico
(CAHOSCC), rappresentata da otto Paesi (Algeria, Repubblica
del Congo, Etiopia, Kenya, Mauritius, Mozambico, Nigeria e
Uganda). Si noti che l’Africa è un esportatore netto di energia,
vendendo al resto del mondo 570 milioni di tonnellate
equivalenti di petrolio e che solamente il 60% della produzione
di energia africana è consumata in loco, mentre il resto viene
esportato. Pur assistendo ad un vero e proprio oil boom in
questi ultimi anni in Africa, tuttavia una decina di Nazioni
africane (Algeria, Egitto, Marocco, Namibia, Niger, Nigeria,
Senegal, Tunisia, Uganda e Sudafrica) si sta rivolgendo ad una
speciale forma di energia pulita – il nucleare – anche per
diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. L’era
dei combustibili fossili è tutt’altro che finita, ma la loro
posizione sarà tendenzialmente sempre meno dominante.
76 La Mitigation (mitigazione) concerne quel range di azioni, necessarie a limitare l’ampiezza oppure il tasso di cambiamento climatico a lungo termine. 77 Con il termine Adaptation (adattamento) ci si riferisce a quelle modifiche nei sistemi ecologici, sociali o economici come risposta a stimoli climatici
attuali o attesi e dei loro effetti o impatti. Più precisamente riguarda o i cambiamenti nei processi, nelle pratiche e nelle strutture per moderare i
danni potenziali o il beneficiare di opportunità con il cambiamento climatico. 78 La commissaria dell’UA responsabile del portafoglio Infrastrutture ed Energia è l’egiziana Elham Mahmoud Ibrahim.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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225
INDICE DI VULNERABILITÀ IN FUNZIONE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
La cartina del sesto rapporto annuale del Maplecroft’s Climate Change and
Environmental Risk Atlas79
, rappresentativa dell’Indice di Vulnerabilità del
Cambiamento Climatico per il 2014, indica nella categoria del rischio estremo ben dieci
Paesi africani, molti dei quali nel Golfo di Guinea: Guinea-Bissau, Sierra Leone, Sud
Sudan, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Etiopia, Eritrea, Repubblica
Centroafricana (RCA), Ciad e Senegal.
APF & SE4A
Durante la più recente Presidenza italiana del G8 nel 2009 fu
convocata una Sessione Speciale dell’Africa Partnerhisp Forum
(APF)80 sui Cambiamenti Climatici (Addis Abeba, 3 settembre
2009). Fu un momento topico per fare il punto della situazione
prima della Conferenza delle Parti (COP-15) in seno alla United
Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC)
di Copenaghen, che si svolse nel dicembre dello stesso anno.
Allora l’Italia si era fatta promotrice di un’iniziativa G8 specifica
su questo tema, con la creazione anche di un Gruppo Esperti di
Alto Livello Energia – Africa81. Le considerazioni di allora sono
attuali ancor’oggi: l’Africa è il continente meno responsabile,
79 Cfr. www.maplecroft.com (ultimo accesso: 20-10-2013). 80 L’Africa Partnership Forum (APF) è il foro di discussione del partenariato e del dialogo continuativo fra il G8/OCSE e l’Unione Africana/NePAD. 81 La XVIII Sessione dell’APF, che si è tenuta a Parigi il 25 aprile 2012, co-presieduta da Belgio, Benin, Etiopia e Stati Uniti, ha avuto come core topic proprio l’energia.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
226
ma allo stesso tempo quello maggiormente danneggiato dai
cambiamenti climatici, indotti dal fattore antropico, dal
momento che produce meno del 4% delle emissioni di gas
globali nel loro insieme (Global Greenhouse Gas Emissions).
Secondo gli esperti dell’APF, quanto alla mitigazione, è urgente
che la comunità internazionale intervenga, per ridurre le
emissioni globali, riconoscendo allo stesso tempo però le
legittime esigenze di sviluppo all’Africa. Per quello che riguarda
l’adattamento, il cambiamento climatico è una realtà e non un
futuribile, impattando già in modo sostanziale sugli ecosistemi
africani, sicché sapersi adattare con successo è fondamentale,
per conseguire uno sviluppo sostenibile. Resta inoltre
essenziale sfruttare appieno il potenziale dell’innovazione
tecnologica oggi disponibile, al fine di rispondere alle sfide della
mitigazione e dell’adattamento, riformando e
proporzionalmente incrementando i meccanismi finanziari
dedicati. Un’altra iniziativa molto indicativa è quella voluta nel
2010 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon,
la Sustainable Energy for All Initiative (SE4A)82, con il proposito
di assicurare l’accesso universale a servizi energetici moderni,
raddoppiare entro il 2030 il ricorso all’energia rinnovabile, così
come di bissare il tasso di miglioramento dell’efficienza
energetica, garantendo la sicurezza energetica sottoforma di
produzione differenziata dell’energia (energy-mix), riducendone
drasticamente il costo, così da migliorarne l’accesso, attraverso
la promozione di un cospicuo ma preciso set d’investimenti
diretti esteri (IDE) in Africa. Per far ciò, è decisivo,
tecnicamente parlando, sviluppare appieno il potenziale di
risorse dell’Africa, immaginando sistemi idroelettrici di grandi
dimensioni a livello regionale e continentale, promuovendo la
cooperazione regionale sull’energia con un uso efficiente delle
infrastrutture, in modo tale che i quadri giuridici e normativi
siano tra loro resi omogenei o perlomeno armonizzati.
82 Cfr. www.sustainableenergyforall.org (ultimo accesso: 20-10-2013).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Il Grande Corno d’Africa e la nuova potenza verde, l’Etiopia
Nella regione del Corno d’Africa allargato nel 2012 sono stati
individuati ingenti giacimenti petroliferi ed è stato avviato un
importante piano di lavoro congiunto tra Sud Sudan, Kenya ed
Etiopia, in maniera tale da dare luogo al più importante
corridoio logistico della regione, che prevede la costruzione di
una ferrovia, di un’autostrada e di un oleodotto, che
confluiranno nel Porto di Lamu (Kenya). Tra l’altro il progetto
consentirà maggiore indipendenza al Sud Sudan, per esportare
il proprio greggio. Sempre in Africa Orientale l’Etiopia ha
predisposto un processo d’industrializzazione accelerata
attraverso lo sviluppo di progetti infrastrutturali massicci,
soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti, garantendosi
una crescita a ritmi vertiginosi, pur non essendo un Paese
esportatore d’idrocarburi; è esemplare il processo di
diversificazione degli approvvigionamenti energetici portato
avanti da Addis Abeba, oramai leader africano dell’energia
verde. Per il settore eolico il 26 ottobre l’Etiopia ha inaugurato
ad Ashegoda il più grande impianto eolico di tutta l’Africa Sub-
Sahariana, composto di 84 turbine disposte su una superficie di
cento chilometri quadrati, in grado di erogare una potenza di
120 MW, pari a 400 gigawatt (GW) l’anno. Per quello che
riguarda il settore geotermico l’Etiopia e una società
statunitense-islandese, la Reykjavik Geothermal (RG), hanno
firmato un accordo, per la costruzione nella zona della Corbetti
Caldera del più grande impianto geotermico in Africa dalla
capacità di 1000 MW al costo di quattro miliardi di dollari. Il
Progetto Corbetti si gioverà della sponsorizzazione – un
finanziamento a fondo perduto – della Geothermal Risk
Mitigation Facility (GRMF) di USAID e del finanziamento della
banca di sviluppo tedesca KfW (Kreditanstalt für Wiederaufbau),
così da coprire i costi ed il rischio derivante dalle perforazioni
esplorative. Reykjavik si aspetta i primi 10 MW di potenza già
per il 2015, con un aumento di 100 MW nel 2016, e l’equilibrio
a 500 MW per il 2018. Per quanto riguarda il settore
idroelettrico, si prevede che entro il 2018 l’Etiopia sarà in grado
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
228
di produrre circa 12.500 MW grazie alle sole sue dighe. A fine
maggio 2013 sono cominciati infatti i lavori per opera
dell’italiana Salini per la deviazione del corso del Nilo Azzurro
per la costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance Dam
(GERD), che con una capacità di contenimento di 85 milioni di
metri cubi sarà esclusivamente finalizzata alla produzione di
energia e non a fini agricoli, così da non ridurre la portata
d’acqua per i Paesi vicini. Con i 6mila MW di potenza (più del
triplo di quanto previsto per Gibe III, sul fiume Omo al confine
con il Kenya) è destinata ad essere la più grande centrale
idroelettrica d’Africa. Contro questo progetto faraonico si è
scagliato Il Cairo, per timore di dipendere dalle decisioni di
Addis Abeba in futuro. Benché si registrino tensioni crescenti
con l’Egitto ed il Sudan, a causa anche della recente ratifica da
parte di Addis Abeba del Trattato dei Paesi del Bacino del Nilo83,
cha rimette in discussione il diritto di veto del Cairo e di
Khartoum sull’uso esclusivo delle acque dell’omonimo fiume,
tuttavia siamo ancor lungi dal temere seriamente, perlomeno
nell’immediato, un’idroguerra.
JAES
La Strategia Congiunta Africa-Unione Europea (Joint Africa-EU
Strategy – JAES), operativa dal 2007, ha sviluppato nel corso
del tempo due Piani d’Azione, i quali limitatamente al settore
dello sviluppo sostenibile e del cambiamento climatico da una
parte e a quello dell’energia dall’altra, indicano gli obiettivi, i
risultati attesi, gli attori e le azioni prioritarie da perseguire ed
implementare nel quadro dei rapporti intercontinentali tra le
due capitali, Addis Abeba e Bruxelles, vale a dire la sostenibilità
ambientale ed il cambiamento climatico secondo una visione
condivisa mediante l’implementazione di due specifici
partenariati e cioè l’Africa-EU Partnership on Climate Change e
l’Africa-EU Energy Partnership. La cooperazione euro-africana
83 L’accordo quadro di cooperazione firmato nel 2010 da sei dei dieci membri
della Nile Basin Initiative – che riunisce gli Stati rivieraschi delle sponde del fiume – prevede una revisione in senso più equo sullo sfruttamento delle acque del Nilo.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
229
tiene debitamente conto dei settori cruciali inerenti al
cambiamento climatico: la sicurezza alimentare, l’agricoltura
sostenibile e la gestione del territorio, il degrado del suolo, la
desertificazione, la conservazione della biodiversità, le
questioni di biosicurezza, compresi gli organismi geneticamente
modificati (OGM), la prevenzione dei rifiuti tossici, la gestione
ecologicamente corretta dei rifiuti, l’uso sostenibile e la
gestione delle risorse naturali, tra cui le foreste, le risorse
ittiche e la gestione integrata delle acque nonché i sistemi di
allerta precoce per migliorare la gestione del rischio di
catastrofi. Le sfide energetiche globali hanno determinato
l’esigenza per l’Africa e per l’Unione Europea di rafforzare la
cooperazione e la solidarietà nella gestione sostenibile delle
loro risorse energetiche e di continuare a promuovere l’accesso
all’energia, la sicurezza energetica e la cooperazione regionale
anche attraverso la EU Energy Facility ed altri strumenti
finanziari. L’Africa e l’UE hanno manifestato interesse ad
avviare un dialogo sull’uso pacifico dell’energia nucleare,
nell’ambito delle disposizioni dell’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica (AIEA) e del Trattato di Non Proliferazione
Nucleare (TNP) e in linea con gli standard internazionali di
sicurezza. Perentoriamente detto, sembra ancora una volta che
la mancanza di supporto politico per parte europea a tale
visione strategica dia adito a nulla più che ad un mero wishful
thinking di stampo burocratico, se paragonato empiricamente
all’efficienza dell’aggressività sistemica mostrata da Cina e USA
sul versante energetico in Africa.
