Deportazioni Dall'Italia

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7/29/2019 Deportazioni Dall'Italia http://slidepdf.com/reader/full/deportazioni-dallitalia 1/14 Gli internati militari i n ch n dch cngn d’8 fn - d, ch nn d c n d dch, c d’nccà d c d gn n’fficc n, qnd f d Whch - n n i n nc d. in 700000 uomini (cn c, , - ngn ù : dc Ghd sch, d , n ch 1 f 1944 f nn 809000 d n), cdd n n - dc nch 200 f g gn, d’c d’nc. i gn fn n gn nn d n c d n, n c gà - nn condizioni di detenzione molto dura, c d cn d - . in g, – cnd ’fficc n d n d gn – fn «c- c n c d», cè n c , cnd n Gn n pn. p nd gn, dch n d c n Gc n ig ch cng c, n i. in n d , ffic n dn c- dn; , nn n d - , finn ò n pn, n n d 28000, rch cndn c- ch n gg. i dodici lager polacchi assegnati agli ufficiali italiani , n, n gà dch ng, c d cn- dn gnch, fn cnq , ccg traditori badogliani . i d fn d, gg - , n c, dnn Stammlager (Stalag ), ccn d q d d n- n c. inf, , g d f nn fc, n - ’n nd n c dn n - g . scnd Convenzione di Gi- nevra d 1929, gn d g nn - d n’nd c d p- d c n c. p gg q c, d- n cn nch n G- n d Cc r innn, H nò n c d c, ch - dfcò condizione giuridica degli ex solda- ti del regio esercito. «s dn d Füh – c gn K dn 20 Le deportazioni dall’Italia Prigionieri dell’esercito italiano, caduti in mano ai tedeschi, attendono in fila il treno che li porterà in un campo di prigionia in Germania, fotografia del 1944.      i      p      e      r      t      e      s      t      o 1      I      P      E      R      T      E       S      T       O      A        L     e        d     e     p     o     r      t     a     z       i     o     n       i        d     a        l        l        ’        I      t     a        l       i     a F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 POTERI E CONFLITTI

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Gli internati militari

i n ch n dch cngn d’8 fn -d, ch nn d c n d dch, c d’nccà dc d gn n’fficc n, qnd f d Whch -n n i n nc d. in 700 000 uomini (cn c, , -ngn ù : dc Ghd sch, d , n ch 1 f 1944 f nn 809 000 d n), cdd n n -dc nch 200 f g gn, d’c d’nc.i gn fn n gn nn d n c d n, n c gà -nn condizioni di detenzione molto dura, c d cn d -. in g, – cnd ’fficc n d n d gn – fn «c-c n c d», cè n c , cnd n Gn npn. p nd gn, dch n d cn Gc n ig ch cng c, n i. in n d, ffic n dn c- dn; , nn n d -, finn ò n pn, n n d28 000, rch cndn c-ch n gg. i dodici lager polacchi

assegnati agli ufficiali italiani, n, n gà

dch ng, c d cn-dn gnch, fn cnq , ccg traditori badogliani .i d fn d, gg -, n c, dnn Stammlager (Stalag ), ccn d q d d n-n c. inf, , g d f nn fc, n -’n nd n c dn n -g . scnd Convenzione di Gi-nevra d 1929, gn d g nn -

d n’nd c d p- d c n c.p gg q c, d- n cn nch n G-n d Cc r innn, Hnò n c d c, ch -dfcò condizione giuridica degli ex solda-

ti del regio esercito. «s dn d Füh –c gn K dn 20

Le deportazionidall’Italia

Prigionieri dell’esercito italiano, caduti in manoai tedeschi, attendono in fila il treno

che li porterà in un campo di prigionia in Germania,fotografia del 1944.

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POTERI

E CONFLITTI

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1943 – gn d g n, d q n, nn d-n ù ndc c prigionieri di guerra [Kriegsgefangene ], cinternati militari italiani [italienische Militärinternierte ]. in cnfà, n’dn dfn prigioniero di guerra dà cn dd n- ndcn».l’n «internato militare» nn n, n d nnn, fnd g ndc ’ dnn d n d

n n p nn cn n g, d n cnfnn c nn-n ( n, d , n , c d n n dn cn fc). N c dg n, ò, gnfc d n -, g g fn ch t rch ggng g f-n d nd n.

DOCUMENT IDisfatta, cattura e internamentoprovvisorio

Il bolognese Leonello Morsiani, nelle sue memorie, traccia un quadro molto efficace dello sfacelodell’8 settembre e delle macerie morali e materiali che esso provocò. Dopo la cattura, i soldati italianifurono internati in campi di transito, prima di essere spediti a lavorare in Germania. La scena seguen-te è ambientata in Iugoslavia.

Le strade sono letteralmente congestionate da truppe italiane arresesi e da tedeschiche si recano ad occupare le posizioni lasciate da noi… I cigli delle strade sono cosparsidi ogni sorta di materiale bellico: fucili, bombe a mano, cassette di munizioni, mortai, baio-nette, giberne e altro ancora… Molti dei nostri piccoli carri L sono rovesciati e immobili nelleposizioni più strane, alcuni completamente sventrati, colpiti in pieno dai cannoni dei Tigretedeschi. A Dubrovnik un triste spettacolo si è presentato ai nostri occhi: i segni della bat-taglia sono ancora freschissimi e l’aria è ancora impregnata di un acre odore di polvereda sparo e di carne bruciata. Giacciono qua e là i corpi dei nostri soldati crivellati di colpi,alcuni addirittura a brandelli. Altri corpi invece sono a terra, rattrappiti, senza presentare

ferite di sorta, solo i feriti e i cadaveri tedeschi sono già stati portati via. In gran numeroanche le carcasse di muli e di cavalli della nostra artiglieria ippotrainata [trainata dai ca-valli, n.d.r.]… Anche in città un’enorme quantità di materiale bellico per ogni dove… In-tanto lunghe colonne di prigionieri di ogni arma passano giorno e notte dalla strada chefiancheggia il campo… non è possibile avvicinarli ma sembra che siano diretti in Germa-nia. Sono malridotti e malvestiti. […]

13 settembre: ieri sera sulle sei pomeridiane reparti di fanteria tedesca (tutti soldati gio-vanissimi) ci hanno incolonnato e fatti scendere a Dubrovnik con tutto il nostro armamen-tario, cannoni compresi, per la resa definitiva in questo campo di concentramento provvi-sorio, già accampamento di un reparto di artiglieria ippotrainata. Il campo si trova nella zonaperiferica della città e a sud di essa; è spazioso e il terreno, in parte ondeggiato e in partepiano, è stato recintato alla meglio da siepi e da steccati, in legno e filo spinato. Non vi sonoedifici in muratura, ma solo qualche baracca in legno ad uso magazzino: la truppa infatti era

attendata, mentre i cavalli, a quanto sembra, dorminano all’aperto…30 settembre: […] sono stato anche indisposto forse a causa dell’acqua non potabileche siamo costretti a bere. Il campo è stato organizzato e si provvede da soli alla cucina,agli alloggi, alla pulizia. Per i viveri finora si è tirato avanti con le scorte cui ci rifornimmo almomento del caos; i tedeschi non hanno mai distribuito nulla. Adesso però le abbiamo quasiesaurite e presto, se non si provvederà, saremo alla fame. Speriamo sempre che succedaqualcosa di nuovo e finisca tutto, in modo da poter tornare a casa…

22 ottobre: la situazione è diventata critica per quanto riguarda il vettovagliamento, esau-rite tutte le scorte, viviamo nutrendoci per buona parte di carne di muli e cavalli morti di ine-dia o che uccidiamo durante la notte di nascosto. Riusciamo anche a fare qualche permutacon i civili jugoslavi: essi ci offrono farina e pane in cambio di capi di vestiario, di cui ancoradisponiamo, ma tutto ciò non potrà durare a lungo.

r. r opa , Prigionieri del Terzo Reich. Storia e memoria dei militari bolognesi internati nella Germania

nazista, Clueb, bgn 2008, . 104, 108

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Quali elementipermettono di capirel’arretratezza e ladebolezza strutturaledell’esercitoitaliano?

Quali eranoi principali problemidei soldati italiani,dopo l’internamentonei campi di

transito?

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I militari italiani nei lager

 ag nn n (imi) n Gn f ff ’nà d n’immedia-

ta liberazione, se avessero accettato di collaborare con i tedeschi e con la Repub-

blica sociale di Mussolini. Nn cn cn qn imi fc c d d rch d n s fc; n n c – c d bjpdk, n pn n, ch cc 2500 ffic n cnn d -

d – q c d d rsi. a cn, n g d lcknwd (n G-n) c d gnd d Gd tn, d d n “lvc d p”, c fin d cnnc dn n gn nn, d 16 000 imi n cc ’ 15 d n ffi-c. a d, d fn ch d n f d ss, -n n 70 8000 snd, 50 5000 Wndf. anch è dfficfn cf g, n c è g ff ch l’adesione alla RSI e l’ingresso

nelle SS fu un fenomeno n ristretto, ch cn 50-65 000 nn ( -cnd d ), cè n 10%, , d gn.Q fi nc d n d. in g , d d’n cn gn n d dch, ch d n -n dn d r, n bcn , ù cn, d ’8 -, n d c. l cngn d q c d c fn d.inf, nch d n, n g dnn n d, cd cndn d , , d scarsità delle razioni alimentari fn ddch. un d n ù dffic d f q n c n c- ch fn cnd m-D , n ggnc n nd -n, c ’nn d ngn d H, cc 70 ch d bchnwd W. a c d ncn , n cn ì v1 v2; d dn, ò, cn, c ch fn c c g n, n c d ngn, cn fc nch.D 60 000 dn ch n n 1943 ’ 1945, cc n - ì. l cn d 1300-1500 d n (c

); d q 27 n D d ’8 , g n - d n g, ù cnn, d 579 .s cndn d d m-D n n c , n cnqg n c fc nc ù cc d 28 f 1944, ché -c dch n nd ch gn nd n g-

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DOCUMENT ILa farfallaIl poeta romagnolo Tonino Guerra fu uno dei moltissimi internati militari in Germania che dovette-

ro subire la fame nei campi tedeschi. Guerra ricorda che lì iniziò a comporre poesie in dialetto «per te-nere compagnia a dei contadini romagnoli», cui dava conforto e speranza sentire parlare nella loro lin-gua materna. Il testo che presentiamo, invece, fu scritto dopo la liberazione ed esprime in pochi versiil dramma di un’intera generazione.

Cuntént, ma propri cuntent Contento, ma contento davvero a so stè una masa ad vòlti tla vòita sono stato molte volte, nella vita mò piò di tòtt quant ch’i m’a liberè ma più di tutte, quando mi hanno liberato in Germania in Germaniach’am so mèss a guardè una farfàla e mi sono messo a guardare una farfalla

 senza la vòia ad magnèla senza la voglia di mangiarla

s. pivato, Letteratura e guerra a Rimini , n a. biaNCHiNi, F. lolli ( c d),Letteratura e Resistenza, Clueb, bgn 1997, . 268

Che cosa significa poter «guardare una farfalla senza la voglia di mangiarla»?

Riferimentostoriografico

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Riferimentostoriografico

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ch nn fornire le razioni alimentari in modo proporzionale al lavoro svol-

to. un ( ffin gà fnnn n g c fin d-g nn tn) gà c n cdn gn c; f chn dà d n n g sottouomini  nch gn è ndc d f dcn ch traditori d’8 n - n’gn n gch n: d, d , gd d c g dff ch n c d’c

dc dnn d c n.in c, g nn cn n n dffn, cnd d n-dn . in d, n 1944-1945, cndn d d gn ggn nn, fcnd n dc g cnn. N’n, è n 42 000 n dg nn n d-cd n g d t rch.

I deportati politici

un cnd n g d italiani d n Gn f q d politici ; d n (italiani  politici ), ò, nn n n n . innn, n-

gg cnd n Gn n n à , fn cdn -n, n ncc ché cc d à nn, ch nfc-. i cch d gn d q n d t, dn d q dcn ff d G nd c-c n d d.in cnd g, politici nn n . inf, à d-ch n deportazione come strumento di punizione per qualsiasi tipo di infra-

zione. in c c d n’n , d c gn -ch: n, d , ch d n gn c cn n (c cn, ff, dd fnn cc.). l - n, ò, ccò nch ch nc n d (n ), - n g d n s, ù cn c

Radio Londra ( La Voce dell’America) n dff n. in c, fn d- n ch ndn gn n mercato nero (cè n qnà, q fi d à), ch nn n n c-nc n c d dn nn n dcn n g.i trasferimento forzato in Germania non fu mai tenuto nascosto. anch cd cndn d n g dch n cnc ( ngn), n d-n n c, n fcn g d n c deportazione  campodi concentramento, a scopo intimidatorio, cè n n n n-g c dn.t n ch fn d dn d nn (c-c 3000), c G, F bcc (r) pch ( g d Gd). s -

d d ffic cndnn d C : n, -nnn d , dn. p gg , fn cnd D-ch, fn c c internati per misure di sicurezza e di protezione . D- c ng d politici , q n dg asociali .Dch, n gd dc, cnd n g n nd. inf, nn nn nch cd n nn. N c, -n Dch 2720 g, d n nn d nnà, c 31 cc (14 dq n n g). N c, è ch Dch n 37 - d politici n, n d 9800 d.Dcn più dure le condizioni di vita di Mauthausen, n 8100 gn,n 21 cng f. i fn n 350. in ff, n gc dc, ’-gnn d n d g d mhn q d f n cndnn -

dff: cn, nc d g n d’ d nn- d n d G, n, n d d f d-

➔42000 IMI deceduti

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’ c, n d ù n ng, cnd d ccà d -n fic. l dnn (800-1000) n nc n c fn d rnück.

 a c d dn d dcn d n n 1945, è -c fn d c n d politici fn f d’i nGn. l cf ù c dg c 32 820 d; ché - fn cc 3300 (10% cc), n q c gn cc n 29 500. anch n d rch è nc, c 80 90 cn-

g, cnd d n (n d, n n, n n d cc-n n d’i).