Power Africa
“Elettrificare l’Africa” è il motto dell’iniziativa Power Africa, un
piano di sviluppo del Governo americano, finalizzato ad aiutare
quei Paesi africani (per il momento solo sei Stati anglofoni:
Etiopia, Ghana, Kenya, Liberia, Nigeria e Tanzania84) che, pur
84 In Etiopia il 17% della popolazione ha accesso all’elettricità, mentre è
importato il 5,3% dell’energia netta utilizzata a fronte di 1,180 MW di capacità di generazione installata; in Ghana il 60,5% della popolazione ha accesso all’elettricità, mentre è importato il 27,8% dell’energia netta
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
230
essendo caratterizzati da un’elevata crescita economica, non si
trovano nelle condizioni di sostenerne il relativo fabbisogno
energetico, dato che dispongono d’infrastrutture inadeguate,
costose, obsolete ed inquinanti. Queste Nazioni sono state
scelte anche per aver fissato propri ambiziosi, ma non velleitari,
obiettivi nella produzione di energia elettrica, con l’impegno di
modificare il proprio quadro normativo in materia. Lo scopo è di
arrivare a farli produrre fino a 10mila MW di energia pulita nel
prossimo quinquennio. L’iniziativa dunque intende aiutare
questi Paesi ad impostare uno sviluppo energetico sostenibile,
incrementando la connettività e l’accesso all’energia pulita,
approfittando del vantaggio peculiare dell’Africa rispetto ai
Paesi sviluppati, costituito proprio dall’assenza di precedenti
strutture da ammodernare, una rivoluzione tecnologica dagli
esiti sorprendenti, in virtù della sua versatilità strutturale a
favore del leapfrogging. Power Africa lavorerà anche a stretto
contatto con la Banca Africana di Sviluppo (BAD), che vi
concorre attraverso un suo fondo ad hoc, la Sustainable Energy
for Africa (SEFA), a garanzia contro i rischi parziali degli
investimenti. Inoltre Mozambico e Uganda parteciperanno a
Power Africa attraverso il loro coinvolgimento nell’Energy
Governance Capacity Initiative (EGCI), che mira a rafforzare e
a razionalizzare le già esistenti capacità nazionali di gestione
delle rispettive risorse energetiche. Invece di impiegare molto
tempo ad individuare quale potesse essere il migliore ambiente
utilizzata, a fronte di 1,985 MW di capacità di generazione installata; in Kenya il 16,1% della popolazione ha accesso all’elettricità, mentre è importato il 19,3% dell’energia netta utilizzata a fronte di 1.706 MW di capacità di generazione installata; in Liberia non vi sono dati disponibili circa l’accesso all’elettricità o l’importazione di energia a fronte di 197 MW di capacità di generazione installata; in Mozambico lo 11,7% della popolazione
ha accesso all’elettricità, mentre il 22,5% dell’energia netta utilizzata viene esportato a fronte di 2.280 MW di capacità di generazione installata; in Nigeria il 50,6% della popolazione ha accesso all’elettricità, mentre il 128,5 percento dell’energia netta utilizzata viene esportato a fronte di 5.898 MW di capacità di generazione installata; in Tanzania il 13,9% della popolazione ha
accesso all’elettricità, mentre il 13,9% dell’energia netta utilizzata è importata a fronte di 957 MW di capacità totale di generazione installata;
infine in Uganda il 9% della popolazione ha accesso all’elettricità, ma non vi sono dati disponibili sulle importazioni di energia a fronte di 529 MW di capacità di generazione installata.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
231
favorevole agli investimenti americani ed al trasferimento
tecnologico in Africa in ambito energetico, si è preferito dare
seguito ad un approccio decisamente più pragmatico e solerte,
in perfetto stile americano businness-oriented, per cui si
valuterà cosa effettivamente gli Stati Uniti possano fare
attraverso i noti strumenti, o caso per caso addirittura
creandone di nuovi, nelle grosse operazioni energetiche ad
elevato potenziale trasformativo. Da un punto di vista
metodologico Power Africa intende adoperare un approccio
multisettoriale ad alto valore aggiunto, che cerchi di sfruttare i
punti di forza peculiari degli Stati Uniti, ottimizzando e
mettendo a sistema un ampio volet di sinergie quali quelle
delle tecnologie energetiche, delle transazioni del settore
privato, della politica e delle imprescindibili riforme delle
normative nazionali e regionali africane, onde poter veramente
colmare le lacune nel settore energetico continentale. Si
ricorrerà all’assistenza tecnica, ai prestiti garantiti, ai servizi
legali, agli studi di fattibilità e ad azioni diplomatiche mirate,
affinché le opportune riforme abbiano luogo con il conseguente
reale impegno dei rispettivi governi africani, così da rimuovere i
consueti ostacoli burocratici ed accelerare efficacemente il
processo. Partecipano all’iniziativa il Dipartimento di Stato,
USAID, Ex-Im, OPIC, il Dipartimento del Tesoro, il
Dipartimento del Commercio, il Dipartimento dell’Energia, il
Dipartimento dei Trasporti, MCC e USADF. Il coordinamento,
volto ad evitare la sovrapposizione delle attività, e l’information
sharing tra i vari attori viene assicurato dall’Interagency
Transactions Solutions Team, che si riunisce settimanalmente a
Washington 85 . Power Africa si avvale pure di un ufficio di
85 Gli Stati Uniti s’impegneranno per più di 7 miliardi di dollari di
finanziamento per i prossimi cinque anni, coinvolgendo le seguenti istituzioni americane a favore del progetto di elettrificazione di tutta l’Africa Sub-Sahariana: l’Agency for International Development (USAID) fornirà 285 milioni di dollari in assistenza tecnica, sovvenzioni e mitigazione del rischio, in modo da attrarre investimenti privati. La Overseas Private Investment
Corporation (OPIC) si impegnerà fino a 1,5 miliardi di dollari di finanziamento e di assicurazione per progetti energetici. La ExportImport Bank (ExIm)
metterà a disposizione fino a 5 miliardi di dollari a sostegno delle esportazioni degli Stati Uniti per lo sviluppo di progetti di energia. La Millennium Challenge Corporation (MCC) investirà fino ad un miliardo di dollari mediante il suo
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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coordinamento a Nairobi. Prende così forma un modo efficace
di fare sviluppo per il futuro, che ambisce ad essere replicato
anche in tutti gli altri settori diversi da quello dell’energia. È
evidente che l’interesse americano non nasce dal nulla, ma
cerca di recuperare il ritardo accumulato in questi due decenni
rispetto all’avanzata cinese. L’Africa, che dispone di enormi
risorse naturali (geotermiche, idroelettriche, eoliche, solari ed il
gas naturale86), molte delle quali ancora del tutto inesplorate,
presenta alcune delle economie a più rapida crescita al
mondo87. Calcolate in oltre 600 milioni le persone88 in Africa
Sub-Sahariana che non hanno alcun accesso all’energia
elettrica, tale scacchiere richiederà oltre 300 miliardi di dollari
di investimenti, per raggiungere l’accesso universale all’energia
elettrica entro il 2030; si tratta di cifre indisponibili secondo i
canoni di qualsiasi programma di sviluppo tradizionale. Finora
solo Washington è stata capace di sintetizzare in maniera
country compact, per aumentare l’accesso e l’affidabilità e la sostenibilità della fornitura di energia elettrica mediante investimenti in infrastrutture energetiche, la politica e le riforme normative e il potenziamento delle capacità istituzionali. L’OPIC insieme con la Trade and Development Agency (USTDA) forniranno fino a 20 milioni di dollari per la predisposizione dei progetti e la loro fattibilità tecnica quanto alle energie rinnovabili in
particolare. Il coordinamento di tutte queste attività sarà delegato all’Africa Clean Energy Finance Initiative (US-ACEF), grazie anche al supporto dell’Africa Clean Energy Development and Finance Center (CEDFC) basato a Johannesburg. L’African Development Foundation (USADF) lancerà la OffGrid Energy Challenge del valore di 2 milioni di dollari, destinati a sovvenzionare fino a 100.000 dollari imprese africane per sviluppare o espandere l’uso di
tecnologie per l’energia elettrica a beneficio delle popolazioni rurali e marginalizzate. Infine nel 2014 OPIC e USAID convocheranno una conferenza dedicata ai temi degli investimenti in infrastrutture e dell’energia in Africa. 86 L’Africa dispone del 4 percento delle riserve verificati al mondo di gas naturale ed il 10 percento del potenziale non sfruttato al mondo per energia idroelettrica. Le risorse geotermiche nella Rift Valley in Etiopia e Kenya hanno il potenziale per fornire fino a 15.000 MW di potenza. 87 Tra il 2001 ed il 2010 erano africane 6 delle Nazioni che sono cresciute più rapidamente al mondo (The World’s Ten Fastest-Growing Economies): Angola, Nigeria, Etiopia, Ciad, Mozambico e Rwanda. Ancora, entro il 2015 saranno africani sette dei dieci Stati a maggiore crescita: Etiopia, Mozambico, Tanzania, Congo, Ghana, Zambia e Nigeria. Si prevede che il PIL africano
passerà dagli attuali duemila miliardi di dollari ai trentamila nel 2050 ossia maggiore di quello dell’eurozona e degli Stati Uniti insieme. 88 Più di due terzi della popolazione dell’Africa Sub-Sahariana è senza elettricità, e più del 85 per cento di coloro che vivono nelle zone rurali non ha accesso all’elettricità.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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operativa le linee guida necessarie a sviluppare la produzione
di energia pulita senza impatti se non residuali dal punto di
vista climatico in Africa 89 . Vedremo presto chi saprà trarre
vantaggio da tanto fervore.
L’INIZIATIVA POWER AFRICA
La cartina indica gli Stati africani fruitori della Power Africa Initiative (Etiopia, Ghana,
Liberia, Kenya, Nigeria e Tanzania) e quelli dell’Energy Governance and Capacity
Initiative (EGCI), cioè Mozambico ed Uganda.
89 L’universalizzazione dell’elettrificazione in Africa dal punto di vista dell’impatto sul cambiamento climatico – in particolare quanto all’effetto serra – è stimata tra l’1 ed il 4% per il 2030.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Sicurezza e sviluppi energetici: il futuro è dell’Artico Lucio Martino – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
Tutti sanno che ci vuole dell'acqua per produrre del cibo. Non
tutti sanno che ci vuole dell'energia per produrre dell'acqua e
ancora meno che ci vuole dell'acqua per produrre energia.
Acqua ed energia sono intimamente interconnesse. Con
l'eccezione dell'energia eolica e di alcune forme di energia
solare, per produrre energia sono necessarie grandi quantità
d'acqua, cosa questa che ne riduce tanto la disponibilità quanto
la qualità.
In Europa e negli Stati Uniti la quantità d'acqua impiegata nel
settore energetico è già maggiore di quella impiegata per
l'agricoltura e con l'avvento delle più recenti tecnologie
estrattive è destinata a crescere notevolmente. Acqua ed
energia sono così legate l'una all'altra al punto che i
cambiamenti nella disponibilità e nella distribuzione dell'una
non possono non impattare nella disponibilità e nella
distribuzione dell'altra.
Nel prevedibile futuro, lo squilibrio tra regioni ricche e povere
d’acqua è destinato ad aumentare. Le risorse idriche delle
regioni polari aumenteranno, mentre diminuiranno quelle delle
regioni dal clima più moderato, come il Mediterraneo e il Medio
Oriente.