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DOCUMENT IL’arrivo a Ravensbrück di una donnaitaliana

Maria Massariello Arata è nata a Massa nel 1912, ma visse a Milano, dove fu arrestata il 4 luglio1944, per propaganda antifascista e sostegno ai partigiani. Catturata dai militi fascisti e poi consegnataai tedeschi, arrivò a Ravensbrück l’11 ottobre 1944.

Lentamente si avvicina il nostro turno all’ufficio matricola e furtivamente veniamo avvici-nate da prigioniere che insistono per avere da noi quel cibo e quegli indumenti ai quali, no-nostante i loro avvertimenti, siamo tenacemente attaccate perché speriamo ancora di po-ter conservare. Le prigioniere cercano anche oro e gioielli che promettono di salvare,seppellendoli ai piedi di certi alberi che indicano qua e là. Alcune mie compagne credono,ma naturalmente il giorno dopo hanno la sorpresa di Pinocchio.

Finalmente raggiungo l’ufficio matricola. Un bancone divide il luogo dove si agitano le pri-gioniere contraddistinte da triangoli viola e verdi nella loro importante funzione e le prigio-niere neo-arrivate. Per prima cosa ci vengono in malo modo strappati i pacchi dei viveri, poidobbiamo dichiarare le nostre generalità, il luogo di provenienza, specificare il nostro lavoro,dati che vengono riportati su una scheda. Dobbiamo pure consegnare tutto il denaro e igioielli: riesco a sottrarre duemila lire nel fondo dell’astuccio degli occhiali. Segue la spolia-zione. Vengono requisiti tutti gli indumenti personali che sono raccolti in sacchi di carta asimboleggiare la loro restituzione alla fine della pena.

 Tutto questo è doloroso materialmente e molto di più psicologicamente, ma traumatiz-zante veramente è la visita che segue. Sfiliamo nude in uno stanzino dove insieme alle Auf-seherin [guardiane SS, n.d.r.] sono alcune prigioniere con triangolo viola. Sediamo su uno sga-bello dove siamo ispezionate sulla testa, sotto le ascelle e sul pube. Non dobbiamo essereportatrici di pidocchi e di piattole! Una qualsiasi traccia, anche soltanto qualche vecchia len-dine [uovo di pidocchio, n.d.r.], dà pretesto alla tosatura più completa dei capelli e di qual-siasi peluria sotto le ascelle e sul pube. Con quale soddisfazione le prigioniere con funzionidi Aufseherin tagliano i capelli ed a chi implora e supplica, con fervore diabolico sostengonoche il taglio rende la capigliatura più bella e rigogliosa. Così di una bella, amabile testa ric-ciuta in pochi attimi ne fanno una tristemente glabra e perfettamente liscia.

Da ultimo dobbiamo subire l’esplorazione della vagina per impedire l’occultamento dianelli o di altri preziosi in genere. Così stordite, umiliate, offese nella nostra intimità siamoconvogliate nella grande sala della doccia dove siamo già state ammucchiate nella notte.

 All’ingresso ci vengono distribuiti un piccolo asciugamano ed un pezzetto di sapone. Dob-biamo aspettare la somministrazione dell’acqua. Digiune, tremanti per il freddo e l’umidità,cerchiamo un po’ di calore, addossandoci le une alle altre, vincendo il naturale ribrezzoverso corpi spesso non più giovani, afflosciati, deturpati da piaghe.

È l’incontro con il mondo del Lager, l’entrata coatta in una comunità estranea alla qualebisogna aderire per sopravvivere. È la costrizione all’annullamento del nostro io, di tutto quelloche può esserci in noi di più gelosamente intimo.

m. m assariello a rata , Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück ,m, mn 1979, . 28-29

Chi erano le detenute contrassegnate dai triangoli viola e verdi? Che funzione svolgevano nelcampo?

Spiega le tre espressioni «doloroso materialmente», «psicologicamente» e «traumatizzante».

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Sterminio e deportazione razziale

in , g ch, n’d, ì ggn cngn d-’ccn dc f q dg . Dn nn d g, -n gg, nn dc. i 16 gg 1940 – n ’i- nc n n d non belligeranza – n d’inn d n cc ch dn (n c d cngn d p n g nd-

) ’nnn d cdn d s n. a q’c, n i -n cc 3800 nn n f d ch, n c d g, f - f n c, . pch n d ch ’i dch g Fnc ingh, 20 ggn 1940 nò n fnn n-c c d cncnn n. e n f, n c- d d gg, Ferramonti di Tarsia (n nc d Cn). in ,cn ’ d 302 n d d bng, c ggn cf d 700 -gn (d d q dnn n). anch , d n 1941, fn cn-d Fn nch gn nn ( g gc), n- c nn c 75% d d c, ch n’g d 1943 ccò cn, cn 2016 gn. i 14 1943, c nn d ngd d’c ng, ch ò g nn d dn.N primi anni di guerra, la maggioranza degli ebrei italiani non fu internata. N g-g 1942, ò, gg d à c 18 55 nn (cc 10 000 n) n-n c d g. l’n f n gndd fc, ò n c fn fi cnc, nqn g ndd fn n gn g n n, q nn -n cn dn cn.

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Ebrei costrettia lavorare a Roma 

sul greto del Tevere,fotografia del giugno

1942.

➔Ebrei stranieri

➔Lavoro obbligatorio

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N’nn 1943, ’ d d dch, n d gg a rischio g-n n cc 43000, d c 35 000 n 8000 n. l n dn gg nn n g f ch ’i d qg nn  paradossale (’nè d p l): nd fficn n d t rch, fin ’8 - fiò d dg dc n dc. Cì, g n n - n i n fg, n n Fnc, n ig n Gc, n 1942, n n n n cc d’c n, ch fi-

d cngn n. l gn d q cn fn c: n -cn c n dc n n n d nà d dg ffic dd, n n cn df dg f d d dd d d, -n n q c, ch ’i n n, ch fnn dch nn -n nn c.Questo equilibrio c saltò cn ’8 settembre. t 21 22 , ficò n d ccd d (54 n cc) n cà, nd cc-dn d lg mgg, d ss f d fn n. C d ncnn, n gn n d n gì cnd -dà ch d nn n cn n urss: ’ccn nd d cn n.i 14 n 1943, vn, ncq Partito fascista repubblicano. i Manifesto di Ve-

rona n gch d n gnn ch, n nnn dmn, d gd rc c n. i c n18 n, 7 d q c: «G nn c n n. D-n q g ngn nnà nc». pnd d q -, i fascisti italiani aiutarono i nazisti nell’opera di deportazione dg n.in c, q, f fnn d dg ffic d’ngf dn d dch dg n, c d nd d fg.N gn 16-18 ottobre 1943, g ’- fn achw dgebrei di Roma. Fn d 1023 -n, d q n 17 fc n; dcd, 839 (’89%) fn n nc g . i 21 n 1943,d bg sn D (Cn) fn d- d achw n 328 ch fin’8 n fg n -gn d Fnc cc dg n.N f 1944, dch dnn à fc d rc c d cn-cn Fossoli (n cc cn cà d C, n nc d mdn) g dn n cc n. i cn-g achw (650 n) ì 22

f; 23 d q d (8 dnn 15 n, c p l) -n. in , d F n achw cng f, n d 2445 -n. N c, i deportati per motivi raz-

ziali dall’Italia furono circa 7500. s 826 - nn n i.

 a n c, nn ggn 318 ,fc d dch n i. l’d ù nnn 24 1944: d ch n n -n gn, c n r, r, n 33 d dch, -

g n cc 335 dn n F dn. D q, 75 n .

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Marc Chagall, Ebreoin preghiera ,1914-1922, (Venezia,Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’artemoderna).

➔Rifugio precario

Riferimentostoriografico

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La memoria della deportazione da RomaIn occasione della realizzazione di una dettagliata ricerca sulla razzia del 16 ottobre 1943, sono sta-

te intervistate 12 persone sopravvissute a quell’evento. Alcune sono sfuggite alla retata, altre sono sta-te deportate, ma poi si sono salvate. Le due interviste che riportiamo sono rappresentative dell’una edell’altra esperienza.

Intervista a Rina Calò

Dopo l’8 settembre e prima del 16 ottobre, aveva lasciato la sua abitazione abituale per  rendersi irreperibile?

 Abitavo in via del Progresso [oggi piazza delle Cinque Scole – n.d.r.], e non ci siamo maimossi di lì.

Sa di altre persone, amici, conoscenti, che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ot-tobre, avevano lasciato la loro abitazione abituale per rendersi irreperibili?

Non so di altre persone che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ottobre, avevanolasciato la loro abitazione abituale, a quei tempi non eravamo abituati a muoverci facilmente.

Nel 1943 quali erano le notizie che giravano sulla sorte toccata agli ebrei negli altri paesi 

occupati dai tedeschi?Mi è capitato di incontrare persone che venivano dalla Polonia, parlavano di campi di con-centramento, ma noi non ci rendevamo conto del pericolo. Non sapevamo nulla delle ca-mere a gas: era una cosa che i nazisti sono riusciti a tenere ben nascosta.

Cosa si ricorda dei giorni immediatamente precedenti al 16 ottobre? Aveva avuto sen-tore che stava per accadere qualcosa di grave?

Prima del 16 ottobre ricordo che spesso i fascisti venivano in Piazza [l’antica Piazza Giu-dia fuori dal ghetto, oggi parte di via Portico d’Ottavia, n.d.r.] e ci terrorizzavano. In Piazzac’era, poi, Elena la matta, che raccontava qualcosa sul pericolo delle retate da parte dei na-zisti e dei fascisti, ma nessuno le dava retta. C’era anche Celeste Di Porto che faceva la de-latrice per conto dei fascisti: davvero una vergogna. Quando capitava che uscivamo, se perstrada incontravamo altri ebrei, facevamo finta di non conoscerci, perché, non si sa mai, ave-vamo paura di essere scoperti, non dicevamo a nessuno dove abitavamo.

Ci racconti dettagliatamente quello che accadde il 16 ottobre.

 Allora avevo circa 13 anni, ricordo che il 16 ottobre una vecchietta nostra vicina, che era an-data a fare la fila per le sigarette, ci avvertì: «Stanno a prende’ tutti gli ebrei». Allora i miei geni-tori presero i pochi soldi che avevano, nascosti dietro a un quadro della camera da pranzo, scap-pammo e andammo alla Stazione Termini dove avevamo il negozio. Riuscimmo ad allontanarcisubito e a evitare i drappelli dei nazisti che in quel momento prendevano gli ebrei in tutta Roma.Riuscimmo a trovare rifugio presso una clinica vicino alla Stazione Termini. Fu una giornata ter-ribile, avevamo una gran paura, non capivamo quello che stava succedendo, sapevamo soloche dovevamo scappare, ma non sapevamo dove andare. Provai una forte sensazione di paurae smarrimento che non riuscirò mai a dimenticare.

Ci racconti quello che accadde nei giorni successivi al 16 ottobre.

Dopo un po’ di tempo qualcuno ci riconobbe e allora una suora, che si chiamava Pia, cidisse che dovevamo andarcene dalla clinica perché ci avevano scoperti. Ci nascondemmopresso una famiglia cattolica a piazza Gioacchino Belli, alla Confederazione Fascista dei Com-mercianti, proprio in bocca al lupo. Gli uffici non erano più attivi, c’era solo il portiere. Ci siamofatti passare per sfollati, abbiamo pagato per questo nascondiglio, ci è costato molto. […]

Intervista a Leone Sabatello

Dopo l’8 settembre e prima del 16 ottobre, aveva lasciato la sua abitazione abituale per  rendersi irreperibile?

 Abitavamo a via Portico d’Ottavia n. 9 e non ci siamo mai spostati.

Sa di altre persone, amici, conoscenti, che, dopo l’8 settembre 1943 e prima del 16 ot-tobre, avevano lasciato la loro abitazione abituale per rendersi irreperibili?

Non ricordo.

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Una sequenza tratta dal film Roma città 

aperta di RobertoRossellini. La pellicola è ambientata nel 1943

a Roma, dove gli Alleatinon sono ancora 

arrivati e i tedeschiimperversano per

la città. Nell’immagine Anna Magnani,

splendida protagonista del film, cerca 

di ribellarsi alle truppedel Reich cheeffettuano un

rastrellamento nellostabile popolare in cui

 vive.

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DOCUMENT I

Che consapevolezzaavevano gli ebreiromani della realtàdella Shoah nelresto d’Europa?

Quale atteggiamentoassunsero i nonebrei versoi perseguitati,almeno nei due casi

specifici?

Nel 1943 quali erano le notizie che giravano sulla sorte toccata agli ebrei negli altri paesi occupati dai tedeschi?

 Avevamo avuto qualche notizia sui pericoli che ci circondavano, ma ci siamo messi a ridere. A volte accadeva che mia madre, la quale aveva l’hobby del ricamo e si metteva davanti al por-tone di casa con una seggiolina a cucire, parlava con alcune persone che passavano, in fugadalla Polonia. Questi ci raccontavano qualcosa, ma noi non credevamo a quanto dicevano, pen-sando che non fosse possibile che accadessero cose del genere: «Ma figurati se ci portano inun campo di concentramento!», dicevamo. Nessuno aveva mai parlato di camere a gas. Mio pa-dre, riguardo a quello che ci poteva aspettare, diceva: «Ci daranno un pezzo di terreno, ci fa-ranno lavora’», non avremmo mai immaginato quello che poi io ho visto con i miei occhi. Nonabbiamo pensato a procurarci documenti falsi, anche nei giorni immediatamente precedenti al16 ottobre, perché non avevamo sentore di nulla. Io sono stato deportato a 15 anni.