Anche per questo i grandi protagonisti del mercato dell’energia
hanno da qualche tempo deciso di allargare i propri orizzonti in
direzione di quella nuova frontiera rappresentata dal Mar
Glaciale Artico.
Con il progressivo aprirsi della regione a nuove e importanti
attività economiche, paesi anche geograficamente molto
lontani guardano ora all’Arctic Council con crescente interesse.
Nel giro di pochi anni, il cambiamento climatico sembra
trasformare l’Artico da ultima frontiera a centro del mondo. Il
Mar Glaciale Artico occupa un bacino approssimativamente
circolare. Le sue dimensioni sono pressappoco equivalenti a
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
235
una volta e mezzo quelle del continente europeo. Come il Mar
Mediterraneo, è quasi completamente circondato dalla
terraferma ed è ricco di numerose isole. Negli ultimi venti anni,
ha perso una distesa di ghiacci paragonabile al doppio
dell’estensione territoriale della Francia. La portata del
processo di trasformazione causato dal cambiamento climatico
in questa particolare regione sembra così grande da poter
modificare gli equilibri politici internazionali conseguenti alla
fine del bipolarismo. Questa nuova accessibilità del Mar Glaciale
Artico alimenta delle problematiche che trascendono gli
interessi delle nazioni litoranee e coinvolgono buona parte del
pianeta. In particolare, grandi interrogativi riguardano le
conseguenze dell’impatto sulla regione di un aggressivo
insieme di attori non governativi intenzionati a sfruttarne le
abbondanti risorse. Se il ghiaccio, che ne rende difficile la
navigazione e quasi impossibile l’accesso alle risorse
sottomarine, continuerà come sembra a contrarsi, questioni
economiche, ambientali e militari, incrociandosi l’una nell’altra,
non potranno non creare un nuovo sistema regionale sulla cui
portata sembra difficile fare previsioni.
Almeno un terzo delle riserve mondiali d’idrocarburi si ritiene
siano concentrate nell’Artico, vale a dire in una regione resa
accessibile da un’evoluzione climatica che la rende poi sempre
più ricca d’acqua. Due i grandi vincitori: l’Alaska per il petrolio
e la Federazione Russa per il gas, ma anche la Groenlandia e il
Canada sono destinati in un futuro ormai prossimo a produrre
enormi quantità d’energia. La grande disponibilità di idrocarburi
e di risorse idriche si sposa poi con un’affinità culturale e una
stabilità politica che non ha pari in nessuna altra regione ad
alta produttività energetica. Infine, l’apertura di nuove rotte
commerciali, nell’attribuire all’Artico un’assoluta centralità nei
flussi commerciali tra Asia e Occidente, sembra dischiudere per
l’intera comunità artica un futuro di preminenza economica e
strategica. Il più agevole accesso garantito a queste risorse
dalla contrazione della calotta polare e dai progressi registrati
nelle tecnologie estrattive, potrebbe aprire ben presto accese
dispute territoriali legate ai diritti di sfruttamento dei giacimenti
sottomarini presenti. È proprio sotto questa luce che si
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
236
spiegano iniziative come la missione del sottomarino
robotizzato russo che ha piantato la bandiera della Federazione
nelle profondità del Mar Glaciale Artico, le periodiche crociere
scientifiche dei rompighiaccio statunitensi e le varie
dichiarazioni con le quali gli Stati Uniti e la Federazione Russa
rivendicano i propri diritti di sovranità e giurisdizione su gran
parte del Polo Nord. Con tutta probabilità, il rischio che i paesi
confinanti con il Mar Glaciale Artico arrivino un giorno a un
qualche attrito sulla spartizione delle risorse regionali sembra
notevolmente esagerato, posto che oltre il novanta per cento
delle ingenti risorse minerarie regionali si trovano all’interno
delle presenti, ben consolidate, delimitazioni territoriali. In
prospettiva, più che lo sfruttamento delle riserve energetiche
regionali, è il controllo delle rotte commerciali a preoccupare
maggiormente.
Tuttavia, sebbene Canada, Norvegia e Federazione Russa siano
in palese disaccordo sui confini settentrionali della piattaforma
continentale Euroasiatica, e persino Stati Uniti e Canada
registrano importanti divergenze sul controllo dei traffici
marittimi, tutti questi paesi sembrano determinati a dirimere
queste controversie in maniera pacifica. Gli indizi in questa
direzione non mancano, a cominciare dalla recente risoluzione
di una disputa concernente una parte del Mare di Barents che
aveva contrapposto per quasi quarant’anni Federazione Russa
e Norvegia. Analogamente, il Canada e gli Stati Uniti, per
quanto lontani da una vera intesa sul proprio ruolo in questa
così particolare parte del mondo, hanno ormai da qualche
tempo raggiunto un primo accordo sulla regolamentazione dei
principali problemi dell’arcipelago canadese.
D’altra parte, lo strumento principale per risolvere le
rivendicazioni sulla sovranità e, quindi, sul controllo e sullo
sfruttamento del Mar Glaciale Artico è una Convenzione delle
Nazioni Unite sulla Legge del Mare che a volte sembra creare
più problemi di quanti non risolva. Questa convenzione, in
pratica ratificata da tutti tranne che dagli Stati Uniti, sostiene
che qualsiasi paese litoraneo può rivendicare un’estensione
marittima pari a duecento miglia nautiche, e può liberamente
sfruttare qualsiasi risorsa naturale all’interno di tale zona. Tale
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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area di sovranità può poi essere estesa di altre centocinquanta
miglia alla presenza di una qualche evidenza scientifica che
descriva la relativa piattaforma continentale sommersa come la
naturale estensione del paese rivendicante. Proprio su queste
basi, la Federazione Russa, il Canada e la Danimarca
reclamano come proprio territorio la cosiddetta dorsale di
Lomonosov, una sezione continentale sottomarina lunga quasi
duemila chilometri, che dalle Nuove Isole Siberiane raggiunge
le Isole Artiche Canadesi, dividendo il Polo Nord in una parte
europea e in una parte americana. In gioco è la sovranità sul
Mare di Barents, sul Mare di Bering, sul Mare di Ohotsk e,
ovviamente, sulla porzione centrale ancora ghiacciata del Mar
Glaciale Artico.
Nonostante l’alto livello di collaborazione tipico dei paesi della
regione, il futuro dell’Artico non sembra esente dallo sviluppo di
una dimensione militare. In diversa misura tutti gli Stati
costieri sono già da qualche tempo impegnati nel
potenziamento delle proprie capacità di combattimento in
questo molto particolare teatro di operazioni. Le iniziative
intraprese in tal senso non mancano e spaziano dalla decisione
statunitense di estendere l’area di responsabilità dell’U.S.
Northern Command fino ad abbracciare buona parte del Mar
Glaciale Artico, al trasferimento del Comando Operativo
norvegese all’interno del Circolo Polare Artico, alla
pianificazione da parte delle autorità russe di una brigata
ottimizzata per il combattimento in condizioni climatiche
estremamente rigide, all’intenzione del governo danese
d’istituire un nuovo Comando Artico e, infine, allo stanziamento
disposto dal governo canadese di quasi trentacinque miliardi di
dollari per il progressivo potenziamento della propria marina
militare. Un altro sintomo di questo particolare stato di cose è
poi ravvisabile nella scelta fatta ormai da diversi anni dalle
marine militari di Stati Uniti, Canada e Norvegia di far svolgere
nelle acque del Mar Glaciale Artico la propria esercitazione
annuale congiunta.
Da parte sua, la Federazione Russa, di quando in quando,
intensifica le attività delle proprie unità sottomarine, mobilita la
sua flotta di navi rompighiaccio e lancia i suoi bombardieri
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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strategici in missioni che sfiorano i confini del Canada e degli
Stati Uniti. In effetti, la Federazione Russa è in una posizione
molto diversa rispetto a quella degli altri paesi costieri.
Estensione territoriale a parte, sono circa quattro milioni i Russi
residenti nell’Artico. Le altre regioni artiche sono ancora molto
meno densamente popolate e spesso vi risiedono solo
popolazioni native. Il concorrere di questi fattori rende quasi
inevitabile una politica di forti rivendicazioni regionale. Inoltre,
sebbene Stati Uniti e Canada possano contare su di una rete di
piattaforme estrattive e d’impianti portuali, la Federazione
Russa ha un vantaggio notevole anche nel settore
infrastrutturale.
Stante questo quadro, quello che sembra davvero mancare è la
presenza di una qualche seria minaccia. Tutti gli attori regionali,
nell’ambito delle proprie possibilità, sembrano prepararsi per
fronteggiare delle evenienze ancora molto difficili da
intravedere. In ogni caso, questa crescente attenzione
riservata all’Artico non sembra risparmiare neppure una NATO
a volte presentata dal segretario generale Rasmussen come
l’istituzione tra tutte più adatta a occuparsi delle questioni
strategiche regionali, anche perché l’Arctic Council non ha, e
non vuole avere, una dimensione militare. Eppure, la NATO
sembra lontana da un qualsiasi consenso sul proprio ruolo in
questa regione. Un ulteriore prova di quanto sia bassa la
propensione ad attribuire alla NATO un ruolo nel Mar Glaciale
Artico è offerta dal fatto che “Cold Response”,
quell’esercitazione che da otto anni coinvolge in Norvegia le
forze di molti dei paesi membri e dei paesi partner, si svolge
sempre sotto l’egida dell’Alleanza Atlantica. Il Canada si è
sempre opposto a qualsiasi coinvolgimento della NATO
nell’Artico, giudicandolo lesivo dei propri diritti di sovranità. Gli
altri paesi sembrano soprattutto preoccupati della possibilità
che l’attribuzione alla NATO di una qualche responsabilità in
questa regione finisca con l’indispettire una Federazione Russa
che da diverso tempo ha espresso molto chiaramente il proprio
rifiuto nei confronti di qualsiasi collaborazione con la NATO in
questo particolare teatro. Da ultimo, altri attori non
propriamente regionali stanno cercando di ritagliarsi un ruolo di
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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maggior rilievo nelle discussioni multilaterali riguardanti le
questioni comuni ai paesi e ai popoli dell’Artico. La Spagna si è
appellata al Trattato di Parigi del 1920 per chiedere alla
Norvegia il libero accesso alle riserve biologiche e minerarie
intorno all’arcipelago di Svalbard, mentre nell’ottobre del 2008
il Parlamento Europeo ha approvato una prima risoluzione
sull’Artico alla quale hanno fatto seguito almeno altri due simili
documenti a firma della Commissione. Le autorità cinesi, da
parte loro, hanno a più riprese descritto la gestione dell’Arctic
Council come un qualcosa destinato ad avvantaggiare i pochi e
a danneggiare i molti e hanno in più occasioni annunciato il
lancio di diverse iniziative di breve e di medio periodo volte a
potenziare l’esplorazione e lo sfruttamento dell’intero Mar
Glaciale Artico.
Infine, la primavera scorsa, la Casa Bianca ha presentato una
finora inedita National Security Strategy for the Arctic Region.
L’obiettivo dichiarato del nuovo documento è di porre gli Stati
Uniti nelle condizioni migliori per rispondere efficacemente alle
emergenti opportunità pur impegnandosi al tempo stesso nella
protezione della specificità di questo particolare ambiente
naturale. Al suo interno sono identificate tre principali linee
d’azione: proteggere gli interessi di sicurezza nazionale,
promuovere una gestione responsabile delle questioni artiche e
favorire la cooperazione internazionale. Al fine di tutelare
l’interesse nazionale, il nuovo documento identifica come
necessario il potenziamento delle infrastrutture regionali, il
miglioramento della raccolta e della condivisione delle
informazioni riguardanti il traffico marittimo, la difesa della
libertà di navigazione e uno sfruttamento responsabile delle
locali risorse d’idrocarburi al fine di contribuire alla sicurezza
energetica della Nazione.