Cosa si ricorda dei giorni immediatamente precedenti al 16 ottobre? Aveva avuto sen-tore che stava per accadere qualcosa di grave?

[…] Non credevamo mai che sarebbe accaduto quello che poi è avvenuto. Mi ricordo,però, che i fascisti venivano spesso in Piazza e ci mettevano paura. Una volta hanno pic-chiato mio fratello poiché portava una cravatta a pallini rossi e lo hanno anche derubato. Lui

aveva nel portafoglio 1000 lire e il fascista, quando gli prese i soldi, lo guardò con disgusto,con disprezzo: «Guarda sto’ ebreo, c’ha 1000 lire in saccoccia». C’erano anche tanti cat-tolici che ci disprezzavano, tra i quali vi sono persone che tuttora hanno attività commer-ciali nella zona.

Ci racconti dettagliatamente quello che accadde il 16 ottobre.

Il 16 ottobre sono stato preso io, mia madre Celeste Tagliacozzo, mio padre Alberto Saba-tello, mio zio paralitico, le mie cinque sorelle Emma, Enrica, Italia, Elena, Letizia, mia cognata,Enrica Tagliacozzo, con due bambine, Alba e Liana. Ero il più piccolo di casa, eravamo sette fi-gli. Un caro amico di mio padre che aveva un’industria vinicola a Ciampino, fece passare miofratello per cattolico e lo fece lavorare nella sua ditta. È stato l’unico della famiglia a non esserestato preso. Anche sua moglie e i figli sono stati catturati. Sono ritornato solo io di tutta la miafamiglia deportata e non tornerei per tutto l’oro del mondo ad Auschwitz, anche se molti mieiamici ex deportati lo hanno fatto. Io ho sempre rifiutato. Prima della guerra ero un ragazzino, ero

coccolato da tutta la mia famiglia, le mie sorelle mi chiamavano addirittura il padrone, esaudi-vano tutti i miei desideri, mi accontentavano sempre, eravamo felici, non ci mancava niente, cifacevamo bastare quello che avevamo, ed eravamo molto attaccati alla nostra religione. Il 16 ot-tobre pioveva, stavo dormendo, verso le 5,30 o le 6, mio padre sente dei rumori, si affaccia dallafinestra e vede una squadra di soldati e alcune famiglie che uscivano con le valigie e venivanoraggruppate in quella che oggi è piazza 16 Ottobre. Anche io sono stato portato lì. I nazisti sonoentrati dentro casa mia, avevano un foglio con l’elenco dei nomi. Cercavano anche mio fratello,ma lui era a Ciampino. I nazisti ci dissero che dovevamo fare un lungo viaggio e quindi dove-vamo portarci dei viveri. Ci siamo vestiti e siamo scesi. Ci hanno caricati sui camion e ci hannoportati al Collegio militare, dove qualcuno ha anche provato a farci convertire.

Ci racconti quello che accadde nei giorni successivi al 16 ottobre.

Siamo rimasti al Collegio Militare circa 5-6 giorni [in realtà, la detenzione durò dal 16 al18 ottobre, n.d.r.], abbiamo mangiato soltanto quello che avevamo portato, perché non ci

davano nulla. Poi ci hanno portato alla stazione e ci hanno caricato sui carri bestiame, circa40 persone a vagone. A Padova abbiamo fatto una sosta, ci avevano detto che se uno scap-pava, avrebbero fucilato tutta la famiglia. Sono sceso per fare i miei bisogni e quando sonotornato il treno stava partendo, ma io l’ho fatto fermare per poter risalire. Non ci hanno dettoassolutamente nulla di quello che ci aspettava, non ne avevamo nessuna idea, pensavamosempre che ci avrebbero dato un pezzo di terreno e saremmo andati a lavorare i campi. In-vece, ci hanno portati tutti ad Auschwitz. Non avremmo mai pensato quello che sarebbe suc-cesso, io l’ho capito quando sono rimasto solo, quando un prigioniero del campo mi disse:«Vedi quei comignoli che fumano? I tuoi cari stanno là». Noi deportati il 16 ottobre abbiamopassato due inverni in Polonia. Mio padre era molto robusto perché lavorava con i rottamima, durante il viaggio, gli era cresciuta la barba, sembrava più vecchio della sua età e, ar-rivato al campo, è stato mandato subito alle camere a gas. Quanto ho sofferto. […]

s.H. a NtoNuCCi, C. proCaCCia , G. r iGaNo, G. spizziCHiNo, Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una

deportazione , Gn ac, mn 2006, . 111-114, 127-129

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Riferimenti storiografici Le gallerie sotterranee di Mittelbau-Dora

Il programma missilistico nazista fu diretto dal brillante scienziato Wernher von Braun, che dopo la

guerra avrebbe contribuito alla nascita del programma spaziale americano. Nell’ultimo anno di guer-ra, moltissimi dei razzi prodotti in Germania erano fabbricati in un grandioso complesso sotterraneo,interamente basato sul lavoro schiavo dei deportati. La montagna all’interno della quale sorgeva l’im-pianto si chiamava Kohnstein; il lager e l’impianto stesso, invece, ricevettero il nome di Mittelbau-Dora.Tra i 40-60 000 detenuti che vi lavorarono tra il 1943 e il 1945, 1300-1500 erano italiani, per lo più mi-litari catturati dopo l’8 settembre.

 A Peenemünde, un villaggio di pescatori nell’isola di Rügen, nel mare del Nord, trasfor-mato in un centro di ricerca della Wehrmacht per la costruzione di missili, il 3 ottobre 1942la prima A4 ( Apparat 4, come gli scienziati chiamavano la V2) partì dalla rampa di lancio, rag-giunse un’altezza di 60 km e volò per 295 secondi a una velocità di 1200 metri al secondocadendo a una distanza di circa 190 km. Due mesi dopo, il 22 dicembre, Hitler, entusiasta,ne ordinò la produzione in serie. Un gruppo speciale ricevette l’ordinazione di 20 000 sin-gole componenti del missile che dovevano poi essere assemblate su una catena di mon-taggio, come le automobili. Ma i centri previsti per la produzione in serie furono individuatidai bombardieri alleati e praticamente distrutti: il 22 giugno 1943 gli stabilimenti della Zep-pelin-Luftschiffbau GmbH di Friedrichshafen, il 13 agosto quelli della Rax Werke di WienerNeustadt e, nella notte tra il 17 e il 18 dello stesso mese, Peenemünde. Come aveva ordi-nato il Führer, dopo aver incontrato Wernher von Braun il 7 luglio e aver visionato un film sullancio dei missili, i lavori non potevano essere interrotti, e si inaugurò una nuova fase del pro-gramma. I direttori del programma A4, prevedendo l’eventualità di un trasloco, avevano già

ispezionato le costruzioni sotterranee nellacollina del Kohnstein ritenendole un postoideale per installarvi una grande fabbrica dimissili. Nelle viscere della collina di anidridevi erano in quel momento due tunnel, l’A eil B, scavati in direzione nord-sud. Le duegallerie erano collegate l’una all’altra da 46tunnel trasversali lunghi 200 m, larghi 11,50e alti 8,50: un’opera incredibile su una su-perficie di oltre 100000 metri quadrati. Que-sti spazi – dissero – devono essere ampliatie sistemati affinché la sezione costruzioni diPeenemünde possa trasferirsi totalmentesottoterra. Si tratta della tecnica che i tede-schi chiamano Verbunkerung, cioè bunke-

 rizzazione, applicata anche per la costru-zione del rifugio di Hitler sotto la Cancelleriadi Berlino, che era talmente vasto e compli-

cato – richiese ben tre anni di lavori – da poter ospitare 3000 persone, 80 autoveicoli, sta-zioni radio, cucine, centrali telefoniche, bagni, magazzini e celle frigorifere. «Sembrava unsuper-sottomarino ancorato al sicuro sotto la capitale», dirà Magda Goebbels, moglie delministro della Propaganda.