Per perseguire una gestione responsabile della regione artica e
proteggere l’ambiente, gli Stati Uniti si ripromettono poi di
valutare e monitorare le sfide ambientali, adottare una
gestione integrata dell’intero dispositivo di risorse naturali
artiche, aumentare la ricerca scientifica e migliorare la
mappatura del Mar Glaciale Artico, dei suoi corsi d’acqua e
delle relative zone costiere. Infine, per rafforzare l’attuale
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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livello di cooperazione internazionale, secondo l’U.S. National
Security Strategy for the Arctic Region, gli Stati Uniti devono
poi aumentare il proprio volume di collaborazione con gli altri
Stati artici ogni qualvolta interessi comuni e valori condivisi lo
rendono possibile, utilizzando l’Arctic Council come un forum in
cui promuovere gli interessi degli Stati Uniti e la cooperazione
con tutte le altre parti interessate, compresi gli Stati non
appartenenti alla comunità artica. Oltre alle priorità strategiche
di cui sopra, il nuovo documento traccia i principi destinati a
guidare la politica statunitense in questa particolare regione,
vale a dire il mantenimento della pace e della stabilità e la
continua consultazione con le popolazioni native. Sempre in
questa nuova elaborazione strategica, gli Stati Uniti
riconoscono poi la necessità di sviluppare le infrastrutture
regionali e le capacità strategiche necessarie per esercitare una
propria sovranità su quei settori dell’Artico di propria
competenza. Tuttavia, non è fatta alcuna menzione di specifici
piani per l’aggiornamento di una flotta di navi rompighiaccio
ormai inadeguata, per la costruzione di nuove infrastrutture
portuali o per la realizzazione degli impianti e delle attrezzature
necessarie per far agevolmente operare la U.S. Coast Guard
nelle regioni settentrionali dell’Alaska. Completamente assente
è poi qualsiasi calendario come qualsiasi informazione di
bilancio. Allo stesso modo, il nuovo documento non offre
nessun dettaglio sul come migliorare la conoscenza della
regione artica.
La maggior parte di questi obiettivi non sono raggiungibili in
assenza di un adeguato programma di finanziamento. Come
nel caso di molte altre simili elaborazioni concettuali prodotte
negli ultimi anni, anche questo nuovo documento strategico
non sembra molto di più di un’altra lunga lista di cose tanto
desiderabili quanto poco realizzabili. Quello in cui la U.S.
National Security Strategy for the Arctic Region sembra riuscire
molto bene è invece nel segnalare agli altri stati dell’Artico e
all’intera comunità internazionale che gli Stati Uniti riconoscono
un proprio ruolo e una propria responsabilità in una regione che
d’ora in avanti occuperà una ben più rilevante posizione
all’interno della propria visione strategica.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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In ogni caso, molto del futuro della regione dipenderà dagli
effetti delle migrazioni causate dallo sviluppo economico e,
quindi, dall’eventuale affermarsi di una nuova identità regionale
che potrebbe anche condurre alla nascita di un’inedita
Federazione Artica. Intanto, in quest’ultima riunione, i ministri
degli esteri degli otto paesi membri hanno deciso l’ingresso in
qualità di osservatori di paesi quali Cina, India, Giappone, Italia,
Corea del Sud e Singapore. Posto che a diversi di questi paesi
era già stata più volte negata tale possibilità, la svolta di metà
maggio sembra rispondere al desiderio di evitare che
continuando a isolare l’Arctic Council dal resto del mondo,
quest’ultimo finisca con l’organizzare un qualche altro tipo di
organismo internazionale all’interno del quale il peso attribuito
agli otto paesi dell’Artico sarebbe stato minore.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
242
Sicurezza energetica e biocarburanti: dinamiche e rischi globali
Alessandro Politi – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
Se le stime di consumo di energia globale, consumo di
biocarburanti, resa per ettaro ed intensità energetica fossero
vere, sarebbero necessari almeno 100 milioni di ettari
coltivabili a livello globale, cioè un po’ meno di quanto è
necessario per la sicurezza alimentare di un miliardo di cinesi.
Tenendo conto di problemi concreti come rischi ecologici
sistemici nei vari continenti, stress idrico presente e futuro,
land and water grabbing, si può comprendere come l’obbiettivo
ipotetico del 27% di biocarburanti nel trasporto globale entro il
2050 presenti serie incognite.
Un altro aspetto spesso sottaciuto nell’intero dibattito
energetico, ed anche in quello agricolo, è l’entità dei sussidi
dedicati fondamentalmente ad interessi corporativi (negli USA
$5 miliardi annui per il petrolio e $20 miliardi per l’agricoltura
in genere): un fattore che non solo distorce prezzi e mercati,
ma che scoraggia sostanzialmente la ricerca innovativa nel
settore in un periodo in cui il denaro pubblico è scarso.
Al momento i biocarburanti rappresentano lo 0,8% dei consumi
globali nel 2011 e diversi scenari prevedono una crescita
intorno al 2-4% nei consumi globali. Ancor più delle fonti
energetiche fossili e nucleari, l’attuale catena
d’approvvigionamento è molto concentrata (4 paesi: USA,
Brasile, Germania, Argentina) e presenta una significativa
vulnerabilità nell’Indonesia e nella Malesia, le maggiori
produttrici di olio di palma. Si tratta quindi di una fonte
energetica complementare sui cui investire risorse pubbliche
con prudenza.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
243
La necessità di un approccio olistico
Il dibattito sui biocarburanti è spinto da tre vettori significativi:
gli interessi di un’industria energetica nascente, le
preoccupazioni di sicurezza energetica e la maggiore attenzione
ai fattori di sostenibilità ecologica. È però impossibile
considerare la questione in modo settoriale precisamente
perché attiene a risorse vitali come acqua, terre agricole, cibo.
La questione dei biocarburanti è uno di quei classici problemi
trasversali che non può semplicemente essere confinata al solo
settore dell’energia oppure al dibattito tra energia fossile e
rinnovabile, perché tocca aspetti non solo strategici come la
terra, l’acqua e le colture alimentari, necessari per produrre il
biocarburante, ma anche altamente culturali, politici e di
psicologia collettiva che possono trasformare un dibattito in
una disputa e questa a sua volta in una forte tensione od un
conflitto. Il furto o la conquista di terre, acqua e cibo sono stati
visti infatti da millenni come casus belli inevitabili.
Per questo è opportuno applicare una metodologia già
impiegata e pubblicata dal CeMiSS nelle sue Prospettive
Generali 2013 che va sotto il nome di “flussi strutturanti”90. I
flussi strutturanti sono flussi di materie, merci, persone,
energia, capitali e conoscenza in senso lato che travalicano i
confini politici esistenti e che strutturano le relazioni all’interno
di un determinato spazio geopolitico complesso attraverso il
loro fluire ed il loro essere intercettati e valorizzati da
organizzazioni esistenti (siano esse statali o non statali). Una
lista dei flussi strutturanti (o shaping flows) si può trovare nel
riquadro seguente.
90 Cfr. AAVV. (coord. scientifico Alessandro Politi), Osservatorio Strategico,
Prospettive 2013, CeMiSS, Roma 2013, pp. 150-151 nell’Appendice metodologica. Vedi anche
http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/OsservatorioStrategico/Documents/OsservatorioStrategico2012/Cemiss_Prospettive_2013.pdf (06/10/2013).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
244
Gli shaping flows
Fonte: Prospettive 2013, op. cit..
Come si vede, seguono un ordine ascendente, che rispecchia in
parte la classificazione della piramide di Maslow, correlato con i
bisogni primari per la sopravvivenza e poi progressivamente
con necessità più sofisticate. Il mondo globalizzato inoltre
rende evidente la necessità di un approccio olistico e quindi
capace di seguire interazioni trasversali per due motivi: uno
empirico ed uno politico. Alla base della motivazione empirica
c’è la constatazione ricordata dal famoso battito di ali di una
farfalla in Cina che causa un tornado in Texas: quello che
avviene in una parte del pianeta finisce per avere ripercussioni
più o meno forti in altre, specie se è legato a flussi
strutturanti91. Invece la base della motivazione politica nasce
durante la Rivoluzione Francese con il concetto d’interesse
generale (intérêt général), cioè non la somma degl’interessi
individuali, ma una finalità d’ordine superiore all’interesse
comune e che lo trascende perché incarna l’interesse di
un’intera popolazione. Sino al duplice avvento dell’ecologia e
della globalizzazione, l’idea d’interesse generale era
difficilmente identificabile e giustificabile proprio perché
espresso da una parte in causa come la popolazione o il
governo di uno stato nazionale. Invece quando si adotta il
punto di vista complessivo della sostenibilità della vita sul
pianeta e quindi della specie Homo sapiens, tenendo conto del
fatto che il pianeta è uno, non riproducibile, non ancora base di
future colonie e dotato di scarse risorse rinnovabili, si
91 L’esempio è correlato alla teoria del caos, ma è metaforicamente applicabile anche ai sistemi complessi.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
245
comprende facilmente quale sia l’interesse generale che
trascende ogni altra considerazione parziale. È come vivere in
un’astronave senza pezzi di ricambio e poche risorse di acqua e
cibo riproducibili. L’apparente teoricità del concetto ha d’altro
canto concrete conseguenze strategiche: un’azione non può
essere valutata soltanto sul metro immediato e di breve
dell’interesse nazionale, ma deve considerare l’interesse
generale del pianeta proprio per assicurare un futuro anche al
proprio stato.
Il conflitto delle priorità
Partendo da questa base si può vedere che il primo conflitto di
priorità in un programma di biocarburanti è quello tra il flusso
strutturante dell’ecosistema e la sostenibilità delle coltivazioni
che dovrebbero fornire la materia prima per il biocarburante.
La seguente mappa fa vedere i rischi sistemici ecologici nei vari
paesi a livello globale in associazione con la coltivazione o
prodotto prevalente.
ECORISCHI SISTEMICI E COLTIVAZIONI PER BIOCARBURANTI
Fonte: Elaborazione dell’Autore di una carta FAO, SOLAW (State of the World’s Land
and Water Resources for food and agriculture).92
92 La legenda delle coltivazioni è la seguente: E – etanolo, B – biodiesel, P –
olio di palma, J – Jatropha. La grandezza delle lettere è proporzionale all’importanza della produzione stimata a livello globale. Cfr. FAO 2011. The state of the world’s land and water resources for food and agriculture
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
246
Come si vede, tutti i maggiori produttori di etanolo, olio di
palma e jatropha sono esposti a rischi ecosistemici non
trascurabili che riguardano in particolar modo potenze ormai
affermate come Brasile, India, Cina e potenze emergenti come
il Messico e l’Indonesia. L’unica area dove la produzione di
biodiesel è per ora sostenibile è in Germania ed include quasi
tutti i suoi vicini. È importante comprendere che la produzione
di biocarburanti è estremamente concentrata nel mondo e che
per resa energetica ci vuole 1,5 barile di biocarburante per
averne uno equivalente di petrolio. Stati Uniti (48%), Brasile
(22,4%) ed Unione Europea (16,5%) rappresentano l’86,9%
della produzione mondiale. Dopo i due giganti, i grandi
produttori sono Germania (4,8%) ed Argentina (3,8%, dati
2012). La seconda contraddizione riguarda la tensione a cui
sono sottoposti i sistemi idrogeologici rispetto all’esigenza di
avere biocarburanti, altre colture ed ulteriori usi. In questo
caso sono particolarmente utili due mappe che fanno vedere lo
stress idrico ed i futuri rischi di siccità.
(SOLAW) - Managing systems at risk. Food and Agriculture Organization of
the United Nations, Rome and Earthscan, London; http://www.fao.org/fileadmin/templates/solaw/images_graphs/SYSTEMS_AT_RISK_MAP.pdf (7/10/2013).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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STRESS IDRICO GLOBALE AL 2008
Fonte: WWF/The Nature Conservancy, Freshwater Ecoregions of the World (FEOW),
2008
RISCHI DI SICCITÀ A MEDIO-LUNGO TERMINE
Fonte: Maplecroft and CARE, Humanitarian Implications of Climate Change Mapping
emerging trends and risk hotspots, second edition November 2009
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
248
Ancora una volta si conferma la vulnerabilità a breve ed a
medio-lungo termine di larga parte dei produttori di
biocarburanti, Stati Uniti, Cina ed India in testa, seguiti subito
dopo da Brasile, Messico e da ampie porzioni del Sud-Est
asiatico93.
Questo combinato disposto, peraltro già considerato da diversi
Stati a rischio idrico, porta ad una più sottile ma non meno
potenzialmente rischiosa sinergia di rischi che va sotto il nome
di accaparramento di terre (land grabbing), ma che in realtà è
anche una significativa incetta di falde acquifere.
Qui le classifiche cambiano considerevolmente se si fotografa la
situazione all’anno corrente perché ci sono solo cinque grandi
acquirenti mondiali (nell’ordine: Corea del Sud, Cina, Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giappone), mentre i paesi che
hanno ceduto più ettari sono in ordine decrescente: Indonesia,
Madagascar, Filippine, Pakistan, Laos. È evidente che Pechino
da un lato è impegnata a compensare la sua forte perdita di
terre arabili, visto che ha perso 8,2 milioni di ettari dal 1997 al
2009, avvicinandosi pericolosamente alla linea di guardia di
120 milioni di ettari da conservare. Altrettanto chiaro è che
l’Indonesia e la sua popolazione vengono sottoposte a richieste
sempre più difficili da conciliare tra olio di palma, canna da
zucchero, mais, sfruttamento industriale del legname e
necessità alimentari (talvolta ridotte al 4,2% dell’intera area
sfruttabile).
93 Gli Stati Uniti devono inoltre tener conto che una buona parte degli stati
della costa orientale che non subiscono tensioni idrogeologiche potrebbero affrontarle nel giro di un decennio a causa dello sfruttamento incontrollato
degli scisti gassosi e petroliferi. È anche utile notare che l’Indonesia, che nel 2008 non subiva alcuna pressione sulle risorse idriche, rischia in alcune zone grandi siccità a medio e lungo termine.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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249
SITUAZIONE DELL’ACCAPARRAMENTO DI TERRE (2013)
Fonte: The Diplomat, Chinese Farms Go Global By Elleka Watts, May 31, 2013
Se però si considera diacronicamente il fenomeno, allora
l’intreccio fra paesi che fanno e subiscono incetta di terre e di
acque è molto più complesso, anche se i paesi che cedono in
affitto terre a lungo termine sono pochi e significativi.
IL FENOMENO GLOBALE DEL LAND GRABBING (2005-2009)
Fonte: Global land and water grabbing Maria Cristina Rullia, Antonio Savioria, and
Paolo D’Odorico, Edited by B. L. Turner, Arizona State University, Tempe, July 30,
2012
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
250
L’insieme di queste mappe più la seguente, portano ad
individuare una vulnerabilità sistemica dell’Indonesia nella
fornitura di olio di palma per la produzione di biodiesel da cui
l’UE dipende.
IL COMMERCIO GLOBALE DI BIOMASSE
Fonte: OECD/IEA, Technology Roadmap, Biofuels for transport 2011
Il problema dei margini d’efficienza
Il principale argomento, insieme a quello ecologico, impiegato a
favore dell’uso di biocarburanti è quello della sicurezza
energetica, definito dall’IEA (International Energy Agency)
come “la disponibilità ininterrotta di fonti di energia ad un
prezzo accessibile”. È una definizione che risale praticamente
alla nascita dell’IEA nel 1974 (subito dopo il primo shock
petrolifero, 1973) e che, se concettualmente è ancora
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
251
impiegabile, non può decisamente rivestire il senso che aveva
40 anni fa.
I prezzi sono cambiati, lo stato dell’economia globale è
decisamente in crisi e non promette di uscirne in modo
affidabile prima del 2018, le risorse energetiche facili da
sfruttare (bassi costi d’estrazione ed al consumo) sono in parte
esaurite, ma la struttura dei consumi a favore dei carburanti
fossili è rimasta sostanzialmente invariata, insieme a tendenze
all’aumento globale dei consumi, specialmente per i nuovi
attori economici, cioè Cina ed India.
Distinguendo per grandi periodi, sino al 1991 si pensava che la
sicurezza energetica fosse una risultante di un controllo
politico-militare più o meno diretto sui luoghi di produzione, poi
per tre lustri si è pensato che fosse una questione di portafoglio
e solo da un decennio si è capito che è necessaria una
diversificazione e, soprattutto un risparmio nei consumi. In
sostanza: il primo barile di petrolio che si controlla è quello che
si risparmia. Purtroppo, come si può vedere dal grafico
seguente, esistono forti sussidi al consumo che tanto
depauperano il bilancio degli stati (tanto produttori, quanto
consumatori), quanto distorcono i prezzi di mercato. Un prezzo
depurato dai sussidi sarebbe più sostenibile a livello globale e
sarebbe il più potente incentivo a risparmiare ed investire in
tecnologie alternative convenienti. Spostare linearmente sussidi
da un carburante all’altro non sarebbe la politica più
conveniente.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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252
IMPORTANZA DEI SUSSIDI NEI PAESI OCSE PER CARBURANTE
Fonte: OECD, Inventory of estimated budgetary support and tax expenditures for fossil
fuels 2013, 2012
A questa distorsione si aggiungerebbe quella dei sussidi
agricoli; ancora una volta è l’OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che segnala il fatto che
nel 2012 questi sussidi sono aumentati nei 47 paesi membri dal
15% al 17% degli introiti agricoli nel giro di un anno. I paesi
dell’UE, benché sotto assalto finanziario, continuano a pagare
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
253
un 19% di sussidi sugli introiti agricoli, contro il 7% degli USA
ed il 21% in Indonesia, 17% in Cina, 5% in Brasile e 3% del
Sudafrica. Tutti sussidi che finiscono invariabilmente ai grandi
produttori che già sono prosperi.
Vale la pena notare che i grandi produttori di biocarburante
hanno sussidi ad una cifra ed invece l’Indonesia conferma la
sua vulnerabilità anche con il più alto tasso di sussidi. L’olio di
palma è il biocarburante più costo-efficace tra tutti, ma è anche
quello più vulnerabile nell’attuale struttura produttiva globale.
In conclusione appare utile osservare che94:
- le proiezioni dei risparmi ottenibili dal 2010 al 2050 sono
dell’ordine del -1% rispetto ai carburanti convenzionali;
- le proiezioni della domanda di biocarburanti sino al 2050
richiedono l’impiego di una massa di 100 milioni di ettari di
terra coltivabile, più un equivalente ettaraggio per la
generazione di calore ed energia. Se, ed è un’ipoteca seria
sul futuro, si riuscirà a produrre energia e calore solo con la
biomassa di scarti e residui, resta sempre una domanda di
terre e d’acque imponente per un pianeta a demografia
crescente;
- in realtà, anche con investimenti adeguati, nel 2050 i
biocarburanti coprirebbero solo il 27% del fabbisogno di
carburanti da trasporto e si tratta di una stima ottimistica
perché altre fonti fanno intuire che, partendo da uno 0,8%
di consumi globali nel 2011 si arriverebbe ai ritmi attuali
intorno al 2-4% nei consumi globali ed USA seguendo una
curva sostanzialmente invariata.
94 Vedi OECD/IEA, Technology Roadmap Biofuels for Transport, 2012, Key
Findings, pp. 5-6 e REN21, Renewables 2013, Global Status Report (http://www.ren21.net/Portals/0/documents/Resources/GSR/2013/GSR2013_lowres.pdf).
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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Efficienza energetica per le Forze Armate Claudio Catalano – Senior analyst Ufficio studi di Finmeccanica S.p.A.
L’efficienza energetica è una delle nuove tendenze nel
procurement e logistica delle forze armate. Ciò deriva
principalmente da tre fattori economici emersi negli ultimi anni,
soprattutto a causa della crisi.
I bilanci della difesa sono stati ulteriormente ridotti spingendo
a risparmi al fine di conservare il livello di finanziamento delle
operazioni e del mantenimento dello strumento operativo.
Alla riduzione dei bilanci si aggiunge l’esposizione ai rischi di
aumento dei costi dovuti alla volatilità dei prezzi dei
combustibili fossili, che sono la principale fonte per le esigenze
energetiche operative. Secondo stime spesso citate, un
aumento di $1 per barile di petrolio incide con costi addizionali
per $ 130 milioni l’anno sul bilancio del Pentagono95.
C’è, infine, la green economy, gli investimenti in tecnologie
energetiche innovative, inclusi l’energia pulita e i carburanti
alternativi ai combustibili fossili, temi che la National Security
Strategy degli Stati Uniti del 2011 ha inserito tra gli obiettivi
strategici per creare posti di lavoro e far ripartire la crescita
economica96.
Gli Stati Uniti hanno 1,5 milioni di militari in servizio e 750.000
dipendenti civili del Pentagono, ovvero quanto gli abitanti di
Houston, 4° città americana o poco meno degli abitanti di
Roma, ma hanno un consumo molto maggiore rispetto a
queste città.
Il Pentagono conta più dell’1% del consumo di energia negli
Stati Uniti e il 90% del consumo delle agenzie federali.
Nel 2012, secondo stime parziali, i militari americani hanno
speso $ 20,4 milioni per il consumo energetico. Hanno
95 Colonel Gregory J. Lengyel “Department of Defense Energy Strategy Teaching an Old Dog New Tricks” The Brookings Institution, Washington DC,
agosto 2007. 96 National Security Strategy maggio 2010, White House, Washigton DC, p. 30.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
255
utilizzato 827mila miliardi di British Thermal Unit ed emesso 70
milioni di tonnellate di CO2, tanto quanto la Nigeria, che ha
160 milioni di abitanti.
Per questo il Pentagono è il primo singolo consumatore di
energia e di petrolio al mondo e solo 35 paesi al mondo
consumano più petrolio. Ciò soprattutto a causa dell’uso
energetico operativo degli equipaggiamenti che è pari a ¾ del
consumo totale.
Il petrolio equivale all’80% del consumo energetico militare e al
100% dell’uso operativo, soprattutto da parte della US Air
Force (USAF), che consuma la metà del petrolio totale, perché
il propellente aeronautico assorbe quasi il 60% del consumo
totale. Tuttavia il consumo di petrolio è sceso da 400.000 barili
del 2004 ai 350.000 del 2012.
Secondo stime dell’Agenzia Europea per la Difesa (EDA), le
spese annuali complessive per l’energia elettrica delle Forze
armate degli Stati membri dell’Unione Europea (UE) sono pari
ad un totale stimato di oltre 1 miliardo di euro, mentre la
domanda di energia elettrica è pari a quella di uno Stato
Membro di medie dimensioni. Questo rende le Forze Armate il
principale consumatore pubblico di energia nell’UE.