Himmler, nominato da Hitler ministro degli Interni, prende in mano la situazione scalzandodi prepotenza il ministro degli Armamenti Albert Speer. Il 21 agosto nomina l’Obergru-

 penführer  delle SS Pohl responsabile dell’operazione e suo vice il Brigadenführer  (generaledi brigata) delle SS dottor Kammler, e dà freneticamente il via ai lavori. […] Nelle vicinanzedi quella collina si trova Buchenwald, che per i nazisti è una fonte inesauribile di schiavi, eda quel campo, alle 5 del mattino del 28 agosto 1943, partono in treno 107 prigionieri po-lacchi, guidati dall’Hauptscharführer  (grado delle SS corrispondente a quello di maresciallo)Beckmann, con 40 SS e alcuni cani lupo. I prigionieri si sono alzati nella notte e, dopo l’ap-pello, si sono schierati alle 4.30 alla porta del lager per salire su alcuni vagoni ferroviari. Il trenoli scarica a Salza, in quella stazioncina quasi selvaggia situata poco prima della porta del-

 l’inferno, si mettono in colonna e arrivano nella grande conca in cui sboccano le due galle-rie. Non c’è nulla, se non prati e bosco, e il loro compito consiste nel costruire subito alcune

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Un gruppo di detenutinell’impianto di

Mittelbau-Dora, chesorgeva all’interno di

una montagna.

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baracche di legno. Nei giorni e nei mesi che seguono altri treni scaricano nuovi schiavi (te-deschi, cecoslovacchi, belgi, francesi, iugoslavi, norvegesi, italiani, ebrei e zingari di varie na-zionalità) e quel complesso di uomini diventa l’ Aussenkommando Dora, il Kommandoesterno Dora, alle dipendenze di Buchenwald. Gli schiavi arrivano da vari lager, hanno un’etàmedia tra i 18 e i 35 anni e, talora, qualche conoscenza tecnica inerente il lavoro che do-vranno compiere. A ottobre sono circa 4000, a dicembre 10 735, alla fine di gennaio del 1944ben 12 500.

Li mandano ad allargare, allungare, sistemare e cementare le gallerie (la A è praticamente

pronta) con martelli pneumatici, pale e picconi, e persino con le mani, mentre i tecnici pro-vocano l’esplosione di mine per far saltare la roccia, e tutta la collina trema. Lavorano tra lapolvere della roccia che si sfalda e si sbriciola, in un’aria sempre più rarefatta, alla luce dilampade a carburo, nell’umidità che trasuda dalla volta, senza mai vedere la luce delgiorno. Dormono nelle gallerie trasversali, a 800 metri dall’imbocco del tunnel, in castelli di3, 4 o 5 piani di 60 cm di altezza dove non si può nemmeno stare seduti (gli italiani sonosparsi qua e là, e non raggruppati per nazionalità), non hanno ricevuto alcun equipaggia-mento speciale, per togliersi la polvere di calcio che incrosta il viso usano la propria urina.L’ossigeno è insufficiente in quelle cavità, la stanchezza coglie subito. Devono soltanto sca-vare e scavare e riempire di roccia i vagoncini di una ferrovia che arriva fin dentro le galle-rie, e scaricare a forza di muscoli le attrezzature per la fabbrica missilistica: macchinari chearrivano da Peenemünde e pesano tonnellate. […] Dal 1o ottobre 1943 al 31 marzo 1944 icadaveri sono già circa 3000. […]

In quelle gallerie lavora anche il trombettiere di batteria, 1o reggimento di artiglieria damontagna, Domenico Giaccardi, di Bene Vagienna, in provincia di Cuneo, classe 1907, ma-tricola n. 0751. Da Buchenwald è arrivato a Dora con il primo gruppo di prigionieri, nell’ot-tobre 1943. Ricorda: «Mi sono subito reso conto che era un campo in via di costruzione,stavano ancora sistemando i reticolati ed io sono stato mandato subito nel tunnel (non sose era la galleria A o B) e qui ho sempre caricato pietre sui vagoni che poi venivano spintifuori. Sei mesi circa senza vedere la luce del sole. All’inizio nel tunnel avevamo soltanto lumia petrolio. Poi è stata messa la luce elettrica. Il tunnel era molto largo e ampio, con due bi-nari, così i vagoni andavano e tornavano continuamente. Dormivo all’interno su letti a ca-stello che avevano paglia piena di pidocchi al posto dei materassi, e venivano pigiati l’un con-tro l’altro. Al mattino ci davano una specie di caffè caldo e la sera un po’ di brodaglia conrape, patate marce, barbabietole e chissà che. Le V1 e le V2 le vedevo, ma non ho mai par-tecipato alla loro costruzione. Mi ricordo che la V1 era più piccola, direi lunga 12 metri, men-tre la V2 era più lunga, forse un 20 metri. Di notte vedevo che le portavano fuori mimetiz-zandole con reti verdi. Tutte le sere ne passavano 7-8 caricate sulle spalle di parecchiprigionieri (forse una ventina per missile): le mettevano su camion e poi le portavano in altriposti. Così come le vedevo io non erano terminate».

r. l azzero, Gli schiavi di Hitler. I deportati italiani in Germania nella seconda guerra mondiale ,mndd, mn 1998, . 111-112, 120

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Spiega l’espressione«bunkerizzazione».

Dal testo trapela unodegli aspetti piùtipici del Terzo Reich,

la cosiddettapolicrazia. Dovela riscontri, nelprocesso di nascitadell’impiantodi Mittelbau-Dora?

Le condizioni di vita degli internati militariitaliani (IMI ) nei lager 

Il durissimo atteggiamento tenuto dai tedeschi nei confronti degli IMI non si attenuò in Germania,

allorché i soldati catturati furono internati in appositi lager e costretti a lavorare nelle industrie tede-sche. Le testimonianze dei superstiti pongono l’accento soprattutto sulla fame patita e sulle malattieche colpivano i deportati, a causa delle carenze alimentari.