Per le Forze Armate degli Stati Uniti e della UE l’efficienza
energetica militare cerca di soddisfare due obiettivi: migliorare
la sicurezza dell'approvvigionamento, soprattutto petrolio o
attraverso la diversificazione e i carburanti alternativi; e ridurre
l’uso energetico operativo, anche in teatro.
La dottrina degli Stati Uniti e dell’Unione Europea
La Quadriennial Defense Review (QDR) pubblicata dal
Pentagono (DoD) nel 2010 è forse il primo documento
strategico ad affermare l’importanza dell’efficienza energetica
nel settore difesa.
La QDR ritiene che il cambiamento climatico sia strettamente
legato alla sicurezza energetica e alla stabilità economica.
La sicurezza energetica significa avere l’accesso garantito a
fonti di energia e la capacità di proteggere e consegnare
energia sufficiente a svolgere i compiti operativi. Le
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
256
implicazioni geostrategiche e operative dell’energia devono
essere prese in considerazione nell’ambito della pianificazione
della forza, della definizione dei requisiti e del processo di
acquisizione. L’efficienza energetica può divenire un
moltiplicatore della forza perché accresce il raggio e
l’autonomia delle forze in teatro e serve a ridurre il numero di
forze combattenti destinate a proteggere le fonti di
approvvigionamento energetico, che sono vulnerabili sia agli
attacchi asimmetrici che alle interruzioni di fornitura97.
Il Pentagono, come qualsiasi altro ente pubblico, si è
impegnato nel risparmio energetico, attraverso il rispetto dei
parametri chiave di performance e rispettando i prezzi stabiliti
per i carburanti dalla legge di autorizzazione al bilancio della
difesa. Inoltre, investe nelle energie alternative per migliorare
il consumo energetico operativo e ridurre le emissioni
inquinanti, oltre a proteggere il bilancio dalle fluttuazioni dei
prezzi dei carburanti.
Nel 2010 sono state prese diverse iniziative, Sharon E. Burke è
stata nominata Assistant Secretary of Operational Energy Plans
and Programs della difesa. In luglio, il Pentagono ha firmato
con il Dipartimento dell’Energia un Memorandum of
Understanding per la cooperazione e gli investimenti nelle
tecnologie per l’efficienza energetica e l’energie rinnovabili.
L’Esercito ha avviato l’iniziativa Net Zero Energy che mira a
produrre tanta energia quanta ne consuma, con un progetto
pilota in 17 basi militari.
Più di recente il Pentagono ha pubblicato una “Operational
Energy Strategy”.
Entro il 2025, le forze armate americane intendono produrre
tramite energie rinnovabili 3 gigawatt di elettricità, ovvero ¼ di
tutto il consumo energetico, che è pari al consumo di 750.000
famiglie americane e la produzione elettrica di 3 centrali
nucleari98.
L’UE ha preso conoscenza della questione attraverso il “non
paper” pubblicato nel giugno 2012 dalla Task Force per il
97 Quadriennial Defense Review Report, febbraio 2010, DoD, p.87. 98Ucilia Wang “U.S. Military's Big Plan For Renewable Energy Projects” in Forbes 6 agosto 2012.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
257
mercato e l’industria della difesa. La Task Force si chiede quale
ruolo possano rivestire nel futuro le politiche di efficienza
energetica nel settore difesa, con particolare riguardo
all’efficienza nei combustibili e le energie rinnovabili. Le
tecnologie green possono diventare driver per l’innovazione con
nuovi motori o con il risparmio sui costi, come ad esempio con
l’iniziativa GO GREEN dell’EDA. Una questione fondamentale è
se legare al settore difesa le politiche energetiche dell’UE per
ridurre il consumo di energia e contribuire all’obiettivo
20/20/2099.
A quest’ultima domanda risponde affermativamente la
comunicazione della Commissione sull’industria della difesa
europea COM (2013) 542 finale del 24 luglio 2013.
La comunicazione afferma che l'energia è una questione chiave
per l'UE e il settore difesa è tradizionalmente il principale
consumatore di energia, il cui costo rappresenta una buona
parte del bilancio della difesa e incide sulle spese per le
operazioni militari. Con un totale stimato di 200 milioni di metri
quadrati di edifici e 1% della superficie totale delle terre
emerse in Europa, le forze armate sono anche il più grande
proprietario di terre pubbliche e infrastrutture nell’UE. Le forze
armate potrebbero sfruttare questo potenziale per ridurre il
loro fabbisogno energetico e coprire una parte considerevole di
queste esigenze mediante fonti autonome ed a basso livello di
emissioni. Riducendo allo stesso tempo, i costi e la dipendenza
e contribuendo a raggiungere gli obiettivi energetici dell’UE.
La Commissione predispone alcune azioni per applicare la
comunicazione.
Tra queste lo sviluppo del piano strategico per le tecnologie
energetiche (SET) per promuovere le tecnologie energetiche
innovative ed a basso tenore di carbonio che hanno una
migliore efficienza e sono più sostenibili rispetto alle tecnologie
energetiche esistenti. Le forze armate possono usufruire delle
tecnologie energetiche emergenti del SET ed essere i primi a
sfruttarle.
99 Task Force Defence Industry and Markets non paper, giugno 2012.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
258
Inoltre, entro la metà del 2014, la Commissione istituirà un
meccanismo di consultazione specifica con gli esperti della
difesa per concentrarsi su efficienza energetica - soprattutto
nelle costruzioni - sulle energie rinnovabili, combustibili
alternativi e infrastrutture energetiche, compreso l’uso di
tecnologie smart grid. Perciò esaminerà l’applicabilità della
politica energetica e della legislazione esistente al settore
difesa e cercherà di identificare altri possibili obiettivi per un
concetto energetico globale per le forze armate. A questo scopo
potrebbe anche pubblicare un manuale sulle energie rinnovabili
e l’efficienza energetica focalizzandosi sull’applicazione della
legislazione esistente e dell’uso di tecnologie innovative o di
strumenti finanziari avanzati.
La Commissione si concentrerà sull'applicazione della direttiva
2012/27/UE nel settore della difesa e sosterrà il progetto
dimostrativo delle forze armate europee GO GREEN
espandendo il progetto sul fotovoltaico ad altre fonti di energia
rinnovabili come l'eolico , biomassa e idroelettrico 100.
La presidenza lituana dell’UE, che prepara il Consiglio Europeo
di dicembre 2013 ha inserito tra i suoi obiettivi la sicurezza
energetica, in particolare una strategia di efficienza energetica
globale per le forze armate europee, promuovendo la green
economy e l’uso più esteso delle risorse rinnovabili per scopi
militari, oltre all’utilizzo di risorse rinnovabili per diminuire
l'impatto negativo sull'ambiente. L’interesse della Lituania
all’energia in campo militare è legato al Centro di eccellenza
NATO per la sicurezza energetica di Vilnius inaugurato nel
settembre 2013.
Il centro di Vilnius collabora con il programma NATO Science
for Peace and Security per lo Smart Energy Team (SENT)
creato dalla NATO alla fine del 2012 per l’efficienza energetica
militare.
100 Commissione comunicazione “Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente”, COM (2013) 542 finale, 24 luglio 2013, p.14.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
259
Le soluzioni tecnologiche
I progetti prioritari americani per l’efficienza energetica militare
riguardano principalmente:
a) la produzione e lo stoccaggio dell’elettricità per le basi
militari con microgrid e la sostituzione dei generatori elettrici a
combustibili fossili con l’energia solare, eolica o geotermica;
b) la propulsione delle piattaforme con carburanti alternativi,
inclusi i biocarburanti o la propulsione ibrida, a idrogeno,
elettricità o a gas compresso;
c) batterie a lunga autonomia e soprattutto più leggere e
trasportabili a livello individuale per ridurre il peso sui soldati in
pattuglia.
La sicurezza energetica delle basi militari è uno degli obiettivi
prioritari degli Stati Uniti, per migliorare l’affidabilità in
missione, perché le operazioni all’estero dipendono dalla
logistica delle basi negli Stati Uniti. Alcune basi statunitensi già
adottano soluzioni ecosostenibili o energie alternative per
limitare l’impatto sull’ambiente come richiesto dalla legislazione
in materia. I laboratori militari sviluppano tecnologie di uso o
conservazione di energia che sono direttamente utilizzate dai
militari americani101.
Circa 16 milioni di acri di proprietà del Pentagono saranno
dedicati a progetto di energie rinnovabili come la solare, eolica
e geotermica.
Per la sicurezza energetica, dato che le basi dipendono da fonti
di energia esterna, delle microgrid permetteranno di produrre
e stoccare energia, attraverso batterie o altre forme di
conservazione di energia, rimanendo collegate alla rete
elettrica esterna in caso di bisogno102.
Le basi navali hanno il tipo più avanzato di microgrid, lo
“Spyder”, mentre l’USAF è vicina a raggiungere il suo obiettivo
di un gigawatt entro il 2016 e nel 2025 il 25% della sua
elettricità deriverà da energie rinnovabili.
101 QDR Pp. 84-87. 102 Wang op cit..
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
260
Per la propulsione alternativa una questione fondamentale è
legata al ciclo di vita dei prodotti, perché le piattaforme legacy,
già in servizio da tempo, hanno ancora una lunga vita
operativa davanti, mentre si iniziano ad acquisire nuove
piattaforme che rimarranno in servizio per 20-40 anni. Per cui il
Pentagono deve utilizzare carburanti alternativi che siano
chimicamente compatibili con i sistemi di propulsione in
servizio o in progettazione103.
La US Navy è sempre stata all’avanguardia nelle tecnologie di
propulsione dal petrolio al nucleare e sta iniziando la
transizione verso navi interamente elettriche e aerei a
carburanti alternativi.
La USS Makin Island è la prima nave militare di superficie a
propulsione elettrica e nel 2009 è stato testato un motore di un
caccia F/A-18 Hornet con un biocombustibile104.
La futura classe di cacciatorpediniere USS Zumwalt DDG 1000,
operativa nel 2016, sarà interamente elettrica e ad energia
solare, il suo generatore elettrico a gas turbina da 78
megawatt – che può utilizzare biogas - distribuirà energia alla
propulsione, alle armi e agli apparati. Nell’estate 2012, in
un’esercitazione nel Pacifico un gruppo portaerei, inclusi gli
aerei imbarcati, ha utilizzato biocombustibili per metà del
carburante. La US Navy, infatti, mira a realizzare un gruppo
portaerei “green” utilizzando biocombustibili e energia nucleare
entro il 2016. Perciò, la Marina australiana ha deciso di
collaborare con la US Navy sui biocombustibili e l’Esercito
britannico con i Marines 105 . Il presidente Obama ha
recentemente richiesto alla US Navy a al Dipartimento
dell’Energia di collaborare con l’industria per creare
biocombustibili avanzati.
La ricerca di carburanti alternativi è la base della “green
aviation”, l’USAF – attraverso l’Air Force Research Laboratory e
103 Will Rogers “The Operational and Strategic Rationale Behind the U.S.
Military’s Energy Efforts” 7 giugno 2012 Center For New American Security, Washington DC. 104 QDR p.87. 105Siddhartha M. Velandy “US Military Driving Clean Energy Innovation” in The Diplomat, 21 giugno 2013.
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261
l’Alternative Fuels Certification Division – sta sperimentando i
carburanti sintetici e biocarburanti.
Nel gennaio 2012, ha volato nella base aerea di Buckley un jet
propulso a biocarburante. Nel giugno 2012 ha volato un A-10
Thunderbolt II propulso da una miscela 50-50 di propellente
tradizionale JP-8 e Alcohol-to-Jet, che è un cherosene derivato
dall’isobutanolo, che data la struttura chimica simile può essere
utilizzato indifferentemente al posto del JP-8.