Nel lager di Sandbostel il 16 aprile 1944 il tenente Giovanni Guareschi scriveva su un dia-rio destinato a divenire famoso: «Cammino su e giù… e vado svelto ma la fame mi insegue…Quante ore prima di poter masticare? Ancora cinque ore, poi avrò due patate e una scodelladi rape; e lo stomaco, compreso rapidamente l’inganno, riprenderà a spasimare più doloro-samente. Sento anche la fame del dopo». Una ventina d’anni più tardi, rievocando con unamico i giorni di Sandbostel, Guareschi dirà che a quell’epoca gli tornavano spesso in mentele pagine di un libro di Carlo Castorino sulla fame sofferta dai prigionieri italiani a Mauthau-sen durante la Grande guerra e che lo scrittore genovese aveva significativamente intitolatoLa prova della fame: nel febbraio 1944 l’80 per cento dei 1900 ufficiali internati a Czestochovasoffrirono per edemi da fame e, come in altri lager polacchi, dal 30 al 40 per cento si am-malarono di tubercolosi in seguito alla denutrizione. La fame diventò la misura di tutte le cose.Nel lager di Przemysl, nel novembre 1943, un chilo di patate si pagava cento lire e una pa-

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gnotta ne costava novecento, mentre in Italia il prezzo del paneal mercato nero oscillava attorno alle 20 lire al chilo. Per acqui-stare pane, sigarette, patate e grassi gli internati italiani vendet-tero tutto quello che possedevano, anche le fedi  matrimoniali,perché l’oro era la merce di scambio più ambita dai tedeschi: unorologio d’oro veniva valutato sei-otto filoni di pane.

Come razione quotidiana gli ufficiali ricevevano ogni mattinaun litro di infuso caldo di tiglio – di così scarso valore nutritivo

che più d’uno se ne serviva per lavarsi o farsi la barba –; a metàgiornata una minestra di rape, o di barbabietole già spremute,con qualche patata; oppure crauti crudi, qualche grammo dicondimento, una fetta di pane da 2-300 grammi, un cucchiaiodi miele sintetico o di marmellata o di zucchero (25 grammi); unpezzetto di margarina o di ricotta o di qualche surrogato di pro-teine (25 grammi): «Troppo poco per vivere, troppo per morire»(G. Storti). La razione per i soldati, i graduati di truppa e i sot-tufficiali era simile, forse con un po’ più di patate; per gli addettiai lavori pesanti la minestra di rape era più abbondante e, di so-lito, più densa. Poi c’era l’alimento principale, il pane del lager.Nero e stopposo, era fatto con farina di segala e aveva formadi cassetta come il pancarré. Ogni pagnotta, solitamente lungauna trentina di centimetri e larga dieci, pesava fra i 1500 e i 1800grammi, pari a sette razioni individuali circa. In genere la pa-

gnotta era di qualità scadente e vecchia: il 25 settembre 1943, a Sandbostel gli internati mi-litari italiani ricevettero del pane ammuffito sul quale era stampigliata la data dell’11 maggiodi quell’anno. La fame, compagna indivisibile del deportato, spingeva a una ossessionantericerca di giustizia nella spartizione dei viveri, e specialmente del pane che veniva distribuitobaracca per baracca, a gruppi di venti-trenta prigionieri. La spartizione del pane compor-tava ogni giorno complicate misurazioni e sorteggi allo scopo di eliminare qualsiasi possi-bilità di recriminazione: «Una forma di pane, di quel pesante e umido pane che la guerra hafatto conoscere in tutta l’Europa, veniva divisa con bilance sensibili come quella dei farma-cisti e quando l’eguaglianza nel peso e nella forma era quasi assoluta, si tirava ancora asorte» (A. Natta). A questo punto, infatti, uno del gruppo andava in fondo alla baracca, sivoltava col viso alla parete e, in risposta alla domanda: «A chi questo?», faceva il nome diuno dei compagni assegnando così, con assoluta casualità, una delle porzioni pronte.

La fame divenne disumana, e mortale, per gli IMI che lavoravano nelle grandi industriequando il 28 febbraio 1944 fu introdotta una disposizione secondo la quale il vitto dei de-portati doveva essere proporzionato al loro rendimento sul lavoro: «Il Führer esige che gli in-ternati militari italiani siano costretti, con severe misure, a un alacre lavoro. Il vettovagliamentoè perciò da commisurare al lavoro compiuto… La decisione relativa alla diminuzione è dicompetenza del datore di lavoro». Molte industrie tedesche applicarono immediatamentela direttiva di Hitler e quindi, per stimolare i deportati-schiavi a una maggiore produttività, fi-nirono per affamarli ancora di più, riducendo le loro già scarsissime razioni. Nello Stalag VIII-Bdi Tesin, nella regione di Breslavia […], dov’erano rinchiusi 8 827 militari italiani adibiti pre-valentemente alle miniere, il rancio fu fissato, dal marzo 1944, sulla base del rendimento nellavoro. Analogamente a quanto già adottato per i prigionieri di guerra russi, gli internati ita-liani vennero divisi in tre gruppi: i buoni lavoratori; i medi ma fisicamente deboli e quelli chenon riuscivano a lavorare, definiti fannulloni . I pasti caldi si cucinavano per tutti, ma gli ap-

partenenti al primo gruppo ricevevano due litri e mezzo di minestra; quelli del secondo duelitri e gli appartenenti al terzo soltanto mezzo litro. Anche nelle miniere di Peterswald, in AltaSlesia, i tedeschi suddivisero i 530 militari italiani che vi lavoravano in tre categorie – prima,seconda, terza – corrispondendo il rancio secondo la categoria di appartenenza: «Più la-vorare, più mangiare», annunciarono. Questo metodo, chiamato Leistungsernährung (ali-mentazione proporzionata alla produttività), varato già nel 1942, collocava nella prima ca-tegoria coloro che avevano un rendimento pari, o superiore, all’80 per cento di un operaiotedesco di uguale qualifica; nella seconda coloro il cui rendimento oscillava fra l’80 e il 60per cento; la terza, infine, rappresentata da chi aveva un rendimento inferiore al 60 per cento;la parte di rancio tolta agli schiavi di quest’ultima categoria andava, come premio, a quellidella prima. Poiché dimezzare il vitto giornaliero, anche agli ammalati, costituiva una dellepunizioni collettive più frequenti, le razioni potevano scendere a livelli minimi – e mortali – di900 calorie al giorno contro le 1730 prescritte e le 2500-3000 necessarie per lavorare.

G. m ayDa , Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich,b bngh, tn 2002, . 326-329

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A che cosa era dovutal’«ossessionantericerca di giustizianella spartizionedei viveri» nel lager?

Che cosa comportòil provvedimentodel 28 febbraio 1944?

Un prigionieronel campo di Belsen

(una cittadina inGermania tra 

Hannover e Brema),ridotto allo stremo per

la fame, parla con unsoldato inglese, dopo la 

liberazione.

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7/29/2019 Deportazioni Dall'Italia

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Le procedure di deportazione dall’ItaliaSecondo Michele Sarfatti, negli ultimi mesi del 1943, i tedeschi procedettero direttamente all’ar-

resto e alla deportazione degli ebrei d’Italia. All’inizio del 1944, fascisti e nazisti si accordarono e atti-varono una specie di divisione amministrativa del lavoro. Alle forze di polizia italiane spettava il com-pito di arrestare gli ebrei e di condurli a Fossoli; i funzionari della Gestapo, da parte loro, provvedeva-no al trasferimento in Germania o all’Est (Auschwitz).