Nel 2016, l’USAF prevede di acquistare almeno il 50% dei
propellenti aeronautici con un carburante alternativo più
ecologico del combustibile fossile. Così gli standard dell’USAF
trascinano anche il settore dell’aeronautica commerciale.
Airbus sta progettando un “aereo verde” per le compagnie
aeree e un progetto di EADS sulle nanotecnologie per
modificare la composizione dei materiali dei serbatoi di aerei e
auto in modo da poterli utilizzare con idrogeno allo stato solido
prevede di collaudare un UAV propulso da fuel cells a idrogeno
allo stato solido nel 2014.
L’Esercito degli Stati Uniti ha deciso con la QDR di trasformare
in veicoli a bassa emissione inquinante tutti i suoi veicoli non
tattici negli Stati Uniti, tra cui nel 2010 c’erano già 500 veicoli a
propulsione ibrida e 4.000 veicoli elettrici.
Dal 2010, c’è un programma pilota in sei basi negli Stati Uniti
di “vehicle-to-grid” che deriva dall’idea che le auto elettriche
sono utilizzate solo per il 3,5% della vita operativa, quindi
quando sono parcheggiate possono pluggarsi ad una microgrid
e restituire elettricità alla rete.
Molte delle tecnologie dei microgrid o delle piattaforme a
propulsione ibrida o elettrica o a biocombustibili possono
essere utilizzate in campo civile. Ad esempio, lo U.S. Army
Research, Development and Engineering Command ha scoperto
che l’uso civile di tecnologie militari trova molte altre
applicazioni alternative alle tecnologie.
La ricerca e sviluppo e le tecnologie utilizzate in campo militare
per creare generatori più efficienti, batterie più a lunga durata,
materiali più leggeri e fonti di energia più facilmente
trasportabili, creano degli spill-over tecnologici che migliorano
le tecnologie ad uso civile.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
262
Le batterie o comunque i sistemi portatili o aviotrasportati di
immagazzinamento dell’energia sono una delle grandi questioni
da risolvere per l’efficienza energetica. Ad esempio per il
programma “soldato futuro” che utilizza una serie di sistemi di
comunicazione e di puntamento per arma individuale, il
problema è rendere le batterie trasportabili dal soldato,
renderle a lunga durata o facilmente ricaricabili, per limitare gli
scarti e i rifiuti di batterie e il loro smaltimento.
L’Esercito statunitense ad esempio ha un programma per uno
zaino generatore di corrente: Rucksack Enhanced Portable
Power System (REPPS).
I Marines stanno testando il VPM-402 (Vest Power Management
System) per il “Marine Austere Patrolling System” (MAPS) che
ha un pannello ad energia solare più performante del 22% dei
normali pannelli e funziona come un microgrid portatile che
può essere “pluggato” e ricaricato.
I Marines sono ben consci della necessità di limitare al minimo i
pesi da trasportare a spalla sul campo di battaglia, perché sono
di solito impiegati in squadre di fanteria appiedata per pattuglie
di 96 ore, con un fardello di 27 kg a persona, di cui 9kg
costituiti da batterie per radio, GPS, visori notturni e altri
apparati.
In Afghanistan, utilizzando pannelli solari e altre energie
rinnovabili, i Marines hanno diminuito di più di 300 kg il carico
di batterie di una pattuglia appiedata, che ha operato per 3
settimane senza rifornimento di batterie.
L’efficienza energetica in Afghanistan
La logistica associata al trasporto di energia in zona di
operazioni fuori area costituisce un eccellente banco di prova
per sviluppare nuove soluzioni.
Per le basi si è cercato di ridurre i combustibili fossili dei
generatori di elettricità attraverso pannelli solari montati su
tende e zaini o soluzioni più banali come sigillare le tende con
isolanti termici ha permesso di risparmiare $ 20 miliardi
all’anno di elettricità per l’aria condizionata.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
263
Il Rapid Equipping Force dell’Esercito aveva un programma
“Energy to the Edge” per rifornire con tecnologie ibride o
rinnovabili direttamente le Forward Operating Base (FOB) o gli
avamposti.
A Camp Sabalu-Harrison è stato installato un microgrid da 1
megawatt che ha ridotto il consumo di carburante del 17% e i
costi del 67%.
In una audizione alla Commissione House Armed Services del
29 marzo 2012, Katherine Hammack, Assistant Secretary of
the Army for Installations, Energy and Environment ha
affermato che il genio dell’Esercito ha installato microgrid nelle
basi militari in Afghanistan creando un risparmio di 50 milioni
di galloni all’anno, ovvero 20.000 autocarri in meno nei
convogli.
Rispetto alla seconda guerra mondiale il consumo di carburante
per soldato è aumentato di 20 volte e in Afghanistan gli
americani consumano 45 milioni di galloni di carburanti al mese,
ovvero quanto un anno di risparmio dichiarato dalla Hammack.
I marines per dare il buon esempio, investendo in tecnologie
più efficienti hanno risparmiato 5,4 milioni di galloni di gas
riducendo di 208 autocarri i convogli106. Secondo le statistiche
un Marine è ucciso o ferito ogni 50 convogli107.
Un risparmio di carburante significa meno convogli che
costituiscono uno dei compiti più rischiosi in Afghanistan per il
rischio imboscata. Nel 2011, secondo lo U.S. Transportation
Command ci sono stati 1000 attacchi ai convogli di rifornimento
di carburante108.
Secondo uno studio del 2009 del Environmental Policy Institute
dell’Esercito, un soldato dell’Esercito è ferito o ucciso ogni 24
convogli di rifornimento di carburante in Afghanistan. Tra il
2003 e il 2007, più di 3.000 soldati americani e contractor sono
stati uccisi o feriti nei convogli di rifornimento di carburante o
d’acqua in Iraq e Afghanistan.
106 Velandy, op.cit.. 107 Keith Johnson “Military Aims for Energy Efficiency” in the Wall Street
Journal, 9 marzo 2012. 108 Lt Col. Alan Samuels “Seeking Energy-Efficient Solutions for Military Operations” Blog Casa Bianca, 19 aprile 2012.
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Oltre alle perdite di vite umane, il carburante in zona di
operazioni ha costi molto più elevati, rispetto al prezzo iniziale
di $ 2 a gallone. Il trasporto via aerea, autocarro o elicottero
può portare il prezzo finale fino a $ 400 a gallone. Tuttavia
secondo il Marine Energy Assessment Team, (MEAT) nel 2009
dai $ 2,19 a gallone iniziali, si raggiungevano i $ 6,39 a gallone
per l’uso operativo nelle FOB, mentre il massimo era di $ 11,7
per rifornire le unità negli avamposti più avanzati e isolati109.
Conclusioni
Alla luce di queste considerazioni, l’efficienza energetica
rivestirà sempre maggiore importanza nella pianificazione
logistica e nella progettazione di nuove piattaforme, oltre
all’uso di energie rinnovabili nelle infrastrutture militari al pari
di quelle civili.
Chiaramente piattaforme militari che sono più performanti dal
punto di vista dei consumi rappresentano un risparmio di costi
nel bilancio, che possono essere reinvestiti in altre voci più
importanti per il mantenimento dello strumento militare.
Se fino a poco tempo fa, in base al principio di ridondanza, i
consumi non erano una priorità rispetto alla capacità operativa,
il basso consumo di carburanti inizierà ad essere inserito nei
requisiti operativi delle piattaforme. Se ad esempio uno dei
requisiti fondamentali per una jeep militare era di poter
continuare a marciare con quattro gomme a terra, ora il
requisito di fare 25 km con un litro o la propulsione ibrida
potrebbero diventare altrettanto importanti. Sono finiti i tempi
della seconda guerra mondiale delle “Sahariane” con le fiancate
ingombre di taniche di carburante. Nel futuro i veicoli dovranno
attraversare il deserto con sole due taniche o con una batteria.
109 Rogers op. cit.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
265
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La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
266
Pentagono: Sicurezza e risparmio energetico Lucio Martino – Ricercatore Ce.Mi.S.S.
Negli Stati Uniti, come in gran parte del resto del mondo, la
crisi energetica è in buona parte il prodotto del concorrere di
due particolari dinamiche: il riscaldamento globale e
l’autosufficienza energetica. Il problema dell’autosufficienza
non è conseguente alla scarsità delle risorse energetiche
perché quest’ultime sono in realtà più che abbondanti, quanto
al divario che intercorre tra la produzione nazionale di raffinati
e la domanda interna di carburanti. Il problema del
riscaldamento globale sembra riconducibile dall’impennata
nell’utilizzo del carbone nei paesi di nuova industrializzazione.
La mancanza di carburanti raffinati ha costretto una non meno
importante impennata delle importazioni, e ha causato un
pericoloso squilibrio nella bilancia commerciale e un senso
d’incertezza che non ha risparmiato neppure il governo federale
statunitense che, da ultimo, si è impegnato nella valutazione
della fattibilità di misure volte a ridurre i consumi energetici di
quello che rimane il più grande dispositivo militare del mondo.
La cosa non può certo sorprendere. Il sistema militare
americano è oggi più che mai dipendente dai vari tipi di
combustibili fossili necessari per il funzionamento di un grande
numero di unità navali e di un’ancora più grande numero di
mezzi aerei e terrestri oltre che, naturalmente, per
l’alimentazione di un non meno importante numero
d’infrastrutture fisse.
La capacità degli Stati Uniti di proiettare la propria potenza
militare in qualsiasi punto del globo richiede quantità incredibili
d’idrocarburi e la fonte primaria di questi idrocarburi è un
mercato economicamente e politicamente instabile. Il prezzo
pagato dagli Stati Uniti per questo stato di cose è molto più
alto di quanto s’immagina, perché non include solo il costo del
carburante, ma anche quello di una logistica che impiega
decine di migliaia di persone, richiede innumerevoli impianti di
stoccaggio e schiera diversi mezzi la cui missione è quasi
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
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esclusivamente quella di fornire ai sistemi d’arma statunitensi il
carburante necessario per portare a termine la loro missione. Il
combustibile ha quindi un costo aggiuntivo quasi impossibile da
quantificare, perché incide direttamente sull’intera capacità di
combattimento di una moderna forza armata. In questo quadro,
quattro priorità fondamentali dovrebbero teoricamente ispirare
l’azione del dipartimento della Difesa. La prima è una tendenza
alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili in tutte le loro
forme; la seconda è la conversione dei sistemi d’arma propulsi
a idrocarburi ad altre forme di propulsione; la terza è la
sostituzione del petrolio con altri tipi di carburanti; la quarta è
l’inserimento dei consumi d’energia tra le variabili riguardanti
l’opportunità di sviluppare un dato sistema d’arma.
Almeno per il momento, il dipartimento della Difesa sembra
intravedere la possibilità di ridurre i propri consumi soprattutto
nello sviluppo di tecnologie a più alta efficienza energetica. Un
ruolo particolare sembra destinato a svolgerlo la U.S. Air Force.
Forti investimenti sono previsti per migliorare l’efficienza
aerodinamica dei presenti e futuri sistemi d’arma, mentre nuovi
tipi di propulsori sembrano già in grado di abbattere i grandi
consumi di carburante dei moderni aerei a reazione quasi di un
terzo, cosa questa di non poca importanza per un sistema
militare che desidera mantenere alta la propria prontezza
operativa. Indipendentemente da qualsiasi sistemazione
geografica, infatti, tutti i mezzi a disposizione delle Forze
armate statunitensi devono essere mantenuti in uno stato di
elevata prontezza, in modo da garantirne il corretto impiego e
assicurare un adeguato livello di addestramento degli
utilizzatori, cosa questa di straordinaria rilevanza per un
sistema militare interamente composto di professionisti. D’altra
parte, equipaggiare con un nuovo motore un velivolo è un
qualcosa di molto costoso che va poi a incidere direttamente su
tutti i principali sistemi di bordo, per non parlare dell’insieme
delle procedure di supporto e di formazione degli equipaggi.
Altri approcci per aumentare l’efficienza dei velivoli oggi
esistenti e incrementare il risparmio di carburante sono stati
già presi in considerazione e si sono spesso tradotti
nell’adozione di particolari accorgimenti aerodinamici, ma
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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nell’insieme non sembrano in grado di abbassare sensibilmente
i presenti livelli di consumo.
Ovviamente, anche la U.S. Army intravede come
apparentemente vantaggiosa l’adozione di una nuova politica
energetica. Per far fronte a consumi destinati a raddoppiare
molto rapidamente in tempo di crisi, l’enfasi è in questo caso
posta nell’adozione di fonti d’energia rinnovabili e nello sviluppo
di fonti d’energia alternative. Il fattore più importante nella
riduzione dei consumi di carburante nei veicoli da
combattimento è il peso: mezzi più pesanti semplicemente
richiedono più energia. La U.S. Army ha riconosciuto il
potenziale guadagno di efficienza energetica associato a
materiali e strutture leggeri e sta investendo nella ricerca di
nuove tecnologie in grado di abbattere i consumi a parità di
prestazioni tecnico-operative. Con tali soluzioni si cerca anche
di contenere gli oneri di un’organizzazione logistica che
coinvolge circa ventimila uomini delle forze attive a quasi altri
quarantamila della riserva, per un costo annuo non inferiore ai
tre miliardi di dollari. Inoltre, le unità della U.S. Army
impegnate nell’Operation Iraqi Freedom si sono ben presto
ritrovate a dover considerare i propri consumi di carburante
come il principale fattore di limitazione delle proprie capacità.
Oltre il cinquanta per cento dell’intero carico logistico del
dipartimento della Difesa e almeno il settanta per cento di tutto
il materiale necessario per posizionare sul campo di battaglia le
moderne unità da combattimento è, infatti, rappresentato da
questo o dal quel tipo di carburante.
Da parte sua, anche la U.S. Navy sembra intenzionata a ridurre
la propria dipendenza dalle più tradizionali fonti d’energia. A
questo proposito, quest’ultima prevede in futuro di coprire
attraverso nuove fonti di energia almeno metà del proprio
fabbisogno. Come per i velivoli da combattimento della U.S. Air
Force, anche le piattaforme marittime della U.S. Navy sono
oggi molto più efficienti nei propri consumi d’energia di quanto
non lo fossero in passato. Nel corso degli ultimi anni, la U.S.
Navy ha registrato un aumento del quindici per cento in termini
di efficienza nei propri consumi di carburante e non ha mai
abbandonato i programmi di studio volti a convertire al
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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nucleare le unità che utilizzano combustibili fossili. Ovviamente,
come nel caso della ri-motorizzazione dei velivoli della U.S. Air
Force, cambiare propulsione non è davvero un qualcosa di
facile, necessitando di un'ampia opera di riprogettazione
strutturale e di formazione professionale.
Per quanto il dipartimento della Difesa sia responsabile di oltre
i tre quarti dei consumi energetici dell’intero stato federale
statunitense e la tentazione di ridurne i consumi, in
quest’epoca di restrizioni di bilancio, sembra quasi irresistibile
la strada per farlo davvero, senza per questo ridurne le
effettive capacità militari, è ancora molto lunga e incerta, tanto
più che il futuro degli Stati Uniti sembra molto più ricco
d’energia, di quanto generalmente ritenuto. Inoltre, anche la
particolare posizione geografica degli Stati Uniti ha svolto, e
continua a svolgere, un ruolo notevole tanto nell’aumentare
l’intero insieme dei consumi d’energia del sistema militare
nazionale quanto nell’elaborazione di misure volte a porli sotto
controllo. Isolati da due grandi oceani e confinanti con il
Canada e il Messico, due dei paesi meno armati della storia, gli
Stati Uniti si sono a più riprese ritrovati a dover riposizionare la
maggior parte del proprio dispositivo militare in località anche
molto lontane dal continente nord americano. Neanche la fine
della Guerra Fredda ha modificato un atteggiamento strategico
che dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale si
contraddistingue per un continuo flusso di uomini e mezzi da e
per il Medio Oriente, l’Europa occidentale e l’Asia del Pacifico.
Ciononostante, o forse anche per questo, il consumo di energia
da parte del sistema militare statunitense sembra essersi
caratterizzato per un tasso relativamente alto di efficienza.
Solo per fare un esempio, negli anni immediatamente
successivi alla fine della Guerra Fredda, quindi prima
dell’impennata conseguente al lancio della Global War on Terror,
a fronte di un bilancio della Difesa pari a circa il quattro per
cento del prodotto interno lordo, il fabbisogno d’energia del
dipartimento della Difesa pesava per meno del due per cento
dell’intero consumo d’energia nazionale. Le Forze armate
statunitensi erano poi da sempre abituate ad approvvigionarsi
in modo anche relativamente casuale del carburante loro
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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necessario. La U.S. Navy e la U.S. Air Force si sono spesso
rivolte direttamente al libero mercato per i propri rifornimenti
di carburante e li hanno pagati attraverso delle semplici carte
di credito. Nell’insieme, l’intero dipartimento della Difesa non si
è preoccupato di pianificare e contenere i propri consumi
energetici fino ai primi anni Settanta quando, per ovviare a un
regime di consumi sempre crescenti, gli Stati Uniti si
ritrovarono a importare il sessanta per cento del proprio
fabbisogno di greggio da paesi come il Canada, il Messico e il
Venezuela.
In valori percentuali, l’ammontare di greggio importato dagli
Stati Uniti è oggi molto più basso di allora. Nei prossimi anni,
nuove tecnologie estrattive, quali il fracking, e un maggiore
sfruttamento delle scisti bituminose, dovrebbero riportare gli
Stati Uniti nella condizione di paese esportatore di energia,
alimentando un ottimismo sconosciuto dallo scoppio della
guerra arabo-israeliana del 1973 e dalla rivoluzione iraniana
del 1979. Il peso di questi due avvenimenti nella persistenza di
una problematica percezione degli approvvigionamenti
d’energia è stato, e continua a essere, particolarmente
rilevante. Questi due particolari sviluppi internazionali hanno
per la prima volta nella storia degli Stati Uniti messo in dubbio
tanto la disponibilità dei rifornimenti di greggio quanto la
stabilità del prezzo dello stesso, cosa questa certamente
importante per gli automobilisti americani e quindi per
l’opinione pubblica nel suo insieme, ma non così
particolarmente importante per il dipartimento della Difesa e
per il resto del paese, posto che a quel tempo solo il cinque per
cento delle importazioni di greggio era utilizzato al fine di
produrre energia.
Sebbene è dal 1949 che gli Stati Uniti hanno quasi
costantemente schierato nel golfo Persico tre cacciatorpediniere
e una nave comando, fu solo con l'avvento degli anni Ottanta
che, insieme agli Alleati, presero effettivamente a pattugliarne
le acque. A spingere in questa direzione, dopo molte esitazioni,
fu la lunga guerra che per otto anni vide confrontarsi l'Iraq e
l'Iran. Quanto già più che evidente attraverso la guerra che ha
contrapposto per otto anni gli iracheni agli iraniani lo divenne
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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in misura ancora maggiore nell'estate del 1990, all'indomani
dell'invasione irachena del Kuwait: gli Stati Uniti erano
fortemente interessati alla difesa dell'Arabia Saudita, il maggior
esportatore di greggio al mondo.
Tuttavia, il sistema militare statunitense ha iniziato a percepire
l'esigenza di affrontare il problema costituito dai propri consumi
di energia solo in occasione dell'intervento in Afghanistan
dell'autunno del 2001 e poi, in misura ancora maggiore,
dall'intervento in Iraq della primavera del 2003. Forse è per
questo che non è mai stata davvero realizzata una complessiva
strategia di gestione dei bisogni d’energia del dipartimento
della Difesa e non è stata mai creata una singola autorità
centrale incaricata della sua gestione. In ogni caso, nel giro di
pochi mesi, il dipartimento della Difesa si è ritrovato a dover
velocemente sostenere dei flussi di rifornimento caratterizzati
per una dimensione priva di precedenti. Con lo svilupparsi delle
operazioni militari in questi due paesi, l'intero governo federale
si rese ben presto conto che un gallone di benzina, del costo di
tre o quattro dollari negli Stati Uniti, quando arrivava sul
campo di battaglia iracheno o afghano finiva con il costare
anche cento volte tanto.
Questo stato di cose ebbe l'effetto di catalizzare una condizione
di profonda preoccupazione sul presente e sul futuro degli
approvvigionamenti energetici e sulla loro gestione. Le diverse
forze armate da cui è composto il sistema militare statunitense
dal 2005 iniziarono a interrogarsi sui modi con i quali non solo
ridurre il consumo di combustibili liquidi ma anche utilizzare
carburanti alternativi quali, solo per fare un esempio l'etanolo.
A spingere in particolare la U.S. Navy e la U.S. Air Force alla
sperimentazione di biocarburanti ancora oggi estremamente
inefficienti ed estremamente costosi, un ruolo decisivo l'ha
giocato quindi il desiderio di emancipare gli Stati Uniti da una
dipendenza dal greggio mediorientale che val sempre la pena di
sottolineare è più percepita che reale, posto che già dalla fine
degli anni Novanta la stragrande maggioranza delle
esportazioni di greggio mediorientale sono dirette in Cina,
Corea del Sud, Giappone e Indonesia.
La sicurezza energetica nel XXI secolo: prospettive dall’Italia e dal Mondo
Informazioni della Difesa Supplemento al n. 6/2013
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Con la fine dell'impegno militare statunitense in Iraq e
l'approssimarsi del drastico ridimensionamento di truppe
previsto per il 2014 in Afghanistan, l'interesse del dipartimento
della Difesa verso le nuove fonti d'energia sembra radicalmente
scemato. L'attenzione sembra in prospettiva soprattutto
focalizzarsi sull'adozione di fonti alternative di energia
destinate ad alimentare vecchie e nuove infrastrutture fisse,
tanto all'interno quanto all'esterno del territorio nazionale, più
che sullo sviluppo di nuove tipologie di carburanti in grado di
alimentare e sostenere i propri mezzi da trasporto e da
combattimento. Del resto, tali infrastrutture incidono per oltre
un quarto dell'intero fabbisogno energetico del dipartimento
della Difesa e, secondo una particolare scuola di pensiero,
potrebbero rappresentare uno degli obiettivi prioritari di un, per
il vero molto improbabile, attacco cibernetico volto a disturbare
la distribuzione di energia elettrica attraverso l'intero paese. A
questo proposito sembra in questo periodo in fase di studio lo
sviluppo di sistemi di produzione d’energia completamente
contenuti all'interno delle infrastrutture che dovrebbero
alimentare, cosa questa almeno concettualmente possibile
facendo ricorso a impianti a energia solare, eolica e geotermica.
L'idea di sviluppare delle mini centrali nucleari mobili, per
quanto continui periodicamente a caratterizzare il dibattito sul
futuro rapporto con le fonti d'energia del dipartimento della
Difesa sembra ancora lontano dal coagulare quel livello minimo
di consenso necessario per iniziare a pianificarne
effettivamente la realizzazione.
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