Il 23 settembre 1943 il RSHA [Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, l’organismo checoordinava le principali forze di polizia tedesche, n.d.r.], «d’accordo» col ministero degli Af-fari esteri tedesco, comunicò formalmente ai propri uffici periferici fuori d’Italia che gli ebreidi cittadinanza italiana erano divenuti «subito» assoggettabili alla «espulsione verso l’est», cioèalla deportazione. Il giorno seguente, la polizia di sicurezza tedesca a Roma ricevette l’or-dine di iniziare i preparativi per l’arresto e la deportazione degli ebrei di quella città. Le primeazioni regolari  di arresto furono effettuate sabato 9 ottobre a Trieste e sabato 16 a Roma.

 Alla retata nella capitale fecero seguito quelle attuate tra fine ottobre e inizio novembre in To-scana, a Bologna e nel triangolo Torino-Genova-Milano. Gli elenchi degli arrestati proveni-vano in vario modo dagli uffici italiani; per Roma è documentata la collaborazione ammini-strativa italiana; in Toscana militi fascisti parteciparono agli arresti. Tra il settembre 1943 e ilgennaio 1944 i tedeschi deportarono la grande maggioranza degli ebrei che essi avevanoarrestato (col convoglio del 30 gennaio 1944 deportarono anche alcuni ebrei arrestati nel

frattempo dalla RSI). […]Da parte italiana, tra i corpi che contribuirono con un apporto specifico relativamente con-sistente all’arresto degli ebrei, vi furono quelli incaricati della sorveglianza al confine con laSvizzera. Fiero dei cinquantotto arresti eseguiti «dai primi di ottobre ad oggi» e dei «rilevantivalori» sequestrati in tali occasioni, il 12 dicembre 1943 il comando della II legione MonteRosa della Guardia nazionale repubblicana confinaria scrisse al capo della provincia di Como:«È così che la corsa verso il confine degli ebrei, che con la fuga nell’ospitale terra elvetica– rifugio di rabbini – tentano di sottrarsi alle provvidenziali e lapidarie leggi Fasciste, è osta-colata dalle vigili pattuglie della Guardia Nazionale Repubblicana che indefessamente, su tuttii percorsi anche i più rischiosi, con qualsiasi tempo e in qualsiasi ora, con turni di serviziovolontariamente prolungati vigilano per sfatare ogni attività oscura e minacciosa di questi ma-ledetti figli di Giuda». Il capo della provincia di Vercelli chiese ai podestà, in qualità di ufficialidi pubblica sicurezza, di collaborare «pienamente con gli altri organi di polizia». A Firenze nel

febbraio 1944 l’ufficio comunale di distribuzione delle tessere alimentari si rivelò una vera epropria «trappola» per gli ebrei, che venivano «rincorsi e arrestati». […]

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F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010

Ebrei italiani espatrianoin Svizzera per sfuggire

alle persecuzionitedesche. Fotografia del settembre 1943.

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Lo svolgersi dei fatti tra metà dicembre 1943 e l’inizio di febbraio 1944 consente di de-lineare un’ipotesi che, pur rimanendo priva di una certificazione documentaria, ha la ca-ratteristica di essere l’unica coerente con gli avvenimenti e i documenti noti: i governi del

 Terzo Reich e della RSI pervennero a un accordo per la consegna ai tedeschi e la conse-guente deportazione (e uccisione) degli ebrei arrestati dagli italiani. Sul piano degli avve-nimenti, la situazione verificatasi può essere così descritta: gli italiani arrestavano e tra-sferivano a Fossoli (poi a Bolzano-Gries), i tedeschi prendevano in consegna e deportavano(svuotando il campo), gli italiani arrestavano e trasferivano a Fossoli, i tedeschi prendevano

in consegna e deportavano, e così via. Si trattava di un meccanismo semplice, ma nonspontaneo: occorreva un accordo preventivo e una buona sincronizzazione tra chi im- metteva e chi prelevava. Sul piano dei documenti, esiste un piccolo carteggio, relativo auna vicenda locale, che presenta un interesse generale: il 23 gennaio 1944 il capo dellaprovincia di Reggio Emilia, Enzo Savorgnan, riferì al capo della polizia Tamburini che il capodella Ordnungpolizei  (Orpo) di Bologna gli aveva comunicato che «in forza degli accordiintervenuti tra il Governo Italiano e quello Tedesco, gli ebrei fermati [dalla polizia italiana]debbono essere consegnati alle autorità di Polizia Germaniche». Savorgnan proseguivachiedendo «se debbiasi aderire alla richiesta [di consegna]», mostrando così di non averricevuto alcuna comunicazione da Salò sui presunti «accordi». E in effetti l’affermazionedel tedesco poteva essere frutto solo del suo desiderio o della sua tracotanza. Ma il 5 feb-braio Tamburini gli rispose seccamente: «Pregasi aderire richiesta Comando Germanicocirca consegna ebrei». In tal modo il capo della polizia, mentre evitava di enunciare lostesso vocabolo «accordo», ne confermava di fatto il contenuto: gli ebrei arrestati dalla RSI

erano destinati al Terzo Reich. E non sembra proprio ipotizzabile che il capo della poliziapotesse dare per iscritto un ordine di tale rilevanza senza il preventivo consenso del mi-nistro dell’Interno e del capo del governo. Dodici giorni dopo, Savorgnan riferì a Tambu-rini che i 29 ebrei in questione erano stati «trasferiti nel campo di concentramento di Fos-soli», mostrando come gli interessati assegnassero lo stesso significato a «consegna aitedeschi» e «trasferimento a Fossoli» (e ciò quando il campo era apparentemente ancorasotto completo controllo italiano).

 Tutto questo può essere spiegato solo come conseguenza di un accordo tra le massimeautorità fasciste italiane e naziste tedesche; un accordo raggiunto prima di quel 5 febbraio1944 e probabilmente dopo la metà dicembre 1943, e il cui oggetto fu l’assegnazione uf-ficiale al campo di Fossoli della funzione di congiunzione degli operati delle polizie dei duestati. Non conosciamo né la data di questo accordo né lo svolgimento dei colloqui o delletrattative che lo prepararono, e non sappiamo se Mussolini contribuì ad elaborarlo o lo ra-tificò a posteriori. Ma egli compì, prima del 5 febbraio 1944, uno di questi atti e in tale modopartecipò volontariamente e consapevolmente alla Shoah.

m. s arFatti, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo ,end, tn 2005, . 100-108

Che conseguenze aveva lo zelo dimostrato dai poliziotti e dai funzionari?

Per quale motivo l’ufficio comunale addetto alla distribuzione delle tessere alimentarisi trasformò spesso in una vera trappola, per gli ebrei?

Che cosa temevano le autorità italiane, prima di ricevere dal loro governo precise disposizioni?

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